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6215.- Il Niger è la chiave di volta del Sahel

Vi rimando al n° 6127, che titolava: “Il Niger “caccia” la UE, disfatta europea nel Sahel.”

É preoccupante assistere all’incapacità dell’Unione di reggere il confronto con la Federazione Russa in Africa e lo è perché non c’è futuro per l’Europa senza l’Africa e non c’è per l’Africa senza l’Europa. Vedemmo bene il Vertice Italia-Africa, a Roma, tenuto da Giorgia Meloni e la nutrita partecipazione dei numeri uno africani. Il Vertice ha ribadito la centralità e la rilevanza che l’Italia attribuisce al rapporto con le Nazioni africane, ma non è da meno quella che gli attribuisce la Federazione Russa. Osserviamo che, con l’attuale Ue e con il conflitto creatosi, non casualmente, con Mosca, la strada per il Nuovo Piano Mattei sarà in salita. Per nostra scelta o no, da 108 anni, stiamo sempre con l’alleato o contro il nemico sbagliato; ma, da soli, dove andiamo?

L’aver rotto i rapporti degli Stati europei con la Federazione Russa avrà soddisfatto gli interessi americani, ma non i nostri. Prima, abbiamo visto sventolare le bandiere russe nel Niger, ora vediamo i soldati russi acquartierati accanto agli americani, appena sfrattati e in attesa di decisioni. Gli italiani, per ora, restano in Niger a ristrutturare la moschea. Mali, Burkina Faso e Niger hanno dato vita alla ”Alleanza degli Stati del Sahel”, la NATO africana e il paragone è azzeccato.

Fino a che le basi USA e italiana in Niger resteranno, sarà importante chiarire i nostri obiettivi nel Sahel. La politica del Governo italiano della solidarietà attiva nel Magreb, nel Sahel e in Libia dovrà confrontarsi con le ambizioni di Mosca e con quelle di Ankara. Certamente, sapremo come, se saremo sostenuti. 

Due articoli tratti da Europatoday

Perché l’Europa teme l’espansione dell’influenza russa nel Sahel

Bruxelles cerca una nuova strategia dopo il golpe in Niger. Il gruppo Wagner dovrebbe restare operativo nell’area nonostante la morte di Prigozhin

Sostenitori dei soldati ammutinati tengono una bandiera russa mentre manifestano a Niamey, in Niger. Foto Sam Mednick / Associated Press/LaPresse

Un’Europa colta nuovamente di sorpresa, nonostante la presenza diplomatica e di intelligence nell’area del Sahel. È quanto sarebbe emerso dai documenti preparativi diffusi in vista del prossimo vertice dei ministri della Difesa degli Stati membri dell’Unione europea. Dopo l’aggressione dell’Ucraina, anche il colpo di Stato in Niger avvenuto a fine luglio ha trovato impreparati i Paesi europei. Il vasto Stato africano veniva considerato un partner fondamentale dell’Ue, soprattutto in materia di gestione dei migranti ed esternalizzazione delle frontiere. L’arresto del presidente Mohamed Bazoum e l’ascesa al potere della giunta militare non mette in crisi solamente i rapporti con il Paese nel cuore del Sahel, ma starebbe spingendo a ripensare più in generale il ruolo della diplomazia europea. Di fronte all’espansione dell’influenza di Russia e Cina nella regione, Bruxelles non intende però arretrare ulteriormente. Al contempo però l’idea dell’uso della forza, che la Francia gradirebbe, non risulta essere l’opzione più gettonata in un contesto già fortemente critico nei confronti della presenza europea e dove le bandiere russe vengono sventolate in strada dalla popolazione.

Dalla visita di Borrel al golpe

Un colpo di stato che “ha sorpreso inizialmente molti osservatori”. Questa la dichiarazione contenuta in una nota interna preparata dal servizio diplomatico dell’Ue e svelata dal portale Euractiv. A sorprendere, in particolare, la circostanza che “il Niger si trovava su una traiettoria politica, economica e sociale relativamente lineare, nonostante la significativa pressione sulla sicurezza su tutti i suoi confini”, si legge nella nota interna distribuita ai Paesi membri in vista delle riunioni informali dei ministri della Difesa che si terranno in Spagna. Non a caso proprio ad inizio luglio il capo della diplomazia europea Josep Borrell si era recato in Niger, definendo il Paese come un partner essenziale dell’Ue nella regione del Sahel, quella vasta area semiarida che tocca in vari punti il deserto del Sahara.

Ambasciatore espulso

Solo poche settimane dopo quello stesso Paese è diventato il teatro di un colpo di Stato, aggiungendosi alla lista dei Paesi guidati da giunte militari, insieme al Burkina Faso e al Mali. Furiosa la Francia, il cui ambasciatore è stato “invitato” dai militare al potere a lasciare il Paese. “La decisione dei golpisti di espellere l’ambasciatore francese è una nuova provocazione che non può in alcun modo aiutare a trovare una soluzione diplomatica alla crisi attuale”, ha dichiarato in conferenza stampa Nabila Massrali, la portavoce dell’Ue per gli affari esteri. L’alta funzionaria ha aggiunto che il blocco “non riconosce” le autorità che hanno preso il potere in Niger. Sostegno unanime da parte dei diplomatici europei all’omologo transalpino, ma al tempo stesso scarsa coesione sui prossimi passi da adottare. Secondo gli esperti, nonostante le pressioni di Parigi, il coinvolgimento dell’Ue rimarrà probabilmente limitato al sostegno politico alla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), a sua volta diviso sul come affrontare la questione. L’intervento militare figura solo come una minaccia, ma senza il sostegno dell’Unione africana all’uso della forza difficile si muoveranno i cingolati. C’è chi, come il Togo, ha già avviato colloqui col nuovo potere in Niger. Borrell, prevede la nota diffusa tra i ministri, dovrebbe chiedere agli Stati membri e a Bruxelles di “adattare il suo approccio al Niger” e, a seconda di come si evolve la situazione, valutare “quale posizione l’Ue sarebbe disposta a prendere in considerazione in termini di aiuti allo sviluppo, sicurezza migratoria e gestione delle frontiere”.

L’ombra di Wagner

Restare nella regione del Sahel resta prioritario per proseguire nel piano di esternalizzare le frontiere e affidare ai Paesi africani, come Libia e Tunisia, la gestione dei migranti. Una presenza, quella europea, che deve fare fronte però a relazioni sempre meno solide, ad una fiducia deteriorata da parte delle popolazioni e a governi militari inaffidabili. Nonostante risulti ormai accertata la morte di Evgenij Prigožin, gli Stati Uniti sostengono che le attività del gruppo mercenario russo Wagner non si fermeranno. Rapporti della Associated Press e di France 24 sostengono che uno dei leader del colpo di stato, il generale Salifou Mody, abbia visitato il Mali poco dopo il golpe e avrebbe preso contatto con esponenti della Wagner per chiedere il loro supporto. Sebbene manchino le prove di una presenza dei militari del gruppo in Niger, nulla esclude che possano affacciarsi su questo fronte per garantire un supporto militare e strategico, come stanno continuando a fare in Mali e in Repubblica Centrafricana. Secondo il ministro degli Esteri Sergej Lavrov i contratti della Wagner in Africa dipendono interamente dagli Stati africani, anche se il gruppo di mercenari risulta “interamente finanziato” dalla Russia come ammesso dallo stesso Putin. I cori ostili alla Francia e la presenza di bandiere russe sventolate durante le manifestazione dai sostenitori dei golpisti di Niamey è l’indice però che la propaganda di Mosca non si limita esclusivamente ad un supporto militare ma intende attrarre gli africani della regione in un nuovo ordine anti-europeista.

La base militare che ospita i soldati di Usa e Russia

Le forze di Mosca sono sbarcate in Niger e hanno occupato un edificio al fianco di quello dove si trovano le truppe statunitensi. Le quali potrebbero presto lasciare il Paese

La base 101 a Niamey 

Uno è il Paese che ha invaso l’Ucraina. L’altro è quello che più sta sostenendo l’esercito di Kiev. Ma il fronte orientale europeo non è l’unico palcoscenico internazionale in cui Russia e Stati Uniti si stanno affrontando a distanza. C’è, per esempio, il Niger, Stato africano chiave per la stabilità di un’intera regione, il Sahel. Ed è proprio qui, vicino l’aeroporto della capitale Niamey, che le truppe americane e quelle russe si sono ritrovate a condividere la stessa base aerea. Un caso che fotografa la situazione del Paese, in rotta di collisione con l’Occidente e sempre più propenso a rafforzare i legali con Mosca.

In Niger, nel luglio dello scorso anno, un colpo di stato guidato dai vertici della guardia presidenziale ha rovesciato il presidente eletto Mohamed Bazoum, alleato di Washington e dei Paesi europei. La nuova giunta militare ha subito preso di mira i contingenti occidentali, a partire da quello francese (il Niger è un’ex colonia di Parigi) e ha messo in discussione l’accordo di cooperazione militare in vigore con gli Stati Uniti, ritenendo che fosse stato “imposto unilateralmente” da Washington e che la presenza americana fosse ormai “illegale”. A metà aprile gli Stati Uniti hanno accettato di ritirare gli oltre mille soldati dal Paese, ma le modalità del ritiro sono ancora oggetti di trattativa.

Per il momento, un contingente dell’aeronautica statunitense è rimasto a presidio dell’area e delle attrezzature militari, come la base di droni vicino ad Agadez, costruita per circa 100 milioni di dollari. I militari Usa occupano una base vicino l’aeroporto di Niamey, la base aerea 101. Ed è qui che nei giorni scorsi sono arrivate le forze russe. A rivelarlo è stato il segretario alla Difesa Lloyd Austin, secondo cui le truppe di Mosca non pongono un “problema significativo (…) in termini di protezione delle nostre forze”. I russi, ha spiegato Austin, “si trovano in un edificio separato e non hanno accesso alle forze statunitensi o alle nostre attrezzature”. Interrogato in una conferenza stampa a Mosca, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov non ha né confermato né smentito la presenza russa nella base, indicando semplicemente che Mosca sta sviluppando le sue relazioni con i Paesi africani in tutti i settori, compreso quello militare.

Il Niger, infatti, è solo l’ultimo di una serie di Paesi del Sahel, come Mali e Burkina Faso, che si stanno allontanando dall’Occidente per avvicinarsi alla Russia e alla Cina. Negli ultimi giorni le truppe Usa hanno lasciato anche il Ciad. Tolta la Mauritania, il resto del Sahel è sempre più lontano da Stati Uniti e Ue. Una regione strategica sotto vari profili, cinghia di trasmissione tra l’Africa subsahariana e il Nord mediterraneo, anche delle rotte dei migranti. Per questo, l’Italia ha da tempo mosso le sue pedine diplomatiche nell’area, Niger compreso. Per il momento, Roma mantiene il suo contingente a Niamey. E spera di potere continuare a farlo.

6200.- L’addio all’Ecowas di tre giunte filorusse in Africa interessa anche l’Italia. Ecco perché

Mentre le mani si tendono a sugellare i patti per il futuro fra Italia e Africa le politiche di Washington e di Londra sembra che alimentino le divisioni e, infatti, come non notare le assenze a Roma del Mali, del Niger, del Burkina Faso, del Sudan e della Mauritania e, addirittura, della semibritannica Nigeria, che, solo ieri, faceva proseliti contro la rivolta filo russa nel Niger e non avrà certo cambiato idea. Sappiamo quanto credito abbia concesso Giorgia Meloni a Rishi Sunak e alla sua associazione e dovremo capire quanto la Gran Bretagna sarà a fianco dell’Italia in questo progetto mondiale. Dovremo capire se gli Stati Uniti useranno l’Italia e l’Europa verso l’Africa e contro Russia e Cina per rinsaldare la loro leadership occidentale, ma c’è ancora un Occidente e, in Occidente, c’é ancora un leader mondiale per tutti ? E, poi, di quali Stati Uniti stiamo parlando? É mai possibile avere per leader uno Stato a rischio di secessione? E, infine, saremmo insieme a un leader o sotto un padrone. Il South Stream 2 risponderebbe per noi. Ma se dovessimo dare una collocazione alla Federazione Russa, fra Europa e Asia diremmo: Europa! L’Italia e l’Europa troveranno sempre la Russia sul loro cammino: un fratello tradito o un competitor?

