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6008.- Perché la situazione nei Balcani è critica. Parla Lord Peach (inviato britannico)

Stranamente, Lord Peach non nomina l’influenza della Turchia nei Balcani e la concessione fatta a Erdoğan di schierare 500 soldati in Kosovo.

Da Formiche.net, di Gabriele Carrer, 22/10/2023

Perché la situazione nei Balcani è critica. Parla Lord Peach (inviato britannico)

“Dobbiamo incoraggiare un ritorno al dialogo interstatale e alla normalità”, spiega l’ex capo della difesa di Londra sottolineando l’importanza del rapporto anglo-italiano in materia di sicurezza. “I miei più calorosi auguri”, aggiunge, all’ammiraglio Cavo Dragone che prenderà il posto di presidente del Comitato militare Nato da lui occupato dal 2018 al 2021.

“La situazione nella penisola balcanica è estremamente critica”, dice Lord Peach, inviato speciale per i Balcani occidentali del primo ministro britannico. Royal Air Force, già capo della difesa britannica dal 2016 al 2018 presidente del Comitato militare Nato dal 2018 al 2021, Lord Peach, Stuart William Peach, parla con Formiche.net delle sfide nella regione, del mondo in disordine e del rapporto bilaterale tra Italia e Regno Unito.

Come affrontare le sfide nella regione?

Dobbiamo lavorare come comunità internazionale, con i nostri amici e partner, in particolare con il Regno Unito e l’Italia. Voi siete Paesi vicini e il Regno Unito è molto sensibile al tema della sicurezza e della difesa. Dobbiamo incoraggiare un ritorno al dialogo interstatale e alla normalità, anche con l’Unione europea, con il sostegno degli Stati Uniti e del Regno Unito. Non dobbiamo tornare alle divisioni degli anni Novante e a tutte le difficoltà sulle questioni etniche che abbiamo visto in quel conflitto. È quindi giusto prestare attenzione alla regione e sostenere la Nato e la sua missione in Kosovo. In questo senso, mi congratulo in particolare con la leadership del generale Angelo Michele Ristuccia che ha passato il consegnato della Kfor, la più grande missione di peacekeeping Nato su mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Allo stesso modo, il Regno Unito continuerà a sostenere un contesto di sicurezza in Bosnia-Erzegovina. Sosteniamo fortemente l’Ufficio dell’Alto Rappresentante e l’Alto Rappresentante stesso, Christian Schmidt. È importante mostrare solidarietà con i nostri amici e alleati europei e sostenere le missioni dove esistono, perché sono necessarie più che mai per garantire un ambiente sicuro e protetto, per evitare che i Balcani tornino a essere quelli di un tempo.

Come possono lavorare assieme Unione europea e Nato?

È importante non vederla come una competizione tra l’Unione europea e la Nato. È un luogo di cooperazione. La missione in Bosnia-Erzegovina è guidata dall’Unione europea ma è sostenuta dalla Nato. È una missione Berlin Plus. Non è una competizione. L’obiettivo è sostenere un contesto di sicurezza, in modo che il popolo della Bosnia-Erzegovina possa realizzare la democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani e possa effettivamente entrare a far parte della famiglia dell’Unione europea attraverso l’adesione. E il governo del Regno Unito sostiene questo obiettivo.

Qual è la situazione nella regione?

La situazione è sempre determinata dagli eventi e dall’ambiente esterno. E noi continuiamo a chiedere il dialogo ogni volta che accade un evento che crea difficoltà in qualsiasi Paese si trovi. Nello specifico, continuiamo a condannare i recenti attacchi nel nord del Kosovo, assicurandoci che le indagini della polizia proseguano e che si continui a sostenere lo stato di diritto e lo sviluppo delle forze di polizia, senza necessariamente cercare di sostituire le forze militari. È un punto molto importante: dobbiamo tornare alla normale attività di polizia.

Definirebbe lo scenario attuale come “poli-crisi”?

Non voglio entrare in un vero e proprio dibattito intellettuale sul tipo di mondo in cui ci troviamo. Uso la parola “disordine” perché non tutte le crisi sono nuove, molte esistono da decenni. E molte di esse si scaldano e si raffreddano, si riscaldano e si raffreddano. Capisco che molti think tank, giornalisti e commentatori amino coniare nuove espressioni. Io mi limito a osservare che il mondo è in grande disordine. Per questo, abbiamo bisogno che i nostri amici rimangano uniti e cerchino di fare del loro meglio per ripristinare la pace e la sicurezza ovunque sia possibile.

L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, attuale capo di stato maggiore della Difesa, sarà il prossimo presidente del Comitato militare Nato. Un consiglio da ex?

Siamo vecchi amici. Mi limito ad inviargli le mie più vive congratulazioni e i miei più calorosi auguri in qualità di ex presidente del Comitato militare. Sono molto orgoglioso di aver deciso di cambiare il titolo da “chairman” a “chair” per dimostrare come l’alleanza continui a modernizzarsi. Mi congratulo con l’Italia per la sua prossima presidenza e spero di incontrare nuovamente l’ammiraglio nel suo attuale e importantissimo lavoro di Capo di Stato Maggiore della Difesa. E vorrei sottolineare che sulle questioni di sicurezza difensiva il Regno Unito e l’Italia sono molto vicini e ottimi partner, ora e in futuro. Il clima di amicizia e cooperazione tra il Regno Unito e l’Italia sui temi della difesa e della sicurezza è davvero importante.

5929.- Banjska, punto di non ritorno nella tensione fra Serbia e Kosovo?

Il Kosovo era serbo e vi coesistevano i serbi e gli albanesi, non più minoranza. Ibrahim Rugova, leader di questi ultimi, chiedeva l’autonomia e basta. Poi, l’etnia albanese è stata armata dalla NATO, quindi, è stato invaso dagli albanesi provenienti dall’Albania; ai serbi più fortunati non rimase che la fuga e, ora, non è più serbo. Tocca alla NATO chiudere i conti.

Da Formiche.net, di Francesco De Palo | 25/09/2023

Banjska, punto di non ritorno nella tensione fra Serbia e Kosovo?

Una soluzione definitiva, anche con la responsabilità assunta da un Paese forte, non sembra più procrastinabile, dal momento che già l’Ue deve affrontare il protrarsi della guerra in Ucraina, le fibrillazioni in Nagorno-Karabah e le conseguenze (anche geopolitiche) della crisi energetica. Un altro fronte irrisolto sarebbe troppo

Ieri una sparatoria tra la polizia e uomini armati di etnia serba, con 4 morti. Oggi l’intervento dei blindati per mettere in sicurezza e perquisire un villaggio nel nord del Kosovo. Banjska può rappresentare il punto del non ritorno della tensione fra Serbia e Kosovo: lo scontro tra la polizia e il gruppo che si era barricato in un monastero serbo-ortodosso arriva dopo un lungo braccio di ferro tra le due parti, invitate dall’Ue a rientrare in una fase di normalità politica e sociale. Ma le ferite della guerra nella ex Jugoslavia continuano ad essere preda di attenzioni esterne, che investono tempo e risorse anche al fine di destabilizzare l’Ue.

Gli arresti

I tre serbi erano stati arrestati in Kosovo mercoledì scorso con l’accusa di aver commesso crimini di guerra. Vucic subito aveva invitato tutti i rappresentanti internazionali a reagire, “a fare tutto ciò che è in loro potere affinché i serbi possano sopravvivere sul territorio del Kosovo e Metohija, affinché le persone che non sono colpevoli di aver fatto nulla a nessuno vengano rilasciate nelle loro case”. Tra l’altro la questione era stata sollevata anche all’Assemblea generale dell’Onu a New York, nelle stesse ore in cui la polizia kosovara teneva i tre in custodia cautelare: tra loro pare ci fosse anche un uomo anziano, malato di cancro, oltre ad un ex poliziotto e sfollato, arrestato nel comune di Zvecan.

Una soluzione definitiva, con anche la responsabilità assunta magari da un Paese forte, non sembra più procrastinabile, dal momento che già l’Ue deve affrontare il protrarsi della guerra in Ucraina, le fibrillazioni in Nagorno-Karabah e le conseguenze (anche geopolitiche) della crisi energetica. Un altro fronte irrisolto sarebbe troppo.

Lo scontro

Nonostante la comunità albanese sia di fatto maggioranza dei quasi 2 milioni di abitanti del Kosovo, la comunità serba che vive nella parte settentrionale non accetta la dichiarazione di indipendenza del Kosovo del 2008 e considera Belgrado capitale. Il primo ministro del Kosovo Albin Kurti ha accusato la Serbia di finanziare e inviare uomini armati in Kosovo, mentre Aleksandar Vucic, presidente serbo, ha negato le accuse. Nel mezzo il numero uno della politica estera europea, Josep Borrell, secondo cui è di primaria importanza normalizzare i legami tra Serbia e Kosovo, accusando Kurti di non aver preso provvedimenti per dare ai serbi maggiore autonomia. Ma secondo il ministro degli Esteri del Kosovo, Donika Gervalla-Schwarz, Borrell non esprime sostegno alla polizia né definisce gli aggressori “terroristi”.

Inoltre la politica del governo del Kosovo di affermare l’autorità su tutto il Paese ha provocato la reazione dei serbi in loco che pretendono anche maggiore autonomia. In precedenza i rappresentanti serbi nel nord del Paese si erano dimessi per protestare contro il divieto delle targhe emesse dalla Serbia, ma alle elezioni locali della scorsa primavera si è verificato il boicottaggio da parte della maggioranza della popolazione serba. Con meno del 4% di affluenza sono stati eletti alcuni sindaci di etnia albanese.

Qui Roma

Della questione hanno discusso al telefono il vice presidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani, il Presidente della Repubblica di Serbia, Aleksandar Vučić, e con il Primo Ministro del Kosovo, Albin Kurti. “L’Italia segue con forte preoccupazione i recenti sviluppi nel nord del Kosovo e condanna con la massima fermezza l’attacco armato contro la Polizia kosovara perpetrato nella notte tra sabato e domenica, che è costato la vita a un agente” ha commentato Tajani, aggiungendo che “d’intesa con il Ministro della Difesa Guido Crosetto, siamo disposti a valutare proposte di rafforzamento del dispositivo della Kfor. Faremo di tutto per favorire presenza anche ai confini, per evitare nuovi scontri”.

Il vice premier ha ribadito che “l’Italia resta impegnata in prima linea per la stabilità dei Balcani e per la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo”. L’obiettivo è dare piena e immediata attuazione a quanto richiesto il 19 settembre dagli Stati membri Ue con dichiarazione rilasciata dall’Alto Rappresentante Borrell. “Il controllo delle frontiere tra Kosovo e Serbia è un impegno dell’Italia. L’Italia vuole la pace”, ha ribadito Tajani.

5682.- Il gioco della Nato e di Erdogan nei Balcani porta insicurezza

Dice Josep Borrell : La violenza va condannata.

Dopo che l’Italia con tutti i suoi cacciabombardieri e le sue basi partecipò ai bombardamenti della Serbia, dopo che con la Brigata multinazionale West andò a pacificare e, poi, a sminare il Kossovo e, ancora oggi, è presente nel Nord del paese, ecco che la Nato invita Erdogan a “pacificare il Kossovo. I disordini nel Kossovo sono voluti; le giravolte di Erdogan vengono ricompensate. Legittimamente i serbi rimasti in Kossovo dimostrano contro un sindaco albanese, votato dagli albanesi. Non c’ è proprio niente da pacificare, ma soltanto da mettere nero su bianco quanta della terra del Kossovo può rimanere ai suoi abitanti e alla sua ex sovrana, la Serbia. Non riusciamo a spiegarci cosa c’entrino 500 marines turchi, con annessi e connessi, vicino ai nostri alpini e ricordo che abbiamo appena avuto 14 feriti. Certamente, la Nato rappresenta la nostra cornice di sicurezza; certamente la stabilità del Mediterraneo allargato ci vuole attori compartecipi con la Turchia, ma proprio perciò dobbiamo fare chiarezza.

Situazione Kosovo Serbia oggi secondo Paolo Alli

Non è facile comprendere quanto sta accadendo tra Kosovo e Serbia se non si parte da una rapida retrospettiva sulla intricata situazione dei Balcani occidentali.

La vecchia Jugoslavia costituiva un coacervo di numerose etnie, era divisa in sei repubbliche e due province autonome (tra le quali quella del Kosovo) e fu tenuta insieme per oltre quarant’anni dalla dittatura del maresciallo Tito. Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine dello stato federale nel 2003, la Jugoslavia si sciolse dando origine all’attuale frammentazione della regione in otto Paesi. Due di questi sono membri sia della Unione Europea che della NATO (Slovenia e Croazia), altri tre hanno aderito alla NATO (Albania, Montenegro e Macedonia del Nord), uno è aspirante alla entrata nella NATO (Bosnia Erzegovina).

