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6180.- Perché Isis ha colpito la Russia di Putin?

“É sempre più probabile che lo Stato Islamico sia il responsabile di questa ennesima strage di innocenti”.

Che senso ha ammazzare gli innocenti?

Da Startmag, di Marco Orioles, 24 Marzo 2024

Il punto di Marco Orioles.

Un attentato terrificante con tantissime vittime e una grande menzogna sui responsabili. Perché della strage di venerdì scorso alla periferia di Mosca Putin e il suo regime intendono vendicarsi non su chi ha rivendicato il fatto pubblicamente e per ben due volte, ossia i jihadisti dello Stato Islamico e in particolare della provincia centroasiatica, ma sui soliti ucraino-nazisti guidati dall’ebreo Zelensky. Ecco in breve perché lo zar mente.

Dito puntato.

Come scriveva l’Associated Press stamani all’alba, Putin punta il dito su Kiev, quest’ultima nega tutto e intanto lo Stato Islamico del Khorasan – branca centroasiatica del feroce e non domo gruppo jihadista – ha rivendicato non una ma due volte la strage alla Crocus City Hall di Krasnogorsk.

La verità secondo gli Usa.

Malgrado ciò lo zar nel suo discorso alla nazione di ieri non ha affatto menzionato i terroristi islamici dell’Isis, ossia quelli che secondo la portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale Usa Adrienne Watson “portano la sola responsabilità di questo attacco”.

La stessa Watson ha addirittura rivelato che l’America all’inizio di questo mese aveva informato i russi – ! – di un imminente attentato terroristico pianificato a Mosca e aveva anche avvertito i cittadini americani presenti in quel Paese.

Un dettaglio imbarazzante.

E del resto, sottolinea ancora l’Associated Press, erano stati gli stessi servizi segreti russi dell’FSB a sventare poche settimane fa un attacco di Isis-K a una sinagoga moscovita.

Ma perché la Russia?

Motivi per i terroristi islamici di colpire la Russia ce ne sono a bizzeffe da quando quel Paese è guidato da un leader che già 24 anni fa nei primissimi giorni di potere rase al suolo la Cecenia islamica che coltivava il sogno dell’indipendenza e di un califfato, pagandolo con centinaia di migliaia di morti inclusi quelli del commando anche femminile che 22 anni fa entrò in azione in un teatro moscovita per vendicare quell’onta.

Ma come spiega l’analista pakistano Syed Mohammad Alì alla stessa AP, vi sono anche ragioni più recenti per infierire sull’ex impero sovietico: ci si deve vendicare in particolare dei musulmani siriani – uomini, donne e bambini, quasi tutti civili – morti tra il 2015 e i mesi scorsi sotto le bombe scagliate dagli aerei di una Russia intervenuta in quel Paese per aiutare il dittatore alawita Assad a soffocare una rivolta che aveva anche preso una brutta piega islamista.

Le impronte digitali.

E se questo non bastasse, nell’attacco di venerdì ci sono i segni distintivi di un modus operandi tipico dello Stato Islamico.

Due in particolare gli indizi segnalati dall’esperto di sicurezza e direttore di GlobalStrat Olivier Guitta: l’aver colpito di venerdì, giorno della preghiera islamica, e nello specifico durante il mese sacro di Ramadan. E poi c’è l’aver preso di mira una sala concerti come accadde a Parigi nell’ottobre del 2015 con il famoso Bataclan e due anni dopo alla Manchester Arena, ossia due delle azioni più spettacolari messe a segno da quello che all’epoca era ancora un califfato che governava tra Siria e Iraq un territorio grande come uno Stato europeo.

Il report di ISW.

Institute for the Study of War

AbbreviazioneISWTipoThink tankFondazionemaggio 2007Sede centraleWashingtonIndirizzo1400 16th Street NW, Suite 515 Washington, DC 20036Lingua ufficialeingleseSito web

L’Istituto per gli Studi sulla Guerra è stato fondato anche per monitorare le attività, i protagonisti e le alleanze di quella galassia jihadista diventata il nemico numero uno dell’Occidente all’indomani degli attentati alle Torri Gemelle del 2001.

Nel bollettino diffuso ieri, l’Istituto afferma che a suo avviso “lo Stato Islamico è molto probabilmente responsabile dell’attacco”.

La prova sono le due rivendicazioni diffuse a partire dalla notte dell’attentato. “I media dell’IS – scrivono gli analisti di ISW – non diffondono quasi mai rivendicazioni false o ingannevoli”, cercando di “mantenere un’alta credibilità nelle loro comunicazioni al fine di definire chiari obiettivi ideologici e assicurarsi flussi di finanziamenti”.

Non è interesse del gruppo, insomma, “rischiare di screditarsi con la comunità salafita-jihadista molto competitiva prendendo falsamente il merito di attacchi di così alto profilo”.

La branca del Khorasan.

Isis-K peraltro, precisa l’ISW, ha già colpito quattro volte negli ultimi 18 mesi target in Asia Centrale tanto che il generale che dirige il Comando Centrale Usa, Michael Kurilla, esattamente un anno fa dichiarava che la formazione sarebbe stata presto in grado di condurre “operazioni esterne … entro sei mesi”.

E c’è in effetti la sua firma nel doppio attacco messo a segno a gennaio a Kerman in Iran (*) dove è stata presa di mira l’affollata cerimonia di commemorazione del comandante dei pasdaran Soleimani in un attacco che il governo iraniano, in pieno stile Putin, non attribuì a chi ne aveva rivendicato la paternità bensì alla solita Israele.

Insomma.

Se dunque lo zar punta il dito su Zelensky e sugli ucraini, così come i mullah iraniani lo puntavano a gennaio su Israele, abbiamo due ragioni in più per credere che a Mosca venerdì siano entrati in azione proprio i jihadisti.

Il 3 gennaio 2024, sono state esplose due bombe durante una cerimonia commemorativa dell’assassinio di Qasem Soleimani, presso la sua tomba a Kerman, in Iran.

(*) Il 3 gennaio 2020 il generale Qasem Soleimani è stato ucciso da un attacco di droni statunitensi in Iraq. Soleimani era il comandante della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Soleimani ricopriva una posizione di notevole influenza in Iran, essendo ampiamente considerato la seconda figura più potente del Paese dopo il leader supremo Ayatollah Ali Khamenei. Il 3 gennaio 2024, una processione commemorativa in occasione dell’assassinio di Qasem Soleimani presso la sua tomba a Kerman orientale, in Iran, è stata attaccata dalle esplosioni coordinate di due bombe comandate a distanza. Gli attacchi uccisero almeno 94 persone e ne ferirono altre 284. Il giorno successivo, lo Stato Islamico, un gruppo estremista musulmano sunnita, ha rivendicato l’attacco nel paese dominato dai musulmani sciiti. Secondo Reuters, la comunità di intelligence degli Stati Uniti ha concluso che l’attacco è stato perpetrato dal ramo afghano dello Stato islamico, ISIS-K.

6110.- L’Africa più lontana dall’Occidente? Le valutazioni di Carbone pensando al Piano Mattei

La Nota di Mario Donnini

Certamente il Nuovo Piano Mattei con la sua “solidarietà attiva” è vitale per l’Italia, per l’Africa e per l’Europa. I Paesi africani ai quali ci rivolgiamo sono musulmani e il 7 ottobre, la nostra repentina e incondizionata adesione alla causa israeliana non ha tenuto o non ha potuto tenere nel debito conto questo aspetto. Fra l’altro e come notammo, sulla sorpresa patita da Israele gravano troppe ombre. Sembra che il fattore emotivo, la simpatia per Israele e la nostra sudditanza a Washington abbiano lasciato i nostri interessi in secondo piano. Sono dell’opinione che, se vogliamo creare una Unione Mediterranea e non portarci appresso il fardello del colonialismo francese, dobbiamo mostrarci meno occidentali e restare fuori dal conflitto di Gaza, in parte religioso, anche se, in realtà è un conflitto di potere per il potere in un’area dove convergono interessi e ambizioni di troppi Stati, ben noti. Questa politica, per certi versi avveniristica, che il presidente Meloni sta portando avanti con determinazione, rivaluterà anche il ruolo dell’Europa e, perciò, deve e dovrà fare i conti con l’indirizzo della politica americana, sopratutto con quello che scaturirà dalle prossime elezioni.

Da Formiche.net, di Emanuele Rossi, 04/12/2023 

L’Africa più lontana dall’Occidente? Le valutazioni di Carbone pensando al Piano Mattei

Per Giovanni Carbone, professore di Scienza Politica all’Università degli Studi di Milano e Head del Programma Africa dell’Ispi, l’Italia trova un contesto complicato in Africa, dove il risentimento e il malessere nei confronti dell’Occidente sono cresciuti ultimamente anche perché è aumentata la percezione di ingiustizie subite. Da questo partono le sfide del Piano Mattei, ma anche le opportunità

L’idea originale dello studio che l’Ispi ha dedicato al rapporto tra Africa e Occidente – titolo perentorio: “L’Africa si sta rivoltando contro l’Occidente?” – è stata affrontare in maniera articolata una serie di dinamiche che si sono sviluppate soprattutto negli ultimi anni, diventate maggiormente visibili con la crisi in Ucraina, che ha esposto anche a livello mainstream i risentimenti africani. Risentimenti che però stavano già lavorando, erodendo sotto traccia il rapporto tra Africa e Occidente, conseguenze di elementi di disapprovazione e sfiducia di lungo periodo nei confronti di un un’indipendenza che non è mai stata completata del tutto, con i Paesi occidentali che vengono tuttora percepiti come ingerenti dagli africani.

Formiche.net conversa con Giovanni Carbone, professore di Scienza Politica all’Università degli Studi di Milano, Head del Programma Africa dell’Ispi, nonché curatore con Lucia Ragazzi dello studio a cui su queste colonne è stata dedicata particolare attenzione – vista la centralità del tema, anche per la strategia dell’Italia – con focus riguardo al non allineamento del continente africano, al come la regione del Global South segue la competizione tra Usa e Cina, o allo scontro di narrazioni nell’infosfera africana. In generale, il continente sente forme di vessazioni e pressioni, ingerenze e ingiustizie che si sintetizzano in questioni macro, a cominciare dal sistema della Nazioni Unite, dove i Paesi africani sono stanzialmente marginalizzati. E questo ha dei costi per i Paesi africani. Ed è una generale tendenza che riguarda le dinamiche internazionali, che siano politiche oppure economiche.

