Archivio mensile:novembre 2019

2754.- Cina-Italia: cosa dicono i nostri servizi segreti.

30/11/2019 8:58 AM   FRANCESCA MUSACCHIO

 Non è un perché, ma la divisività endemica degli italiani ci rende deboli competitori nello scenario mondiale.

Cina-Italia: cosa dicono i nostri servizi segreti

DIFESA E SICUREZZA NAZIONALE

Dopo lo “sconfinamento” della Cina all’interno del Parlamento italiano, con le dichiarazioni a dir poco inopportune dell’Ambasciatore cinese in Italia, vale la pena sottoporre ai nostri lettori alcuni spunti. Tra i quali, ad esempio, l’ultima Relazione dei servizi segreti presentata al Parlamento.

L’intelligence dedica spazio al “dinamismo di Cina e Russia”

E proprio nei confronti di Pechino, nel documento si legge: “La vocazione di attori globali di Mosca e Pechino si è sviluppata nel corso del 2018 con sistematica coerenza. La Cina ha ribadito la crescente capacità di incidere profondamente sulla ridefinizione degli equilibri mondiali: non esistono, di fatto, aree del pianeta, ivi compreso l’Artico, dove la sua influenza non si sia consolidata o non risulti in rapido incremento. Il progetto Made in China 2025 e la BRI sono i principali strumenti cui Pechino affida la propria affermazione nelle molteplici dimensioni in cui si articola oggi il potere moderno. Il primo è chiamato a fare del Paese la manifattura tecnologicamente più avanzata al mondo, mentre la seconda dovrà garantire il collegamento del territorio cinese non soltanto con i Paesi posti lungo le rotte commerciali euro-asiatiche, ma con l’intero sistema economico mondiale. Disegni di lungo periodo e di portata assolutamente epocale rispetto ai quali anche il Comparto intelligence nazionale – nel solco delle indicazioni del Governo – è chiamato a fare la sua parte, sostenendo, in un quadro di salvaguardia dei nostri interessi e della nostra sicurezza, l’inter- locuzione italiana con Pechino, in un ambi- to che dischiude diversificate prospettive alla nostra economia ed impone, al contempo, un’accorta tutela dei nostri asset strategici. È un fatto, peraltro, che l’ascesa di Pechino venga seguita da Governi, appara- ti informativi, think tank e commentatori anche in relazione alle profonde modifiche che essa ha già prodotto nella comune Weltanschauung, premiando dinamiche decisionali, rigidamente “verticali” e nel segno di un forte intervento pubblico, che si sono proposte sempre più alla stregua di un “contro-modello” di governance, sul piano interno, nel settore economico e sul versante delle relazioni internazionali.  In questa cornice si inseriscono le tensioni con gli Stati Uniti, emerse con evidenza nel 2018, su temi che hanno fatto riferimento non solo all’ambito commerciale, ma an- che al dominio tecnologico (e quindi alla sfera della sicurezza nazionale), delineando i contorni di un confronto strategico suscettibile di declinarsi anche in una dimensione geopolitica, con riguardo alla cosiddetta area indo-pacifica”.

La via della seta artica

Scrivono ancora i nostri 007: “Nel gennaio 2018 il Governo cinese ha reso pubblico il primo White Paper in tema di politica artica. Il documento muove dalla constatazione che le trasformazioni climatiche ed economiche in corso tendono ormai a conferire all’Artico una rilevanza globale, finendo per sottrarre de facto l’area allo stretto ambito dei Paesi del Consiglio Artico (Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti e Svezia). Di conseguenza, le Autorità di Pechino argomentano di poter ormai ambire al ruolo di player negli “affari artici”, tanto da rivendicare diritti di navigazione, ricerca scientifica e sfruttamento delle risorse ittiche e delle materie prime presenti nella regione e da candidarsi esplicitamente a concorrere all’azione di governance del quadrante.

Il White Paper presenta vari aspetti di interesse, soprattutto nella parte in cui evidenzia:

  • una diretta correlazione tra le progettualità della Belt and Road Initiative (BRI) e la possibile apertura di un corridoio economico-commerciale tra la Cina e l’Europa attraverso lo spazio artico, destinato a dilatarsi in ragione del previsto assottigliamento dei ghiacci. Pechino reputa altamente probabile un incremento del volume delle rotte polari e si candida a lavorare con i Paesi rivieraschi per un coordinamento delle strategie di sviluppo della regione. Il documento sottolinea come l’outreach di Pechino in materia abbia assunto da tempo un carattere non solo multilaterale, ma anche bilaterale, in virtù delle numerose intese di cooperazione che la Cina è andata stabilendo con gli Stati del Consiglio Artico;
  • il proposito di inquadrare l’insieme delle iniziative avviate in loco in una logica di beneficio economico globale (win-win), volto a favorire la sostenibilità ambientale dell’Artico e a facilitare lo sviluppo della ricerca scientifica a beneficio di tutti.Dopo l’ingresso (maggio 2013) nel Consiglio Artico con lo status di Paese osservatore, il crescente interesse della Cina nei confronti della regione era stato testimoniato dalla moltiplicazione delle missioni di ricerca scientifica nell’area e dal potenziamento della flotta di navi rompighiaccio. La pubblicazione del Paper, tuttavia, rappresenta un salto di qualità in termini di aspirazioni e ambizioni, suggerendo che anche la calotta polare ha ormai acquisito una posizione di rilievo nell’orizzonte strategico di Pechino”.

Evidentemente Pechino si è sentita in qualche modo autorizzata (in virtù di un certo peso economico), da qualche compagine politica che sta al governo, a redarguire i politici che hanno tenuto una conferenza stampa su Hong Kong in Senato durante la quale è stato attivato un collegamento Skype con il leader degli studenti pro-democrazia Joshua Wong. Una scelta, quella dei cinesi, che ha indignato anche la Farnesina che ha replicato spiegando: “Le dichiarazioni rese dal portavoce dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a Roma sono del tutto inaccettabili e totalmente irrispettose della sovranità del Parlamento italiano”. E il ministero degli Esteri avrebbe espresso all’Ambasciatore cinese “forte disappunto per quella che è considerata una indebita ingerenza nella dialettica politica e parlamentare italiana”.

Indebita ingerenza, certo! Ma forse Pechino e la delegazione diplomatica in Italia si sono sentiti autorizzati a “sconfinare” da qualcosa o qualcuno. Come accadde per Huawei e il golden power: il colosso cinese si lamentò e il nostro governo cambiò direzione? Era solo luglio scorso, e noi informammo i nostri lettori. 

2753.- LA UE SEMPRE PIU’ COME L’URSS. IL GRANDE DISSIDENTE RUSSO VLADIMIR BUKOVSKIJ LO VIDE PER PRIMO

Posted: 29 Nov 2019

E’ veramente un enigma per me capire perché, dopo avere appena seppellito un mostro, l’Unione Sovietica, ne stiamo costruendo un altro notevolmente simile: l’Unione Europea”.

Per pronunciare parole così dure e chiare – in tempi di conformismo europeista – ci vuole qualcuno abituato ad andare controcorrente, qualcuno che conosce bene l’Urss e l’uso che i regimi fanno della propaganda, qualcuno che sa quanto è vulnerabile la libertà, qualcuno che ha un coraggio da leone per aver combattuto il totalitarismo sovietico: è l’identikit di Vladimir Bukovskij.

EROICO

Infatti quelle citate sono parole sue (insieme ad altre che vedremo – durissime – contro l’Unione europea). Bukovskij, che è morto proprio un mese fa a Cambridge, a 76 anni, è stato definito dal New York Times “un eroe di grandezza quasi leggendaria”.

Nato a Mosca nel 1942, a 17 anni fu espulso dalla scuola per aver fondato una rivista proibita. Appena diciottenne, nel 1960, organizza in piazza, davanti al mitico monumento a Majakovskij, a Mosca, delle letture pubbliche (vietissime dal regime) dei poeti: da Pasternak a Osip Mandelstam.

Arrestato, subisce le prime detenzioni e condanne. Tornato libero organizza manifestazioni in difesa di altri dissidenti perseguitati dal regime (Aleksandr Ginzburg e Jurij Galanskov) e viene di nuovo arrestato e condannato.

Nel 1971 riesce a far arrivare in occidente le prove dell’esistenza di ospedali psichiatrici per dissidenti  in Urss. La scoperta di manicomi usati per piegare i dissidenti suscitò enorme clamore in Occidente e provocò l’ennesimo suo arresto con la condanna a sette anni  più cinque di esilio.

Poi, anche per le pressioni internazionali, fu liberato ed espulso dall’Urss nel 1976. Si stabilì in Inghilterra rimanendo sempre l’indomito combattente per i diritti umani, per la verità e contro il comunismo.

Così, vivendo in Europa, si è trovato a parlare in modo egualmente chiaro su quello che è accaduto dopo il crollo del comunismo.

Ancora una volta Bukovskij è risultato scomodo ed è parso urticante il suo paragone fra la Ue e l’Urss, tanto è vero che è rimasto inascoltato dai media mainstream. Ma quali erano le ragioni di questa sua presa di posizione? Bukovskij elencava una serie di analogie.