Il Rappresentante della politica estera Ue Borrell ha sollecitato l'organizzazione di nuove elezioni nei comuni al centro delle contestazioni

Il Rappresentante della politica estera Ue Borrell ha sollecitato l’organizzazione di nuove elezioni nei comuni al centro delle contestazioni  –  Diritti d’autore  Bojan Slavkovic/Copyright 2023 The AP. All rights reserved

I serbi boicottano, gli albanesi vincono. Le amministrative della discordia

L’appello di Bruxelles, Parigi e Berlino: “Si torni al voto”

Negli scorsi giorni, il Rappresentante della politica estera Ue, Josep Borrell, aveva sollecitato l’organizzazione di nuove elezioni nei comuni al centro delle contestazioni e invocato garanzie per la partecipazione della maggioranza serba. Sempre dal summit della Comunità politica europea in Moldova, l’appello è stato ribadito anche dal cancelliere tedesco Olaf Scholz e dal presidente francese Emmanuel Macron, che hanno indicato nel ritorno alle urne, la sola via per un ritorno alla calma.

5677.- Vi spiego le colpe di Occidente e Russia nel caos Kosovo

Aggiornato 6 giugno

Ricordiamo bene la diaspora dei serbi kosovari, le distruzioni dei bombardamenti, le mine, i morti di ogni età e ovunque, l’arrivo dei nuovi padroni dall’Albania. Vogliamo aggiungere qualcosa di vissuto a questa analisi puntuale di Carlo Jean. Forse, oggi, è possibile parlare di una “manina” russa, ma, ieri, l‘intervento russo si limitò a onorare l’alleanza con la Serbia e la “manaccia” parlava americano. A Pristina, c’è addirittura una statua di Bill Clinton. Inoltre, l’Albania, sia pure soltanto di nome, è un paese islamico e la Serbia è ortodossa, come la Grecia che ci costrinse ad attraversarla di notte, per non essere visti dalla popolazione. A 12 chilometri a sud dalla città di Peć, a Visoki Dečani, c’è il grande monastero della Chiesa ortodossa serba in Kosovo guardato a vista dai Leopard italiani. All’interno, si conservano i cimeli della battaglia del Kosovo tra serbi e turchi. Dobbiamo molto ai serbi.

Anzitutto, una premessa: I popoli dei Balcani non sono radicati nei loro territori come noi e quando ne occupano uno fanno la pulizia etnica, ad evitare rigurgiti. Mi spiegarono così le teste dei bambini serbi sfasciate sui muri, le colonne di auto bruciate con sopra le masserizie e dentro le famiglie fuggiasche e con i corvi a centinaia che inzuppavano il becco negli occhi dei morti. Ovunque, morti e odore di morte. Tutto questo avvenne sotto l’egida e per volontà della Nato perché, allora, il leader degli albanesi Ibrahim Rugova chiedeva soltanto l’autonomia. I media furono, ieri come oggi, ligi al comando. Ci raccontarono di un villaggio dove l’esercito serbo era entrato facendo molti morti, ma non dissero che il giorno avanti i ribelli albanesi erano entrati nel liceo falciando i ragazzi. Ecco perché la Nato bombardò Belgrado nel 1999. Funziona così.

Repetita iuvant. Dal n. 5665:

“Era il 1998 e, a Tirana, si offriva la nostra consulenza al governo albanese di Phatos Nano, comunista. C’erano in ballo più cose, dalla difesa all’ordine pubblico e, per me, sopratutto, l’assetto della difesa aerea e del traffico aereo in Albania. La fiducia ottenuta mi consentì di assistere alle spedizioni di armi, in partenza al sabato sera verso il Nord, il Kossovo, per armare la popolazione albanese.

Il Kossovo è serbo. Al tempo, tuttavia, gli albanesi kosovari, prolifici, avevano superato per numero l’etnia serba, ma non si parlava di indipendenza. Fu così che un sabato sera, alla periferia di Tirana, assistetti al carico dei  Kalašnikov, ma a dirigere le operazioni c’erano due miei amici americani, esperti di agricoltura, che tutto sapevano, rispettivamente della cisterna volante KC-135 e dell’elicottero da attacco. A cena ci raccontavamo le nostre esperienze e giuro che sapevano di agricoltura quanto io di astronavi. Il legame che unisce la Russia alla Serbia è ben noto. Due considerazioni: La sostituzione etnica dei serbi ha funzionato in Kossovo con un referendum perché la Nato lo ha voluto. Non devono funzionare i referendum dei russofoni della Crimea e del Donbass perché la Nato non lo vuole.

Quelli che, oggi, chiamiamo Kossovari sono in buona parte gli albanesi diseredati che vedemmo risalire in colonne umane dall’Albania per occupare le case, le terre, le aziende dei serbi in fuga sotto le bombe della NATO, quindi, anche italiane, Mattarella, ministro della Difesa e D’Alema presidente del Consiglio regnanti. Le televisioni, invertendo la bussola, li spacciavano per albanesi in fuga dall’esercito serbo e diretti a Sud. Proprio il contrario.

L’Aeronautica doveva costruire un aeroporto per la Brigata Multinazionale West e lo facemmo, poi, in 52 giorni. Le immagini del satellite facevano strada alla ricerca del sito, ma non volevamo terreni di privati. Ero andato, così, diverse volte, anche da solo, in esplorazione durante la guerra. Cercando dove fare base, a una curva mi apparvero due cadaveri gonfi, sembravano due cavalli, ma erano due serbi, marito e moglie. Lei con i piedi mozzati, per far godere il porco e lui legato con il filo spinato e, poi, mitragliato. “Sei stato tu?” chiesi in albanese al porco, nuovo proprietario, che si faceva avanti …” L’ultima volta, non più in guerra, fu un incubo: Strade vuote, percorse dal vento: qualche cane, un branco di cavalli spaesati, non un’anima! Un ristorante bruciato fumava ancorafinché un giorno apparvero i primi due carri della brigata Ariete, uno in guardia, l’altro in retroguardia. Era finita.

Oggi, siamo davanti a un’altra guerra ibrida in stile Ucraina e in Europa. I serbi sono rimasti solo nel Nord e sono quelli che, oggi, a ragione, protestano per il sindaco albanese. Che quella decina di comuni del Kosovo, abitati da serbi abbiano diritto a non avere un sindaco albanese è sicuro. Restituiamo almeno quei comuni alla Serbia e pace sia.

  • 5 Giugno 2023
Kosovo

di Carlo Jean. Da Start Magazine

L’Occidente ha contribuito all’instabilità attuale nei Balcani. Ma dietro al caos in Kosovo potrebbe esserci la “manina” della Russia. L’analisi del generale Carlo Jean

La situazione in tutti i Balcani Occidentali rimane caratterizzata da una notevole instabilità e un potenziale dello scoppio di nuovi conflitti, derivata dall’indisponibilità delle popolazioni di convivere in Stati multietnici. I gruppi etnici minoritari non accettano di essere dominati da quelli maggioritari. Questi ultimi vogliono dominare. Non riconoscono un livello di autonomia dei primi, simile a quello previsto nell’Alto Adige dagli accordi De Gasperi-Gruber. Le due aree “calde” in cui “covano” nuovi conflitti etnico-religiosi contro le istituzioni unitarie imposte dall’Occidente sono la Republika Srpska – “Entità” della Bosnia-Erzegovina (BiH) con la Federazione Croato-Musulmana – e il Kosovo, in cui la popolazione serba (5-10% del totale), concentrata nel Nord del paese, è maggioritaria in una decina di comuni.

LE RESPONSABILITÀ DELL’OCCIDENTE

Nei due paesi, l’Occidente non ha permesso che la guerra facesse il suo mestiere, cioè creasse una nuova situazione di pace e stabilità, come avvenuto nella Krajina di Knin, da cui la popolazione serba fu cacciata dai croati. In quella zona non esistono problemi. Nella Federazione croato-musulmana, la convivenza è facilitata dal fatto che essa è divisa in 10 “Cantoni” sostanzialmente monoetnici, dotati di ampia autonomia e uniti anche dalla comune ostilità verso i serbi.

L’instabilità attuale è derivata dal fatto che l’Occidente, dominante dopo la fine della guerra fredda, ha voluto imporre i suoi valori – democrazia, rispetto delle minoranze, ecc. Tale impostazione ideologica caratterizzò la politica di Clinton, chiaramente ispirata alle tesi di Fukuyama sulla “fine della storia”. Il pragmatismo di Lord Carrington e dell’Amb. Cuteleiro, alla base della loro proposta del 1992 di “cantonizzazione etnica” della BiH, fu rigettato addirittura con orrore. Avrebbe comportato modifiche dei confini e trasferimenti semi-forzati di popolazioni. Agirono anche altri fattori quali la volontà di punire Belgrado per i suoi eccessi di violenza e per i suoi stretti legami storici con la Russia, nonché di rafforzare i legami con la Turchia, in cui le forze filo-occidentali stavano perdendo la maggioranza rispetto a quelle islamiche. I turchi chiedevano di vendicare i massacri dei musulmani bosniaci e kosovari nelle terre che erano state “la perla” dell’Impero Ottomano (la Bosnia gli aveva fornito un gran numero di amministratori e l’Albania di militari). Le richieste erano sostenute dalla lobby balcanica, costituita dai milioni di discendenti di rifugiati dai Balcani fuggiti in Turchia a seguito delle sconfitte ottomane.

USA E GERMANIA CONTRO LA SERBIA

L’avversione per la Serbia, ritenuta la sola responsabile del caos nei Balcani, era forte soprattutto negli USA, ma anche in Germania, che favorì Slovenia e Croazia per la secessione da Belgrado. Tale orientamento anti-serbo raggiunse livelli semi-isterici nel SACEUR (gen. USA Clark). Egli dette l’ordine al comandante della KFOR che stava iniziando a schierarsi nel Kosovo, di bloccare anche con la forza il reparto russo che si dirigeva a tappe forzate su Pristina. Fortunatamente, l’allora comandante della KFOR – il gen. britannico Michael Jackson – rifiutò di obbedirlo, evitando l’inasprimento della crisi con Mosca (che comunque per protesta contro l’attacco NATO alla Serbia abbandonò platealmente nel maggio 1999 il Summit dell’OSCE a Istanbul).

La NATO, con la sua forza d’interposizione KFOR, opera in Kosovo nel quadro della UNMIK (Missione dell’ONU) per l’amministrazione transitoria del Kosovo, creata dalla Risoluzione ONU 1244 del 1999. Dovrebbe coordinare – oltre che la KFOR – anche la missione UE, incaricata della ricostruzione e dello sviluppo, e quella dell’OSCE, responsabile della sicurezza interna e del controllo degli armamenti. Come già avvenuto in BIH, l’ONU ha sin dall’inizio dimostrato la sua inefficacia.

Ciascuna organizzazione agisce di testa sua. Con la dichiarazione unilaterale dell’indipendenza kosovara, le cose si sono ulteriormente complicate. Nessuno dispone dei poteri e, soprattutto, della volontà di far fronte ai nazionalismi dei due gruppi etnici, sempre più radicalizzati.

COSA C’ENTRA LA RUSSIA

L’aggressione russa all’Ucraina ha ravvivato il radicalismo – specie quello serbo – sia in BiH sia in Kosovo. Mosca li fomenta, anche per distrarre l’Occidente dal sostegno a Kiev, creando nuovi problemi. Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska, si è più volte incontrato con Putin, per chiederne il sostegno per una maggiore autonomia da Sarajevo, se non per l’annessione a Belgrado della sua Entità. Nell’ultimo incontro, avvenuto all’inizio dello scorso maggio ne ha ricevuto ampi incoraggiamenti, oltre che denaro e armi.

Mosca ha fornito a Belgrado larghi sconti sulle forniture energetiche e anche armi moderne, specie controaeree. Assieme alla Cina ha sostenuto le ragioni della minoranza serba in BiH e Kosovo e di Belgrado nelle loro proteste per le provocazioni da parte del governo di Pristina, in particolare per il divieto di immatricolare con targhe serbe le automobili dei serbi kosovari e poi per l’elezione di sindaci di etnia albanese nei comuni a maggioranza serba. I serbi-kosovari vorrebbero che le elezioni fossero annullate, fatto che il governo di Pristina non può accettare. Per impedire che i kosovari-albanesi eletti sindaci (con il 3% degli aventi diritto al voto) nelle città a maggioranza serba di insediarsi nelle sedi comunali. Sono scoppiati violenti disordini in cui sono state coinvolte anche unità della KFOR, che hanno avuto decine di feriti. Sembra – ma la cosa non è verificata, anche se non è inverosimile – che ad esse abbiano partecipato anche nazionalisti serbi, in particolare le tifoserie calcistiche, già protagoniste di molti massacri in BiH. Taluni sostengono che siano stati presenti anche mercenari russi del Gruppo Wagner, utilizzati in vari casi dal Cremlino per interventi di cui intende negare il coinvolgimento. Si tratta di ipotesi non provate.

