Archivio mensile:febbraio 2023

5494.- IL TEMPO DEGLI IMBECILLI.

Post di N.F.Lettera aperta a Podolyak del prof. Alessandro Orsini.

“Podolyak, consigliere presidenziale di Zelensky, dichiara che Kiev, con i missili a lungo raggio dell’Occidente, potrebbe uccidere il 30%-40% delle reclute che Putin sta ammassando al confine con l’Ucraina in vista della grande offensiva di terra. Caro Podolyak, chiedo con gentilezza, hai una mente abbastanza potente per porti la seguente domanda? Se Kiev uccidesse il 40% delle reclute russe con i missili americani, secondo te, Podolyak mio, poi la Russia che cosa fa? Si arrende, ti dà i soldi per ricostruire l’Ucraina e accetta pure la Nato in Donbass e i soldati americani in Crimea? Caro Podolyak, non ti viene in mente che, se tu uccidi il 40% delle reclute russe con i missili della Nato, poi la Russia ti squaglia pure la suola delle scarpe? Davvero la tua mente non riesce a concepirlo?

Caro Podolyak, tu dici che tutti gli Stati sono liberi di fare quel che vogliono della loro politica estera e di sicurezza. Ti spiego una cosa: se l’Italia provasse a uscire dalla Nato per entrare nel blocco russo, del mio amato Paese non rimarrebbero nemmeno le cime di rapa. Il minimo che potrebbe capitarci è l’assssinio del nostro presidente del consiglio. Hai una mente abbastanza potente per capire che la gestione di uno Stato non è la gestione di un condominio? Davvero la tua mente è così limitata da impedirti di capire che l’Ucraina non può entrare nella Nato e l’Italia non può uscirne?

Con la stessa gentilezza, chiedo: voi consiglieri presidenziali di Zelensky maneggiate concetti del tipo “alleanze strutturali”, “struttura delle relazioni internazionali”, “campi di forze oggettive”, “rapporti di forza”, “dilemma della sicurezza”? Senza offesa, voi consiglieri di Zelensky date l’impressione di avere le capacità cognitive di un bambino di tre anni. E noi rischiamo la terza guerra mondiale per un gruppo di uomini dal pensiero non pensato come voi? Siete esseri umani o esseri inani? Il problema non sono le dichiarazioni di Berlusconi, caro Podolyak, il problema sono certe facoltà intellettive ucraine e la mancanza di un microscopio atto ad osservarle.

Non viviamo affatto in un tempo tragico; viviamo in un tempo imbecille. Se tornasse in vita, Platone non rifletterebbe sulla Repubblica dei guardiani o sui guardiani della Repubblica, bensì sulla Repubblica degli imbecilli e sugli imbecilli della Repubblica.

La domanda platonica oggi non è chi controlla i controllori, bensì chi controlla gli imbecilli.

Imbecilli nel Parlamento europeo.

Imbecilli nella Commissione europea.

Imbecilli nelle televisioni.

Imbecilli nelle radio.

Imbecilli nel Parlamento italiano.

Il tempo imbecille è il tempo degli imbecilli dappertutto.

Imbecilli dappertutto tranne che nella Casa Bianca, soltanto lì troviamo gli intelligenti: mi inchino davanti al genio strategico di Biden.

Il Parlamento europeo è la vergogna d’Europa, luogo di corrotti nella mente prima ancora che nelle tasche che finanziano una guerra per procura contro la Russia in favore della Casa Bianca per l’autodistruzione dell’Europa.

L’Europa contro la Russia è, in assoluto, l’idea più imbecille mai sorta in Europa negli ultimi settecento anni.

Caro Podolyak, perdonami se ho scritto qualcosa di indelicato. Ti voglio bene come si può volere bene a una mente bisognosa di essere accudita.

Avanzi l’Italia, avanzi la pace.

Risorga il movimento pacifista.”

Alessandro Orsini

5493.- L’Italia segue gli USA pensando al Mediterraneo.

É quella giusta, impossibile da mutare, la rotta dell’Italia nella scia di Washington, sopratutto se è l’unica via per ottenere quell’assenso al Piano Mattei o Patto per il Mediterraneo. Lo abbiamo chiamato Passaporto per il Mediterraneo per abbracciare insieme i popoli rivieraschi e quelli a loro prossimi, con la mente a una soluzione politica per l’immigrazione, al controllo dell’energia e alla riduzione delle banchise polari, cosiddetta deglaciazione delle rotte artiche; ma, con tutto il bene che vogliamo al presidente Meloni, da qui, a santificare una Grand Strategy italiana e a contrapporre una via del cotone alla via della seta, ne corre. L’India è un grande paese, come lo è la Cina e le divide la questione del Tibet, perciò, ben può far parte del sistema di alleanze di Washington, come il Giappone e come la Corea del Sud, ma per diventare anch’essa un attore a livello mondiale e impedire a Pechino di sviluppare le sue Vie della Seta in Asia meridionale e sud orientale, fino a contrapporvi una sua Via del Cotone, il cammino non è breve. É anche da tenersi presente che la Cina è politicamente un monolito, mentre l’India è un coacervo di 200 popoli. Riguardo all’Occidente, notiamo, infine, come la continuazione dello sforzo bellico a favore della guerra Ucraina e la contemporanea assenza di un indirizzo verso soluzioni diplomatiche contrastino con gli scenari che si prefigurano nel teatro indo-pacifico e gli sottraggano risorse.

Via della Seta? Ecco perché Meloni preferisce la Via del Cotone

Da Formiche, di Emanuele Rossi | 28/02/2023 

Via della Seta? Ecco perché Meloni preferisce la Via del Cotone

La visita della premier Meloni a Nuova Delhi segna un momento importante per la proiezione italiana verso Oriente. Mentre l’Asia arriva sul tavolo di Palazzo Chigi anche per la scadenza del memorandum per la Via della Seta (da rinnovare?), ecco perché Roma guarda verso la Via del Cotone che passa da India e Giappone

Dopo l’attività diplomatica nel Mediterraneo nelle scorse settimane, la Grand Strategy italiana sposta l’attenzione sull’Asia. Mancano pochi mesi alla scadenza del memorandum d’intesa sulla Via della Seta siglato dal governo Conte I con la Cina. Intervistato dal Messaggero in merito al possibile rinnovo, Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, uno degli uomini più ascoltati del governo Meloni, ha predicato prudenza: “Bisognerà muoversi di concerto con gli Stati europei e anche con gli Stati Uniti, con i Paesi Nato, perché un’alleanza è un’alleanza, non solo militare”. Con riferimento alla Nato, ha aggiunto, “si difende il diritto internazionale, la libertà. Per noi è un dogma a salvaguardia delle nazioni democratiche”.

Ed è con questo spirito che il dossier Indo-Pacifico è arrivato sul tavolo operativo di Palazzo Chigi. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni è in partenza per Nuova Delhi, invitata dal suo omologo indiano, Narendra Modi, come ospite di eccezione al Raisina Dialogue, conferenza sulla sicurezza regionale organizzata dall’Orf, il più importante think tank del subcontinente. Come scritto proprio su Formiche dall’ambasciatore in India, Vincenzo De Luca, “gli equilibri che si stabiliranno nell’Indo-Pacifico influenzeranno in misura determinante le dinamiche globali, con effetti anche per il nostro Paese. L’Italia, assieme ai partner dell’Unione europea e nel quadro della strategia comune, ha chiara l’esigenza di fare la propria parte”.

Nell’incontro si sigleranno nuove forme di cooperazione di cui Matteo Perego di Cremnago, sottosegretario alla Difesa, appena rientrato da una missione indiana, ha delineato – per primosu Formiche.net – le potenzialità. Il driver è il settore in cui attualmente l’Italia può muovere più efficacemente le sue leve, il mondo difesa e sicurezza. È lì che incontra gli interessi indiani e quelli di altri partner. Come per esempio gli Emirati Arabi Uniti.

Meloni, di ritorno dal vertice con Modi, passerà probabilmente per gli Emirati Arabi Uniti (possibile un incontro con il presidente Mohammed bin Zayed), altro Paese interessato alle eccellenze (industriali e capacitive) che l’Italia può offrire da quel settore – sebbene non solo a quello. È infatti in costruzione un sistema di collegamento geostrategico tra Indo-Pacifico e Mediterraneo allargato, di cui Nuova Delhi e Abu Dhabi sono protagonisti: sicurezza energetica, alimentare, sanitaria, spaziale, sono alcuni dei grandi temi sul tavolo. Argomenti determinanti per navigare il futuro.

Emirati e India sono due dei motori che dinamizzano quest’asse globale che passa dai contatti tra Egitto e Corea del Sud (che mettono in relazione Suez e Busan, per dire), ma anche dall’importanza che l’apertura del corridoio omanita offre nell’ottica di collegare Israele all’Asia (il Levante mediterraneo con il Mar Cinese, sempre per continuare con le immagini).

Un quadro che rende l’idea di come le interconnessioni siano estremamente cruciali in questo momento, con la necessità di costruire supply chain più resilienti e protette – come la pandemia prima e la guerra russa in Ucraina poi ha insegnato. Una connettività dimostrata già nello spirito pratico, con progetti come Blue System e Raman System – il sistema di cavi sottomarini, curato da Sparkle del gruppo Tim, insieme a Google e altri operatori, che collegherà l’Europa all’India e che potrà essere esteso a altre aree dell’Indo-Pacifico.

Forme di collegamento mini-laterali stanno diventando il fattore chiave in questa fase storica, con l’Italia che potrebbe per esempio entrare come “terza I” nel sistema I2U2 che connette India, Israele, Uae e Usa. E qui arriva a perfezione l’incontro con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a Roma quando Meloni tornerà dal tour orientale. Allo stesso modo, collegamenti in consolidazione con il Giappone (anche in questo caso partendo dal mondo della difesa e sicurezza, vedere il cruciale capitolo Gcap, programma per il jet di nuova generazione) fanno supporre che l’Italia possa allungare la cooperazione con l’India creando ad esempio un trilaterale con Tokyo e Nuova Delhi.

Roma, con l’invio di “Nave Morosini” nell’Indo Pacifico sta dimostrando di essere maggiormente interessata alle attività di quell’area, seguendo lineamenti della strategia europea per la regione. E questo non significa sganciarsi dalle dinamiche della regione di prossimità. Piuttosto è l’acquisizione di consapevolezza che il Mediterraneo allargato è di fatto la spalla occidentale del perimetro indo-pacifico. E qui si segue anche un interesse dimostrato dal governo precedente, con la rotta che diventa un’orientazione strategica.

D’altronde, le missioni sul Golfo di Aden e sul bacino somalo – come “Atalanta” – cos’altro sono se non la protezione delle linee di collegamento tra le due regioni più vivaci del mondo? E dunque, se Atalanta protegge dalle mire dei pirati sui cargo entranti e uscenti tra Est e Ovest, l’implementazione di queste potrebbe essere la creazione di sistemi di collegamento politico tra i Paesi interessati e più attivi e capaci nel guidare certe dinamiche.

La posta in gioco riguarda la costruzione di quella che potremmo definire la Via del Cotone, infrastruttura geopolitica composta da Paesi like-minded, interessati alla protezione del diritto internazionale e delle libertà. E questo richiama il secondo grande tema asiatico che approda sul tavolo di Palazzo Chigi, il rinnovo del memorandum di intesa sulla Belt and Road Initiative – la Via della Seta. Nei fatti, la firma avventata al protocollo arrivata con il governo Conte I, non ha portato eccessivi benefici all’Italia (uno sbilanciamento politico che non ha dato guadagni nemmeno sul piano economico).

Differentemente il genere di partnership qui ipotizzate lungo la Via del Cotone, diventano un approccio molto concreto, basato su driver efficaci. Intese più prossime alla postura storica politico-mentale italiana, alla visione euro-atlantica e al moltiplicatore di forza che essa rappresenta.

5492.- Uno sguardo da fuori sulle Forze Armate italiane.

Lo strumento militare italiano e la guerra

Da Affari Internazionali, Ven, 24/02/2023

L’invasione russa dell’Ucraina ha cambiato livello di sfide che l’Italia si trova ad affrontare nello scacchiere internazionale. È anche in risposta a queste sfide che, a fine gennaio, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha presentato al Parlamento le linee programmatiche che definiranno il lavoro della Difesa nel prossimo futuro.Difesa integrata e multidominio

Una graduale ma continua evoluzione dello strumento militare italiano sarà fondamentale per garantire una Difesa efficace e all’avanguardia. A tal fine, sarà importante incrementare gli sforzi mirati al raggiungimento di un’interoperabilità interna alla Difesa che permetta al Paese di lavorare in maniera sinergica e complementare con i propri partner della Nato. Altrettanto cruciale sarà lo sviluppo dello strumento militare in chiave interforze – non solo sul piano normativo, ma anche logistico e tecnologico.

Al fine di rafforzare la credibilità dello strumento militare italiano, il ministro invita a un miglioramento delle attività addestrative del personale. Carenze, da questo punto di vista, erano state colte anche dagli ultimi Documenti Programmatici Pluriennali, con un graduale calo delle spese di esercizio (passate dal 14% della Funzione Difesa nel 2020 all’11,4% nel 2022).

L’impianto istituzionale e legislativo su cui si basa l’architettura di difesa e sicurezza del Paese necessita di un rinnovamento generale, che rispecchi i mutamenti che sta affrontando lo stesso strumento militare, sempre più integrato e multidominio. Il Ministro ha infatti sottolineato l’urgenza di investire energie e risorse nell’elaborazione di una Strategia di sicurezza nazionale: uno strumento ad oggi assente in Italia, che si basa piuttosto su un approccio multi-rischio per la gestione delle crisi.L’impegno italiano all’Estero

La Difesa italiana rimane uno strumento fondamentale anche per la proiezione internazionale del Paese. Affrontando il tema, Crosetto ha invocato un ruolo più da protagonista per Roma in termini di leadership, sulla scia della missione Nato in Iraq di cui l’Italia ha assunto il comando il maggio scorso.

Come ricordato dal ministro, infatti, l’impegno dello strumento militare si basa storicamente sulla partecipazione italiana a organizzazioni internazionali, prime fra tutte Unione europea e Nato. In questi contesti, Roma dovrà continuare a far valere la propria voce nei tavoli decisionali, com’è stato durante l’elaborazione dello Strategic Compass dell’Ue.

Per meglio definire il coinvolgimento e il ruolo italiano nelle operazioni internazionali, Crosetto propone una revisione della procedura di costruzione della Delibera Missioni. Come già enfatizzato in passato, è auspicabile una maggiore tempestività del Decreto, da un lato per garantire piena copertura politica alle missioni, e dall’altro per consolidare la credibilità di Roma agli occhi dei Paesi partner.Una legge ad hoc per la Difesa

Un’industria dell’aerospazio e della difesa competitiva è parte del tentativo italiano di incrementare il proprio livello di autonomia. Un’autonomia che sarà possibile raggiungere soltanto investendo, oltre che nei programmi industriali, nella ricerca scientifica orientata all’innovazione, soprattutto alla luce delle numerose ricadute militari di prodotti e tecnologie ideate per fini civili e viceversa. Ciò è evidente ad esempio nel settore spaziale dove, potendo contare su una catena del valore completa, l’Italia ha acquisito maggiore autonomia di azione, oltre alla possibilità di contribuire in maniera significativa ai programmi portati avanti a livello europeo.

