Archivio mensile:Maggio 2016

620.- Il CETA avanza e il TTIP sta avanzando?

Per memoria: Stati Uniti e Unione europea negoziano segretamente per raggiungere un accordo di libero scambio che potrebbe minacciare la salute pubblica e l’ambiente. Si chiama Ttip.
Il Partenariato translatlantico sul commercio e gli investimenti, o Ttip dall’inglese Transatlantic trade and investment partnership, è un accordo di libero scambio che Stati Uniti (Usa) e Unione europea (Ue) stanno negoziando, perlopiù segretamente, dal giugno del 2013. Dopo più di dieci anni di discussioni preparatorie. L’obiettivo del trattato è creare un mercato comune che semplifichi i rapporti economici tra le parti. Gli strumenti principali sono: la riduzione dei dazi doganali sulle merci, sui servizi e sugli appalti pubblici gestiti da aziende multinazionali che operano negli Stati Uniti e nei paesi dell’Unione europea; la semplificazione e l’uniformità delle norme commerciali in vigore attraverso l’adozione di nuove leggi che eliminino le differenze. Finora si sono tenuti tredici incontri (round) di negoziati. L’ultimo a New York, negli Stati Uniti, dal 25 al 29 aprile. Il prossimo è a giugno.

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Il programma di unificazione forzata ci ha surrettiziamente indirizzato a trasformazioni costituzionali nei vari paesi aderenti, continuiamo a perdere sovranità a favore delle crescenti burocrazie centrali della UE. Al suo interno il potere legislativo risiede nella Commissione – non eletta – che discute e decide in segreto, a porte chiuse. Il progetto della UE non è rivolto al progresso delle nazioni europee, ma è uno strumento di dominazione e di controllo sociale.
Di prossima attuazione è il TTIP (trattato transatlantico di libero commercio) la cui negoziazione avviene ovviamente in segreto: i parlamentari non possono fare copie delle bozze, possono consultarle solo per un tempo limitato e non possono trascriverne i brani. “Non può non provocare inquietudine quanto denunciato dall’ex ministro Giulio Tremonti in Senato, a proposito delle rigide misure adottate dal Governo per tutelare la segretezza del Ttip, il nuovo Trattato Transatlantico destinato a sostituire l’accordo del 1994 sul libero commercio mondiale (Wto). Nell’intervento pubblicato da ilfattoquotidiano.it, si ascolta il senatore lamentare le indebite restrizioni governative imposte ai parlamentari. La consultazione della documentazione riservata all’esame dei senatori è stata limitata per “massimo un’ora, sotto la vigilanza dei carabinieri” e con una serie di gravami che nulla hanno a che vedere con gli obiettivi di trasparenza e diffusione. Di qui la laconica conclusione: “C’è stata una fase della storia in cui i trattati sono stati segreti e quella è una fase che ha portato ad esiti tragici. I trattati non possono essere segreti, lo può essere la trattativa, ma non i trattati”.
Non intendo ribadire il perché si voglia coprire gli interessi economici retrostanti e i loro progetti: infatti con tale trattato le multinazionali statunitensi potrebbero prendere rilevanti fette di mercato a danno delle piccole imprese. Il TTIP disporrebbe anche di un tribunale sovranazionale, organizzato da esso stesso, per quando si vogliono citare gli Stati che perseverano su politiche e legislazioni che vengono ritenute dannose, per condannarli a risarcire danni da mancato profitto e per far pagare i risarcimenti ai contribuenti.

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Con il TTIP verrà meno il principio politico, il principio legalitario e i diritti dell’uomo. Verranno solo salvaguardati i diritti degli investitori e del capitale finanziario. Per ulteriore specifiche potete leggere questo articolo: e-ancora):
Greenpeace Olanda è entrata in possesso delle bozze di TTIP redatte fino all’aprile 2016. Il 2 maggio scorso, Greenpeace Olanda ha pubblicato parte dei testi negoziali del TTIP (http://www.greenpeace.org/italy/it/ufficiostampa/rapporti/TTIP-leaks/ che leggete in calce) per garantire la necessaria trasparenza e promuovere un dibattito informato su un trattato di cui troppo poco si discute in Italia e che interessa quasi un miliardo di persone, nell’Unione Europea e negli USA. È la prima volta che i cittadini europei possono confrontare le posizioni negoziali dell’UE e degli USA. “Il documento di 248 pagine, contiene capitoli “consolidati”, sui quali le posizioni di USA e UE convergono e altre tematiche su cui le richieste della parti restano in conflitto, ma l’organizzazione sottolinea il silenzio su alcune tutele previste da trattati precedenti, ma assenti nel TTIP. Non c’è alcun riferimento alle regole comprese negli accordi GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) della World Trade Organisation per la tutela dell’ambiente, né agli Accordi sul clima di Parigi, né alcun tipo di principio di precauzione per prodotti o servizi che possono mettere in pericolo la salute umana.” Secondo Greenpeace “entrambe le parti stiano creando un regime che antepone il profitto alla vita e alla salute umana, degli animali e delle piante”. Ma non mancano certo le sorprese, in Europa iniziano a farsi sentire per davvero le proteste come afferma il sito http://www.lifegate.it/persone/news/ttip-accordo-libero-scambio-usa-ue

Le proteste contro il Ttip in Europa
Chi è contrario a questa logica di mercato ha paura che dietro la semplificazione e l’armonizzazione delle norme ci sia in realtà la volontà di “indebolire i processi decisionali democratici a vantaggio delle multinazionali”, come riportato dal settimanale tedesco Der Spiegel. Un tentativo di tutelare maggiormente gli interessi delle aziende, a scapito dei lavoratori e dei consumatori. La Germania è uno dei paesi europei dove il fronte contrario al Ttip è più attivo. Il 10 ottobre 2015 per le strade della capitale Berlino hanno manifestato circa 150mila persone aderenti a sindacati, organizzazioni ambientaliste e per i diritti umani. Non è dunque un caso se alcuni attivisti dell’organizzazione non governativa Greenpeace abbiano deciso di proiettare alcune parti riservate del trattato (svelate il 2 maggio in un dossier di 248 pagine, Ttip leaks, realizzato dalla sezione olandese dell’ong) proprio sulla facciata del parlamento tedesco. I documenti contengono riferimenti al cibo, ai cosmetici, all’agricoltura e ai pesticidi, alle telecomunicazioni.
“Chi è contrario a questa logica di mercato ha paura che dietro la semplificazione e l’armonizzazione delle norme ci sia in realtà la volontà di “indebolire i processi decisionali democratici a vantaggio delle multinazionali”, come riportato dal settimanale tedesco Der Spiegel. Un tentativo di tutelare maggiormente gli interessi delle aziende, a scapito dei lavoratori e dei consumatori.
La Germania è uno dei paesi europei dove il fronte contrario al Ttip è più attivo.”

Sul principio di precauzione
Su questi temi, gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno norme molto diverse. Tra i paesi che fanno parte dell’Ue – così come nell’ambito delle Nazioni Unite – vige il principio di precauzione, cioè la necessità di agire per salvaguardare l’ambiente e la salute anche quando non c’è ancora la certezza scientifica, ma le minacce sono evidenti. Il principio di precauzione, ad esempio, ha portato all’adozione della storica Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), nel 1992. Molti anni prima rispetto a quando questo tema è diventato popolare e oggetto di numerosi studi internazionali.

Questo principio, non previsto dall’iter legislativo americano, prevede che un prodotto potenzialmente pericoloso possa essere escluso dal mercato. Per questo la Commissione europea ha rinviato il rinnovo dell’autorizzazione dei diserbanti contenenti glifosato perché gli studi scientifici non sono concordi nel ritenerlo sicuro. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (International agency for research on cancer, Iarc) che fa capo all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) lo ha persino definito “probabilmente cancerogeno”. Stessa sorte per le colture ogm, cioè di organismi geneticamente modificati, vietate in molti paesi europei perché secondo alcuni esperti sono dannosi per la salute. Gli Usa vorrebbero che l’Europa superasse questa “barriera” commerciale. Una barriera che, nei fatti, protegge i consumatori.

Cos’è il sistema di risoluzione delle controversie sugli investimenti
Un’altra questione che sta facendo arretrare l’Ue, e quindi rallentare i negoziati, è quella sul sistema di risoluzione delle controversie sugli investimenti (Investment court system, Ics) che prevede la possibilità per le aziende di far causa agli stati e portarli davanti a un collegio arbitrale, un tribunale terzo. Per i favorevoli, questa clausola rappresenta un meccanismo per proteggere gli investitori stranieri dalle discriminazioni o dal trattamento iniquo da parte dei governi, per proteggere l’occupazione e aumentare le esportazioni. Chi è contrario a questo sistema – compresi alcuni governi – pensa che scavalcare la giurisdizione nazionale sia dannoso per la democrazia perché rischia di ostacolare qualsiasi progetto di legge che vada contro gli interessi delle multinazionali. Una semplificazione al ribasso, dunque, da cui i cittadini non trarrebbero nulla di positivo.

Questo sistema di risoluzione delle controversie sugli investimenti è già presente in un altro partenariato, quello tra Unione europea e Canada (Accordo economico e commerciale globale, Ceta), che è stato chiuso nell’agosto del 2014 e che ora deve essere approvato dai governi per entrare in vigore. Probabilmente nel 2017. Il Ceta è molto simile al Ttip, ma ha provocato meno proteste perché non è stato tenuto segreto e perché gli standard a tutela dei cittadini (europei e canadesi) sono simili. Nonostante questo, l’Independent ha definito il Ceta una minaccia “alla battaglia contro i cambiamenti climatici” perché le clausole che tutelano lo sviluppo sostenibile non si applicano al settore minerario, energetico e dei trasporti. E il Canada estrae petrolio dalle sabbie bituminose attraverso tecniche devastanti per la salute del pianeta (vedi la questione Keystone XL).

Il Ttip potrebbe vanificare l’Accordo di Parigi sul clima
Proprio la lotta ai cambiamenti climatici è uno dei punti che più “spaventa” i paesi europei e porta i negoziati verso un binario morto. L’Accordo di Parigi “non avrebbe avuto alcun senso” se poi a questo ne seguisse “un altro che lo distruggerebbe”, ha dichiarato Matthias Fekl, a capo della delegazione francese che segue le trattative sul Ttip, in un’intervista a radio Europe 1. Il testo, sempre secondo i documenti svelati da Greenpeace, non fa alcun riferimento alla riduzione delle emissioni di CO2.

In sostanza, anche se il presidente americano Barack Obama così come la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno di recente dichiarato di voler chiudere l’accordo entro l’anno, il Ttip potrebbe subire un rallentamento dovuto alla sproporzione delle concessioni che Bruxelles dovrebbe fare a Washington. “Noi non siamo per il libero scambio senza regole. Non accetteremo mai la messa in discussione dei principi essenziali per la nostra agricoltura, per la nostra cultura, per la reciprocità nell’accesso al mercato pubblico”, ha detto il presidente francese François Hollande in un discorso tenuto pubblicamente il 3 maggio.

Cosa possono fare i cittadini
La mobilitazione dei cittadini contro il Ttip ha reso gli europei più consapevoli di ciò che potrebbero essere i benefici, ma soprattutto i rischi di questo accordo transatlantico. Forse non sarà sufficiente per fermarlo, ma c’è tempo e spazio sufficiente per correggere lo sbilanciamento verso la costa americana. Tempo per coinvolgere i gruppi sociali, spazio per rendere accessibili i documenti. Anche perché senza l’appoggio di tutti i parlamenti europei – e degli stessi cittadini nel caso in cui alcuni paesi decidessero di indire un referendum – l’accordo non potrà entrare in vigore.
La strada per un mondo migliore passa attraverso le scelte individuali. L’era delle guerre del petrolio, dei morti per carbone, dei disastri petroliferi, è al tramonto. Utilizzare energia rinnovabile per la propria casa significa dare speranza alle nuove generazioni.

safe_image.phpTTIP: i documenti pubblicati da Greenpeace Olanda

1. Che documenti sono stati resi pubblici da Greenpeace Olanda?

I documenti pubblicati da Greenpeace Olanda comprendono circa la metà delle bozze di testo del TTIP redatte fino ad aprile 2016, prima dell’inizio del tredicesimo round di negoziati tra Ue e USA. A quanto ci risulta, il documento conclusivo sarà composto da 25/30 capitoli e molti annessi. Di questi 25/30 capitoli, sappiamo che 17 sono “consolidati”. I testi consolidati sono quelli nei quali le posizioni di Ue e USA sono mostrate una a fianco all’altra. Questa fase del processo di negoziato ci permette di vedere le aree dove UE e USA sono prossime a un accordo e quelle dove compromessi e concessioni devono ancora essere fatti. Nei documenti pubblicati da Greenpeace Olanda, 248 pagine in totale, ci sono 13 capitoli “consolidati”.