Mal(essere) d’Africa

“È da qui che nasce il risentimento nei confronti dell’Occidente – o gli Occidentali, termini ampiamente e variamente usati che raggruppano in un tutt’uno Europa e America – sempre più spesso sotto accusa per i valori, le istituzioni e le relazioni di cui è portatore, con aspetti, come il supporto e il sostegno alla democrazia, che finiscono per essere duramente contestati in aree diverse dell’Africa subsahariana (e ce lo dicono anche i sondaggi di opinione, dunque non solo da parte delle leadership africane che sviluppano determinate narrazioni magari volte a distrarre l’attenzione dalle proprie responsabilità)”, spiega Carbone. E questo è completamente diverso rispetto ad anni fa, quando le riforme e gli esperimenti democratiche all’occidentale erano ancora freschi e il continente riponeva fiducia in essi.

Vediamo tutto nei social media, basta osservare i profili di utenti africani che siano essi più o meno influenti. Ma lo abbiamo visto anche quando parte degli stati africani ha deciso di non allinearsi con l’Occidente sull’Ucraina. “Quello è stato un momento fondamentale – aggiunge l’esperto dell’Ispi – perché i Paesi africani hanno mostrato che si fa strada una certa tendenza al disallineamento. E risulta ancora più importante considerando che, in questa fase storica, da parte dell’Occidente emerge invece una volontà di riallacciare e ridisegnare i rapporti dal punto di vista strategico, ma anche narrativo”. E invece sul campo, i Paesi africani stanno dicendo che potrebbero anche non essere interessati a ciò che gli viene offerto, o almeno a parte di ciò che gli viene offerto, perché hanno oggi modo di accedere a qualcosa di simile messo sul piatto da altri partner stranieri, non Occidentali. “Esattamente, anche se in parte non è così, perché le relazioni con l’Occidente restano profonde e ampie, e sebbene possano esserci Paesi che si smarcano in maniera più lanciata e manifesta, altri si muovono differentemente. Ma i rapporti tra Africa e Europa sono a 360 gradi, e dunque, realisticamente, non possono essere troncati del tutto ma solo gradualmente o parzialmente modificati”.

Semplificando, realtà come l’’Ue, o i vari Paesi europei singolarmente, stanno spingendo per andare verso l’Africa, consapevoli che quella dimensione ha un valore strategico enorme per il presente e per il futuro: l’Africa invece, almeno in parte, si allontana dall’Occidente. “È almeno dal 2006 che diversi Paesi occidentali hanno adottato politiche strategiche specifiche per l’Africa, tra questi anche l’Italia, che prima ancora delle riflessioni attuali, nel 2020 adottò il ‘Partenariato con l’Africa’.  È evidente che c’è un interesse, una riscoperta europea del continente africano. La stessa Commissione Von der Leyen lo aveva rimarcato palesemente con la prima missione oltre i confini europei, che era stata proprio ad Addis Abeba, in Etiopia, per incontrare la controparte dell’Unione Africana – ma “anche in quell’occasione, gli africani avevano risposto in modo freddo alle evoluzioni successive, facendo capire che non avevano affatto apprezzato di non essere stati consultati per delineare la bozza di partnership che Bruxelles proponeva”, fa notare Carbone.

Il Piano Mattei e l’impegno italiano

Mettendo il focus specifico sull’Italia, anche con l’ottica di quanto esce dallo studio del think tank milanese, l’esperto dell’Ispi fa notare che c’è stata una fase molto chiara, avviata nel 2013, durante la quale vengono lanciate alcune iniziative che poi vengono implementate negli anni successivi, con l’organizzazione di due conferenze Italia-Africa, l’apertura di nuove ambasciate, un certo aumento degli aiuti allo sviluppo, la creazione di un fondo speciale per l’Africa, nonché varie visite governative: tutto culminato nella sintesi di quel Partenariato del 2020. “La spinta attuale dunque non nasce dal nulla, si inserisce sulla scia di una riscoperta dell’Africa sviluppatasi nell’ultimo decennio. Ora il governo Meloni si propone di mettere ancora più al centro i rapporti con i Paesi africani, soprattutto perché la stessa Presidente del Consiglio si è spesa direttamente sugli annunci riguardo al Piano Mattei”, spiega Carbone. Secondo cui, l’impegno personale di Giorgia Meloni è un aspetto importante, perché “metterci la faccia significa fare un investimento politico, e dunque poi si deve andare fino in fondo, e la Presidente del Consiglio, che seguirà personalmente la cabina di regia del Piano, sembra tenere a questa iniziativa”.

E però, del Piano Mattei non sappiamo ancora granché: sappiamo per esempio che dovrebbe essere una cooperazione che avrà nei processi migratori e negli approvvigionamenti energetici gli interessi diretti per l’attuale governo, ma anche che dovrebbe essere una forma più inclusiva e moderna di partnership, con condivisione di impegni per stabilità e sicurezza (anche quelle di carattere specifico, come quella alimentare o sanitaria). Il recentemente approvato decreto legge sul “Piano strategico Italia-Africa: Piano Mattei”, emanato dal Consiglio dei ministri, consta di sette articoli delineanti la governance, le scadenze, gli obiettivi e, in generale, degli accenni tematici. Tuttavia, numerosi dettagli rimangono da definire e probabilmente saranno oggetto di chiarimento nell’ambito di una nuova conferenza Italia-Africa (o comunque nell’arco dei 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto, tempo in cui i ministri interessati potranno trasmettere una relazione sulle iniziative; oppure nei tre mesi successivi che la cabina di regia avrà per completare la definizione del Piano e trasmetterlo al Consiglio dei ministri per la sua deliberazione, o almeno al 30 giugno, quando dovrà essere trasmesso alle Camere il primo rapporto di questo piano quadriennale).

“Un punto da tenere in considerazione, per ora, in attesa dei contenuti, è che l’iniziativa italiana si inserisce in qualcosa che è già in movimento da tempo, con gli stati africani che sono sempre più abituati a ricevere proposte di riallaccio delle relazioni e di nuove cooperazioni, e sono dunque abituati ormai a guardare bene cosa c’è dentro il pacchetto offerto”, sottolinea Carbone, “e magari pronti a storcere il naso o fare obiezioni”. Secondo l’esperto, attualmente è difficile proporre grandi investimenti economici e pure portarsi dietro l’Ue: “L’idea di mettere nuove importanti risorse a disposizione per favorire lo sviluppo dell’Africa è già stata lanciata dall’Ue con il Global Gateway, cercando di dare nuovo impulso alla crescita del continente. Il rischio per il Piano Mattei di Roma è dunque quello di non trovare il seguito sperato a Bruxelles, di dover procedere da soli, e di finire per mettere in piedi iniziative e promesse che, come altri simili in passato, siano poi nei fatti disattese, contribuendo ad alimentare ulteriori forme di malcontento nelle controparti africane”.

6068.- Perché Erdogan cavalca l’onda islamista?

L’Islam è la sua religione.

Erdogan

Erdogan, il presidente della Turchia, vuole diventare un califfo? L’analisi di Francesco Galietti, esperto di scenari strategici e fondatore di Policy Sonar.

Da Startmag, di Francesco Galietti, 11 Novembre 2023.

La ferocia di Hamas stuzzica Erdogan, che sogna di ripristinare il Califfato.

L’orrore di Gaza ha avuto un ulteriore effetto: il leader turco Erdogan ha preso a cavalcare l’onda islamista e ad attaccare Israele. Ad ingranare la retromarcia non ci pensa proprio. Non è detto che questo irrigidimento drastico figurasse fin dall’inizio nei suoi piani. È probabile invece che, a ridosso del centenario della repubblica turca, Erdogan avesse rifasato la sua agenda strategica, concentrandosi su in particolare su Caucaso e Mar Nero. L’iniziativa di Hamas ha cambiato i suoi calcoli. Ecco perché.

Da tempo, Erdogan aveva recuperato la dottrina panturanica nella sua più recente formulazione di Ahmet Davutoğlu, eminenza grigia del pensiero strategico turco. L’esempio più vistoso di questo pivot to Asia di Erdogan è ovviamente il sostegno offerto agli Azeri nella recente invasione del Nagorno-Karabakh. Ultimamente, poi Erdogan aveva gioco facile a rosicchiare spazi strategici ai russi nel Mar Nero, approfittando della guerra russo-ucraina e della posizione geografica della Turchia.

Ad ogni buon conto, la metaforica scrivania di Erdogan era già ingombra di mappe e cambiali. La Turchia, infatti, è sì potenza esuberante sul piano strategico, ma alquanto fragile sul piano dei conti e della tenuta economica.

COSA FA LA TURCHIA

Proprio per questa ragione, la soluzione escogitata dai vertici turchi era quella di gestire un problema per volta, evitando cioè di tenere troppi fronti aperti contemporaneamente. Non a caso, Erdogan aveva ormai per anni cercato di levigare le asperità con le monarchie del Golfo, e anche di normalizzare i rapporti con Israele, in un percorso di avvicinamento graduale che passava anche da intese sui giacimenti di gas del Mediterraneo Orientale. Vistosi tagliato fuori dagli accordi sul corridoio strategico IMEC indo-arabo-mediterraneo celebrati al summit G20 di Nuova Delhi, Erdogan non aveva mancato di manifestare a gran voce il suo disappunto.

ERDOGAN INFIAMMA LA FOLLA ISLAMISTA

Dinanzi al precipitare degli eventi a Gaza, Erdogan ha accantonato subito l’impostazione di ‘distensione selettiva’. I video di Erdogan che arringa folle oceaniche attaccando Israele ci restituiscono piuttosto l’immagine di un leader intrappolato nella sua maschera teatrale. Erdogan infiamma la folla islamista perché la conosce e, molto probabilmente, perché la teme. Deve infatti la propria ascesa al potere, così come il suo consolidamento in patria e fuori porta, al nazionalismo intriso di islamismo e alla costante ricerca di vicinanza con differenti e potenti sigle islamiste – dai sufi ai Barelvi fino ai Deobandi. Erdogan si vuole protettore dell’Islam nel mondo, in uno strano impasto tra geopolitica  – il panturanismo che abbraccia lo spazio dalla Bosnia fino allo Xinjiang – e suggestione religiosa – il ripristino del Califfato – che si somma allo stato di membro NATO sui generis e armato fino ai denti.