LA PROBABILE “MANINA” DEL CREMLINO DIETRO ALL’INSTABILITÀ NEL KOSOVO

Che ci possa essere la “manina”, almeno incoraggiante del Cremlino mi sembra probabile. Rientra nella logica strategica. Mi ha perciò sorpreso l’affermazione fatta in una nota trasmissione televisiva che la Russia non c’entra nulla con il riacutizzarsi delle tensioni in Kosovo (e in BiH), unita alla tronfia affermazione “la geopolitica è una cosa seria” e che l’interesse nazionale italiano dovrebbe indurre il nostro Governo a sostenere la Serbia, con cui il commercio è aumentato del 23% (trascurando il fatto che per l’effetto “fine Covid” il commercio estero della Serbia è aumentato del 36%, per cui l’Italia è passata dal 3° al 4° posto dei partner commerciali di Belgrado). Trascurato è stato anche il fatto che l’interscambio italiano con la Serbia è superiore solo di poco più del 10% rispetto a quello con l’Albania. Mi sembra perciò evidente che ta l’autoproclamato esperto di geopolitica e strategia non abbia la più pallida idea di quello di cui sta parlando. Non è la prima volta né purtroppo non sarà neppure l’ultima.

L’ACCORDO DI NORMALIZZAZIONE DEL KOSOVO È MORTO E SEPOLTO

Nel caos del Kosovo, una cosa è certa: l’“Accordo di Ohrid” del maggio 2023 sulla “normalizzazione del Kosovo”, derivato dalla proposta franco-tedesca, e firmato dal presidente kosovaro, Albin Kurti e da quello serbo, Aleksandar Vucic, è morto e sepolto. Ispirato al modello “due Germanie”, esso non riconosceva esplicitamente l’indipendenza del Kosovo, ma la sua possibilità di accesso alle organizzazioni internazionali. Prevedeva inoltre una soluzione per il problema delle targhe e la creazione di una Commissione di monitoraggio per la soluzione pacifica delle dispute. Non trattava invece del problema – a parer mio essenziale – delle elezioni amministrative locali, da rimandare a tempi migliori.

Vucic era stato indotto a firmare l’accordo di Ohrid come pre-condizione per l’accesso all’UE, ma era stato subito contestato dai nazionalisti serbi, che sfilavano con la “Z” russa dell’”operazione militare speciale” stampata sulle magliette. Ciò l’aveva indotto a votare contro l’ammissione del Kosovo al Consiglio d’Europa, vanificando l’impegno preso a Ohrid.

Insomma, l’accordo, anche se parziale e imperfetto, è morto appena nato. Si è tornati al punto di partenza, sperando che la situazione non si aggravi ulteriormente, in attesa che gli eventi in Ucraina creino un quadro in cui sia possibile una revisione dell’intero sistema geopolitico e di sicurezza europeo. Solo allora sarà forse possibile un riesame pragmatico anche degli assetti della ex-Jugoslavia. Esso potrà essere effettuato pacificamente solo con un’UE capace di utilizzare la forza, oltre che l’attrazione del suo soft power e della sua ricchezza per imporre nelle aree di suo più diretto interesse una soluzione pragmatica corrispondente ai suoi interessi di avere dei Balcani stabili e, per quanto, possibile compatibile con i propri valori.

5671.- C’è chi vuole la guerra in Europa e solo in Europa

Per l’ambasciatore russo a Belgrado è in corso un tentativo di colpo di stato in stile Maidan

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L’ambasciatore russo in Serbia Alexander Botsan-Kharchenko ha lanciato alcune drammatiche accuse contro l’Occidente in relazione sia alla guerra in Ucraina che alle tensioni e agli scontri in corso nel nord del Kosovo, che è stato al centro dell’attenzione dei media internazionali.

L’ambasciatore russo ha affermato che gli oppositori del presidente serbo Aleksandar Vucic stanno tramando e tentando di organizzare un “colpo di stato in stile Maidan” nella capitale serba di Belgrado. La sua scelta di parole implicava che l’Occidente fosse coinvolto a un certo livello.

Usando una terminologia familiare nelle descrizioni del Cremlino di ciò che la NATO sta facendo in Ucraina, l’Amb. Botsan-Kharchenko ha dichiarato: “Questo fa parte della guerra ibrida . Vorrei sottolineare che le forze anti-Belgrado hanno agito in modo quasi sincrono; operano su due fronti: questa è la situazione in Kosovo e i tentativi di un colpo di stato di Maidan qui, a Belgrado.”

Grandi proteste serbe contro la violenza armata e la cattiva gestione del governo a maggio. Afp/Getty Images

Le parole del funzionario russo si riferivano anche alle recenti proteste antigovernative su larga scala all’interno della Serbia, alcune delle quali si sono radunate domenica davanti all’edificio dell’emittente nazionale serba a Belgrado.

Queste sono state pubblicizzate come “proteste per la pace”, ma secondo i media regionali hanno progressivamente assunto un carattere antigovernativo e slogan antigovernativi. Alcuni di loro sono avvenuti con slogan come “Serbia contro la violenza” – e si sono concentrati sulla violenza armata sulla scia delle recenti sparatorie di massa nelle scuole in Serbia – una rarità per la storia recente del paese.

Le proteste sono andate forte da metà maggio e le persone sono arrabbiate per quella che vedono come una cattiva gestione da parte del governo delle recenti crisi :

Decine di migliaia di persone hanno marciato attraverso Belgrado, bloccando un ponte chiave nella seconda grande protesta dopo le due sparatorie di massa che hanno sconvolto  la Serbia  e  causato la morte di 17 persone, tra cui molti bambini.

I manifestanti si sono riuniti venerdì davanti al palazzo del parlamento prima di presentarsi al quartier generale del governo e su un ponte autostradale che attraversa il fiume Sava, dove i pendolari serali dovevano girare i loro veicoli per evitare di rimanere bloccati. In testa alla colonna c’era uno striscione nero con la scritta “Serbia contro la violenza”.

Mentre i manifestanti passavano davanti agli edifici governativi, molti cantavano slogan che denigravano il presidente populista della Serbia, Aleksandar Vučić , che accusano di aver creato un’atmosfera di disperazione e divisione nel paese che, secondo loro, ha portato indirettamente alle sparatorie di massa.

Inoltre, la TASS russa ha descritto quanto segue delle recenti proteste in Serbia :

La prima manifestazione è stata abbastanza pacifica, praticamente senza slogan antigovernativi. La gente si stava semplicemente radunando in silenzio davanti all’edificio parlamentare. Durante la seconda manifestazione, i manifestanti hanno bloccato un ponte sul fiume Sava e scandito slogan antigovernativi. Anche la terza manifestazione ha avuto carattere antigovernativo. Secondo il ministero degli interni serbo, a queste manifestazioni hanno preso parte più di 11.000 persone .

La Serbia è stata a lungo un fedele alleato della Russia, tuttavia, recentemente ci sono state distanze e tensioni dovute alla guerra in Ucraina. Tuttavia, Belgrado è generalmente vista in Occidente come più orientata verso la Russia. Resta che entrambi i paesi slavi hanno da tempo condannato ciò che vedono come aggressione ed espansione della NATO, in particolare dopo la campagna di bombardamenti USA-NATO del 1999 su Belgrado.

La stessa popolazione serba tende anche a partecipare di tanto in tanto a grandi manifestazioni contro le politiche della NATO e degli Stati Uniti. In particolare, il popolo serbo rifiuta il riconoscimento statunitense e internazionale del Kosovo come nazione sovrana , dato che storicamente era un cuore di etnia serba e cristiana ortodossa. Questa settimana, il presidente Vucic ha ordinato alle truppe serbe di raggiungere il confine con il Kosovo tra disordini e una situazione imprevedibile, anche perché ha condannato il governo del Kosovo per aver represso la minoranza serba lì.

L’articolo Per l’ambasciatore russo a Belgrado è in corso un tentativo di colpo di stato in stile Maidan proviene da Blondet & Friends.

5665.- Il Kossovo é il Donbass a 180°, ma non si dice

Di Mario Donnini. Aggiornato il 30 maggio 2023

Era il 1998 e, a Tirana, si offriva la nostra consulenza al governo albanese di Phatos Nano, comunista. C’erano in ballo più cose, dalla difesa all’ordine pubblico e, per me, sopratutto, l’assetto della difesa aerea e del traffico aereo in Albania. Come sempre, dovevamo confrontarci con le mire dei nostri alleati, americani, tedeschi, francesi e, poiché gli albanesi capirono che lavoravo per loro, mi diedero il massimo supporto di intelligence. La nostra offerta vinse così la concorrenza, ma, a cose fatte, si presentò la Deutsche Bank di Francoforte, uno dei principali gruppi bancari mondiali, che si fece carico di tutti i costi: asso piglia tutto. La fiducia ottenuta mi consentì di assistere alle spedizioni di armi, in partenza al sabato sera verso il Kossovo, per armare la popolazione albanese. Il Kossovo è serbo. Al tempo, tuttavia, gli albanesi kosovari avevano superato per numero l’etnia serba, ma si limitavano a una richiesta di autonomia. Fu così che un sabato sera, alla periferia di Tirana, assistetti al carico dei  Kalašnikov, ma a dirigere le operazioni c’erano due miei amici americani, esperti di agricoltura, che tutto sapevano, rispettivamente della cisterna volante KC-135 e dell’elicottero da attacco. A cena ci raccontavamo le nostre esperienze e giuro che sapevano di agricoltura quanto io di astronavi. Il legame che unisce la Russia alla Serbia è ben noto. Due considerazioni: La sostituzione etnica dei serbi ha funzionato in Kossovo con un referendum perché la Nato lo ha voluto. Non devono funzionare i referendum dei russofoni della Crimea e del Donbass perché la Nato non lo vuole.

Quelli che, oggi, chiamiamo Kossovari sono in buona parte gli albanesi diseredati che vedemmo risalire in colonne umane dall’Albania per occupare le case, le terre, le aziende dei serbi in fuga sotto le bombe della NATO, quindi, anche italiane, Mattarella, ministro della Difesa e D’Alema presidente del Consiglio regnanti. Le televisioni li spacciavano per albanesi in fuga dall’esercito serbo. I serbi sono rimasti solo nel Nord e sono quelli che, oggi, a ragione, protestano per il sindaco albanese. Gli altri serbi li ho visti nelle colonne di auto in fuga bruciate con le masserizie sui tetti, le famiglie dentro e i corvi a centinaia che inzuppavano il becco negli occhi dei morti. Ovunque, morti.

Andai, più o meno da solo, sette volte in esplorazione durante la guerra prima che giungessero i carri della divisione Ariete. A una curva mi apparvero, forse, i cadaveri di due cavalli, ma erano due serbi, marito e moglie. Lei con i piedi mozzati, per far godere il porco e lui legato con il filo spinato e mitragliato. “Sei stato tu?” chiesi in albanese al porco, nuovo proprietario, che si faceva avanti…

Mentre gli scontri fra i serbi e la NATO si allargano, mi spiace per i nostri alpini. Le missioni cosiddette di pace hanno un prezzo.

Kosovo: feriti negli scontri 25 militari Kfor, 11 sono alpini italiani

Tre connazionali gravi ma non in pericolo di vita

 © EPAFOTO

© ANSA/EPA. Da Redazione ANSA ROMA. Sera del 29 maggio 2023

Circa venticinque militari della Kfor, tra cui 11 alpini italiani, sono rimasti feriti nei gravi scontri fra truppe Nato e dimostranti serbi a Zvecan, nel nord del Kosovo.

Degli 11 feriti italiani, tre sono gravi ma non in pericolo di vita: avrebbero riportato ustioni e fratture.

Lo apprende l’ANSA da fonti informate. La Kfor era intervenuta per disperdere i dimostranti serbi che manifestavano davanti alla sede del Municipio locale per protestare contro l’insediamento del nuovo sindaco di etnia albanese. I militari hanno fatto uso di granate stordenti, mentre i dimostranti hanno lanciato sassi, bottiglie e altri oggetti contro le truppe Nato.

Zvecan è uno dei quattro maggiori comuni del nord del Kosovo a maggioranza serba alla cui guida sono stati eletti il 23 aprile scorso nuovi sindaci di etnia albanese a causa del boicottaggio elettorale dei serbi. Proteste analoghe sono in corso anche a Zubin Potok e Leposavic.

Alcuni dei militari italiani rimasti feriti sono stati colpiti da molotov o altri dispositivi incendiari. È quanto si apprende da fonti qualificate, secondo cui la situazione sarebbe ancora di tensione e sarebbe in atto un contenimento delle frange più violente di dimostranti. Altri tre militari italiani avrebbero “fratture esposte”.

Questa mattina la missione Nato Kfor aveva già incrementato la propria presenza nei quattro comuni del Kosovo settentrionale, e aveva invitato tutte le parti ad astenersi da azioni che potessero infiammare le tensioni o causare un’escalation. Il Comandante di Kfor, il generale di divisione Angelo Michele Ristuccia, è in stretto contatto con i suoi principali interlocutori, tra cui i rappresentanti delle istituzioni e delle organizzazioni di sicurezza in Kosovo, lo Stato Maggiore delle Forze armate serbe, nonché la Missione Eulex e altri rappresentanti della comunità internazionale. Kfor ha anche esortato Belgrado e Pristina a impegnarsi nel dialogo guidato dall’Unione Europea per ridurre le tensioni, unica via per la pace e la normalizzazione.

