Archivio mensile:marzo 2023

5534.- La Francia si piega alla Cina: paga il gas naturale in Yuan. Fine del Dollaro?

Da Scenari economici, pubblicato il 30 Marzo 2023. Di Giuseppina Perlasca

La Cina ha appena completato il primo scambio di gas naturale liquefatto (GNL) regolato in yuan, ha dichiarato martedì la Shanghai Petroleum and Natural Gas Exchange. Il colosso statale cinese del petrolio e del gas CNOOC e TotalEnergies hanno completato il primo scambio di GNL sulla borsa con regolamento in valuta cinese, ha dichiarato la borsa in un comunicato riportato da Reuters.

L’operazione ha riguardato circa 65.000 tonnellate di GNL importate dagli Emirati Arabi Uniti, ha aggiunto la Shanghai Petroleum and Natural Gas Exchange.

La multinazionale francese, uno dei principali commercianti di GNL al mondo, ha confermato alla Reuters che il commercio riguardava GNL importato dagli Emirati Arabi Uniti, ma ha rifiutato di commentare ulteriormente l’accordo.

Da anni la Cina sta cercando di concludere un maggior numero di accordi commerciali in yuan per aumentare la rilevanza del petroyuan (o del GNL-yuan, a seconda dei casi) sui mercati globali e sfidare il dominio del dollaro statunitense nel commercio internazionale, compreso quello energetico. Durante una visita storica a Riyadh a dicembre, il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato che la Cina e le nazioni arabe del Golfo dovrebbero utilizzare la Shanghai Petroleum and National Gas Exchange come piattaforma per effettuare il regolamento in yuan degli scambi di petrolio e gas.

La Cina continuerà a importare grandi quantità di greggio dai Paesi del CCG, espanderà le importazioni di gas naturale liquefatto, rafforzerà la cooperazione nello sviluppo a monte di petrolio e gas, nei servizi di ingegneria, nello stoccaggio, nel trasporto e nella raffinazione, e utilizzerà appieno la Borsa del petrolio e del gas di Shanghai come piattaforma per effettuare il regolamento in yuan degli scambi di petrolio e gas“, ha dichiarato Xi a dicembre, come riportato da Reuters.

Tuttavia, Pechino ha ancora molta strada da fare prima di detronizzare il biglietto verde come riserva globale: sebbene la valuta cinese abbia fatto breccia nel commercio mondiale, lo yuan rappresenta solo il 2,7% del mercato, rispetto al 41% del dollaro statunitense.

D’altra parte la valuta cinese ha molto slancio: nell’ultimo anno, la Russia si è rivolta al commercio in yuan sulla scia delle sanzioni occidentali sulle sue esportazioni, importazioni e commercio di energia, in quanto la valuta cinese è diventata l’unica alternativa di Putin per ridurre l’esposizione al dollaro statunitense e all’euro. Nello stesso tempo il fatto che la Francia accetti di pagare in Yuan è un segno che anche l’Europa si piega ai desideri di Pechino, pur di avere il gas naturale. 

5533.- Aifa, Governo, Media: silenzio complice sui danni dei vaccini

Pagheranno? Non pagheranno? E qui è il vulnus dell’Ordinamento Giuridico che si aggiunge al dolore.

  • Da La Nuova Bussola Quotidiana del 31-03-2023. Di Andrea Zambrano

Il terzo scoop di Fuori dal Coro prova che Aifa ha taciuto la verità sugli effetti avversi pur sapendo dell’eccesso di morti cardiovascolari e dei rischi nell’inoculare i guariti per non «uccidere il vaccino». Ma il silenzio di oggi di agenzia del farmaco, Governo, Parlamento, Media e Procure, che pure avrebbero gli strumenti per indagare, rischia di diventare sfacciata complicità. 
– LO STATO (BIO)ETICO NEL PIANO VACCINI, di Paolo Gulisano

C’è un aumento di morti da reazioni avverse di natura cardiovascolare con AstraZeneca? Niente paura: bisogna stare zitti perché «così si uccide il vaccino». Diceva così non più tardi del 18 marzo 2021 il direttore di Aifa Nicola Magrini di fronte alle prime segnalazioni che arrivavano dalle regioni e dai funzionari dell’ente di regolamentazione del farmaco. E ancor prima, il 15 gennaio ’21 l’ente del farmaco sapeva già delle criticità a cui si esponevano i guariti che venivano sottoposti alla vaccinazione. 

Se tre indizi fanno una prova, non solo per Agata Christie, ma anche per la giustizia, siamo di fronte a qualcosa di molto grave: una sistematica opera di insabbiamento e censura di indispensabili informazioni di natura sanitaria nascoste alla popolazione per ragioni esclusivamente politiche.

Con il terzo scoop di martedì, Fuori da Coro ha squarciato il velo ipocrita del tempio pandemista. Aifa sapeva dell’aumento delle reazioni avverse, sapeva di una farmacovigilanza che, anche se insufficiente, era già in grado di delineare un quadro preoccupante sulle condizioni di salute di tanti pazienti non a rischio alle prese con miocarditi e pericarditi, danni neurologici, trombosi, trombocitopenie, danni al sistema nervoso e con tante altre patologie da vaccino sperimentale che in questi anni abbiamo imparato a conoscere e che sono tuttora presenti. 

Lo prova il fatto che il Comitato Ascoltami ha attualmente 4000 iscritti attivi, che stanno male e non sono curati.

Ma il silenzio sconcertante deciso da Aifa ieri, è niente di fronte al mutismo assordante che si avverte oggi e che chiama in causa molti attori protagonisti sulla scena della salute nazionale e della gestione e comunicazione della pandemia da Covid 19.

A cominciare dai media. 

Tecnicamente, quello che ha fatto la trasmissione di Mario Giordano, nei servizi di Marianna Canè, si chiama scoop. Che, da relativa voce della Treccani, viene definito così: “Colpo giornalistico, cioè notizia sensazionale che un giornalista riesce ad avere e un giornale a pubblicare in esclusiva precedendo la concorrenza”. Se la prima parte della definizione è innegabile, non si può dire altrettanto della seconda parte perché la concorrenza non sembra essersela presa particolarmente di essere stata preceduta da Fuori dal Coro nel dare una notizia che le cronache non vogliono – o non possono? – raccogliere.

Nessuno dei grandi media nazionali ha cavalcato le evidenze mostrate da Giordano cercando di inserirsi nella notizia – come si dice in gergo – andando così a dar man forte nella richiesta di verità. Insomma: un’ansia da buco stavolta non si avverte proprio e questo fa sospettare che a pesare non siano la mancanza di argomenti o il provincialismo di chi snobba una notizia che non si è riusciti a dare, ma piuttosto la volontà di non disturbare il manovratore. Anni passati a spacciare per oro colato le verità dogmatiche di Speranza e Brusaferro, le apodittiche affermazioni di virostar vendute alla causa, anni di conferenze stampa trascorse in ginocchio ad ascoltare le bugie che “i vaccini sono sicuri” hanno portato i media a non accorgersi delle notizie vere.

Chi deve spiegare, anzitutto, è Aifa. Il principale “indiziato” è il direttore di allora Nicola Magrini (in foto), che con grande sprezzo di una supposta onnipotenza sembra aver mostrato – stando ai documenti rivelati da Fuori dal Coro– una capacità impressionante di poter decidere autonomamente di tacere dati che il suo ruolo di direttore gli imponeva invece di analizzare, rendere noti, problematizzare, spiegare. Oggi Magrini non è più alla guida di Aifa, il timone è passato ad Anna Rosa Marra, ma non per questo l’ente governativo del farmaco è esente da spiegazioni. Siede ancora al suo posto il presidente Giorgio Palù, che si è insediato nel dicembre 2020 e ha condiviso così tutti gli step della campagna vaccinale di massa.

Aifa, però, dipende dal Governo e opera sotto la direzione del Ministero della Salute. Quindi a dover rispondere del suo operato devono essere anche i ministri della Salute. A cominciare da Roberto Speranza, che era in carica quando le mail sugli effetti avversi sono state inviate, ma anche il ministro attuale Orazio Schillaci, il quale ha il dovere di esercitare la sua prerogativa di controllo. 

Magari avviando un’indagine interna, o mandando dei commissari per scartabellare negli scaffali. Chissà che non emerga più di quanto Giordano e i suoi giornalisti stanno scoprendo.

Purtroppo, però, da parte del governo non si è levato neanche un bau dopo le rivelazioni. Nessun commento, nessun tweet, nessuna manifestazione di interesse. Come se non fosse uscito niente. È vero che Lega e Forza Italia hanno partecipato al governo pandemista condividendo tutte le sciagurate scelte di imposizione forzata della vaccinazione senza preoccuparsi della sicurezza di vaccini sperimentali, ma è altresì vero che Fratelli d’Italia, che del Governo è l’azionista di maggioranza, ha vinto le elezioni anche promettendo trasparenza e verità sulla gestione pandemica, a cominciare dall’istituzione di una commissione d’inchiesta sul covid che scandagliasse anche quello che non ha funzionato della campagna vaccinale.

Lo scoop Mediaset ha dato al Governo di Giorgia Meloni un assist formidabileper giustificare un’indagine a 360°. Ma è non pervenuto. Così come non pervenuti sono tutti i deputati e senatori critici sulla vaccinazione di massa che, sfruttando il loro ruolo ispettivo parlamentare, potrebbero accedere ad atti relativi alla comunicazione istituzionale tra Aifa e il Governo di allora sugli effetti avversi taciuti. Non si registrano iniziative al momento in questo senso. Così come non si registrano iniziative per andare incontro ai danneggiati da vaccino che da tempo, attraverso una petizione, chiedono all’esecutivo misure urgenti come la creazione di un codice esentivo e un ambulatorio dedicato alle reazioni avverse in ogni Asl. Basterebbe poco da parte del premier per dimostrare di avere a cuore i feriti rimasti sul campo della campagna vaccinale.

E fino qui, siamo sul livello politico. 

C’è infine un livello giudiziario, che partendo dalle rivelazioni di Fuori dal Corodovrebbe essere avviato. Per molto meno, quando ci sono state rivelazioni giornalistiche imbarazzanti per un partito o un governo, ci sono state Procure zelanti nell’informare i cronisti di giudiziaria di aver aperto indagini. Quando ci fu l’incidente sulla presunta trattativa tra Cospito e la mafia sul 41bis, il sottosegretario Delmastro è stato inserito subito nel registro degli indagati e massacrato per le sue rivelazioni. Invece a tre settimane dall’inizio dell’inchiesta, non si hanno notizie di Procure al lavoro su eventuali reati.  

Media, Aifa, Governo, Parlamento e Procure. Tutti tacciono. Per paura o per convenienza? Eppure, le rivelazioni fanno urlare i danneggiati che ora hanno una pista concreta per dimostrare di essere stati presi in giro e abbandonati dallo Stato. Ma è un silenzio che tradisce una complicità con la gestione precedente che si sperava archiviata. Così l’urlo rimane strozzato in gola e si infrange contro il muro di gomma dell’indifferenza istituzionale. Davvero, parafrasando il claim della coraggiosa trasmissione Mediaset, chi non urla è complice.