Ovviamente se Erdogan riapre la valvola dell’islamismo, ciò determina numerosi e pesanti problemi. Gli USA, per esempio, hanno di recente segnalato tramite la presenza di proprie truppe in Armenia l’esistenza di ‘linee rosse’ invalicabili. Per Washington non è in sé un male che la Turchia spinga verso Est, perché il panturanismo in linea di principio è in collisione con le Vie della Seta cinesi, ma non vuole che ne facciano le spese gli armeni già scaricati da Mosca. Nel Levante, inoltre, sono i curdi a poter contare sul sostegno americano. Ora Washington non può accettare che Ankara tuoni contro Israele, e men che meno che getti benzina sul fuoco dell’Islam politico in uno sforzo coordinato con il proprio gemello siamese, il Qatar. Non a caso negli scorsi giorni Meshal bin Hamad Al Thani, l’ambasciatore qatarino negli USA, ha firmato un articolo sul Wall Street Journal per respingere ogni addebito e presentare Doha come honest broker, mediatore irreprensibile, nelle complesse vicende mediorientali. La posizione del Qatar, si badi, è di forte interesse anche per l’Italia, che ha in Doha un grosso fornitore di LNG.

IL PRESIDENTE TURCO VUOLE FARSI CALIFFO

Erdogan non preoccupa solo gli USA e il resto dell’Occidente, Germania in testa con il suo milione e trecentomila di residenti turchi, ma anche la Russia e l’India. Si prenda il Dagestan, dove in uno scalo aeroportuale una folla inferocita ha da poco messo in scena una raccapricciante caccia all’ebreo. Politicamente, il Dagestan è territorio russo. Culturalmente, tuttavia, la popolazione sconta una evidente egemonia turca, che si estende ad ampie fette di Caucaso settentrionale. Se Erdogan soffia sul fuoco, agli occhi del mondo Putin non è più padrone in casa propria. Anche il premier indiano Modi, a pochi mesi dalle elezioni e da sempre alle prese con l’enorme minoranza musulmana indiana, scruta con preoccupazione il Presidente turco che vuole farsi Califfo.

6025.- Il col. Macgregor a Tucker: l’amministrazione Biden sta spingendo gli Stati Uniti verso una guerra “Armageddon” in Medio Oriente

L’opinione che esprimiamo di seguito tende a sviluppare un civile confronto volto a comprendere la realtà.

La caduta della leadership del dollaro non è frutto soltanto di una politica finanziaria e del passaggio da un mondo bipolare a uno multipolare. Joe Biden più non sembra, ma è una controfigura con l’ordine di portare l’Occidente a una guerra nucleare, che farebbe salvi soltanto chi comanda negli Stati Uniti. I governi europei, cooptati o scelti per l’obbedienza, sono tragiche marionette.

É pur vero che la storia non ci mostra casi di integrazione fra popoli musulmani e cristiani, ma, senza il supporto interessato, non solo militare, degli anglosassoni, prima di tutto degli Stati Uniti, Israele e il mondo arabo avrebbero raggiunto una pacifica e fruttuosa convivenza.

Come in Ucraina, il conflitto fra israeliani e palestinesi non sarà mai risolto dalle armi, ma è ormai evidente che le operazioni militari di questo presidente degli Stati Uniti mirano a una guerra nucleare. La Turchia, come l’Italia, avrebbe tutto da perdere cosicché il presidente Recep Tayyip Erdoğan non ha avuto remore ad accusare di ipocrisia l’Occidente per la posizione presa rispetto al conflitto in corso tra Hamas e Israele; ha legittimato Hamas definendolo un esercito di liberazione e chiamato gli israeliani con l’appellativo di criminali di guerra. 

L’Italia punta(va) alla cooperazione con i Paesi arabi che ora sono con Hamas, ma, a comando, si è schierata con Israele, vittima di questo attacco. Ora si trova: contrapposta ai Paesi del Magreb, cui ha proposto la sua solidarietà attiva e che la riforniscono del gas invece della Russia; a dover seguire un’Alleanza Atlantica, che la occupa militarmente, ma che è giunta al capolinea; a dover seguire un’Unione europea priva di sovranità e di una sua politica estera e che non ha fatto né fa i suoi interessi. Di più! l’Italia di Meloni è a un passo dal cedere la sua sovranità all’OMS. Come sempre, cari italiani, si semina a caro prezzo, e, se va bene, per non raccogliere.

L’articolo in titolo, scritto da Steve Jalsevac, è stato pubblicato su Lifesitenews e tradotto da Sabino Paciolla per il suo sito La Nuova Bussola Quotidiana. 

portaerei-Usa-Ronald-Reagan
portaerei Usa Ronald Reagan

Il colonnello Douglas Macgregor, veterano di guerra decorato, ha avvertito che i funzionari dell’amministrazione Biden stanno spingendo gli Stati Uniti verso una guerra “Armageddon” che rischia una conflagrazione militare con l’Iran, la Turchia, la Russia e altri per difendere e contribuire a facilitare un crimine di guerra israeliano che è inaccettabile per il mondo e per la maggior parte degli americani.

“Sembra che la destinazione prescelta sia proprio l’Armageddon”, ha dichiarato lo studioso e autore militare a Tucker Carlson nel suo ultimo programma Twitter/X.

L’ex conduttore di Fox News ha aperto l’intervista con un recente filmato televisivo in cui il senatore repubblicano Lindsey Graham, della Carolina del Sud, minacciava l’Iran di bombardare le sue raffinerie di petrolio se il gruppo militante alleato in Libano, Hezbollah, avesse “lanciato un attacco massiccio contro Israele” dal nord, in risposta all’assalto più feroce di sempre di Israele contro la popolosa Striscia di Gaza.

“L’Iran, se intensifichi questa guerra, verremo a prenderti”, ha affermato Graham.

Il continuo bombardamento dell’enclave da parte di Israele è la risposta all’attacco senza precedenti del 7 ottobre da parte del gruppo militante islamista Hamas, che governa la Striscia ed è designato come organizzazione terroristica da Israele, Stati Uniti, Unione Europea, Canada, Regno Unito, Australia, Giappone, Egitto e Paraguay.

Secondo le autorità israeliane, i militanti hanno ucciso 1.400 persone, tra cui civili e bambini; Human Rights Watch ha verificato i video che rivelano omicidi freddi e deliberati (crimini di guerra) durante l’attacco. I cittadini israeliani continuano a subire bombardamenti missilistici e sono terrorizzati dal fatto che il conflitto possa peggiorare e che alcune forze islamiche radicali più grandi possano unirsi ad Hamas nel tentativo di distruggere la loro nazione.

In un’altra intervista a London Real, Macgregor ha chiarito di condividere l’opinione che Hamas sia un’organizzazione terroristica che deve essere eliminata.

“Tutti coloro che hanno esaminato ciò che ha fatto Hamas concordano sul fatto che Hamas deve essere sradicato. Non ho incontrato nessuno che non fosse d’accordo. Questo include, ad esempio, il re Abdullah di Giordania. Il generale Sisi in Egitto la pensa allo stesso modo, e anche il signor Erdoğan, che ha cambiato opinione, inizialmente si era espresso contro Hamas. Credo che nessuno lo contesti”, ha detto Macgregor.

Tuttavia, ha aggiunto, “il problema è che la campagna per sradicare Hamas si è rapidamente trasformata in una campagna per sradicare effettivamente l’intera popolazione di Gaza e questo non sta andando bene nel resto della regione… quindi qualsiasi terreno morale gli israeliani abbiano si sta erodendo rapidamente”.

Macgregor ha indicato che le sue critiche includono una seria preoccupazione per ciò che accadrà a Israele come risultato della risposta degli Stati Uniti e di Israele all’attacco di Hamas. Nell’intervista al London Real ha dichiarato: “La mia più grande preoccupazione in questa fase è che Israele venga distrutto”.

Ed è anche la nostra. ndr.

Per quanto riguarda Gaza, le autorità del ministero della Sanità di Hamas hanno riferito di un numero molto maggiore di 7.028 persone uccise dagli attacchi aerei militari israeliani dal 7 ottobre, tra cui 2.913 bambini e 1.709 donne. Inoltre, l’OCHA ha riferito di circa 1.600 persone disperse e presumibilmente intrappolate o morte sotto le macerie, mentre 1,4 milioni di persone sono state sfollate all’interno della regione isolata di 141 miglia quadrate, sottoposta a un blocco israeliano più rigido dal 2007.

Mentre i palestinesi in Cisgiordania protestano contro i bombardamenti su Gaza, i soldati israeliani hanno dichiarato di aver ucciso 102 persone e di averne ferite 1.889. Israele riferisce di due morti e 14 feriti tra il proprio personale in questi due territori occupati.

Il 9 ottobre, Israele ha tagliato acqua, cibo, carburante e altre risorse a questa popolazione confinata di oltre 2 milioni di persone, dichiarando che queste misure sarebbero rimaste in vigore fino alla restituzione dei circa 200 ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre. Esperti di diritti umani e militari hanno affermato che queste azioni di Israele, insieme ai bombardamenti sulle aree civili di Gaza, sono classificate come “punizioni collettive”, un crimine di guerra secondo il diritto internazionale. Altri commentatori, come Jewish Voice for Peace, definiscono queste misure un genocidio.

Macgregor ha spiegato che se lo scenario minacciato da Graham dovesse realizzarsi, con ogni probabilità ci troveremmo di fronte a una “guerra globale”. Se gli Stati Uniti dovessero entrare in questo conflitto come “co-belligerante” con Israele, “sarà molto difficile per la Russia e la Turchia non entrare in questa lotta contro di noi, perché non tollereranno il tipo di punizione collettiva che Israele progetta per Gaza”.

Inoltre, il veterano della prima guerra in Iraq ha spiegato che il Segretario di Stato Antony Blinken e gli altri responsabili delle decisioni ai vertici del governo statunitense sembrano avere l’errata convinzione che la disparità tra le capacità militari americane e quelle dei loro potenziali avversari sia simile a quella dei primi anni Novanta.

“Non siamo la potenza che eravamo nel 1991”, ha valutato Macgregor. Inoltre, “bisogna considerare l’arsenale di missili che l’Iran possiede, e che possono raggiungere 1.200 miglia con grande precisione, [consegnando] testate convenzionali ad altissimo esplosivo che farebbero danni enormi, distruggendo interi isolati di città in luoghi come Haifa [e] Tel Aviv”.

Se gli Stati Uniti bombardassero l’Iran, Macgregor ha detto che “tutte le basi che abbiamo in Iraq e in Siria… verrebbero prese di mira e questa volta lo farebbero con precisione e la distruzione sarebbe totale”.

Ha anche avvertito che potrebbero manifestarsi attacchi terroristici in patria “potenzialmente peggiori dell’11 settembre”, affermando che ci sono “molti agenti di Hezbollah all’interno degli Stati Uniti”.

Inoltre, se gli israeliani entrano a Gaza e Hezbollah interviene nel nord, scatenando un attacco americano all’Iran, “finiremo in una lotta con la Russia. La Russia non se ne starà tranquilla a guardare l’Iran distrutto dalla potenza aerea e navale degli Stati Uniti nella regione”, ha affermato.