In un momento come questo in cui “nessun Paese può tagliare le spese per la difesa”, non sorprende che durante l’audizione ampio spazio sia stato dedicato al tema investimenti, con la proposta di Crosetto di escludere le spese in Difesa dal Patto di stabilità, e di elaborare “una legge triennale sull’investimento, che accorpi in un’unica manovra i volumi finanziari relativi a tre provvedimenti successivi”.

Sarà importante osservare se, come, in che misura e con quale velocità verrà dato seguito alle linee guida del ministro, tanto nel breve periodo quanto su un arco temporale più lungo necessario per portare a compimento l’elaborazione di una Strategia di sicurezza nazionale e le innovazioni normative su delibera missioni e legge pluriennale per gli investimenti.

5491.- La Russia di Putin. Punti di vista.

La Russia senza futuro di Vladimir Putin

Da Affari Internazionali, Gio, 23/02/2023 – 09:35

Il tanto atteso – e tante volte rinviato – discorso di Vladimir Putin alle camere riunite, un appuntamento saltato nel 2022 nonostante sia un preciso obbligo costituzionale del presidente russo, doveva finalmente dare ai russi, popolo ed elite, delle idee e degli obiettivi chiari: cosa è la guerra che un anno prima aveva lanciato contro l’Ucraina, quali obiettivi si pone, quale vittoria (o almeno non sconfitta) persegue, con quali strumenti dovrebbe venire condotta e quando (almeno nelle intenzioni) finire.Le accuse all’occidente

Alla vigilia dell’intervento del presidente per Mosca giravano le ipotesi più estreme: dal licenziamento del governo e dei vertici militari alla proclamazione della mobilitazione totale della popolazione e dell’economia, passando per l’annuncio di una nuova Unione formata con l’annessione della Bielorussia insieme alle enclavegeorgiane Ossezia del Sud e Abkhazia. Nessuno degli osservatori aveva scommesso sull’annuncio di una tregua e/o di un processo negoziale, e solo pochi avevano azzardato la previsione che Putin alla fine non avrebbe prodotto nulla di nuovo.

Hanno avuto ragione questi ultimi: tranne la coda finale, con l’annuncio a sorpresa della “sospensione” del trattato sugli armamenti strategici New Start, il discorso del presidente è stato una ripetizione di tante altre sue esternazioni, costruite tutte secondo lo stesso schema della difesa delle proprie ragioni, mischiata al risentimento per l’occidente. Non poteva mancare il passaggio sulle perversioni sessuali dell’Europa, dove “la pedofilia è normale”, e sul complotto storico contro la Russia, iniziato con “il progetto austroungarico di strappare le terre russe già nell’Ottocento” e proseguito con l’affermazione che “è stato l’occidente ad aver allevato la Germania nazista”.Nulla cambia

Molto spazio è stato dedicato ai successi russi, con elogi a una economia che avrebbe resistito alle sanzioni, e a nuove promesse di welfare, con aumento del salario minimo e l’istituzione di un fondo sociale per i militari. Non è chiaro con quali soldi il Cremlino dovrà pagare questi benefit, visto che a febbraio le spese del governo russo hanno superato le entrate di ben cinque volte, con un deficit da record. In compenso, Putin ha lanciato anche messaggi di distensione: ha promesso di non prendere misure contro i russi scappati dal suo regime all’estero, deludendo i falchi della Duma che facevano a gara a proporre punizioni che andavano dalla confisca dei beni in patria alla prigione per tradimento. E ha assicurato che le elezioni, governatoriali e presidenziali, si terranno nei tempi prestabiliti, nel 2023 le prime, nel 2024 le seconde.

Un messaggio che vorrebbe essere rassicurante: nulla cambia, l’ ”operazione militare speciale” non diventa guerra, e ai russi stanchi e impauriti non viene imposta nessuna ulteriore stretta. Dall’altro, il segnale è fin troppo evidente: è Putin che decide e garantisce il rispetto del calendario politico, e a questo punto è chiaro che se elezioni si terranno come previsto è perché il candidato e il vincitore è già stato deciso. La transizione del potere verso un delfino temuto quanto atteso dalla nomenclatura putiniana non è all’orizzonte: la guerra ha consolidato definitivamente un modello di potere da monarchia quasi assoluta.

Il modo in cui Putin ha aggiunto al suo discorso all’ultimo momento, e a quanto pare con le sue mani, il passaggio sul New Start lo dimostra. Il ministero degli Esteri, un organismo che negli ultimi anni si è trasformato da un ente diplomatico in antenna di propaganda, ha dovuto correre ai ripari, sostenendo che la sospensione era “reversibile” e che la Russia avrebbe continuato a rispettare comunque il tetto imposto dal trattato ai suoi arsenali, alimentando il sospetto che Putin avesse minacciato di far saltare l’accordo soltanto per vendicarsi della visita di Joe Biden a Kyiv.Un regime verso la disintegrazione?

Il risultato è stato un discorso prolisso e contraddittorio, che ha alternato minacce e proclami, e che ha convinto sia i falchi che i meno falchi di una verità che molti sospettavano, ma non osavano ammettere: Putin non ha un piano, meno che mai un piano B, e sta cercando di navigare a vista tra l’impossibilità fisica di vincere sull’Ucraina e l’inammissibilità di una marcia indietro che vede come la fine del suo regno. Cosa che paradossalmente potrebbe non essere vera: i russi, la nomenclatura come il popolo, sono talmente spaventati e spiazzati da una guerra che sta andando verso il disastro, da essere probabilmente pronti ad acclamare chiunque li riporti almeno al 23 febbraio dell’anno scorso.

Semmai è la guerra che sta accelerando la disintegrazione del regime, e lo scontro ormai esplicito tra Evgeny Prigozhin, il capo dell’esercito dei mercenari Wagner, e il ministero della Difesa, lo sta dimostrando chiaramente. Una ritirata potrebbe rinviare la resa dei conti, liberando le risorse repressive che Putin potrebbe usare contro i suoi critici, e quelle economiche che servirebbero a ricomprare il consenso della popolazione. Resta la speranza che è delle condizioni di una marcia che il presidente russo ha discusso con Wang Yi, il capo della diplomazia del partito comunista cinese e primo emissario altolocato di Pechino a visitare Mosca in un anno. In attesa di scoprire in cosa consiste il piano di pace cinese, viene il dubbio che Xi Jinping stia rispondendo in questo modo alle esortazioni di Washington di prendere posizioni contro Mosca. E che la “nuova Yalta” tante volte chiesta da Putin possa metterlo in imbarazzo, perché non avrebbe la Russia come protagonista.

Foto di copertina ANSA/Uff stampa Cremlino

L’articolo La Russia senza futuro di Vladimir Putin proviene da Affari Internazionali – Politica ed economia estera.

Guerra in Ucraina: nei discorsi di questi giorni molte esternazioni e poche novità

Mer, 02/22/2023 – 19:16

C’era molta aspettativa per le dichiarazioni di Putin a Mosca e di Biden a Kyiv e Varsavia, alla vigilia del primo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina. Ma chi si aspettava, un po’ ottimisticamente, da questi interventi novità o aperture su una ipotetica soluzione politica del conflitto, o anche solo indicazioni su cosa attenderci nei prossimi mesi, sarà certamente rimasto deluso. Anzi, se qualcosa ne è emerso è la conferma della contrapposizione frontale tra due visioni del mondo, tra due letture inconciliabili del conflitto in Ucraina.I discorsi di Biden e Putin a confronto

Putin, con un discorso tanto lungo quanto privo di novità, si è rivolto essenzialmente alla sua constituency interna, per cercare di giustificare le ragioni dell’intervento in Ucraina e consolidare il consenso del Paese su una iniziativa che di fatto si è rivelata per ora un clamoroso fallimento. Questo spiega perché il Presidente russo ha dovuto far ricorso ad una narrativa ormai ampiamente sperimentata, ma difficilmente sostenibile di fronte all’evidenza dei fatti. Da qui la tesi che la Russia è dovuta intervenire in Ucraina per prevenire un attacco ucraino al Donbass, che Mosca sta combattendo una guerra di difesa contro gli Usa e la Nato intenzionati a distruggere la Russia, che l’Ucraina in fondo era solo la testa di ponte di un Occidente, depravato e in crisi valoriale, che ha puntato tutte le sue carte sul ridimensionamento della Federazione russa.

Poche poi le novità anche sul fronte della condotta delle operazioni. Smentendo le previsioni della vigilia, Putin ha continuato a parlare di operazione militare speciale, evitando di ammettere che di guerra ormai si tratta, come se non dovessero essere in programma nuove massicce mobilitazioni di coscritti. Non ha annunciato nessun nuova offensiva sul terreno. E ha implicitamente ammesso che il conflitto sarà ancora lungo. Ha ricordato la potenza dell’arsenale nucleare russo e minacciato nuovi test nucleari. Ma ha anche confermato la dottrina russa del “no first use”. E infine, unica novità, ha annunciato la sospensione della partecipazione della Russia al Trattato New Start sulla limitazione delle testate nucleari. Un annuncio ridimensionato successivamente dalla conferma che Mosca avrebbe continuato rispettare i limiti nel numero delle testate consentite da quel Trattato, ma non avrebbe consentito ispezioni (già peraltro di fatto sospese da sue anni) nei propri siti.

Biden, prima a Kyiv e poi a Varsavia ha soprattutto voluto confermare, nel modo più solenne e impegnativo, il sostegno all’Ucraina aggredita, a nome degli Usa ma anche implicitamente a nome di tutto il fronte dei Paesi like minded schierati su questa linea. Un sostegno mirato non solo a consentire all’Ucraina di difendersi, ma anche di riconquistare i territori occupati dalle forze russe. Un sostegno che continuerà fino a quando sarà necessario, perché la posta in gioco, la difesa dei valori della libertà e della democrazia, è troppo importante per consentire incertezze o ripensamenti. Ma anche da Biden nessuna novità su eventuali nuovi aiuti militari all’Ucraina. E nessuna apertura su ipotesi di avvio di un dialogo, perché le circostanze non lo permettono.Wang-Yi a Mosca

C’erano anche molte aspettative, dopo gli annunci anticipati a Monaco, per la visita a Mosca di Wang Yi, di fatto il capo della diplomazia cinese, e per la prospettiva di una iniziativa diplomatica della Cina sul conflitto in Ucraina. Ma a giudicare dalle scarne informazioni fatte filtrare dopo gli incontri di Wang con Lavrov e Putin, sembra che si sia ancora molto lontani dall’ipotesi che Pechino voglia effettivamente assumere un profilo di maggiore dinamismo su questa crisi. E che Wang si sia in fondo limitato a confermare che la Cina resta disponibile a svolgere un ruolo costruttivo nella ricerca di una soluzione politica della crisi.

D’altronde la Cina, che finora, sia pure con le ambiguità e i distinguo del caso, non ha fatto mancare il sostegno politico alla Russia, difficilmente potrebbe assumere un ruolo di mediatore neutrale e credibile. La Cina, che finora ha incassato i dividendi di una posizione sulla guerra in Ucraina che le conferisce una sorta di leadership di quella parte di mondo che non si riconosce nella linea dell’Occidente, resta interessata a una conclusione del conflitto e ad una normalizzazione del quadro internazionale. Ma evidentemente non al punto di mettere in difficoltà Putin, o di rompere la solidarietà di un fronte anti-occidentale funzionale, nell’ottica di Pechino, a rafforzare la posizione della Cina nella competizione globale con gli Usa.

Infine in queste giornate caratterizzate inevitabilmente soprattutto dagli interventi dei leader dei tre maggiori protagonisti, merita di essere evocata anche la missione di Giorgia Meloni a Kiev, Bucha e Irpin. Era una missione, annunciata da tempo, a cui Meloni teneva molto, e che è servita alla Presidente del Consiglio per ribadire, al di là di ogni possibile dubbio, la linea del governo a sostegno dell’Ucraina, senza incertezze o ripensamenti, e in coerenza con gli impegni assunti con gli alleati della Nato e i partners dell’Ue. Una missione di successo, che ha anche consentito a Meloni di rassicurare Zelensky e gli alleati, di consolidare il processo di legittimazione del governo di centro-destra sul piano internazionale, e di ridimensionare la portata delle esternazioni di alcuni esponenti di altri partiti della sua maggioranza.

Foto di copertina EPA/Piotr Nowak POLAND OUT

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Il discorso di Biden è insieme manifesto elettorale e visione politica

Mer, 02/22/2023 – 17:28

Non ci sono stati passaggi che hanno fatto subito la ‘storia’ nel discorso che Joe Biden ha tenuto ieri a Varsavia. Sono presenti frasi ad effetto – Kyiv che resiste ancora “forte, orgogliosa e libera” – e continui riferimenti alla forza apparente delle autocrazie e quella nascosta delle democrazie. Ma non c’è stata quella semplicità retorica che cattura un’epoca in tre parole o poco più, incidendosi a fuoco nel racconto storico – l’”Ich bin ein Berliner” di John F. Kennedy nel 1963 o il “Signor Gorbaciov, abbatta questo muro!” di Ronald Reagan nell’ 1987, entrambi a Berlino, subito dopo la costruzione e subito prima della caduta del muro.

Eppure, nei prossimi anni il discorso di Biden potrebbe acquisire un’importanza paragonabile. Tutto dipende dall’esito della scommessa del presidente di poter fondere il manifesto per la rielezione con la sua visione politica per eccellenza, la difesa della democrazia.Un discorso con più destinatari

Il discorso di Biden ha dato contesto alla sua inattesa e – quella sì – memorabile visita a Kyiv del giorno precedente. Discorso e visita quindi sono parte di una stessa operazione politica rivolta sia agli interlocutori internazionali degli Stati Uniti sia all’opinione pubblica interna.

La presenza di Biden a Kyiv ha dato all’Ucraina il segnale più tangibile della solidarietà americana. Ha chiarito agli alleati europei che Washington confida nella continuazione del sostegno all’Ucraina da parte di tutti. E soprattutto Biden ha ammonito la Russia di Vladimir Putin che, finché resterà alla Casa Bianca, la linea americana non cambierà e che pertanto è inutile sperare in una vittoria per sfinimento dei sostenitori occidentali di Kyiv.Il manifesto elettorale del candidato Biden

Biden sa benissimo che la visita di un presidente in una zona di guerra in sostegno di un paese aggredito ha impressionato favorevolmente il pubblico americano al di là degli schieramenti di parte. Il discorso ha dato alle immagini della sua passeggiata per le strade di Kyiv al fianco di Volodymyr Zelensky un senso politico che spera gli americani abbraccino – ora e nel 2024.

Questo senso politico è in netta opposizione a quello esposto da Putin poche ore prima. Il presidente russo aveva parlato della guerra in Ucraina come di una lotta esistenziale contro un’Occidente – cioè un’America – che vuole piegare la potenza russa. Biden si è tenuto ben distante dal racconto di una competizione ‘geopolitica’ neutra, come se lo scontro tra grandi potenze fosse l’inevitabile conseguenza di una naturale logica di potenza.
L’America, ha detto invece il presidente americano, non vuole la rovina della Russia. Il sostegno all’Ucraina si oppone alla prevaricazione di un’autocrazia repressiva e imperialista che deliberatamente punta a svilire gli elementi della democrazia che ne minerebbero la legittimità: non solo i processi elettorali, ma l’indipendenza della magistratura, la libera stampa, il pluralismo politico, il rispetto delle minoranze e dei diritti individuali, il rifiuto della guerra di conquista.