5532.- ESPLOSIVA ANALISI SUI VACCINI: Decine di milioni di Disabili o Danneggiati. 147 Miliardi di Dollari di Danni Economici – Gospa News International

  • Estratto dalla Redazione di Gospa News, 31 Marzo 2023, COVID-19 & Vaccini Killer.
ESPLOSIVA ANALISI SUI VACCINI: Decine di milioni di Disabili o Danneggiati. 147 Miliardi di Dollari di Danni Economici – Gospa News International

Rapporto di Phinance Technologies: 300mila Morti Causati dai Vaccini Covid solo nel 2022 

Un nuovo rapporto stima che 26,6 milioni di persone siano rimaste ferite, 1,36 milioni disabili e 300.000 morti in eccesso possano essere attribuite ai danni del vaccino COVID-19 solo nel 2022, che sono costati all’economia quasi 150 miliardi di dollari.

La società di ricerca Phinance Technologies, fondata e gestita dall’ex portfolio manager di Blackrock Ed Dowd, Yuri Nunes (PhD Physics, MSc Mathematics) e Carlos Alegria (PhD Physics, Finance), ha suddiviso l’impatto dei vaccini in quattro grandi categorie per stimare i costi umani associato al vaccino Covid-19; nessun effetto o asintomatico, coloro che hanno subito lesioni (esito da lieve a moderato), coloro che sono diventati disabili (esito grave) e morte (esito estremo).

I dati sulle disabilità e sugli infortuni da vaccino provengono direttamente dal Bureau of Labor Statistics (BLS), mentre i dati sui decessi in eccesso derivano dai dati ufficiali sui decessi negli Stati Uniti tramite due metodi diversi.

È importante notare che le persone in una categoria (infortunati, ad esempio) possono passare a categorie di gravità successive, che questa analisi non prende in considerazione.

Nel Regno Unito 4.017 Richieste di Risarcimento allo Stato per Danni da Vaccini

Decine di pazienti e famiglie le cui vite sono state danneggiate dalle gravi reazioni al vaccino Covid Oxford/AstraZeneca hanno avviato un’azione legale contro l’azienda farmaceutica in Inghilterra.

81 pazienti sono morti e 364 hanno subito gravi reazioni, alcune delle quali hanno provocato lesioni catastrofiche a causa di coaguli di sangue causati dal vaccino. Ora nel Regno Unito è in corso un’azione legale contro AstraZeneca da parte delle famiglie di 19 persone morte dopo essere state vaccinate e di 54 pazienti che hanno subito gravi reazioni ma sono sopravvissuti.

Ictus, paralisi e coaguli di sangue ripetuti sono tra i sintomi di coloro che hanno subito reazioni rare [sic] ma gravi al vaccino. Molti sono passati dall’essere in forma e sani a faticare a camminare e parlare, con poche speranze di migliorare…

Ai 54 membri del gruppo di class action sopravvissuti alla reazione è stata diagnosticata la trombocitopenia trombotica immunitaria indotta da vaccino (VITT), una condizione rara che è stata identificata dopo la vaccinazione COVID-19.

https://www.gospanews.net/2023/02/16/da-2-anni-attendo-giustizia-per-mia-moglie-uccisa-dal-vaccino-astrazeneca-il-dramma-del-marito-di-zelia-guzzo-morta-per-trombosi-a-37-anni/embed/#?secret=DsePTBcqhd#?secret=7KhSD0zDtN

Gli avvocati che rappresentano il gruppo, che stanno perseguendo un risarcimento per lesioni personali oltre a una richiesta di risarcimento del danno da vaccino, sostengono che il vaccino AstraZeneca non era “così sicuro come il pubblico aveva il diritto di aspettarsi” e che il caso non riguarda la ricerca di difetti “ma sulla ragionevole aspettativa di sicurezza”. Affermano che alle persone è stata fornita un’immagine falsa della sicurezza e dell’efficacia e si aspettano che il numero di coloro che si uniscono alla causa aumenti.

La trombocitopenia trombotica immunitaria indotta da vaccino colpisce circa uno su 50.000 destinatari del vaccino AstraZeneca sotto i 50 anni e uno su 100.000 tra quelli di età pari o superiore a 50 anni in Inghilterra, secondo il NHS, che afferma che l’effetto dei coaguli di sangue può essere devastante.

Il Vaccine Damage Payments Scheme (VDPS) del Regno Unito ha ricevuto 4.017 domande di risarcimento di cui 1.013, al 6 marzo, sono state risolte. Di questi, 622 relativi al vaccino AstraZeneca, 348 al vaccino Pfizer e 43 al vaccino Moderna, secondo una richiesta di libertà di informazione pubblicata questa settimana dalla NHS Business Authority. Tutti i reclami riguardano l’invalidità.


Sars-Cov-2 da Laboratorio: l’ex direttore CDC accusa Fauci

Il dottor Robert Redfield, ex direttore dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC), mercoledì ha dichiarato di non avere “dubbi” che il National Institutes of Health (NIH) e il dottor Anthony Fauci abbiano finanziato la ricerca sul guadagno di funzione che probabilmente ha portato alla creazione di COVID-19 e alla sua successiva “perdita da laboratorio”.

Redfield ha rilasciato la dichiarazione durante la prima udienza formale del sottocomitato ristretto sulla pandemia di coronavirus.

L’udienza includeva testimonianze relative alla teoria delle perdite di laboratorio come spiegazione plausibile dell’origine del COVID-19 e di come la teoria fosse stata chiusa all’inizio della pandemia a favore di narrazioni secondo cui il COVID-19 aveva origini zoogeniche o naturali.

I membri del comitato e i testimoni hanno anche discusso del futuro della ricerca sul guadagno di funzione.

5531.- “Decine di ufficiali NATO” uccisi da un ipersonico?

Putin, in un discorso del 2018 annunciava con orgoglio: “Ho il piacere di informarvi che, dopo certi esperimenti, siamo sicuri che presto le forze strategiche missilistiche della Russia avranno un nuovo sistema capace di distruggere bersagli intercontinentali con velocità ipersonica e alta precisione, capaci di manovrare in quota e direzione. Non ci sono cose simili al mondo”.

Il collaudo del missile ipersonico Zircon era avvenuto mercoledì 6 ottobre 2020: un augurio per il 68° compleanno di Putin, nato il 7. Lo Zircon, lanciato nelle acque sub-artiche del Mar Bianco, da uno dei pozzi verticali della fregata Admiral Gorshkov, ha per la prima volta colpito con precisione in navigazione. Il bersaglio nel Mare di Barents poteva essere una portaerei. Lo Zircon è uno dei tre ipersonici sviluppati dalla Russia. Gli altri due, il missile Khinzal lanciabile da velivoli da caccia e la testata-aliante Avangard, alloggiata dentro missili intercontinentali ICBM, sono entrambi operativi. Manovrando alla velocità di Mach 6, Mach 8 (circa 6.000Km/h), i russi possono penetrare ogni sistema difensivo. Ricordiamo che il 24 febbraio 2019 la televisione russa di Stato Rossiya 1, ufficialmente di sua iniziativa, ipotizzò una possibile “lista di bersagli programmati per i nuovi Zircon”, che comprenderebbero “i principali centri decisionali di una guerra contro la Russia”. La distruzione del bunker della NATO in Ucraina, se confermata, rappresenterebbe il primo esempio e l’ultimo avvertimento dei russi. L’abbandono del trattato Start sulle armi strategiche da parte russa, annunciato da Putin il 23 febbraio, assume ben altro significato. Rispetto ai cinesi e agli americani, i russi sono attualmente allo stadio più avanzato nello sviluppo di questi vettori ad altissima velocità, mentre gli Stati Uniti sembrano essere i più lontani dal raggiungimento di un livello operativo per questi ordigni, nonostante anch’essi abbiano sperimentato vari prototipi. Come vi mostrano le immagini, questi missili si servono di un booster per attivare lo statoreattore che, privo di turbine, ha bisogno di un flusso d’aria già supersonico per poter raggiungere la fantastica velocità. 

Mario Donnini

Lo Zircon in volo. Si nota la presa d’aria dello statoreattore

 Maurizio Blondet  26 Marzo 2023 

Notizia non  verificabile.  Scrive Bruno Bertez: “Secondo Pronews [sito per me non identificabile] , “dozzine di ufficiali della NATO” sarebbero  stati uccisi in un “attacco terrificante” da un missile Mach 12.  Sarebbe  stato eliminato così   lo “stato maggiore -ombra” della NATO in Ucraina.

Il bunker sotterraneo segreto, costruito a una profondità di 400 piedi (120 metri), ospitava diversi ufficiali e consiglieri della NATO (in pensione). In totale, più di 300 persone.

Ad oggi, secondo il portale, dalle macerie della sede sotterranea sono state estratte 40 persone, ma la maggior parte di coloro che sono morti sotto le macerie non è stata ancora ritrovata…

Le dichiarazioni dei funzionari ucraini non dicono nulla sull’attacco al bunker della NATO e sulla morte dei militari occidentali. Tuttavia, nell’opinione pubblica ucraina circolano informazioni secondo cui il 9 marzo una delegazione dello stato maggiore dell’Ucraina ha visitato l’ambasciata americana a Kiev, come si presume, per trasferire gli elenchi degli americani morti durante lo sciopero.

“L’uso di missili ipersonici ha accresciuto l’ansia degli Stati Uniti e ha dimostrato che la Russia ha un’arma nucleare difficile da intercettare”, ha affermato il Washington Post. Gli Stati Uniti non sono ancora stati in grado di sviluppare i propri missili con caratteristiche simili, il che rende i paesi occidentali ancora più vulnerabili, hanno concluso gli autori dell’articolo.

“In effetti, l’attacco ha colpito i centri di controllo e pianificazione nei bunker, nonché le stazioni di difesa aerea/radar. Si registrano pesanti perdite di ufficiali, compresi gli americani. Sembra che lo Shadow Staff per procura della NATO ne avesse un bel po’”, scrivono gli autori di Military Materials, secondo Bruno BErtez, esperto militare francese.

Quasi immediatamente, i siti pubblici che pubblicavano queste informazioni sono stati bloccati.

Il fatto sarebbe avvenuto dunque il 9 marzo; e a questo gli Usa avrebbero risposto con la simulazione, il 12,  di un attacco nucleare su San Pietroburgo con i famosi due bombardieri strategici  fatti tornare indietro dai caccia di Mosca. Sarebbe  dovuto a ciò l’insolitamente  durissimo discorso di Putin su l’Occidente che “ha superato tutte le linee rosse, anche le più rosso-scure” e l’annunciato posizionamento di armi nucleari tattiche in Bielorussia, altrimenti incomprensibile.