2. Cosa dicono i documenti pubblicati da Greenpeace Olanda?

Dal punto di vista della protezione dell’ambiente e dei consumatori, quattro aspetti sono seriamente preoccupanti:

– Tutele ambientali acquisite da tempo sembrano sparite
Nessuno dei capitoli che abbiamo visto fa alcun riferimento alla regola delle Eccezioni Generali (General Exceptions). Questa regola, stabilita quasi 70 anni fa e compresa negli accordi GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) della World Trade Organisation (WTO – in italiano anche Organizzazione Mondiale per il Commercio, OMC) permette agli stati di regolare il commercio “per proteggere la vita o la salute umana, animale o delle piante” o per “la conservazione delle risorse naturali esauribili” [1]. L’omissione di questa regola suggerisce che entrambe le parti stiano creando un regime che pone il profitto al di sopra della vita e della salute umana, degli animali e delle piante.

[1] Molti degli accordi del WTO furono il risultato dei negoziati sul commercio noti come Uruguay Round (1986-94). Alcuni, compreso il GATT (1994), erano la revisione di testi già esistenti.

– La protezione del clima sarà più difficile con il TTIP
Gli Accordi sul Clima di Parigi chiariscono un punto: dobbiamo mantenere l’aumento delle temperature sotto 1,5 gradi centigradi per evitare una crisi climatica che colpirà milioni di persone in tutto il mondo. Il commercio non dovrebbe essere escluso dalle azioni sul clima. Ma non c’è

alcun riferimento alla protezione del clima nei testi che abbiamo visto. Ancor peggio, l’ambito delle misure di mitigazione è limitato dalle clausole dei capitoli sulla “Cooperazione Regolatoria” o sull’Accesso ai Mercati per i Beni Industriali. [2] Ad esempio, queste proposte impedirebbero di regolamentare le importazioni di carburanti ad alta intensità di CO2, come ad esempio il petrolio estratto da sabbie bituminose (tar sands).

[2] Non c’è nulla negli Articoli 10 (Restrizioni alle Importazioni e Esportazioni) e 12 (Autorizzazioni di Importazioni e Esportazioni) del Capitolo su “Trattamento Nazionale e Accesso dei Beni ai Mercati” che mostri come le misure sul commercio necessarie a proteggere il clima siano considerate ammissibili quali restrizioni al commercio ai sensi dell’Articolo XX del GATT (vedi nota 1).

– La fine del principio di precauzione
Il principio di precauzione, inglobato nel Trattato UE [3], non è menzionato nei capitoli sulla “Cooperazione Regolamentare”, né in nessuno degli altri 12 capitoli ottenuti. D’altra parte, la richiesta USA per un approccio “basato sui rischi” che si propone di gestire le sostanze pericolose piuttosto che evitarle, è evidente in vari capitoli. Questo approccio mina le capacità del legislatore di definire misure preventive, per esempio rispetto a sostanze controverse come le sostanze chimiche note quali interferenti endocrine (c.d. hormone disruptors).

[3] Il principio di precauzione è dettagliato nell’Articolo 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Esso si propone di assicurare un elevato livello di protezione dell’ambiente mediante decisioni preventive in caso di rischi. http://eur-lex.europa.eu/legal- content/EN/TXT/?uri=URISERV%3Al32042

– Porte aperte all’ingerenza delle industrie e delle multinazionali.
Mentre le proposte contenute nei documenti pubblicati minacciano la protezione dell’ambiente e dei consumatori, le multinazionali e le grandi industrie hanno quello che vogliono. Le grandi aziende ottengono garanzie sulla possibilità di partecipare ai processi decisionali, fin dalle prime fasi.

Se la società civile ha avuto ben poco accesso ai negoziati, in molti punti i documenti mostrano che l’industria ha invece avuto posizione privilegiata su decisioni importanti [4]. I documenti pubblicati mostrano che l’UE non è stata trasparente rispetto a quanto grande sia stata l’influenza dell’industria. Il rapporto pubblico reso noto di recente dall’UE [5] ha solo un piccolo riferimento al contributo delle imprese, mentre i documenti citano ripetutamente il bisogno di ulteriori consultazioni con le aziende e menzionano in modo esplicito come siano stati raccolti i pareri delle medesime.

[4] Ad esempio: “Mentre gli USA hanno mostrato interesse, si sono affrettati a puntualizzare che avrebbero dovuto consultarsi con le proprie imprese riguardo ad alcuni dei prodotti” – Capitolo “Tactical State of Play” paragrafo 1.1, Agricoltura.

[5] “Il dodicesimo round dei negoziati per il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP)’

Fai clic per accedere a tradoc_154391.pdf

3. Come ha ottenuto questi documenti Greenpeace Olanda?

Greenpeace Olanda non svelerà l’origine di questi documenti. Il testo originale è stato ricopiato e sono stati rimossi evidenti errori di scrittura e grammatica, probabilmente inseriti in modo deliberato come marcatori per identificare l’origine del testo in caso di diffusione. Altri marcatori visibili, di testo o di formato, sono stati rimossi. Nessuno di questi interventi ha alterato in alcun modo il contenuto del testo.

4. I documenti sono completi?

I documenti sono una parte importante dei testi del negoziato: si tratta di 13 dei 17 capitoli che si ritiene siano arrivati alla fase di “testo consolidato” dei negoziati.

I capitoli che si ritiene che siano arrivati alla fase di “testo consolidato”, ma che non sono in possesso di Greenpeace Olanda, sono quelli relativi a: e-commerce, servizi finanziari, norme di origine e misure protezionistiche.

I capitoli che si ritiene non abbiano ancora raggiunto la fase di “testo consolidato”, anch’essi non in possesso di Greenpeace Olanda, sono quelli relativi a: energia e materie prime, protezione degli investimenti, diritti di proprietà intellettuale, questioni legali e istituzionali, sussidi, sviluppo sostenibile, prodotti tessili e abbigliamento.

Alcuni dei documenti in possesso di Greenpeace Olanda sono incompleti. I seguenti capitoli sono in possesso di Greenpeace Olanda:

[capitolo 1.1.]

Trattamento nazionale e accesso dei beni ai mercati

Questo capitolo tratta del commercio di beni tra UE e USA.

[capitolo 1.2.]

Agricoltura

Tratta del commercio di prodotti agricoli e illustra le differenze tra UE e USA su come proteggere i rispettivi interessi nelle esportazioni e gli agricoltori.

[capitolo 1.3.]

Servizi

Questo capitolo affronta il commercio nei servizi del settore industriale.

[capitolo 1.4]

Comunicazioni elettroniche

Affronta i temi relativi a Internet and telecomunicazioni.

[capitolo 1.5.]

Politiche di acquisto dei governi

Tratta degli acquisti compiuti da entità governative nell’UE e negli USA.

[capitolo 1.6.]

Annesso sulle politiche di acquisto dei governi

È l’annesso al capitolo precedente, con informazioni addizionali sul capitolo proposto dagli USA sull’anti-corruzione.

[capitolo 1.7.]

Dogane e facilitazioni degli scambi

Affronta le differenze tra le varie regolazioni doganali.

[capitolo 1.8.]

Revisione delle offerte dell’UE e degli USA sulle tariffe

Sono le rispettive posizioni sulla riduzione delle tariffe di beni specifici.

[capitolo 2.1.]

Cooperazione regolatoria

In questo controverso capitolo l’UE e gli USA intendono arrivare a una regolazione congiunta sui prodotti e servizi, per esempio sul cibo o la sicurezza dei cosmetici.

[capitolo 2.2.]

Barriere tecniche al commercio

Affronta le cosiddette barriere tecniche al commercio come l’etichettatura e i modi in cui ciò influisce sui commerci.

[capitolo 2.3.]

Misure sanitarie e fitosanitarie

Sulla protezione della salute animale e delle piante.

[capitolo 3.1.]

Concorrenza

Tratta delle regole sulla competizione (come per i sussidi) nelle parti e la loro compatibilità.

[capitolo 3.2.]

Piccole e medie imprese

Si riferisce a imprese di taglia inferiore rispetto alle multinazionali. [capitolo 3.3.]

Imprese di Stato

Questo capitolo affronta il tema delle imprese nazionalizzate.

[capitolo 4.]

Risoluzione delle dispute

Affronta il modo di risolvere disaccordi tra l’UE e gli USA nella interpretazione e applicazione dell’accordo TTIP.

[capitolo 5.]

Tactical State of Play

Questo documento, che non è fatto per essere pubblicato, descrive le aree di disaccordo tra UE e USA e mostra quanto le imprese private influenzano i negoziati del TTIP.

5. Come sapete che i documenti non sono falsi

Dopo aver ricevuto i documenti, Greenpeace Olanda e una nota partnership tedesca di ricerche investigative (Rechercheverbund NDR, WDR und Süddeutsche Zeitung), li hanno analizzati e confrontati con documenti esistenti. Il Rechercheverbund, che consiste di vari media tedeschi, si è occupato, tra le investigazioni più note, degli Snowden leaks e del recente scandalo delle emissioni della Volkswagen.

6. È possibile vedere i documenti originali?

Greenpeace Olanda non offre l’accesso ai documenti originali dato che, molto probabilmente, contengono marcatori (come deliberati errori tipografici o di formattazione) inseriti per identificare l’origine dei documenti.

7. Perché Greenpeace Olanda ha deciso di pubblicare i documenti?

Greenpeace Olanda ha pubblicato i documenti per facilitare un dibattito democratico sui testi. La segretezza che circonda il negoziati del TTIP, avviati oltre due anni e mezzo fa, contrasta con i principi democratici sia nell’UE che negli USA.

Ci sono state critiche da tutto il mondo per il continuo rifiuto a rivelare i dettagli negoziali del TTIP, incluse quelle dell’Ombudsman europeo. Anche se alcuni documenti sono stati resi noti dall’UE (vedi: EU documents) essi sono spesso incompleti e obsoleti al momento della pubblicazione. I negoziatori statunitensi non hanno pubblicato praticamente nulla.

Anche i membri del Parlamento Europeo1 (che voteranno per adottare o rigettare l’accordo conclusivo) e i parlamentari degli Stati Membri (che pure probabilmente voteranno sull’accordo

finale) hanno un accesso limitato e fortemente ristretto ai cosiddetti “testi consolidati” del negoziato in speciali stanze di lettura. Ogni round del negoziato avviene a porte chiuse e le conferenze stampa congiunte UE-USA sul TTIP sono prive di reali contenuti. Le consultazioni con la società civile e le riunioni con gli stakeholder sono poco più che formalità prive di contenuti.

Ogni miglioramento nella trasparenza sul negoziato del TTIP deve soddisfare almeno i seguenti principii: maggiore accesso del pubblico ai documenti negoziali di UE e USA; una pubblicazione più efficace dei documenti; una partecipazione pubblica più bilanciata e trasparente nel corso del processo di negoziato.

8. Pubblicare questi documenti confidenziali non è pericoloso per i negoziati?

Greenpeace riconosce la necessità di mantenere confidenziali certe informazioni in casi ben definiti. Tuttavia, nelle bozze del TTIP rese pubbliche non ci sono dettagli che sono o potrebbero essere dannosi per specifiche aziende o individui. I documenti contengono informazioni su argomenti fondamentali che riguardano l’ambiente, la tutela dei consumatori, la sicurezza dei prodotti e i diritti dei lavoratori. Crediamo che decisioni con conseguenze di portata così ampia devono essere prese in modo trasparente, non prendendo in considerazione solo gli interessi delle imprese ma anche quelli dei cittadini e della società civile.

619.- QUANDO NAPOLITANO DICEVA “NO” ALLA RIFORMA COSTITUZIONALE!

Era il 2006 e le campane del PD suonavano diverse:CjxLRx9UYAE4OR6

Botta e risposta, oggi, fra l’amico Francesco Pastore e me: “Napolitano è stato un uomo politico incapace d’interpretare il futuro, ha sempre vissuto alla giornata comunista!”

ed io: “Non lo stimo a sufficienza per occuparmene.Una pagina buia della democrazia,ma anche della morale.”

La legalità apparente,formale del premier autoritario e dell’oligarchia che governa non soddisfa i diritti di libertà d’una nazione democratica“Non è giusto modificare la costituzione a colpi di maggioranza“. “Vecchia la Costituzione? Per gli americani è giovane la loro dopo 200 anni… . “Pericolosi sono, invece, i troppi poteri a un Premier autoritario, non più primus inter Pares, come dev’essere un Presidente del Consiglio”.