Questo è il messaggio su cui Biden punta probabilmente a costruire la sua ricandidatura nel 2024. Così come nel 2020 si è sconfitta la minaccia interna alla democrazia,rappresentata dall’illiberalismo tendenzialmente autoritario di Donald Trump e dei suoi seguaci, nel 2024 bisogna estendere la vigilanza sulla democrazia non solo all’interno ma anche all’esterno. Ai Repubblicani che denunciano l’aiuto americano all’Ucraina come un ‘assegno in bianco’, Biden risponde: è tutt’altro che un assegno in bianco, è un investimento sul futuro della democrazia. La visione politica del presidente Biden

Il manifesto ‘elettorale’ di Biden riflette una precisa visione politica che il presidente americano ha ereditato dalla Guerra Fredda e che evidentemente ritiene essere più che mai necessario riaffermare oggi. In questa visione la competizione interstatale è sempre legata alla natura dei regimi politici, in particolare quando a fronteggiarsi sono grandi potenze.

Biden deve essere ben consapevole che la linea di demarcazione tra democrazia e autocrazia non combacia affatto con quella che divide gli alleati dai rivali degli Usa. Ci sono democrazie non allineate, come Brasile, Sudafrica e, al netto dell’arretramento democratico degli ultimi anni, la stessa India. Similmente, gli Stati Uniti contano tra i loro partner regimi dispotici e repressivi come l’Arabia Saudita o l’Egitto. Nello stesso campo occidentale alcune democrazie hanno subìto un’involuzione, come l’Ungheria e la Polonia tanto esaltata ieri da Biden – mentre l’alleato Israele reprime sistematicamente elementari diritti umani di milioni di palestinesi da decenni. 

Una visione che insiste sulla dicotomia democrazia-autocrazia non è pertanto destinata a fare breccia molto al di là dell’area euro-atlantica. Dopotutto, la maggioranza dei paesi del mondo non vuole essere trascinata nella competizione delle grandi potenze. Eppure la dicotomia democrazia-autocrazia non è un puro artificio retorico, certamente non lo è per Biden. L’ipocrita applicazione di principi ‘con due pesi e due misure’, in cui gli Stati Uniti e i loro alleati europei cadono così spesso, non sminuisce il valore di quei principi e pertanto non deve sminuirne la difesa. Non si tratta solo di principi in astratto, ma della difesa di un sistema di relazioni interstatali – l’ordine europeo ed atlantico – basato sulla risoluzione pacifica dei contrasti, l’istituzionalizzazione della cooperazione e la socializzazione di popoli di diversa cittadinanza.

In questo senso, la visione di Biden, intrisa di ‘ideologia della democrazia’, apre a uno spazio davvero ‘geo-politico’ nel senso di un’area geografica organizzata politicamente. Un’alternativa assai più valida, sul piano ideale ma anche analitico, al significato in voga di geopolitica, che altro non è che la normalizzazione per via semantica della politica di potenza degli stati.

Foto di copertina EPA/Piotr Nowak POLAND OUT

L’articolo Il discorso di Biden è insieme manifesto elettorale e visione politica proviene da Affari Internazionali – Politica ed economia estera.

La nuova postura strategica della Nato

Mer, 02/22/2023 – 10:16

La guerra russo-ucraina rappresenta uno spartiacque per la Nato, paragonabile a quello del 1989-1991 ma in direzione opposta. Dal 2022 è iniziata una fase storica che vede l’Alleanza concentrata principalmente sulla deterrenza e difesa collettiva dell’Europa di nuovo da Mosca, con diverse implicazioni in parte già codificate nel recente Concetto Strategico alleato.Guerra e nuovo Concetto strategico

L’allargamento della Nato è condizionato dal confronto con la Russia. Da un lato la storica svolta di Finlandia e Svezia che, nonostante i ritardi dovuti alla Turchia, entreranno nell’Alleanza consolidando sicurezza e stabilità dell’Europa nord-orientale. Dall’altro l’estrema cautela rispetto a qualsiasi ipotesi di adesione dell’Ucraina, nella consapevolezza che, verosimilmente, una parte più o meno limitata del territorio ucraino rimarrà a lungo sotto occupazione militare russa.

La priorità data ai partenariati viene rivista in chiave della loro rilevanza per il contenimento delle potenze autoritarie russa e cinese, con una maggiore attenzione ai Paesi dell’Indo-Pacifico occidentali per valori se non per geografia – Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda.

Il tema della non proliferazione e controllo degli armamenti viene legato più strettamente alla deterrenza e difesa, per sviluppare un approccio complessivo che cerchi in primo luogo di evitare incidenti ed escalation non volute con la Russia, e tenti in prospettiva di riavviare un dialogo tra nemici che fissano insieme alcune regole del gioco a vantaggio di loro stessi e di tutto il pianeta – come durante la Guerra Fredda.

Le operazioni di gestione delle crisi e stabilizzazione continuano come attività secondarie solo dove sono già in corso, ovvero in Kosovo e Iraq e, in chiave di sicurezza marittima, nel Mar Mediterraneo. Il combinato dell’invasione russa dell’Ucraina e del precedente ritiro dall’Afghanistan hanno infatti segnato la fine di un ruolo Nato da protagonista nelle crisi extra europee.Il fianco orientale dell’Alleanza

La nuova postura strategica dell’Alleanza ha risvolti militari molto importanti per gli Stati europei – Italia inclusa. Si passa infatti a un meccanismo di deterrenza basato sulla difesa avanzata dell’Europa orientale, con battaglioni multinazionali nell’ordine di migliaia di unità e i relativi comandi, mezzi e supporto logistico, posizionati dall’Estonia alla Bulgaria – con l’Italia al comando a Sofia. L’obiettivo è dissuadere ex ante qualsiasi colpo di mano russo, e fermarlo manu militari sul posto qualora Mosca decidesse comunque di correre il rischio. A tal fine, viene ristrutturato il modello complessivo delle forze alleate, con un totale di 300 mila unità tenuto ad elevati livelli di prontezza. Tutto ciò implica che una parte significativa delle migliori forze armate europee saranno impegnate con la Nato, e necessiteranno maggiori e costanti investimenti nell’addestramento e nella manutenzione.

Il focus dello sviluppo delle capacità militari alleate, e specie europee, si sposta su quanto necessario per un conflitto prolungato, su larga scala, e ad alta intensità contro un nemico dalle dimensioni e caratteristiche russe. Agli alleati servono ora e in futuro mezzi più pesanti, sistemi d’arma più potenti, difese più efficaci, e un aggiornamento della dottrina d’impiego dopo tre decenni di operazioni contro terroristi e guerriglieri.

La preparazione militare per dissuadere la Russia da un conflitto del genere, e per porvi fine nello sciagurato caso venisse avviato da Mosca, richiede un diverso equilibrio tra qualità e quantità degli equipaggiamenti. La guerra di attrito russo-ucraina ha mietuto vittime e bruciato mezzi e munizioni ad un livello senza precedenti in Europa dal 1945, e costituisce il nuovo punto di riferimento per la pianificazione delle forze Nato. È quindi necessaria maggiore massa, in termini di mezzi a disposizione, pezzi di ricambio, munizionamento e scorte. Sebbene i bilanci della difesa stiano aumentando in Europa, le risorse restano comunque limitate rispetto alle necessità e bisognerà cercare un nuovo equilibrio tra una parte di equipaggiamenti più avanzati e costosi ed una parte più numerosi ed economici, in modo da poter affrontare un conflitto ad alta intensità e su larga scala.

Un anno di guerra combattuta in Europa tra due Stati che contano centinaia di migliaia di soldati è uno spartiacque storico. I Paesi Nato lo hanno compreso, e dovranno valutare insieme come attrezzarsi per difendere la propria sicurezza collettiva nel nuovo quadro strategico.

Foto di copertina EPA/OLIVIER HOSLET

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Cresce l’allarme per il rischio nucleare

Mer, 02/22/2023 – 09:36

La capacità di dissuasione che la Russia è in grado di esercitare grazie al suo potente arsenale nucleare ha avuto sin dall’inizio un ruolo di grande importanza strategica nella guerra in Ucraina.

I leader delle Nato, a partire da Joe Biden, hanno più e più volte motivato la scelta di non intervenire direttamente – impiegando, per esempio, proprie truppe o aerei – con la volontà di evitare una “terza guerra mondiale”, espressione in codice per un conflitto nucleare. Per questa ragione hanno fra l’altro respinto senza esitazioni, all’inizio dell’invasione russa, l’accorata richiesta di Zelensky di istituire una “no-fly zone” sui cieli dell’Ucraina. Da questo punto di vista, la minaccia di Mosca di ricorrere all’arma atomica ha finora funzionato. I leader del Cremlino evocano ossessivamente l’uso del nucleare con l’obiettivo, in primo luogo, di rinnovare quest’effetto dissuasivo nei confronti di un impegno diretto della Nato.Sanzioni e minacce del Cremlino

Quando però Putin, subito dopo l’inizio dell’invasione, mise in stato d’allerta le armi nucleari mirava dichiaratamente anche ad altro: evitare un inasprimento delle sanzioni, in particolare sui prodotti energetici, e un progressivo incremento del sostegno militare all’Ucraina. Su questo fronte la deterrenza nucleare russa non ha avuto l’effetto desiderato, o lo ha avuto solo parzialmente: i Paesi occidentali non hanno sostanzialmente ceduto né sulle sanzioni né sull’invio di armi, anche se continuano a non accogliere alcune richieste di aiuto militare dell’Ucraina per timore, fra l’altro, di un’escalation che possa portare a un confronto militare diretto con Mosca.

Agitare lo spettro dell’arma nucleare ha, beninteso, anche l’intento di spaventare le opinioni pubbliche occidentali. In effetti, in alcuni Paesi, come l’Italia, il consenso per l’invio di armi a Kyiv è significativamente diminuito. Non si notano tuttavia ripensamenti nei governi occidentali e anche l’ampio schieramento pro-Ucraina del “formato Ramstein” non ha registrato defezioni, si è anzi consolidato.

La minaccia russa, più o meno esplicita, di un uso del nucleare in risposta alle forniture di armi a Kyiv non ha trovato credito nei paesi Nato, che lo hanno di fatto trattato alla stregua di un bluff. Washington ha risposto con estrema cautela all’allerta nucleare russa e agli altri gesti muscolari del Cremlino, come le esercitazioni nucleari in Bielorussia, ma ha al contempo intensificato il sostegno militare a Kyiv, così come gli alleati della Nato. Putin voleva certamente intimidire gli ucraini, ma ha fallito anche in questo obiettivo: il sostegno popolare per la guerra di liberazione dalle truppe russe rimane molto solido.Cresce l’allarme nucleare

Tuttavia, l’allarme per il rischio nucleare è significativamente cresciuto negli ultimi mesi. All’annuncio dell’allerta nucleare russa Biden aveva dichiarato di non essere preoccupato dalla prospettiva di una guerra nucleare; più di recente ha ammesso invece che il mondo è vicino all’apocalisse nucleare più di quanto non lo sia stato dalla crisi dei missili di Cuba. Oscillazioni retoriche, si dirà, tipiche dell’attuale presidente americano, ma c’è dell’altro.

Il fatto è che Putin si è messo da solo in un angolo, con una serie di decisioni, foriere di gravi conseguenze, che hanno progressivamente ridotto le opzioni strategiche a sua disposizione. Due in particolare: la mobilitazione su più larga scala di riservisti e altri effettivi, che ha segnato un passo decisivo verso un’escalation che appare senza ritorno; l’annessione alla Russia di quattro regioni ucraine occupate, che ha messo la pietra tombale su ogni realistica prospettiva di una soluzione negoziale. In tal modo, Putin non può puntare che su una vittoria militare. Si è infatti preclusa ogni via d’uscita in caso di nuovi rovesci militari o di uno stallo prolungato che provochi contraccolpi in Russia, indebolendo la sua leadership.

In questo contesto il pericolo nucleare si è fatto più concreto. Messo ancor più alle strette, il capo del Cremlino potrebbe ricorrere all’arma nucleare, vuoi per contrastare una controffensiva ucraina con ordigni tattici, vuoi per segnalare, per esempio con un test nucleare dimostrativo, la determinazione ad andare avanti fino alle estreme conseguenze.

Scenari che rimangono improbabili per le ragioni più volte illustrate su AffarInternazionali – la molto dubbia utilità militare delle armi nucleari tattiche e il sicuro effetto boomerang per Mosca sul piano politico, di qualsivoglia azione che infranga il tabù nucleare – ma che non possono essere trattati alla leggera. Gli Usa hanno minacciato “conseguenze catastrofiche” in caso di ricorso di Mosca al nucleare, senza, per ovvie ragioni di ambiguità strategica, precisarle. Ma, per sventare questo rischio, fondamentale rimane soprattutto la coesione occidentale nel sostegno all’Ucraina. Questa è stata e rimane di gran lunga l’arma di dissuasione più efficace nei confronti di Putin.

Foto di copertina EPA/MIKHAIL METZEL/KREMLIN / POOL MANDATORY CREDIT

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Podcast: La guerra all’Ucraina vista dalla Conferenza di Monaco

Mar, 02/21/2023 – 13:49

Dal 17 al 19 febbraio a Monaco di Baviera, in Germania, si è svolta la 59ª edizione della Conferenza di Monaco sulla sicurezza. Quest’anno la conferenza ha coinvolto 96 Stati, numerosi diplomatici e analisti politici, che hanno discusso le sfide alla sicurezza in Europa dopo l’invasione russa dell’Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022.

In questo podcast, il direttore dello IAI Nathalie Tocci parla delle conclusioni della Conferenza, a partire dalle speranze, oramai sparite, di una trattativa possibile con la Russia. Le due questioni principali emerse della Conferenza, spiega il direttore, sono da un lato il modo in cui l’occidente sta ripensando il suo ruolo globale e, dall’altro, il modo in cui il sud globale percepisce la guerra della Russia all’Ucraina.https://www.affarinternazionali.it/wp-content/uploads/2023/02/Nathalie_Monaco.mp3

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Prudente, ma fermo. Biden e l’attacco all’Ucraina

Mar, 02/21/2023 – 08:09

Se non fosse per gli Stati Uniti, oggi Vladimir Putin avrebbe raggiunto l’obiettivo di distruggere l’Ucraina come Stato indipendente. Washington ha posto un freno alle ambizioni imperialistiche di Putin e nello stesso tempo riaffermato la leadership Usa in Europa. Questi sono i risultati conseguiti dalla gestione prudente ma competente della crisi da parte dell’amministrazione di Joe Biden in questo primo anno di guerra.Diplomazia, comunicazione e autonomia Nato

Già prima dell’invasione, l’amministrazione si era spesa per persuadere gli alleati europei – e la stessa Ucraina – che Putin stava pianificando un’invasione su larga scala. Washington e i suoi alleati europei hanno così cominciato a lavorare su potenziali risposte già a cavallo del 2021 e 2022. Su iniziativa americana, la Nato ha potenziato le sue capacità di difesa sul fianco orientale, mentre l’Ue discuteva una serie di potenziali sanzioni con cui colpire la Russia in caso di invasione. L’amministrazione Biden ha anche preparato il terreno sul fronte della comunicazione, rendendo pubbliche le valutazioni della sua intelligence circa l’imminenza di un’invasione. In questo modo Washington ha spiazzato Mosca riducendo l’efficacia della campagna di disinformazione russa che ha accompagnato l’avvio delle operazioni militari.