“Gli attacchi ingiustificati alle unità della Nato sono inaccettabili e la Kfor continuerà ad adempiere al suo mandato in modo imparziale”. È quanto sostiene il comandante della missione Kfor, il generale di divisione Angelo Michele Ristuccia, il quale sta seguendo in prima persona l’evolversi della situazione in Kosovo, dove almeno undici militari italiani della missione sono rimasti feriti, esprimendo la propria solidarietà agli uomini e alle donne della missione

Appartengono al nono Reggimento alpini L’Aquila i militari italiani rimasti feriti nei gravi scontri fra truppe Nato e dimostranti serbi a Zvecan, nel nord del Kosovo. Lo riferisce lo Stato Maggiore della Difesa, confermando che i militari del contingente italiano hanno riportato ferite da trauma e ustioni dovute all’esplosione di dispositivi incendiari. I feriti, subito soccorsi dalle unità mediche di Kfor, sono attualmente sotto osservazione del personale sanitario che ne sta accertando le condizioni. Il capo di Stato Maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, segue l’evoluzione della situazione per il tramite del Comando operativo di vertice interforze ed esprime vicinanza ai militari feriti e ai loro famigliari. Le unità di Kfor sono state impiegate da questo pomeriggio nel contenimento di violente manifestazioni nelle quattro municipalità del nord del Kosovo.

Solidarietà bipartisan ai militari italiani arriva dal mondo politico e istituzionale. 
“Esprimo inoltre la più ferma condanna dell’attacco avvenuto a danno della missione KFOR che ha coinvolto anche militari di altre Nazioni. Quanto sta accadendo è assolutamente inaccettabile e irresponsabile. “Non tollereremo ulteriori attacchi”. Così la premier Giorgia Meloni. “È fondamentale – aggiunge – evitare ulteriori azioni unilaterali da parte delle Autorità kosovare e che tutte le parti in causa facciano immediatamente un passo indietro contribuendo all’allentamento delle tensioni. L’impegno del Governo italiano per la pace e per la stabilità dei Balcani occidentali è massimo e continueremo a lavorare con i nostri alleati”. 

“A nome mio e del Governo, esprimo i miei più sinceri sentimenti di vicinanza ai militari italiani che sono rimasti feriti durante i disordini in Kosovo”, afferma la premier.  “Confermo ai militari italiani la mia vicinanza e la forte gratitudine del Governo per la straordinaria professionalità e l’encomiabile spirito di servizio che dimostrano in ogni circostanza”.

“Voglio esprimere solidarietà ai militari della missione Kfor rimasti feriti in Kosovo durante gli scontri tra manifestanti serbi e polizia kosovara. Tra di loro 11 italiani, di cui tre in condizioni serie ma non in pericolo di vita. I militari italiani continuano ad impegnarsi per la pace”. Lo scrive il ministro degli Esteri Antonio Tajani su Twitter. 

La Difesa e il ministro Guido Crosetto esprimono “vicinanza e augurano una pronta guarigione ai militari Nato Kfor italiani, ungheresi e moldavi rimasti feriti negli scontri in Kosovo”. Lo scrive su Twitter il ministero della Difesa.

Novak Djokovic ha dato il suo appoggio alla popolazione serba nel nord del Kosovo, dove è tornata alta la tensione interetnica con scontri fra truppe della Kfor e dimostranti serbi contrari ai nuovi sindaci di etnia albanese eletti nei quattro maggiori Comuni del nord a maggioranza serba. “Il Kosovo è il cuore della Serbia. Stop alla violenza!”, ha scritto il campione serbo su una telecamera al termine dell’incontro da lui vinto oggi contro l’americano Alexander Kovacevic nel primo turno al Roland Garros.

5524.- L’uranio degli stessi ipocriti che parlano di ambiente.

Missione KFOR:

É una domenica dell’agosto 2000, la prima in Kosovo. Si va a vedere i due carri armati bruciati trovati ai margini della futura pista di volo. Sono i famosi T-62, intatti di fuori, ma bruciati dentro.Guarda questo proiettile, che strano!” Lo tengo, non lo tengo? Lo butto sotto il carro armato serbo bruciato. Una settimana dopo mi giungono una, poi, un’altra direttiva sull’uranio impoverito con questa immagine… il proiettile è lui! La divulgo immediatamente. Due anni dopo: Aeroporto di Villafranca, un giorno del 2002: “Comandante, mi ha portato lei a visitare quel carro armato…!” Si comincia a sapere degli effetti, delle patologie dei militari contaminati e ammalati. Gli artificieri che distruggevano gli esplosivi rastrellati pagheranno il prezzo più alto. Ma l’uranio non era impoverito e perciò innocuo? Sono in congedo. Alla Camera, la mia direttiva cambia data. Le vie del Signore sono infinite, ma la musica non cambia.

Uranio impoverito: ecco quali sono le armi e le munizioni che Londra fornirà all’Ucraina

Dal Secolo d’Italia del 22 Mar 2023 10:34 – di Laura Ferrari

La Russia ha accusato la Gran Bretagna di voler scatenare un “genocidio” fornendo all’Ucraina armi con uranio impoverito. “L’uso di munizioni con uranio impoverito è una manifestazione di genocidio della popolazione contro la quale sono usate e delle persone che le usano”, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova,in un’intervista alla ‘Sputnik‘.

Londra risponde: “Putin fa disinformazione”

Anche il presidente russo, Vladimir Putin, ha criticato apertamente la decisione della Gran Bretagna di consegnare all’esercito di Kiev munizioni con uranio impoverito. Ieri sera il ministero della Difesa britannico in una nota ha respinto le accuse, spiegando che si tratta di “un componente standard” che ”non ha nulla a che fare con armi o capacità nucleari”. E questo “la Russia lo sa, ma sta deliberatamente cercando di disinformare”, si precisa nella nota.

Sull’argomento:

  •  Uranio impoverito, ex militare scrive alla Trenta: “Malata io e il mio bimbo”
  • La polemica: due o tre cose che sappiamo sull’uranio impoverito…
  • 10 Feb 2018 18:49 – di Antonio Pannullo.
  •  Ucraina, Putin: “Reagiremo all’uso di armi con uranio.

La Gran Bretagna ha in dotazione almeno due tipi di proiettili a uranio impoverito: le Charm 1 e le Charm 3. Entrambi possono essere utilizzati come munizioni per i cannoni da 120 millimetri, montati su alcuni carri armati in dotazione all’esercito. Possono essere montanti anche sui carri armati Challenger 2, i tank che il governo britannico ha intenzione di inviare alle forze armate ucraine. Secondo gli esperti, “sono proiettili che permettono di distruggere i tank con un’efficacia decisamente superiore rispetto a quelli che le forza armate ucraine usano ora”.

Londra ha ripetutamente rivendicato il diritto a possederli e a farvi ricorso: evidenziandone l’efficacia e insistendo a minimizzarne l’impatto radioattivo come asseritamente trascurabile.

Che cos’è l’uranio impoverito

L’uranio impoverito è un sottoprodotto del procedimento di arricchimento dell’uranio, utilizzato sia in ambiti civili che militari. Il suo utilizzo è agevolato dai bassi costi e da una facile reperibilità. In campo militare, l’uranio impoverito è utilizzato nelle munizioni anticarro e per perforare i mezzi corazzati. Dopo un trattamento specifico, infatti, l’uranio impoverito diventa duro e resistente, denota un’elevata densità e risulta molto efficace proprio se utilizzato con il fine di penetrare i mezzi corazzati del nemico.

Nella fabbricazione del proiettile all’uranio impoverito è utilizzata anche una piccola percentuale di plutonio. Il plutonio e l’uranio, all’atto dell’esplosione, sviluppano una piccola reazione atomica che eleva la temperatura del punto di contatto del proiettile. Così facendo, la corazza di un carro armato viene penetrata e fusa. Dopo l’impatto, una parte dell’uranio contenuto inizialmente nel proiettile si dissolve nell’aria.

La sua radioattività è considerata di basso livello ma l’esposizione a questo materiale può causare danni a pancreas, reni, stomaco, intestino. In taluni casi può avere effetti carcinogeni o creare malformazioni in uno o più organi del feto. Uno dei rischi più importanti è legato all’inalazione del materiale polverizzato o alla sua introduzione nell’organismo tramite cibo o acqua. Manifestazioni di tossicità sono poi possibili anche nel caso di contatto attraverso ferite. Le malattie sviluppate dai militari durante le guerre in Iraq, Afganistan e nei Balcani sono state definite come Sindrome della Guerra del Golfo e Sindrome dei Balcani.

La polemica sull’uranio impoverito…

LA POSIZIONE DELL’ASSODIPRO SULL’URANIO IMPOVERITO UTILIZZATO NELLA GUERRA IN KOSOVO E BOSNIA

IL SEGRETARIO GENERALE

ALBERTO TUZZI

1) INTRODUZIONE

I veicoli, i materiali e gli edifici bombardati nei teatri di guerra della BOSNIA e del KOSOVO rappresentano una minaccia alla salute dei soldati e dei civili che vengono a contatto con questi materiali.

I rischi per la salute derivano dai bombardamenti e dai proiettili all’uranio impoverito (DU Depleted Uranium) effettuati dalla NATO (ONU in Bosnia) relativamente ai veicoli colpiti direttamente o indirettamente.

I collimatori contengono Tritio e le strumentazioni possono essere trattate con vernice radioattiva, pericolosa per il personale che dovesse accedervi per ispezione.

2) INFORMAZIONI TECNICHE

L’uranio impoverito (Depleted Uranium) è l’U 238, nel quale la maggior parte degli isotopi radioattivi è stata rimossa. L’uranio impoverito è un sottoprodotto del processo di arricchimento dell’uranio naturale, processo necessario per l’uso nei reattori nucleari. Essendo un sottoprodotto risulta il 40 % in meno radioattivo dell’U 238 (commerciale) usato nelle centrali nucleari, ma comunque pericoloso. Alcuni eserciti (USA e GB) hanno pensato di utilizzarlo nella costruzione di munizionamento di tipo perforante, infatti le munizioni con l’uranio impoverito hanno effetti molto più perforanti del normale munizionamento.

Il DU emette radiazioni Alfa e bassi livelli di radiazioni Beta e Gamma. Secondo fonti ufficiali dello Stato Maggiore, le normali uniformi da combattimento sono sufficienti per prevenire l’assorbimento per via cutanea, mentre la reale minaccia è rappresentata dalla possibile inalazione.

Il munizionamento con U 238 è normalmente di colore argento\bianco, dopo essere stato sparato si ossida e assume una colorazione nerastra. Tuttavia talvolta può assumere una colorazione giallo-oro o addirittura verde. L’uranio impoverito provoca avvelenamento da metallo pesante ed il personale deve assolutamente evitare i mezzi e gli edifici sospettati di essere stati colpiti con questo tipo di munizionamento.

La minima distanza di sicurezza non deve essere inferiore a 50 metri. Se ci si deve avvicinare ulteriormente è necessario indossare maschera e guanti per evitare l’assorbimento o l’inalazione della polvere radioattiva.

3) COS’E’ L’URANIO IMPOVERITO

L’uranio impoverito è un metallo pesante con un peso specifico doppio del piombo, è chimicamente tossico e radioattivo.

E’ detto impoverito perché il 45% di un isotopo, l’U-235, è stato rimosso per l’impiego militare, le radiazioni Alfa, Beta e Gamma hanno un tempo di dimezzamento di 4,5 miliardi di anni.

La differenza di radioattività tra l’uranio naturale e l’uranio impoverito è che a parità di qualità, l’uranio impoverito ha circa la metà di radioattività della normale misurata nell’uranio naturale. Tuttavia in realtà, a causa del 100% di concentrazione UI è più radioattivo di quello naturale. I proiettili bruciando con l’impatto, liberano il tipico, tossico e radioattivo pulviscolo con particelle di 5 o 6 micron.

Per realizzare la bomba all’uranio esplosa ad Hiroshima, in Giappone, e le altri armi all’uranio è stato necessario eseguire la fissione dell’isotopo di uranio U-235 separandolo dall’isotopo U-238 mediante neutroni lenti. Allo stato naturale l’uranio è composto all’incirca da U-238 per il 99,3% e da U-235 per il restante 0,7%. Per ottenere dunque pochi chilogrammi di U-235 viene prodotta, oltre alle scorie di U-235, piu’ di una tonnellata di scorie di U-238.

Sin dal 1957 sono stati organizzati convegni sul possibile utilizzo dei 500 milioni di tonnellate di scorie DU. In una fase iniziale, il DU venne impiegato al posto dell’U-235 nei testi nucleari di Los Alamos, nel Nuovo Messico, effettuati nel 1945 con armi del tipo impiegato a Hiroschima.