No, quelle che seguono, non sono le dichiarazioni del M5S o della Lega o di Fratelli d’Italia, e neppure quelle di Zagreblevski o di altri costituzionalisti del fronte del NO: sono le frasi riportate di un’intervista a Rai 3 del 2006 dette da Giorgio Napolitano, come riportate oggi dall’edizione cartacea del Fatto Quotidiano.

il_fatto_quotidiano-2016-05-31-574cbf3f8b66e-600x895.jpgLa riforma era quella del Senato e del procedimento legislativo voluta da Berlusconi, molto simile a quella attuale del Governo Renzi. Sentite poi cosa diceva l’ex Presidente della Repubblica il 15 novembre 2005 al Senato:

…”Il contrasto che ha preso corpo in Parlamento da due anni a questa parte e che si proporrà agli elettori chiamati a pronunciarsi prossimamente nel referendum confermativo non è tra passato e futuro, tra conservazione e innovazione, come si vorrebbe far credere, ma tra due antitetiche versioni della riforma dell’ordinamento della Repubblica: la prima, dominata da una logica di estrema personalizzazione della politica e del potere e da un deteriore compromesso tra calcoli di parte, a prezzo di una disarticolazione del tessuto istituzionale; la seconda, rispondente a un’idea di coerente ed efficace riassetto dei poteri e degli equilibri istituzionali nel rispetto di fondamentali principi e valori democratici.”
E nel discorso di investitura come PdR affermava decisamente

“Un risoluto ancoraggio ai principi costituzionali non può essere scambiato per semplice conservatorismo. L’unità costituzionale è il sostrato dell’unità nazionale”
Ecco, cambiare opinione è lecito, per carità, ma fa un po’ specie che a dire queste assolutamente condivisibili parole sia lo stesso che adesso dichiara: “Mi offende chi dice di votare no per difesa Costituzione“…

618.-IL CAPITALISMO È ARRIVATO AL SACCHEGGIO: LA GERMANIA ALL’ASSALTO DEL FMI

 

Paul Craig Roberts, ex assistente segretario del tesoro USA e Associate Editor del Wall Street Journal, scrive un articolo di denuncia sul trattamento riservato alla Grecia dalla Germania e dalle istituzioni europee. Con la complicità del governo-fantoccio di Syriza, la Grecia viene saccheggiata e la sua popolazione depredata dei propri diritti e conquiste sociali per poter garantire i profitti dei “creditori”. L’UE e il FMI sono ormai diventati dei semplici strumenti di saccheggio nelle mani dei ricchissimi del pianeta, mentre la loro azione viene Orwellianamente propagandata come “salvataggio”.

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Di Paul Craig Roberts, 26 maggio 2016

 

Essendo riusciti ad usare l’UE per conquistare il popolo Greco, trasformando il governo “di sinistra” di Syriza in un fantoccio delle banche tedesche, la Germania si ritrova ora il FMI a intralciare il suo piano per saccheggiare la Grecia fino alla sua scomparsa.

Le regole del FMI impediscono a questa organizzazione di prestare soldi a paesi che non siano in grado di restituirli. IL FMI ha quindi concluso, sulla base di dati e analisi, che la Grecia non è in grado di restituire i soldi presi in prestito. Quindi, il FMI non è disposto a prestare alla Grecia i soldi che le servono per ripagare le banche private creditrici.

Il FMI sostiene che i creditori della Grecia, molti dei quali non sono nemmeno i creditori originali ma semplicemente avvoltoi che hanno acquistato il debito greco a prezzo di saldo nella speranza di specularci, devono tagliare parte del debito in modo da riportarlo a un ammontare che sia sostenibile da parte dell’economia greca.

Le banche non vogliono che la Grecia sia in grado di ripagare il suo debito, perché intendono invece usare l’incapacità della Grecia di ripagare per saccheggiarla dei suoi asset e delle sue risorse e per distruggere la rete di protezione sociale costruita durante il ventesimo secolo. Il neoliberismo intende ristabilire il feudalesimo – pochi baroni e molti servi della gleba: l’1 per cento contro il 99 per cento.

Per come la vede la Germania, il FMI dovrebbe prestare alla Grecia i soldi con cui ripagare le banche tedesche. Poi il FMI verrà ripagato forzando la Grecia a ridurre o abolire le pensioni di anzianità, ridurre i servizi pubblici e i dipendenti pubblici, e utilizzare le somme risparmiate per ripagare il FMI.

Poiché le somme risparmiate saranno insufficienti, nuove misure di austerità vengono imposte così che la Grecia sia costretta a vendere gli asset nazionali, come le società pubbliche di gestione dell’acqua, i posti e le isole greche protette, agli investitori stranieri, principalmente le stesse banche o i loro migliori clienti.

Finora i cosiddetti “creditori” si sono impegnati solo in qualche forma di sgravio del debito, ancora indefinito, tra 2 anni. Per allora i giovani greci saranno emigrati e saranno stati sostituiti da immigrati che scappano dalle guerre di Washington in Medio Oriente e in Africa, che avranno appesantito il sistema di welfare greco già privo di fondi.

In altre parole, la Grecia viene distrutta dalla UE, un’istituzione così follemente sostenuta e apprezzata. La stessa cosa sta accadendo in Portogallo e si prepara ad avvenire in Spagna e in Italia. Il saccheggio ha già divorato l’Irlanda e la Lettonia (e un buon numero di paesi dell’America Latina) ed è in corso in Ucraina.

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Gli attuali titoli dei giornali che riportano l’accordo raggiunto tra il FMI e la Germania riguardo il tagli del debito greco a un livello sostenibile, sono falsi. Nessun “creditore” ha dato il suo assenso al tagli di nemmeno un centesimo del debito. Tutto quello che il FMI ha ottenuto dai cosiddetti “creditori” è un vago “impegno” per un ammontare sconosciuto di tagli del debito che avverrà tra 2 anni.

I titoli dei giornali non sono altro che una vernice esterna, per coprire il fatto che il FMI ha ceduto alle pressioni e violato le sue stesse regole. La copertura consente al FMI di dire che un tagli (futuro e indefinito) del debito consentirà alla Grecia di renderlo sostenibile e, pertanto, il FMI può prestare alla Grecia i soldi per ripagare le banche private.

In altre parole, il FMI è ormai diventato l’ennesima istituzione Occidentale senza regole e il cui regolamento conta meno della Costituzione degli Stati Uniti o della parola del governo di Washington.

I media continuano a chiamare il saccheggio della Grecia un “salvataggio”.

Chiamare il saccheggio di un paese e del suo popolo “salvataggio” è proprio Orwelliano. Il lavaggio del cervello è talmente riuscito che perfino i media e i politici della saccheggiata Grecia chiamano l’imperialismo finanziario che la Grecia sta subendo un “salvataggio”.

Da ogni parte del mondo Occidentale un gran numero di interventi, sia delle società che dei governi, stanno portando alla stagnazione della crescita dei profitti. Per poter continuare a fare profitti, le mega-banche e le società multinazionali si sono dedicate al saccheggio. I sistemi di sicurezza sociale e i servizi pubblici vengono messi nel mirino per essere privatizzati, e l’indebitamento così ben descritto da John Perkins nel suo libro, Confessioni di un sicario economico, viene utilizzato per preparare il terreno al saccheggio di interi Paesi.

Il capitalismo è entrato nella fase del saccheggio . Il risultato sarà la devastazione.

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617.-Lo schiavismo dei buoni

Voluntas enim naturaliter tendit in bonum sicut in suum obiectum: quod autem aliquando in malum tendat, hoc non contigit nisi quia malum sibi sub specie boni proponitur. (Tommaso D’Aquino)

Il Pedante pubblica questo paper che Anna Caccia Dominioni ci propone. Lo ripubblico; ma le metà verità non soddisfano. L’infermiera Bettina è lo Stato che deve assolvere al dovere della solidarietà verso i cittadini bisognosi (p.es., l’art.38 Cost.). Il disabile lasciato morire è il cittadino verso il quale lo Stato è stato inadempiente. I Principi che sostanziano la trama della Costituzione non ammettono graduatorie di merito. Forse che si può negare la “Libertà” per difetto di risorse? Adempiuto il dettato costituzionale, c’è , poi, il messaggio di Cristo, che ispira la cristianità: “Ama il prossimo tuo, come te stesso”; dove il concetto di prossimità non significa “tutti” e “come te stesso” presuppone che si ami “te stesso”. Infine, una cosa è il dovere costituzionale, un’altra cosa è il sostegno alle altre nazioni (ma come?), un’altra, ancora, è l’invasione. Tralascio il malaffare che il “regime” sostiene senza più pudore. Regime? Se manca l’equilibrio fra i poteri costituzionali e se manca il pluralismo nell’informazione, non c’è democrazia, ma c’è un regime; nel caso, per conto terzi.

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L’immigrazione di massa integra chiaramente un caso di guerra tra poveri. Non solo perché lo è nei fatti, con milioni di persone a contendersi alloggi insufficienti, lavori sottopagati o di bassa manovalanza criminale, periferie anguste e i palliativi di un welfare centellinato dai tagli. Ma anche perché così si vuole che sia – o quantomeno ce la si mette tutta affinché lo diventi.

Nei giorni in cui il Comune di Milano decideva di trasferire 400 euro al mese a chi accogliesse un profugo nella propria abitazione, nella stessa città moriva di stenti Giovanni Ceriani, un disabile di cittadinanza italiana che si manteneva con un assegno di 186 euro al mese e un bonus comunale di 1.000 euro all’anno. Mentre scrivo, a La Spezia l’invalido Roberto Bolleri è in sciopero della fame per rientrare in possesso del suo alloggio popolare occupato abusivamente da una famiglia di marocchini che, fanno sapere, usciranno solo quando il Comune avrà assegnato loro una sistemazione adeguata in deroga alle graduatorie. In Germania l’infermiera Bettina Halbey e la sua vicina di casa stanno per essere sfrattate dal Comune di Nieheim: dovranno lasciare i loro appartamenti ai richiedenti asilo, mentre nel resto del paese si espropriano immobili privati e si evacuano scuole pubbliche, per lo stesso motivo.

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Non c’è bisogno di essere leghisti per capire che finirà male, malissimo.

In un sistema di finanza pubblica dove la scarsità di investimenti è postulata come un dogma, è inevitabile che i poveri e gli impoveriti si contendano le briciole e temano l’arrivo di nuove bocche da sfamare. Tanto più se quello stesso sistema predica anche la scarsità dei salari e delle tutele come una virtù e la scarsità di lavoro come una colpa, non lasciando ai deboli altra scelta che un cannibalismo di sopravvivenza in cui l’odio etnico e razziale è solo il pretesto di una guerra per bande.

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C’è del dolo o comunque una sterminata irresponsabilità in chi sostiene queste politiche di scarsità e al tempo stesso auspica corridoi umanitari per prelevare gli stranieri alla fonte, chiede la rimozione dei blocchi alle frontiere e sogna di accogliere 300-400 mila persone ogni anno se non 30 milioni in 15 anni. Salvo poi, al delinearsi di una catastrofe umanitaria che colpirebbe tutti – in primis gli immigrati di cui si fanno paladini – sfoderare il ferro vecchio della rivoluzione culturale e rimproverare ai sudditi il vizio della xenofobia lanciando vibranti campagne contro l’odio. Quasi fossero, la xenofobia e l’odio, patologie dalle origini oscure da debellare con la profilassi (nei giovani) e gli antibiotici (nei vecchi) e non un’etologica conseguenza delle politiche da loro stessi create.

C’è del dolo e dell’irresponsabilità in questa filantropia a spese degli altri, ma c’è anche e soprattutto il suo contrario, cioè del razzismo. Che non è il razzismo di cui si lamentano i progressisti: l’islamofobia e il disprezzo di civiltà diverse che, deplorabile e insensato a parere di chi scrive, è già condannato a reti unite e sarà presto oggetto di un’apposita commissione per la schedatura dei reprobi. E neanche l’autorazzismo di cui si parla quando i bisogni degli stranieri sono anteposti a quelli degli autoctoni. Il razzismo dei buoni colpisce invece proprio loro: gli immigrati, che protegge a parole e trasforma nei fatti in strumenti di un piccolo e penoso esercizio di autocertificazione etica e di un più grande disegno socio-economico di sfruttamento degli ultimi.

L’idea che abbiamo bisogno (?) dello sperma di milioni di disperati per ripopolare un continente in stasi demografica, o delle loro braccia per svolgere i lavori che gli italiani non vogliono più fare (cioè quelli sottopagati) non differisce in principio dalle deportazioni degli schiavi africani negli Stati Uniti del sud o dei forzati nelle colonie inglesi da ripopolare. Allora li si prelevava con la violenza, oggi li si costringe con la violenza del debito, della guerra e dello sfruttamento – che i deportazionisti buoni chiamano rispettivamente aiuti (sic) internazionali, missioni di peacekeeping e investimenti diretti esteri, e li sostengono pulendosi la coscienza con un’agile mossa lessicale. Ritenere normale che alcuni paesi del mondo, i più poveri, siano serbatoi di carne umana da ricollocare alla bisogna dei meno poveri soddisfa i requisiti non solo del razzismo, ma anche dello schiavismo tout court, e tradisce un disprezzo ignaro ma totale del diritto di queste popolazioni a vivere in pace e prosperità nelle proprie terre di origine.