Da Formiche.net, di Emanuele Rossi | 30/01/2024 – 

L’addio all’Ecowas di tre giunte filorusse in Africa interessa anche l’Italia. Ecco perché

Mali, Niger e Burkina Faso annunciano l’uscita dall’Ecowas accusando l’organizzazione di essere al servizio dell’Occidente. È anche contro le narrazioni di queste giunte golpiste e populiste aiutate dalla Russia che si muovono progetti di cooperazione come quello Italia-Africa. L‘auto esclusione potrebbe peggiorare le condizioni economiche di quei Paesi: “Ciò comprometterebbe uno dei principali pilastri del Piano Mattei, ovvero la riduzione della migrazione”, spiega Willeme (Clingendael Institute)

L’annuncio di ieri da parte dei tre Paesi dell’appena costituita Alliance des Etats du Sahel — Mali, Niger, Burkina Faso, tre giunte golpiste in parte legittimate dalla popolazione anche come effetto delle attività ibride russe — “non è sorprendente, data la tensione in corso con il blocco regionale Ecowas/Cedeao”, spiega una fonte diplomatica europea che segue la regione del Sahel. “Tuttavia solleva diverse incertezze per l’intera regione e non solo, e forse non è un caso che arrivi contemporaneamente allo svolgimento della Conferenza Italia-Africa” — che con la presentazione del cosiddetto “Piano Mattei” intende lanciare una nuova visione strategica per la cooperazione con l’Africa.

Non si sa ancora come e quando quel “ritiro immediato”, ma ancora non formalizzato stando all’Ecowas (acronimo inglese di Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), si tradurrà concretamente in uscita formale — che richiederebbe comunque un anno per entrare in vigore. Fatto sta che Bamako, Ouagadougou e Niamey spingono una narrazione perfettamente in linea con quella diffusa sin da subito dalle rispettive giunte golpiste, che negli ultimi tre anni hanno conquistato il potere nei vari Paesi sull’onda di una stagione particolarmente travagliata, sfruttata anche per attività di influenza strategica da attori nemici dell’Occidente.

Come la Russia, che cerca dossier e ambiti in cui capitalizzare successi nella competizione globale. Mosca ha da sempre sfruttato la situazione, soffiando le insoddisfazioni popolari a proprio vantaggio, penetrando — prima con la Wagner adesso con il neonato Africa Corps — le forze di sicurezza dei golpisti attraverso forme di assistenza che si sono trasformate in campagne ibride. Le unità russe fanno addestramento per militari e polizia locale, ma nel frattempo diffondono narrazione anti-occidentale e si incuneano nel tessuto economico (e sociale).

L’annuncio dei tre Paesi segue una staffetta diplomatica con rappresentanti di Russia, Cina e poi Stati Uniti che hanno viaggiato in Africa e mentre le massime autorità europee erano ospiti a Roma per parlare di nuove relazioni col continente in un “vertice” tra capi di Stato e di governo (espressione che ha valore non solo simbolico-diplomatico per la conferenza). Sullo sfondo si delineano — come già successo con i vari golpe regionali — i contorni della competizione tra potenze. Mentre la ricerca di un’autarchia politica, sicuritaria ed eventualmente economica caratterizza sia l’ambito golpista maliano che nigerino e burkinabé (i golpe ci sono stati nel 2020 in Mali, nel 2022 in Burkina Faso e nel 2023 in Niger).

Anche su questo si basa parte del successo narrativo dei golpisti, che incolpano l’Occidente, gli sfruttamenti coloniali passati e l’inefficacia nel fornire assistenza nel presente, della pessima situazione economica e del divampare dell’insorgenza jihadista sui propri territori. Una retorica emersa anche, in modo più moderato e controllato, in alcuni interventi degli invitati alla conferenza organizzata ieri al Senato — per esempio nelle parole del presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki.

Emergono interrogativi sempre più complessi per l’Ecowas, che, nonostante ultimatum, minacce di interventi militari e sanzioni, non ha ottenuto risultati concreti nelle negoziazioni con le giunte militari. Le quali invece accusano l’organizzazione di agire sotto l’influenza di potenze straniere (occidentali, chiaramente, e il contestassimo uso delle sanzioni ne sarebbe un marker). Sfruttando quel terreno narrativo fertile, pensano però in primo luogo ai propri interessi di mantenimento del potere.

Ecowas, dall’altra parte, si impegna a trovare una “soluzione negoziata all’impasse politica”, sottolinea le complessità burocratiche dell’uscita (che sono sintomo anche della complesse connessioni che l’organizzazione ha creato sin dalla fondazione nel 1975), ma si trova davanti a una sfida senza precedenti — e che potrebbe crearne uno pericoloso.

Diversi cittadini sono scesi in strada in quei tre Paesi per festeggiare l’Ecowas, visto anche altrove come un club esclusivo che preserva gli interessi delle leadership a discapito delle collettività. L’Alleanza degli Stati del Sahel, che le giunte hanno creato a novembre, sta cercando spazi nel contesto regionale per legittimare i governi militari che la compongono e per iniziare deve essere indipendente dall’Ecowas: è una scelta populista che potrebbe portare frutti.

Tuttavia ritirarsi dal blocco in questo modo “è senza precedenti”, spiega un osservatore regionale e visto come “un importante cambiamento”, perché “tutto il lavoro che è stato messo nella costruzione di un meccanismo di sicurezza collettiva si basa sui protocolli che postulano che la democrazia, il buon governo e lo stato di diritto saranno la base per quella sicurezza e per la pace”.

È un problema in più per l’Europa — che nel Sahel ha i suoi confini virtuali — e per l’Italia, che dell’Europa è avamposto esposto a quella regione? “L’Ue è uno dei principali partner e finanziatori dell’Ecowas e l’uscita di Mali, Burkina Faso e Niger ridurrà probabilmente lo spazio di manovra dell’Europa in questi tre Paesi”, risponde Laurens Willeme, esperto di Sahel del Clingendael Institute.

“Tutti e tre i Paesi hanno già abbandonato alcuni accordi bilaterali con l’Ue e con i singoli Stati membri, ma sono rimasti legati agli accordi stipulati dall’Ecowas. Con l’uscita dei tre, questi accordi non saranno più applicabili. Questo potrebbe lasciare spazio ad altri attori internazionali, come Russia, Cina e Turchia, che hanno già aumentato la loro presenza negli ultimi anni”.

Per stare su un tema complesso caro al governo italiano, c’è la possibilità di un aumento della migrazione verso l’Europa? “Certamente, soprattutto se la situazione economica dei tre Paesi si deteriora ulteriormente, cosa non improbabile, considerando che l’Ecowas facilita la libera circolazione di merci e persone. La mancanza di accesso ai porti marittimi diventerà inoltre una sfida economica considerevole per i tre Stati senza sbocco sul mare. Ciò comprometterebbe uno dei principali pilastri del Piano Mattei, ovvero la riduzione della migrazione”.

6139.- Il Niger sceglie Mosca e Pechino e rafforza l’alleanza con Mali e Burkina Faso

Da Bruxelles soltanto delusioni

Chi lo dice al presidente Meloni, tornata molto soddisfatta del lavoro che è stato fatto dal Consiglio europeo, che il Nuovo Piano Mattei è sta andando a ramengo? Quanto potrà e quanto reggerà l’Italia nel Sahel dopo la rottura di Niger, Mali e Burkina Faso con Parigi e Bruxelles? Giorgia Meloni e l’amico Rishi Sunak sono entrambi soci della potente associazione Fabian Society, cosa ne pensano della cancellazione degli accordi di difesa e sicurezza siglati dalla giunta militare del Niger con l’Unione Europea, diretti a “combattere il terrorismo, la criminalità organizzata e l’immigrazione irregolare” e, poi, come affronteranno il rafforzamento della presenza militare della Federazione Russa in questi paesi? E la Cina? Non è più questione di una staffetta fra la Francia e l’Italia. Nemmeno di assecondare la politica di Washington per averne un appoggio per la nostra – illuminata politica – in Africa. L’Italia è la porta dell’Africa per l’Europa, ma troppo spesso viene a trovarsi in difficoltà per i giochi, inconcludenti, condotti a Bruxelles. Non ci risulta che questi temi siano stati presenti nell’agenda del Consiglio europeo.

Mario Donnini

Da Pagine esteri, di Marco Santopadre, 14 dicembre 2023

Il Niger sceglie Mosca e Pechino e rafforza l’alleanza con Mali e Burkina Faso

Pagine Esteri, 14 dicembre 2023 – Niger, Mali e Burkina Faso, i paesi del Sahel dove negli ultimi tre anni si sono imposte altrettante giunte militari grazie a colpi di stato, sembrano avviati sulla via di una collaborazione sempre più stretta.
Nei mesi scorsi, infatti, i governi militari di Niamey, Bamako e Ouagadougou hanno già firmato un accordo di cooperazione militare dopo aver espulso le truppe francesi da anni presenti sul loro territorio, indebolendo fortemente l’influenza di Parigi nell’area.

L’Alleanza degli Stati del Sahel si rafforza
Il 16 settembre i leader di Mali, Niger e Burkina Faso avevano ufficializzato la nascita dell’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes), un’iniziativa di natura diplomatica e militare diretta a «garantire l’indipendenza dei tre paesi nei confronti degli organismi regionali e internazionali».
Se all’inizio l’Aes è nata come un patto di difesa comune, diretta a unire le rispettive risorse militari per combattere i gruppi ribelli e jihadisti attivi nel Sahel – per contrastare i quali i governi precedenti avevano chiesto in passato l’intervento delle truppe francesi e dell’Onu – sembra che ora le tre giunte golpiste puntino ad allargare la cooperazione anche ad altri campi.

Recentemente i rappresentanti dei tre paesi si sono nuovamente incontrati a Bamako e al termine della riunione hanno annunciato la firma di protocolli aggiuntivi, l’istituzione di organismi istituzionali e giuridici dell’Alleanza e la «definizione delle misure politiche e del coordinamento diplomatico». I tre governi hanno affermato di voler rafforzare gli scambi commerciali, realizzare insieme progetti energetici e industriali, creare una banca di investimenti e persino una compagnia aerea comune.

Il colonnello Yevkurov firma accordi in Niger

Il Niger diventa una potenza petrolifera
Nei giorni scorsi, poi, il generale golpista Omar Abdourahamane Tchiani, salito al potere lo scorso 26 luglio, ha annunciato l’intenzione di avviare con gli altri due paesi una collaborazione di tipo anche politico e monetario. Tchiani ne ha parlato nel corso di un’intervista rilasciata all’emittente nigerina “Rts”, affermando che «oltre al campo della sicurezza, la nostra alleanza deve evolversi nel campo politico e in quello monetario».

Nell’intervista Tchiani ha informato che Niamey intende esportare già a gennaio i primi barili di greggio sfruttando il nuovo oleodotto che collegherà il giacimento nigerino di Agadem al porto di Seme, in Benin. La realizzazione dell’oleodotto, lungo 2000 km e con una capacità di 90 mila barili al giorno, è ormai in fase conclusiva ed è stata avviata a novembre grazie ai finanziamenti di PetroChina. L’infrastruttura permetterà al Niger di diventare una piccola potenza petrolifera aggirando almeno in parte le sanzioni imposte al paese dopo la deposizione del governo filoccidentale. Secondo il capo del settore della raffinazione del petrolio, la produzione petrolifera potrebbe generare un «quarto del Prodotto interno lordo del Paese». La Cnpc, un’impresa di proprietà del governo cinese, è inoltre impegnata nello sfruttamento del bacino del Rift di Agadem e nella costruzione del gasdotto Niger-Benin sostenuto con un investimento da 6 miliardi di dollari.

Che l’avvio della cooperazione monetaria vada in porto o meno, i tre paesi sembrano intenzionati a rompere del tutto i legami con la Cedeao – la Comunità Economica dei Paesi dell’Africa occidentale – che dopo i colpi di stato ha sospeso Bamako, Ouagadougou e Niamey dall’alleanza alla quale fino ad un certo punto Parigi chiedeva di intervenire militarmente per ripristinare i governi estromessi prima di decidere il ritiro delle proprie missioni militari dal Niger chiesta a gran voce dai golpisti.

L’annuncio del generale Tchiani è giunto dopo che domenica scorsa i leader dell’organismo regionale hanno deciso di confermare le sanzioni alla giunta golpista del Niger, che si è rifiutata di rilasciare il presidente deposto Mohamed Bazoum in cambio della loro revoca.

La rottura con Parigi e Bruxelles
Sempre la scorsa settimana i governi di Mali e Niger avevano denunciato, tramite un comunicato stampa congiunto, le convenzioni firmate con la Francia dai governi precedenti miranti al superamento della doppia imposizione fiscale e che disciplinano le norme per la tassazione dei redditi e per le successioni. La decisione di abolire le convenzioni in questione entro tre mesi – afferma la nota – risponde al «persistente atteggiamento ostile della Francia» e al «carattere squilibrato» degli accordi in questione che causano «un notevole deficit per il Mali e il Niger». Se effettivamente attuata, la misura avrà serie ripercussioni sia per i privati che per le imprese domiciliate in Francia e che svolgono attività in Mali e in Niger e viceversa.
Nelle settimane scorse, inoltre, la giunta militare del Niger ha già annunciato la cancellazione degli accordi di difesa e sicurezza siglati con l’Unione Europea, diretti a «combattere il terrorismo, la criminalità organizzata e l’immigrazione irregolare».