Ma un uso piu’ importante, in una prima fase, è stato come materiale “riflettente” interposto tra il combustibile ad alta esplosività ed il nucleo di plutonio di bombe come il Fat Man, fatte esplodere ad Alamogordo, nel Nuovo Messico, a Nagasaki, in Giappone, e per due volte nel corso dell’operazione Crossroads. L’U-238 era utilizzato sia per tenere insieme il nucleo al fine di ottenere una migliore fissione sia per respingere i neutroni verso il nucleo in modo da aumentare il numero delle fissioni. La dimensione del nucleo del Fat Man non superava quella di un pompelmo. Tuttavia, considerando il riflettore ed il materiale esplosivo circostante, il diametro della bomba raggiungeva il metro e mezzo.

Inoltre, circa il 20% del potenziale esplosivo del Fat Men, equivalente a 21 mila tonnellate di tritolo, derivava dalla fissione dell’U-238 provocata dai neutroni veloci, prodotti in grandi quantità nel corso di una fissione.

Questa caratteristica dell’U-238 di accelerare la fissione ha portato al suo utilizzo nelle bombe termonucleari ulteriormente la capacità esplosiva. In questo caso la reazione è provocata da una piccola bomba a fissione che genera il calore e la pressione necessari a ottenere la fusione dell’idrogeno e quindi la fissione dell’U-238 ad opera di neutroni veloci prodotti in grandi quantità sia dal detonatore a fissione che dalla fusione.

Aspetto negativo di questo procedimento è il fatto che produce grandi quantità di residui della fissione nella reazione fusione-fissione a causa del rilevante quantitativo di DU utilizzato per incrementare la capacità esplosiva complessiva rispetto a quanto avviene nella semplice fusione. L’ingente aumento di questi residui costituiva, pero’, un risultato opposto rispetto all’intento di creare una “bomba pulita”.

L’elevato follout prodotto in test come lo Shot Bravo, eseguito nel Pacifico nel corso del 1954, provoco’ una rilevante esposizione alle radiazioni ß dei marinai del peschereccio giapponese Lucky Dragon e del personale in servizio sulle navi della marina statunitense. Allo stesso modo, il follout colpi’ gli abitanti di Rongelap, isola dell’arcipelago Marsahll, ed il personale militare statunitense di stanza nell’isola di Rongerik.

A parte le armi nucleari, il DU ha trovato altre applicazioni militari. Esso è stato infatti impiegato nella produzione di proiettili ad elevata penetrazione e di corazzature per i carrarmati. Nel poligono del Nevada Test Site, furono condotti i test per determinare i rischi derivanti dall’esplosione di munizioni al DU. La sperimentazione si è estesa fino a prendere in considerazione i casi di esplosione ll’interno di navi da carico, veicoli da combattimento leggeri Bradley, torrette e scafi dei carrarmati Abrams. E proprio queste sono state le forme di impiego del DU nella guerra del Golfo, causa di morti e ferimenti da “fuoco amico”.

A Oak Ridge, nel Tennessee, il DU venne prodotto in grandi quantità durante le operazioni connesse al processo di arricchimento dell’U-235. Nel corso della seconda guerra mondiale queste operazioni hanno causato l’esposizione alle radiazioni di un grande numero di civili e militari; e le radiazioni hanno colpito anche coloro che erano impegnati nella fabbricazione della bomba – Los Alamos e in atri siti – e nell’esecuzione delle operazioni ad essa connesse, come la produzione dei riflettori per la bomba a fissione e di altri componenti per la bomba all’idrogeno. Migliaia di queste persone sono state esposte alle radiazioni emesse dal DU subendone gli effetti sulla propria salute.

Il personale militare esposto al DU durante la guerra del Golfo ha sviluppato una serie di patologie probabilmente causate dall’effetto sinergico dell’esposizione combinata alle particelle in sospensione sviluppatesi dagli incendi dei pozzi, agli agenti chimici o biologici rilasciati dalle armi utilizzate dall’Irak e alle reazioni negative ai vaccini. Il nostro pensiero torna ai veterani della sperimentazione atomica esposti a radiazioni ionizzanti, al DU e probabilmente ad altri agenti tossici sviluppatisi nel corso di test nucleari eseguiti nel sottosuolo e nell’atmosfera.

4) UTILIZZO DELL’URANIO IMPOVERITO IN CAMPO MILITARE E CIVILE

a) Campo Civile:

i suoi usi più significativi sono in medicina come materiale per la schermatura delle radiazioni, in mineralogia nei pozzi petroliferi nei pesi usati per affondare le trivelle nel fango; in ambito aero-spaziale come contrappeso e per le superfici di controllo degli aerei (ogni B 747 contiene 1500 Kg di uranio impoverito). E’ stato usato anche in rotori giroscopici ad alte prestazioni come quelli di alcuni tipi di elicotteri e negli jacht da competizione.

b) Campo militare:

in ambito militare l’uranio impoverito è usato principalmente nel munizionamento anticarro degli USA. I mezzi che ne sono dotati sono l’aereo A-10, Warthog, l’elicottero AH-64 Apache, che sono equipaggiati con cannoncini GE GAU – 8/Avenger in grado di sparare proiettili da 30 mm al DU e i carri armati M1, M1 A2 e M60 A3.

L’uranio impoverito viene anche usato nelle corazzature avanzate, come quelle usate dal nuovo carro armato M-1 Abrams.

Infine i missili Tomahwak sono dotati di testate ad uranio impoverito.

5) COME EVITARE L’ESPOSIZIONE

Evitare ogni mezzo, materiale o edificio che si sospetta essere stato

colpito da munizionamento DU o missili da crociera Tomahwak. Non

raccogliere e collezionare munizionamento UI trovato sul terreno.

Informate immediatamente il vostro Comando circa le aree che voi ritenete contaminate. Se vi trovate in un’area contaminata da munizionamento UI (es. vicino a carri distrutti o a costruzioni distrutte da missili) indossate come minimo la maschera ed i guanti di protezione. Provvedete ad un’ottima igiene personale e lavare frequentemente il corpo ed i vestiti.

LAVA LA TUA UNIFORME FREQUENTEMENTE

ATTENZIONE

La contaminazione con la polvere UI inquina cibo ed acqua. Non mangiare assolutamente cibo non controllato.

Particelle che fossero state inalate possono causare danni ai tessuti interni nel lungo termine.

Se pensate di essere stati esposti a polvere UI, fate immediatamente un test delle urine nelle successive 24 ore per analizzare la presenza di U 238, U 235, U 234 e creatina. Il personale risultato positivo al test dovrebbe assumere agenti specifici per rimuovere il più possibile le particelle contaminate e presenti nel corpo.

REGOLE D’ORO

RIMANI LONTANO DA CARRI ARMATI BRUCIATI E DA EDIFICI COLPITI DA MISSILI DA CROCIERA.

SE LAVORI ENTRO 500 MT DI RAGGIO DA UN VEICOLO O COSTRUZIONE DISTRUTTI INDOSSA PROTEZIONE PER LE VIE RESPIRATORIE.

INALAZIONE DI POLVERE INSOLUBILE UI SONO ASSOCIATE NEL TEMPO CON EFFETTI NEGATIVI SULLA SALUTE QUALI IL TUMORE E DISFUNZIONE NEI NEONATI.

QUESTI POTREBBERO NON VERIFICARSI FINO A QALCHE ANNO DOPO L’ESPOSIZIONE.

GLI EFFETTI DELLA RADIOATTIVITA’:

*caduta dei capelli *cataratte *distruzione del tessuto cerebrale *disturbi del comportamento *leucemie *anomalie genetiche *danni alle ossa ed al sistema immunitario *cancro ai reni *cancro alla tiroide *distruzioni delle pareti intestinali *cancro al polmone.

LE CIFRE DELLE MISSIONI:

I proiettili all’uranio impoverito lanciati dagli aerei americani:

nella guerra del KOSOVO: 31.500

in BOSNIA tra il ’94 e il ’95: 10.800

14.180 le pallottole radioattive che sono state utilizzate nella zona di PEC, di competenza italiana

40.000 i soldati del nostro contingente nazionale che sono stati destinati in questi anni nei balcani

15.000 volontari civili italiani che hanno operato in questi anni nell’area dei balcani

4.000 gli anni in cui si concludono gli effetti della contaminazione da uranio nell’ambiente.

estratto conferenza stampa di : peaceLink

L’URANIO IMPOVERITO UCCIDE

AUMENTA IL NUMERO DEI MILITARI ITALIANI IN KOSSOVO COLPITI DA LEUCEMIA

Cosa è e a che serve l’uranio impoverito?

Il Depleted Uranium (uranio impoverito) “è praticamente la sostanza più pesante esistente in natura; i proiettili Depleted Uranium, sviluppati a partire da una tecnologia tedesca, hanno una elevata forza di penetrazione e funzionano in maniera ottimale per penetrare corazze d’acciaio”, documenta il prof.Siegwart-Horst Gunther, presidente della Croce Gialla Internazionale e membro onorario dell’Accademia polacca di Scienze (1). “Negli ultimi cinque anni – spiega lo scienziato – ho potuto condurre in Iraq moltissimi esami. Ho riscontrato, soprattutto nei bambini: crollo del sistema immunitario, sintomi simili all’aids, disfunzioni a reni e fegato, leucemia, gravi forme di anemia o cancro maligno, malformazioni genetiche, aborti o parti prematuri”.

Quanto dura la radioattività dei proiettili all’uranio impoverito (depleted uranium)?

L’uranio impoverito rimane attivo per 4 miliardi e mezzo di anni.

In che modo può essere dannoso l’uranio impoverito?

Se aspirato o ingerito può causare gravi malattie agli organi interni, provocare tumori o danni genetici.

Che conseguenze può avere sull’ambiente?

Il Depleted Uranium ha conseguenze a lungo termine: le particelle tossiche prodotte dalla combustione del proiettile possono essere trasportate dal vento a centinaia di chilometri di distanza prima di depositarsi sul terreno ed entrare nella catena alimentare o inquinare la falda acquifera”.

Quanti militari italiani utilizzati nei Balcani si sospetta siano vittime dell’uranio impoverito?

Diversi militari italiani si sono ammalati di leucemia. Da un censimento in corso i morti sarebbero 7 mentre 12 sarebbero i malati di leucemia, ma le cifre sembrano destinate ad aumentare.

Il primo a morire è stato un militare sardo (Pintus), seguito da un altro sardo (Salvatore Vacca) e da un pugliese (Andrea Antonaci), i cui familiari hanno chiesto alle FF.AA. un risarcimento di 5 miliardi. A metà dicembre è emersa la denuncia degli elicotteristi romani che hanno lavorato negli hangar dove sono stati ospitati i velivoli utilizzati in Bosnia: 12 si sarebbero ammalati e 4 hanno già perso la vita. A ciò si aggiungono i casi raccolti dal maresciallo Domenico Leggiero (membro dell’Osservatorio nazionale per la tutela delle forze armate) e da giornalisti dell’Unione Sarda di cui è interessante consultare il sito Internet http://www.unionesarda.it

Chi possiede i proiettili all’uranio impoverito?

Proiettili all’uranio impoverito sono in dotazione agli aerei A-10 Thunderbolt americani e ai Tornado inglesi. Anche i francesi dispongono di simili proiettili.

Il pericolo dell’uranio impoverito non era conosciuto fino ad ora?

Il pericolo era conosciuto, tanto che il parlamentare pacifista Domenico Gallo aveva presentato un’apposita interrogazione quando era ministro della Difesa il generale Corcione. Non ha mai ricevuto risposta. I comandi militari Usa avevano inviato ai soldati delle indicazioni sui rischi dell’uranio impoverito fin dal 1993.

Quando le forze armate italiane hanno fatto conoscere ai soldati il rischio dell’uranio impoverito?

Il 6 maggio 2000 lo Stato Maggiore dell’Esercito ha diramato ai comandi (con sette anni di ritardo rispetti ai comandi americani) un documento in cui si legge che il contingente italiano in Kossovo “può essere definito soggetto a rischio di contaminazione da uranio impoverito”.

Come è stato valutato in passato il rischio “uranio impoverito” dai comandi militari italiani?

In piena guerra del Kossovo (17 maggio 1999) il generale Giuseppe Marani, portavoce militare della Nato dichiarava all’Ansa che i proiettili all’uranio impoverito “non comportano alcun rischio” e che il loro livello di radioattività “non è superiore a quello di un orologio”.

Cosa ribatteva PeaceLink al generale Marani?

PeaceLink durante la guerra del Kossovo diffondeva un dossier in cui vi era scritto: “Un rapporto segreto dell’Agenzia atomica inglese (rivelata nel novembre ’91 dal giornale “The Independent”) calcolava che nella guerra del Golfo erano stati utilizzati 14.000 proiettili all’uranio impoverito che nel lungo periodo sarebbe stato responsabile della morte di 500 mila persone. Ma Greenpeace, attingendo a dati più recenti grazie al Freedom of Information Act, è arrivata a documentare un totale di 940.000 munizioni per un totale di 300 tonnellate di uranio impoverito sparate da Usa e Gran Bretagna nella Desert Storm. Solo una settimana dopo la fine della ostilità i soldati alleati sono stati avvertiti degli effetti dei proiettili all’uranio e dei pericoli connessi al loro uso in battaglia; ora accusano i sintomi della cosiddetta “sindrome del Golfo”. (Fonti: Guerre&Pace, marzo 1999; The Independent 16/10/98 “The evidence is there. We caused cancer in the Gulf” ossia “L’evidenza e’ lì Noi causammo il cancro nel Golfo”, articolo di Robert Fisk)”.