In quanto al ritornello de i-lavori-che-gli-italiani-non-vogliono-più-fare, gira da almeno 20 anni ed è un classico esempio di come si peggiora un problema vero (l’abbassamento dei salari) con una soluzione falsa (l’immigrazione). Se molti mestieri non garantiscono redditi sufficienti per condurre una vita dignitosa nonostante siano richiesti dal mercato e in molti casi indispensabili, c’è evidentemente un problema di allocazione dei frutti del lavoro, che dalla base produttiva si spostano verso l’alto, ai dirigenti e ai grandi imprenditori fino a raggiungere lo stretto vertice degli investitori finanziari e dei loro vassalli. E se il lavoro vale sempre di meno, in ciò non aiuta la velleità di competere a frontiere aperte e a cambio fisso con i paesi che ci hanno preceduto nello sfruttamento in larga scala, condannandoci a una guerra globale tra poveri dove vince chi compra il lavoro, non chi lo svolge.

Per chi si dice di sinistra questi concetti dovrebbero essere pane quotidiano, se non fosse che l’oppio del moralismo gli ha fatto credere che gli italiani sono pigri e viziati e “non vogliono sporcarsi le mani”, mentre invece i migranti sarebbero baciati da una voglia di fare e di migliorarsi attraverso il lavoro duro, umile e senza pretese. Nel raccontarsi questa fiaba si inanellano almeno tre obbrobri: 1) il disprezzo per i propri connazionali che lottano per preservare i diritti e il benessere conquistati con il sangue degli avi, oggi derubricati a “privilegi”, 2) la celebrazione della propria eccezione etica (per la nota Equazione di Scanavacca) e, 3) in quanto agli stranieri, la certificazione del loro status di morti di fame disposti a tutto per un pugno di riso, di selvaggi che tutto sommato possono fare a meno del set completo di tutele e benefici formalmente garantiti a chi è nato nell’emisfero dei ricchi.

Se i primi due punti meritano compassione, trattandosi in ultima analisi di autolesionismo, il terzo suscita rabbia e stupore per i modi in cui i concetti antichi di colonialismo, paternalismo e sfruttamento sono riusciti a riciclarsi nei panni dei buoni sentimenti. L’unica, amarissima, consolazione è che chi ammette la deportazione del povero a beneficio del ricco – sia pure con la bonomia della dama coloniale che getta caramelle ai negretti – deve prepararsi a seguirne la sorte mettendosi al servizio di chi è ancora più ricco, come sta accadendo.

Forse un giorno ci si accorgerà che combattere la povertà importando poveri, lo schiavismo importando schiavi e la disoccupazione importando disoccupati non è una buona idea – da qualsiasi parte politica la si guardi. Quel giorno, italiani e stranieri, ovunque ci troveremo, sapremo chi ringraziare.

616.-Qualcosa sta cambiando per l’ISIS

Curdi e iracheni stanno attaccando diverse città dello Stato Islamico e le loro finanze sono messe male; poi, certo, rimane il problema di cosa fare dopo. Se nascerà un Kurdistan indipendente fra Syria e Iraq e quale sarà il prezzo di Erdogan, potrebbe dipendere molto dalle decisioni di Putin e di Nethanyau. Per ora, mentre i curdi stringono il cerchio intorno a Raqqa, assistiamo all’escalation delle distruzioni turche nelle città curde.

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Iraqi government forces advance near al-Sejar village, north-east of Fallujah, on May 26, 2016, as they take part in a major assault to retake the city from the Islamic State (IS) group. Tens of thousands of security forces are deployed in the Fallujah area for an assault aimed at retaking the city from the Islamic State group. Fallujah, which lies only 50 kilometres (30 miles) west of Baghdad, has been out of government control since January 2014 and is one of only two remaining major Iraqi cities still in IS hands, the other being Mosul. / AFP / AHMAD AL-RUBAYE (Photo credit should read AHMAD AL-RUBAYE/AFP/Getty Images)

Soldati iracheni a nord-est di Fallujah, il 26 maggio 2016 (AHMAD AL-RUBAYE/AFP/Getty Images)

Negli ultimi mesi lo Stato Islamico (o ISIS) ha perso il controllo di diverse città irachene e siriane che aveva conquistato nella rapida offensiva dell’estate 2014. Anche per questo da tempo diversi giornali internazionali parlano di “crisi dello Stato Islamico”, per lo meno nei territori nei quali ha stabilito il suo Califfato. Nei prossimi mesi la situazione potrebbe cambiare ulteriormente. Pochi giorni fa è stato annunciato l’inizio di due nuove operazioni militari contro lo Stato Islamico: a Fallujah (Iraq), dove contro l’ISIS combattono l’esercito iracheno e diverse milizie sciite; e a nord di Raqqa (Siria), dove combattono i curdi siriani con il supporto aereo della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Si parla da tempo poi di un attacco per riconquistare Mosul, la seconda città irachena dopo la capitale Baghdad, ma per ora sono solo intenzioni.

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Diversi analisti si chiedono se gli ultimi segnali di debolezza possano far sperare a una rapida fine dello Stato Islamico. In realtà ci sono almeno due cose da considerare. Le operazioni militari appena cominciate potrebbero durare dei mesi: sia per la reticenza dei paesi stranieri di impiegare i propri soldati in Iraq e in Siria, occidentali compresi, sia per le molte precauzioni annunciate per evitare altre violenze tra sunniti e sciiti (in Iraq) e tra curdi e arabi (in Siria). Poi rimane il problema di governare questi territori una volta liberati: come può fare il governo iracheno – sciita – a riavere la fiducia degli arabi sunniti di Anbar, dopo le discriminazioni e le violenze dell’ultimo decennio? Si può affidare ai curdi siriani il governo di una città come Raqqa, abitata in prevalenza da arabi, dopo le diverse denunce di violenze compiute durante la guerra?
Contro Fallujah
Fallujah è una città che si trova nella provincia irachena di Anbar, a circa un’ora di macchina da Baghdad. «Fallujah è un posto di cui i soldati americani che sono stati impiegati in Iraq hanno pessima memoria», ha scritto l’Economist. Dopo l’invasione americana in Iraq che portò alla destituzione dell’ex presidente iracheno Saddam Hussein, nel 2003, Fallujah divenne il centro dell’insurgency, cioè della ribellione contro l’occupazione delle truppe statunitensi e contro il nuovo governo sciita dell’Iraq (l’Iraq è un paese a maggioranza sciita ma la provincia di Anbar è a maggioranza sunnita: qui ci sono un po’ di informazioni per chi vuole partire da zero). Nel 2004 a Fallujah gli americani combatterono due guerre molto violente contro i rivoltosi sunniti; e all’inizio del 2014 Fallujah fu la prima grande città irachena a finire sotto il controllo dello Stato Islamico che allora si chiamava Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, ed era ancora alleato con al Qaida.

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the situation in Iraq as of 16/05/2016

L’attuale attacco a Fallujah è stato annunciato dal governo iracheno pochi giorni fa: alle operazioni stanno partecipando soldati iracheni e alcune forti milizie sciite, che però sono viste malissimo dalla popolazione sunnita di Anbar per una lunga storia di violenze settarie. Il governo ha detto che le milizie sciite non entreranno in città ma si limiteranno a liberare il perimetro facilitando il lavoro dell’esercito (non si sa se le promesse verranno rispettate, anche perché le milizie sciite sono in grado di dare un contribuito rilevante alle operazioni dell’esercito iracheno, che non è proprio il miglior esercito del mondo).
Come hanno scritto diversi esperti giornalisti e analisti, gli Stati Uniti non considerano Fallujah una priorità dal punto di vista militare. Lo sarebbe invece Mosul, della cui riconquista si parla da mesi. Il governo iracheno potrebbe avere scelto di cominciare le operazioni contro lo Stato Islamico a Fallujah per rispondere a una grave crisi politica interna. Dalla fine di aprile, per due volte, i sostenitori del religioso radicale sciita Muqtada al Sadr sono entrati nella “Zona Verde” di Baghdad, dove si trovano gli edifici del governo e le ambasciate straniere, per chiedere che venisse approvata una riforma contro la corruzione: e nelle ultime due settimane sono aumentati gli attacchi suicidi compiuti dallo Stato Islamico nei quartieri sciiti della città. La crisi politica potrebbe condizionare anche la guerra contro lo Stato Islamico: gli Stati Uniti temono che le operazioni militari a Fallujah ritarderanno l’attacco a Mosul, la capitale dello Stato Islamico in Iraq, il vero obiettivo degli americani e degli iracheni.
Contro Raqqa
L’annuncio di un’operazione militare per riprendere Raqqa, l’autoproclamata capitale dello Stato Islamico, è stato fatto invece dai curdi siriani, che negli ultimi mesi hanno riconquistato diversi territori prima controllati dallo Stato Islamico (nella grafica in basso i curdi sono in verde chiaro). Per il momento sembra però che le operazioni siano concentrate a nord della città e pare molto improbabile che l’attacco si estenderà fino a Raqqa, almeno nel breve periodo. Come per Fallujah, anche qui ci sono diversi problemi da considerare. La maggioranza degli abitanti di Raqqa è araba e non vede di buon occhio i soldati curdi addestrati dagli Stati Uniti. Un attivista di Raqqa ha detto al Wall Street Journal che lo Stato Islamico sta usando le tensioni tra arabi e curdi per guadagnare popolarità e screditare l’operazione militare cominciata nel nord di Raqqa.

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the situation in Syria as of 16/05/2016

Fino a non molto tempo fa erano gli stessi combattenti curdi a escludere di attaccare lo Stato Islamico in territori non abitati da curdi. Il rischio che l’attacco a Raqqa si trasformi in una battaglia complicata, lunga e violenta è molto alto, e al momento non sembra che il rapporto costi-benefici possa essere vantaggioso per i curdi. Gli stessi Stati Uniti sono stati molto prudenti a fare promesse ai curdi, per esempio sull’eterna questione della creazione di uno stato curdo. L’ostacolo più grande è la posizione della Turchia, che a sua volta è alleata degli Stati Uniti e dell’UE, e membro della NATO: il governo turco si oppone alla creazione di uno stato curdo vicino ai suoi confini e negli ultimi mesi ha attaccato i curdi sia nel nord dell’Iraq che nel nord della Siria.
Se gli Stati Uniti dovessero appoggiare una qualche rivendicazione di maggiore autonomia dei curdi siriani – molto legati al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK, il partito curdo che opera nel sud della Turchia e che è il nemico numero uno del governo turco) – i rapporti tra gli americani e la Turchia potrebbero danneggiarsi in maniera significativa. Per dire qual è il livello dello scontro: venerdì il governo turco ha reagito con parole molto dure ad alcune foto che mostrano alcuni soldati americani delle forze speciali indossare delle giacche con sulle spalle il simbolo dell’YPG, la milizia curda siriana che sta combattendo contro lo Stato Islamico: «È una cosa impossibile da accettare», ha detto il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu.
E quindi si può battere lo Stato Islamico?
Al di là di tutte le difficoltà e divisioni nello schieramento di forze che combatte lo Stato Islamico, qualcosa è cambiato rispetto a un anno fa. Lo Stato Islamico sembra effettivamente più debole, da tempo non ha più la forza per conquistare nuovi territori e in molti casi nemmeno quella per difendersi. Uno degli indizi che sembrano suggerire una crisi rilevante del gruppo è l’aumento del numero di attentati compiuti negli ultimi mesi: diversi analisti hanno scritto che lo Stato Islamico – non avendo le risorse per fare altro – è tornato a colpire i nemici con gli attacchi terroristici, una tattica che aveva usato ampiamente prima di stabilire uno stato su cui governare.
Eric Schmitt, giornalista esperto di terrorismo e Medio Oriente, ha scritto sul New York Times che negli ultimi due anni sono cambiati anche gli attacchi aerei americani contro obiettivi dello Stato Islamico in Iraq e in Siria: «i militari dicono di avere rimediato alle poche informazioni raccolte dall’intelligence e al goffo processo usato per identificare gli obiettivi» della campagna aerea. Oggi gli Stati Uniti sono diventati più efficaci e precisi rispetto ai primi mesi di guerra. Gli attacchi vengono diretti soprattutto contro le infrastrutture petrolifere dello Stato Islamico, una delle fonti di profitto più importanti del gruppo. Sono anche più spregiudicati, perché mirano a obiettivi che si trovano ben al di là dei fronte di battaglia e che prima erano evitati per non rischiare di colpire i civili. Nonostante questo nuovo approccio sia stato criticato da diverse organizzazioni, finora si è dimostrato utile per indebolire lo Stato Islamico: «ha danneggiato la sua abilità di pagare i combattenti, di governare e di attrarre nuove reclute», hanno detto alcune fonti americane militari citate da Schmitt.
Oggi lo Stato Islamico non si trova in difficoltà solo per le pressioni militari ai confini del territorio che controlla, ma anche per le pressioni interne dovute a grosse difficoltà economiche. È difficile dire quanto sarà necessario per sconfiggere lo Stato Islamico: diversi analisti dicono che ci vorrà ancora molto tempo, ma sembra un processo a questo punto inevitabile. Il problema rimane cosa fare dopo dei territori riconquistati, per evitare che si creino di nuovo le divisioni e le tensioni che hanno contribuito in prima istanza alla crescita del gruppo.