Già a fine novembre i golpisti avevano abrogato una legge, precedentemente concordata con la Francia e l’Unione Europea, che puniva il «traffico illecito di migranti» e bloccava il loro transito verso la Libia, spiegando che la decisione risponde alla necessità di una «decolonizzazione dall’occidente».

In un comunicato, lo scorso 4 dicembre il ministro degli Esteri di Niamey ha annunciato di voler revocare anche l’accordo stipulato con l’Ue relativo alla missione civile europea denominata Eucap Sahel Niger, attiva dal 2012 e che attualmente conta su 130 gendarmi e agenti di polizia europei, impegnati finora nell’addestramento dei militari nigerini.

Inoltre la giunta nigerina ha comunicato di aver ritirato il consenso al dispiegamento della “Missione di partenariato militare dell’Ue in Niger” (Eumpm), attualmente a guida italiana. Entro la fine di dicembre, inoltre, si concluderà il ritiro dei circa 1500 militari francesi schierati finora nel paese; secondo quanto riferito da fonti militari francesi citate dall’emittente “Rfi”, rimane da evacuare soltanto la base aérea di Niamey, dove restano circa 400 uomini. In Niger per ora rimangono 1100 militari statunitensi e 250 soldati italiani.

Manifestanti filorussi in Niger

Sempre più vicini a Mosca
Nello stesso giorno dell’annuncio sulla fine della cooperazione con l’UE, a Niamey era giunto in visita il viceministro della Difesa della Federazione Russa, il colonnello Junus-bek Yevkurov, che dopo aver fatto tappa prima in Mali, in Burkina Faso e poi in Libia è stato ricevuto dal generale Tchiani e dal Ministro della Difesa del Niger Salifou Modi con i quali ha siglato un accordo che prevede il rafforzamento della cooperazione militare fra i due paesi.

A Bamako la delegazione russa è stata ricevuta dal capo del “governo di transizione maliano”, il colonnello Assimi Goita. Al termine dei colloqui il ministro dell’Economia e delle Finanze del paese africano, Alousseni Sanou, ha riferito che con i russi si è parlato della costruzione di una rete ferroviaria, di uno stabilimento per la lavorazione dell’oro estratto nelle miniere maliane e di un accordo per la realizzazione di una centrale nucleare. La realizzazione di una centrale nucleare in Burkina Faso è stata invece al centro dei colloqui tra i rappresentanti di Mosca e la giunta di Ouagadougou.

Basta alle missioni Onu
Come se non bastasse, il 2 dicembre il Niger e il Burkina Faso hanno annunciato il proprio ritiro dal gruppo “G5 Sahel”, creato nel 2014 grazie ai finanziamenti dell’Unione Europea per coordinare la lotta contro il terrorismo jihadista. L’anno scorso era stato il Mali ad abbandonare il progetto che coinvolge ora soltanto la Mauritania e il Ciad che però hanno già informato di voler sciogliere il coordinamento ormai privo di senso.

La giunta militare di Bamako, al potere dal 2021, ha invece deciso recentemente di mettere fine a dieci anni di presenza in Mali della Missione militare dell’Onudenominata Minusma, avviata nel 2012 per contrastare l’insurrezione jihadista. L’11 dicembre i vertici della missione internazionale, nel corso di una mesta cerimonia, hanno ammainato la bandiera delle Nazioni Unite dal quartier generale delle truppe dell’Onu. Il ritiro del contingente internazionale dalle 12 basi sparse per il Mali, che ospitavano 12 mila caschi blu e 4300 dipendenti civili, dovrebbe concludersi entro il 31 dicembre proprio mentre le milizie jihadiste intensificano gli attacchi contro l’esercito e conquistano nuovi territori.

I jihadisti avanzano nonostante la Wagner
A fine agosto i miliziano dei “Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani” (Jnim) hanno occupato Timbuctù, infliggendo un duro colpo alle forze fedeli alla giunta militare maliana che, nel tentativo di contrastare l’offensiva jihadista, ha stretto un accordo con le milizie mercenarie russe della Wagner. La decisione ha però scatenato le proteste dei movimenti tuareg che in molte aree costituiscono l’unico baluardo efficace contro i combattenti fondamentalisti. In alcuni territori le milizie tuareg indipendentiste, riunite nel “Coordinamento dei movimenti dell’Azawad”, hanno ingaggiato violenti scontri con l’esercito regolare e i paramilitari della Wagner, che recentemente avrebbe iniziato ad operare utilizzando la denominazione di “Africa Corps”. Secondo molti analisti la compagnia mercenaria, dopo la morte dei suoi vertici in un “incidente aereo” nell’agosto scorso, sarebbe meno autonoma dal governo di Mosca rispetto alla Wagner e dovrebbe limitare le proprie attività proprio al continente africano in stretta sintonia con le esigenze politiche ed economiche del Cremlino. Pagine Esteri

6074.- I dilemmi europei nel Sahel

Dilemmi anche italiani perché la solidarietà attiva che ispira il Nuovo Piano Mattei deve caratterizzare iniziative di entrambi gli imprenditori europei e africani e trovare nell’Unione europea un garante; come dire che l’Italia, da sola, può ben poco. Era scontato che gli interessi che gravitano nel Sahel avrebbero reso il cammino irto di ostacoli. Africa ed Europa sono legate a un destino comune e le missioni francesi e quelle ONU non sembrano gradite alle giunte militari che hanno preso il potere. Ci auguriamo che la diplomazia e la politica italiane sappiano trarre profitto da queste difficoltà e che intensifichino i loro sforzi con progetti concreti.

Degage France terroriste vampire

Degage l’Armèe francaise du sol malien

Da Affari Internazionali, di Bernardo Venturi, 13 Novembre 2023

Modibo Keita International è l’aeroporto di Bamako, capitale del Mali. É adiacente all’Air Base 101, usata dalla Mali Air Force, con alcuni Mig-21F.

Gli aeroporti di Bamako e di Niamey sono affollati di soldati nelle ultime settimane. La Missione di Stabilizzazione Integrata Multidimensionale delle Nazioni Unite in Mali (Minusma) sta lasciando il paese, con migliaia di effettivi e centinaia di mezzi in movimento, non senza rischi e una logistica complessa. Si sono infatti verificati già sei incidenti da quando le forze di pace hanno lasciato la loro base nel nord di Kidali il 31 ottobre per compiere il viaggio stimato di 350 km verso Gao, per un totale di 39 feriti.

Un ultimo tributo di sangue della missione: con 310 morti in 10 anni è la seconda più letale della storia, seconda sola a Unifil in Libano (332 caduti). Il ritiro della missione era stato chiesto dalla giunta militare guidata dal colonnello Assimi Goïta, al potere dall’agosto 2020 dopo aver deposto con un golpe il presidente Ibrahim Boubacar Keïta.

La giunta miliare in Mali, dopo aver messo alla porta diversi diplomatici e contingenti militari europei, in primis francesi, ha quindi rinunciato anche a Minusma, benché non sembra in grado di sostituirle adeguatamente. La missione dell’Onu sta lasciando 12 basi nel centro e nel nord del paese, oltre a quella principale di Bamako. La poca collaborazione della giunta militare e il peggioramento delle condizioni di sicurezza hanno accelerato il ritiro e non stanno però permettendo un regolare passaggio di consegne alla autorità maliane.

In questo spazio vacante, i gruppi dell’Accordo Permanente Strategico nel nord del Mali – in predominanza Tuareg– ha dichiarato di avere occupato una base nella regione di Kidali subito dopo l’evacuazione del 31 ottobre scorso. Nel rapporto con i gruppi dell’Azawad rimane infatti un altro nodo critico. Il rapporto con la giunta militare si è progressivamente incrinatoarrivando a scontri armati diretti e mettendo ulteriormente in crisi l’accordo di pace di Algeri del 2015 che aveva messo fine alla guerra con il nord separatista.

La gestione dello spazio e delle basi nel nord del Mali ha però radici più profonde. Dopo l’intervento a fianco del governo di Bamako dalla fine del 2012 con l’Operazione Serval, la Francia non ha mai di fatto passato il testimone alle Fama, l’esercito maliano, tenendo per sé spazi cruciali. Questo approccio, così come altri post-coloniali in ambito politico, sociale e culturale, hanno favorito un sentimento antifrancese e antioccidentale sui quali negli ultimi anni la propaganda russa ha avuto gioco facile a giocare un ruolo incendiario.

Cercasi partner affidabile

Dopo anni passati a rimarcare la priorità del Sahel e a cercare partner credibili, l’Ue e gli stati europei non sanno letteralmente cosa fare. Fino al colpo di stato in Mali del 2020, Bruxelles aveva individuato nel Bamako il partner centrale per la regione. Ma i due colpi di stato nel paese, e soprattutto l’arrivo dei mercenari del Gruppo Wagner, hanno creato un notevole imbarazzo diplomatico, in particolare per la missione di training militare EUTM: restare con il rischio di incrociare i russi o lasciare il paese? Dopo vari tentennamenti e con il Burkina Faso segnato dai due coup d’état nel 2022 e da una crisi istituzionale e di sicurezza fuori controllo, l’Ue ha volto lo sguardo verso il Niger, indicando il presidente nigerino Mohammed Bazoum come il nuovo partner affidabile. Ancora una volta, un colpo di stato sta stravolgendo i piani e Bazoum si trova in stato di fermo dal 26 luglio scorso. Mentre i canali umanitari e di cooperazione allo sviluppo rimangono attivi con il Sahel, la postura politica e diplomatica sembra inseguire più vie d’uscita che strategie.

Riflessione strategica

Intanto Joseph Borrell nelle settimane scorse ha ammesso che i 600 milioni di euro investiti nell’ultimo decennio nelle missioni civili e militari nel Sahel non hanno portato i risultati sperati. Mentre l’Alto Rappresentante non nasconde che anche la missione militare in Niger ha le ore contate, prima di volgere lo sguardo al prossimo “partner fidato” (Mauritania?), servirà una riflessione più approfondita sul rapporto tra Europa e Sahel, a partire anche dagli errori commenti, come quello di dare priorità a un approccio securitario che ha messo in secondo piano quello integrato. Intanto, però, nonostante non venga detto ufficialmente, difficile togliersi l’idea che il Sahel stia diventando una regione sempre meno prioritaria.

Foto di copertina EPA/STR

Cosa intendiamo? In Mali, un valido esempio di quella che chiamiamo soplidarietà attiva sono le operazioni di magazzinaggio su larga scala della logistica Bolloré che possono fornire un servizio di movimentazione e magazzinaggio per conto di fornitori leader a livello mondiale di informazioni. Ma la Francia non è stata soltanto un vampiro. Bolloré è un impresa francese, una holding fondata nel 1822 con sede a Puteaux nella periferia ovest di Parigi, in Francia. Nata come industria cartaria, ha espanso le sue operazioni a molti altri settori, come il trasporto e la logistica, le distribuzione energetica, i film plastici, la costruzione di automobili e i mass media. Gli imprenditori sono la nostra Wagner.

Rémi Ayikoué Amavi è l’amministratore delegato di Bolloré Transport & Logistics Mali dall’agosto 2021.

Di nazionalità beninese, Rémi Ayikoué Amavi è entrato in Bolloré Transport & Logistics nel 2006 presso la filiale della società nella Guinea Equatoriale, dove era responsabile dello sviluppo commerciale delle attività logistiche. Diventa poi Amministratore Delegato nel 2017.

Rémi Ayikoué Amavi è laureato in Management e Strategia aziendale presso l’ENACO-Lille. Utilizzerà la sua esperienza per sviluppare attività logistiche in Mali. In particolare, si avvarrà della rete di Bolloré Transport & Logistics in 109 paesi e dell’esperienza dei suoi dipendenti per migliorare i servizi al Paese.

Circa la Bolloré Transport & Logistics Mali

Bolloré Transport & Logistics Mali è l’operatore leader nei trasporti, logistica e movimentazione. L’azienda, presente anche in Italia, impiega ora più di 200 persone in Mali, in particolare attraverso le sue agenzie a Bamako, Kayes, Sikasso e Kati, e gestisce anche i porti asciutti di Soterko, Faladié e Kali. Bolloré Transport & Logistics Mali attua una politica sociale a beneficio della popolazione maliana, che si riflette ogni anno nel sostegno di numerose azioni di solidarietà nei settori dell’istruzione e della sanità.

www.bollore-transport-logistics.com

6041 .- Ecco il Piano Mattei che intende rivoluzionare la politica estera italiana

Da La Voce del Patriota, di Cecilia Carapellese, 3 Novembre 2023

Sin dal suo insediamento Giorgia Meloni ha posto come priorità la realizzazione del cosiddetto Piano Mattei, presente tra l’altro anche all’interno del programma di Fratelli d’Italia presentato in occasione delle elezioni del 25 settembre 2022.
La ratio alla base di questo progetto è non solo quella di porre un freno all’annosa questione della migrazione illegale, ma anche e soprattutto quella di creare una partnership strategica che possa produrre effetti benefici sia per l’Italia che per l’Africa, rivalorizzando in particolare questo continente troppo spesso poco o mal sfruttato.