Putin avverte sempre

Come indizio della realtà del fatto, va citato un articolo apparso il 23 su Zero Hedge,  dove il commentatore  Alex Krainer spiega

Perché  le armi ipersoniche cambiano tutto.  

 […] 

È stato nel 2018 che  Vladimir Putin  è salito sul palco per presentare le nuove armi ipersoniche della Russia. Il termine “ipersonico” si riferisce a missili che volano a velocità di 5 mach e superiori. A quel tempo, molti in occidente respinsero le affermazioni di Putin e pensarono che fosse un bluff. Ora sappiamo che non stava bluffando. La Russia è l’unico paese al mondo che dispone di missili ipersonici pronti per il dispiegamento – non uno ma tre tipi: Zircon, Kinzhal e Avanguardie.  […]

Queste armi sono radicali cambi di gioco nella guerra. Vale a dire, nella prima guerra mondiale, i carri armati erano la tecnologia militare rivoluzionaria; dalla seconda guerra mondiale, è stata l’aeronautica. I gruppi di attacco delle portaerei sono stati una forza irresistibile ovunque abbiano viaggiato, dominando i mari da allora. Ma i missili di precisione ipersonici hanno reso quella forza obsoleta dall’oggi al domani.

Il principale fronte militare nell’attuale conflitto globale   sono le batterie antibalistiche (ABM) che gli Stati Uniti hanno allestito sull’asse Polonia-Romania, e i russi sull’asse Polo Nord-Kaliningrad-Crimea-Siria. Si tratta di sistemi difensivi, concepiti per intercettare i missili nucleari in arrivo. Tuttavia, i sistemi ABM odierni sono efficaci solo contro i missili che volano a velocità fino a mach 3,5 (3,5 volte la velocità del suono).

Il Kinzhal trasforma i potenti gruppi d’attacco delle portaerei in  bersagli

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Il nuovo missile Kinzhal della Russia vola a velocità da mach 12 a mach 15 e nulla negli arsenali difensivi occidentali può fermare il suo attacco. Durante la guerra in Ucraina, la Russia ha dato una straordinaria dimostrazione del suo potere. Il primo attacco Kinzhal, sferrato un mese dopo l’inizio delle ostilità in Ucraina, è stato forse il più significativo: le forze russe hanno preso di mira un grande deposito di armi in Ucraina che era stato costruito per resistere a un attacco nucleare. Fu sepolto a 170 metri (oltre 500 piedi) sottoterra e protetto da diversi strati di cemento armato.

Il Kinzhal vola ad altitudini comprese tra 20 e 40 km, con una portata massima di 2.000 km. Quando  arriva sul bersaglio, si tuffa perpendicolarmente e accelera fino a 15 mach, raccogliendo un’enorme energia cinetica oltre al suo carico esplosivo. Quel primo attacco con un singolo missile Kinzhal ha distrutto il deposito sotterraneo di armi a prova di bomba atomica dell’Ucraina. Questo era un messaggio per l’occidente.

Mosca annuncia: possiamo affondare TUTTE le tue portaerei

Il Kinzhal è stato sviluppato con il preciso scopo di distruggere i gruppi di attacco delle portaerei. Se può distruggere un bunker costruito per resistere a un attacco nucleare, può tagliare una portaerei come un coltello caldo nel burro.

Né le potenze occidentali né la Cina sono minimamente in possesso di armi del genere. Il problema critico con le armi ipersoniche sono le temperature estreme raggiunte durante i voli ipersonici sulla superficie dei missili, che possono causare la rottura dei missili durante il volo. La Russia è l’unica nazione che ha sviluppato materiali speciali che consentono ai missili di resistere a questo stress, quindi il loro volo può essere controllato lungo tutta la sua traiettoria e lanciato con precisione millimetrica.

Un Kinzhal agganciato al pod di un intercettore supersonico MiG-31K adattato al ruolo aria-superficie. Il missile dovrebbe essere imbarcato anche dai bombardieri supersonici a lungo raggio Tu-160M2 dai Tu-22M3M, aumentandone così il raggio d’azione.

L’intelligence occidentale ha stimato che la Russia avesse in linea circa 50 Kinzhal all’inizio della guerra in Ucraina, e finora ne ha utilizzati solo 9. La scorsa settimana hanno sparato sei Kinzhal in una sola salva. Anche quello era un messaggio. Gli Stati Uniti hanno 11 gruppi d’attacco di portaerei. Di questi, meno della metà sarà  operativi  contemporaneamente (mentre altri sono in banchina per manutenzione o in preparazione). Sparare sei Kinzhal in una volta è un messaggio militare per dire “Abbiamo la capacità di affondare TUTTE le tue portaerei in una volta”.

È dubbio se la difesa aerea delle portaerei d’attacco statunitensi possa neutralizzare la minaccia dei missili DF-21, 3M22 Zircon e Kh-47M2 Kinzhal.

La Russia finirà le munizioni da un momento all’altro, (dicono gli esperti)…

La Russia ha la capacità di costruire circa 200 Kinzhal all’anno e ora ha i mezzi per consegnarli ovunque da aerei, navi e sottomarini. Oltre a distruggere le portaerei, possono distruggere anche i siti missilistici ABM della NATO. In poche parole, la Russia ha – per ora – vinto la corsa agli armamenti.

Le potenze occidentali potrebbero impiegare 10 anni o più per recuperare il ritardo e fino ad allora, l’unico modo per evitare di perdere la guerra è ammettere la sconfitta e accettare le richieste di sicurezza della Russia, o intensificare il conflitto fino allo scambio nucleare.

Una stima prudente suggerisce che almeno un miliardo di persone perirebbero in un tale conflitto e nessuno vincerebbe. Chi farebbe una cosa del genere? L’idea di utilizzare armi nucleari è, infatti, così ripugnante che possiamo essere certi che i nostri leader non sceglieranno mai la via dell’escalation. Sicuramente nessuno è così malvagio, vero?

Alex Krainer  –  @NakedHedgie  è il creatore di  I-System Trend Following  ed editore dei report giornalieri  di TrendCompass  . 

5530.- Perché i repubblicani americani sono pronti a scaricare l’Ucraina.

Make America Great Again! Brutte notizie per Zelensky. Biden vuole l’apocalisse nucleare e ha “regalato” la Russia alla Cina, il vero e unico nemico globale degli States. Il recente accordo di cooperazione tra Cina e Russia e il prossimo summit Cina – Asia Centrale, a Pechino, con i capi dei governi di Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan danno ragione ai repubblicani.

La guerra in Ucraina sostenuta e alimentata da Joe Biden convince sempre meno i repubblicani americani. Se l’ex vice presidente Mike Pence, ormai inviso dalla base del Grand Old Party, mantiene una linea bipartisan e filo Kiev lo speaker repubblicano della Camera Kevin McCarthy ha appena respinto al mittente l’invito di Volodomyr Zelensky a visitare l’Ucraina ribadendo che “il tempo degli assegni in bianco è terminato”. Una posizione pienamente condivisa dai deputati di Make America Great Again, la corrente trumpiana e isolazionista che condiziona sempre più gli equilibri del gruppo parlamentare.

Accanto ai deputati vi sono poi gli altri pezzi da Novanta del partito, tra tutti Ron DeSantis, il popolarissimo governatore della Florida e probabile (Donald Trump permettendo) prossimo candidato del Gop alla Casa Bianca. Per l’astro nascente dei repubblicani il conflitto si riduce ad “una disputa territoriale tra Russia ed Ucraina” e non tocca “i vitali interessi nazionali statunitensi”. Di conseguenza basta con l’invio massiccio di armi sofisticate come aerei F16, missili a lunga gittata e tanti denari a fondo perduto. Rispondendo a Tucker Carlson, il giornalista di punta della catena di Fox News (lui pure estremamente critico su Zelensky and friends…), DeSantis ha accusato Biden d’aver svuotato gli arsenali militari e “regalato” la Russia alla Cina, il vero e unico nemico globale degli States. “Non possiamo dare la priorità a una guerra straniera che non ci riguarda, il tutto a detrimento della nostra sicurezza”. Per il governatore, autonominatosi campione della lotta all’immigrazione clandestina, la vera emergenza, oltre a Pechino, resta la porosa frontiera messicana. Dunque invece di sprecare risorse per la periferica Ucraina serve un massiccio impegno al confine meridionale per fermare l’invasione dei “latinos”.

Affermazioni e toni che trovano concordi Kristi Noem, la potente governatrice del Dakota, per cui l’Ucraina si riduce a “un Paese di corrotti e affaristi” e la guerra è nulla più che “un affare interno dell’Europa”, e all’influente deputata Marjorie Taylor Green che sposa in pieno la narrazione putiniana ricordando tante le promesse mancate e mai rispettate fatte dalla Nato e da Washington a Mosca sui nuovi equilibri post guerra fredda.

Poi vi è, ovviamente Trump. Al netto dei suoi noti guai giudiziari “The Donald” mantiene salda la sua presa e il suo fascino sulla base repubblicana, per nulla entusiasta di questa ennesima “crociata della democrazia”, e non lesina affondi contro le politiche del disprezzato Biden, rinominato subitamente “l’uomo della terza guerra mondiale”. L’ex presidente continua a proporsi come possibile mediatore assicurando che lui solo sarebbe capace di imporre alla due parti una tregua d’armi in “meno di 24 ore”. A Sean Hannity, altro commentatore di Fox News, Trump ha così spiegato la sua idea: “Se fossi presidente avrei negoziato una soluzione politica, accordando al Cremlino la sovranità su una parte delle zone russofone dell’Ucraina. Ci saremmo messi d’accordo senza sparare un colpo. Ma Biden vuole l’apocalisse nucleare”.

Sullo sfondo ovviamente vi sono le turbolenze interne all’interno del Gop. DeSantis, ormai in corsa verso la nomination, si propone come l’erede di Trump, riprendendo le sue tesi di fondo ma distanziandosi pubblicamente dall’ingombrante e assai acciaccato Donald. L’obiettivo è ottenere – con l’appoggio dell’amico plurimiliardario Elon Musk, anch’egli molto critico sui fatti ucraini… – l’appoggio dei tanti delegati di Make American Great Again e chiudere la partita durante l’estate prossima. Insomma un parricidio perfetto. Resta da vedere e da capire cosa farà Trump. L’uomo è coriaceo e non sembra per nulla intenzionato a farsi pensionare anzitempo. Di certo, in caso di vittoria dei repubblicani alle prossime presidenziali, molte cose cambieranno in politica estera. Chiunque sia il prossimo inquilino della Casa Bianca.

Avvertite gli europei e gli ucraini.