Questo renderebbe le portaerei americane e le altre navi da guerra nel Mediterraneo orientale, che trasportano molte migliaia di soldati statunitensi, “vulnerabili ai missili Kinzhal e ad altri missili, missili da crociera e missili ipersonici che i russi hanno”.

“E dubito seriamente che a quel punto i turchi sarebbero in grado di starne fuori”, ha proseguito Macgregor. I turchi sono “i leader de facto del mondo musulmano sunnita. Hanno le più grandi forze armate della regione. Sono vicini a Israele. Potrebbero spostare le forze a sud attraverso la Siria molto rapidamente” e senza ostacoli.

Macgregor: “Incoraggio gli americani di tutto il mondo ad ascoltare il discorso di Re Abdullah di Giordania”.

Ciò che è fondamentale qui, ancora una volta, è “la questione della punizione collettiva”, ha ribadito il colonnello in pensione. Ha criticato Blinken per aver dichiarato che Israele e gli Stati Uniti avrebbero fatto “tutto il necessario” per distruggere Hamas, in evidente disprezzo del diritto internazionale che richiede la protezione dei civili innocenti nei conflitti armati. Comprendendo la probabile risposta delle nazioni vicine, questa politica dell’amministrazione Biden, dominata dai neoconservatori, indica la chiara intenzione di scatenare una guerra regionale e persino globale.

Macgregor ha proseguito “incoraggiando gli americani di tutto il mondo ad ascoltare il discorso di Re Abdullah di Giordania al Cairo di alcuni giorni fa”. Pur condannando la violenza contro tutti i civili a Gaza, in Cisgiordania e in Israele, il monarca “sottolinea che la punizione collettiva inflitta a 2 milioni di persone è inaccettabile, sia per il diritto internazionale che per ragioni umanitarie. Questo è il problema”.

Parlando della crisi, Abdullah ha detto specificamente: “Sono indignato e addolorato per gli atti di violenza perpetrati contro civili innocenti a Gaza, in Cisgiordania e in Israele. L’implacabile campagna di bombardamenti in corso a Gaza, mentre parliamo, è crudele e inconcepibile a tutti i livelli. È una punizione collettiva di un popolo assediato e indifeso. È una flagrante violazione del diritto umanitario internazionale. È un crimine di guerra”.

“Eppure, più la crisi si fa profonda, crudele, meno il mondo sembra preoccuparsene. Chiunque altro attaccasse infrastrutture civili e affamasse deliberatamente un’intera popolazione di cibo, acqua, elettricità e beni di prima necessità verrebbe condannato. Le responsabilità sarebbero applicate immediatamente, in modo inequivocabile”, ha proposto. “Ma non a Gaza”.

Ha poi messo in guardia dai pericoli “catastrofici” dell’applicazione selettiva del diritto internazionale, che considera la vita di alcuni esseri umani più preziosa di altri, in base alla razza, alla religione e ai confini. Ha poi indicato le priorità del Vertice di pace per porre fine alle ostilità, fornire aiuti umanitari ai civili di Gaza e affermare il “rifiuto inequivocabile” dello sfollamento forzato o interno dei palestinesi, che secondo lui è un crimine di guerra e “una linea rossa per tutti noi”.

“Oggi Israele sta letteralmente affamando i civili di Gaza”, ha detto Abdullah. “Ma per decenni i palestinesi sono stati affamati di speranza, di libertà e di futuro, perché quando le bombe smettono di cadere, Israele non viene mai ritenuto responsabile. Le ingiustizie dell’occupazione continuano, e il mondo se ne va” (trascrizione integrale).

Macgregor ha detto a Carlson che nello “sforzo dell’America di stare al fianco di Israele e di aiutare a proteggerlo, abbiamo preso una strada diversa e abbiamo messo da parte la turpitudine morale”.

“Come si fa ad aiutare uno [Israele] senza commettere un crimine di guerra contro l’altro [i palestinesi]? Questo è il problema della punizione collettiva. Questo è il problema dell’annientamento di Gaza e del tentativo di spazzare via la sua popolazione”, ha affermato. “È inaccettabile per noi americani”.

Israele che commette punizioni collettive “inaccettabili” per gli americani; la guerra che ne deriverebbe potrebbe minacciare l’esistenza dello Stato ebraico

Inoltre, poiché i leader israeliani nel corso degli anni hanno generalmente avuto come obiettivo l’espansione dei loro confini “a tutta la Palestina”, che comporta “l’evacuazione generale” della popolazione araba, anche sotto “brutale costrizione”, Macgregor ha ricordato a Carlson che “gli israeliani vorrebbero spingere la popolazione [di Gaza] fuori” in Egitto, il che rimane un crimine di guerra.

“E quando gli americani vedranno più distruzione, e sempre più filmati e fotografie usciranno da Gaza mostrando bambini, donne, anziani che muoiono e vengono uccisi, il sostegno a Israele si eroderà”, ha avvertito il colonnello in pensione. “E allo stesso tempo, la rabbia e l’odio all’interno della regione, che già non ama Israele, diventeranno fenomenali”.

Queste dinamiche stanno già prendendo piede, come dimostra il governo egiziano che, pur essendo un importante beneficiario degli aiuti esteri americani, “è stato un buon partner strategico per Israele”. Ma a causa delle proteste dell’opinione pubblica nazionale per i bombardamenti su Gaza, “almeno 100.000 truppe egiziane sono state spostate verso il confine con Gaza”, riconoscendo che “potrebbero essere costrette a ingaggiare gli israeliani”, dal momento che nessun altro proteggerà gli oltre 2 milioni di civili dell’enclave.

Se ciò dovesse accadere, con l’Egitto che attacca da sud e Hezbollah da nord, attirando tutte le altre potenze, compresi gli Stati Uniti, questa guerra regionale inizierà non solo danneggiando l’America economicamente e fisicamente, “ma potrebbe minacciare l’esistenza stessa di Israele”.

Sebbene gli Stati Uniti vogliano proteggere Israele, “potremmo non essere in grado di farlo se questa guerra sfugge al controllo”. E siamo sinceri: storicamente, le guerre sfuggono al controllo. Si muovono in direzioni mai previste. Quindi se pensate di poter tracciare questo percorso, come pensa Lindsey Graham, siete pazzi. Una volta che si scatena, non è più gestibile”, ha detto Macgregor.

Il conflitto potrebbe portare alla Terza Guerra Mondiale, con una Russia rafforzata che non teme di impegnare gli Stati Uniti indeboliti.

Macgregor ha anche osservato che, contrariamente a quanto riportato dai media, “l’opinione in Israele è divisa. Chiunque pensi che tutti in Israele siano d’accordo si sbaglia. Ci sono persone disposte a mediare. Ci sono persone che coopereranno con loro in queste circostanze all’interno del mondo musulmano/arabo”.

Richiamando la cruda realtà della situazione attuale, ha aggiunto: “Sai, a un certo punto qualcuno in Israele deve dire che se non possiamo uccidere tutti, dobbiamo convivere con tutti, che ci piaccia o no”.

Invitando a un “periodo di raffreddamento” del conflitto nel tentativo di portare la pace, Macgregor si è detto incoraggiato dall’offerta fatta all’inizio di questa settimana dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan di mediare la disputa tra Israele e Hamas.

“La sua disponibilità a mediare è una luce brillante in un cielo altrimenti molto scuro. E dovremmo guardare a questo perché non vogliamo una guerra regionale. Ci distruggerebbe economicamente”, ha detto. “La Russia è più potente militarmente di quanto non lo sia mai stata dagli anni ’80 ed è pronta ad entrare a fianco dell’Iran. Dovremmo tutti pensarci seriamente”.

E chiunque pensi che [i decisori stranieri] diranno: “Oh, no, abbiamo paura dell’America, non rischieremo”, si sbaglia. Non hanno paura di rischiare di attaccare Israele per paura di scontrarsi con noi. Non siamo la potenza che eravamo nel 1991, e loro lo sanno. Ed economicamente la nostra posizione è molto fragile”.

Steve Jalsevac

6023.- Divide et impera” e in Palestina anche la Nato si divide

Questa volta non è solo Erdoğan a parlare, è il popolo turco che si schiera a fianco del popolo palestinese.

Erdoğan: mostreremo al mondo che Israele è un criminale di guerra

Da La Redazione de l’AntiDiplomatico, 28 ottobre 2023

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan è tornato a scagliarsi contro Israele per i suoi criminali attacchi alla Striscia di Gaza, definendo Tel Aviv un “occupante” e mettendo in guardia l’Occidente dal rischio di una nuova “guerra tra la croce e la mezzaluna”.

In occasione di una grande manifestazione di sostegno e solidarietà alla Palestina, a Istanbul, il presidente turco ha dichiarato che il suo Paese si sta preparando a rivelare al mondo che Israele è un criminale di guerra. 

Mentre domani grideremo a tutto il mondo la nostra gioia per il 100° anniversario della nostra Repubblica, oggi stiamo esprimendo il nostro dolore per Gaza”, ha affermato Erdoğan ai manifestanti riuniti presso l’aeroporto Ataturk, come riporta TRT World. 

I manifestanti, muniti di bandiera turca e palestinese, portavano inoltre slogan come “Siamo tutti palestinesi”, “Poni fine al genocidio, lascia vivere i bambini” e “Sii la voce dei bambini palestinesi”.

Bugün ?stanbul’da Filistin davas?na sahip ç?kan, Gazzeli mazlumlara umut olan aziz milletimin her bir ferdini tebrik ediyorum.

Tüm ülkeleri, Gazze’de çocuklar, kad?nlar ve masum sivillerle birlikte enkaz alt?nda kalan insanl???n ortak de?erlerine sahip ç?kmaya ça??r?yoruz. ????????????????

Recep Tayyip Erdoğan

🇹🇷
🇵🇸

 pic.twitter.com/Vq9aZOW79e

Mi congratulo con tutti i membri della mia amata nazione che oggi hanno sostenuto la causa palestinese a Istanbul e hanno dato speranza al popolo oppresso di Gaza.
Chiediamo a tutti i Paesi di proteggere i valori comuni dell’umanità intrappolata sotto le macerie di Gaza, insieme ai bambini, alle donne e ai civili innocenti. ?????????????????? pic.twitter.com/Vq9aZOW79e

“Cos’era Gaza, la Palestina nel 1947? Che cos’è oggi? Israele, come sei arrivato qui? Come sei entrato? Sei un occupante”, ha scandito Erdoğan, sottolineando che la Turchia intende presentare Tel Aviv al mondo come un criminale di guerra.