615.-FRANCESI IN PIAZZA CONTRO LA RIFORMA DEL LAVORO.

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In una vignetta pubblicata in questi giorni dal quotidiano svizzero Le Temps il bravo disegnatore Chappatte rappresenta il presidente François Hollande e il generale De Gaulle davanti a una finestra aperta su una folla inferocita. “C’è una sola cosa da fare in Francia: abolire il mese di maggio”, suggerisce il generale, il cui potere fu parecchio scosso dalle manifestazioni studentesche del maggio 1968.

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Anche la protesta contro la riforma del lavoro dell’attuale governo, scoppiata a marzo di quest’anno, ha raggiunto l’apice negli ultimi giorni. Dal 23 maggio scioperano i lavoratori delle raffinerie: il blocco degli impianti ha spinto gli automobilisti a prendere d’assalto i benzinai, ha costretto il governo a mettere mano alle riserve strategiche di carburante e a forzare i picchetti che mantenevano chiuse due strutture sulle otto attive nel paese. Il 25 maggio si sono aggiunti i ferrovieri e il 26 il settore dell’energia nucleare, tanto che 16 delle 19 centrali francesi per un giorno rallentano la loro produzione di elettricità. Nello stesso giorno sono previsti cortei nella capitale e in altre città, uno sciopero dei lavoratori dei porti e dei dock di Le Havre e di Marsiglia e il blocco di alcune strade.

La Confederazione generale del lavoro (Cgt, vicina al Partito comunista), il principale sindacato che si oppone alla riforma, ha evocato anche la possibilità di turbare lo svolgimento dei campionati europei di calcio, che cominciano il 10 giugno.

Lo scontro si è inasprito dopo che il governo ha fatto adottare il disegno di legge all’Assemblea nazionale usando un articolo della costituzione che permette di saltare il voto dei deputati. La mozione di sfiducia presentata dall’opposizione per bloccare il progetto è stata respinta. Il testo, così approvato dalla camera, è ora all’esame del senato.

Eppure, spiega Sandrine Foulon, specializzata in questioni sociali ad Alternatives économiques, “non si può dire che il mese di maggio sia propizio alle proteste: quelle del 1995 contro la riforma del welfare ebbero luogo a dicembre”. Detto questo, aggiunge, “siamo molto lontani dallo sciopero generale che paralizzò il paese all’epoca. I due casi non sono paragonabili, anche perché quella del 1995 fu l’ultima grande riforma sociale globale lanciata da un governo in Francia”.

174438933-f3604172-7ab7-4bb8-aa89-81ef9483fa07Le proteste che puntualmente accompagnano le proposte di riforma (o di modernizzazione, come amano a dire i loro fautori) non significano però che, come sostengono alcuni osservatori, la Francia sia irriformabile. Sandrine Foulon ricorda che “se si va a guardare l’indice Labref, che recensisce le riforme in materia sociale nell’Unione europea, la Francia ha riformato parecchio – si pensi solo alla riforma delle pensioni, della disoccupazione o dell’orario di lavoro. Il problema semmai è che adesso le riforme si fanno a piccoli passi: per esempio prendendo delle misure molto tecniche. Siccome nessuno ne capisce bene la portata, vengono approvate senza troppi intoppi, ma poi dispiegano i loro effetti molti anni dopo. Magari sono riforme modeste, ma hanno un vero impatto sulla vita della gente. Oggi la Francia non ha nulla da invidiare a certi paesi in materia di flessibilità del lavoro: ci sono 38 tipi di contratti di lavoro diversi!”.

Quello che spinge i francesi a scendere in piazza è il sentimento che le riforme successive hanno progressivamente smantellato i diritti acquisiti e conquistati nel tempo. Una tendenza che secondo Foulon “è cominciata alla fine degli anni ottanta, quando, per lottare contro la disoccupazione strutturale di massa, tutti i governi hanno cominciato ad applicare le raccomandazioni del Fondo monetario internazionale e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (Ocse), che prevedevano grandi riforme strutturali del welfare. La Francia ha fatto la sua parte e non ha risparmiato nessun settore, dalla flessibilità alla durata dell’orario di lavoro, dalle pensioni alla disoccupazione. Dagli anni novanta abbiamo assistito quindi a un progressivo smantellamento delle conquiste sociali, da governi sia di destra sia di sinistra”.

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Ma allora perché la riforma attuale, proposta dalla ministra del lavoro Myriam el Khomri, ha scatenato l’ira dei sindacati – o almeno di alcuni di essi – e spinto decine di migliaia di persone a manifestare? La specialista di Alternatives économiques risponde sicura: “Questa riforma è molto più incisiva e potenzialmente pericolosa, nella misura in cui abolisce alcune garanzie, introducendo nuove eccezioni al diritto del lavoro, in particolare in materia di orario di lavoro, di straordinario e di licenziamenti. Non è detto che le imprese le sfruttino, ma se lo facessero, potrebbero dar luogo a una forma di dumping sociale fra imprese dello stesso settore, a scapito dei lavoratori”.

E proprio la protezione dei lavoratori – di quelli con contratti regolari – è una delle ragioni per cui la disoccupazione è così stabilmente alta in Francia (il 10 per cento della popolazione attiva, malgrado un recente calo): “Si è preferito proteggere la qualità dei contratti di lavoro rispetto alla loro quantità, e i part-time sono molto meno numerosi che in altri paesi, come in Germania o nei Paesi Bassi – per non parlare del Regno Unito”, aggiunge Foulon.

Secondo la giornalista, il disegno di legge El Khomri ha segnato una rottura tra gli elettori di sinistra e il governo del socialista Manuel Valls: “È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Prima c’è stata la questione della revoca della cittadinanza per i terroristi, poi questa legge fatta senza concertazione, una pessima abitudine dei governi francesi”.

Il movimento Notte in piedi, nato sull’onda delle prime proteste contro la riforma, “è frutto di questa assenza di dialogo fra le autorità e i cittadini, che hanno l’impressione di non essere ascoltati. Pensi che in Svezia hanno impiegato 14 anni per giungere a un’intesa sulla riforma delle pensioni! In Francia il governo agisce nell’emergenza e senza discutere con le parti sociali. La legge El Khomri non era nemmeno nel programma di Hollande”.

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I sindacati da parte loro sono spaccati: alcuni si sono schierati a favore della legge in nome del realismo e altri, guidati dalla Cgt, chiedono il ritiro della legge. Lo scontro con il governo dovrebbe inasprirsi, poiché, sottolinea Le Monde, il premier Manuel Valls “è condannato a seguire l’attuale linea della fermezza per non prestare il fianco all’accusa di lassismo da parte dell’opposizione” o a quella di non essere in grado di riformare il paese che potrebbe arrivare da parte dei suoi – ormai sempre meno numerosi – sostenitori.
Gian-Paolo Accardo, giornalista

 

614.-UNA DOMANDA AL GIORNO ALL’AVV. MARCO MORI

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L’art. 243 codice penale punisce: “Chiunque tiene intelligenze con lo straniero affinché uno Stato estero muova guerra o compia atti di ostilità contro lo Stato italiano, ovvero commette altri fatti diretti allo stesso scopo, è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni. Se la guerra segue, si applica la pena di morte; se le ostilità si verificano, si applica l’ergastolo”. Ritieni che qualche Politico, Parlamentare e/o Governante in genere abbia compiuto atti di ostilità punibili in base all’art 243 c.p. e se “si” quali sono questi atti e soprattutto da chi sono stati commessi?

Risposta:
L’art 243 c.p. è una disposizione normativa che mira a tutelare l’interesse del mantenimento della pace e dell’esclusione, nello svolgimento delle relazioni internazionali, di interferenze da parte di soggetti non autorizzati, conniventi con lo straniero, capaci di compromettere i rapporti e la pacifica convivenza tra i popoli.
Il verificarsi dell’evento bellico non è elemento necessariamente richiesto per la consumazione del reato in parola per il quale è sufficiente l’avvenuta intelligenza con lo straniero a tale fine o a quello di compiere anche altri atti altrimenti ostili alla nazione.
Tenere “intelligenze” significa semplicemente stringere un accordo con lo straniero, accordo che ai fini del reato in parola può anche essere assolutamente palese e non già occulto. La stipula di un trattato è pacificamente un atto d’intelligenza con lo straniero.
La qualificazione giuridica meno immediata è invece quella che definisce appunto il concetto di “atto ostile”.
Atti di ostilità sono tutte le azioni d’inimicizia diverse dalla guerra stessa che risultino dannose degli interessi del paese anche qualora non coercitivi o non violenti.
L’ordinamento democratico della Repubblica Italiana si basa ovviamente sulla nostra Costituzione che all’articolo 1 attribuisce espressamente la sovranità al popolo. Tale passaggio costituisce l’essenza di una democrazia nel senso proprio del termine.
Un atto d’intelligenza con lo straniero che comporta la sottrazione della sovranità e dell’indipendenza nazionale in violazione degli artt. 1 e 11 Cost. deve necessariamente qualificarsi come “atto ostile” a quel bene giuridico che si può definire personalità dello Stato Italiano.
Non vi è infatti azione più ostile nei confronti di una nazione di quella diretta a cancellarne la sovranità o a menomarne l’indipendenza. Ogni evento bellico è per sua definizione il tentativo di sottomettere un altro Stato menomandone proprio la sua sovranità e la sua indipendenza.

Oggi la compromissione dell’indipendenza e della sovranità nazionale non avviene dunque con i carri armati ma con i vincoli di bilancio imposti con i trattati che spogliano la nazione di qualsivoglia capacità giuridica in materia politica ed economica.

La cessione di sovranità dell’Italia in favore dell’Europa rappresenta indiscutibilmente la fine dell’Italia quale nazione libera ed indipendente, ciò è esattamente quello che accadrebbe in caso di occupazione militare del paese. Pertanto siamo in presenza di un atto oggettivamente ostile alla personalità dello Stato.
Laddove la cessione della sovranità avviene oltre i limiti del dettato Costituzionale, anche se si è in assenza di violenza, ricorre la piena punibilità ex art. 243 c.p.
Atto ostile è pertanto semplicemente ciò che contrasta con la personalità dello Stato.
Se si parla di interessi nazionali la valutazione dovrà quindi essere esclusivamente giuridica e non di mera opportunità. Anche se si ritenesse che la cancellazione dell’Italia come Stato possa essere atto compiuto nell’interesse del popolo italiano stesso ciò non toglierebbe la qualifica di atto ostile ad un trattato che disponga suddetta cancellazione.
Ergo il carattere ostile di un atto è in re ipsa nella cessione di sovranità compiuta in violazione di principi fondamentali della nostra costituzione indipendentemente dal fatto che si possa pensare o meno che tale cessione migliorerà la qualità della vita nel nostro paese.

Dunque i discorsi come quelli di Mario Monti, di Giorgio Napolitano, di Mario Draghi e Matteo Renzi , ove si enfatizza il disegno criminoso di “cedere” (dichiarano apertamente che non si tratta di limiti!) la sovranità nazionale in favore dell’Europa dei mercati non fa altro che evidenziare indiscutibilmente l’elemento psicologico del reato in parola.

Il fatto che gli ultimi tre Presidenti del Consiglio imposti dagli stranieri sponsorizzino la fine dell’Italia quale nazione sovrana ed indipendente è per evidenza logica un atto ostile all’Italia stessa posto che la perdita della sovranità comporta la fine del paese quale nazione e la conseguente perdita della personalità giuridica.

In merito all’elemento psicologico per la consumazione del reato non rileva che il soggetto agente voglia il male della popolazione italiana ma unicamente che il soggetto agente abbia il dolo specifico di compiere un atto ostile alla sopravvivenza della nazione Italia quale entità indipendente e sovrana dotata di propria personalità giuridica.

613.- IL NO ALLA RIFORMA COSTITUZIONALE

Questa è una controriforma varata dalla classe politica per rafforzarsi come Casta. Che, invece di sopprimere il Senato (come va dicendo Renzi mentendo sapendo di mentire), ci regala un neo-Senato composto da membri non scelti dai cittadini ma “nominati” all’interno della peggiore classe politica del paese, quella degli amministratori regionali e locali, a cui – grande novità – si garantisce l’immunità parlamentare.