Articolo di :Marco Valle-fonte e immagine da:insideover.com

5529.- Perché non è vero amore quello fra Cina e Russia. L’analisi di Sisci

Durante i lavori per l’accordo di cooperazione tra Cina e Russia, i due leader hanno rilasciata una dichiarazione congiunta sul loro impegno per supportate le repubbliche dell’Asia centrale nella difesa della loro sovranità. Viene dichiarata la volontà di non accettare tentativi di forze esterne di destabilizzare la regione. É una messa fuori causa dell’Occidente e, in particolare, di Turchia, Stati Uniti, Unione Europea e Nato. A seguire, Xi Jinping ha invitato a maggio, a Pechino i capi dei governi di Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan per il primo summit Cina – Asia Centrale.  Tra febbraio e marzo, il Segretario di Stato degli USA Antony Blinken aveva compiuto la sua prima visita proprio in Kazakistan e Uzbekistan, nel cuore della sfera d’influenza russa, professando la speciale attenzione che gli Stati Uniti prestano alla sovranità e all’integrità territoriale dei paesi della regione.

Alla luce di questa dichiarazione congiunta, si tratta di un impegno che il coordinamento strategico rispetto all’Asia Centrale della Federazione russa e della Repubblica Popolare finirà per annullare, vincolando le politiche e l’autonomia di quei governi regionali. Notiamo che il summit Cina – Asia Centrale si terrà a Pechino e non a Mosca e possiamo intravedere una staffetta tra Russia e Cina in Asia – Centrale, forse, in previsione di una vittoria della NATO in Ucraina o, comunque, di un indebolimento della Federazione russa. Non stupirebbe che il successo delle politiche di Biden in Ucraina si traducesse in una vittoria di Pirro. A questo punto, prima Cina e Stati Uniti tracceranno i confini delle rispettive sfere d’influenza, meglio sarà per l’umanità intera.

Mario Donnini

L’analisi di Sisci

  • Da Start Magazine, 25 Marzo 2023
Cina Russia

di Marco Orioles

Perché non è vero amore quello fra Cina e Russia. L’analisi di Sisci

Che cosa succede davvero fra Cina e Russia? Conversazione con Francesco Sisci, corrispondente per anni per diverse testate italiane da Pechino e adesso senior researcher presso la China People’s University

Mai fidarsi delle apparenze. Contrariamente a quanto si è visto nei giorni scorsi a Mosca, ossia lo scenografico abbraccio tra Putin e Xi Jinping, la Cina sta prendendo gradualmente le distanze dalla Russia, un partner ossessionato da un conflitto da cui non riesce a uscire.

È così che Francesco Sisci, corrispondente per anni per diverse testate italiane da Pechino e adesso senior researcher presso la China People’s University vede, in questa conversazione con Start Magazine, l’odierna relazione bilateraletra Russia e Cina, con quest’ultima che di fatto si sta già muovendo in quello che è ormai il dopoguerra prossimo venturo.

Professor Sisci, sotto gli occhi c’è un lancio di agenzia fresco di stampa: Xi Jinping ha invitato i leader del Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan a maggio per il primo summit Cina – Asia Centrale. Cosa succede? Pechino gioca nel cortile di casa di Mosca?

La Cina non vuole rimanere scoperta in un eventuale crollo della Russia come fu presa di sorpresa dal crollo dell’Unione Sovietica, quindi in qualche modo si prepara a quella eventualità, in una specie di assicurazione. E questo è anche un avvertimento alla Russia con cui la Cina le dice “più passa il tempo in cui tu sei coinvolta nella guerra in Ucraina e più è facile che, se non perdi a Ovest, tu perda zone d’influenza ad Est”.

Al di là dunque di quanto abbiamo visto sotto i riflettori durante la visita di Xi a Mosca, tra firma di accordi e rinnovo del partenariato strategico, lei ci sta dicendo un’altra cosa, ossia che Pechino è molto preoccupata dalle azioni della Russia.

Siamo in un frangente molto delicato e questo è dimostrato dalla tempistica. Perché Xi Jinping è andato proprio adesso a Mosca e non sei mesi fa o nove mesi fa? Evidentemente con questo piano di pace proposto dalla Cina ma accettato anche dalla Russia la Cina cerca di sfilarsi da un abbraccio alla guerra russa, e la Russia cerca di trovare un modo di uscire dalla guerra senza una umiliazione. Cioè mi sembra che entrambi riconoscano che la sconfitta russa sia fattuale. Per di più la Cina vuole mostrare alla sua gente e al mondo che il rapporto con la Russia non è una amicizia senza limiti, prendendo le distanze. Come segnalato anche dal vertice di maggio con i Paesi dell’Asia Centrale di cui abbiamo parlato prima, di fatto è cominciato il dopoguerra.

Molti osservatori hanno evidenziato come ormai la Russia sia diventata di fatto una colonia cinese e questo è dimostrato dalla crescente dipendenza economica di Mosca da Pechino. Lei la vede allo stesso modo?

No, secondo me è una semplificazione. La Russia oggi è certamente più dipendente dalla Cina di quanto non lo fosse un anno fa. Però io non credo che nel lungo termine la Russia possa accettare di dipendere così vistosamente dalla Cina. Né credo che la Cina voglia assumersi questo fardello, il problema è bilaterale. Noi vediamo che la Cina sta prendendo le distanze dalla Russia e allo stesso tempo quest’ultima non sta facendo due passi verso la prima. Credo che la Russia si stia guardando intorno e stia cercando anche altri interlocutori oltre la Cina. Quello che si vede è una situazione di grande movimento, in cui la Russia sta accusando il colpo e cerca di uscire dall’angolo in cui si è infilata. Il problema è la grande debolezza della Russia.

Eppure gli interessi di Russia e Cina convergono almeno da un punto di vista: quello della ridefinizione dell’ordine mondiale. Non a caso i due Paesi nei documenti americani vengono denominati “potenze revisioniste”.

Secondo me anche in questo caso dobbiamo evitare forzature perché offuscano più che chiarire, Se vogliamo proprio usare questa definizione americana di potenze revisioniste, va bene: Russia e Cina lo sono, ma lo sono in un modo diverso. Prima della guerra la Russia aveva un problema di influenza imperiale, neozarista, mentre la Cina ha problemi diversi e lo possiamo vedere da due indicatori, il cibo e l’energia. Nella sua espansione neozarista, la Russia può far valere la sua autonomia in entrambi i campi. La Cina è in una situazione molto diversa perché importa centinaia di milioni di tonnellate di granaglie, cibo e soia e importa dall’esterno la maggioranza del suo petrolio e del suo gas, e soprattutto esporta il suo enorme surplus commerciale verso Stati Uniti, Europa, Inghilterra e Giappone. Dunque questo revisionismo si manifesta necessariamente in modi diversi e questo è dimostrato anche dal fatto che in oltre un anno queste due potenze non sono riuscite a definire un nuovo accordo che le unisca, anzi abbiamo visto che si è creata una distanza. Quindi io sottolineerei le differenze tra i due Paesi.

Però non si può fare a meno di notare una convergenza molto concreta che si manifesta nell’intesa tra Mosca e Pechino per usare lo yuan come valuta di scambio per le reciproche transazioni, soprattutto in campo energetico. Funziona?

Dobbiamo vedere se funzionerà. Il ricorso allo yuan risolve certamente alcuni problemi di entrambi i Paesi, ma non tutti. Lo yuan serve senz’altro come moneta di scambio bilaterale. Ma se lo yuan non viene adottato, come non sarà adottato, dai Paesi che fanno il surplus commerciale cinese, Pechino potrebbe avere delle difficoltà. È un passo sicuramente interessante ma non credo che possa definirsi risolutivo e che Russia e Cina pensino che lo yuan digitale possa sostituire il rublo o il dollaro come monete forti. Tra l’altro noi vediamo un movimento in direzione opposta da parte della Russia, che è il tentativo di agganciare il rublo all’oro.

5528.- La Corte penale internazionale, il mandato di arresto per Vladimir Putin e la giustizia di parte che indebolisce le democrazie occidentali.

Almeno dal 2014 in Ucraina abbiamo avuto genocidi, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, che, di volta in volta, hanno visto coinvolti tutti gli attori. L’auspicata istituzione di un tribunale speciale per l’Ucraina, fra i pro e contro, dovrà riferirsi a tutti i crimini, non solo dei russi, ma di tutti, almeno a far tempo da quella data. Diversamente, ci pare che il tribunale speciale rappresenterebbe un passo indietro anziché un avanzamento nella traiettoria della giustizia penale internazionale. Ad avvalorare quanto sopra, l’Ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale, Cpi, aveva la situazione Ucraina sotto analisi preliminare dal 2014, ma ha aperto le indagini soltanto all’indomani dell’invasione del febbraio 2022. Condividendo la necessità di giudicare i crimini di questa e di tutte le guerre, la lettura di questo articolo fornisce un esempio di partigianeria illuminante di come non si possa chiamare giustizia quella che guarda a una sola parte, come la Corte penale internazionale.

4 marzo 2022. Crocifissione non verificata di un prigioniero russo da parte di soldati ucraini.

Osservatorio internazionale

La Corte penale internazionale spicca uno storico mandato di arresto per Vladimir Putin mentre si continua a discutere di un tribunale speciale per l’aggressione in Ucraina

In guerra sono tutti crudeli meno i vincitori. La propaganda, come la guerra, è fatta di immagini forti.

Da un video della propaganda ucraina, una donna in abiti tradizionali che sgozza con la falce un prigioniero russo. Nel video, la donna solleva il braccio e mostra all’osservatore l’oggetto che stringe in mano: una falce. Poi continua: “E ora stiamo falciando il nostro raccolto insanguinato”. Subito dopo, si interrompe di nuovo e sotto l’inquadratura, con la mano che impugna la falce, compie un gesto che non si vede ma che fa intuire quello che è appena accaduto. La conferma arriva nell’inquadratura successiva, quella più forte e che abbiamo dovuto coprire: si vede un uomo, colui che incarna un prigioniero russo, agonizzante, colpito al collo dallo strumento affilato. Su queste immagini, la donna continua auspicando la morte di tutti i soldati russi e quindi getta via il corpo del prigioniero russo, ormai morto e augura un “Benvenuti all’inferno!” all’invasore.

di Chantal Meloni 
professoressa associata di diritto penale/international criminal law nell’Università di Milano

È da poco ricorso un anno dall’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa e si continua a discutere molto di come assicurare alla giustizia i responsabili delle gravissime violazioni del diritto internazionale commesse dalle forze armate e dall’apparato di governo russo, incluso il Presidente Vladimir Putin. In particolare, è in corso un acceso dibattito su come perseguire il crimine di aggressione, mentre finora si è sentito meno parlare dei progressi compiuti nelle indagini a livello internazionale sugli altri tre crimini internazionali che vengono altresì in rilevo in questa situazione: genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Un decisivo passo avanti è stato tuttavia appena compiuto dalla Corte penale internazionale (Cpi), che il 17 marzo ha emesso due mandati di arresto nei confronti del Presidente Putin e di un’alta funzionaria di Stato russa, Maria Alekseyevna Lvova-Belova. In questo breve commento, partendo da quanto già esposto in passato sulle varie opzioni per accertare le responsabilità a livello sia interno sia internazionale (si veda qui e qui), ci si propone di fare il punto sullo stato della discussione e, in particolare,  sull’avanzamento delle proposte per l’istituzione di un tribunale speciale per l’Ucraina, e di valutarne pro e contro. In conclusione, ci pare che, per rappresentare un avanzamento e non un passo indietro nella traiettoria della giustizia penale internazionale, qualunque nuova soluzione non dovrà essere ad hoc e dovrà coordinarsi con la realtà già esistente, ed in particolare con la Corte penale internazionale.