Stando a quanto si legge, i dettagli del Piano arriveranno oggi- 3 novembre- in Consiglio dei Ministri.

Una cabina di regia, presieduta dal presidente del Consiglio e che coinvolgerà anche il Ministro degli esteri, e una struttura di missione, guidata da dirigenti ed esperti, dovrebbero essere il fulcro del progetto ideato e voluto dal premier e dalla maggioranza.
Avrà una durata di quattro anni e potrà essere aggiornato ogni anno, e sarà rendicontato con una relazione al Parlamento.
La premessa sarebbe quella della “necessità e urgenza di potenziare le iniziative di collaborazione tra Italia e Stati del continente africano al fine di promuovere lo sviluppo economico e sociale e di prevenire le cause profonde delle migrazioni irregolari.”

Il Piano Mattei, come accennato anche in diverse altre occasioni dal Capo di Governo, intende focalizzarsi su diversi settori, dalla cooperazione allo sviluppo alla promozione delle esportazioni e degli investimenti, dal sostegno all’imprenditoria (in particolare quella giovanile e femminile), alla ricerca e innovazione, dall’agricoltura e sicurezza alimentare alla promozione dell’occupazione, dell’ istruzione e della formazione professionale, dalla valorizzazione delle risorse naturali alla tutela dell’ambiente e adattamento ai cambiamenti climatici, dall’ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture alla valorizzazione e sviluppo del partenariato energetico (anche nelle fonti rinnovabili). E, ovviamente, un occhio di riguardo in tema di prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare.

L’operazione non è facile e i rischi sono molto alti, tenendo anche conto delle numerose crisi politiche e sociali che sono radicate in tutto il territorio africano, e che, drammaticamente, si aggiungono ai due conflitti su larga scala nel blocco russo-ucraino e in quello mediorientale. Per non parlare poi delle influenze sempre più marcate di Cina e Russia, che, a causa anche del disinteresse dell’Europa, hanno preso il potere in Africa.

La sfida in questa fase è dunque molto intensa, perché non solo l’Italia- e più in là si spera anche l’Ue- dovrà riconquistare i partner africani offrendo loro una soluzione a lungo termine, convincendoli di voler costruire un solido rapporto basato sui principi dell’uguaglianza e del rispetto, ma lo dovrà fare con una serie di variabili internazionali che appaiono sempre più difficili da gestire e da disinnescare.
Con il progetto che approda in Cdm il Governo mette in campo tutti gli strumenti che ritiene opportuni e che potrebbero portare al successo dell’iniziativa.
Ed è questo il segnale più potente e tangibile che l’esecutivo di centrodestra può lanciare, a riprova della priorità che viene data al Piano.
È esattamente in questo modo che si intende realizzare, per davvero, una rivoluzione. Una rivoluzione in termini del nostro peso in politica estera e di credibilità internazionale, tenendo sempre in considerazione la necessità di tutela e promozione della sicurezza e della grandezza italiana nel mondo.

5908.- Sahel: firmato un accordo di mutua difesa tra Mali, Burkina Faso e Niger.

Il Sahel, come l’Africa Centrale hanno bisogno di solidarietà attiva, non del paternalismo neocon, altrimenti, andranno da soli incontro al futuro. Questo loro primo passo è un monito alle intenzioni bellicose della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) e ai suoi sostenitori. É anche la fine della Cooperazione regionale G5 Sahel, sostenuta dalla Francia, per contrastare i gruppi armati legati ad al Qaeda e allo Stato islamico (Isis).

© Agenzia Nova, 17 Settembre 2023 – Riproduzione riservata

La neocostituita Alleanza degli Stati del Sahel (Aes) reagirà compatta a qualsiasi attacco alla sovranità e all’integrità territoriale di una o più parti contraenti, da chiunque provenga.

Mali, Burkina Faso e Niger hanno firmato un patto di mutua difesa contro minacce di rivolte armate interne o aggressioni esterne. L’accordo, denominato Carta del Liptako-Gourma (la regione in cui si incontrano i confini dei tre Paesi, devastata dal jihadismo negli ultimi anni), è stato firmato ieri a Bamako e istituisce l’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes).

I firmatari si sono impegnati ad assistersi a vicenda, anche militarmente, in caso di attacchi: “Qualsiasi attacco alla sovranità e all’integrità territoriale di una o più parti contraenti sarà considerato un’aggressione contro le altre parti”, si legge nel documento, articolato in 17 punti. Le parti si sono impegnate anche a collaborare per prevenire o sedare le ribellioni armate, a combattere il terrorismo in tutte le sue forme e a contrastare la criminalità organizzata nello spazio comune dell’Alleanza.

L’obiettivo è “istituire un’architettura di difesa collettiva e di assistenza reciproca a beneficio delle nostre popolazioni”, ha dichiarato sul social network X il colonnello Assimi Goita, presidente di transizione del Mali. “La creazione dell’Alleanza degli Stati del Sahel segna una tappa decisiva nella cooperazione tra Burkina Faso, Mali e Niger. Per la sovranità e lo sviluppo dei nostri popoli, guideremo la lotta contro il terrorismo nel nostro spazio comune, fino alla vittoria”, ha affermato sullo stesso social network l’omologo burkinabé, capitano Ibrahim Traoré.

Tutti e tre gli Stati erano membri, insieme al Ciad e alla Mauritania, del quadro di cooperazione regionale G5 Sahel, sostenuto dalla Francia, per contrastare i gruppi armati legati ad al Qaeda e allo Stato islamico (Isis). Tutti e tre i Paesi hanno subito colpi di stato dal 2020; l’ultimo golpe è stato compiuto a luglio in Niger, dove è stato deposto il presidente Mohamed Bazoum. La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) ha condannato l’accaduto e minacciato un intervento militare. La Francia ha ritirato le sue truppe dal Mali e dal Burkina Faso, mentre c’è ancora una situazione di stallo in Niger. Dal Mali si sta ritirando anche la missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite Minusma.

5900.- Niger: l’esercito Usa riprende le operazioni di sorveglianza dopo i colloqui con la giunta militare.

Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno reso il territorio un avamposto regionale primario per le loro pattuglie, posizionando nel Paese droni armati e coordinando da qui operazioni contro i gruppi jihadisti che hanno conquistato territorio nella regione

Da Washington, Agenzia Nova, 14 Settembre 2023 – Riproduzione riservata

L’esercito degli Stati Uniti ha ripreso le operazioni in Niger, più di un mese dopo che il colpo di Stato del 26 luglio aveva costretto a terra droni ed altri aerei in sua dotazione. La ripresa delle operazioni, ha detto ai giornalisti il comandante delle forze aeree degli Stati Uniti in Europa, generale James Hecker, è stata autorizzata dalla giunta militare salita al potere ed è stata possibile dopo negoziati con i militari. Sono riprese in particolare alcune missioni di intelligence e sorveglianza operate con droni.

Dal colpo di stato di luglio che ha deposto il presidente Mohamed Bazoum, i circa 1.100 soldati statunitensi dispiegati in Niger sono stati confinati nelle loro basi militari. “Per un po’ non abbiamo svolto alcuna missione nelle basi, hanno praticamente chiuso gli aeroporti”, ha detto Hecker parlando a margien della convention annuale dell’Air and Space Forces Association. Il generale ha spiegato che i colloqui hanno permesso di far portare avanti “se non il 100 per cento” delle missioni precedentemente svolte dagli Usa in Niger, almeno “una grande quantità”. La scorsa settimana il Pentagono ha dichiarato che alcune forze statunitensi sono state spostate dalla base aerea 101 vicino alla capitale Niamey, ad un’altra base, l’aeroporto 201, ad Agadez.

Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno reso il Niger un avamposto regionale primario per le loro pattuglie, posizionando nel Paese droni armati e coordinando da qui operazioni contro i gruppi jihadisti che hanno conquistato territorio nella regione. Secondo dati della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao), nei primi sei mesi di quest’anno l’Africa occidentale ha registrato più di 1.800 attacchi armati, nei quali sono state uccise quasi 4.600 persone. La Francia, solida alleata del presidente deposto Bazoum, dispone di circa 1.500 soldati in Niger, la maggior parte dei quali sono stati qui trasferiti dal Mali ed in parte dal Burkina Faso dopo il ritiro richiesto dalle giunte militari salite al potere anche nei due Paesi vicini. Dal golpe, Parigi ha ribadito il suo sostegno a Bazoum e disconosciuto l’autorità dei militari guidati dal generale Omar Tchiani. Voci confermate dal ministero degli Esteri francese parlano di una prossima riduzione degli effettivi francesi in Niger, in particolare per quanto riguarda le risorse in droni e di intelligence aerea, con il probabile ritiro di parte degli effettivi militari.

5832.- Crisi in Niger: la situazione e le opzioni sul tavolo. Una nostra opinione

Niger
  • Foto da Redazione Start Magazine

Il destino dell’Eurafrica si compirà in Niger? Che cosa succederà in Niger, cosa dovrebbe fare l’Italia e perché la Francia sbrocca. Pace all’anima Tua, Muʿammar Muḥammad Abū Minyar ʿAbd al-Salām al-Qadhdhafi, معمر محمد أبو منيار عبدالسلام القذافي.

Da Analisi Difesa sul “Golpe in Niger: il Sahel ci presenta il conto per la guerra alla Libia del 2011.” Mohamed Bazoum, il presidente del Niger deposto dichiarò nel giugno del 2014:

“Noi valutiamo la guerra libica una minaccia per il nostro Paese e per la regione che si prolungherà negli anni a venire…..Avevamo messo in guardia l’Occidente dal distruggere lo Stato libico… Avevamo detto all’Occidente di non perdere di vista la realtà e di tenere conto della società libica. L’Unione Africana aveva proposto una soluzione che facesse uscire di scena Gheddafi preservando lo Stato e l’unità nazionale ma non siamo stati ascoltati anche se l’Italia ci è sembrata più sensibile a questa proposta.

 Incontrai in giugno 2011 il ministro degli esteri, Franco Frattini e gli dissi che voi italiani, che conoscete bene la situazione libica, dovevate giocare un ruolo più deciso, più positivo,  evitando di seguire la corrente. Noi ci siamo battuti ma non siamo stati ascoltati. E oggi la Libia è come la Somalia, come aveva previsto l’Unione Africana.

Il 26 maggio 2011 il presidente nigerino Mahamadou Issofou, invitato al summit di Deauville, è stato l’unico a dire ai leader occidentali che l’intervento in Libia avrebbe trasformato il Paese in un’altra Somalia offendo un’incredibile finestra di opportunità all’islamismo radicale. I fatti ci hanno dato ragione”.

Come scrive Gianandrea Gaiani su Analisi Difesa, Mohamed Bazoum, il presidente del Niger rimosso da un golpe militare il 27 luglio, rilasciò queste dichiarazioni nel corso di una lunga intervista ad Analisi Difesa a Niamey nel giugno 2014, quando ricopriva l’incarico di ministro degli Esteri.

Nove anni dopo anche Bazoum è stato travolto dalle conseguenze dell’ondata di destabilizzazione, in gran parte di matrice islamista, generata da quella sciagurata guerra con cui Occidente e NATO hanno gettato l’intero Sahel nel caos minando anche gli interessi dell’Italia e dell’Europa.

L’errore compiuto nel 2011 e la successiva incapacità occidentale di sanare i guai combinati e stroncare le insurrezioni islamiste, ci viene fatto pagare oggi con la progressiva instaurazione in Africa sub sahariana di governi e giunte militari che guardano con sospetto e a volte ostilità all’Occidente e orientate a puntare sui BRICS, in particolare su Russia e Cina, per garantirsi sviluppo e sicurezza.

Uno scenario simile a quello che si registra nel mondo arabo dove oggi è marcato, soprattutto tra le monarchie del Golfo, il distacco dagli USA protagonisti con l’Amministrazione Obama del sostegno alle cosiddette “primavere arabe” che destabilizzarono o tentarono di destabilizzare i regimi arabi tra i quali molti governi amici dell’Occidente.

Il generale Tchiani e il CNSP

Il 28 luglio il generale Abdourahamane Tchiani, capo della Guardia Presidenziale, è stato proclamato nuovo leader del Niger secondo quanto affermato dalla televisione nazionale che ha confermato la destituzione del presidente Bazoum.