Tuttavia, né queste misure né l’apertura diplomatica fatta a gennaio 2022 da Biden a Putin – a cui è stato offerto un dialogo a tutto campo sulla sicurezza europea, pur nel rispetto della sovranità dell’Ucraina e dell’autonomia della Nato – sono state efficaci a cambiare i piani del presidente russo. Il lavoro preparatorio è stato però efficace nell’innescare l’immediata e durissima reazione atlantica. Gli esempi più clamorosi di questa iniziale tranche di misure punitive sono stati la decisione di escludere quasi tutte le banche russe dal sistema di messaggistica interbancaria Swift e il congelamento dei titoli in euro e dollari della Banca centrale russa, quasi la metà dei 630 miliardi di dollari totali.Gli aiuti americani

Sul piano militare, il problema per l’amministrazione Biden è stato quello di adattare l’assistenza all’Ucraina all’andamento del conflitto senza innescare un’escalation tra Nato e Russia. Col senno di poi, Biden avrebbe potuto offrire un maggiore livello di sostegno all’Ucraina più tempestivamente. Ma quest’argomento si scontra col fatto che il presidente abbia dovuto costruire il consenso all’invio di armi più sofisticate – nell’opinione pubblica americana, al Congresso e tra gli alleati – gradualmente, testando di volta in volta le indefinite ‘linee rosse’ oltre le quali Putin avrebbe potuto usare armi non convenzionali, compresa l’atomica.

Prudente ma fermo, Biden ha escluso l’invio di truppe e costantemente ammonito sui rischi di una guerra più vasta. Così facendo, ha ottenuto senza grandi problemi lo stanziamento da parte del Congresso di colossali fondi all’Ucraina – per aiuti umanitari, supporto diretto al bilancio statale, assistenza di sicurezza e forniture militari – per un ammontare di oltre 50 miliardi di dollari nel solo 2022. E questo spiega anche perché le armi più sofisticate – dagli Himars ai Patriots – siano arrivate a intervalli irregolari tra luglio e dicembre.La linea di Biden

Parallelamente, l’amministrazione Biden ha lavorato a mantenere coeso e coinvolto il fronte alleato. Si è accordata in seno al G7 per il tetto al prezzo del petrolio russo, necessario a sostenere l’embargo Ue sulle importazioni petrolifere via mare. Non si è opposta ai tentativi del presidente francese Emmanuel Macron di mantenere un canale di dialogo aperto con Mosca. Con la promessa di spedire in Ucraina una trentina carrarmati Abrams (in realtà di dubbia utilità), ha dato al cancelliere tedesco Olaf Scholz la copertura politica interna per acconsentire infine a inviare i carrarmati tedeschi Leopard 2 a Kyiv.

La linea di Biden è di sostenere l’Ucraina e forzare la Russia a negoziare una resa. In questo senso restano aperte questioni fondamentali, come definire la natura della vittoria militare ucraina (recupero di tutto il territorio perduto nel 2022? di più? di meno?) o tenere coeso il fronte atlantico qualora le prospettive di vittoria si allontanino. Si aggiunge alle difficoltà il fatto che il supporto al coinvolgimento Usa nella guerra è andato calando tra i Repubblicani, che ora controllano la Camera. Eppure, opzioni alternative in grado di catturare grande consenso pubblico o tra gli alleati europei non esistono; una conferma della competente gestione della guerra da parte americana.

Foto di copertina EPA/PRESIDENT OF UKRAINE VOLODYMYR ZELENSKY HANDOUT

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La corsa verso ‘Usa 2024’ aspetta la decisione di Joe Biden

Mar, 02/21/2023 – 06:30

Un pool di medici ha certificato che Joe Biden “è un uomo di 80 anni in salute e vigoroso”, “idoneo ad assolvere i doveri della presidenza, come capo dell’Esecutivo, capo dello Stato e comandante in capo”: più che un bollettino medico, le conclusioni del check-up annuale cui il presidente degli Stati Uniti si è sottoposto giovedì 16 febbraio – sono un viatico alla ricandidatura per le elezioni presidenziali del 2024. Formalmente, Biden non l’ha ancora annunciata, anche se il discorso sullo stato dell’Unione di martedì 7 febbraio ne era parso il prologo.Democratici ‘congelati’ dal presidente

Il bollettino, firmato dal medico della Casa Bianca, il colonnello Kevin O’Connor, è confezionato per attenuare le perplessità di chi considera il presidente troppo vecchio per tentare il bis e, soprattutto, per reggere un secondo mandato. L’opinione è diffusa anche in campo democratico: oltre un elettore democratico su due, il 52%, pensa che Biden non dovrebbe ripresentarsi.

L’attesa delle decisioni di Biden ‘congela’, a 20 mesi dalle elezioni presidenziali dell’anno prossimo, il campo democratico, dove nessuna candidatura alla nomination è stata ancora ufficializzata. Un sondaggio Reuters/Ipsos, da cui abbiamo ricavato il dato precedente, indica che Biden è comunque in testa alle preferenze degli elettori democratici: il 35% lo sostiene, davanti al senatore indipendente e socialista Bernie Sanders al 13% – un anno più vecchio di Biden -, alla sua vice Kamala Harris al 12% e a Pete Buttigieg, ministro dei Trasporti, al 10%.

Più che Usa 2024, sembra un remake di Usa 2020: sono, infatti, tutti nomi di quella corsa, perché, finora, nessun volto nuovo s’è fatto avanti. E se Biden si candida, il campo democratico potrebbe restare semi-deserto, riducendo le primarie a una formalità.Il campo repubblicano

C’è, invece, fermento in campo repubblicano, dove la mossa precoce di Donald Trump, 77 anni, già sceso in campo, innesca reazioni. Nikki Haley, 51 anni, ex rappresentante degli Usa all’Onu durante la prima metà dell’Amministrazione Trump ed ex governatrice della South Carolina, si è candidata alla nomination repubblicana – se riuscisse nel suo intento sarebbe la prima donna ad ottenerla. Il governatore della Florida Ron DeSantis, reduce da una grossa affermazione personale nel voto di midterm dell’8 novembre 2022, l’ex vice di Trump Mike Pence e l’ex segretario di Stato Mike Pompeo stanno valutando se e quando entrare in lizza.

Il sondaggio Ipsos/Reuters dice che Trump è attualmente il battistrada in campo repubblicano: gode del 43% delle intenzioni di voto, davanti a DeSantis al 31%. Haley, che deve ancora costruire la sua notorietà nazionale, è al 4%; Pence, che ha l’ostilità di tutti i ‘trumpiani’, che lo accusano di slealtà, e Pompeo sono indietro.

Con il suo annuncio, fatto mercoledì scorso 15 febbraio a Charleston, Haley è divenuta la prima e, per ora, unica rivale importante di Trump per la nomination repubblicana. Di origini indiane – è figlia di immigrati -, ha doti di empatia e abilità politiche. Gli strateghi elettorali ritengono che l’allargarsi del campo repubblicano sia un vantaggio per Trump, la cui fetta di consensi è larga e sostanzialmente solida, mentre i suoi contendenti si dividerebbero il campo restante.Inchieste e guai giudiziari verso Usa2024

Le prime battute di Usa 2024 – si voterà il 5 novembre 2024 – si incrociano con strascichi giudiziari della presidenza Trump e con la caccia ai documenti confidenziali che presidenti e vice-presidenti del recente passato si sono portati via, più o meno consapevolmente, dalla Casa Bianca. Su ordine del Dipartimento della Giustizia, l’Fbi ha perquisito le residenze e gli uffici di Trump e ha poi passato al setaccio quelli di Biden e di Pence, trovando ovunque qualcosa. Gli Archivi Nazionali hanno invitato tutti i reduci dalla Casa Bianca viventi a frugare fra le proprie carte, per vedere se non vi sia qualcosa che debba essere loro consegnato.

La vicenda non pare impressionare gli elettori, anche se l’atteggiamento non collaborativo di Trump e dei suoi legali accresce i dubbi sulla sua attitudine a ricoprire incarichi pubblici. Sondaggi di Ap e Cnn indicano che il grado di approvazione dell’operato di Biden non è funzione del ritrovamento o meno di documenti nei suoi uffici o – com’è avvenuto – nel suo garage: resta stabile intorno al 45%, piuttosto basso, ma non ai suoi minimi. Della questione, si stanno occupando procuratori speciali, uno per Trump e uno per Biden.

Nei confronti di Trump, vanno avanti le inchieste sui tentativi di rovesciare l’esito delle elezioni del 2020 – in Georgia e a livello federale: si sta muovendo il Dipartimento di Giustizia e parallelamente, sono in corso indagini a New York sulle pratiche finanziarie della Trump Organization, la holding di famiglia.

L’Amministrazione Biden, intanto, è alle prese con la guerra in Ucraina, con la ‘guerra dei palloni’ con la Cina e, sul fronte interno, con lo spettro di un ‘default’ federale, che potrebbe avvenire tra luglio e settembre, se il Congresso non alza il limite del debito federale. La previsione è del Congressional Budget Office. La Casa Bianca e l’opposizione repubblicana stanno negoziando: per alzare il tetto del debito, i repubblicani chiedono tagli alla spesa pubblica; i democratici, invece, vogliono tenere distinti i due problemi. Se ne parlerà nei mesi a venire.

5490.- L’Occidente sta effettuando una escalation della guerra in Ucraina?

Leggo con interesse e ripropongo a mia volta questa lucida analisi perché lo scollamento fra la leadership occidentale e i suoi cittadini ci rendi deboli e sta producendo una guerra senza eroi, negli Stati Uniti come in Europa e nella stessa Ucraina. Nel centro di Washington si è svolta una manifestazione di massa contro la fornitura di armi a Kiev. Il Pentagono USA ha già speso $27 miliardi in questa guerra per procura; cresce l’insoddisfazione degli americani per la spesa multimiliardaria per l’Ucraina e cresce la richiesta di una soluzione pacifica, oltre che e non è poco, l’abolizione della NATO. E i soldati in congedo della NATO, in Ucraina, ci sono. Abbiamo assistito all’arruolamento forzoso degli ucraini, alle proteste dei russi, alla imponente marcia dei tedeschi di ieri 25 febbraio, alla Porta di Branderburgo, a Berlino. In decine di migliaia, 50.000 si dice e intere famiglie, Dimostravano contro l’escalation del conflitto in Ucraina, contro la consegna a Zelensky dei carri da battaglia Leopard II e per i negoziati di Pace. I cartelli recavano: “Stiamo ancora sparando contro ucraini e russi”, “Questa non è la nostra guerra”, “Armi tedesche stanno uccidendo di nuovo ucraini e russi”. In Italia, come in Francia, il governo è allineato alla politica di Washington. Lo era Draghi e lo è Meloni. Giusto o non che sia, i media non bastano più a manovrare l’opinione pubblica. Ieri i lavoratori portuali del porto di Genova si sono nuovamente rifiutati di inviare armi in Ucraina. Manifestazioni di massa contro l’UE e la NATO si sono svolte anche in Grecian e a Roma, Milano, Napoli, Torino, Firenze e in molte altre città italiane. La gente non vuole marciare alla frontiera, non vuole combattere l’invasore; ma quello che i media occidentali non ricordano è che nei giorni precedenti al 24 febbraio, il fuoco di artiglieria nel Donbass era sempre più intenso. L’esercito ucraino aveva 110.000 soldati al confine. Stava per invadere… Riuscirà la diplomazia a recuperare i valori delle democrazie occidentali?

Di Sabino Paciolla|Febbraio 25th, 2023

Ad un anno dall’inizio della guerra è giunto il momento che l’Occidente si ponga con realismo alcune domande per porre fine ad un assurdo e insensato bagno di sangue. Ci aiuta a capire queste domande un lucido articolo di Arta Moeini, pubblicato su Unherd. Eccolo nella mia traduzione. 

Biden a Kiev abbraccia Zelensky 20 02 2023

 

È passato appena un giorno dalla richiesta di carri armati tedeschi Leopard-2 da parte dell’Ucraina, quando il governo di Kiev ha chiesto ai Paesi della NATO di dimostrare ancora una volta la loro solidarietà fornendole i caccia F-16 di produzione statunitense. Sebbene gli esperti militari dubitino che questi veicoli modificheranno in modo significativo la situazione sul campo di battaglia, Kiev li pubblicizza come importanti simboli della determinazione politica dell’Occidente.

“La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, scriveva Clausewitz nel 1832. A un anno dalla guerra russo-ucraina, qual è la politica dell’Ucraina? O dell’America
, della Germania e degli altri alleati della Nato? I ripetuti appelli dell’Ucraina per un maggiore sostegno e la risposta accomodante dell’Occidente sono un caso di sfruttamento della “pubblicità strategica”, di diplomazia performativa, di solidarietà dell’alleanza o di qualcosa di completamente diverso? Dopotutto, per quanto gli ucraini stiano combattendo contro le forze russe e subendo ingenti perdite per proteggere l’integrità territoriale dello Stato ucraino, oggi la Nato è apertamente impegnata in una guerra per procura che rischia di trasformarsi in un conflitto catastrofico tra Occidente e Russia.

Sebbene il realismo in politica estera possa aiutare a delineare, persino a prevedere, i contorni generali della guerra e a spiegare la politica di Mosca e Kiev, questa posizione realista mainstream, rappresentata da personaggi come John Mearsheimer, fornisce un resoconto incompleto del comportamento della maggior parte degli alleati occidentali, in particolare degli Stati Uniti. Per comprendere il processo decisionale occidentale e le peculiari dinamiche interalleate della Nato, abbiamo bisogno di un realismo più radicale che prenda in seria considerazione le dimensioni non fisiche, psicologiche e “ontologiche” della sicurezza – comprendendo il bisogno di uno Stato o di un’organizzazione di superare l’incertezza stabilendo narrazioni e identità ordinate sul proprio senso di “sé”.

Tuttavia, i conti realisti “strutturali” – incentrati sull’anarchia sistemica, la sicurezza fisica, l’equilibrio di potere e le dimensioni politiche della strategia – possono aiutare a spiegare alcuni aspetti del processo decisionale strategico dell’Ucraina. In un recente studio per l’Institute for Peace & Diplomacy, di cui sono coautore, abbiamo analizzato le ragioni strutturali che guidano il calcolo strategico dell’Ucraina. Abbiamo suggerito che, in qualità di “equilibratore regionale”, l’Ucraina ha corso un rischio enorme sfidando le linee guida russe sul rifiuto esplicito da parte di Kiev delle offerte della Nato e sull’interruzione di qualsiasi integrazione militare con l’Occidente. Si è trattato di una mossa massimalista che presupponeva il sostegno militare dell’Occidente e rischiava di provocare attivamente Mosca a proprio svantaggio strategico.

Scegliendo la strategia più rischiosa, a somma zero, volta a ostacolare la sfera di influenza storica e geopolitica di una potenza regionale e civile vicina, l’Ucraina è stata forse imprudente, ma non per questo irrazionale. Come abbiamo scritto:

“Praticamente tutte le alleanze di sicurezza americane oggi sono accordi asimmetrici tra gli Stati Uniti e gli equilibratori regionali – una classe di Stati regionali più piccoli e periferici che cercano di bilanciarsi con le medie potenze dominanti nelle rispettive regioni. In quanto grande potenza, l’America possiede una capacità intrinseca di invadere altri complessi di sicurezza regionale (RSC). In questo contesto, è ragionevole che gli equilibratori regionali cerchino di attirare e sfruttare il potere americano al servizio dei loro particolari interessi di sicurezza regionale”.