1. Il mandato di arresto della Corte penale internazionale

Come abbiamo già esposto in altri sedi[1], l’Ufficio del Procuratore della Cpi – che già aveva la situazione Ucraina sotto analisi preliminare dal 2014 – ha prontamente aperto le indagini all’indomani dell’invasione del febbraio 2022. Da allora, e fino a venerdì scorso, a parte qualche dichiarazione ai media e press release a margine di visite del Procuratore in loco o di incontri tra autorità giudiziarie internazionali e nazionali, le autorità della Cpi hanno lavorato in silenzio. 

Tutto è cambiato venerdì 17 marzo, allorché la Cpi ha annunciato di aver emesso due mandati di arresto per il Presidente russo Vladimir Putin e per il suo Commissario per i diritti dei fanciulli, Maria Alekseyevna Lvova-Belova[2]. Con l’emissione di tali mandati, la Corte, ed in particolare i giudici della Camera preliminare II (presieduta dal giudice italiano Rosario Aitala), ha confermato di avere «ragionevoli motivi per ritenere» che Putin e Lvova-Belova siano penalmente responsabili dei crimini di guerra di deportazione illegale e trasferimento illegale di bambini dall’Ucraina occupata alla Russia, rispettivamente ai sensi degli articoli 8(2)(a)(vii) e 8(2)(b)(viii) dello Statuto della Cpi.

Con tale mandato la Corte dell’Aia ha fatto sentire la sua voce forte e chiara. E lo ha fatto puntando il più alto possibile: chiedendo l’arresto del Presidente in carica della Federazione russa. Ciò è stato possibile perché, ai sensi dell’art. 27 dello Statuto della Cpi, nessuna immunità (né funzionale, né personale) è riconosciuta davanti a tale Corte. Il significato di tale ordine di cattura è enorme tanto sul piano giuridico quanto su quello politico[3]. Dal punto di visto giuridico ora Putin non potrà viaggiare fuori dalla Russia senza rischiare concretamente di essere arrestato. Per i 123 Stati-parte della Cpi, tra cui ovviamente l’Italia, si tratta di un preciso obbligo, derivante direttamente dall’averne ratificato il trattato istitutivo, che include dettagliati obblighi di cooperazione degli Stati rispetto ai provvedimenti della Corte. Nulla vieta peraltro che anche gli altri Stati, che non fanno parte della Cpi, possano decidere di procedere con l’esecuzione di tale mandato. In particolare, alla luce del supporto di fatto prestato in questi mesi dagli Stati Uniti alle indagini in Ucraina della Corte, non è remoto ipotizzare che anche le autorità USA (che come noto non fanno parte della Cpi) si avvarrebbero di tale facoltà qualora ne avessero l’opportunità. Non si vuole con ciò negare che gli ostacoli ad un arresto di Putin siano enormi e che da un punto di vista politico la strada sia tutta in salita. Non si può escludere, ad esempio, che, come ai tempi avvenuto rispetto al mandato di arresto emesso nei confronti dell’allora Presidente sudanese Omar Al-Bashir, alcuni Stati (anche membri della Cpi) potrebbero rifiutarsi di eseguire il provvedimento in questione venendo meno ai propri obblighi di cooperazione. Rimandando tuttavia ad altra sede l’analisi di questo punto, ciò su cui si intende qui fermare l’attenzione è l’impatto che tale mossa della Corte dell’Aia ha e avrà sul dibattito in corso, relativo agli strumenti a disposizione per ‘fare giustizia’ rispetto ai gravissimi crimini commessi dalle forze armate russe in Ucraina e, in particolare, sulla possibile istituzione di un tribunale speciale per l’Ucraina.

2. Le ragioni per istituire un tribunale penale internazionale ad hoc

Si è in effetti molto discusso in questi mesi – e si continua a discutere – della possibile creazione di un tribunale speciale di diritto internazionale per giudicare il crimine di aggressione[4]. Già nell’immediatezza dei giorni seguenti l’invasione era stata avanzata l’idea della creazione di un Tribunale ad hoc per l’Ucraina[5]. Dalla suggestione di Philippe Sands in avanti[6], ci si richiama spesso impropriamente a Norimberga per evocare la necessità di un tribunale apposito per punire i responsabili dell’aggressione russa ai danni dell’Ucraina[7]. Impropriamente perché le due situazioni non sono affatto comparabili. Da un lato, il tribunale di Norimberga – e i successivi processi – sono stati istituiti sul territorio di uno Stato aggressore (la Germania) occupato dalle potenze vincitrici. Ciò ha dato la possibilità, dunque, di catturare i responsabili (tedeschi) dei crimini commessi, raccogliere le prove, inclusa l’audizione dei testimoni, e organizzare i processi in loco a guerra conclusa. Dall’altro, è evidente che nessuna di queste condizioni è al momento realizzata o anche lontanamente immaginabile, per lo meno finché il conflitto sarà in corso.

Ma, al di là dell’improprio richiamo a Norimberga, ciò che è degno di nota è la motivazione dei sostenitori di una tale iniziativa, ossia la necessità di colmare il gap di impunità rispetto a un crimine tanto importante, a fronte dell’impossibilità per la Cpi di giudicare questa aggressione. Il fatto è che, da Norimberga in poi, il crimine di aggressione è rimasto sempre impunito e non vi sono mai stati precedenti di imputazioni per aggressione di fronte a tribunali penali internazionali, sebbene non siano certo mancate situazioni astrattamente configurabili come aggressioni in questi otto decenni. E, quindi, proprio la situazione contingente avrebbe apparentemente risvegliato le coscienze degli Stati sul punto. 

In realtà già pochi giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il 2 marzo 2022, l’Assemblea Generale dell’Onu aveva adottato una risoluzione sulla «aggressione contro l’Ucraina[8]» e il potere del Consiglio di Sicurezza (CdS) dell’Onu di “attivare” la giurisdizione della Cpi sul crimine di aggressione veniva menzionato in un’altra risoluzione dell’Assemblea Generale del 2 novembre scorso. Lo stesso Procuratore della Cpi, Karim Khan, rivolgendosi all’Unione Europea lo scorso 15 dicembre, salutava e incoraggiava gli sforzi volti alla punizione del crimine di aggressione. Il Consiglio della UE sottolineava a sua volta come si tratti di una questione che è di preoccupazione per l’intera Comunità internazionale.

3. Il crimine di aggressione

Come è noto, il crimine di aggressione è uno dei quattro core crimes di diritto internazionale, accanto a genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, e criminalizza le violazioni di uno dei pilastri della Carta delle Nazioni Unite, il divieto dell’uso della forza. 

La sua storia è però diversa, e più complessa, rispetto agli altri tre crimini posti sotto la giurisdizione dei tribunali penali internazionali. Il suo diverso trattamento rispecchia del resto la particolare sensibilità politica rispetto a tale crimine. Come notano alcuni autorevoli studiosi, «è una ironia storica che Francia, Gran Bretagna e gli Stati Uniti, proprio le tre potenze occidentali che hanno contribuito decisamente alla criminalizzazione dell’aggressione, hanno finito per diventare scettici rispetto alla persecuzione internazionale di tale crimine[9]». 

È evidente che una delle ragioni della riluttanza che le grandi potenze occidentali hanno sempre mostrato a rendere penalmente perseguibile l’aggressione sta proprio nella consapevolezza che alcuni episodi di ricorso alla forza del passato, che hanno visto coinvolti anche i paesi appena citati, si pongano se non in chiara violazione, per lo meno nella zona grigia che circonda il divieto di uso della forza in diritto internazionale.

Alla Conferenza di Roma nel 1998, che ha portato alla istituzione della Corte penale internazionale, gli Stati non riuscirono a trovare un accordo ed il crimine di aggressione fu inserito tra i crimini su cui la Corte può avere giurisdizione solo all’ultimo, senza che ne venisse tuttavia fornita la necessaria definizione. Fu solo in occasione della prima conferenza di revisione dello Statuto della Cpi, a Kampala nel 2010, che finalmente gli Stati-parte della Corte raggiunsero un compromesso riuscendo ad inserire la definizione del crimine in questione all’art. 8bis dello Statuto[10].

Pertanto, ai fini dello Statuto «crimine di aggressione significa la pianificazione, preparazione, inizio o esecuzione di un atto di aggressione, da parte di una persona che sia in una posizione tale de esercitare il controllo su o dirigere l’azione politica o militare di uno Stato, che per carattere, gravità e dimensioni sia tale da costituire una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite» (art. 8bis par. 1); ove per «atto di aggressione» deve intendersi: «l’uso della forza armata da parte di uno Stato diretto contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato o in qualunque altro modo incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite» (art 8bis par. 2). La norma continua enumerando una serie di atti che qualificano come aggressione, indipendentemente dall’esistenza di una dichiarazione di guerra, in linea con la risoluzione della Assemblea Generale n. 3314 del 1974.

Tale emendamento allo Statuto, ratificato per ora solo da 44 Stati-parte, tra cui l’Italia, è entrato in vigore il 17 luglio 2018. Tuttavia, non solo gli elementi di tale fattispecie sono stati definiti in modo restrittivo, ma anche il regime giurisdizionale del crimine di aggressione è decisamente più limitato rispetto a quello previsto per gli altri tre crimini di competenza della Corte[11]

In assenza di un rinvio (referral) del CdS dell’Onu – che sarebbe stata l’opzione preferita dai suoi membri permanenti, tra cui gli Stati-parte della Cpi Francia e Gran Bretagna, che però non riuscirono a imporsi a Kampala – lo Statuto richiede che sia lo Stato aggressore sia l’aggredito siano Stati-parte dello Statuto di Roma (art. 15bis par. 5) affinché la Cpi possa esercitare la sua giurisdizione su eventuali crimini di aggressione. Questa linea, fortemente voluta anche da paesi osservatori come gli Stati Uniti, si impose sulla alternativa invocata dalla maggioranza degli State-parte, che avrebbero preferito mantenere lo stesso regime giurisdizionale applicabile agli altri crimini di competenza della Corte e consentire il perseguimento degli atti di aggressione commessi contro uno Stato-parte (a prescindere dalla nazionalità degli aggressori).

Quindi, pur avendo in teoria dal 2018 giurisdizione sul crimine di aggressione, come definito all’art. 8bis dello Statuto, in pratica è molto arduo che la Cpi possa effettivamente perseguirlo. Ed è questa situazione, fortemente voluta ai tempi da quei paesi occidentali – membri permanenti del CdS -, che impedisce al Procuratore della Cpi di esercitare la giurisdizione sui presunti responsabili dell’aggressione russa dell’Ucraina.