(1) questo scienziato, dopo aver indagato sui proiettili Depleted Uranium usati nella Desert Storm, è scampato a un attentato; in Germania è stato arrestato e maltrattato, dopo che la polizia gli aveva sequestrato bossoli radioattivi portati ad analizzare.

PER AVERE ALTRE INFORMAZIONI CONTATTA I SITI:

http://Stop-U238.I.am

http://ENADU.am

http://www.sindromedeibalcani.superava.it

Intervista esclusiva a uno dei professori chiamati a integrare le inchieste condotte dalle procure di Venezia e Pordenone Il perito sull’uranio: “Le autorità sapevano” Zucchetti spiega i rischi per l’uomo e l’ambiente. Il rapporto con le leucemie, pur raro, esiste

Il professor Massimo Zucchetti, esperto in radioprotezione, impianti nucleari ed effetti biologici del Politecnico di Torino, è uno dei periti nominati dal magistrato Felice Casson in relazione all’indagine avviata dalla procura veneziana, ma estesa anche ad altre procure, come quella di Pordenone a cura del pm Federico Facchin, sulla base dell’esposto presentato da “Medicina Democratica” in merito all’utilizzo dell’uranio impoverito nella costruzione di aerei civili e militari. “Indagine e perizia sono ancora in corso” conferma il professor Zucchetti, motivando così il dovuto riserbo, ma non si sottrae a domande inerenti gli aspetti tecnici connessi all’utilizzo di questo materiale per scopi militari e civili. “L’uranio impoverito diviene pericoloso – continua Zucchetti – quando viene inalato o ingerito. Viene inserito nella punta dei proiettili per l’alta capacità che possiede nel forare le corazze degli automezzi blindati. Quando il proiettile colpisce il bersaglio ed esplode, si forma una nube radioattiva che investe le persone che si trovano nel raggio d’azione di quella nube”.

Diverso l’ordine di rischio nel caso in cui l’uranio depleto venga utilizzato per scopi civili, nel caso specifico gli aerei, laddove viene applicato sulla punta delle ali e nei piani di coda con funzione di bilanciamento del velivolo durante l’atterraggio. Evidente il rischio di inalare particelle radioattive per un lavoratore che utilizzi, ad esempio, una fresa nella parte del velivolo impregnata dall’uranio.

O ancora, nel caso di disastro aereo, laddove l’incendio che si sviluppa non è solo chimico ma anche radioattivo.

“Gli studi in corso – aggiunge il docente – tendono a dimostrare che il rischio di accadimenti di questo genere è minimo, ma evidenziano anche una pressoché totale carenza di informazioni. Nessuna autorità – prosegue il professor Zucchetti – ha mai informato i vigili del fuoco in servizio presso gli aeroporti di questa eventualità”. E i rischi, a quanto stabilisce la legge, grandi o piccoli che siano, devono essere oggetto di adeguata comunicazione. Cosa che, sulla base delle inchiesta in corso, le autorità aeroportuali non avrebbero mai compiuto, e che potrebbe costituire un supplemento d’indagine per i pubblici ministeri.

Di esplosioni, ovviamente non accidentali, in Serbia, nel Kosovo, in Bosnia, ce ne sono state a migliaia. I proiettili all’uranio impoverito che hanno raggiunto il suolo, le fabbriche, i mezzi blindati. Nella sola Sarajevo furono lanciati 500 missili Cruise e ogni missile conteneva 20 chilogrammi di uranio 238, pari a 1.000 tonnellate. Ecco da dove arriva l’uranio impoverito in Bosnia.

E se l’esposizione alla contaminazione pare essere stata in grado di mietere vittime tra i militari delle forze di pace, tra la popolazione locale che cosa sta accadendo?

“I problemi per quelle popolazioni sono enormi e non solo connessi all’uranio impoverito. Sono state, e sono tuttora esposte – ancora il professor Zucchetti – a materiali inquinanti rilasciati nell’aria dalle industrie chimiche rase al suolo, dalle raffinerie distrutte.

La zona industriale di Pancevo, che potremmo paragonare a Porto Marghera, è stata polverizzata e il suo contenuto vaporizzato nell’aria. Provi ad immaginare che cosa accadrebbe se un evento simile si abbattesse su Porto Marghera, che già provoca diversi casi di carcinoma ogni anno. L’uranio impoverito – aggiunge il docente universitario – è il tracciante morale per faremergere una catastrofe ecologica di immani proporzioni e che investe drammaticamente la popolazione serba, quella kosovara, quella bosniaca. I dati del comune di Pancevo, relativi al 2000, sull’insorgenza di tumori tra la popolazione, parlano di 10.000 casi; l’anno precedente al bombardamento erano 1.000″.

Uranio e non solo, benzene, diossina, Pcb… veleni che hanno contaminato aria, acqua, suolo e sulla cui pericolosità è mancata, anche in questo caso, l’informazione.

“E’ certamente vero che i militari inviati in missione nei Balcani non sapessero di essere esposti a questi rischi. Ma è indubbio – prosegue il professor Zucchetti – che le autorità sapevano. Esistono decine e decine di documenti militari statunitensi che avvertivano sull’utilizzo di questi materiali”.

C’è correlazione tra la contaminazione da uranio impoverito e la leucemia?

“L’uranio contamina le matrici ambientali. Si disperde nell’aria per poi ricadere al suolo e depositarsi sul terreno, sulle verdure, sull’erba di cui gli animali si nutrono, percola il terreno assieme alle precipitazioni atmosferiche, contamina le falde acquifere e, quindi, ritorna all’uomo. Inalato o ingerito si comporta come molti altri metalli pesanti, passa attraverso i polmoni, i reni e arriva alle ossa dove viene assorbito e, continuando ad emettere radiazioni sul midollo spinale, provoca la leucemia”.

Sei casi sospetti, in Italia, di decessi che potrebbero essere riconducibili all’esposizione da uranio impoverito. Ma qual è, secondo gli studi epidemiologici, l’incidenza della leucemia nei giovani tra i 20 ed i 30 anni?

“Le statistiche Istat parlano di un caso ogni 100.000 giovani di età compresa tra i 25 ed i 28 anni. Sei casi ogni 50.000, quali quelli di cui oggi si discute, portano il rapporto a 1 ogni 10.000. Qualcosa che non funziona evidentemente c’è. E’ vero che questi giovani possono aver respirato del benzene o essere stati esposti ad altri agenti cancerogeni, ma la leucemia è una “firma” dell’uranio impoverito”.

Tra le dichiarazioni recenti di esponenti politici c’è anche quella secondo la quale nessuna legge internazionale vieta l’utilizzo di armamenti all’uranio depleto.

“Evidentemente nessuno legge le risoluzioni dell’Onu – replica il docente -. Nel ’96 un’apposita risoluzione raccomandava di bandire queste armi catalogandole allo stesso modo delle armi a frammentazione. E’ stata approvata con 15 voti favorevoli ed uno contrario, quello degli Stati Uniti, che peraltro avevano votato contro l’abolizione delle mine antiuomo”.

A CURA DELLA SEZIONE ASSODIPRO

DI UDINE

5032.- Le guerre europee vengono dal mare. 

Strilla da sotto il letto? No, ma quasi. Soffia sul fuoco dall’altra parte dell’Atlantico.
Non solamente il riarmo nazista, i camion Opel Blitz, i motori Ford e, più recentemente, la guerra alla Yugoslavia, in Kosovo, in Ucraina, hanno molto di americano. Ma anche per il futuro, fino a che il dollaro, non avrà compiuto tutta la sua parabola discendente, l’Europa sarà teatro di guerre e la Russia sarà spinta nel campo nemico. Non finirà con l‘Ucraina e per il Kosovo, che serbo ad oggi rimane, Pristina si è già candidato a entrare nella NATO. La ragione semplice, forse troppo, è che chi controllerà l’Eurasia, appunto, l’Europa e la Russia dominerà il mondo e se non è abbastanza forte per controllarle, le vuole distrutte o giù di lì, almeno economicamente. Infatti, con l’Ue, siamo retrocessi da quasi quarta potenza industriale a questo pianto.

Degli inglesi sappiamo si è parlato abbastanza, ma gli americani sono una cosa, gli Stati Uniti e la loro Nato sono altra cosa e non portano pace. Mettiamo in fila le guerre scatenate in questa Europa e vediamo che se non anno lo stesso padre, hanno comunque uno zio potente in comune di là dall’Atlantico. Il primo ricordo della nostra storia in cui appare l’”America” è il Trattato di Versailles, con il presidente Wilson. Sistemata alla meglio la questione adriatica, grazie a Gabriele D’Annunzio e ai fiumani, con l’avvento del governo autoritario fascista, l’Italia sembra avviata verso una stagione di riforme e di crescita, sciupata dalla Guerra etiopica e resa incerta dall’incertezza politica in Europa. Arriviamo all’avvento del Nazismo e al riarmo tedesco. La Germania e l’Austria erano uscite stremate dalla Prima Guerra Mondiale. I popoli del mare dovettero la loro vittoria anche all’afflusso di ogni bene attraverso gli Oceani. I fucili Enfield degli inglesi sono sti fabbricati a milioni in tutto il mondo e ricordo bene il timbro viola su un bistecca della Marina nel 1965. Diceva: “Argentina 1914”. Finita la guerra, sulle navi della Flotta d’Alto Mare dei tedeschi si scioperava per la fame. Come fu possibile che, in pochi anni, i nazisti furono in grado di creare l’esercito motorizzato e potente che sbalordì il mondo con la Guerra Lampo? È vero che l’obbiettivo di quella macchina infernale era la Russia? Chi ha motorizzato la Wermacht voleva che invadesse la Russia? Risposta: “Gli americani hanno finanziato il riarmo nazista!” “Chi controllerà l’Europa e la Russia, l’Eurasia avrà il controllo del mondo”. Ma i soldati americani sono morti per darci la democrazia! Dimentichiamo che, nella Seconda Guerra Mondiale, contro ogni americano caduto, si contano 53 soldati russi caduti.

Certo rimane difficile capire perchè delle grandi aziende multinazionali famose ancora oggi, abbiano collaborato con i nazisti ma la risposta più semplice è sempre quella più valida: questione di business. Quali fossero le principali di queste aziende ce lo dice Massy Biagio.

11+1 Aziende Famose che Hanno Collaborato con i Nazisti

  1. Una su tutte é la vicenda dell’Allianz , uno dei principali gruppi assicurativi europei e l’11° più grande gruppo finanziario del mondo di oggi. Allianz faceva assicurazioni sulla vita agli ebrei internati nei campi di concentramento (assicurazioni pagate dagli ebrei) e quando questi morivano, il premio assicurativo andava al partito nazista.  Dei veri e propri geni del male.
  2. Tissen Krupp: furono le acciaierie più famose del mondo per lungo periodo durante l’800, oggi questo marchio è proprietario dell’acciaieria di Terni. I coinvolgimenti con in nazisti vanno ben al di là della fornitura di acciaio per cannoni e carri armati e altre armi, ma si parla di prigionieri schiavi che hanno lavorato per anni all’interno di queste acciaierie.
  3. Kodak ( famosissima ditta americana) da canto suo, nelle sue filiali tedesche, utilizzava degli schiavi provenienti dai campi di concentramento, dei veri furbacchioni che si sono arricchiti non pagando i propri operai o pagando i loro carcerieri.
  4. Hugo Boss è il famoso marchio di moda tedesco. Lo stesso Hugo Boss aveva aperto la propria ditta nel 1923, ma fu solo DOPO che l’omonimo proprietario si iscrisse al partito nazista e conobbe personalmente Adolf Hitler, che riuscì ad aggiudicarsi la fornitura di divise delle SS, della Gioventù hitleriana e di una parte della wermarcht, che questa azienda si espanse, divenne solida e famosa
  5. Henri Ford era un antisemita convinto e lui e la sua ditta furono i più importanti sostenitori non tedeschi del nazismo. Henry Ford conobbe personalmente Hitler, il quale lo insignì di un’importante medaglia nazista, lo stesso Henry Ford infatti aiutò finanziariamente l’ascesa di Hitler e del Partito Nazista in Germania. Le fabbriche della Ford produssero veicoli per i nazisti anche DOPO che l’America entrò in guerra con la Germania. Chissà se oggi gli antifascisti che comprano le macchine Ford sanno di questo particolare
  6. Non tutti sanno che l’IBM prima di diventare una delle più grandi industrie informatiche del mondo, produceva macchine di calcolo per aziende, infatti aprì nel 1911. IBM è sempre stata una fornitrice dei tedeschi, quando un editoriale del NYT diceva che probabilmente i nazisti, dopo aver invaso la Polonia avrebbero deportato milioni di ebrei, IBM con una nota interna fece notare questo fatto, dicendo che sarebbe stato il caso di produrre più macchine calcolatrici da vendere ai nazisti.
  7. Chase Bank , oggi JP Morgan Chase fu una delle banche mondiali che più appoggiarono il regime nazista. Chase Bank congelò tutti i conti correnti degli ebrei ( alla faccia di chi dice che gli ebrei controllano e comandano tutta la finanza) e collaborò attivamente con il regime nazista. (fonte)
  8. La Bayer , è oggi una delle aziende farmaceutiche e chimiche più famose del mondo, ma è solo una costola della IG Farben , proprio quella che produceva il gas per le camere a gas naziste, inoltre sovvenzionò e trasse dei benefici diretti dagli esperimenti di Joseph Mengele sui prigionieri dei nazisti   (fonte)
  9. Volkswagen: la macchina del popolo ( il maggiolino) fu ideato direttamente da Hitler e dal signor Ferdinand Porche, padre padrone di Porche e Volksvagen. Durante la guerra si calcola che almeno 4 operai su 5 di questa fabbrica erano schiavi.
  10. La Fanta é un prodotto della Coca-Cola. La multinazionale americana, oltre a vendere coca cola agli alleati, la vendeva pure alle truppe tedesche, quando però si trovo in difficoltà a recuperare le materie prime, la sua filiale tedesca iniziò a produrre Fanta, e usò un ritrovato a base di formaggio, molto più reperibile in Germania.
  11. Standard Oil: l’azienda avviata da uno dei più grandi squali della storia del capitalismo, Rockefeller, era l’unica in grado di produrre uno speciale combustibile per aerei, senza il quale gli aerei tedeschi non si sarebbero MAI potuti alzare da terra!!. Quando l’America entrò in guerra e scattarono le sanzioni contro la Germania, la Standard Oil continuò a produrre e a vendere ai nazisti questo preziosissimo carburante, tanto che alcuni suoi responsabili rischiarono l’accusa di tradimento da parte del governo americano.
  12. Aggiungo, a mia memoria, la banca del nonno del presidente Bush, Prescott Bush.