Fissare un obiettivo così elevato, tuttavia, significava di fatto che Kiev non avrebbe mai potuto avere successo senza un intervento attivo della NATO che spostasse l’equilibrio di potere a suo favore. In virtù della sua decisione, l’Ucraina, insieme ai suoi partner più stretti in Polonia e nei Paesi baltici, è diventata il classico “alleato di Troia” – Paesi più piccoli il cui desiderio di avere un peso regionale contro la media potenza esistente (la Russia) si basa sulla capacità di persuadere una grande potenza esterna e la sua rete militare globale (in questo caso, gli Stati Uniti e, per estensione, la Nato) a intervenire militarmente a loro favore. Come abbiamo osservato nel nostro studio, “questo avviene con grandi rischi per l’equilibratore regionale e con grandi costi per la grande potenza esterna”. Infatti, in ultima analisi, l’accordo dipende dalla “minaccia dell’uso della forza e dell’intervento militare” da parte della grande potenza esterna, senza la quale l’equilibratore regionale fallirebbe.

L’ambizione strategica dell’Ucraina è quella di superare la Russia una volta per tutte e di staccarsi dal controllo storico di Mosca. Mettendo da parte le pretestuose e facili giustificazioni russe per l’invasione, che cercano di sbeffeggiare l’intervento militare della NATO in Jugoslavia, è lo schiacciamento di questa più grande ambizione ucraina a motivare il Cremlino. Questo spiega l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014, le sue aspirazioni agli accordi di Minsk e il ricorso finale all’azione militare.

Una volta iniziata l’invasione russa, l’obiettivo di Kiev di contrastare Mosca e mantenere intatti i propri territori è diventato impossibile senza un intervento militare occidentale. Il futuro dell’Ucraina come Stato sovrano dipenderebbe ora dalla sua capacità di organizzare con successo un’escalation. Dal punto di vista dell’Ucraina, quindi, il desiderio di ricevere forniture di armamenti sempre più sofisticati dalle nazioni occidentali più potenti non è motivato principalmente dal loro immediato impatto pratico e tattico – dopo tutto, la consegna e l’addestramento per questi sistemi saranno ancora lontani mesi. No, le richieste ucraine derivano in gran parte da ciò che l’introduzione di queste armi rappresenterebbe dal punto di vista politico e dalle conseguenze geostrategiche a lungo termine per la prossima fase della guerra.

È infatti nell’interesse di Kiev indirizzare la NATO verso un maggiore coinvolgimento nella guerra. L’Ucraina ha fatto ricorso a una combinazione di tattiche – tra cui la guerra d’informazione e lo sfruttamento del senso di colpa storico dell’Occidente – per istigare una cascata informativa e reputazionale tra i membri della NATO che assicurerebbe l’adesione alle richieste ucraine. Date le sue evidenti debolezze a lungo termine in termini di manodopera di qualità, artiglieria e munizioni, il governo Zelenskyy ha combattuto astutamente una guerra ibrida fin dall’inizio, sapendo che l’Ucraina non può sconfiggere la Russia senza che la Nato combatta al suo fianco. La domanda che ci si pone ora è se l’Occidente debba lasciarsi intrappolare in questa guerra, mettendo a rischio il destino del mondo intero.

Secondo la concezione materialista della sicurezza offerta dalla maggior parte dei realisti, per l’America e l’Europa occidentale non ci sono grandi vantaggi, e certamente non c’è un vero interesse nazionale o strategico, nel farsi trascinare in quella che è essenzialmente una guerra regionale in Europa orientale che coinvolge due diversi Stati nazionalisti. Da un punto di vista ontologico, tuttavia, un establishment di politica estera anglo-americano che si “identifica” fortemente con l’unipolarismo statunitense ha investito molto nel mantenimento dello status quo, impedendo la formazione di una nuova architettura di sicurezza collettiva in Europa, che sarebbe incentrata su Russia e Germania piuttosto che sugli Stati Uniti. Come ha osservato l’analista geopolitico George Friedman nel 2015: “Per gli Stati Uniti, la paura primordiale è… [l’accoppiamento di] tecnologia e capitale tedeschi, [con] risorse naturali russe [e] manodopera russa”.

Forse seguendo una logica simile, l’establishment statunitense ha lavorato per distruggere qualsiasi possibilità di formazione di un asse Berlino-Mosca allineandosi al blocco Intermarium di Paesi dal Baltico al Mar Nero, opponendosi ripetutamente (e minacciando apertamente) i gasdotti Nord Stream e respingendo deliberatamente l’insistenza russa su un’Ucraina neutrale. In relazione all’Ucraina, l’obiettivo iniziale di un’alleanza ideologica occidentale orientata verso “valori condivisi”, come la Nato è diventata con la dissoluzione dell’URSS, era quello di trasformare il Paese in un albatros occidentale per la Russia, di impantanare Mosca in un pantano esteso per indebolire il suo potere e la sua influenza regionale e persino di incoraggiare un cambio di regime al Cremlino.

Se si accetta la logica di questa strategia, allora sembra plausibile un limitato sostegno militare dell’Occidente agli obiettivi di guerra ucraini, finalizzato alla creazione di un conflitto conflittuale e congelato. Tuttavia, anche in questo scenario, l’espansione della portata e del grado di tale sostegno fino a includere sistemi d’arma avanzati, come gli F-16 o i missili a lungo raggio, non è solo imprudente, ma sempre più suicida in qualsiasi calcolo costi-benefici. Un sostegno così esplicitamente ostile potrebbe far degenerare la guerra per procura in una guerra diretta e convenzionale – uno scenario da terza guerra mondiale, che il Presidente Biden insiste di voler evitare. Inoltre, nell’improbabile caso che tale assistenza militare espansiva riesca a cacciare le forze russe dal Donbas, per non parlare della Crimea (dove la Russia possiede una grande base navale), aumenterebbe drammaticamente la probabilità di un evento nucleare, dato che Mosca considera la protezione della sua roccaforte strategica nel Mar Nero come un imperativo esistenziale.

Perché allora l’Occidente continua ad assecondare l’Ucraina e a cedere alle pressioni reputazionali e al braccio di ferro dei nuovi membri della Nato nel corridoio Intermarium? Le cause sono molteplici e vanno dagli interessi privati e istituzionali dell’establishment internazionalista liberale alla diffusione di una visione del mondo manichea all’interno dell’alleanza. L’aspetto più importante, tuttavia, è il fenomeno della compulsione di gruppo verso l’escalation, aggravata dall’insicurezza ontologica, che si verifica quando eventi storici mondiali improvvisi e tragici come l’invasione russa sconvolgono il senso unitario di ordine e continuità nel mondo.

Esacerbata dall’allargamento e dalla trasformazione della NATO in un colosso istituzionale di circa 30 nazioni con percezioni diverse della minaccia e della sicurezza, questa coazione ha plasmato e rafforzato una “identità” unificata tra le nazioni occidentali – una narrazione di noi contro di loro. In una condizione di insicurezza ontologica, le correnti socio-psicologiche ed emotive permettono di creare cascate di reputazione, di imporre il conformismo in nome dell’unità dell’Occidente e di rafforzare la “polarizzazione di gruppo” intorno alla scelta più rischiosa, che garantisce l’adozione di politiche più estreme ed escalatorie. E, cosa fondamentale, gli alleati troiani usano comprensibilmente queste dinamiche per promuovere i loro reali interessi nazionali e di sicurezza all’interno dell’alleanza, dando loro un ruolo molto più importante nel processo decisionale di quanto il loro potere relativo potrebbe far pensare.

Un’analisi più attenta del discorso interalleanza all’interno della Nato rivela anche una psicologia attivista che si cela sotto il segnale politico e ideologico. Dato che l’ideologia – in particolare l’umanitarismo e il democratismo liberali – gioca un ruolo chiave nel mantenimento dell’alleanza, il suo processo decisionale è predisposto alla fallacia dell’action bias: l’idea che fare qualcosa sia sempre meglio che non fare nulla. Questa sorta di mentalità reciproca, che si rafforza a vicenda, tra i membri dell’alleanza che professano un’”etica della cura” attivista, interpreta di riflesso la responsabilità come azione, mentre rimprovera l’esitazione e la moderazione come disumane. La dinamica ricorda l’osservazione di Nietzsche ne La nascita della tragedia, secondo cui “l’azione richiede di essere avvolti da un velo di illusione”; in questo caso, il “velo di illusione” è fornito dal processo ontologico di formazione dell’identità e dalle narrazioni condivise di “responsabilità collettiva” e “unità occidentale”.

Nel contesto del processo decisionale interalleanza, un’etica di questo tipo non può fare a meno di assecondare le richieste che le vengono rivolte, tanto più che i pari più rumorosi possono mascherare questa costrizione con il presunto imperativo morale di promuovere l’unità occidentale, difendere i “nostri valori” e combattere il male reazionario. La ricerca di sicurezza ontologica di una grande potenza globale ed egemonica come gli Stati Uniti mette in primo piano la necessità di un’ideologia che le offra un senso di coerenza, che faccia apparire le sue azioni come significative e giustificate. Lo stesso fenomeno vale per la Nato, che – pur non essendo uno Stato ma un’istituzione – è oggi praticamente un alter-ego degli Stati Uniti.

Ora, questo potrebbe sembrare indicare una tensione intrinseca tra il desiderio di un racconto di ancoraggio su “chi siamo” e la più tradizionale sicurezza materiale che si basa sull’autoconservazione fisica. Ma se questo è vero in alcuni casi, soprattutto in relazione a grandi potenze ideologiche come gli Stati Uniti, la cui auto-narrazione idealistica dell’eccezionalismo americano spesso si scontra con i suoi interessi reali, la ricerca di sicurezza ontologica e fisica è più congruente negli Stati più piccoli e di medio livello, per i quali sia gli interessi che le identità sono più radicati, localizzati e reali.

Nell’Anglosfera, forse a causa dell’eredità dell’imperialismo e della realtà storica dell’unipolarismo, esiste attualmente uno scollamento tra gli autentici interessi nazionali, definiti in modo ristretto e concreto, e il comportamento del suo establishment di politica estera liberale e internazionalista, che privilegia la ricerca di una sicurezza ontologica con ramificazioni globali. Questo fatto deve essere rettificato. Fortunatamente, ci sono i primi segni che il Presidente Biden e almeno alcuni dei suoi consiglieri, tra cui il presidente dello Stato Maggiore degli Stati Uniti, Gen. Mark Milley, hanno percepito questa terribile realtà e le sue ricadute potenzialmente pericolose, e stanno iniziando a parlare della necessità di negoziati e di una soluzione diplomatica in Ucraina.

All’inizio del secondo anno di guerra, molti a Washington si sono finalmente resi conto che l’esito probabile di questa tragedia è lo stallo: “Continueremo a cercare di convincere [la leadership ucraina] che non possiamo fare tutto e niente per sempre”, ha dichiarato questa settimana un alto funzionario dell’amministrazione Biden. Per quanto si parli di agenzia ucraina, questa dipende interamente dall’impegno della NATO a continuare a sostenere lo sforzo bellico di Kiev a tempo indeterminato. Un desiderio così massimalista di “vittoria completa” non solo è altamente distruttivo e fa pensare a un’altra guerra infinita, ma è anche imprudente; il suo stesso successo potrebbe scatenare un olocausto nucleare.

Mosca ha già pagato a caro prezzo le sue trasgressioni in Ucraina. Prolungare la guerra a questo punto, in una ricerca ideologica di vittoria totale, è discutibile sia dal punto di vista strategico che morale. Per molti internazionalisti liberali in Occidente, la richiesta di una “pace giusta” che sia sufficientemente punitiva per la Russia suggerisce poco più di un desiderio poco velato di imporre a Mosca una pace cartaginese. L’Occidente ha effettivamente ferito la Russia; ora deve decidere se lasciare che questa ferita si incancrenisca e faccia esplodere il mondo intero. Infatti, a meno che a Mosca non venga fornita una ragionevole via d’uscita che riconosca lo status della Russia come potenza regionale con i propri imperativi esistenziali di sicurezza strategica e ontologica, questo è il precipizio verso cui ci stiamo dirigendo.

Arta Moeini

5489.- LA GUERRA IN UCRAINA, UN ANNO DI BUGIE.

Oggi è un anno dall’inizio dell’Operazione Speciale di Putin. Massimo Mazzucco ricapitola le falsità della propaganda americana, ma senza concludere nulla. Vogliamo annotarlo.

Abbiamo scienza e coscienza dei metodi con cui gli USA e, per estensione, la Nato demonizzano gli avversari, bombardando con la propaganda la mente dei propri soldati e degli alleati. Lo capimmo dopo la Guerra Fredda, osservando la povertà degli eserciti comunisti; ma il punto non sono le bugie. Come dicevamo sere fa a Prima Free TV, il punto è che gli Stati Uniti rappresentano ed esprimono la loro leadership sull’Occidente e lo dominano. Ne portano la responsabilità, dettano, perciò, le linee da seguire in politica estera e in economia e non concedono deviazioni. Lo compresero gli italiani con la morte di Aldo Moro e lo hanno dimostrato ora, anzitutto ai tedeschi, con l’attacco, già annunciato, ai gasdotti North Stream. Questa leadership, per noi europei, fa riferimento alla Nato, ma l’Alleanza non era più salda dopo la riunificazione della Germania e dopo l’allargamento a Est perché il suo vero obiettivo è il controllo dell’Europa e della Federazione Russa e non la difesa da questa, in una parola, il dominio sull’Eurasia, condizione per affrontare con successo la sfida delle neo-potenze asiatiche nell’indo-Pacifico e nell’Artico, segnatamente, la Cina. Con la guerra in Ucraina, sembra di capire che Washington abbia voluto ricompattare i governi dell’Alleanza – se così si può ancora chiamare – intorno a sé, intenda privare la Federazione Russa della sua capacità strategica, confinandola alle dipendenze strategiche di Pechino. Questo è ciò che Mosca proprio non vuole ed è alla radice dell’altolà dato dall’Operazione Speciale di Putin all’Ucraina nella Nato. Un altolà tardivo, preceduto da inutili avvertimenti e pianificato troppo ottimisticamente. Biden ha fatto un uso spregiudicato della minaccia di intervento militare senza, apparentemente, rischiare un solo uomo. Non solo! Ha spostato ricchezze vitali dai Paesi europei agli Stati Uniti. Ha lasciato credere al mondo che non sarebbe intervenuto militarmente a fianco dell’Ucraina e, a quest’ultima, di poter sfidare la potenza russa, sfruttando il potere americano e fidando in una integrazione militare come membro in pectore della Nato. Sappiamo, in realtà e lo sapeva meglio Putin, che la Nato era già in Ucraina. L’Europa, con la sua tecnologia e la Federazione Russa, con le sue ricchezze, sono complementari. Quanto di questa guerra fa capo alla insignificanza politica della Unione europea? Lo ha dimostrato la marina americana sabotando i gasdotti russi, anzi, russo-tedeschi, che alimentavano l’economia tedesca, finanziando quella russa; lo ha confermato la Germania acconsentendo, obtorto collo, al trasferimento agli ucraini dei carri armati Leopard II e sappiamo che tutti i missili, i Leopard, i droni strategici, la rete satellitare, con cui deve fare i conti la Russia, i futuri jet, non possono essere gestiti in combattimento soltanto da ucraini. Infatti, un conto è pilotare, ben altro conto è combattere. Chi ha impostato i dati rilevati dai drone Global Hawk e ha diretto i missili Harpoon britannici contro la fregata Moskwa? Quindi, l’Unione europea di Bruxelles è un cavallo di Troia americano, la Russia non deve essere parte dell’Occidente e quanto a Washington e Pechino? Entrambe non hanno i numeri per prevalere l’una sull’altra e ben possono essere legate da un patto, anche non scritto, per il mantenimento della divisione fra le due Coree, altrimenti, possibile competitor della Cina, più dell’India, coacervo di almeno 200 popoli. Probabilmente, questo patto, è fra le ragioni, ma non l’unica, della politica di non impegno di Pechino sulla guerra in Ucraina, che vediamo attiva soltanto all’ONU.