Questa è una controriforma che accentra tutto il potere nelle mani di una sola persona.

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LE PRINCIPALI RAGIONI DEL NO AL REFERENDUM CONFERMATIVO

  •  REVISIONE COSTITUZIONALE avvenuta per mano di un PARLAMENTO (XVIIesima Legislatura) ELETTO CON LEGGE ELETTORALE (porcellum) DICHIARATA INCOSTITUZIONALE. Cosa vuol dire? A) tutti i deputati e i senatori che hanno redatto, discusso, emendato e approvato la riforma sono stati NOMINATI dalle segreterie di partito e non scelti direttamente dal popolo; B) la riforma è stata approvata grazie ad un numero di voti necessari e sufficienti provenienti da parlamentari eletti per effetto di un PREMIO DI MAGGIORANZA DICHIARATO INCOSTITUZIONALE (nella parte in cui la legge non prevedeva una soglia minima di voti oltre la quale far scattare il premio – Vedesi, nello specifico, la Sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014);
  •  La riforma TRADISCE LE INTENZIONI DEI PADRI COSTITUENTI in materia di revisione costituzionale (art. 138 Cost.): i Padri Costituenti previdero la MAGGIORANZA ASSOLUTA IN SECONDA VOTAZIONE in una cornice ELETTORALE con SISTEMA PROPORZIONALE PURO (tanti seggi quanti sono i voti ottenuti in percentuale)! Questa riforma è stata approvata, anche in seconda deliberazione, grazie ad un numero di voti provenienti da parlamentari eletti con legge elettorale maggioritaria (porcellum) che NON prevedeva il proporzionale puro bensì l’assegnazione di un PREMIO DI MAGGIORANZA alla lista o coalizione che otteneva più voti (meccanismo, ut supra, DICHIARATO INCOSTITUZIONALE);
  •  RAPPORTO RIFORMA COSTITUZIONALE-ITALICUM: la nuova legge elettorale per l’elezione della Camera dei deputati prevede l’ASSEGNAZIONE DEL PREMIO DI MAGGIORANZA ALLA LISTA (e NON alla coalizione) che ottiene almeno il 40% dei voti, salvo prevedere un secondo turno di ballottaggio tra le prime due liste più votate qualora nessuna ottenesse al primo turno la predetta affermazione (con assegnazione, in entrambi i casi, di ben 340 seggi alla LISTA vincente). In un quadro istituzionale tendenzialmente monocamerale si rischia la DITTATURA DELLA MAGGIORANZA MONO-LISTA (e forse anche MONO-COLORE), alla quale è strettamente collegata la figura del Presidente del Consiglio dei ministri. Con l’aggravante che tale maggioranza mono-lista altro non sarà che una lista minoritaria divenuta maggioritaria per effetto del premio di maggioranza. Inoltre, pur mantenendo (formalmente) la forma di governo parlamentare, il combinato disposto riforma costituzionale-Italicum spalanca le porte (nella sostanza) ad un “premierato di fatto” (privo di idonei contrappesi);
  •  RISCHIO DI ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA da parte della sola LISTA assegnataria del PREMIO DI MAGGIORANZA: dalla settima votazione in avanti, qualora una PARTE DELLE OPPOSIZIONI NON PARTECIPASSE AL VOTO, il Capo dello Stato potrebbe essere espressione della sola MONO-LISTA premiale (si consideri l’esempio che la maggioranza camerale e quella senatoriale appartengano alla medesima lista), e ciò inciderebbe pesantemente sul sistema di garanzie costituzionali (ASSENZA DI PESI E CONTRAPPESI). Esempio pratico: il plenum per l’elezione del Capo dello Stato è dato da 630 deputati + 100 senatori = 730 (quantomeno in teoria). Se in una qualsiasi votazione successiva alla sesta i votanti fossero ad esempio 650 (perché una parte delle opposizioni decide, per i più svariati motivi, di non partecipare al voto), il Presidente della Repubblica risulterebbe eletto con appena 390 voti (su 650 votanti del presente esempio), cioè con i 3/5 dei votanti previsti dalla riforma a partire dalla settima votazione in avanti (340 deputati della lista vincente assegnataria del premio + 51 senatori del medesimo colore politico della lista premiale della Camera = 391)!
  •  Il nuovo SENATO non sarà eletto direttamente dal popolo, eppure ad esso è stata attribuita – in un quadro residuo di bicameralismo perfetto – la funzione di REVISIONE COSTITUZIONALE;
  •  Il nuovo ISTITUTO DEL “VOTO A DATA CERTA” – nella cornice istituzionale rappresentata dal combinato disposto riforma costituzionale-Italicum – inciderà ancor più negativamente sui democratici equilibri tra Parlamento e Governo;
  •  I “riformatori” non hanno provveduto alla necessaria abrogazione del vincolo del pareggio di bilancio, vigliaccamente inserito in Costituzione nel 2012 (Legge costituzionale n. 1/2012);
  •  Questa riforma soddisfa soprattutto le antidemocratiche esigenze dell’U.E. e dei mercati.
  • SUPERAMENTO (parziale) DEL BICAMERALISMO PARITARIO E INTRODUZIONE DEL BICAMERALISMO DIFFERENZIATO: FUNZIONE LEGISLATIVA ASSEGNATA ALLA SOLA CAMERA DEI DEPUTATI (composta sempre da 630 membri), FATTA ECCEZIONE PER ALCUNE MATERIE IN CUI RESTA SALVO IL BICAMERALISMO PERFETTO (ad esempio in materia di REVISIONE COSTITUZIONALE). La CAMERA dei deputati sarà la sola a votare/revocare la FIDUCIA al Governo;
  • Il SENATO NON ESERCITERA’ PIU’ LA FUNZIONE LEGISLATIVA (fatta eccezione per i casi di residualità del bicameralismo paritario) E NON VOTERA’ PIU’ LA FIDUCIA AL GOVERNO! RAPPRESENTERA’ LE ISTITUZIONI TERRITORIALI E SVOLGERA’ FUNZIONI DI RACCORDO TRA LO STATO E GLI ALTRI ENTI COSTITUTIVI DELLA REPUBBLICA, OLTRE CHE TRA STATO, GLI ALTRI ENTI COSTITUTIVI DELLA REPUBBLICA E L’UNIONE

EUROPEA. Il nuovo SENATO (cosiddetto “Senato dei 100”) sarà in realtà a “composizione variabile”: 74 consiglieri regionali e 21 sindaci (eletti con sistema di secondo livello, vale a dire dai Consigli regionali in conformità alle scelte espresse dagli elettori in occasione del rinnovo dei medesimi organi e secondo determinate modalità stabilite da una legge ad hoc), più altri 5 membri che potranno essere nominati dal Presidente della Repubblica (questi ultimi saranno nominati sulla base dei medesimi criteri attualmente previsti per la nomina presidenziale dei senatori a vita, ma rimarranno in carica solo per sette anni e non potranno essere rinominati), oltre agli ex Presidenti della Repubblica (che rimarranno senatori a vita) ed ulteriori senatori a vita già in carica al momento dell’entrata in vigore della riforma. I senatori NON PERCEPIRANNO alcuna INDENNITA’ AGGIUNTIVA ma godranno delle medesime IMMUNITA’ previste per i deputati. La Camera eleggerà 3 giudici della Corte Costituzionale, mentre il Senato 2;

  • MECCANISMO FUNZIONE LEGISLATIVA (in linea generale): ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati dovrà essere immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, potrà disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato potrà deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncerà in via definitiva (potrà discostarsene a maggioranza semplice). Qualora il Senato non disponesse di procedere all’esame o dovesse inutilmente decorrere il termine per deliberare, ovvero nel caso la Camera dei deputati si pronunciasse in via definitiva, la legge potrà essere promulgata (a tale procedimento sono previste alcune varianti e particolarità);
  • ELEZIONE del PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: il Capo dello Stato continuerà ad essere eletto dal Parlamento, cioè da Camera e Senato in seduta comune (senza delegati regionali).Maggioranze richieste: 2/3 dei componenti nelle prime tre votazioni; 3/5 dei componenti dalla quarta alla sesta votazione; 3/5 dei votanti dalla settima votazione in avanti;
  • SOPPRESSIONE DEL CNEL e CANCELLAZIONE di ogni riferimento costituzionale alle PROVINCIE;
  • AUTORIZZAZIONE ALLA RATIFICA DEI TRATTATI INTERNAZIONALI di competenza

della sola Camera dei deputati, mentre i TRATTATI che riguardano l’appartenenza dell’Italia all’UE resteranno di competenza di entrambe le Camere;

  • INTRODUZIONE DELL’ISTITUTO DEL “VOTO A DATA CERTA” [fatta eccezione per alcune materie, il Governo potrà chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione (termine differibile di non oltre quindici giorni e solo in determinati casi)];
  • Riforma del Titolo V della Parte Seconda con introduzione della “clausola di supremazia” e di una particolare forma di REGIONALISMO DIFFERENZIATO;
  • RICORSO PREVENTIVO DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE sulle LEGGI ELETTORALI e significative MODIFICHE ALLA DISCIPLINA DEI REFERENDUM.

 

612.-“La UE non vi fa’ uscire dalla crisi. Uscite dalla UE!”

Maurizio Blondet : “L’Italia è fottuta, se Renzi non esce dall’euro”. Mentre le sinistre italiane celebrano l’ultimo trionfo della loro ideologia fallimentare e degressiva, le “Nozze gay”, sul Telegraph Ambrose Evans-Pritchard (il miglior giornalista economico d’Europa) fa’ la diagnosi della nostra agonia. Anche se molti elementi sono noti, la limpida organizzazione li rende spaventosi.

Dopo sette anni di (relativa) espansione globale, solo l’Italia resta intrappolata nella trappola debito-deflazione e in una crisi bancaria “che non può combattere dentro le stretture paralizzanti dell’unione monetaria”. Ora “sta finendo il tempo concessole”: l’artificiale ripresa mondiale gonfiata dalla Federal Reserve e dal boom creditizio cinese è alla fine. E anche l’effetto del triplice stimolo dovuto al petrolio incredibilmente a buon prezzo, l’euro debole e la polverina magica di Draghi (che compra i titoli di debito col denaro creato dal nulla) sta svanendo prima che il paese sia sfuggito dalla trappola della stagnazione.

Le stupide norme europee – che i nostri governi hanno firmato, pensando con furbizia italiota di aggirarle, e i tedeschi avrebbero chiuso un occhio – ci impongono di “rientrare” dal nostro debito pubblico, ridurlo dal 120% al 60 per cento del Pil, al ritmo di tagli del 3,6% de debito sul Pil. Il che si può fare – eccome no? – a patto di mantenere per vent’anni un bilancio in attivo, da dedicare al ri-pagamento del debito, e un attivo tanto grande da coprire quel 3,6.

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Un surplus che la recessione divenuta depressione e adesso deflazione, rende matematicamente impossibile. Infatti solo un po’ d’inflazione (con un po’ di crescita) può ridurre non la misura assoluta del debito (che resterà colossale), bensì il “rapporto debito-Pil”; facendo aumentare in termini monetari il Pil, rispetto al quale il debito sembra minore. Tutti gli anni i governi italioti hanno scritto nei loro bilanci di previsione una ottimistica riduzione del rapporto. Ogni anno hanno fallito. “Il debito è stato il 121% del Pil nel 2011, 123 nel 2012, 129% nel 2013. Nel 2014, 132,7%”. Per effetto meccanico della deflazione e per le austerità imposte dall’Europa.

Questi dati, in un paese serio, avrebbero portato da tempo al cambio di classe dirigente. Invece la nostra celebra il suo trionfo dei “diritti civili”, con le facce delll Cirinnà e Boldrini. Tagli dopo tagli (dei servizi pubblici, non dei loro stipendi), austerità dopo austerità (non per lorsignori), supertassazione dopo supertassazione (a carico dei produttori) non sono servite nemmeno a fa declinare questo rapporto. Il Fmi prevede per noi una crescita dell’1 per cento, già ottimistica. Lontanissima dal 3,6 necessario.

Ed ora, sta arrivando un’altra recessione globale. In che condizione ci arriviamo? Il giornalista ita il governatore i Bankitalia, Vincenzo Visco : “Abbiamo perso 9 punti percentuali di Pil e un quarto della nostra produzione industriale”. Lui, Visco, ha presieduto la banca centrale con uno stipendio colossale, assistendo a questa distruzione, e solo adesso se ne accorge? In un paese normale, sarebbe stato da tempo fucilato alla schiena.