Sebbene, come vedremo, sia tecnicamente possibile immaginare una modifica dello Statuto di Roma, realisticamente il percorso non è affatto facile né veloce. Pesa, inoltre, la posizione degli Stati Uniti: mentre è nota la loro opposizione alla Cpi, della quale non sono membri e – come tali – si oppongono strenuamente ad una estensione della giurisdizione a cittadini di Stati-non parte, il governo statunitense appoggerebbe invece un tribunale ad hoc[12].

4. I possibili modelli 

Da mesi si stanno quindi prendendo in considerazione varie opzioni per incriminare i responsabili del crimine di aggressione prima facie commesso dai vertici russi in Ucraina.

Peraltro, anche l’Ucraina ha espresso in più sedi la volontà di procedere in tal senso nelle sedi domestiche (pur prevedendo il crimine di aggressione, la definizione data dalla legge ucraina non coincide con la definizione dello Statuto della Cpi). Occorre chiedersi tuttavia se, date le circostanze, l’Ucraina sia in grado di perseguire il crimine davanti ai suoi tribunali nazionali in modo indipendente e imparziale. Per sostenere il Paese a livello internazionale, si sta pensando anche a una possibile soluzione ibrida, una corte ucraino-internazionale composta da personale internazionale e ucraino. Tale soluzione potrebbe portare legittimità e legittimazione alle istanze, ma rimane un fatto che la leadership russa godrebbe dell’immunità davanti a un tribunale nazionale[13]. Per superare il nodo delle immunità la via maestra sarebbe quella dell’istituzione di un tribunale penale internazionale ad hoc, sul modello di quelli per la ex-Iugoslavia (1993) e per il Ruanda (1994), la cui istituzione è tuttavia impedita dalla paralisi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu[14]

Tra i vari modelli che si stanno immaginando per istituire un tribunale internazionale, scavalcando il CdS, la proposta del Consiglio d’Europa è certamente interessante. In una recente risoluzione (la n. 2482 del 2023)[15], si suggerisce di procedere con un accordo internazionale tra Onu e Ucraina, con il Segretario Generale che agisca a nome delle Nazioni Unite su richiesta della Assemblea Generale (AG). I paesi che supportano tale proposta sono Albania, Belgio, Estonia, Guatemala, Latvia, Lichtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Polonia, oltre all’Ucraina.

Non ci sono precedenti per tale tribunale. Non si tratterebbe di creare giurisdizione per il crimine di aggressione, al cui scopo la AG non avrebbe potere, ma piuttosto la prospettiva sarebbe quella di ritenere che l’Ucraina, in quanto stato territoriale ove il crimine è stato commesso, abbia la possibilità di conferire la giurisdizione ad un tribunale internazionale ai fini del procedimento. La AG non conferirebbe la giurisdizione al tribunale speciale, bensì si limiterebbe a fare “da tramite” per aiutare ad attivare l’esercizio internazionale di una giurisdizione penale già esistente. Tale soluzione, veicolata attraverso la AG, conferirebbe al tribunale speciale un carattere genuinamente universale e internazionale. Questo è un aspetto chiaramente fondamentale, non solo sul piano della legittimità di questo possibile tribunale speciale, ma anche ai fini della disciplina delle immunità personali (che sarebbero un ostacolo alla giurisdizione di fronte ad un tribunale interno e potrebbero, viceversa, essere irrilevanti davanti a una giurisdizione internazionale).  

Tale soluzione si porrebbe in qualche modo, nelle intenzioni dei proponenti, in un’ottica di complementarietà rispetto all’operato alla Cpi, in applicazione di un c.d. “two-track approach”.  Il tribunale speciale servirebbe, pertanto non solo a colmare un vuoto ad hoc, ma anche a preparare il terreno per un ampliamento della giurisdizione della Cpi in materia di aggressione, in ottica non solo punitiva ma anche preventiva.

Diverse incognite permangono, tuttavia, anzitutto sul possibile esito di un voto della Assemblea Generale, data la larga maggioranza richiesta (sebbene faccia ben sperare il fatto che la risoluzione del 23 febbraio 2023 abbia registrato gli stessi voti della risoluzione di condanna di un anno fa).

5. Le critiche all’istituzione di un tribunale ad hoc

Per quanto vadano registrati gli sforzi attualmente in corso per trovare una soluzione bilanciata, permangono tuttavia le critiche relative ad un’attivazione selettiva della giurisdizione sul crimine di aggressione, specie fino a quando gli altri Stati, tra cui importanti paesi occidentali, rimangono non disponibili ad accettare la giurisdizione della Cpi nello stesso modo in cui hanno accettato quella sugli altri tre crimini[16].

Abbiamo già avuto modo di notare come l’idea di istituire un tribunale ad hoc abbia da subito sollevato numerose critiche per ragioni sia di opportunità sia di utilità[17]. Si fa notare che il consistente budget richiesto per l’istituzione di un ulteriore tribunale potrebbe essere meglio impiegato per rafforzare meccanismi già esistenti, ed in primis la Corte penale internazionale che, pur non potendo incriminare tali fatti a titolo di aggressione, sta da tempo affrontando complesse indagini sulla situazione, concentrandosi sulle responsabilità a titolo di possibili crimini di guerra, crimini contro l’umanità o genocidio. 

Le perplessità poi aumentano se si considera come tali risorse economiche, necessarie per fare funzionare la macchina della giustizia penale internazionale, potrebbero essere distribuite a livello mondiale, e del fatto che, a fronte di molte gravi situazioni di commissione di crimini prive di alcun meccanismo di indagine, prospettarne più di una per la stessa situazione può apparire un’ennesima conferma della di tale sistema. 

Quanto ai dubbi sulla utilità o efficacia di una simile opzione, la critica si basa sul fatto che – salvo volere procedere in contumacia – tale tribunale potrebbe realisticamente funzionare solo una volta assicurato un cambio di regime ai vertici dello Stato russo (come in effetti è stato per tutti i Tribunali ad hoc del passato)[18]. A quel punto, tuttavia, alcuni degli ostacoli che rendono oggi non processabile l’aggressione davanti alla Corte penale internazionale potrebbero probabilmente essere rimossi, con la conseguenza che tutti i procedimenti potrebbero essere accentrati davanti alla Cpi o eventualmente anche davanti a corti interne (o ibride).

La critica maggiore rimane, a mio avviso, in punto di legittimità, in particolare nella prospettiva di quegli Stati (e non sono pochi) che da Norimberga ad oggi sono stati vittime di atti di aggressione da parte di Stati più potenti e non hanno avuto il privilegio di vedere l’aggressione riconosciuta come tale nelle sedi opportune, né hanno visto alcuna forma di condanna degli atti criminali subiti. 

Un tribunale speciale per l’aggressione in Ucraina passerebbe alla storia come l’ennesimo tribunale internazionale ad hoc (e, allo stesso modo, controllato ad hoc da alcuni Stati), anziché inserirsi come parte organica del progetto di giustizia penale universale creato ormai 25 anni fa attorno ad una corte penale internazionale permanente (la Cpi). 

6. Una soluzione di lunga visione: modificare lo Statuto della Cpi

Invece di un tribunale speciale una tantum, la via migliore per superare le obiezioni di legittimità sarebbe quella di trovare una maggioranza nell’Assemblea degli Stati Parte della Cpi per modificarne lo Statuto e dotare la Corte della giurisdizione necessaria per affrontare analoghe situazioni future. «Solo un passo del genere stabilizzerebbe l’ordine giuridico globale, invece di frammentarlo ulteriormente seguendo la volontà degli Stati più potenti[19]».

Come affermato anche dal Procuratore Karim Khan, una volta riconosciuta la presenza di un gap nell’architettura costruita attorno allo Statuto della Cpi, occorre cercare di colmarlo all’interno dello Statuto stesso[20]. In altre parole, conviene rafforzare una istituzione che è stata fortemente voluta e costruita dalla comunità internazionale, in modo che possa rispondere ai bisogni non solo di oggi ma anche di domani.

Ci sono tre opzioni attualmente al vaglio in tal senso:

1) La prima proposta, che è la più ambiziosa, comporta un emendamento sostanziale dello Statuto della Cpi, sulla linea, avanzata a Kampala in particolare dagli Stati africani e sud-americani, di allineare le condizioni per l’esercizio della giurisdizione della Corte sul crimine di aggressione al regime previsto per gli altri tre core crimes. Tale proposta è stata fatta propria dalla organizzazione Parliamentarians for Global Action, che nell’action plan di novembre scorso ha chiamato gli Stati-membri della Cpi a muovere in quella direzione[21].

2) La seconda proposta è più limitata e tende a permettere alla Corte di procedere con un’indagine su un presunto crimine di aggressione commesso da uno Stato-non parte dello Statuto (o che non abbia ratificato l’emendamento di Kampala), in presenza di una raccomandazione da parte della Assemblea Generale dell’Onu.

3) La terza opzione è di riconoscere un ruolo più sostanziale all’Assemblea Generale dell’Onu nell’ambito del sistema di indagine della Cpi, permettendo anche a questo organo, qualora il Consiglio di Sicurezza sia bloccato dal veto di un suo membro permanente, di riferire una situazione tramite “referral” all’Ufficio del Procuratore della Cpi, conferendo in tal modo giurisdizione alla Corte in assenza di altri criteri.

Tecnicamente le opzioni sono tutte fattibili e sarebbe abbastanza facile modificare lo Statuto della Cpi nel giro di qualche mese per eliminare gli ostacoli e far sì che l’Ufficio del Procuratore possa applicare retroattivamente la norma sull’aggressione già prevista nello Statuto. Ciò non violerebbe il disposto dell’art. 22(1) dello Statuto della Cpi, poiché il crimine di aggressione è stato definito da molti anni nel diritto internazionale e, come detto, è sotto la giurisdizione della Corte dal 2018. Non sarebbe, infatti, possibile negare che i contorni del crimine di aggressione siano ben noti in diritto internazionale e che la leadership russa fosse, dunque, in grado di sapere che stava commettendo un crimine di diritto internazionale. 

Tutto dipenderà, tuttavia, dalla volontà politica dei 123 Stati contraenti della Corte.


 
[1] C. Meloni, Il senso della giustizia penale internazionale di fronte alla guerra in Ucraina, in Questione Giustizia, 11 marzo 2022: https://www.questionegiustizia.it/articolo/il-senso-della-giustizia-penale-internazionale-di-fronte-alla-guerra-in-ucraina.