Tchiani (nella foto sotto) ha assunto la presidenza del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP) lamentando le mancate misure per fronteggiare la crisi economica e “il deterioramento della situazione della sicurezza” nel Paese minato dalla violenza dei gruppi jihadisti, accusando Bazoum di aver “cercato di convincere la gente che tutto sta andando bene, la dura realtà è un mucchio di morti, sfollati, umiliazioni e frustrazioni. L’approccio di oggi non ha portato sicurezza nonostante i pesanti sacrifici”.

“Chiedo ai partner tecnici e finanziari amici del Niger di comprendere la situazione specifica del nostro Paese per fornirgli tutto il sostegno necessario per consentirgli di affrontare le sfide” ha detto il generale tendendo apparentemente una mano alle forze straniere presenti in Niger (1.500 militari francesi, 1.100 statunitensi e oltre 300 italiani).

Il nuovo organo di governo CNSP è stato istituito il 27 luglio con un proclama che ha stabilito la chiusura delle frontiere terrestri, dello spazio aereo e la proclamazione del coprifuoco notturno dalle 22 alle 5.

Le forze armate del Niger hanno annunciato di aver rovesciato le istituzioni nazionali a seguito del “continuo degrado della situazione di sicurezza e della cattiva gestione economica e sociale” si legge nel comunicato letto dalla televisione nigerina e firmato dal generale Salifou Mody, in cui si annuncia la costituzione del CNSP che ha ribadito il “rispetto di tutti gli impegni sottoscritti dal Niger”.

Mody, 64 anni  è l’ex capo di stato maggiore della Difesa rimosso dal presidente Bazoum nell’aprile scorso dopo una visita nel marzo scorso in Mali evidentemente non autorizzata o non gradita al governo e alla Francia  Il Mali è retto da una giunta militare che ha allontanato dal paese le forze francesi, della Ue e dell’ONU ottenendo aiuti militari dalla Russia (armi, consiglieri militari e contractors del Gruppo Wagner) per combattere l’insurrezione jihadista.

Lo stesso percorso compiuto dal vicino Burkina Faso che con Mali e Niger condivide le difficoltà nella repressione degli insorti jihadisti sia legati ad al-Qaeda (il Gruppo per il Sostegno dell’Islam e dei Musulmani – JNIM), sia quelli fedeli allo Stato Islamico (Stato Islamico nel Grande Sahara).

“Noi, le forze di difesa e di sicurezza, riunite all’interno del CNSP, abbiamo deciso di porre fine al regime che conoscete”, ha dichiarato il colonnello Amadou Abdramane (già direttore dell’i formazione del governo civile deposto) circondato da altri nove ufficiali.

Ufficiali ben noti ai comandi militari francesi e italiani a Niamey, che hanno addestrato in questi anni le forze nigerine.

Il ruolo del generale Mody

Tchiani, che secondo alcune voci Bazoum pare volesse rimuovere e che ha preso il 26 luglio il controllo del palazzo presidenziale e di altre sedi istituzionali della capitale Niamey, sembrava nelle prime fasi del golpe non aver trovato appoggi tra le forze armate e la Guardia Nazionale che, anzi, avevano intimato alla Guardia Presidenziale di liberare Bazoum e desistere dal tentativo di golpe.

Nel compattare le forze militari e di sicurezza a supporto del colpo di stato potrebbe aver avuto un ruolo di rilievo proprio il generale Mody (nella foto a lato) sollevato dall’incarico dopo la visita in Mali (certo malvista da francesi, europei e americani) e nominato nel giugno scorso ambasciatore negli Emirati Arabi Uniti senza che tuttavia avesse finora assunto l’incarico, come evidenzia la sempre ben documentata Agenzia Nova.

Nella situazione ancora caotica in Niger Mody il ministro degli Esteri, Hassoumi Massoudou, il 27 luglio si è autoproclamato primo ministro ad interim precisando che nonostante il “tentativo” di golpe al momento “l’unico potere legittimo e legale” riconosciuto è quello esercitato “dal presidente democraticamente eletto”, Mohamed Bazoum.

In una dichiarazione concessa a “France 24”, Massoudou ha ribadito che il tentativo di golpe “non è concluso”, confermando l’esistenza di tentativi di mediazione regionali in corso che coinvolgono il presidente del Benin, Patrice Talon, incaricato di mediare nella crisi in corso a nome della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO o ECOWAS) – e precisando al tempo stesso che i defezionisti non sono sostenuti da tutto l’esercito ne’ dal capo delle Forze armate, il generale Abdou Sidikou Issa che ha sostituito Mody lo scorso aprile.

Pressioni e mediazioni

Le valutazioni di Massoudou sono state però smentite dallo stesso generale Issa che ha annunciato l’adesione delle forze armate alla dichiarazione di destituzione del presidente Bazoum al fine di evitare uno “scontro mortale” che potrebbe causare un “bagno di sangue” e mettere a rischio l’incolumità della popolazione, oltre che per preservare la coesione nell’ambito delle Forze armate.

“Qualsiasi intervento militare esterno, di qualsiasi provenienza, rischierebbe di avere conseguenze disastrose e incontrollabili per le nostre popolazioni e (di seminare) il caos nel nostro Paese”, si legge nella nota, in cui lo Stato maggiore “ricorda che il nostro Paese è ancora afflitto dall’insicurezza imposta dai gruppi armati terroristici e da altri gruppi di criminalità organizzata” ed invita “tutte le Forze di difesa e sicurezza a rimanere concentrate sulle loro missioni”.

Anche i francesi sembravano nutrire ancora dubbi (e aspettative) circa l’esito del golpe militare. Il presidente Emmanuel Macron ha detto il 28 luglio di aver parlato più volte con Bazoum (nella foto a lato) che gli ha detto di essere “in buona salute” mentre il ministro degli Esteri, Catherine Colonna, ha sostenuto che la Francia non considera “definitivo” il “tentato” colpo di stato del 26 luglio pur anticipando che Parigi sosterrà eventuali sanzioni alla nuova giunta militare nigerina che venissero decise dalla CEDEA, simili a quelle già affibbiate a Mali e Burkina Faso.

La Francia ha inoltre annunciato la sospensione degli aiuti allo sviluppo al Niger pari l’anno scorso a 120 milioni di euro e previsti in leggero rialzo quest’anno.

L’Unione Europea non riconosce e non riconoscerà le autorità scaturite dal golpe” ha dichiarato oggi l’Alto rappresentante per la politica Estera e la sicurezza, Josep Borrell. “Il presidente Bazoum è stato eletto democraticamente, è e rimane quindi l’unico presidente legittimo del Niger – rimarca Borrell -. Il suo rilascio deve essere incondizionato e senza indugio. L’Ue ritiene i golpisti responsabili della sua sicurezza e di quella della sua famiglia. E siamo pronti a sostenere le future decisioni dell’Ecowas, inclusa l’adozione di sanzioni”.

Borrell ha poi annunciato l’immediata sospensione con effetto immediato del budget per gli aiuti e la cooperazione nel campo della sicurezza col Niger.

L’Unione Africana ha dato 15 giorni di tempo ai golpisti perché ripristinino l’ordine costituzionale nel paese. L’Unione Africana intima ai soldati coinvolti nel colpo di stato a far ritorno alle loro caserme “senza condizioni”. E avverte che il Consiglio di Sicurezza dell’Ua adotterà contro i golpisti “tutti i mezzi necessari, anche di carattere punitivo” se non verranno rispettati i diritti fondamentali di Bazoum. Il comunicato condanna il golpe “nei più forti termini possibili”.

Negli Stati Uniti il segretario di Stato americano Antony Blinken ha avuto colloqui telefonici con il presidente nigerino, Mohamed Bazoum, detenuto nella residenza presidenziale, e con l’ex presidente Mahamadou Issoufou. “Il segretario ha ribadito al presidente Bazoum il costante sostegno degli Stati Uniti e ha sottolineato l’importanza che rimanga alla guida a Niamey – ha riferito il portavoce del dipartimento di Stato, Matthew Miller.

Blinken ha sottolineato che “quanti detengono Bazoum stanno minacciando anni di cooperazione di successo e centinaia di milioni di dollari di assistenza a sostegno del popolo nigerino“, chiedendo quindi all’ex presidente Issoufou “di proseguire gli sforzi per risolvere la situazione a favore del governo democraticamente eletto a guida civile”. 

Il flop dell’intelligence, ennesima sconfitta francese nel Sahel

L’aspetto più curioso del golpe è che in apparenza i servizi segreti occidentali e in particolare delle nazioni che hanno truppe schierate in Niger e stretti rapporti con i locali comandi militari non abbiano né previsto né avuto sentore del pronunciamiento della Guardia Presidenziale poi seguita da tutte le forze armate.

Neppure la DGSE e l’intelligence militare francese che a Niamey sono da sempre di casa. Basti pensare che l’ambasciata di Parigi nella capitale nigerina si trova a poca distanza dal palazzo presidenziale sulla Avenue de la Republique, quasi a testimoniare visivamente il “tutoraggio” francese sulla sua ex colonia a 63 anni dall’indipendenza del Niger, nel 1960.

Per la Francia la perdita del controllo sul Niger avrebbe effetti disastrosi non solo perché si aggiungerebbe all’espulsione dei propri militari e dei propri interessi da Mali, Burkina Faso e Repubblica Centrafricana (a vantaggio della Russia) ma soprattutto perché il Niger fornisce a Parigi a prezzi contenutissimi circa il 30 per cento dell’uranio utilizzato per alimentare le centrali nucleari francesi. Uranio che fino al 2014 la Francia ha prelevato gratuitamente.

Il Niger è stato finora il bastione della presenza militare occidentale nel Sahel a contrasto dei movimenti jihadisti e dopo le defezioni di Mali e Burkina Faso e la difficile situazione in Ciad ha assunto un ruolo ancora più rilevante ricevendo forniture militari italianeeuropeefrancesistatunitensiegiziane e turche.

Difficile comprendere gli umori popolari in una nazione tra le più povere del mondo, grande oltre 4 volte l’Italia e con poco meno di 30 milioni di abitanti.

La mano di Mosca? 

La sera del 26 luglio a Niamey alcuni sostenitori del presidente Bazoum le del Partito Nigerino per la Democrazia e il Socialismo (PNDFS) hanno manifestato chiedendo la liberazione del presidente venendo dispersi da colpi esplosi in aria dalla Guardia Presidenziale. Il giorno successivo si sono registrate invece manifestazioni a favore del golpe e per il ritiro delle forze francesi dal Paese tra lo sventolio di bandiere russe e il saccheggio della sede del PNDS.

Elementi comuni con quanto accaduto negli ultimi anni in altri paesi dell’Africa Centrale e Sahel che hanno indotto molti osservatori a ipotizzare il ruolo di Mosca nel golpe militare.

Come ha ricordato Fausto Biloslavo sul Giornale, “a Niamey, dallo scorso settembre, è apparso il Movimento62, che si propone di cacciare i francesi e le altre truppe straniere dal paese. In piazza sventolano bandiera russe e cartelli con scritto «abbasso la Francia» oppure «I love Putin». Il loro leader, Abdoulaye Seydou, è stato arrestato in febbraio, ma il sentimento anti francese farebbe proseliti anche fra i militari”.

Per il momento non vi sono elementi a sostegno del ruolo di Mosca nel golpe se si escludono le dichiarazioni del capo della Wagner, Evgheny Prigozhin (nella foto sotto a San Pietroburgo con l’ambasciatore della Repubblica Centrafricana), che plaude all’emancipazione africana dal neocolonialismo occidentali.

“Quello che è successo in Niger è una lotta del popolo contro i colonizzatori che hanno imposto le loro regole di vita, le loro condizioni e li tengono in una condizione che era nell’Africa di centinaia di anni fa. Oggi il Niger sta effettivamente guadagnando l’indipendenza liberandosi dei colonizzatori” ha detto Prigozhin a margine del Summit Russia-Africa che ha riunito a San Pietroburgo 49 delegazioni africane (su 54 nazioni) di cui ben 16 a livello di capo di stato.

Come ha sottolineato sul Washington Post il ricercatore John Lechner, specializzato sulla presenza della Wagner in Africa, non ci sono prove che la Russia o il gruppo Wagner siano direttamente coinvolti nel golpe in Niger e del resto Mosca ha chiesto come il resto della comunità internazionale la liberazione di Bazoum. Tuttavia, ha sottolineato Lechner, sia le forze filorusse, sia quelle anti Mosca sfrutteranno la situazione per portare avanti le proprie agende.

A questo proposito, al vertice Russia-Africa di San Pietroburgo, Mosca ha annunciato un piano di aiuti alimentari che vedrà sei nazioni africane (Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Repubblica Centrafricana ed Eritrea) ricevere nei prossimi tre mesi fino a 50.000 tonnellate di grano ciascuno a titolo gratuito. Il Mali, retto dalla giunta militare filo-russa, otterrà da Mosca anche forniture di cibo, investimenti, sviluppo delle relazioni commerciali e incremento della quota di studenti maliani ammessi con borsa di studio nelle università russe da 35 a 290.