A Gaza si sta compiendo un vile massacro, ha sottolineato, chiedendo ancora una volta quanti bambini, donne e anziani innocenti devono morire prima che venga dichiarato il cessate il fuoco.

Criticando anche il sostegno incondizionato dell’Occidente a Israele e la mobilitazione dei media per legittimare il massacro di persone innocenti a Gaza, Erdoğan ha sottolineato la coraggiosa posizione filo-palestinese della Turchia, affermando che: “L’Occidente è in debito con voi (Israele), ma la Turchia no. Ecco perché parliamo senza esitazione”.

“Il libro dei peccati dell’Occidente ha ancora una volta superato i suoi limiti”, ha aggiunto, sottolineando che Israele non potrebbe commettere tali atrocità senza il sostegno dell’Occidente. 

Riguardo la questione delle morti di civili nell’enclave palestinese, Erdoğan ha accusato l’esercito israeliano di non avere “il minimo problema ad uccidere persone”. “Dicono apertamente e chiaramente: ‘Sappiamo come uccidere’. Ma pagheranno un prezzo alto per questo”, ha previsto.

D’altra parte, il leader turco ha sottolineato che la manifestazione di Istanbul non è stata indetta solo per mostrare solidarietà con la popolazione di Gaza, ma per difendere “l’indipendenza” e il “futuro” della Turchia.

Türkiye’nin yüre?i 21 gündür Filistin için Gazze için at?yor. Bugün de insanl???n onuru olup istanbul’da #BüyükFilistinMitingi için yüzbinler Atatürk Havaliman?na ak?yor.Bu soyk?r?ma dur demek “F?L?ST?N’E SES, GAZZE’YE NEFES” için dünyaya güçlü bir mesaj veriyor

United4Palestinepic.twitter.com/nb3WqjQ4vl

— ?brahim Harun KULABER (@ibrahimHkulaber) October 28, 2023

Da 21 giorni il cuore della Turchia batte per la Palestina e Gaza. Oggi è un onore per l’umanità e centinaia di migliaia di persone stanno affluendo all’aeroporto Ataturk per il GreatPalestineRally a Istanbul. Dire basta a questo genocidio invia un messaggio forte al mondo per “VOICE TO PALESTINE, BREATH TO GAZA”

Anche l’artista di fama internazionale Yusuf Islam, conosciuto anche come Cat Stevens, si è rivolto alla manifestazione di sabato a favore della Palestina “per il bombardamento di famiglie innocenti, delle loro case e soprattutto dei bambini piccoli che costituiscono la metà delle persone uccise”.

Ha ringraziato la Turchia per aver preso la “giusta posizione” sulla crisi umanitaria a Gaza, che da tre settimane è sottoposta a incessanti attacchi aerei israeliani.

“Questa non è una battaglia tra pari. Se guardiamo all’attacco del 7 ottobre e lo confrontiamo con la portata della vasta risposta militare, non c’è paragone”, ha detto Islam.

Ha esortato gli israeliani a ricordare il messaggio della Torah, dicendo: “Ricordate il messaggio originale che Dio vi ha inviato: ‘Non ucciderai, non ruberai, non cercherai la proprietà del tuo prossimo’. Queste sono le leggi che Mosè ha insegnato al mondo. Perché non le seguite?”.

Nelle ultime tre settimane, Israele ha condotto una campagna incessante di attacchi aerei e di artiglieria su Gaza, in Palestina, ponendo i residenti della città sotto assedio totale, con un blocco di cibo, carburante e forniture mediche.

Almeno 7.326 palestinesi sono stati uccisi negli attacchi, circa il 70% dei quali sono donne e bambini, secondo i dati ufficiali, riportati da TRT World.

Venerdì, Israele ha intensificato drasticamente i bombardamenti dopo aver messo fuori uso internet e le comunicazioni nella Gaza assediata, isolando in gran parte la piccola enclave palestinese dai contatti reciproci e con il mondo esterno.

Venerdì l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che chiede una tregua umanitaria, ma il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen l’ha definita “spregevole” e l’ha respinta.

L’artista di fama mondiale Yusuf Islam, per noi, Cat Stevens, ha tenuto un discorso al “Grande Raduno della Palestina” organizzato dalla presidenza provinciale di Istanbul del partito AK con la partecipazione del presidente Recep Tayyip Erdoğan.

6013.- Quanto gli immigrati dividono l’Europa..

I francesi condannati a sperare, tra un’opposizione islamico-sinistra ormai totalmente rivendicata, un giovane immigrato che odia il Paese e un esecutivo completamente strambo. Quanto gli immigrati dividono l’Europa… ma anche quanto il sionismo e l’Islam dividono il Mediterraneo. Dove mai andrà l’Unione europea?

Macron part pour Israël au lendemain d’une manifestation… pro-palestinienne

Da Boulevard Voltaire, 23 octobre 2023, di Arnaud Florac

Macron sarà in Israele questo martedì, 24 ottobre. Molto tardi. È probabile, purtroppo, che al mondo intero non interessi… ma è comunque possibile che il Presidente della Repubblica ci deluda comunque. Jordan Bardella ha ricordato domenica su Europe 1 e CNews (in “Le Grand Rendez-vous”) che il Presidente Macron è riuscito nell’impresa di alienare sia il Marocco che l’Algeria, cosa che nessun capo di Stato francese prima di lui era riuscito a fare. . È una scommessa sicura che abbia il talento per litigare sia con il mondo arabo che con il governo israeliano. Al tempo stesso vibrante e totalmente inutile, in una versione rinnovata della mosca sul muro, probabilmente si farà qualche selfie e pubblicherà uno o due tweet in ebraico o arabo, e la Francia continuerà ad affondare. Anche se nulla è perduto, anche se siamo condannati a sperare, tra un’opposizione islamico-sinistra ormai totalmente rivendicata, un giovane immigrato che odia il nostro Paese e un esecutivo completamente strambo, c’è poco da rallegrarsi di iniziare la settimana, mentre il precedente finì male.

Manifestazione a Parigi: “Allah Akbar”, l’inno ufficiale della divisione

Per garantire il servizio post-vendita, un tweet di Mélenchon sarà sufficiente. Ci ha abituato all’oltraggioso, al grottesco, perfino al disgustoso. Anche questa volta non ha deluso: “Ecco la Francia. Nel frattempo, Madame Braun-Pivet si accampa a Tel Aviv per incoraggiare il massacro. Non in nome del popolo francese! “C’è tutto. “Ecco la Francia”, come didascalia davanti a un piccolo mare di bandiere palestinesi e, più che probabile, qualche centinaio di antisemiti disinibiti: impeccabili. “Madame Braun-Pivet”, che ha un nome ebraico, “accampamenti a Tel Aviv”: capiamo la finezza e il gusto squisito del verbo “accamparsi”, è buono, non c’è bisogno di sottotitoli. Quanto all'”incoraggiamento al massacro”, se è vero che l’IDF non si distingue per il suo umanesimo nei confronti dei civili di Gaza, non si può definire un “massacro” un’operazione di ritorsione, anche se ritenuta sproporzionata, rispetto a quanto avvenuto. un vero e proprio massacro, ovvero la barbarie di Hamas in territorio israeliano la mattina del 7 ottobre.

Clima deleterio

Nel frattempo, ovviamente, il clima nocivo mette le ali a tutti i piccoli idioti provenienti da ambienti sensibili. Tre studenti universitari parigini sono stati appena incriminati: stavano preparando un attentato contro l’ambasciata israeliana con l’obiettivo di “terrorizzare gli ebrei”. Ecco dove siamo, dopo decenni di lassismo, odio per noi stessi e immigrazione incontrollata. E questi casi, ovviamente, sono tutt’altro che isolati. Da prendere sul serio durante una visita in Israele, ne abbiamo viste di più convincenti.

5991.- Terroristi uccisi e basi distrutte: gli obiettivi di Israele a Gaza.

L’occupazione di Gaza, l’allargamento del conflitto, insieme ai conflitti più o meno aperti nel Medio Oriente e nella regione della Transcaucasia, metterebbero un’ipoteca sull’espansione commerciale della Cina in Europa. Il mondo arabo tenderebbe a coalizzarsi contro i sostenitori di Israele, scrivendo la parola fine sulle politiche di solidarietà attiva dell’Italia verso il Magreb e il Sahel. Aggiungendosi questo scenario alla chiusura del commercio fra l’Unione europea e la Russia, farebbe degli Stati Uniti l’unica economia attiva dell’Occidente.

Quello che non vogliamo:

Raisi: “Un attacco a Gaza porterà ad una lunga guerra”

Il presidente iraniano Ebrahim Raisi, in un colloquio telefonico con il suo omologo russo Vladimir Putin, ha affermato che le azioni di Israele nella Striscia di Gaza potrebbero portare a “una lunga guerra” in Medio Oriente. Lo ha riferito su X il vice capo di gabinetto per gli affari politici del leader di Teheran, Mohammad Jamshedi: “Raisi ha affermato che l’assedio in corso, l’uccisione di donne e bambini e l’attacco di terra alla Striscia di Gaza e al suo governo legalmente eletto porteranno a una lunga guerra su diversi fronti”.

Confermato il numero di ostaggi

Il portavoce dell’esercito israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha confermato che sono 199 gli ostaggi attualmente nelle mani di Hamas e nascosti nella Striscia di Gaza. L’ufficiale ha spiegato che le forze armate hanno avvisato le famiglie e che sono impegnate nella loro liberazione.

… e quello che vogliamo.

Fine di tutti i bombardamenti, liberazione degli ostaggi e negoziato per realizzare uno stato palestinese complementare a Israele.

Il governo del Qatar ha espresso ottimismo riguardo alla possibilità di un loro rilascio, sottolineando che “ci sono sforzi regionali internazionali in corso riguardo al dossier dei prigionieri”.

Il portavoce del ministro degli Esteri iraniano Nasser Kanaani ha affermato che Hamas sarebbe pronta a rilasciare i circa 200 ostaggi prigionieri a Gaza, ma in cambio Israele dovrebbe mettere fine ai bombardamenti sulla Striscia. 

Basta odio e vendette.

Il portavoce del governo iraniano Naser Kanaani è fermo alle accuse. Ha dichiarato che “gli Stati Uniti devono essere ritenuti responsabili dei crimini del regime sionista e l’invio della flotta militare nelle acque della regione è solo un sostegno al tiranno“. Come riportato dall’agenzia Irna, il rappresentante di Teheran ha affermato che “qualsiasi partito che sostiene il regime sionista ha la stessa responsabilità internazionale e deve rendere conto alla nazione palestinese. Oggi, vediamo l’ipocrisia dei falsi difensori dei diritti umani riguardo a Gaza in modo più chiaro che mai”.