Mario Donnini

5488.- Putin e il suo discorso alla nazione

L’Occidente commetterà un errore fatale se ignorerà quanto detto da Putin nel suo discorso alla nazione

Di Sabino Paciolla|Febbraio 24th, 2023

Di seguito il commento di Larry C. Johnson sul discorso di Vladimir Putyin tenuto il 21 febbraio scorso alla nazione.  Larry C. Johnson è un veterano della CIA e dell’Ufficio antiterrorismo del Dipartimento di Stato. Eccolo nella mia traduzione. 

Vladimir Putin Discorso del 21 febbraio 2023

 

Riflettendo sul tanto atteso discorso di Putin all’assemblea nazionale russa, sono stato colpito da alcune analogie con la Dichiarazione di indipendenza di Jefferson (segnò la nascita e l’indipendenza della federazione degli Stati Uniti il 4 luglio 1776, data divenuta festività nazionale statunitense, ndr). Che cosa intendo dire? Jefferson iniziò con il suo iconico preambolo (cioè “Riteniamo che queste verità siano evidenti…”) e poi procedette a presentare un’accusa alla Gran Bretagna che creò il presupposto per la ribellione delle Colonie:

La storia dell’attuale Re di Gran Bretagna è una storia di ripetute offese e usurpazioni, tutte aventi come oggetto diretto l’instaurazione di una Tirannia assoluta su questi Stati. Per dimostrarlo, si sottopongano i fatti a un mondo sincero.

Questo è esattamente ciò che Putin ha fatto nei primi 45 minuti del suo discorso – ha presentato la “storia di ripetute ferite e usurpazioni” da parte degli Stati Uniti e della NATO che hanno costretto la Russia a intraprendere l’operazione militare speciale. Ecco alcuni dei punti chiave:

La Russia ha fatto tutto il possibile per risolvere il problema in Ucraina con mezzi pacifici. Ma le dichiarazioni dei leader occidentali si sono trasformate in un falso e in una menzogna.

L’Occidente ha fornito armi e addestrato i battaglioni nazionalisti. Già prima dell’inizio della SMO, erano in corso negoziati per la fornitura di sistemi di difesa aerea e di aerei. Ricordiamo i tentativi di Kiev di ottenere armi nucleari.

Gli Stati Uniti hanno dispiegato basi e laboratori biologici vicino ai nostri confini, padroneggiato il teatro delle operazioni militari, preparato l’Ucraina a una grande guerra.

Abbiamo ricevuto un rifiuto su tutte le posizioni fondamentali. È diventato chiaro che è stato dato il via libera all’attuazione dell’aggressione. La minaccia cresceva di giorno in giorno. Nel febbraio 2022, tutto era pronto per la successiva azione punitiva di Kiev nel Donbass.

Non badano a spese per incoraggiare disordini e colpi di stato in tutto il mondo. In una conferenza a Monaco, la Russia è stata incolpata affinché tutti dimenticassero ciò che l’Occidente aveva fatto negli ultimi decenni. Intere regioni sono nel caos. Gli esperti americani affermano che, a causa delle guerre scatenate dagli Stati Uniti dopo il 2001, sono morte più di 900 mila persone e più di 38 milioni sono diventati rifugiati.

Negli anni ’30, l’Occidente ha aperto ai nazisti la strada verso il potere in Germania, oggi sta facendo dell’Ucraina un progetto “anti-Russia”, che risale al XIX secolo, alimentato da Austria-Ungheria e Polonia per strappare al nostro Paese territori storici.

Putin ha poi cambiato marcia e ha individuato le linee rosse che faranno degenerare l’attuale conflitto dalla smilitarizzazione e dalla de-nazificazione dell’Ucraina a una guerra su larga scala se gli Stati Uniti e la NATO continueranno a finanziare la guerra e ad armare l’Ucraina con armi più sofisticate. Putin ha detto:

Più sistemi occidentali a lungo raggio arriveranno in Ucraina, più saremo costretti ad allontanare la minaccia dai nostri confini.

L’obiettivo dell’Occidente è quello di infliggere alla Russia una sconfitta strategica, di eliminarci una volta per tutte. Risponderemo di conseguenza, perché si tratta dell’esistenza del nostro Paese.

Ricordiamo quali problemi ha dovuto affrontare la defunta economia sovietica. L’economia russa è stata creata sulla base del mercato. Tuttavia, alla fine, la nostra economia si è orientata verso l’Occidente, poiché gli affari erano finalizzati alla vendita di risorse e alla realizzazione di rapidi profitti. Ci sono voluti anni per interrompere questa tendenza e abbiamo ottenuto un cambiamento visibile.

L’immagine dell’Occidente come rifugio sicuro si è rivelata falsa. Coloro che consideravano la Russia solo come una fonte di reddito hanno perso molto. In Occidente sono stati semplicemente derubati.

All’inizio di febbraio è stata rilasciata una dichiarazione della NATO con la richiesta concreta a Mosca di “tornare all’attuazione del trattato sulle armi strategiche offensive”, compresa l’ammissione di ispezioni alle nostre strutture. Sappiamo che l’Occidente è coinvolto nei tentativi di Kiev di colpire le nostre basi aeree strategiche. Ora vogliono ancora ispezionare le nostre installazioni di difesa? Sembra un’assurdità.

Gli Stati Uniti e la NATO dicono apertamente che il loro obiettivo è quello di infliggere una sconfitta strategica alla Russia, e allo stesso tempo hanno intenzione di girare intorno alle nostre strutture? Ho firmato un decreto per l’impiego di nuovi sistemi strategici terrestri in servizio di combattimento. Li lasceremo entrare?

Una settimana fa ho firmato un decreto per l’impiego in combattimento dei più recenti sistemi missilistici terrestri.

La Russia sospende la sua partecipazione al trattato sulle armi strategiche offensive.

Quando Putin ha presentato il suo piano d’azione, i russi hanno convocato l’ambasciatore americano al Ministero degli Esteri e hanno consegnato una forte Démarche:

La nota di protesta consegnata all’ambasciatore sottolinea che il rifornimento di armi alle Forze Armate dell’Ucraina, così come il trasferimento delle designazioni degli obiettivi per gli attacchi contro le infrastrutture militari e civili russe, dimostrano chiaramente l’incoerenza e la falsità delle affermazioni della parte americana, secondo cui gli Stati Uniti non sono una parte del conflitto. È stato inoltre indicato che le armi fornite a Kiev, così come il personale di servizio, compresi i cittadini americani, sono un obiettivo legittimo.

A questo proposito, all’ambasciatore è stato detto che l’attuale corso aggressivo degli Stati Uniti per approfondire il conflitto con la Russia in tutti i settori è controproducente. In particolare, è stato osservato che per smorzare la situazione, Washington deve compiere passi che comportino il ritiro delle forze armate e delle attrezzature della NATO e la cessazione delle attività ostili anti-russe.

La Russia ha inoltre sottolineato che gli Stati Uniti devono fornire spiegazioni sulle esplosioni dei gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2 e non interferire con un’indagine obiettiva per identificare i responsabili.

Ciò significa che la Russia sta avvertendo gli Stati Uniti che Mosca riterrà l’America responsabile e che qualsiasi militare e attrezzatura statunitense all’interno dell’Ucraina sarà trattata come un obiettivo legittimo. Guardando i commenti su questo discorso, ho visto che nessuno ha colto la nuova “linea rossa” della Russia.

Prima dell’inizio dell’operazione militare speciale della Russia nel febbraio 2022, molti membri del governo russo, tra cui Putin, credevano di poter negoziare in buona fede con l’Occidente. Gli eventi dell’ultimo anno e la retorica bellicosa dei politici di Washington e della classe dirigente europea hanno convinto i russi che la diplomazia tradizionale è morta. La Russia sta combattendo per la sua stessa esistenza.

Che siate d’accordo o meno è irrilevante. È ciò che credono i leader russi, non solo Putin. L’Occidente commetterà un errore fatale se ignorerà quanto detto oggi da Putin.

5487.- Guerra in Ucraina, comunque vada l’Europa è sconfitta.

La Nuova Bussola Quotidiana, Gianandrea Gaiani, 23-02-2023

In attesa di sviluppi militari o diplomatici che definiscano l’esito del conflitto tra russi e ucraini, è già oggi evidente chi siano gli sconfitti e i vincitori nella guerra iniziata nel 2014 e allargatasi un anno fa. In ogni caso, se anche la guerra finisse oggi, si tornerebbe ai tempi bui di una guerra fredda. Ad uscirne impoverita e sconfitta è l’Europa. 

Ucraina

Da Europa e Stati Uniti si levano dichiarazioni bellicose dopo un anno di guerra tra Russia e Ucraina. L’Occidente sostiene con i suoi leader che l’Ucraina “deve vincere” e la Russia “deve perdere” ma nonostante vengano rispolverate motivazioni altissime in base alle quali Kiev combatterebbe per la libertà di tutti noi, poiché, dopo la caduta dell’Ucraina, Putin invaderebbe l’intera Europa, nessuno dentro i confini della NATO sembra disposto a mandare i propri soldati a “morire per Kiev”. 

In termini militari il conflitto vive la sua quarta fase. Nella prima i russi hanno lanciato un assalto su un fronte di ben 1.500 chilometri con meno di 150mila militari puntando a far cadere il governo ucraino e Volodymyr Zelensky, giungendo al più presto a un accordo di pace che garantisse la neutralità dell’Ucraina e l’indipendenza del Donbass e di un altro paio di regioni del sud est. Obiettivo che sembrava a portata di mano a fine marzo dello scorso anno, ma fallito a causa della resistenza ucraina, con la mobilitazione di centinaia di migliaia di uomini, e soprattutto con l’intervento anglo-americano e poi dell’intera Nato, che hanno fornito ampio supporto militare e d’intelligence. La guerra doveva continuare, sostenevano a Londra e Washington, per “logorare la Russia”.

I contrattacchi ucraini hanno costretto i russi, in inferiorità numerica, a ritirarsi dalle regioni settentrionali e poi anche da quella Kharkiv e dai territori di Kherson a nord del fiume Dnepr, accorciando il fronte in attesa della mobilitazione di 200mila volontari e 300mila riservisti. Una ritirata strategica, costata non poche polemiche a Mosca che hanno lambito anche il Cremlino, ma pragmaticamente necessaria per riorganizzare le forze tenendo un fronte ridimensionato nella sua lunghezza a 800 chilometri.

La terza fase ha visto i russi concentrare la guerra d’attrito nella regione di Donetsk conseguendo pochi vantaggi territoriali, ma imponendo agli ucraini il sacrificio di molte delle loro migliori brigate in base all’ordine di Zelensky di non cedere un metro di terreno all’invasore. Dall’inizio dell’anno, le forti perdite in uomini e mezzi subite dagli ucraini hanno consentito ai russi di avanzare su tre dei quattro fronti attivi (Luhansk, Donetsk e Zaporizhzhia) dando vita a un’offensiva che pare al momento limitata, ma che potrebbe vedere in ogni momento un’accelerazione.

La quarta fase vedrà quindi presumibilmente i russi tornare all’offensiva, vedremo con quali capacità e quante forze tenendo conto che le truppe schierate lungo i confini della Federazione Russa e in Bielorussia potrebbero permettere di aprire nuovi fronti al centro e al nord, anche solo con l’obiettivo di costringere Kiev a disperdere le sue forze sempre più deboli e che l’Occidente non riesce più a rifornire con la necessaria mole di armi, mezzi e munizioni. La ragione è l’impoverimento, se non l’esaurimento, delle scorte limitate di mezzi e munizioni cedibili da parte dei paesi della Nato i cui arsenali sono stati ridotti, specie in Europa, in modo drastico, negli ultimi 25 anni. Anche per questa ragione i russi potrebbero non avere troppa fretta nello scatenare nuove offensive su vasta scala, puntando piuttosto sul logoramento dell’Ucraina e dei suoi alleati occidentali, le cui opinioni pubbliche sono sempre più refrattarie a un coinvolgimento in questo conflitto.

Mosca risente economicamente delle sanzioni occidentali ma non nella misura che sulle due sponde del Nord Atlantico era stato trionfalmente pronosticato. La Russia non è rimasta isolata e il potere di Vladimir Putin sembra più saldo che mai, mentre l’Europa, sul piano economico e della sicurezza, non se la passa molto bene.

Un anno di guerra in Ucraina ci ha riportato ai tempi più bui della Guerra Fredda, anzi a tempi ben peggiori poiché durante la contrapposizione tra i due Blocchi non si erano mai combattute guerre convenzionali su vasta scala nel continente europeo. Se anche il conflitto ucraino terminasse quest’anno, sull’Europa tornerebbe a calare una Cortina di Ferro che imporrebbe tensioni costanti e un riarmo generale già anticipato in molte nazioni europee dagli appelli per il ripristino della leva militare e l’incremento delle spese militari ben oltre il 2% previsto dalla NATO.

In attesa di sviluppi militari o diplomatici che definiscano il possibile esito del conflitto tra russi e ucraini, è già oggi evidente chi siano gli sconfitti e i vincitori nella guerra iniziata nel 2014 ma allargatasi a uno scontro convenzionale su vasta scala a partire dal 24 febbraio 2022. Comunque vada a finire sui campi di battaglia tra gli sconfitti vi sarà l’Ucraina che uscirà in ogni caso devastata in termini economici, di distruzioni belliche, di impatto sociale dei tanti morti e feriti e con probabili perdite territoriali. Anche la Russia pagherà in ogni caso un prezzo elevato a causa della rottura delle relazioni con l’Occidente, costretta a guardare soprattutto all’Asia per le relazioni geopolitiche e per l’export di energia col rischio un più stretto e meno tranquillizzante abbraccio della Cina la cui potenza economica e demografica sovrasta la Russia.

Ma tra gli sconfitti di questo conflitto c’è sicuramente anche l’Europa, costretta a fare i conti con la propria incapacità e irrilevanza geopolitica e con la miopia della sua classe dirigente. Un’Europa  sconfitta senza aver sparato un solo colpo di cannone, condannata dalle sue stesse decisioni a subire una disastrosa crisi economica ed energetica rinunciando agli approvvigionamenti sicuri e a buon mercato di gas e petrolio russo, ridimensionata sul piano strategico dal rango di alleato a quello di vassallo degli Stati Uniti, unici veri trionfatori di questa guerra.

5486.- Verso la scissione della NATO

La “coalizione dei volenterosi” guidata dagli Stati Uniti nella guerra in Ucraina prefigura la scissione della NATO

Di Sabino Paciolla|Febbraio 20th, 2023|Categorie: Editor’s PicksNews|Tag: BidenGermaniaGuerra UcrainaNATOOccidenteVladimir PutinVolodymyr Zelenskyj|0 Commenti

Di seguito vi propongo un ottimo articolo scritto da Mike Whitney, pubblicato sul The Unz Review. Ve lo propongo nella mia traduzione. 