[2] ICC, Press Release, 17 marzo 2023: https://www.icc-cpi.int/news/situation-ukraine-icc-judges-issue-arrest-warrants-against-vladimir-vladimirovich-putin-and

[3] Per un primo commento, si veda Rebecca Hamilton, The ICC Goes Straight to the Top: Arrest Warrant Issued for Putin, in Just Security, 17 marzo 2023: https://www.justsecurity.org/85529/the-icc-goes-straight-to-the-top-arrest-warrant-issued-for-putin/  

[4] Per farsi un’idea, si veda il ricco e variegato simposio, composto da molti articoli di eminenti esperti, pubblicato su Just Security: https://www.justsecurity.org/tag/u-n-general-assembly-and-international-criminal-tribunal-for-aggression-against-ukraine/

[5] https://gordonandsarahbrown.com/wp-content/uploads/2022/03/Combined-Statement-and-Declaration.pdf

[6] Tra i promotori di tale iniziativa vi è Philippe Sands, professore di diritto e autore del bellissimo libro East West Street. On the origins of genocide and crimes against humanityambientato a Leopoli durante la Seconda guerra mondiale. Per una recensione in inglese: https://www.theguardian.com/books/2016/may/22/east-west-street-origin-genocide-crimes-against-humanity-philippe-sands-review. Il libro è anche tradotto in italiano da Guanda (2017).

[7] https://www.dailymail.co.uk/news/ukraine/article-10579137/PHILIPPE-SANDS-need-new-Nuremberg-trial-make-Putin-pay.html

[8] https://news.un.org/en/story/2022/03/1113152

[9] Kress, Hobe, Nussberger, The Ukraine war and the crime of aggression: how to fill the gaps in the international legal system, 23 January 2023, in Just Securityhttps://www.justsecurity.org/84783/the-ukraine-war-and-the-crime-of-aggression-how-to-fill-the-gaps-in-the-international-legal-system/

[10] Si veda sul punto la dettagliata ricostruzione fatta dalla professoressa Flavia Lattanzi, Quale tribunale per i crimini russi in Ucraina?, in Formiche, 20 febbraio 2023: https://formiche.net/2023/02/tribunale-specialei-crimini-russi-ucraina/

[11] Si veda ancora il paper di F. Lattanzi sul punto.

[12] Si vedano in tal senso anche le riflessioni di Larry Johnson su Just Securityhttps://www.justsecurity.org/80395/united-nations-response-options-to-russias-aggression-opportunities-and-rabbit-holes/

[13] J. Trahan, Why a hybrid Ukrainian tribunal on the crime of aggression is not the answer, in Just Securityhttps://www.justsecurity.org/85019/why-hybrid-ukrainian-tribunal-on-crime-of-aggression-is-not-the-answer/

[14] Si veda l’approfondito studio di O. Corten e V, Koutroulis, commissionato dal Parlamento Europeo pubblicato a dicembre 2022: https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/IDAN/2022/702574/EXPO_IDA(2022)702574_EN.pdf

[15]  https://pace.coe.int/en/files/31620/html; Si veda anche la risoluzione del Parlamento Europeo https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/RC-9-2023-0063_EN.html?link_id=1&can_id=52b4a40f516427dc15e6c3596603aae9&source=email-ukraine-european-parliament-votes-for-special-tribunal-for-russian-war-crimes&email_referrer=&email_subject=ukraine-european-parliament-votes-for-special-tribunal-for-russian-war-crimes

[16] Tra le prese di posizione critiche più recenti si veda Kai Ambos su Verfassungsblog, 6 gennaio 2023: https://verfassungsblog.de/a-ukraine-special-tribunal-with-legitimacy-problems/

[17] Si veda, con posizioni molto nette, Kevin J. Heller su Opinjo Iuris https://opiniojuris.org/2022/03/07/creating-a-special-tribunal-for-aggression-against-ukraine-is-a-bad-idea/

[18] Si veda Sergey Vasiliev su EJIL:Talk! https://www.ejiltalk.org/aggression-against-ukraine-avenues-for-accountability-for-core-crimes/

[19] In tal senso, A. Schueller, What can(‘t) International criminal justice deliver for Ukraine, in Verfassungsblog, 24 febbraio 2023: https://verfassungsblog.de/justice-ukraine/

[20] https://www.icc-cpi.int/news/21st-session-assembly-states-parties-opens-hague

[21] https://www.pgaction.org/news/proposal-to-amend-kampala-amendment-crime-of-aggression.html 

23/03/2023

5527.- A Mosca, Xi e Putin seppelliscono la Pax Americana

A Mosca e non a Washington, senza naturalmente, la partecipazione di quell’aborto della finanza e della politica americana che chiamiamo Unione europea, dei leader inglese, tedesco, francese, Xi e Putin tracciano il percorso che unirà la Nuova via della Seta all’Unione Economica dell’Eurasia e già controllano buona parte dell’Africa. Al potenziale di questa unione, le ambizioni degli Stati Uniti possono opporre le weapons e un’Europa depressa. Biden, finora, ha impedito il successo dell’Operazione russa in Ucraina, prolungherà nel tempo questa guerra, ma la NATO non vincerà. Fa bene il nostro governo a puntare sul Mediterraneo. Vi lascio allo scritto di Pepe Escobar, tradotto da Sabino Paciolla.

Dal blog La Nuova Bussola Quotidiana, traduzione di Sabino Paciolla|Marzo 24th, 2023

Questa settimana, a Mosca, i leader cinesi e russi hanno rivelato il loro impegno comune a ridisegnare l’ordine globale, un’impresa che “non si vedeva da 100 anni”.

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Pepe Escobar e pubblicato su The Cradle. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione. 

Vladimir Putin e Xi Jinping - 21 marzo 2023 - © Mikhail Tereshchenko/TASS

 

Quello che si è appena svolto a Mosca è niente meno che una nuova Yalta, che, per inciso, si trova in Crimea. Ma a differenza dell’epocale incontro del 1945 tra il Presidente degli Stati Uniti Franklin Roosevelt, il leader sovietico Joseph Stalin e il Primo Ministro britannico Winston Churchill nella Crimea controllata dall’URSS, questa è la prima volta in circa cinque secoli che nessun leader politico occidentale detta l’agenda globale.

Sono il presidente cinese Xi Jinping e il presidente russo Vladimir Putin a dirigere lo spettacolo multilaterale e multipolare. Gli eccezionalisti occidentali possono mettere in atto le loro routine da piagnoni quanto vogliono: nulla cambierà l’ottica spettacolare e la sostanza di fondo di questo ordine mondiale in via di sviluppo, soprattutto per il Sud globale.

Le intenzioni di Xi e Putin sono state spiegate in dettaglio prima del vertice, in due editoriali scritti dagli stessi presidenti. Come in un balletto russo altamente sincronizzato, la visione di Putin è stata esposta sul Quotidiano del Popolo in Cina, concentrandosi su una “partnership legata al futuro”, mentre quella di Xi è stata pubblicata sulla Gazzetta russa e sul sito web di RIA Novosti, concentrandosi su un nuovo capitolo di cooperazione e sviluppo comune.

Fin dall’inizio del vertice, i discorsi di Xi e Putin hanno spinto la folla della NATO in una frenesia isterica di rabbia e invidia: la portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha colto perfettamente lo stato d’animo quando ha osservato che l’Occidente stava “schiumando dalla bocca”.

La prima pagina della Gazzetta russa di lunedì era emblematica: Putin in visita a Mariupol, libera dai nazisti, che chiacchiera con i residenti, affiancato dall’articolo di Xi. Questa è stata, in poche parole, la risposta di Mosca alla trovata dell’MQ-9 Reaper di Washington e ai trucchi del tribunale canguro della Corte penale internazionale (CPI). “Schiumate dalla bocca” quanto volete; la NATO sta per essere umiliata completamente in Ucraina.

Durante il loro primo incontro “informale”, Xi e Putin hanno parlato per ben quattro ore e mezza. Alla fine, Putin ha accompagnato personalmente Xi alla sua limousine. Questa conversazione è stata un vero affare: tracciare i lineamenti del multipolarismo – che inizia con una soluzione per l’Ucraina.

Prevedibilmente, le fughe di notizie dagli sherpa sono state pochissime, ma ce n’è stata una abbastanza significativa sul loro “scambio approfondito” sull’Ucraina. Putin ha gentilmente sottolineato di rispettare la posizione della Cina – espressa nel piano di risoluzione del conflitto in 12 punti di Pechino, che è stato completamente respinto da Washington. Ma la posizione russa rimane ferrea: smilitarizzazione, neutralità dell’Ucraina e consolidamento dei nuovi fatti sul terreno.

Parallelamente, il Ministero degli Esteri russo ha escluso completamente un ruolo di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania nei futuri negoziati sull’Ucraina: non sono considerati mediatori neutrali.

Una trapunta multipolare

Il giorno successivo si è parlato di affari: dalla cooperazione energetica e “tecnico-militare” al miglioramento dell’efficacia dei corridoi commerciali ed economici che attraversano l’Eurasia.

La Russia è già al primo posto come fornitore di gas naturale alla Cina – superando Turkmenistan e Qatar – per la maggior parte attraverso il gasdotto Power of Siberia, lungo 3.000 km, che va dalla Siberia alla provincia nord-orientale cinese di Heilongjiang, lanciato nel dicembre 2019. I negoziati per l’oleodotto Power of Siberia II attraverso la Mongolia stanno avanzando rapidamente.

La cooperazione sino-russa nel settore dell’alta tecnologia salirà alle stelle: 79 progetti per oltre 165 miliardi di dollari. Dal gas naturale liquefatto (LNG) alla costruzione di aerei, macchine utensili, ricerca spaziale, agroindustria e corridoi economici potenziati.

Il presidente cinese ha dichiarato esplicitamente di voler collegare i progetti della Nuova Via della Seta all’Unione economica dell’Eurasia (UEEA). Questa interpolazione BRI-UEE è un’evoluzione naturale. La Cina ha già firmato un accordo di cooperazione economica con l’UEEA. Le idee del grande stratega macroeconomico russo Sergey Glazyev stanno finalmente dando i loro frutti.

E infine, ma non meno importante, ci sarà una nuova spinta verso i regolamenti reciproci nelle valute nazionali – e tra Asia e Africa, e America Latina. A tutti i fini pratici, Putin ha approvato il ruolo dello yuan cinese come nuova valuta commerciale di scelta, mentre procedono le complesse discussioni su una nuova valuta di riserva sostenuta dall’oro e/o dalle materie prime.

Questa offensiva economico-aziendale congiunta si collega all’offensiva diplomatica concertata tra Russia e Cina per il rifacimento di vaste aree dell’Asia occidentale e dell’Africa.

La diplomazia cinese funziona come la matrioska (le bambole russe impilate) in termini di trasmissione di messaggi sottili. È tutt’altro che casuale che il viaggio di Xi a Mosca coincida esattamente con il 20° anniversario dello “Shock and Awe” americano e dell’invasione, occupazione e distruzione illegale dell’Iraq.

Parallelamente, oltre 40 delegazioni africane sono arrivate a Mosca un giorno prima di Xi per partecipare alla conferenza parlamentare “Russia-Africa nel mondo multipolare”, in vista del secondo vertice Russia-Africa del prossimo luglio.

L’area che circonda la Duma sembrava proprio quella dei vecchi tempi del Movimento dei Non Allineati (NAM), quando la maggior parte dell’Africa manteneva strette relazioni antimperialiste con l’URSS.