Ha inoltre sottolineato che, per l’Iran, l’invio delle portaerei nel Mediterraneo orientale e le forniture militari a Israele sono indicazioni del fatto che gli Stato Uniti “sono già di fatto parte del conflitto“. Infine, Kanaani ha lanciato un avvertimento: “La continuazione dei crimini di guerra contro la popolazione di Gaza e della Cisgiordania può portare ad un ulteriore infiammarsi della situazione”.

La vendetta di Israele: «Abbiamo ucciso il capo dell’intelligence di Hamas». Razzi verso Tel Aviv e Gerusalemme, sgomberata la Knesset.

Da Open online:

Ucciso il capo dell'intelligence di Hamas. Pioggia di razzi su Gerusalmme e Tel Aviv

L’esercito israeliano ha rivisto al rialzo il numero degli ostaggi a Gaza: sarebbero 199. Blinken a Tel Aviv, offensiva di terra ancora in standby

Esercito, ucciso capo intelligence di Hamas a Khan Younis

Esercito, ucciso capo intelligence di Hamas a Khan Younis

L’esercito israeliano ha fatto sapere di aver ucciso il capo dell’intelligence generale di Hamas a Khan Younis, nel sud della Striscia, pubblicando un video dell’azione. Intanto il premier israeliano Benjamin Netanyahu è tornato a ribadire oggi le intenzioni bellicose di Israele contro Hamas, nel corso della prima seduta della sessione autunnale della Knesset. «Trionferemo perché ne va della nostra stessa esistenza in questa regione, che è piena di forze oscure», ha dichiarato il premier. «Hamas – ha continuato – fa parte dell’asse malvagio formato da Iran e Hezbollah. Mirano a gettare il Medio Oriente in un abisso di caos. Ci sono molte domande sul disastro che ci ha travolto dieci giorni fa. Investigheremo ogni aspetto». Al podio del Parlamento israeliano si sono alternati i rappresentanti delle diverse formazioni. Compreso Yair Lapid, il leader dell’opposizione che ha rifiutato di entrare – al contrario del suo sodale Benny Gantz – nel governo di unità nazionale, ma che oggi ha promesso una sorta di “appoggio esterno” al gabinetto di guerra chiamato a vendicare la strage compiuta dagli islamisti il 7 ottobre. «Ci vorrà tempo, richiederà l’uso di molta forza. E se al mondo non piacerà, che così sia. Non sono i loro bambini che sono stati assassinati, ma i nostri». Il dibattito alla Knesset si è dovuto però interrompere perché nel pomeriggio sia a Tel Aviv che a Gerusalemme sono di nuovo suonate le sirene d’allarme per l’arrivo di razzi di Hamas dalla Striscia di Gaza. Tutti i parlamentari si sono dovuti rifugiare nei bunker sotterranei. La seduta è poi ripresa dopo 40 minuti circa.

Il destino degli ostaggi a Gaza

A ritardare l’avvio dell’operazione di terra è però, fra gli altri fattori, la valutazione dei rischi per gli ostaggi israeliani detenuti dalle formazioni islamiste palestinesi a Gaza. Oggi l’Idf ha aggiornato, verso l’alto, la loro cifra stimata: sono 199 le persone fatte prigionerei da Hamas che si trovano nella Striscia, ha detto il portavoce dell’esercito israeliano Daniel Hagari in una conferenza stampa, ribadendo che «Israele sta compiendo uno sforzo nazionale di priorità suprema nei loro confronti ricorrendo anche a informazioni di intelligence». L’Idf ha inoltre finora «informato 295 famiglie di militari caduti nel conflitto» con il partito-milizia. Un sinistro avvertimento sulla loro sorte degli ostaggi è arrivato oggi da Teheran. Il regime iraniano si è fatto portavoce di Hamas affermando che i miliziani sarebbero pronti al rilascio degli ostaggi se Israele mettesse fine agli attacchi sulla Striscia. Lo ha detto, citato da Times of Israel, il portavoce del ministro degli Esteri iraniano Nasser Kanaani. Nessuna presa di posizione è però arrivata da parte di Hamas. Secondo Hanani, esponenti della fazione palestinese «hanno detto di essere pronti a prendere le necessarie misure per il rilascio dei civili tenuti dai gruppi della resistenza, ma che il loro punto di vista è che tali misure richiedono preparativi impossibili sotto i bombardamenti quotidiani dei sionisti contro varie parti di Gaza». E ancora da Teheran è arrivato l’avvertimento: «Nessuno può garantire il controllo della situazione se Israele invade la Striscia», il monito del ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian dopo un incontro a Doha con il leader di Hamas Ismail Haniyeh.

Putin è per la creazione di uno stato palestinese

Il presidente russo Vladimir Putin si è sentito telefonicamente con i presidenti dell’Egitto Abdel Fattah al-Sisi, dell’Iran Ebrahim Raisi, della Siria Bashar al Assad e dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, e «ha sottolineato l’inaccettabilità di qualsiasi forma di violenza contro i civili» in Medio Oriente. A riportare la versione del Cremlino è l’agenzia Tass. Nei colloqui telefonici ha ribadito che Mosca è favorevole ad una «giusta risoluzione della questione palestinese» tramite la creazione di uno Stato indipendente palestinese.

Unrwa: «Rubate benzina e attrezzature mediche a Gaza City»

L’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) ha denunciato che diverse persone – autodefinitasi di Hamas – hanno «sequestrato benzina e attrezzature mediche» dalla sua base a Gaza City. «Il nostro staff – scrive su X – è stato costretto a evacuare il quartier generale a Gaza city con un preavviso di poche ore durante la notte di venerdì 13 ottobre. Da allora l’Unrwa non ha avuto accesso al complesso e non ha avuto ulteriori dettagli sulla rimozione dei beni. Il carburante e altri tipi di materiale dell’Unrwa vengono conservati per scopi strettamente umanitari e qualsiasi altro utilizzo è fermamente condannato», conclude.

Il fronte caldo con Hezbollah 

Continuano anche oggi gli scambi di fuoco al confine nord tra Israele e Hezbollah. Il gruppo sciita ha rivendicato di aver attaccato cinque basi dell’Esercito dello Stato ebraico, che a sua volta ha colpito obiettivi nel sud del Libano, secondo quanto riferisce Haaretz. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallan ha ribadito oggi che Tel Aviv non è interessata ad aprire un secondo fronte al nord. «Non vogliamo un’escalation della situazione», ha spiegato, ma se gli Hezbollah «scelgono la via della guerra, pagheranno un pesante prezzo». Più dura la dichiarazione del portavoce dell’Idf: «Se Hezbollah compirà un errore per metterci alla prova, la nostra reazione sarà micidiale»: questo l’avvertimento giunto oggi del portavoce militare israeliano Daniel Hagari dopo gli scontri a fuoco di ieri al confine con il Libano in cui due israeliani sono rimasti uccisi. «Gli Hezbollah – ha concluso – operano dietro istruzione e con il sostegno dell’Iran, mettendo cosi’ in pericolo il Libano». Dopo l’aumento delle ostilità con Hezbollah, l’esercito israeliano ha ordinato l’evacuazione delle persone che vivono in 28 comunità situate entro 2 chilometri dal confine con il Libano. Hezbollah – scrive Afp – avrebbe inoltre iniziato a distruggere le telecamere di sorveglianza su diverse postazioni dell’esercito israeliano lungo la frontiera. L’obiettivo dell’organizzazione paramilitare islamica sciita sembra essere – sottolineano fonti militari – quello di impedire all’Idf di monitorare i movimenti sul lato libanese del confine. 

Blinken a Tel Aviv. Netanyahu: «Nessun cessate il fuoco»

Le nuove tensioni hanno spinto il segretario di Stato Usa Antony Blinken a tornare oggi in Israele per alcuni «colloqui sulla crisi», dopo un tour diplomatico nella regione mediorientale. Il capo della diplomazia Usa, che giovedì si trovava in Israele per una visita di solidarietà, è atterrato a Tel Aviv e incontrerà nuovamente il primo ministro Benjamin Netanyahu a Gerusalemme. Quest’ultimo in mattinata ha fatto sapere che «Non c’è per il momento un cessate il fuoco né l’ingresso a Gaza di aiuti umanitari in cambio della fuoriuscita di cittadini stranieri», lo ha reso noto il suo ufficio, commentando notizie diffuse in precedenza circa l’apertura del valico di Rafah (fra Egitto e Gaza) alle 9 del mattino ora locale, le 8 in Italia. Secondo un funzionario statunitense, citato da Cnn, il segretario di Stato americano incontrerà anche il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant e il leader dell’opposizione Yair Lapid. Nel frattempo, Jake Sullivan – il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, in un’intervista alla Cbs, ha sottolineato come «La minaccia è reale. C’è il rischio di escalation di questo conflitto, dell’apertura di un secondo fronte nel nord e ovviamente del coinvolgimento dell’Iran. Dobbiamo prepararci a ogni evenienza». 

Meloni: «Solidali a Israele»

«Il Governo esprime la sua vicinanza alla Comunità Ebraica di Roma, ai famigliari e ai discendenti dei deportati. Oggi più che mai, a seguito del terribile attacco di Hamas, ribadiamo la nostra solidarietà all’intero popolo d’Israele, ferito nuovamente dall’odio antisemita», dichiara la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Le parole figurano nella nota del governo fatta «in occasione dell’80° anniversario del rastrellamento degli Ebrei di Roma, ha ricevuto a Palazzo Chigi il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Victor Fadlun». «In questa giornata – ha aggiunto Meloni – rinnoviamo il nostro impegno per mantenere viva la memoria di quei fatti terribili e per combattere, in ogni sua forma, nuova e antica, il virus dell’antisemitismo».

Biden: «L’occupazione di Gaza è un grave errore»

Nella giornata di ieri – domenica 15 ottobre – il presidente Usa aveva definito «l’occupazione di Gaza» un «grosso errore», riporta il Washington Post. «Hamas e gli elementi estremi di Hamas non rappresentano tutto il popolo palestinese», spiega Biden, ribadendo inoltre che l’organizzazione – terroristica per Usa e Ue – deve essere completamente eliminata, ma che deve esserci anche una strada verso uno Stato palestinese. Il presidente afferma che non pensa tuttavia che Israele perseguirà questa strada in questo momento. «Ma credo che lo Stato ebraico capisca che una parte significativa del popolo palestinese non condivide le opinioni di Hamas e Hezbollah», ha concluso il presidente Usa. Secondo una fonte israeliana, il presidente Usa potrebbe arrivare in Israele mercoledì prossimo. Lo riferisce Haaretz.