Entriamo nella recessione 2.0 con le risorse produttive crollate, un sistema bancario fallito governato da ladri e truffatori, e senza aver fatto “le riforme”, le sole che contano: quelle razionalizzazioni e snellimenti che obbligano il settore pubblico a lavorare per la nazione, non contro di essa, come parassiti succhia-sangue. “L’Italia è enormemente vulnerabile”, dice Simon Tilford del Centre for European Reform. “E il governo non ha munizioni per scongiurare la recessione” , o il nuovo collasso. In questo tempo l’Italia ha perso il 30 per cento di competitività sul costo del lavoro contro a Germania, e la sua produttività è collassata del 5.9 per cento dal 2000. Perché? Logico: perché abbiamo adottato la moneta tedesca senza diventare noi stesi antropologicamente dei tedeschi. Specie la “classe dirigente” e l’apparato di pubblico parassitismo ha sgavazzato nelle sue inefficienze, senza il minimo sforzo di ridurle.

Mettiamo qui i puntini sulle i:

La produttività del lavoro è rimasta altissima, persino superiore a quella tedesca, in certi settori produttivi (del Nord). Benissimo, sono quelli che la sanguisuga pubblica ha più penalizzato ipertassandoli, facendogli mancare le infrastrutture, trattandoli da “evasori” e quindi assoggettandoli a un controllo asfissiante e sospettoso, da potenza occupante straniera – tutte cose che si sono tradotte in costi inutili e dunque “perdita di competitività del lavoro”.

Non basta: questi signori hanno accettato senza discutere (forse senza capire) la “ricetta” impostaci da Berlino e Bruxelles: la “svalutazione interna”. Capite cosa significa? Invece della svalutazione esterna (della moneta) hanno svalutato i nostri lavoratori del settore privato (ossia produttivo) , costretti a tagli dei salari, ormai da fame. Loro, tagli dei salari, nessuno…

“Cercare di guadagnare competitività con la svalutazione interna [tagli salariali ai privati] non fa’ che invelenire la dinamica del debito e perpetuare la depressione. Il risultato è l’implosione industriale”, che in Italia “è sotto i nostri occhi”.

Uno degli effetti è che le banche italiani sono strapiene di crediti andati a male, su cui i debitori non pagano più gli interessi. 360 miliardi, il 19 per cento del bilancio del sistema bancario. Il peggiore dei G-20, forse più di quello della Cina (che però è la prima manifattura mondiale, mentre noi abbiamo de-industrializzato). Attenzione: parte di questo orrore è dovuto ai furbastri come topi nel formaggio siedono nei cda delle banche, che davano prestiti agli amici o a sé stessi. Ma se pensate, come strillano i media e le sinistre più a sinistra, che è stato “il papà della Boschi” e quindi tutto si risolve chiedendo “le dimissioni della Boschi”, siete ancora prigionieri della demenza italiota, nella sua eterna lite di condominio sragionante.

Il problema è alquanto più grave. “E’ normale avere nel sistema bancario un’alta quota di crediti andati a male, dopo tanti anni di una recessione così profonda”, dice infatti Lorenzo Codogno, già economista al Tesoro ed oggi alla London School of Economics. La Banca Centrale Europea peggiora la situazione, “insistendo ad esigere” dalle banche malandate che accantonino sempre maggiori riserve. “Non dovrebbe farlo, perché non fa che aggravare la instabilità”.

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Ma lo ordinano le regole europee. Come le norme europee sul bail-in (che pure il nostro governo e il nostro Visco hanno firmato!) son quelle che impediscono alle banche di cancellare dai loro libri contabili i crediti peggiori, quelli cadaverici, che ammontano a 83,6 miliardi: perché se lo fanno sono forzate dall’Europa a ricapitalizzazioni forzate – in tempi dove i capitali sono scomparsi – e tagliare i creditori , come hanno visto i depositanti di Banca Etruria e Montepaschi.

“Le norme sul bail-in sono fonte di gravi rischi di liquidità e di instabilità finanziaria” ha dichiarato Visco, quasi non fosse stato lui ad accettarle, e dovrebbero essere riviste prima di innescare una corsa agli sportelli de sistema bancario italiota (corsa che pare già avvenuta, con emorragie di capitali fuggenti all’estero). E questo per quanto riguarda le colpe dei nostri cosiddetti dirigenti, la cui incompetenza dovrebbe essere punita.

Ma le colpe europee sono ancor peggiori. In questo frangente, invece di dare una mano, Bruxelles, Francoforte e Berlino si intromettono e ostacolano tutte le soluzioni che il governo renzicchio (o il governicchio Renzi) prova per uscirne. La soluzione anglosassone, la bad bank in cui accumulare i cediti andati a mal, è stata bocciata perché contro le regole europee; la BCE insiste chiedere le ricapitalizzazioni, che impediscono alle banche di alleggerirsi dei crediti defunti; han consentito al fondo Atlante, un ibrido quasi bad-bank, forzando le banche relativamente sane e le assicurazioni a cacciare 4,25 miliardi per “salvare” le banche fallite. Salvataggio, va’ dal saccheggio dei fondi-avvoltoio che già fanno i giri attorno a Unicredit e alle altre, e comprerebbero per un euro il monte-risparmi degli italiani, le centinaia di miliardi che tanto da sempre fa’ gola alla finanza globale. La “soluzione” Atlante, permessa dall’Europa, non farà che trascinare nel panano le banche relativamente più sane, aggravando la crisi sistemica. E qui “il papà della Boschi” non è il problema.

Il problema è il sistema monetario europeo. Che funziona a senso unico (come vuole Berlino): “I paesi devono obbedire ad una plétora di regole e regolazioni – ma quando la crisi colpisce uno dei paesi, non gli arriva alcuna solidarietà, alcun aiuto”. Non c’è alcun vantaggio né beneficio ad attenersi alle regole. Allora perché restare nell’euro? Se ad obbedire ci si perde, e non si ottiene nessun soccorso dalla solidarietà monetaria europea (inesistente).

Evans- Pritchard dice che alcuni industriali italiani (“poteri forti”, in italiano nel testo) gli hanno sussurrato che il ritorno alla lira non sarebbe poi un gran male. Meglio tardi che mi, “poteri forti” de miei stivali. Il 48 per cento degli italiani c’è arrivato prima di voi, è già disposto ad uscire dal modo scorsoio chiamato euro. Il punto è che forse è tardi. Salvini e Grillo ci sono arrivati, ed hanno dietro due grossi partiti. Forse perfino il governo Renzi e il PD può decidere, alla fine, per salvare se stesso, di uscire dall’euro, spera il giornalista britannico.

Ma forse è troppo tardi. Abbiamo aspettato troppo, addormentati da Monti, dai Bersani, dai Visco e da Padoan.

Svalutare farà bene, se poi l’industria lavora a pieno ritmo; ma quale industria? È stata stroncata al 25%. E le competenze dei lavoratori da rimettere al lavoro con salari in lire, ci sono ancora, dopo dieci anni di desertificazione?

Il tasso di disoccupazione uficiale,11,4 per cento, non inganni: bisogna aggiungerci l’altro 12 per cento degli scoraggiati che non cercano più lavoro,” Il triplo della media UE. Vogliamo quindi dire la verità? Un buon 23 per cento sono fuori dal lavoro da troppi anni per riprendere in pieno.

E i giovani? La disoccupazione giovanile è 65% in Calabria, 56% in Sicily, and 53% in Campania” – queste regioni modello, dove i governi locali si pagano così tanto e sprecano così bene in combutta con la rispettive camorre – , “nonostante centomila all’anno se ne vadano dal Mezzogiorno, e il tasso di natalità nei territori che furono dei Borboni è il più basso dal 1862, da quando il Regno delle Due Sicilie ha cominciato a raccogliere le statistiche. La pauperizzazione è al livello della Grecia, la produzione industriale è crollata del 35 per cento e gli investimenti del 59% rispetto al 2008”. Insomma il Sud è gi probabilmente avvitato in quel giro della morte che porta da una crisi ciclica ad uno stato di sottosviluppo permanente. L’Africa è il vostro traguardo, meridionali. E temo che la cosa nemmeno vi dispiaccia. Gli studenti (chiamiamoli così) della scuola pubblica italiana (chiamiamola scuola) si stanno rifiutando di sottoporsi ai test INVALSI: naturalmente istigati dai loro insegnanti, perché i test INVALSI provano la loro incompetenza come docenti. Ovviamente sono “de sinistra” gli insegnanti anti-INVALSI, gli studenti, e la stampa che li sostiene, in prima linea Il Manifesto. E’ la protesta dei fancazzisti che si vogliono far mantenere. E la chiamano la Sinistra.

POST SCRIPTUM. ( Però in compenso la sinistra vi ha dato di sposare il vostro drudo e lasciargli la pensione di reversibilità, se vi piace a tal punto prenderlo nel kulo. Ma non vi basta ancora?)

 

611.-LE RIFORME DI RENZI: DALLA P2 DI GELLI, alle banche USA, JP Morgan e UBS.

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Riforme:

Tutto parte dal Piano di rinascita democratica di Licio Gelli. Tutto parte da un report JP Morgan. Tutto parte da un altro report della banca UBS. Tutto parte dalla necessità di “espropriare” gli Enti Locali dei servizi locali (acqua, luce, gas e trasporti).
Ordinamento del Parlamento
I. Nuove leggi elettorali, per la Camera, di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco) […] e, per il Senato, di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali, […]
II. Modifica della Costituzione per dare alla Camera preminenza politica (nomina del Primo Ministro) ed al Senato preponderanza economica (esame del bilancio)

La citazione qui sopra non è tratta dalla relazione programmatica di Renzi, ma dal “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli.

Napolitano, Renzi, Boschi e Verdini non hanno quindi inventato niente che non fosse già nel programma P2.

Il “Piano” è ormai del tutto realizzato ma la riforma costituzionale, quella virata effettiva e definitiva verso l’autoritarismo ancora non decollava e le banche hanno lanciato l’ultimatum:

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Documento J.P. Morgan del 28 Maggio 2013 (pagg 12-13)

I sistemi politici sud europei sono stati costituiti in seguito a dittature e sono improntati a quelle esperienze. Le Costituzioni tendono a mostrare eccessive influenze socialiste, riflettendo la forza politica che i partiti di sinistra hanno guadagnato dopo il fallimento del fascismo. I sistemi politici del sud Europa mostrano diverse problemi: governi deboli, stati centrali deboli rispetto alle regioni, tutele costituzionali dei diritti del lavoro, sistema di costruzione del consenso che nasconde clientelismo politico e il diritto di protestare se vengono attuate modifiche sgradite. I difetti di questo retaggio politico sono stati rivelati dalla crisi. I Paesi del sud Europa hanno conseguito limitati successi nella realizzazione delle agende fiscali e delle riforme economiche, con governi costretti dalle Costituzioni (Portogallo), Regioni potenti (Spagna) e sorgere di partiti populisti (Italia e Grecia).
[…]
Il test fondamentale dell’anno sarà in Italia, dove il nuovo governo ha chiaramente l’opportunità di impegnarsi in riforme politiche significative. Ma il processo delle riforme politiche è solo iniziato.

JP Morgan esige regimi autoritari in Europa, venne scritto.

Siccome il colpo di Stato non è più reato se non condotto con le armi1, l’emerito (Presidente, ovviamente) Giorgio Napolitano il democratico obbedì al galoppo.

Il 10 giugno 2013 venne depositato un Disegno di Legge per modificare l’art. 138 della Costituzione2. Si intendeva modificare la Costituzione nel chiuso di una stanza mediante un “comitato di saggi”. Vestale di questo stupro la sempre presente Anna Finocchiaro.

Un gruppo di parlamentari 5 Stelle salì sui tetti di Montecitorio per richiamare l’attenzione su quanto stava avvenendo nel chiuso di alcune stanze (per questo definiti “pagliacci” e “fanatici”).

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In quell’occasione Riccardo Fraccaro:

Vorrei ricordare a chi ha affermato che “questo è il nostro Palazzo”, per criticare l’occupazione del M5S, che Montecitorio appartiene a tutti i cittadini e non alla casta. Forse non è chiaro: noi utilizzeremo ogni mezzo per impedire ai partiti di stuprare la Costituzione. Non faremo ostruzionismo, ma resistenza come i partigiani!

Giusto per sottolineare quanto lento possa essere il Parlamento col bicameralismo perfetto (invece, le lungaggini attribuite al bicameralismo perfetto appartengono ai partiti. ndr),   la proposta (depositata in Senato il 10 giugno) venne approvata dal Senato l’11 Luglio, alla Camera il 10 Settembre, di nuovo al Senato il 23 Ottobre per poi (fortunatamente) arenarsi all’ultimo step.

Per informazione: TUTTI i gruppi parlamentari (eccetto Movimento 5 Stelle e Gruppo Misto) hanno votato a favore sia alla Camera sia al Senato. TUTTI, inclusi Lega e Fratelli d’Italia!