Guerra in Ucraina

 

La distruzione del gasdotto Nord Stream è stata un’azione da gangster che rivela il cancro al cuore dell’”ordine basato sulle regole”. Come possono esistere pace e sicurezza quando la nazione più potente del mondo può distruggere l’infrastruttura critica di altri Paesi senza alcuna deliberazione o procedimento giudiziario? Se il rapporto di Hersh può essere attendibile – e io credo che lo sia – allora dobbiamo supporre che i consiglieri di alto livello dell’amministrazione Biden e il Presidente stesso abbiano deliberatamente perpetrato un atto di terrorismo industriale contro un amico e alleato di lunga data, la Germania. Il coinvolgimento di Biden in questo atto implica che gli Stati Uniti si arrogano il diritto di decidere arbitrariamente quali Paesi possono commerciare con quali altri. E se, per qualche motivo, la compravendita di forniture energetiche è in conflitto con i più ampi obiettivi geopolitici di Washington, gli Stati Uniti ritengono di avere il diritto di distruggere le infrastrutture che rendono possibile tale commercio. Non è forse questa la logica che è stata usata per giustificare l’esplosione del Nord Stream?

Sy Hersh ha reso un servizio al mondo smascherando gli autori del sabotaggio del Nord Stream. La sua denuncia non solo identifica le persone coinvolte, ma suggerisce anche che dovrebbero essere ritenute responsabili delle loro azioni. Sebbene non ci aspettiamo un’indagine approfondita nel prossimo futuro, riteniamo che la portata dell’attacco sia stata un campanello d’allarme per coloro che si aggrappano alla convinzione che il modello unipolare possa produrre risultati moralmente accettabili. L’incidente dimostra che l’azione unilaterale porta inevitabilmente alla violenza criminale contro i deboli e gli indifesi. L’operazione segreta di Biden ha danneggiato ogni uomo, donna e bambino in Europa. È una vera tragedia. Ecco una citazione da una recente intervista con Hersh:

“Penso che questa storia abbia lo stesso potenziale di distruggere la capacità del nostro presidente di radunare il popolo americano a sostegno della guerra, perché mostra qualcosa di così oscuro e così poco americano. Non si tratta di noi. Non stiamo parlando di noi. Si tratta di un gruppo di ufficiali dei servizi segreti e di persone della CIA….”. Seymour Hersh 2:29 min.

Ha ragione, non è vero? L’amministrazione Biden ha calcolato molto male l’impatto che queste rivelazioni avranno sull’opinione pubblica. Il danno reputazionale, da solo, sarà immenso, ma saranno anche usate come prisma attraverso il quale molti critici vedranno la guerra. In realtà, ci sono segnali che indicano che ciò potrebbe già accadere. Domenica, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha confermato che il vero obiettivo della guerra di Washington non è semplicemente quello di “indebolire” la Russia e alla fine dividerla in pezzi più piccoli, ma di forzare una divisione tra Germania e Russia. Ecco cosa ha detto sabato:

Secondo Lavrov, gli Stati Uniti hanno deciso che la Russia e la Germania hanno cooperato “troppo bene” negli ultimi 20-30 anni, stabilendo una potente alleanza basata sulle risorse russe e sulla tecnologia tedesca.

“Questo ha iniziato a minacciare la posizione di monopolio di molte società americane. Pertanto, era necessario rovinarla in qualche modo, e farlo letteralmente”, ha detto il ministro.

“C’è un aspetto qui che è legato al fatto che l’amicizia tra i Paesi, la riconciliazione nazionale tra di loro, come è accaduto tra russi e tedeschi, è diventata un pugno nell’occhio per coloro che non vogliono che appaia qualcuno da qualche parte su questo pianeta, che competa con il principale egemone, che gli Stati Uniti hanno dichiarato di essere”, ha aggiunto Lavrov. (Lavrov says US officials essentially acknowledge Nord Stream blasts were US handiwork”, Tass)

I commenti di Lavrov rafforzano la nostra opinione che il conflitto sia stato architettato dagli esperti di politica estera di Washington, che si sono resi conto che l’integrazione economica tra Germania e Russia rappresentava una seria minaccia al ruolo dominante dell’America nell’ordine globale. Ecco perché Nord Stream è diventato l’obiettivo principale dell’aggressione statunitense, perché il gasdotto era l’arteria vitale che collegava i due continenti e li avvicinava in un’area economica comune che sarebbe diventata la più grande zona di libero scambio del mondo. Questo è ciò che Washington temeva di più ed è il motivo per cui Biden e Co. hanno preso misure così disperate per impedire il rafforzamento delle relazioni economiche tra Germania e Russia. In breve, Nord Stream doveva essere distrutto perché segnava la fine dell’ordine mondiale unipolare.

Invece di ampliare questa teoria ormai logora, prendiamoci un minuto per vedere se riusciamo a capire qualcosa sull’oscura “fonte” di informazioni di Hersh. Permettetemi di formulare una domanda:

Perché la fonte di Sy Hersh gli ha fornito informazioni dettagliate e top secret sul sabotaggio del gasdotto Nord Stream da parte dell’amministrazione Biden?

a. La fonte è un tirapiedi del Cremlino che voleva sovvertire lo sforzo bellico e infliggere gravi danni agli Stati Uniti
b. La fonte è un “comunista” che odia l’America e detesta la democrazia e la libertà
c. La fonte è un drogato di adrenalina che si diverte a mettere a rischio se stesso, la sua famiglia, la sua carriera e la sua libertà.
d. La fonte è un americano preoccupato che pensava che rivelare le informazioni sulla distruzione di Nord Stream avrebbe impedito ai neocons di condurre il Paese in una guerra catastrofica con la Russia.

Se avete scelto la “d”, datevi una pacca sulla spalla, perché è la risposta giusta. Nessuno sano di mente correrebbe i rischi che ha corso la fonte di Hersh se non sentisse che il Paese è in grave pericolo. E, si tenga presente, potremmo non sapere ancora quale sia questo pericolo, dal momento che non conosciamo le future escalation che i neoconservatori stanno pianificando. Ad esempio, potrebbe essere che gli Stati Uniti stiano già pianificando la consegna di F-16 e di sistemi missilistici a lungo raggio che verranno utilizzati per colpire più a fondo il territorio russo. Potrebbe essere che i neocon vogliano far esplodere un ordigno nucleare in Ucraina come parte di un’operazione “false flag”. Oppure Biden intende organizzare una “coalizione dei volenterosi” (Ucraina, Polonia, Romania) che combatterà a fianco delle forze speciali statunitensi in operazioni di combattimento nell’Ucraina orientale. Ognuno di questi sviluppi rappresenta una grave escalation delle ostilità che aumenterebbe la probabilità di uno scontro diretto con la Russia, dotata di armi nucleari. Per dirla con le parole di Joe Biden, “questa è la terza guerra mondiale”.

Ha ragione, sarebbe la terza guerra mondiale, il che potrebbe spiegare perché la fonte di Hersh ha trovato il coraggio di fornire all’autore le informazioni dannose su Nord Stream. Forse credeva che il mondo fosse sulla via dell’annientamento nucleare e ha rischiato la sua vita per la nostra. “Nessun uomo ha un amore più grande…”.

E la fonte non è l’unica persona che si è messa in pericolo. Anche Hersh potrebbe essere accusato. Anzi, direi che se Hersh non fosse così rispettato come è, probabilmente ora starebbe condividendo la cella con Julian Assange. Dopo tutto, qual è la differenza tra ciò che ha fatto Assange e ciò che ha fatto Hersh?

Non molta, a parte il fatto che la reputazione stellare di Hersh lo rende “intoccabile”. (Speriamo.)

In ogni caso, se il motivo alla base dell’articolo era quello di prevenire l’Armageddon nucleare, siamo molto grati per il loro coraggio e altruismo.

Tuttavia, potrebbero esserci stati altri motivi alla base dell’articolo che meritano di essere presi in considerazione. Immaginiamo, per un attimo, che la fonte di Hersh abbia informazioni sui piani dei neoconservatori per il prossimo futuro. In altre parole, è molto probabile che il sabotaggio del Nord Stream non sia stato l’impulso principale del rapporto di Hersh, ma che ci sia un altro sinistro piano all’orizzonte, ovvero un’escalation militare che potrebbe scatenare una catastrofe di gravità senza precedenti.

Come abbiamo detto in precedenza, tale piano potrebbe coinvolgere F-16 e sistemi missilistici a lungo raggio, o un’operazione nucleare “false flag”, oppure potrebbe essere che Biden organizzerà una “coalizione dei volenterosi” che combatterà a fianco delle forze speciali statunitensi in operazioni di combattimento nell’Ucraina orientale. La presenza di truppe da combattimento statunitensi in Ucraina renderebbe di fatto inevitabile uno scontro diretto con la Russia. Ciò porterebbe gli Stati Uniti sulla strada di un’altra guerra mondiale, che è ciò che vogliono i neoconservatori. Sfortunatamente, sospetto che questo sia lo scenario più probabile a breve termine: la formazione di una coalizione sostenuta dagli Stati Uniti organizzata per impegnare direttamente la Russia in Ucraina. Ecco la “Dichiarazione dell’addetto stampa Karine Jean-Pierre sul viaggio del Presidente Biden in Polonia”:

Dal 20 al 22 febbraio, il Presidente Joseph R. Biden Jr. si recherà in Polonia. Incontrerà il Presidente polacco Andrzej Duda per discutere della nostra cooperazione bilaterale e dei nostri sforzi collettivi per sostenere l’Ucraina e rafforzare la deterrenza della NATO. Incontrerà anche i leader dei Nove di Bucarest (B9), un gruppo di alleati NATO del fianco orientale, per riaffermare l’incrollabile sostegno degli Stati Uniti alla sicurezza dell’Alleanza. Inoltre, il Presidente Biden pronuncerà un discorso in vista dell’anniversario della brutale e immotivata invasione dell’Ucraina da parte della Russia, sottolineando come gli Stati Uniti abbiano mobilitato il mondo per sostenere il popolo ucraino nella difesa della libertà e della democrazia e come continueremo a stare al fianco del popolo ucraino per tutto il tempo necessario”. (The White HouseWashington DC)

Come si legge nel comunicato ufficiale, Biden non si limiterà a parlare con il presidente polacco degli “sforzi collettivi per sostenere l’Ucraina”, ma discuterà anche della “cooperazione bilaterale” tra Stati Uniti e Polonia. Ma che tipo di cooperazione bilaterale vuole Biden oltre a più armi? Truppe da combattimento? È questo che Biden sta cercando: soldati della coalizione sul campo per compensare le pesanti perdite dell’Ucraina? Ecco un articolo di un sito web chiamato Notes From Poland che annuncia un forte aumento degli obiettivi di reclutamento polacchi. Non sorprende che l’articolo non spieghi il motivo per cui la Polonia intende più che raddoppiare le dimensioni del suo esercito entro un anno.

Fino a 200.000 persone potranno essere convocate per le esercitazioni militari in Polonia l’anno prossimo, comprese quelle che non si sono mai proposte per il servizio, ma che sono ritenute in possesso di “abilità utili”…. Le esercitazioni possono durare fino a 90 giorni e la mancata partecipazione è punita con il carcere o una multa….

Le persone che possono essere richiamate sono quelle di età non superiore ai 55 anni che hanno superato la cosiddetta qualifica militare, obbligatoria per tutti gli uomini che compiono 19 anni, durante la quale vengono determinate la categoria di salute e l’idoneità al servizio militare del candidato….

L’anno prossimo la Polonia aumenterà la spesa per la difesa al 3% del PIL, uno dei livelli più alti della NATO, per proteggersi dalla “vorace Russia imperiale”.

La nuova legge sulla difesa nazionale raddoppierà inoltre il numero di soldati in servizio nelle forze armate https://t.co/KlEA1cHOo – Notes from Poland (@notesfrompoland) March 19, 2022

Fino al 2009, la Polonia aveva il servizio militare obbligatorio per gli uomini, ma questo è stato eliminato a favore di un esercito completamente professionale. Tuttavia, negli ultimi anni la crescente minaccia della Russia ha spinto il governo a cercare di aumentare le dimensioni e la forza delle forze armate.

Nel 2017 è stata istituita una nuova Forza di Difesa Territoriale. La legge sulla difesa nazionale di quest’anno prevede un raddoppio delle dimensioni delle forze armate, dagli attuali 143.500 uomini…” (“Fino a 200.000 polacchi saranno chiamati per l’addestramento militare il prossimo anno“, Note dalla Polonia).

Dobbiamo considerare questa improvvisa espansione dell’esercito polacco come una mera coincidenza o è più probabile che sia già stato fatto un accordo con Washington riguardo al futuro dispiegamento di truppe in Ucraina?

Secondo la dichiarazione della Casa Bianca, Biden “incontrerà anche i leader dei Nove di Bucarest (B9)”, un gruppo di nove Paesi NATO dell’Europa orientale che sono entrati a far parte dell’alleanza militare guidata dagli Stati Uniti dopo la fine della Guerra Fredda… e che comprende Romania, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia e le tre repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania. Tutti e nove i Paesi erano un tempo strettamente legati all’ormai dissolta Unione Sovietica, ma hanno poi scelto la strada della democrazia. Romania, Polonia, Ungheria e Bulgaria sono ex firmatari dell’ormai dissolta alleanza militare del Patto di Varsavia, guidata dall’Unione Sovietica… Guarda qui:

Tutti i membri del B9 fanno parte dell’Alleanza… La NATO (e tutti) hanno criticato l’aggressione del Presidente Vladimir Putin contro l’Ucraina fin dal 2014… L’anno scorso la NATO ha adottato il suo nuovo Concetto Strategico, in cui tutti gli alleati hanno concordato che “la Federazione Russa è la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli alleati e alla pace e alla stabilità nell’area euro-atlantica”. Ora, in vista del Vertice di Vilnius, dobbiamo assicurarci che l’Alleanza sia pienamente preparata ad affrontare questa minaccia”. (“Chi sono i Nove di Bucarest, Paesi sul fianco orientale della NATO?“, Indian Express)

Un esercito di russofobi: è questo che vogliono creare?

Sembra proprio di sì.

Forse stiamo facendo “ingigantendo oltremodo”; questa è certamente una possibilità. Ma ora che l’esercito russo sta avanzando su tutti i fronti lungo la Linea di Contatto, pensiamo che i neocon disperati siano destinati a fare qualcosa di colossale. Anzi, ne siamo certi. Guardate questo spezzone di un articolo del sito web di Larry Johnson, “Il figlio di una nuova rivoluzione americana”:

Ora le cattive notizie. L’amministrazione Biden e i nostri alleati europei si stanno preparando per un’importante azione militare nella guerra in Ucraina oppure sanno che presto accadrà qualcosa di brutto, probabilmente in Bielorussia, perché sono appena stati emessi avvisi ai cittadini stranieri di lasciare la Bielorussia e la Russia:

Il Ministero degli Esteri francese ha esortato i suoi cittadini a lasciare la Bielorussia senza indugio.

Il Canada esorta i suoi cittadini a lasciare immediatamente la Bielorussia a causa del rischio di applicazione arbitraria delle leggi locali e delle ostilità in Ucraina – Ministero degli Esteri canadese.