Europa e USA si sono già espressi a favore del reintegro di Bazoum ma non c’è dubbio che il modello occidentale in Africa è posto in seria crisi dalla penetrazione russa (e cinese) che offre aiuti militari ed economici non condizionati da “riforme” e adesioni a modelli culturali diversi da quelli locali.

Sul piano militare anni di presenza militare occidentale non hanno sconfitto il jihadismo e non è certo un caso che siano state le élite militari a rovesciare i governi in Mali, Burkina Faso e Niger. L’ostilità manifesta ai golpisti sta già provocando qualche tensione con la Francia, accusata dalla giunta militare di aver violato lo spazio aereo facendo atterrare all’aeroporto di Niamey (nella foto sotto) un suo aereo da trasporto militare A400M.

La giunta militare non ha invece denunciato l’atterraggio a Niamey di un aereo da trasporto VIP Gulfstream 4 appartenente alla compagnia turca AhlatcÄ Holding (società attiva in diversi settori inclusi finanza, miniere d’oro ed energia) proveniente da Istanbul. E’ presto per ipotizzare un ruolo russo nel golpe così come un ruolo della Turchia che pure negli ultimi tempi ha stretto forti rapporti militari con Niamey fornendo veicoli, aerei e droni.

Il supporto della giunta militare del Burkina Faso 

Benché la giunta golpista abbia annunciato il rispetto degli accordi internazionali in vigore, inclusi quindi quelli che assicurano la presenza militare occidentale in Niger, non tranquillizza le cancellerie europee l’iniziativa della giunta militare al potere in Burkina Faso che ha chiesto una “cooperazione più stretta” con la nuova giunta nigerina.

Il ministro della Comunicazione, Rimtalba Jean Emmanuel Ouédraogo, ha dichiarato alla televisione pubblica che “il nostro auspicio è che insieme si possano stringere partenariati e cooperazioni più strette, e soprattutto che insieme si possa riprendere questa storica lotta contro i gruppi terroristici armati e ripristinare la dignità dei nostri popoli in modo sovrano”. La zona di confine tra Niger, Burkina Faso e Mali è la più calda di tutta l’Africa per l’insurrezione jihadista.

La presenza italiana

L’Italia schiera 300 militari in Niger per lo più impegnati nell’addestramento delle forze locali nell’ambito di una missione europea e di una nazionale anche se per Roma il paese del Sahel ha un ampio rilievo nella gestione dei flussi migratori illegali diretti in Libia e poi in Italia.

“Sembra che dietro questo golpe ci sia ancora una volta la Russia” ha dichiarato ieri il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli. “In questo scenario in cui le dittature del mondo, con in testa la Russia, diventano sempre più pericolose, per noi è un dolore quello che è accaduto. Il presidente Mohammed Bazoum era una speranza per quella terra tanto martoriata. Speriamo che il popolo sappia reagire e che non tutti i militari seguano questa scelta scellerata del gruppo della Guardia presidenziale”.

Dichiarazioni affrettate (il ruolo di Mosca non trova per ora conferme) e al tempo stesso tardive (i militari appaiono tutti schierati coi golpisti) che difficilmente contribuiranno a mantenere gli interessi e le prerogative italiane in Niger se la giunta militare a Niamey dovesse confermarsi pienamente in carica.

Del resto in tutta l’Africa e soprattutto nella cosiddetta “Françafrique” l’Italia ha avuto in questi anni (e forse avrebbe anche ora) molte occasioni di affermarsi come partner di riferimento per molte nazioni africane ma dovrebbe presentarsi come alternativa alla Francia (la cui influenza è sempre più avvertita con insofferenza come neocoloniale), non come partner subordinato a Parigi o alla Ue.

Quando nei mesi scorsi la giunta militare del Mali ha cacciato le truppe francesi dell’Operazione Barkhane se ne sono andati anche i contingenti europei inclusi i 200 militari italiani assegnati alla Task Force Takuba.

Se davvero Roma vuole sviluppare un “Piano Mattei” deve prepararsi a mettere in campo una vera e propria politica africana, autonoma e determinata, pronta a fornire aiuti economici e militari diretti e ad avviare salde cooperazioni bilaterali con i governi che guidano le nazioni africane (non solo con quelli che vorremmo le governassero) fondamentali per i nostri interessi nazionali.

D’altra parte se la risposta dell’Europa ai cambiamenti in atto in Africa sarà basata su sanzioni e blocco degli aiuti economici e militari, il risultato inevitabile sarà da un lato di far crescere la determinazione delle nazioni africane a smarcarsi dal “neocolonialismo” occidentale e dall’altro di lasciare campo libero alla penetrazione russa, turca e cinese.

@GianandreaGaian

Foto: Difesa.it, Twitter, Ministero Difesa Francese, Governo del Niger, Facebook, Air Info Agadez e EPA

Prima di tutto, una nostra opinione

Mentre Parigi, esecrata dai nigerini, è attendista e seguirà le sanzioni che l’Unione europea applicherà anche al Niger, Mosca fa passi avanti e l’Italia scalpita a rimorchio di Bruxelles. In questo tempo, né a Bruxelles, a Parigi, a Washington siedono persone all’altezza della solidarietà attivamente cooperativa che informa il Nuovo Piano Mattei. Forse, a Londra, ad Ankara, ma non è sufficiente. Tramonteremo in Africa con tutto l’Occidente? Sarebbe un tramonto anche per il Sahel, soggetto a un nuovo neo-colonialismo. Per meglio comprenderci, a fronte delle sanzioni allo studio dell’Unione europea, dei tagli agli aiuti della Francia, ripetiamo le parole del presidente del Congo Félix Tshisekedi, che disse:

“Volevo essere molto preciso nel dirlo. Deve cambiare il modo di cooperare con la Francia e con l’Europa. Guardarci in modo diverso, rispettandoci l’un l’altro, considerandoci dei veri partner e non sempre con uno sguardo paternalistico.”

Viene da dire e vale anche per l’Ecowas, che mobiliterà 25.000 uomini di Nigeria, Senegal, Benin, Costa d’Avorio: Lasciamo che il Niger trovi la sua via e facciamo fronte a russi, cinesi e turchi con la solidarietà attiva e compartecipativa. Saranno i nigerini, quelli che oggi gridano ““Macron assassino, Putin in soccorso” , a decidere il loro futuro e saranno i governi dell’Ecowas a ragionare sui rischi della loro attuale frattura.

Le posizioni dei vari paesi sul Niger e le possibili evoluzioni della crisi. L’approfondimento di Analisi Difesa.

Analisi Difesa, 10 Agosto 2023, di Marco Leofrigio, aggiornato il 13 Agosto 2023 alle ore 23.50.

Il golpe militare in Niger del 26 luglio rischia di destabilizzare l’intera regione del Sahel mettendo in difficoltà in primis la Francia e a seguire l’Unione Europea, come  riportato nei giorni scorsi su Analisi Difesa nei commenti del direttore Gaiani, di Ugo Trojano e di Giuseppe Cucchi. Parigi soprattutto vede in corso di cancellazione la sua influenza post-coloniale sulla “Françafrique”, minata dall’infausta guerra del 2011, voluta anche da Parigi, contro la Libia di Muammar Gheddafi.

E in seguito altri errori sono stati fatti in Niger e nell’intera regione. Come ha scritto Trojano, ”non volendo comprendere ne’ adeguarsi realisticamente alle nuove dinamiche sul terreno, i comportamenti sconcertanti di taluni governanti europei, dei vertici Ue preoccupati solo di seguire principi irrealizzabili in taluni Paesi, l’ossessione per le procedure burocratiche, hanno inciso pesantemente favorendo una costante perdita di credibilità europea. E’ stata consentita di conseguenza la penetrazione significativa di nuovi attori, Russia, Turchia, Cina, ben più concreti, solidi, poco votati ad impartire lezioni agli africani piuttosto inclini ad ottenere risultati per sé e, nel breve periodo, per i nuovi committenti africani.”

Le reazioni dei 15 paesi della ECOWAS/CEDEAO (Economic Community of West African States/Communauté économique des États de l’Afrique de l’Ouest), della Francia e della UE sono state immediate. Ugualmente molto preoccupati si sono detti gli Stati Uniti, che hanno un contingente di oltre 1.100 soldati, avendo fatto del Niger una base importante per il contrasto alle varie formazioni jihadiste purtroppo sempre attivissime nel Sahel.

Ad oggi nessuna azione di forza si è verificata dopo la scadenza dell’ultimatum dichiarato dalla ECOWAS/CEDEAO per dare modo alla giunta golpista di fare marcia indietro sulla rimozione del presidente Mohamed Bazoum.

Il ruolo della Nigeria

Nelle prossime ore l’ECOWAS discuterà quali misure adottare e per ora la via del negoziato resta la favorita con l’invio a Niamey dell’ex emiro nigeriano della città’ settentrionale di Kano Sanusi Lamido Sanusi come negoziatore anche se lui stesso nega essere un emissario del governo di Abuja. “Siamo venuti sperando che il nostro arrivo apra la strada a discussioni reali tra i leader del Niger e quelli della Nigeria”, ha detto Sanusi.

In precedenza il 4 agosto, il presidente nigeriano e presidente in carica di ECOWAS/CEDEAO Bola Tinubu (molto legato a Sanusi) aveva ipotizzato, nonostante l’ostilità del Senato nigeriano l’uso della forza, approvato da Costa d’Avorio, Ghana e Senegal, mentre il Ciad ha comunicato di non voler parteciparvi. Il grosso delle forze, in caso di intervento armato, sarò presumibilmente messo in campo dalla Nigeria mentre gli altri paesi invieranno contingenti minori.

Tinubu ha intanto disposto alla Banca Centrale della Nigeria (CBN) di attuare una serie di nuove sanzioni finanziarie nei confronti di entità e individui collegati o coinvolti con la giunta militare della Repubblica del Niger. La Nigeria ha già interrotto la trasmissione di energia elettrica che assicurava il 70% del fabbisogno nigerino.

Braccio di ferro con la Francia

A Niamey Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria, costituito dai golpisti ha chiuso lo spazio aereo paese adducendo “la minaccia di intervento armato dall’esterno” e deciso l’invio di unità dell’esercito a rinforzo dei reparti già presenti nella capitale e lungo il confine con Nigeria e Benin,

Il leader golpista Abdourahamane Tchiani, già comandante della Guardia Presidenziale, conosce gli avversari della giunta militare nigerina (era stato comandante di un battaglione della ECOWAS nel 2003 in Costa d’Avorio, che intervenne come forza di pacificazione dopo la firma del cessate-il-fuoco tra governo e forze ribelli) ed è consapevole che il Niger non è isolato.

Mali, Burkina Faso e Guinea appoggiano il golpe del 26 luglio mentre l’Algeria, colosso economico e militare, si oppone a un intervento militare: forte di questa consapevolezza e del ruolo cruciale di Russia, Turchia e Cina (potenze sempre più influenti in Africa), la giunta al potere a Niamey ha respinto “le ingerenze dei paesi occidentali” dopo aver intimato a Parigi il ritiro entro un mese dei 1.500 militari schierati in Niger.

Parigi ha risposto con durezza replicando che solo le «legittime autorità» del Niger possono cambiare i trattati bilaterali in vigore ma ieri la giunta di Niamey ha denunciato la violazione dello spazio aereo nigerino da parte di un aereo da trasporto militare francese A400M decollati dal Ciad e accusato Parigi di aver liberato 14 miliziani jihadisti e di avere un “piano di destabilizzazione” del Niger.

Inoltre il CNSP ha accusato “la Francia ed i suoi complici” per un attacco avvenuto ieri mattina contro una postazione della Guardia Nazionale a Bourkou Bourkou, vicino alla miniera d’oro di Samira. Parigi ha respinto le accuse confermando che “il volo effettuato questa mattina è stato autorizzato e coordinato con l’esercito nigerino”.

L’America temporeggia

Gli Stati Uniti si sono detti “molto preoccupati per la salute e la sicurezza personale” di Bazoum in isolamento con la famiglia dal 26 luglio, timore espresso anche dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres che chiede con urgenza il loro rilascio incondizionato e il rigoroso rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti umani del Niger”.

Benché la visita del sottosegretario Victoria Nuland non abbia sortito alcun risultato la diplomazia statunitense sembra puntare ancora sul dialogo, forte anche del fatto che per ora i golpisti non hanno chiesto il ritiro delle truppe americane (né di quelle italiane e tedesche) in Niger, che restano acquartierate nelle loro basi.