A Dicembre 2013 Letta comunicò che non avrebbe toccato l’art. 138 della Costituzione così dimostrando di essere troppo morbido.

Occorreva cambiare cavallo ed ecco il tizio con la dose di spregiudicatezza necessaria: Matteo Renzi.

Direttamente incoronato Presidente del Consiglio un mese prima del famigerato “Enrico stai sereno” da un’altra grande banca mondiale, la UBS.

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In un documento del 08 gennaio 2014 UBS scrive a pagina 4
In Italia, invece, a meno che Matteo Renzi riesca a modificare sostanzialmente il percorso delle riforme, nel più importante dei paesi periferici ci sarà probabilmente meno spazio di manovra per negoziare il suo bilancio 2015 con la Commissione europea.

e poi, ancora, a pagina 10 (in testa)
Questa paralisi porterà probabilmente a una maggior pressione da parte della Commissione europea sul governo per la riduzione del rapporto debito-PIL al 60%, che probabilmente limiterà il margine di manovra almeno per il bilancio 2015, a meno che Matteo Renzi non riesca a modificare il percorso di riforma.

e in coda
Infatti, il Fondo Monetario Internazionale (IMF) stima che sia necessario un deprezzamento del costo del lavoro del 10% per incrementare la competitività. Malgrado le misure per risolvere ciò siano una priorità chiave per Renzi, molto probabilmente dovrà affrontare una battaglia in salita.

L’emerito (Presidente) Giorgio Napolitano si affretta nuovamente. Impipandosene bellamente della sentenza della Consulta che ha rilevato l’illegittimità costituzionale della composizione delle Camere, ordina: “Staffetta immediata!” Renzi al Governo con l’incarico di portare a compimento le “riforme” già progettate dalla P2 e pretese dalle banche.

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Così disse Napolitano il democratico:

L’incarico l’ho dato io a lui con l’impegno di portare avanti queste riforme, come anche quella del mercato del lavoro e degli incentivi alle imprese

Questo l’impegno assunto da Matteo Renzi per accoltellare alle spalle Enrico Letta.

E al contrario di Enrico Letta, Renzi va oltre ogni più rosea aspettativa. Con il Jobs Act il costo del lavoro è crollato, altro che limitarsi a deprezzarlo del 10%.

Io sono stato chiamato da un galantuomo che si chiama Giorgio Napolitano

Certo, ciascuno ha il suo metro per misurare i galantuomini.

La riforma costituzionale Renzi-Boschi-Verdini-Napolitano coinvolge pure il Titolo V che regola i rapporti di sussidiarietà con gli Enti Locali (Regioni, ex Provincie e Comuni).

Abbiamo già visto che JP Morgan nel suo rapporto ha eccepito un eccessivo ruolo degli Enti Locali rispetto al Governo centrale, ma sul Titolo V le “pistole fumanti” sono più d’una.

In un servizio de “La Gabbia” del 25/09/2013 viene esplicitamente detto che occorre riformare il Titolo V della Costituzione per espropriare gli Enti Locali delle “utilities” (servizi locali tipo acqua, luce, gas, trasporti eccetera)

Napolitano dice:

Nessuno però può dire: io difendo la Costituzione votando no e gli altri non lo fanno. Dire questo offende anche me. Mi reca un’offesa profonda.

Sono dolente, “emerito”. Personalmente sarei pure ben più direttamente offensivo.

State riformando la Costituzione per renderla aderente alle richieste delle banche. Per eliminare diritti, per sbilanciare i poteri dello Stato, per sopprimere il diritto di protestare.

State imponendo una Costituzione costruita sugli obiettivi di chi ha interessi opposti a quelli del Popolo che rimane sovrano solo nominalmente.

Non è la mia Costituzione. Non è il “Patto tra i componenti del popolo italiano” ma l’atto della sua sottomissione ai poteri finanziari.

Si senta pure offeso Emerito Presidente. Io difendo la Costituzione votando NO, Lei ha già tentato troppe volte di stuprarla.

1 Berlusconi con Governo già dimissionario aveva accortamente modificato (Legge 85/2006) gli artt. 241 (Attentati contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato), 270 (Associazioni sovversive), 283 (Attentato contro la Costituzione dello Stato) e 289 (Attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali) del Codice Penale. Con le modifiche introdotte, le fattispecie costituiscono reato penale solo se compiuti in modo violento.
2 L’art. 138 contiene la procedura di modifica Costituzionale. Il doppio passaggio in ciascuna Camera e la previsione, nel caso in cui alla seconda lettura non si raggiunga il quorum dei 2/3, di referendum confermativo. È la previsione che rende la Costituzione italiana “rigida”. Con la modifica proposta (ddl 813) un “comitato di saggi” avrebbe prodotto una proposta di modifica costituzionale (oltre 60 articoli) da sottoporre al Parlamento per la votazione finale unica.

Riforme: Tutto parte dal Piano di rinascita democratica di Licio Gelli. Tutto parte da un report JP Morgan. Tutto parte da un altro report della banca UBS. Tutto parte dalla necessità di “espropriare” gli Enti Locali dei servizi locali (acqua, luce, gas e trasporti).
Ordinamento del Parlamento
I. Nuove leggi elettorali, per la Camera, di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco) […] e, per il Senato, di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali, […]
II. Modifica della Costituzione per dare alla Camera preminenza politica (nomina del Primo Ministro) ed al Senato preponderanza economica (esame del bilancio)

La citazione qui sopra non è tratta dalla relazione programmatica di Renzi, ma dal “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli.

Napolitano, Renzi, Boschi e Verdini non hanno quindi inventato niente che non fosse già nel programma P2.

Il “Piano” è ormai del tutto realizzato ma la riforma costituzionale, quella virata effettiva e definitiva verso l’autoritarismo ancora non decollava e le banche hanno lanciato l’ultimatum:

Documento J.P. Morgan del 28 Maggio 2013 (pagg 12-13)

I sistemi politici sud europei sono stati costituiti in seguito a dittature e sono improntati a quelle esperienze. Le Costituzioni tendono a mostrare eccessive influenze socialiste, riflettendo la forza politica che i partiti di sinistra hanno guadagnato dopo il fallimento del fascismo. I sistemi politici del sud Europa mostrano diverse problemi: governi deboli, stati centrali deboli rispetto alle regioni, tutele costituzionali dei diritti del lavoro, sistema di costruzione del consenso che nasconde clientelismo politico e il diritto di protestare se vengono attuate modifiche sgradite. I difetti di questo retaggio politico sono stati rivelati dalla crisi. I Paesi del sud Europa hanno conseguito limitati successi nella realizzazione delle agende fiscali e delle riforme economiche, con governi costretti dalle Costituzioni (Portogallo), Regioni potenti (Spagna) e sorgere di partiti populisti (Italia e Grecia).
[…]
Il test fondamentale dell’anno sarà in Italia, dove il nuovo governo ha chiaramente l’opportunità di impegnarsi in riforme politiche significative. Ma il processo delle riforme politiche è solo iniziato.

JP Morgan esige regimi autoritari in Europa, venne scritto.

Siccome il colpo di Stato non è più reato se non condotto con le armi1, l’emerito (Presidente, ovviamente) Giorgio Napolitano il democratico obbedì al galoppo.

Il 10 giugno 2013 venne depositato un Disegno di Legge per modificare l’art. 138 della Costituzione2. Si intendeva modificare la Costituzione nel chiuso di una stanza mediante un “comitato di saggi”. Vestale di questo stupro la sempre presente Anna Finocchiaro.

Un gruppo di parlamentari 5 Stelle salì sui tetti di Montecitorio per richiamare l’attenzione su quanto stava avvenendo nel chiuso di alcune stanze (per questo definiti “pagliacci” e “fanatici”).

In quell’occasione Riccardo Fraccaro:

Vorrei ricordare a chi ha affermato che “questo è il nostro Palazzo”, per criticare l’occupazione del M5S, che Montecitorio appartiene a tutti i cittadini e non alla casta. Forse non è chiaro: noi utilizzeremo ogni mezzo per impedire ai partiti di stuprare la Costituzione. Non faremo ostruzionismo, ma resistenza come i partigiani!

Giusto per sottolineare quanto lento possa essere il Parlamento col bicameralismo perfetto, la proposta (depositata in Senato il 10 giugno) venne approvata dal Senato l’11 Luglio, alla Camera il 10 Settembre, di nuovo al Senato il 23 Ottobre per poi (fortunatamente) arenarsi all’ultimo step.

Per informazione: TUTTI i gruppi parlamentari (eccetto Movimento 5 Stelle e Gruppo Misto) hanno votato a favore sia alla Camera sia al Senato. TUTTI, inclusi Lega e Fratelli d’Italia!

A Dicembre 2013 Letta comunicò che non avrebbe toccato l’art. 138 della Costituzione così dimostrando di essere troppo morbido.

Occorreva cambiare cavallo ed ecco il tizio con la dose di spregiudicatezza necessaria: Matteo Renzi.

 

 

Licio-Gelli-è-morto-addio-allex-venerabile-della-loggia-massonica-P2-aveva-96-anni

Morte di Gelli, quell’intervista clamorosa al Fatto “I mentori politici di Renzi vivono a Washington”.

La morte di Licio Gelli e l’ intervista, particolarmente interessante, che il Venerabile concesse al Fatto Quotidiano nel maggio 2014.
Marco Dolcetta per “Il Fatto Quotidiano” del 23 maggio 2014
Di questi tempi sia la schiena che il cuore stanno dando qualche problema a Licio Gelli. Il 96enne Venerabile della Loggia P2, nonostante la voce affaticata, mantiene una certa energia verbale: “Lei deve sapere che sono entrato nei Servizi di intelligence dello Stato italiano dopo un incontro con Mussolini che voleva conoscermi. Io, il volontario ‘Licio Gommina’ della guerra civile di Spagna, nella quale aveva perso la vita mio fratello. Il Duce mi chiese quale poteva essere la ricompensa che lo Stato italiano poteva dare alla mia famiglia. In quella occasione, gli dissi che senz’altro mi sarebbe interessato conoscere il mondo dei Servizi segreti… Da allora non ne sono più uscito”.
Ma che ne pensa dell’attualità italiana e di Renzi?
Renzi è un bambinone, visto il suo comportamento che è pieno di parole e molto ridotto nei fatti: non è destinato a durare a lungo… Comunque, non è mai stato (né lui né i suoi familiari) nella massoneria. Vedo che nel suo governo ci sono molte giovani donne che io personalmente vedrei molto meglio a occuparsi d’altro…”.

Lei con la Svizzera ha un rapporto particolare, conosce bene le galere ma anche le banche di quel Paese…
Sì, soprattutto quando mi sono stati sottratti dai giudici milanesi diversi milioni di franchi che risultavano il frutto lecito di mia mediazione internazionale e che furono destinati a risarcire piccoli azionisti del Banco Ambrosiano dopo le note vicende che mi videro ingiustamente coinvolto. Ma nonostante tutto, ho accettato questo risarcimento forzato. La cosa più sorprendente, però, è che quei soldi non sono stati mai destinati a piccoli azionisti, tanto che da tempo io, assieme al loro legale, l’avvocato Gianfranco Lenzini di Milano, ho presentato richiesta di chiarimenti in tutte le sedi, ma senza alcun risultato”.
Come spiega il caso Renzi, la sua veloce ascesa, e cosa prevede per il futuro?
Beh, Renzi è un fenomeno parzialmente italiano, e mi risulta che fra i suoi mentori politici ci siano persone che vivono a Washington. È circondato, però, da mezze tacche: gli ex lacchè di Berlusconi. Fini, che ho conosciuto bene, quando faceva l’attendente ossequioso di Giorgio Almirante cui prestavo denari per il Msi. Soldi sempre resi… quello sì che era uomo di parola. E poi Schifani, Alfano: personaggi non certo di livello. Berlusconi ha sbagliato con le giovani donne, ma soprattutto circondandosi di personaggi di bassa levatura… Penso a Verdini, un mediocre uomo di finanza; è un massone… credo, ma non della nostra squadra. Il più alto livello di maturità politica in Italia c’è stato con Cossiga e Andreotti che avevano entrambi dei sistemi di controllo politico, uno con ‘Gladio’ e l’altro con ‘Anello’, cosa che Berlusconi non è mai riuscito a ripetere. E si sono visti i risultati di questa sua incapacità…”.
Per concludere, che ne pensa dell’Italia, e del suo futuro?
Non le nascondo che vedo, con una certa soddisfazione, il popolo soffrire. Non mi fraintenda: non sono felice di questa situazione. Sono felice, invece, che vengano sempre più a galla le responsabilità della cattiva politica. Perché, probabilmente, solo un tributo di sangue potrà dare una svolta, diciamo pure rivoluzionaria, a questa povera Italia”.

PAROLE SANTE!