Lunedì gli Stati Uniti hanno emesso un avviso di alto livello in cui si dice ai cittadini americani di lasciare immediatamente la Russia e di interrompere i viaggi nel Paese mentre continua la guerra della Russia contro la vicina Ucraina, citando i rischi di maltrattamenti e di detenzione illegale per gli americani in particolare.

“Non recatevi in Russia a causa delle conseguenze imprevedibili dell’invasione immotivata e su larga scala dell’Ucraina da parte delle forze militari russe, del potenziale di aggressione e di detenzione di cittadini statunitensi da parte di funzionari di sicurezza del governo russo, dell’applicazione arbitraria della legge locale, dei voli limitati in entrata e in uscita dalla Russia, della limitata capacità dell’Ambasciata di assistere i cittadini statunitensi in Russia e della possibilità di terrorismo”, si legge nell’avviso.

Non credo alle coincidenze. Si tratta di un’azione coordinata e segnala che la situazione in Russia e Bielorussia diventerà pericolosa nel prossimo futuro. Forse ha a che fare con gli Stati Uniti che addestrano i radicali islamici a compiere attacchi terroristici in Russia e Bielorussia”. (“Sy Hersh parla e la NATO avverte di un’escalation nella guerra in Ucraina?“, Figlio di una Nuova Rivoluzione Americana)

C’è qualcosa in ballo, anche se non possiamo essere certi che si concretizzi o meno. Ma – ricordate – non ci sarebbe bisogno di attacchi terroristici, false flag o truppe da combattimento aggiuntive se la narrazione ufficiale fosse effettivamente vera e l’esercito ucraino stesse vincendo la guerra. Ma non è quello che sta accadendo. Le forze armate ucraine stanno perdendo e stanno perdendo male. Di fatto, non hanno nemmeno scorte di munizioni sufficienti per sostenere combattimenti a lungo termine. Ecco la notizia riportata da Reuters:

“Il ritmo delle consegne all’Ucraina, dove le truppe di Kiev sparano fino a 10.000 proiettili d’artiglieria al giorno, ha prosciugato le scorte occidentali e messo a nudo le falle nell’efficienza, nella velocità e nella manodopera delle catene di approvvigionamento.

“Se l’Europa dovesse combattere contro la Russia, alcuni Paesi resterebbero senza munizioni in pochi giorni”, ha dichiarato a Reuters un diplomatico europeo… le scorte sono ancora più scarse a causa del conflitto in Ucraina…. La guerra ha anche gettato un riflettore sulla mancanza di capacità industriale necessaria per aumentare rapidamente la produzione, dopo che per decenni la diminuzione degli ordini governativi ha visto scomparire molte linee di produzione….

“Non credo necessariamente che entro il prossimo anno i livelli delle nostre scorte aumenteranno in modo massiccio”, ha detto il funzionario della NATO. “Tutte le scorte aggiuntive che avremo saranno dirette in Ucraina”. (NATO expected to raise munitions stockpile targets as war depletes reserves, Reuters)

Come si fa a portare un paese in guerra con la Russia senza avere abbastanza munizioni per combattere il nemico?

L’incompetenza è sconcertante e non è nemmeno un problema a breve termine. Le nazioni occidentali non hanno più la base industriale per fornire le forniture e le attrezzature necessarie per una “guerra su larga scala e ad alta intensità”. Per ricostruire la capacità ci vorranno anni. Nel frattempo, la guerra sarà risolta dalle truppe da combattimento russe, ben equipaggiate, che continueranno a massacrare i demoralizzati ucraini, che si trovano sempre più spesso in inferiorità numerica e di armamento. Questo è tratto da un articolo del Telegraph britannico:

“Con la Russia di nuovo all’offensiva dopo i significativi successi ucraini nei combattimenti intorno a Kharkiv e Kherson nella seconda metà del 2022, le ultime settimane sono state le più sanguinose finora di una guerra già sanguinosa, con entrambe le parti che hanno subito perdite straordinariamente pesanti. Ci si aspetta che la situazione peggiori.

Il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov ha dichiarato che la Russia ha mobilitato “molto più” di 300.000 truppe, forse fino a mezzo milione, che si stanno riversando in Ucraina in preparazione di quella che si prevede sarà una grande offensiva nei prossimi giorni e settimane. Sebbene anche Kiev abbia rafforzato le proprie forze e le abbia rifornite di attrezzature moderne donate dall’Occidente, Putin ha un vantaggio in termini di numero di truppe molto maggiore di quello che aveva quando ha invaso l’Ucraina un anno fa. Nonostante le ripetute notizie ottimistiche secondo cui la Russia sarebbe a corto di proiettili d’artiglieria – un elemento vincente in questo conflitto – le scorte belliche di Putin sono vaste e le sue fabbriche hanno lavorato 24 ore su 24 per sfornarne ancora di più.

Sotto pressione verso la fine dell’anno scorso, la Russia ha ritirato le sue forze in posizioni di forza, scambiando il terreno con il tempo, ammassando risorse per un colpo di maglio pianificato e riducendo gli ucraini a est, ammorbidendoli per l’assalto a venire.

Finora, in Occidente si è detto che l’Ucraina sta vincendo comodamente questa guerra… La realtà è più complessa….: la verità è che le recenti promesse di nuovi equipaggiamenti da combattimento per l’Ucraina – in particolare missili a più lunga gittata, carri armati e altri veicoli corazzati – difficilmente saranno mantenute in tempo per avere un impatto in questa battaglia se Putin lancerà la sua offensiva nei tempi previsti da Kiev….

Dobbiamo quindi essere preparati a significativi guadagni russi nelle prossime settimane. Dobbiamo essere realistici su quanto potrebbero andare male le cose, altrimenti lo shock rischia di smuovere la determinazione dell’Occidente. L’estate e l’autunno scorsi si è verificato il contrario, quando il sostegno in calo in alcune parti dell’Europa e degli Stati Uniti è stato galvanizzato dal successo ucraino”. (Vladimir Putin is about to make shock gains“, UK Telegraph)

E questo è un articolo del New York Times:

Le esauste truppe ucraine lamentano di essere già in inferiorità numerica e di armi, anche prima che la Russia abbia impegnato la maggior parte dei suoi circa 200.000 soldati recentemente mobilitati. I medici degli ospedali parlano di perdite crescenti mentre lottano per curare i combattenti con ferite raccapriccianti.

Le prime fasi dell’offensiva russa sono già iniziate. Le truppe ucraine dicono che Bakhmut, una città dell’Ucraina orientale che le forze russe stanno cercando di conquistare dall’estate, probabilmente cadrà presto. Altrove, le forze russe stanno avanzando in piccoli gruppi e sondando le linee del fronte alla ricerca di punti deboli ucraini.

Gli sforzi stanno già mettendo a dura prova l’esercito ucraino, logorato da quasi 12 mesi di pesanti combattimenti.

Le perdite tra le forze ucraine sono state gravi. Le truppe di un contingente di volontari chiamato Carpathian Sich, posizionato vicino a Nevske, hanno detto che circa 30 combattenti del loro gruppo sono morti nelle ultime settimane, e i soldati hanno detto, solo in parte per scherzo, che quasi tutti hanno una commozione cerebrale.

In un ospedale di prima linea nel Donbas, l’obitorio era pieno di corpi di soldati ucraini in sacchi di plastica bianchi. In un altro ospedale, le barelle con i feriti coperti da coperte termiche in lamina d’oro affollavano i corridoi e un flusso costante di ambulanze è arrivato dal fronte quasi tutto il giorno”. (“Outnumbered and Worn Out, Ukrainians in East Brace for Russian Assault”, New York Times) Note: Lifted from Moon of Alabama

E un altro estratto dal Paper of Record:

Il problema è che l’Ucraina sta perdendo la guerra. Non perché i suoi soldati combattano male o il suo popolo si sia perso d’animo, ma perché la guerra si è trasformata in una battaglia di logoramento in stile Prima Guerra Mondiale, con trincee accuratamente scavate e fronti relativamente stabili.

Queste guerre tendono a essere vinte – come del resto lo è stata la Prima Guerra Mondiale – da chi ha le risorse demografiche e industriali per resistere più a lungo. La Russia ha più di tre volte la popolazione dell’Ucraina, un’economia intatta e una tecnologia militare superiore. Allo stesso tempo, la Russia ha i suoi problemi; fino a poco tempo fa, la carenza di soldati e la vulnerabilità dei suoi depositi di armi agli attacchi missilistici hanno rallentato i suoi progressi verso ovest. Entrambe le parti hanno incentivi per venire al tavolo dei negoziati”. (Russia and Ukraine Have Incentives to Negotiate. The U.S. Has Other Plans, New York Times)

Capito il quadro? La guerra si trascinerà senza dubbio per qualche tempo, ma l’esito è ormai certo. E mentre il cappio si stringe a est e le prospettive di successo diventano sempre più remote, pensiamo che i neoconservatori siano destinati a fare qualcosa di ancora più disperato, avventato e violento. Prevediamo che la prossima mossa sarà il tentativo di costruire una coalizione di volenterosi (Regno Unito, Romania, Polonia e Stati Uniti) che spinga i riluttanti alleati della NATO al punto di rottura, contrapponendo un esercito improvvisato guidato dagli Stati Uniti alle forze russe sui campi di sterminio dell’Ucraina. Con ogni azione sconsiderata, lo Zio Sam aumenta la probabilità di una spaccatura critica all’interno della NATO che porrà fine alla morsa di Washington sull’Europa e getterà le basi per un nuovo ordine.

5485.- Ucraina, la prospettiva è una sconfitta per tutti

  • La Nuova Bussola Quotidiana, Riccardo Cascioli, 21-02-2023

La visita a sorpresa di Biden a Kiev non è solo espressione di solidarietà, ma di un coinvolgimento di Usa e Nato in un conflitto che ha lo scopo di sconfiggere la Russia e Putin. Da nessuna parte si registra un’apertura al dialogo. L’unica alternativa a una disastrosa escalation, oggi appare soltanto un congelamento della situazione che creerebbe una nuova cortina di ferro in Europa.

Biden a Kiev con Zelensky

La visita a sorpresa a Kiev del presidente americano Joe Biden, alla vigilia del primo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina (24 febbraio), segna un passaggio molto importante di questa guerra, una iniezione di fiducia per l’Ucraina che resiste all’esercito russo. La “passeggiata” per le strade di Kiev insieme al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, è stata certamente un’immagine forte, il cui valore è stato efficacemente sintetizzato dal capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk: «L’esercito russo ci ha letteralmente condannato a morte ma questa solidarietà mostrata nel contesto di queste visite ci dà la speranza che questa condanna non venga eseguita».

C’è però molto di più di una semplice solidarietà nei confronti della vittima di un aggressore: con la promessa di un altro pacchetto di armi per un valore di 500 milioni di dollari e nuove sanzioni contro Mosca, Biden ha messo in chiaro – per chi avesse ancora dei dubbi – che gli Stati Uniti e più in generale l’Occidente sono parte della guerra contro la Russia: saremo al fianco dell’Ucraina «per tutto il tempo che sarà necessario», ha detto Biden, facendo eco al segretario di Stato Antony Blinken che, alla Conferenza di Monaco di Baviera sulla sicurezza, sabato, aveva usato la stessa espressione riferendosi al sostegno militare fianco a fianco con l’Ucraina: «for as long as it takes», per tutto il tempo che sarà necessario.

Ancora più esplicito, sempre a Monaco, è stato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg: «C’è preoccupazione che i nostri sforzi per difendere l’Ucraina possano portare al pericolo di una escalation. Non ci sono opzioni prive di rischi. Ma l’unico pericolo qui è la vittoria della Russia e di Putin».
Siamo dunque ben oltre l’aiutare l’Ucraina a difendersi, c’è già in conto una possibile escalation se non sarà possibile sconfiggere Putin in altro modo. Capiamo tutti a cosa una escalation potrebbe portare. E se fosse vero l’allarme lanciato da Blinken sull’intenzione della Cina di fornire armi e munizioni alla Russia, la situazione potrebbe velocemente volgere al peggio.

Dunque, da tutte le parti si sentono soltanto parole di guerra, tutti sono ormai preparati a un lungo conflitto, se qualcuno cita la pace è solo per dire che ci sarà soltanto con la sconfitta del nemico. Vale a dire che la possibilità di un negoziato, o almeno di favorire una mediazione, non è neanche presa in considerazione. «Se almeno ci fosse un desiderio di pace – ha detto l’arcivescovo cattolico di Mosca, monsignor Paolo Pezzi, in una intervista all’agenzia Sir –, forse riusciremmo a fare qualche passo in direzione della pace». È lo stesso quadro sconsolante che aveva fatto alla Bussola un mese e mezzo fa, affermando che non vedeva alcun segnale di disponibilità al dialogo. Eppure al dialogo non c’è alternativa se si vuole evitare il disastro: «Penso che in questo momento quello che occorre fare, sia non chiudere mai le porte, non chiudere mai al dialogo. In questo senso penso che rifiutare le possibilità di incontro e di dialogo sarebbe sbagliato. Questo non significa che bisogna per forza sposare le posizioni dell’altro o tacere. Però mi sembra che a priori rifiutare l’incontro, a qualsiasi livello, non fa che accrescere le distanze».

È quello che però sta avvenendo: da Mosca, Kiev, Washington, Bruxelles, Pechino nessun tentativo di dialogo. In tutti c’è l’illusione o di vincere la guerra in qualche modo o comunque di trarre vantaggi – economici, politici o militari – dal prolungarsi del conflitto: a spese – per ora – della popolazione ucraina e dei soldati russi e ucraini che ci rimettono la vita.

Al punto che anche la proposta “minimalista” almeno di un cessate-il-fuoco appare un miraggio. L’ha fatta il giornalista Domenico Quirico rievocando il caso della guerra di Corea, che tra il 1950 e il 1953 aveva portato il mondo sull’orlo di una guerra nucleare, visto che dietro le due Coree c’erano allora Stati Uniti da una parte e Unione Sovietica e Cina dall’altra. Il cessate il fuoco del 1953 congelò il conflitto con la divisione tra Nord e Sud all’altezza del 38° parallelo, e da allora la situazione non è cambiata: non si tratta di vera pace, tanto è vero che la Corea del Nord continua ad essere una minaccia militare nell’Asia-Pacifico, ma almeno si è fermato il massacro.

«Quello che bisogna realizzare – dice Quirico – è l’interruzione, per una settimana, delle operazioni sul terreno, bloccare le rispettive posizioni sul campo di battaglia. Ci sono le condizioni: i due avversari sono esausti, l’Occidente che tiene in piedi la guerra inizia, oltre il gesticolare propagandista, ad interrogarsi sulla mostruosa usura economica e militare e sui rischi di sviluppi atomici. Bisogna impedire che i due eserciti si asserraglino nelle trincee trasformando il conflitto in un lento macello senza fine». Una settimana può sembrare poco, ma almeno c’è la possibilità di aprire un dialogo e magari il cessate-il-fuoco si può estendere, e ancora, e ancora.

La proposta è certo di buon senso e suggestiva, ma al momento nessuno sembra disposto neanche a questa piccola concessione. Men che meno in occasione del primo anniversario. Però la sensazione è che a un certo punto l’unica alternativa a una disastrosa escalation, potrà essere proprio questa: un cessate il fuoco prolungato con congelamento indefinito della situazione, che creerà una nuova cortina di ferro in Europa, una nuova Guerra Fredda. Cioè una nuova sconfitta per tutti, escluso forse chi sulla divisione tra Europa e Russia ci conta.