L’ambasciata degli Stati Uniti a Niamey ha esortato con un comunicato gli americani che ancora si trovano nella capitale a “rimanere al riparo, limitare i movimenti non necessari nella città e continuare ad evitare il centro e l’area del palazzo presidenziale” aggiungendo che “vi potrebbe essere un aumento della presenza di forze di sicurezza nella zona del centro (per monitorare dimostrazioni) quindi è importante essere cauti, limitare i movimenti ed evitare ogni protesta. L’ambasciata è al corrente delle notizie di mancanza di contanti e di alcuni beni”, ha concluso la nota.

L’Europa guarda alle sanzioni

Gli europei sembrano invece apprestarsi a imporre sanzioni ai membri della giunta militare nigerina, come hanno riferito alla Reuters fonti della Ue secondo le quali la Commissione Europea ha avviato la discussione sui criteri per l’adozione delle misure. Per imporre le sanzioni è necessario l’accordo di tutti i 27 Stati membri dell’Unione ma è chiaro che l’adozione di simili misure porterebbe con ogni probabilità all’espulsione anche dei contingenti italiano e tedesco presenti in Niger.

“La Ue è pronta a sostenere le decisioni dell’ECOWAS, compresa l’adozione di sanzioni”, ha detto il portavoce Peter Stano mentre i ministri degli Esteri europei discuteranno la situazione del Niger non prima del vertice di Toledo del 31 agosto.

L’impressione è che Ue ed ECOWAS intendano testare la compattezza della giunta militare puntando anche su contestazioni interne. Ieri un appello alla “mobilitazione nazionale” su tutto il territorio nazionale per salvare Bazoum, è stato lanciato dal Partito Nigerino per la Democrazia e il Socialismo che fa capo al presidente deposto.

Inoltre è stata annunciata la costituzione del Consiglio di Resistenza per la Repubblica” (CRR) che punta a reinsediare Bazoum “con tutti i mezzi necessari”: il suo leader è il touareg Rhissa Ag Boula, e membro del governo deposto. Un membro del CRR, riporta Trtafrika, ha affermato che diversi politici nigerini si sono uniti al gruppo ma non hanno potuto rendere pubblica la loro posizione per motivi di sicurezza.

A Niamey il generale Abdurahman Tchiani, ha firmato oggi un decreto che istituisce il nuovo governo composto da 21 membri, il primo ministro Ali Mahaman Lamine Zeine e 20 ministri. I dicasteri di Difesa e Interno sono stati assegnati a due generali membri del Consiglio nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP): si tratta rispettivamente dell’ex capo di stato maggiore della Difesa Salifou Mody e l’ex capo di stato maggiore dell’esercito Mohamed Toumba.

Al vertice dell’ECOWEAS invece il Niger è rappresentato dal ministro degli Esteri del governo deposto dai golpisti, Hassoumi Massaoudou.

Le opzioni sul tavolo 

Gli sviluppi della crisi nigerina dipenderanno dalle opzioni attualmente sul tavolo.

  • Mantenere il negoziato aperto senza esasperare la crisi con la giunta di Niamey ridurrebbe il rischio di escalation e di un conflitto regionale che potrebbe destabilizzare tutta l’Africa Occidentale/Sahel ma rafforzerebbe la giunta golpista nigerina. Uno sviluppo probabilmente non accettabile per la Francia.
  • Limitare il contrasto al CNSP a sanzioni economiche sempre più forti eviterebbe un conflitto aperto, provocherebbe forse danni alla già debole economia nigerina anche se la vastità dei confini nigerini attraversati da tempo da traffici illegali potrebbe vanificare o ridurre l’impatto delle sanzioni. Di certo tali misure accentuerebbero la spaccatura all’interno dell’ECOWAS allontanando definitivamente il Niger dall’influenza occidentale.
  • Attuare un vasto intervento militare richiederebbe tempo e determinerebbe un conflitto di durata indefinita e fuori controllo, che potrebbe allargarsi ad altre nazioni e che favorirebbe i movimenti jihadisti attivi nella regione (nel 2022 il Niger ha subito 114 attacchi di matrice jihadista contro i circa 2mila di Mali e Burkina Faso). Occorrerebbe poi mettere a punto piani e attività d’intelligence, riunire e supportare logisticamente ingenti forze (molti più militari dei 7mila messi in campo dall’ECOWAS nel 2017 per l’intervento nel minuscolo Gambia) con mezzi terrestri e aerei per uno sforzo bellico dalla tempistica potenzialmente prolungata, con ampi costi finanziari e con la prospettiva di dover dispiegare truppe non solo a Niamey ma in tutto il Niger, grande oltre volte l’Italia. L’esercito nigeriano, che porterebbe il peso più rilevante in caso di interventi dell’ECOWAS, ha già molti impegni interni da affrontare contro i movimenti jihadisti (Boko Haram e i miliziani jihadisti dell’Islamic State West Africa Province legati allo Stato Islamico) e i separatisti del Biafra. Inoltre il successo militare contro la giunta militare del Niger non è scontato non solo per il supporto che verrebbe offerto da Mali e Burkina Faso ma anche perché la penetrazione di truppe nigeriane a Niamey non sarebbe gradito all’Algeria. Le truppe nigeriane e gli alleati di Costa d’Avorio e Senegal dovrebbero confrontarsi con le forze nigerine potenziate in questi anni dagli aiuti e dalle forniture occidentali, turche ed egiziane senza contare che un eventuale ruolo attivo delle forze francesi potrebbe venire interpretato in tutta l’Africa come un’operazione neo coloniale favorendo così la penetrazione (anche militare) russa, turca e cinese. Parigi dovrebbe poi tenere in conto il rischio che un’altra “campagna d’Africa” possa infiammare nuovamente l’insurrezione interna in molte banlieues che aprirebbe un rilevante fronte interno.
  • Condurre un’azione mirata a liberare Bazoum, con forze speciali presumibilmente francesi (già presenti a Niamey), determinerebbe in ogni caso uno stato di guerra che comprometterebbe i rapporti e gli interessi di Parigi e occidentali in Niger senza però garantire sviluppi negativi per la giunta militare di Niamey. Ogni azione militare contro il CNSP potrebbe inoltre offrire il destro per interventi esterni a sostegno dei golpisti come quello dei contractors russi della PMC Wagner. Il suo leader, Yevgeny Prigozhin, si è già reso disponibile a inviare i suoi uomini a Niamey anche se Mosca finora si è espressa a favore del ripristino del governo legittimo pur senza emettere condanne o minacciare sanzioni nei confronti della giunta golpista.
  • Puntare su un contro-golpe interno non offrirebbe attualmente garanzie di successo poiché non vi sono elementi che inducano a ritenere che ampie fasce della popolazione siano pronte a sollevarsi contro il CNSP né che una parte consistente delle forze militari e di sicurezza nigerine siano pronte a insorgere contro i golpisti.

La crisi nigerina resta quindi troppo complessa per poter sperare in soluzioni rapide, efficaci ma soprattutto che non ne comportino l’ulteriore aggravamento.

ULTIM’ORA – L’ECOWAS attiva la Standby Force 

I leader della Comunità Economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO o ECOWAS) riuniti oggi ad Abuja (Nigeria) per il vertice straordinario chiamato a concordare le azioni da intraprendere dopo il colpo di Stato in Niger dello scorso 26 luglio, hanno ribadito la loro ferma condanna del golpe e la detenzione illegale del presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum riaffermando la determinazione a mantenere sul tavolo tutte le opzioni per la risoluzione pacifica della crisi.

L’ECOWAS ha autorizzato l’attivazione di una Forza militare d’intervento (Standby Force) per ripristinare l’ordine costituzionale in Niger ordinando al Comitato dei capi di Stato maggiore della Difesa degli stati membri di attivare immediatamente tale forza militare e dispiegarla.

Nel comunicato finale del vertice la CEDEAO/ECOWAS conferma tutte le misure annunciate in occasione del precedente vertice straordinario tenutosi lo scorso 30 luglio sempre ad Abuja, e in particolare “la chiusura delle frontiere e il divieto di viaggio e il congelamento dei beni di tutte le persone o gruppi di individui i cui le azioni ostacolano tutti gli sforzi pacifici volti a garantire il ripristino armonioso e completo dell’ordine costituzionale”.

Il comunicato, inoltre, “mette in guardia gli Stati membri che, con direttamente o indirettamente, ostacolano la soluzione pacifica della crisi in Niger sulle conseguenze della loro azione dinanzi alla Comunità” (un riferimento diretto a Guinea, Mali e Burkina Faso) e invita l’Unione Africana ad approvare tutte le decisioni.

Il documento rinnova l’invito a tutti i Paesi e le istituzioni partner, comprese le Nazioni Unite, a sostenere la CEDEAO nei suoi sforzi per garantire un rapido ripristino dell’ordine costituzionale in Niger. “I Capi di Stato Maggiore avranno altre conferenze per finalizzare la missione ma hanno l’accordo della Conferenza dei Capi di Stato per iniziare l’operazione il prima possibile”, ha dichiarato Alassane Ouattara, presidente della Costa d’Avorio che metterà a disposizione un contingente di 850/1.100 uomini.

“I golpisti possono decidere di andarsene domani mattina e non ci sarà alcun intervento militare, dipende da loro” – ha aggiunto Ouattara – “Siamo determinati a reintegrare il presidente Bazoum al suo posto”. Al termine del vertice di Abuja, il presidente della Commissione ECOWAS, Omar Touray, ha ribadito “il continuo impegno per il ripristino dell’ordine costituzionale, attraverso mezzi pacifici”.

L’agenzia di stampa statunitense Associated Press, citando due funzionari occidentali, ha reso noto che i golpisti avrebbero detto a un alto diplomatico statunitense che ucciderà il presidente deposto Mohamed Bazoum se i Paesi vicini tenteranno qualsiasi intervento militare per ripristinare il suo governo. Secondo l’Ap, uno dei funzionari ha affermato che i golpisti hanno riferito al sottosegretario di Stato americano Victoria Nuland della minaccia a Bazoum durante la sua visita nel Paese nei giorni scorsi. Un altro funzionario Usa ha confermato questa versione, parlando a condizione di anonimato. Nessuna fonte ha però confermato questa minaccia né vi sono state dichiarazioni in tal senso da parte del CNSP, l’organismo che rappresenta la giunta militare di Niamey.

Foto: US DoD/Africom, TV Niger, Twitter, Ministero Difesa Francese e Peoples Dispatch

5831.- Tocca all’Italia sistemare i disastri francesi in Africa?

Rassegna ragionata dal web su: il golpe in Niger e i malumori sempre più diffusi nelle ex colonie di Parigi, il pericolo di una guerra nel continente, il ruolo di pontiere che può avere il nostro paese e i pericoli di un intervento militare.

Da Tempi, articolo di Lodovico Festa, 11/08/2023

Niger, sostenitori dell'esercito maledicono la Francia e la Cedeao
Niger, sostenitori dell’esercito maledicono la Francia e la Cedeao (foto Ansa)

Su Linkiesta Carlo Panella scrive: «Evgenij Prigozhin tre, Emmanuel Macronzero. Tre colpi di Stato a favore della Wagner in tre anni hanno espulso la Francia da tre paesi africani chiave: Mali, Burkina Faso e Niger. A questi si aggiungono due golpe antioccidentali di cui ha approfittato fortemente la Wagner in Sudan e in Guinea, e il forte e determinante impianto delle armate di Prigozhin in Libia oltre che nella Repubblica Centrafricana. Di fatto, il radicamento della Wagner nel Sahel e in Africa appare inarrestabile, sia sotto il profilo politico – tutti questi golpe guardano alla Russia come alleata – che militare, in una cintura dei golpe pro russi che va dal Mar Rosso all’Oceano Atlantico. Si vedrà come si evolverà il golpe in Niger, circondato come è dalla fortissima pressione economica e militare a favore di Mohammed Bazoum, il presidente democratico deposto, da parte dei nove paesi confinanti del Cedeao, l’alleanza economico militare dell’Africa occidentale. Paesi che sono peraltro spalleggiati dalla Francia e dalla Unione Europea nella loro azione contro il golpista nigerino, il generale capo della guardia presidenziale Abdourahman Tiani, al quale hanno dato sette giorni per rimettere al potere il presidente deposto sotto minaccia di un loro intervento militare. Futuro incerto quindi: Mali e Burkina Faso hanno replicato che interverranno a favore dei golpisti del Niger se verranno attaccati dalla Cedeao, ma intanto si tratta, con discrezione».

Panella descrive con precisione la débâcle francese in Africa. Dopo che Jacques Chirac ostacolò il tentativo di George Bush di creare nuovi equilibri in Africa e Medio Oriente con la guerra in Iraq, Barack Obama puntò su Nicolas Sarkozy e Recep Erdogan per stabilizzare quella stessa area, partendo dall’intervento in Libia. I risultati dell’iniziativa obamiana sono stati disastrosi, peggiorati oggi dall’arroganza di Emmanuel Macron, che probabilmente pagherà in patria il prezzo dei suoi fallimenti, per esempio grazie a un Vincent Bolloré, che, costretto ad abbandonare le sue intraprese africane, investe sempre più in media tesi a saldare la destra moderata e quella radicale francesi.