Sul riarmo nazista, anziché ripeterci, lasciamo parlare Michel Collon

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New York, 30 luglio 1938 . L’ambasciatore tedesco appunta sul petto di Henry Ford l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine dell’Aquila Tedesca, che è la più alta del regime nazista conferibile ad uno straniero, premiando l’impegno della sua filiale Ford in Germania nel rifornire l’esercito nazista di mezzi blindati.

Sì, ma gli stessi statunitensi ci hanno liberati nel 45!”  Quante volte, l’ho sentito! Sui banchi di scuola. Ma anche nei dibattiti sulle guerre attuali degli USA.  40-45, la sola ‘buona’ guerra USA? Forse.  Qualche fatto sconcertante è stato documentato in un eccellente libro dello storico Jacques Pauwels (1).
I Suoi documenti irrefutabili provano che una grande parte delle società USA ha accuratamente collaborato con Hitler, e non solo all’inizio della guerra: Du Pont, Union Carbide, Westinghouse, General Electric, Goodrich, Singer, Kodak, ITT, JP Morgan…  Peggio. La grande novità strategica di Hitler, fu la “Blitzkrieg“, la guerra-lampo: portare assai velocemente le sue truppe nel cuore dell’avversario. Perciò, due condizioni indispensabili: camion e benzina. La Germania non aveva nessuno dei due, fu l’Esso che fornì la benzina, mentre i camion provenivano dalle officine tedesche della Ford e General Motors. “Che questa guerra duri il più a lungo possibile!
Pauwels mostra che:
1. Una grande parte del padronato USA era pro-Hitler negli anni ’30 e ’40.
2. Ciò non mutò che al momento in cui le vendite delle aziende USA furono messe in pericolo dall’aggressività commerciale tedesca negli USA America latina e altrove. E dalle occupazioni giapponesi che confiscavano tutto il commercio in Asia.
Infatti, gli USA facevano il doppio gioco. Desideravano che la guerra durasse per molto tempo. Perché? Da un lato, gli enormi profitti che le loro società realizzavano in Germania erano in crescita. Dall’altro lato, si arricchivano facendo prestiti alla Gran Bretagna che sopportava tutto il peso finanziario della guerra.
Washington poneva, d’altronde come condizione che Londra abbandonasse le sue colonie dopo la guerra. Cosa che fu fatta. Gli USA riuscirono a approfittare della Seconda Guerra mondiale per indebolire i propri rivali e divenire la sola superpotenza capitalista.
Henry Ford: “Né gli Alleati, né l’Asse devono vincere la guerra. Gli USA dovranno fornire ai due campi i mezzi per continuare a battersi fino all’annientamento di tutte e due.
Il futuro presidente Harry Truman, 1941: “Se la Germania vince, dobbiamo aiutare la Russia e se la Russia vince, dobbiamo aiutare la Germania, affinché otteniamo il massimo vantaggio da entrambi.
Tale gioco cinico non cessò che quando l’URSS iniziò a battere Hitler. Solo allora, gli USA si precipitarono per salvare i loro interessi in Europa.

5022.- 24 Marzo 1999 – 24 Marzo 2022: “NOI NON DIMENTICHIAMO”.

Dicono che l’aeronautica italiana, terminate le munizioni, sganciò anche i residuati della Seconda Guerra Mondiale. Quando tacquero le armi, visitai alcune infrastrutture e installazioni colpite e percorsi in lungo e in largo il Kosovo ancora fumante. I blindati e gli automezzi mitragliati o distrutti erano quasi tutti Iveco. Ci eravamo mitragliati da soli. Intorno a un aeroporto vi erano carri armati, apparentemente, intatti, ma bruciati all’interno. Lì, raccolsi ed esaminai uno strano proiettile sparato dagli aeroplani. Era all’uranio impoverito, come sapemmo dalle immagini ricevute solo dopo alcuni giorni e rilasciava particelle Alfa.

L’articolo di attualità a cura di Enrico Vigna, 24 marzo 2022


“Ho appena dato mandato al comandante supremo delle forze alleate in Europa, il generale Clark, di avviare le operazioni d’aria (ndt: bombardamenti aerei…) sulla Repubblica Federale di Jugoslavia…Tutti gli sforzi per raggiungere una soluzione politica negoziata alla crisi del Kosovo sono falliti e non ci sono alternative all’intraprendere l’azione militare…”.
Così, il 23 marzo 1999, l’allora Segretario generale della NATO J. Solana, davanti ai mass media del mondo, decretava l’inizio della fine della “piccola” Jugoslavia e del popolo serbo in particolare.
Questa aggressione è stata la prima guerra sul suolo europeo condotta dalla fine della seconda guerra mondiale. Mentre le bombe e i missili lanciati dalla più potente macchina militare nella storia della civiltà, erano impegnati a distruggere un piccolo paese europeo, hanno anche distrutto il sistema di sicurezza europeo e globale, basato sulla Carta delle Nazioni Unite, l’Atto fondante dell’OSCE e la Carta di Parigi. Ancora oggi l’Europa e il mondo subiscono le gravi conseguenze di quella distruzione. Nel processo, la NATO si alleò con il cosiddetto UCK, una formazione separatista-terrorista, come corpo di fanteria, alimentando così il separatismo e il terrorismo.

Ero a Tirana, come consulente per quel governo, pochi mesi prima della guerra e, al sabato sera, gli albanesi mi portavano a vedere i camion che caricavano armi da portare al Nord, in Kosovo. A dirigere le operazioni di carico erano due americani, miei compagni a ora di cena. Erano lì come esperti di agricoltura, ma uno sapeva tutto dell’aereo rifornitore, che ben conoscevo e l’altro dell’elicottero da attacco. Al tempo, i kossovari di lingua albanese, di Ibrahim Rugova, chiedevano soltanto l’autonomia.


L’inizio dell’aggressione della NATO del 1999 contro la piccola Jugoslavia (la RFJ), è un’altra occasione per ricordare i crimini e le atrocità documentate e per ricordare ai popoli, in particolare ai giovani, gli orrori e i danni causati dall’aggressione, nonché le conseguenze di cui molti aspetti devono ancora essere risolti oggi. Quel precedente di aggressione eseguita senza l’approvazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU è poi stato riutilizzato nelle successive aggressioni in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria. L’aggressione della NATO contro la RFJ nel 1999 è stata un trampolino di lancio per dare vita alla strategia di espansione militare verso est, sempre più vicino ai confini russi, circondandola di basi militari, che è la causa principale della crisi ucraina.
È cinismo portato all’estremo, accusare altri paesi di crimini che i principali stati della NATO hanno continuamente commesso negli ultimi 30 anni. Sarebbe meglio invece di accusare gli altri, si fermassero un momento e ricordassero i propri misfatti, si pentissero e rimediassero a tutte le ingiustizie che hanno fatto in Jugoslavia e in tutti gli altri paesi, in Iraq, Afghanistan, Siria, Libia, Yemen e altri.
Oggi, mentre il mondo si avvicina ancora una volta al rischio di un conflitto nucleare, sarebbe più importante che mai, che l’opinione pubblica occidentale, comprenda e rifiuti le politiche auto distruttive e non pacificatorie dei propri governi, che rischiano di trascinare il mondo in un abisso. Potrebbe essere utile per capire alcune strategie, citare Macchiavelli, il quale in tempi lontani già considerò: «Non colui che per primo imbraccia le armi è istigatore di un disastro, ma colui che lo costringe».
Per avere un futuro degno di essere vissuto, c’è bisogno, oggi più che mai, di politiche volte ad eliminare le cause dei conflitti nel mondo. Il presupposto per fare questo sta nel perseguire un ordine di pace multipolare, in cui provocazioni, complotti e accordi segreti non devono essere pianificate e avere posto. 
Oggi ci auguriamo in una riduzione dell’escalation militare il prima possibile. Ma ciò sarà
possibile solo se la storia e gli avvenimenti internazionali ed i loro conflitti dal 1990, saranno indagati con onestà intellettuale e storica.
Anche Max K. E. L. Planck, fondatore della fisica quantistica, può aiutare e darci alcuni ammonimenti: “Il pericolo più grande oggi, sono coloro che non vogliono ammettere, che l’epoca che sta nascendo è profondamente diversa dal passato. Con i concetti tradizionali
non saremo in grado di far fronte a questa nuova situazione. Il fallimento del concetto tradizionale di guerra, attacco e difesa è evidente. Senza ripensamenti, non c’è via d’uscita dal pericolo.”

SI’ alla Pace per TUTTI i popoli. NO alla NATO e all’egemonismo unipolare.

L’aggressione alla Repubblica Federale di Jugoslavia/ Serbia…fu motivata dalla necessità di fermare una “pulizia etnica”, un “genocidio” e ripristinare i “diritti umani” nella provincia kosovara. Perché queste furono le tre basi fondanti su cui la cosiddetta Comunità Internazionale: cioè gli otto paesi più ricchi della Terra, cioè il loro braccio armato, la NATO (in quanto i governi dei 2/3 dell’umanità tra voti contrari e astensioni, erano contrari alla guerra) hanno decretato l’aggressione alla Jugoslavia il 24 marzo 1999.
La realtà storica sul campo è esattamente il contrario delle verità ufficiali raccontate dalla NATO, dall’UNMIK, dall’OSCE o dalla cosiddetta Comunità Internazionale.

Ricordo bene le colonne di nullatenenti albanesi che risalivano verso il Kosovo, spacciati dai media per profughi in fuga e che, invece, andavano ad occupare case e aziende dei serbi. Ricordo una colonna di auto serbe con i segni delle raffiche dei mitra, le spoglie delle famiglie ancora all’interno, le masserizie sui tetti e, poi, i cadaveri all’ultimo piano di un’albergo di Pec, nella piscina interna e nelle celle frigorifere della cucina, galleggiavano nelle vasche di un’azienda vinicola. All’alba, i corvi si alzavano in volo per banchettare. Erano così tanti che il battere delle loro ali faceva aprire la finestra senza più serratura. Fece scalpore un attacco in un paese in cui i serbi fecero molte vittime. Nessuno raccontò che il giorno prima i ribelli erano entrati nel liceo del paese, ammazzando gli studenti. E, poi, tante immagini orrende che vorrei dimenticare. La guerra rende l’uomo peggiore delle bestie. Per questo ne abbiamo abbastanza della vostra democrazia.

Dopo 22 anni ancora non sono stati documentati e provati la cosiddetta “pulizia etnica”, il 
“genocidio”, “le fosse comuni” con le decine di migliaia di albanesi kosovari dentro!
Quando, secondo i documenti CIA, FBI, OSCE, Unmik, NATO….a tutt’oggi:
sono stati ritrovati 2108 corpi di tutte le etnie; secondo l’UNCHR i primi profughi sono stati registrati il 27 marzo 1999, cioè 3 giorni dopo l’inizio dei bombardamenti;
sono stati uccisi dal giugno ’99 in poi 3.000 serbi, rom, albanesi jugoslavisti, e di altre minoranze; sono stati rapiti 1300 serbi; oggi si sa (tramite le memorie della ex procuratrice del tribunale dell’Aja per la Yugoslavia, Carla Del Ponte) che loro sapevano dei 300 serbi rapiti dalle forze terroriste dell’UCK portati in Albania per estirpare loro gli organi ad uno ad uno.