5975.- Parigi, Berlino e Londra: vietato manifestare per la Palestina.

Così anche Vienna. E Budapest vieta le manifestazioni pro organizzazioni terroristiche, mentre gli arabi si schierano con gli arabi. La battaglia di Israele e dell’Occidente non è e non deve essere contro i palestinesi, contro gli arabi, ma contro Hamas e tutto ciò che gli ha portato consensi e risorse, altrimenti, così, si fomentano le divisioni, si invita all’emulazione e si fa il gioco di Hamas, di Netanyahu, di Khomeyni e di chissà chi altro, Biden, per esempio. Impossibile che questo messaggio non detti la linea politica nelle cancellerie europee. Sembra quasi che i nostri governi siano stati imbarcati dalla portaerei USS Ford, che mirino a colpire l’Iran, quindi, a destabilizzare il Medio Oriente, anziché a dare impulso alla politica dei due stati, complementari fra loro, indicata dall’ONU. La via fra la Cina e l’Europa sarebbe impedita e, infatti, Pechino ha preso le distanze da Tel Aviv dichiarando di opporsi ad azioni che intensificano i conflitti e minano la stabilità regionale.

La Repubblica dell’Algeria e della Tunisia hanno espresso «la piena solidarietà con il popolo e il governo della Palestina

Proseguendo l’Italia in questa prospettiva, verrebbe meno il Nuovo Piano Mattei, mentre la politica ondivaga di Erdoğan si affermerebbe.

Da Pagine Esteri, l’articolo di Marco Santopadre, 13 Ott 2023.

Parigi, Berlino e Londra: vietato manifestare per la Palestina

Pagine Esteri, 13 ottobre 2023 – Manifestare a sostegno dei diritti del popolo palestinese sta incredibilmente diventando un atto che in alcuni paesi europei può essere considerato un reato.
I governi di Francia, Germania e Regno Unito, in particolare, hanno varato in queste ore delle misure dirette a impedire le manifestazioni pubbliche di solidarietà con la causa palestinese e a colpire addirittura la libera espressione di opinioni critiche nei confronti di Israele.

Scontri a Parigi, vietata ogni manifestazione per la Palestina 
La Francia è il paese che ha imposto finora il divieto più draconiano. Il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin, ha proibito ogni genere di manifestazione contro l’assedio e i bombardamenti israeliani che, mentre scriviamo, hanno già causato la morte di 1600 persone nella Striscia di Gaza. Darmanin ha comunicato la misura ai prefetti di tutto il Paese attraverso un telegramma, nel quale sono contenute le “rigide consegne” da applicare.

Le associazioni di solidarietà, i partiti di sinistra e le comunità palestinesi e arabe hanno però deciso di infrangere il divieto e scendere comunque in piazza. A Parigi ieri alcune migliaia di persone si sono radunate in Place de la République, ma sono state attaccate dalle forze dell’ordine in tenuta antisommossa che hanno tentato, senza successo, di disperdere i presenti usando manganelli, cannoni ad acqua e gas lacrimogeni. Nella capitale francese la polizia ha effettuato dieci fermi. Manifestazioni più piccole si sono tenute ieri anche a Tolosa, Nimes, Bordeaux, Nantes e altre località.
Già lunedì scorso gli agenti avevano caricato e disperso circa 150 persone che si erano radunate in piazza a Lione per protestare contro l’occupazione della Palestina.

Il governo francese non sembra volersi limitare a impedire le manifestazioni pacifiche, violando uno dei principi basilari della sua stessa costituzione. Darmanin ha annunciato infatti che il Nuovo Partito Anticapitalista (NPA), una formazione di sinistra radicale, è oggetto di un’indagine in quanto accusato di “favoreggiamento del terrorismo” a causa di una dichiarazione diffusa dalla sua segreteria in cui si esprime solidarietà alla resistenza palestinese. Anche la France Insoumise, il principale movimento d’opposizione di sinistra del paese, è oggetto di un tentativo di linciaggio politico e mediatico perché i suoi principali esponenti, pur condannando l’azione di Hamas e l’uccisione di numerosi civili israeliani, si rifiutano di definire “terroristica” l’organizzazione palestinese.
Inoltre il Ministero degli Interni ha annunciato l’apertura di un iter che dovrebbe portare allo scioglimento e alla chiusura di alcune associazioni e organizzazioni che accusa di apologia dell’antisemitismo o del terrorismo, citando in particolare la sigla “Palestine Vaincrà”, legato alla sinistra palestinese, già oggetto di provvedimenti persecutori negli anni scorsi.
Come se non bastasse il ministro ha affermato che i cittadini stranieri autori di eventuali reati legati alla propaganda filopalestinese «devono vedersi sistematicamente revocato il permesso di soggiorno ed essere espulsi».

La Germania contro Hamas, ma non solo
Apparentemente, il governo tedesco – formato da socialdemocratici, verdi e liberali – sembra per ora voler proibire esclusivamente le manifestazioni affini al movimento islamista palestinese Hamas, ma l’applicazione di questa misura viene già applicata in maniera relativamente indiscriminata.
La polizia di Berlino ha infatti già vietato due manifestazioni previste mercoledì a sostegno dei diritti del popolo palestinese nella capitale perché «avrebbero rappresentato una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico».
Comunque mercoledì a Berlino sono scese in piazza alcune migliaia di persone contro la quale si è scagliata la polizia mobilitata in forze, che ha realizzato 140 fermi e ha denunciato 13 persone per diversi reati. I manifestanti si sono radunati soprattutto nel quartiere di Neukoelln che, insieme a quello di Kreuzberg, ospita una notevole comunità araba e turca.

Anche in Germania, come in Francia, l’esecutivo intende sciogliere alcune associazioni e organizzazioni propalestinesi. Lo stesso cancelliere Olaf Scholz, nel corso di un intervento al Bundestag, ha annunciato l’intenzione di sciogliere l’associazione Samidoun, accusata di aver festeggiato a Berlino l’attacco di Hamas contro Israele. In realtà la “rete di solidarietà con i prigionieri palestinesi” Samidoun è stata fondata nel 2011 da alcuni membri del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), un partito della sinistra marxista palestinese che è inserito nelle liste nere dell’Unione Europea ma le cui attività finora non erano state bandite in Germania.
Scholz ha aggiunto che chiunque bruci le bandiere di Israele commette un reato e verrà punito.

Kissinger: la Germania ha sbagliato ad accettare troppi immigrati

Così, Kissinger, soffiando sul fuoco. ndr


Sulla vicenda interviene dagli Stati Uniti l’ex segretario di stato americano Henry Kissinger, che in un’intervista concessa all’emittente televisiva “Welt Tv”, commentando le manifestazioni filopalestinesi verificatesi nei giorni scorsi in numerose grandi città europee, ha affermato che la Germania ha compiuto un «grave errore» accogliendo per anni un numero eccessivo di migranti appartenenti a «culture, fedi religiose e idee» troppo diverse rispetto a quelle del paese e dell’UE nel suo complesso. La «accoglienza eccessiva», ha affermato il centenario ex segretario di Stato, nato in Germania ma fuggito negli USA nel 1938 per sottrarsi al nazismo, a sua avviso «ha creato un gruppo di pressione in ogni Paese” che ha praticato per anni politiche migratorie poco caute.

Anche in Austria, la polizia di Vienna ha vietato una manifestazione pro-palestinese, motivando la decisione con lo slogan “Dal fiume al mare” usato per pubblicizzare la protesta, ritenuto un appello alla violenza. «Fondamentalmente è questo: “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”, uno slogan dell’Olp adottato da Hamas» ha spiegato il capo della polizia della capitale austriaca, Gerhard Puerstl.

«L’Ungheria non consentirà alcuna manifestazione a sostegno delle “organizzazioni terroristiche”» ha dichiarato oggi alla radio pubblica ungherese il primo ministro Viktor Orban (stretto alleato del governo israeliano), aggiungendo che tutti i cittadini ungheresi dovrebbero sentirsi al sicuro, indipendentemente dalla loro fede o origine.

Londra: anche sventolare la bandiera palestinese potrebbe essere vietato
Anche il governo conservatore del Regno Unito ha impresso un giro di vite alla libertà di espressione e manifestazione. Nei giorni scorsi si sono già svolte alcune manifestazioni a favore della Palestina sia a Londra sia in altre città ma il ministro dell’Interno Suella Braverman ha esortato la polizia ad essere inflessibile nei confronti di comportamenti e slogan ritenuti inaccettabili e a valutare se sventolare la bandiera palestinese possa essere considerato un reato assimilabile all’esaltazione del terrorismo.

Braverman ha inviato una lettera ai capi della polizia britannica per sottolineare che «non sono solo i simboli e i canti espliciti pro-Hamas a destare preoccupazione», ed ha invitato le forze di sicurezza a valutare se i canti o i simboli esposti possano essere intesi come «espressione di un atteggiamento violento». Quattro persone sono già state arrestate nel corso di una manifestazione organizzata a Manchester. – Pagine Esteri

5974.- Ecco gli obiettivi politici dell’Iran dietro l’attacco ad Israele. Parla Ahmad Rafat (Kayhan International)

Ci sono fini non solo di politica estera ma anche di politica interna dietro il sostegno dell’Iran ad Hamas contro Israele. Conversazione con Ahamad Rafat, giornalista italo-iraniano che oggi opera a Londra con un’emittente televisiva – Kayhan International – che trasmette il proprio segnale fino in Iran.

Quali potrebbero essere gli obiettivi di Washington in Medio Oriente potremmo dedurli dal rafforzamento della sua presenza militare, in atto da mesi.

Gli Usa blindano il Medio Oriente: "Pronta una seconda portaerei"

La risposta che hanno dato gli Stati Uniti ad Ali Khamenei è il rischieramento del Gruppo d’attacco della USS Gerald R. Ford, in assoluto la portaerei più potente del mondo, i cui obiettivi non saranno certo le case di Gaza. Stiamo assistendo all’esecuzione di un Piano Operativo contro l’Iran oppure Biden ha voluto riaffermare la presenza USA nel Mediterraneo Orientale? Lo vedremo, intanto, presto una seconda portaerei farà parte del Gruppo d’attacco. Il messaggio vale anche per Erdoğan, leader musulmano e, a un tempo, leader di un Paese membro dell’Alleanza atlantica. La USS Gerald R. Ford è la capoclasse delle portaerei d’attacco nucleari che nei prossimi anni verranno varate dall’US.NAVY. È lunga 330 metri, alta 76 metri ed è mossa da due reattori.