Sulla Nuova Bussola quotidiana Gianandrea Gaiani scrive: «Per il ministro degli Esteri algerino, Ahmed Attaf, “un intervento militare in Niger aggraverebbe la situazione, rendendola più complicata e più pericolosa per il paese e per l’intera regione”. Algeri condanna il colpo di Stato contro il legittimo presidente e ne chiede il ritorno in carica, ma non intende né partecipare né avallare un’azione militare contro Niamey. “Un intervento militare potrebbe incendiare l’intera regione del Sahel e l’Algeria non userà la forza con i suoi vicini”, ha detto il presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune».

Non è impossibile che scoppi una guerra interafricana, come annunciano le decisioni – pur ancora prudenti – dell’organizzazione interstatale dell’Africa occidentale (l’Ecowas o Cedeao). Non è facile prevedere quali saranno le conseguenze di un eventuale conflitto sia nelle zone dove è solida l’influenza russo-cinese sia in quelle dove esiste ancora una forte presenza di islamisti radicali. Intanto si incrementano i malumori in tutte le aree tradizionalmente d’influenza francese, dall’Algeria al Senegal.

* * *

Su Startmag Marco Orioles scrive: «Parigi deve fare tuttavia i conti con la posizione della Germania, che ora dichiara di seguire prioritariamente la linea diplomatica. “Sosteniamo l’Ecowas nelle trattative”, ha sottolineato a Berlino il portavoce degli Esteri, per il quale “Ecowas ha più volte detto che considera la violenza militare come ultimo strumento”».

Berlino si mostra molto prudente nell’appoggiare le posizioni francesi.

* * *

Sul Sussidiario Marco Pugliese scrive: «Gli Usa hanno garantito appoggio all’Italia come nuovo partner nella regione. L’Italia infatti non ha uno “status coloniale” dal 1945 e soprattutto in Africa sta tentando di costruire le basi per il “Piano Mattei” che verrà presentato a ottobre. Mosca, che è dietro alle mosse nigerine, preferirebbe riallacciare i rapporti con l’Italia, uno Stato pontiere, e garante degli equilibri nell’area. Una soluzione che a Washington non dispiace (fonti fanno sapere che la Meloni ha parlato con Biden anche di questo scenario)»

Mentre gli americani riscoprono il ruolo italiano, che funzionò in Africa (al di là di diversi contrasti con Washington) già durante la Prima Repubblica, il partito francese in Italia, che si era già messo in movimento per ostacolare le mosse di Giorgia Meloni in Tunisia, pare non aver più quella capacità di manovra che gli consentì di subordinare Roma agli interessi di Parigi innanzi tutto nella partita libica: in questo senso gli amichetti di Macron sentono molto la mancanza di un abile e seduttivo manovratore come Giorgio Napolitano.

La Cedeao mobilita le truppe.

Ma un intervento multinazionale porterebbe solo vantaggi ai gruppi jihadisti pronti a espandersi nel Sahel e riprendersi il controllo del nord della Nigeria. Tutte le ragioni per scongiurare la prospettiva della guerra.

Niger

“Col comunicato finale del summit della Cedeao (o Ecowas) del 10 agosto l’Africa occidentale muove un altro passo nella direzione della catastrofe. Capi di Stato e di governo riuniti ad Abuja hanno approvato una serie di risoluzioni che prevedono fra le altre cose il dispiegamento di una forza militare multinazionale promossa dall’organizzazione con l’incarico di «ristabilire l’ordine costituzionale» in Niger, la quale resterà «in attesa» che le sia dato l’ordine di eseguire l’operazione militare, nel caso che non si trovi una soluzione diplomatica alla crisi creata dal colpo di Stato che il 26 luglio ha deposto il presidente Mohamed Bazoum e ha consegnato il potere a una Giunta militare capeggiata dal comandante della Guardia presidenziale, il generale Abdourahamane Tiani”. Rodolfo Casadei (segue su Tempi).

Qualunque intervento militare della Cedeao o multinazionale porterebbe vantaggi ai gruppi jihadisti pronti a espandersi nel Sahel e riprendere il controllo del Nord Nigeria e andrebbe incontro ai piani della Wagner, già annunciata dalle bandiere russe sventolate dai dimostranti. Le sanzioni dell’Ue ostacoleranno il clima di solidarietà attiva alla base del Nuovo Piano Mattei e l’Ue si dimostra ancora una volta un’ostacolo per le politiche del Governo italiane. Politiche che, finalmente, tornano a incontrare l’approvazione della Casa Bianca. La parola spetta ai nigerini. Ha ragione il presidente del Congo. Mario Donnini

5828.- Niger. Cosa farà la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentali?

Alcune considerazioni

Mentre Nigeria, Benin, Costa d’Avorio premono per l’azione militare “il prima possibile”, il presidente della Commissione della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, Ecowas, Omar Touray, ha ribadito “il continuo impegno per il ripristino dell’ordine costituzionale, attraverso mezzi pacifici”.  I toni forti di Nigeria, Benin, Costa d’Avorio e l’assurda minaccia dei golpisti di sopprimere il presidente Bazoum. La mobilitazione della forza d’intervento della Cedeao richiede tempo, che lascia spazio ai negoziati e questo tempo ha fatto parlare di approvazione da parte del capo della diplomazia Usa, Antony Blinken, secondo il quale gli Stati Uniti sosterrebbero l’azione della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) nei confronti del Niger, ma Blinken non ha approvato esplicitamente l’opzione militare. La situazione è fluida e foriera di gravi sviluppi, anzitutto, per tutto il Sahel, che rischia di cadere nell’orbita della Federazione Russa. La Wagner è sempre attiva. Con il presidente Bazoum, il Niger era assunto al rango di partner militare dell’Unione Europea e degli Stati Uniti nel Sahel. La tentazione dell’Unione Europea di intervenire negli affari interni del Niger in nome della cosiddetta democrazia, dimostra insicurezza e non tiene conto del fatto che alcuni Stati membri della Cedeao, vale a dire il Mali, il Burkina Faso e la Guinea, sono governati da regimi militari instauratisi tramite colpi di Stato, né più né meno come quello avvenuto il 26 luglio in Niger. Il possibile intervento militare di Nigeria, Benin, Costa d’Avorio, che ristabilisse lo status quo ante a Niamey, metterebbe a rischio la loro legittimità; infatti, Mali e Burkina Faso, hanno dichiarato che in caso di attacco essi si schiereranno in difesa dell’attuale governo nigerino. Si spiega così “il prima possibile” dichiarato dal presidente della Costa d’Avorio Alassane Ouattara al termine del summit straordinario di Abuja sulla crisi nel Niger. Molte di queste considerazioni non sembrano essere condivise dai funzionari dell’Unione europea, che preferiscono prendere partito e sostenere il presidente deposto e hanno iniziato a ragionare di sanzioni da imporre ai membri della giunta militare che ha preso il potere. Non sembra opportuno non avere conto delle dimostrazioni a favore del colpo di stato e anche le loro bandiere russe devono avere un significato. Sarebbe interessante sentire il parere del comandante del nostro contingente in Niger. La strada del Nuovo Piano Mattei si annuncia in salita.

Niger, l’Ecowas dà il via libera all’azione militare | I golpisti: “Se intervenite, uccidiamo il presidente”

TGCOM24,11 agosto 2023

Intanto i militari che hanno preso il potere formano un governo con 21 ministri, molti dei quali sono generali che hanno partecipato al colpo di Stato. L’Ue prepara sanzioni

Niger, l'Ecowas dà il via libera all'azione militare | I golpisti: "Se intervenite, uccidiamo il presidente" - foto 1
Afp

La giunta militare golpista in Niger ha formato un governo

Lo ha reso noto il leader dei golpisti, il generale Abdourahamane Tiani. L’esecutivo, composto di 21 membri, è guidato dal primo ministro Ali Mahaman Lamine Zeine. Poche ore dopo l’annuncio, si è tenuto ad Abuja il vertice della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), che, dopo aver detto di voler cercare il dialogo, ha dato il via libera a un’azione militare “il prima possibile”. I golpisti avvertono: “Se l’Ecowas interviene militarmente uccideremo il presidente”.

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Ventun ministri nel nuovo governo

 La giunta militare che ha preso il potere in Niger il 26 luglio ha formato un nuovo governo composto da 21 ministri: il primo ministro è Ali Mahaman Lamine Zeine e Difesa e Interno sono stati assegnati a generali che hanno partecipato al golpe. Lo riferisce La Libre Belgique, citando un decreto firmato dal nuovo uomo forte di Niamey, il generale Abdourahamane Tiani.

Il documento è stato letto dalla tv nazionale nella notte, a poche ore dal nuovo vertice dei Paesi della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) convocato ad Abuja sulla situazione in Niger.

Ecowas dà il via libera all’operazione militare

 Ad annunciarlo è stato il presidente della Costa d’Avorio Alassane Ouattara al termine del summit straordinario di Abuja convocato sulla crisi nel Paese governato dai golpisti. “I capi di stato maggiore faranno altre riunioni per finalizzare le cose ma hanno l’accordo della conferenza dei capi di Stato affinché l’operazione inizi il prima possibile”, ha detto. Ouattara ha indicato che la Costa d’Avorio fornirà “un battaglione” da 850 a 1.100 uomini, insieme a Nigeria e Benin in particolare, e che “altri paesi” si uniranno a loro. “I golpisti possono decidere di partire domani mattina e non ci sarà nessun intervento militare, tutto dipende da loro”, ha insistito, aggiungendo: “Siamo determinati a reinstallare nelle sue funzioni il presidente Bazoum”. Indicazioni più sfumate sono invece arrivate dal presidente della Commissione Ecowas, Omar Touray, che ha ribadito “il continuo impegno per il ripristino dell’ordine costituzionale, attraverso mezzi pacifici”. 

Blinken: Usa appoggiano decisione Ecowas

 Il capo della diplomazia Usa, Antony Blinken, ha dichiarato che il suo Paese sostiene l’azione della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) nei confronti del Niger, senza però approvare esplicitamente la
decisione di dispiegare la sua forza. “L’Ecowas, un’organizzazione che riunisce i paesi dell’Africa occidentale, svolge un ruolo fondamentale nel dimostrare la necessità di un ritorno all’ordine costituzionale e sosteniamo la leadership e il lavoro dell’Ecowas in questo settore”, ha affermato Blinken.

Onu: preoccupati per le condizioni del presidente Bazoum e della famiglia

 Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è detto “molto preoccupato per le deplorevoli condizioni in cui, secondo quanto riferito, vivono il presidente Bazoum e la sua famiglia mentre continuano a essere detenuti arbitrariamente da membri della guardia presidenziale in Niger”. Il segretario generale ribadisce la sua preoccupazione per la salute e la sicurezza del presidente, deposto il 26 luglio, e della sua famiglia e chiede ancora una volta il suo rilascio immediato e incondizionato e la sua reintegrazione come capo dello Stato. Lo riporta un portavoce Onu in una nota aggiungendo che “il segretario generale è anche allarmato per le continue notizie sull’arresto di diversi membri del governo. E “chiede con urgenza il loro rilascio incondizionato e il rigoroso rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti umani del Niger”.

La minaccia dei golpisti

 Da parte sua, la giunta golpista del Niger ha minacciato di uccidere il presidente deposto se i Paesi vicini della regione dovessero intervenire militarmente per ripristinare il governo dello stesso Bazoum. Lo riferiscono due funzionari occidentali ad Associated Press. Secondo quanto riferito da un funzionario militare occidentale, rappresentanti della giunta avrebbero informato la sottosegretaria di Stato Usa Victoria Nuland durante la sua visita nel Paese. Un funzionario statunitense ha inoltre confermato questo resoconto, parlando sempre a condizione di mantenere l’anonimato.

 Ue inizia a preparare le sanzioni contro la giunta

 I paesi dell’Unione Europea hanno iniziato a gettare le basi per imporre le sanzioni ai membri della giunta militare che ha preso il potere in Niger il 26 luglio scorso. Lo hanno detto alla Reuters fonti europee. Un funzionario dell’Ue coinvolto nel lavoro sulle sanzioni e un diplomatico dell’Ue hanno affermato che l’Ue ha avviato la discussione sui criteri per l’adozione delle misure. Il funzionario ha spiegato che tra i criteri rientrerebbe “l’indebolimento della democrazia” in Niger. “Il passo successivo sarebbero le sanzioni contro i singoli membri della giunta”, ha aggiunto il diplomatico.