“Ora viviamo come in gabbia, prigionieri, ma gli stranieri dicono che siamo liberi…”. Jovan 10 anni, enclave di Gorazdevac, Kosovo

24 marzo 2021 – Anniversario dell’aggressione della NATO alla Repubblica Federale Jugoslava
Il 24 marzo, ricorrono 23 anni dall’inizio dell’aggressione NATO alla Repubblica Federale di Jugoslavia. Durante questa aggressione, che è durata 78 giorni, migliaia sono state le vittime, un gran numero sono state feriti e resi invalidi permanentemente.
Durante l’aggressione NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia dal 24 marzo al 10 giugno 1999, l’aviazione della NATO ha effettuato migliaia di attacchi, bombardando civili e obiettivi non militari.
Molti bambini sono periti durante questi attacchi, e sono anche morti molti malati ricoverati negli ospedali, passanti, persone nelle strade, nei mercati, nelle colonne dei profughi.
Sono stati distrutti ospedali, abitazioni, scuole, ponti, chiese, monasteri.
Questi attacchi sono stati cinicamente definiti dagli ufficiali della NATO come danni collaterali, benché si trattasse di attacchi il cui obiettivo era di distruggere il morale della popolazione con l’intimidazione intenzionale come strumento.
Come esseri umani e come persone coscienti, abbiamo un obbligo morale di rendere omaggio a queste vittime e a tutte le altre vittime dell’aggressione.
In questa lunga lista di vittime menzioniamo la piccola Milica Rakic, una bimba di 2 anni della periferia di Belgrado, così come le piccole vittime del bombardamento della sezione infantile dell’ospedale Misovic a Belgrado e molti altri.
La rete stradale e ferroviaria furono distrutte, altrettanto un gran numero di fabbriche, di scuole, ospedali, installazioni petrolchimiche, di monumenti e siti culturali.
Il danno diretto è stato stimato in 100 miliardi di dollari americani.
Intere regioni della Serbia e in particolar modo, il Kosovo sono stati inquinati a causa dell’uso dell’uranio impoverito, provocando tutt’oggi decine di migliaia di morti, compresi centinaia di soldati italiani.
Le conseguenze per la popolazione e soprattutto per i nuovi nati si manifestano in malformazioni che si acutizzano con il passare del tempo. Decine di migliaia di serbi resistenti, continuano a vivere in enclave, tuttora protetti per evitare violenze ed assalti.
L’aggressione della NATO contro la R.F. di Jugoslavia ha rappresentato un colpo senza precedenti all’ordine giudiziario internazionale, ai principi delle relazioni internazionali e alla carta delle Nazioni Unite.
A seguito delle motivazione e delle sue conseguenze, quest’aggressione ha rappresentato il primo avvenimento globale più importante dopo la Seconda Guerra Mondiale, poi abbiamo visto con le aggressioni a seguire ad altri popoli, che fu un laboratorio. 
Quella aggressione contro la Jugoslavia ha lastricato la strada per l’utilizzo unilaterale della forza nelle relazioni internazionali ed ai successivi attacchi all’Afghanistan, all’Iraq, alla Siria, alla Libia e in questi mesi i venti di guerra sono in Ucraina, ai confini della Russia.  
Durante quella aggressione fu realizzata una stretta alleanza tra la NATO e l’organizzazione terroristica, chiamata Armata di Liberazione del Kosovo (UCK), garantendo a questi ultimi la trasformazione da terroristi a governanti dell’attuale stato fantoccio del Kosovo.
Le conseguenze di questa alleanza si sono continuate a manifestare fino ad oggi, attraverso la continuazione di forme di intimidazione e terrorismo contro la popolazione serba ed ogni altra popolazione non albanese in Kosovo e Metohija; tra cui anche attacchi e distruzioni di monumenti della cultura cristiana, antifascista e jugoslavista.
Perché l’Europa è indifferente nei confronti di tutto ciò ? I Balcani, la Serbia e i paesi della regione necessitano di pace, di stabilità e di sviluppo, ma pretendono anche verità e giustizia.
Tutto ciò è possibile solo nel rispetto delle risoluzioni dell’ONU, sancite tra le parti nel 2000, alla cessazione dei bombardamenti, in particolare la Risoluzione 1244 che assicurava le garanzie ed i diritti uguali per tutte le popolazioni dell’area.
MA ESSA E’ TUTTORA CALPESTATA E RIMOSSA.


Enrico Vigna 23 marzo 2022, portavoce del Forum Belgrado per Italia e
Presidente di SOS Yugoslava – SOS Kosovo Metohija Italia

2019.- BALCANI: Lo scambio di territori tra Kosovo e Serbia è davvero una soluzione?

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Torniamo a parlare di Kosovo, al quale è legato un periodo importante della mia vita, con questo articolo di o scambio di territori genererà sicuramente un doppio trasferimento di popolazione “indotto” – considerato come “non-consenziente”. Il fatto che ciò sia contrario al diritto internazionale, è la conseguenza di una sua carenza motivata dal voler tutelare ed evitare il discapito delle nuove minoranze, perché queste, salvo eccezioni, non si creerebbero nei territori scambiati.
Andiamo a Pierluca Merola e alle sue conclusioni, che condivido.
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Lo scambio di territori tra Kosovo e Serbia è davvero una soluzione? da East Journal.

Nel corso dell’estate si sono rincorse le voci su uno scambio di territori tra Serbia e Kosovo come la definitiva soluzione per la normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e la sua ex-provincia. La proposta è stata resa pubblica dal presidente serbo Aleksandar Vučić e dalla sua controparte kosovara Hashim Thaçi al Forum Europeo di Alpbach in Austria.

 

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Il possibile scambio di territori porterebbe Belgrado a riconoscere l’indipendenza del Kosovo, permetterebbe a Pristina di aderire alle Nazioni Unite, e ad entrambi di proseguire nel loro percorso di adesione all’UE. La proposta si caratterizzerebbe come una revisione dei confini in senso etno-nazionalee interesserebbe la valle di Preševo – una regione della Serbia meridionale a maggioranza albanese – e i quattro comuni serbi a nord del fiume Ibar – un’area a forte maggioranza serba nel nord del Kosovo.

La comunità internazionale ha reagito in modo ondivago a questa ipotesi. Gli Stati Uniti hanno sostenuto la proposta, mentre la Germania e il Regno Unito hanno opposto un secco rifiuto all’eventualità di una revisione dei confini nella regione. La Commissione Europea ha assunto una linea possibilista sostenendo il dialogo tra le parti ma richiamandolo agl’imperativi della stabilità regionale e del rispetto degli standard internazionali ed europei.

Secondo i suoi estimatori, i punti forti della proposta risiederebbero nel fatto che essa sia realistica e che metterebbe fine a quel vulnus nel diritto internazionale rappresentato dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo del 2008. Realismo e rispetto del diritto internazionalevengono quindi presentati come i due pilastri del possibile scambio di territori tra Kosovo e Serbia, ma è davvero così?

L’imperativo del realismo

L’assunto alla base del carattere realista della proposta è la supposta impraticabilità di una soluzione alternativa a quella della revisione dei confini in senso etno-nazionale. Un’impraticabilità dovuta a due fattori principali. Da una parte, la presunta impossibile coesistenza di serbi e albanesi in uno stesso stato, propagandata dalle forze nazionaliste e confermata dai pochi passi avanti in termini di dialogo.

Dall’altra parte vi sono invece le considerazioni di carattere politico-elettorale. In ragione di queste, gli Accordi di Bruxelles del 2013, che prevedevano una normalizzazione dei rapporti progressiva e l’attuazione di una Associazione/Comunità delle municipalità serbe in Kosovo, sono in stallo dal 2015. La leadership di Pristina non voleva concedere tale associazione senza un’assicurazione sul riconoscimento dell’indipendenza, mentre quella di Belgrado non voleva rinunciare al grande mito elettorale della riconquista del Kosovo, in cambio di una mera associazione di municipalità.

Gli stessi presidenti Vučić e Thaçi insistono sull’ “essere realisti” per riuscire a convincere il proprio elettorato in maggioranza contrario all’accordo. Al congresso del partito progressista serbo del 24 settembre, Vučić ha fatto riferimento al fatto che “i serbi amano piangere su qualcosa di lontano, invece di avere qualcosa in mano adesso”. In modo simile, il presidente del Kosovo Thaçi, rivolgendosi alla popolazione kosovara, ha dichiarato che “il Kosovo ha già fatto troppi compromessi, ma la realtà è più testarda dei nostri argomenti”.

Tuttavia, sempre a voler “essere realisti”, nel valutare la proposta, non si possono certo ignorare le ricadute che uno scambio di territori possa avere nel resto della regione. Una ridefinizione etnica dei confini inevitabilmente alimenterà i progetti nazionalisti e le spinte secessioniste sia nell’entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina che nelle aree a maggioranza albanese della Macedonia. L’idea dell’omogeneizzazione etnica che soggiace a questa nuova revisione dei confini potrebbe sì risolvere il contenzioso tra Serbia e Kosovo, ma rischia di risultare fatale per altre aree nella regione.

Il rispetto del diritto internazionale

L’altro argomento forte tra gli estimatori della proposta riguarda il rispetto del diritto internazionale. Secondo costoro, uno scambio di territori tra Kosovo e Serbia con conseguente riconoscimento dell’indipendenza, sanerebbe quel vulnus nel diritto internazionale rappresentato dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo.

Tale dichiarazione di indipendenza è generalmente considerata una forzatura del diritto del popolo kosovaro all’autodeterminazione, e come tale non viene riconosciuta da ben cinque paesi UE (Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna). La revisione concordata dei confini tra stati limitrofi attraverso lo scambio di territori (fiumi, valli e montagne), invece, è una pratica consuetudinaria del diritto internazionale. Senza grandi clamori nel 2016, Belgio e Paesi Bassi hanno rivisto i propri confini, scambiandosi dei territori, e nel 2017 è stato il turno di Italia e Slovenia. Tuttavia, in questi casi, lo scambio riguardava fasce di territorio estremamente ridotte e disabitate.

Il proposto scambio di territori tra Serbia e Kosovo è invece cosa ben diversa. Ciò che prefigurano Vučić e Thaçi è uno scambio di popolazione, e come tale andrebbe trattato. I precedenti in questo caso sono molti meno, i due più famosi sono lo scambio di popolazione tra Grecia e Turchia nel 1922 e quello che seguì alla divisione tra India e Pakistan al termine della colonizzazione inglese nel 1947. In entrambi i casi a una divisione territoriale, seguì lo scoppio di tensioni e violenze tra popolazione maggioritaria e minoranze, colonne di rifugiati che attraversavano in senso opposto i nuovi confini, per concludersi con un successivo accordo che ratificava lo scambio di popolazione avvenuto con la violenza sul terreno. Tutti gli altri trasferimenti di popolazione dalla Seconda guerra mondiale in poi sono considerati deportazioni forzate o casi di pulizia etnica.

Per rispettare standard internazionali e diritti umani, ciò che si evince dalla poca dottrina in merito è che gli abitanti del nord del Kosovo e della valle di Preševo dovranno dare il loro “informato consenso” allo scambio di territori e alle sue conseguenze, cioè (in alcuni casi) al cambio della propria cittadinanza e al passaggio sotto diversa autorità statale. Ipotizzando – come i promotori dello scambio – che per ragioni di appartenenza etnica la maggioranza delle popolazioni dei due territori si dichiari favorevoli, restano da capire le sorti dei probabili contrari.

Di fatto, benché presentate come fortemente maggioritarie, le aree interessate dallo scambio di territori sono lungi dall’essere omogenee. Secondo le stime di Prishtina Insight, nella valle di Preševo solo il 65% della popolazione è di etnia albanese, mentre nel nord del Kosovo l’88% della popolazione è di etnia serba. Il probabile rischio fin qui ignorato è che uno scambio di territori possa generare un trasferimento di popolazione “indotto” – considerato come “non-consenziente” e perciò contrario al diritto internazionale – a scapito delle nuove minoranze che si creerebbero nei territori scambiati, o dei serbi del sud del Kosovo, o infine di chi, per svariate ragioni, voglia legittimamente vivere da minoranza.

Il proposto scambio dei territori è ancora in discussione e non si sa se andrà in porto. Ciò che è certo è che sarà ben più complicato di come viene semplicisticamente presentato al momento. Tutto a un tratto, l’attuazione degli accordi di Bruxelles del 2013, il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte della Serbia, la realizzazione di adeguate misure di protezione e integrazione delle varie minoranze, sembrano invece soluzioni ben più realistiche.