La conversazione con Ahamad Rafat

Da Startmag, 12 Ottobre 2023, di Marco Orioles

Ecco gli obiettivi politici dell’Iran dietro l’attacco ad Israele. Parla Ahmad Rafat (Kayhan International)

Ecco gli obiettivi politici dell’Iran dietro l’attacco ad Israele. Parla Ahmad Rafat (Kayhan International).

“Il messaggio che il regime degli ayatollah trasmette alla propria popolazione con l’attacco a Israele è il seguente: “se siamo in grado di massacrare i cittadini dello Stato più potente del Medio Oriente, immaginate cosa possiamo fare a voi”. Era questo, secondo Ahamad Rafat, giornalista italo-iraniano che oggi opera a Londra con un’emittente televisiva – Kayhan International – che trasmette il proprio segnale fino in Iran, uno degli obiettivi che Teheran si è prefisso nell’aiutare Hamas a commettere gli orrendi crimini perpetrati lo scorso 7 ottobre in Israele.

È vero che l’Iran sostiene, arma e finanzia Hamas?

Sì. Tre mesi fa la nostra testata ha pubblicato la testimonianza di un giornalista iraniano che aveva scoperto come l’Iran, nel mese di maggio, avesse contribuito a creare due strutture a Gaza: una per il montaggio di droni, tecnologia che il regime padroneggia egregiamente, e una per i missili. A posteriori, questo indica come Teheran stesse preparando questo attacco da molto tempo.

Quindi questa singolare forma di cooperazione tra Iran e Gaza era nota?

Sì, ed è sorprendente che Israele, che a Gaza sorveglia i movimenti anche delle mosche, si sia fatta cogliere impreparata. Viene da pensare.che Shin Bet e Mossad abbiano sottovalutato la minaccia delle migliaia di missili e droni ammassati in questi mesi da Iran e Hamas a Gaza.

Quindi l’appoggio dell’Iran ad Hamas è conclamato.

Certamente. Vorrei ricordare che Ali Khamenei, la guida suprema, si è congratulata con Hamas dopo il blitz, e i capi di Hamas hanno detto che senza l’appoggio dell’Iran questo attacco non sarebbe stato possibile. È difficile d’altronde pensare che un attacco di queste dimensioni sia stato organizzato dalla sola Hamas.

Qual è l’obiettivo politico dell’Iran?

Gli obiettivi sono più di uno. Si trattava innanzitutto di dimostrare la capacità di mettere seriamente a rischio la sicurezza di Israele e dell’intero Medio Oriente. Ma il secondo obiettivo non era meno importante, ed era quello di sabotare il processo di normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita nell’ambito dei famosi accordi di Abramo.

Perché sabotarlo?

Perché si sarebbe trattato di un accordo storico, non paragonabile a quelli che Israele ha già siglato con gli Emirati Arabi Uniti e con il Bahrein. L’Arabia Saudita non è un Paese qualunque ma …

È la custode dei luoghi sacri dell’Islam, ossia Mecca e Medina, dove Maometto fondò quella religione.

Esatto. È proprio per questo che, se Riad acconsentirà a normalizzare i rapporti con Israele, lo farà tutto il mondo arabo. Non stiamo parlando dell’Egitto che riconosce Israele da tempo e che, nonostante la sua importanza, non gode dello stesso prestigio agli occhi dei musulmani di tutto il mondo. Con questo attacco l’Iran ha lanciato un potente messaggio anche all’Arabia Saudita.

Quale?

È una sorta di avvertimento: se possiamo attaccare Israele e metterla in ginocchio, figurarsi cosa possiamo fare all’Arabia Saudita.

A questo punto non è che l’Iran, dopo il primo colpo, ne voglia assestate un altro mobilitando Hezbollah a Nord di Israele?

Quel fronte è già aperto. Sebbene di piccola entità, alcuni attacchi sono già partiti dal Libano innescando la reazione di Israele. Più che di azioni di guerra, si tratta per ora di scaramucce. E qui si evidenzia un altro degli obiettivi che si prefigge l’Iran.

Quale obiettivo?

L’Iran vuole anzitutto essere considerato come il più feroce nemico degli Usa, un nemico con cui bisogna raggiungere un accordo. Teheran sta chiedendo all’America di mollare la presa perché, ricordiamo, il Paese subisce ancora le conseguenze delle sanzioni di Washington, che gli impediscono di commerciare liberamente il suo petrolio. Il messaggio secondario che l’Iran lancia agli Usa è che in qualunque momento è in grado di creare il caos in Medio Oriente, e che le conviene dunque negoziare.

L’Iran insomma aveva molti motivi per sferrare questo attacco.

Oltre a quelli che ho già esposto ce n’è un altro, ossia il fronte interno. Non possiamo dimenticare che il regime khomeinista è stato sfidato dagli stessi cittadini dopo il caso di Mahsa Amini, la giovane iraniana uccisa l’anno scorso dalla polizia morale perché mal velata. Proprio in questi giorni è scoppiato il caso identico di una sedicenne finita in coma perché malmenata dalla polizia morale. Il messaggio che il regime trasmette ora alla propria popolazione con l’attacco a Israele è il seguente: se siamo in grado di massacrare i cittadini dello Stato più potente del Medio Oriente, immaginate cosa possiamo fare a voi.

5965.- Israele: Algeria, Tunisia, Qatar… sostengono Hamas. La Francia in trappola

Dopo l’Ucraina, il Mediterraneo è in guerra. Non soltanto Israele. Europa e Stati Uniti hanno sopravvalutato Israele e la guerra in corso sarà senza limiti e senza frontiere.

Da Boulevard Voltaire, Marc Baudriller, direttore aggiunto, 9 ottobre 2023

©shutterstock-2097847231.

Sembrano amici della Francia, grandi amici, cari amici. Algeria, Tunisia, Libano, Qatar, Kuwait, Oman, accompagnati da Siria, Iran e Yemen, hanno immediatamente sostenuto l’attacco di Hamas contro Israele. Un assalto che ha provocato più di 800 vittime alla data del 9 ottobre (alle 16) e 2.500 feriti. Tutti questi paesi hanno espresso molto rapidamente “la loro totale e incondizionata solidarietà al popolo palestinese”. Alcuni, come il Qatar, sembrano cambiare posizione.

Questa non è una sorpresa quando si tratta dell’Algeria. “L’Algeria ha sempre sostenuto la causa palestinese e il movimento palestinese”, ricorda Xavier Driencourt, ex ambasciatore francese in Algeria della BV. Non ha mai riconosciuto Israele, preferendo parlare regolarmente dell’entità sionista”.

La causa unificante palestinese

Questa posizione non ha impedito al presidente francese di compiere una sciropposa visita diplomatica in Algeria nell’agosto 2022, seguita in ottobre da una visita del suo primo ministro Élisabeth Borne, accompagnato per l’occasione da un’imponente delegazione di ministri e imprenditori. La posizione di lunga data dell’Algeria nei confronti di Israele non ha impedito allora i voli lirici e i proclami di amicizia dei macronie tornati dall’Algeria a mani vuote su tutte le questioni, a cominciare da quella dell’OQTF. In Nord Africa, anche la Tunisia non nasconde il suo sostegno ad Hamas durante gli eventi di questo fine settimana. Il Marocco, che ha firmato separatamente gli accordi di Abraham nel dicembre 2020 sotto l’egida degli Stati Uniti di Trump, non segue l’Algeria in questo conflitto. Ma gli accordi statali sono una cosa, l’opinione pubblica è un’altra. E “la causa palestinese è un elemento unificante in tutti questi paesi”, ricorda Xavier Driencourt. Come potrebbero alcuni dei loro connazionali in Francia non essere sensibili a questo?

Tanto più che la Francia dà il primo posto ad alcuni stati più che ambigui riguardo all’islamismo. Sostenendo Hamas, il Qatar ha da decenni un tavolo aperto in Francia. I suoi investimenti scorrono come latte e miele in Francia, con la sincera benedizione di tutti i governi. Stessa posizione, quindi, del Kuwait, dell’Oman o del Libano.

Quanti cittadini francesi partiranno per sostenere Hamas?

La Francia macroniana finora non ha utilizzato l’argomentazione morale contro i sostenitori di Hamas. Forse a causa della nostra politica di immigrazione cosiddetta “generosa”, cioè cieca, sorda e assente? Milioni di musulmani vivono in Francia con, per alcuni di loro, un odio verso gli ebrei vicino a quello che motiva i combattenti di Hamas. Parliamo di volontari francesi partiti per combattere al fianco di Israele, ma quanti lasceranno la Francia per sostenere i palestinesi? I Fratelli Musulmani, vicini ad Hamas, sono potenti nella terra delle cattedrali. Che ci piaccia o no, il conflitto israelo-palestinese tocca anche la nostra patria: Gérald Darmanin, in una conferenza stampa questo lunedì pomeriggio, 9 ottobre, ha denunciato una ventina di atti antisemiti dall’inizio delle ostilità. Per questo motivo “dieci persone sono state arrestate” in diversi dipartimenti, secondo il ministro dell’Interno. E non solo i nativi dell’Aveyron: due persone di nazionalità straniera nel sud della Francia saranno soggette a espulsione immediata. La Francia, che secondo il presidente del concistoro francese Elie Korchia ospita la terza comunità ebraica più grande del mondo, è costretta a mettere in atto misure di protezione immediate. “L’atmosfera è infiammabile”, osserva Elie Korchia. Darmanin promette: “La polizia sarà molto presente nei 400 luoghi di culto, scuole, aziende, asili nido”. La sorveglianza aumenta. Lo Stato ha ricevuto 700 segnalazioni sulla piattaforma Pharos, 44 saranno oggetto di azioni legali.

Divieto dei Fratelli Musulmani

Ancora una volta, come durante le rivolte, come con la tragedia di Lola e molte altre, la Francia si trova ad affrontare le conseguenze della sua follia migratoria. In questo caso importa i conflitti del Medio Oriente, qui alimentati da un’estrema sinistra cieca e clientelare. Éric Zemmour ha fatto il punto della sfida, chiedendo in un messaggio su X “che i paesi che sostengono il jihad smettano di beneficiare dei vantaggi sul suolo francese”. Chiede “la messa al bando dei Fratelli Musulmani da cui Hamas è emerso e lo scioglimento di tutte le associazioni ad essi collegate”, chiedendo infine “l’espulsione dei sostenitori stranieri di Hamas perché sostenitori del terrorismo, così come di tutti i gruppi S stranieri o con doppia nazionalità .

La Francia ha accolto sul suo territorio milioni di cittadini provenienti da paesi ufficialmente e radicalmente ostili a Israele mentre il paese era inebriato dalla lotta anti-Le Pen. Siamo intrappolati.