Putin ha scelto proprio questo momento per cancellare oltre 20 miliardi di dollari di debito africano.

In Asia occidentale, Russia e Cina agiscono in totale sintonia. Asia occidentale. Il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran è stato avviato dalla Russia a Baghdad e in Oman: sono stati questi negoziati a portare alla firma dell’accordo a Pechino. Mosca sta anche coordinando le discussioni sul riavvicinamento Siria-Turchia. La diplomazia russa con l’Iran – ora sotto lo status di partenariato strategico – è tenuta su un binario separato.

Fonti diplomatiche confermano che l’intelligence cinese, attraverso le proprie indagini, è ora pienamente sicura della vasta popolarità di Putin in Russia e persino all’interno delle élite politiche del Paese. Ciò significa che le cospirazioni per il cambio di regime sono fuori discussione. Questo è stato fondamentale per la decisione di Xi e dello Zhongnanhai (il quartier generale centrale cinese per i funzionari del partito e dello Stato) di “scommettere” su Putin come partner fidato nei prossimi anni, considerando che potrebbe candidarsi e vincere le prossime elezioni presidenziali. La Cina punta sempre sulla continuità.

Il vertice Xi-Putin ha quindi definitivamente sancito che Cina-Russia sono partner strategici completi per il lungo periodo, impegnati a sviluppare una seria competizione geopolitica e geoeconomica con gli egemoni occidentali in declino.

Questo è il nuovo mondo nato a Mosca questa settimana. Putin lo ha definito in precedenza come una nuova politica anticoloniale. Ora si presenta come una trapunta multipolare. Non si può tornare indietro sulla demolizione dei resti della Pax Americana.

“Cambiamenti che non si sono verificati in 100 anni”.

In Prima dell’egemonia europea: Il sistema mondiale dal 1250 al 1350, Janet Abu-Lughod ha costruito una narrazione accuratamente costruita che mostra l’ordine multipolare prevalente quando l’Occidente “era in ritardo rispetto all’Oriente”. In seguito, l’Occidente “è andato avanti solo perché l’Oriente era temporaneamente in disordine”.

Forse stiamo assistendo a un cambiamento storico simile, attraversato da una rinascita del confucianesimo (rispetto per l’autorità, enfasi sull’armonia sociale), dall’equilibrio insito nel Tao e dal potere spirituale dell’ortodossia orientale. Si tratta di una vera e propria lotta di civiltà.

Mosca, che finalmente accoglie i primi giorni di sole della primavera, ha fornito questa settimana un’illustrazione più che reale delle “settimane in cui accadono decenni” rispetto ai “decenni in cui non accade nulla”.

I due presidenti si sono salutati in modo toccante.

Xi: “Ora ci sono cambiamenti che non avvengono da 100 anni. Quando siamo insieme, guidiamo questi cambiamenti”.

Putin: “Sono d’accordo”.

Xi: “Abbi cura di te, caro amico”.

Putin: “Buon viaggio”.

Ecco l’alba di un nuovo giorno, dalle terre del Sol Levante alle steppe eurasiatiche.

Pepe Escobar

5526.- La Costituzione è morta. Viva la Costituzione!

 Maurizio Blondet  24 Marzo 2023 

La contro-rivoluzione liberista degli ultimi 40 anni ci ha regalato l’aumento esponenziale della povertà assoluta (passata da neanche 2 milioni di italiani a 6), una quindicina di milioni di italiani tra disoccupati e inattivi, circa 6 milioni di italiani scappati all’estero in cerca di migliori condizioni di vita e di lavoro (di cui quasi 2 milioni di giovani laureati).

E ancora la cessione progressiva della nostra sovranità, cioè del nostro sacrosanto diritto all’autodeterminazione, la svendita dell’industria pubblica, una delle migliori al mondo, quella che ci regalò il miracolo economico italiano. Privatizzazioni e liberalizzazioni su larga scala di monopoli naturali e settori strategici. Con conseguente aumento dei costi per i cittadini, peggioramento dei servizi e, ovviamente, aumento dei dividendi per gli azionisti.

E poi 40 anni di salari stagnanti, anzi addirittura di crescita negativa dei salari (che poi vuol dire di taglio degli stipendi), una costante e progressiva moria dei negozi di vicinato (circa 200.000 solo negli ultimi 10 anni), una spaventosa erosione fiscale legalizzata (l’elusione delle grandi compagnie sovranazionali che sostituiscono 5 posti di lavoro stabili con 1 da precario e vanno a pagare le tasse nei paradisi fiscali).

Infine l’introduzione di un lasciapassare governativo per accedere a diritti fondamentali come il lavoro o la partecipazione alla vita sociale del Paese, l’ingresso in guerra per volere di Inghilterra e Usa contro uno dei nostri maggiori partner commerciali.

Tutte queste cose, ognuna di esse, rappresentano l’antitesi di quanto previsto dai diritti sanciti dalla Costituzione.

La verità, la triste verità, è cha la Costituzione è stata di fatto abrogata da almeno 40 anni.

Distrutta, calpestata, violata pezzo per pezzo, anno per anno.

Da una classe politica di pavidi servi, di venduti e di cialtroni. Centrosinistra, centrodestra e 5stelle.

E nel colpevole silenzio, quindi con la complicità, di una larga fetta della popolazione.

Che ha evidentemente dato per definitivamente acquisiti i diritti sociali. Diritti che invece si finisce per perdere se non si è disposti a lottare per mantenerli.

Ci stanno togliendo tutto. Tutti i nostri diritti. Uno a uno.

È questa l’Italia in cui vogliamo vivere? È questa l’Italia che vogliamo lasciare ai nostri figli, ai nostri nipoti, alle generazioni future?Gilberto Trombetta

GILBERTO TROMBETTA

5525.- Crepe nell’UE! caccia Mig 29 dalla Slovacchia all’Ucraina. L’Ungheria respinge il mandato di arresto della Corte penale internazionale per Putin

Mikoyan-Gurevich MiG-29UBS (9-51) biposto – Slovakia – Air Force. È operativo dal 1982.

Notiamo che si tratta dell’avvenuta cessione all’Ucraina da parte dell’aeronautica slovena di 4 Mig-29, cui seguiranno tutti gli altri 9 esemplari in attività. L’UE risarcirà la Slovacchia con 213 milioni di dollari per aver fornito i MiG-29 all’Ucraina e la Polonia e la Repubblica Ceca si faranno carico della difesa aerea slovacca fino al 2024. Almeno per ora, non si parla più dei caccia F-16 all’Ucraina e, logicamente, del personale NATO necessario per mantenerli operativi.

Cracks in The EU! Mig Fighters from Slovakia to Ukraine. Hungary Rejects ICC Arrest Warrant for Putin

Ma la notizia è che l’Ungheria dice che non arresterà Putin. La Corte penale internazionale si è dimostrata vassallo di Washington, al pari di FMI e Banca Mondiale e ha perso una buona occasione per tacere. Fanno riflettere il successo strategico e militare degli Stati Uniti nei confronti di Putin e queste manifestazioni puerili di dominio della pubblica opinione, utili soltanto a respingere qualunque approccio di Putin verso la pace. L’Ucraina è stata invasa da Putin, ma la guerra sarà di lungo periodo perché Biden così vuole.

Crepe nell’UE!

Da Gospa news, di Carlo Domenico Cristofori, 23 Marzo 2023, traduzione automatica.

I contrasti all’interno dell’Unione Europea di fronte al conflitto in Ucraina cominciano a diventare sempre più estremi. Il ministro della Difesa slovacco Jaro Nad ha annunciato che “i primi quattro caccia Mig-29 dalla Slovacchia” sono stati inviati in sicurezza alle forze armate dell’Ucraina”.

In totale, la Slovacchia ha dichiarato che donerà 13 aerei di fabbricazione sovietica. “Nelle prossime settimane, il resto degli aerei verrà consegnato”, ha detto la portavoce del ministero della Difesa Martina Kakascikova.

Questo rappresenta un altro passo verso l’inasprimento del conflitto tra i paesi della NATO e la Russia che ha più volte detto che risponderà aumentando a sua volta la sua potenza di fuoco.

Passi verso l’escalation e non verso la pace

Il piano europeo per dare 2 miliardi di euro di munizioni all’Ucraina è stato approvato dal Consiglio Affari Esteri in corso a Bruxelles.
L’alto rappresentante Josep Borrell ha parlato di “una decisione storica”.

Ma solo diciotto paesi (su 27) hanno già aderito al piano dell’Agenzia europea per la difesa (EDA) per l’approvvigionamento congiunto di munizioni per aiutare l’Ucraina e ricostituire le scorte nazionali. Il progetto apre la strada per procedere su due strade: una procedura accelerata di due anni per i proiettili di artiglieria da 155 mm e un progetto di sette anni per l’acquisto di più tipi di munizioni.

Un altro passo verso la guerra nucleare: munizioni all’uranio impoverito del Regno Unito a Kiev “come bombe sporche”. “La Russia sarà costretta a reagire”, ha detto Putin

Il giorno prima è arrivato dal Regno Unito l’inquietante annuncio sulla spedizione di munizioni all’uranio impoverito a Kiev insieme ai carri armati Challenger 2, suscitando l’indignazione dei pacifisti di tutto il mondo per il loro potenziale cancerogeno.

È sempre più evidente come Stati Uniti e Regno Unito, che europei non sono o tali non si sentono, spingano verso la guerra nucleare in Europa e l’Italia, con le sue 120 basi USA, più le 20 segrete, i biolaboratori ICGWB livello P4, le testate nucleari B-61 e i 13.000 soldati americani sul suo territorio è il primo obiettivo delle 1.588 testate schierate e operative delle Forze missilistiche strategiche della Federazione Russa, RVSN RF (sono 4.477 su 6.000 quelle ammodernate e utilizzabili).

L’Ungheria dice che non arresterà Putin

L’Ungheria è uno dei Paesi dell’Unione Europea che non ha mai interrotto i rapporti con Mosca aumentando i contratti per le forniture energetiche di petrolio e gas prende una netta posizione a favore del Cremlino, giustificandola con normative nazionali.

Mentre il governo ungherese deve ancora prendere una posizione ufficiale sul mandato per crimini di guerra della Corte penale internazionale contro il presidente russo Vladimir Putin, giovedì il capo dello staff del primo ministro ha dichiarato che la costituzione del paese non ne consentirebbe l’applicazione.

“Possiamo fare riferimento alla legge ungherese e sulla base di essa non possiamo arrestare il presidente russo… poiché lo statuto della Corte penale internazionale non è stato promulgato in Ungheria”, ha dichiarato il capo dello staff del primo ministro Viktor Orban, Gergely Gulyas, rivolgendosi ai giornalisti durante una conferenza stampa a Budapest.

“Queste decisioni non sono le più fortunate in quanto portano le cose verso un’ulteriore escalation e non verso la pace”, ha detto Gulyas in riferimento al mandato della Corte penale internazionale, qualificandolo come la sua “opinione personale e soggettiva”.