LA NOMENKLATURA

Eccole: “L’Unione Sovietica era governata da quindici persone non elette che si attribuivano incarichi l’un l’altro e che non erano tenuti a rispondere a nessuno. L’Unione Europea è governata da due dozzine di persone non elette, che si attribuiscono incarichi l’un l’altro (…) non devono rispondere a nessuno e che non possiamo rimuovere. Uno potrebbe dire che l’Unione Europea ha un Parlamento eletto. Beh, anche l’Unione Sovietica aveva una specie di Parlamento, il Soviet Supremo, che si limitava a timbrare le decisioni del Politburo più o meno come fa oggi il Parlamento dell’Unione Europea”.

Si può pensare che Bukovskij qui esageri, ma se si va a vedere cosa sta accadendo, proprio in questi giorni, con il cosiddetto Mes, si può constatare che le sue parole sono davvero calzanti.

Egli poi – fra le varie analogie – parlava degli “euroburocrati con altissimi stipendi, con i loro staff, che semplicemente ruotano da una posizione all’altra, non importa quali siano i loro risultati o i loro insuccessi. Non è esattamente come nel regime sovietico?”

Qui si potrebbe obiettare che  l’Unione Sovietica imponeva il suo volere con la repressione e, anche ai membri del Patto di Varsavia, grazie alla forza bruta, mentre la Ue non usa la forza militare, ma è difficile dar torto a Bukovskij quando affermava che però usa “la prepotenza economica”.

ANNIENTARE LO STATO NAZIONALE

Un’altra analogia segnalata dal dissidente russo fa molto riflettere: “A noi venne detto che l’obiettivo dell’Unione Sovietica era quello di creare una nuova entità storica, il popolo sovieticoe chedovevamo dimenticare le nostre nazionalità, le nostre tradizioni etniche e le nostre usanzeLa stessa cosa sembra accadere con l’Unione Europea, dal momento che non vogliono che voi siate inglesi o francesi: vogliono che voi siate tutti appartenenti a una nuova fattispecie storica, gli europei, per sopprimere tutti i vostri sentimenti nazionali  e vivere come una comunitàmultinazionale. Dopo 73 anni, questo sistema nell’Unione Sovietica ha condotto a più conflitti etnici che in qualunque altra parte del mondo. Nell’Unione Sovietica uno dei grandi obiettivi era la distruzione dello stato nazione  e questo è esattamente ciò che osservo in Europa oggi. Bruxelles vuole assorbire gli stati nazione in modo che cessino di esistere”.

In effetti appare evidente che l’Unione europea non è più – come la prima Comunità europea – una libera unione di Stati che collaborano su alcune materie, ma senza abdicare alla propria indipendenza e identità.

Le enormi difficoltà che oggi incontra la Gran Bretagna  (addirittura la Gran Bretagna!) per uscire  dall’Unione europea, fa somigliare l’Ue davvero al Patto di Varsavia.

Non è più una libera unione di Stati, ma qualcosa che limita la libertà, perché i luoghi da cui è difficile e quasi temerario uscire non si chiamano case, ma prigioni.

LIBERTA’

L’ultima obiezione che si può muovere al confronto di Bukovskij fra Urss e Ue, riguarda le libertà fondamentali, perché è evidente che in Unione sovietica era negata la libertà di pensiero e di espressione.

Ma questo nessuno lo sa come lo sapeva Bukovskij che lo aveva sperimentato e pagato sulla propria pelle. Dunque non si può far finta di nulla se un uomo così, con una storia come la sua, continua a metterci in guardia sostenendo che nell’Unione Europea c’è “un Gulag intellettuale chiamato politically correct, tanto che se uno si esprime su certe cose “o se le sue opinioni differiscono da quelle approvate, viene ostracizzatoQuesto è l’inizio del Gulag, l’inizio della perdita della libertà”.

ANALOGIE E PROFEZIE

Nell’Urss – spiega Bukovskij – “ci hanno detto che avevamo bisogno di uno stato federale per evitare le guerre. Nell’Unione Europea vi stanno dicendoesattamente la stessa cosa. In breve, la stessa ideologia sorregge entrambi i sistemi”.

Secondo Bukovskij l’Unione europea “collasserà”  come il comunismo sovietico perché “incapace di riformarsi” come l’Urss e quando ciò accadrà “lascerà dietro di sé una distruzione di massa e noi ci troveremo con enormi problemi economici ed etnici”.

Il grande dissidente, in quel suo appello inascoltato, esortava i popoli europei a riprendersi l’indipendenza: “Non siete costretti ad accettare quello che hanno pianificato per voi. Dopo tutto, nessuno vi ha mai chiesto  se volevate esserne parte. Io ho vissuto nel vostro futuro. E non ha funzionato”.

Bisogna riconoscere che anche su questo Bukovskij ha ragione, perché tutti i passaggi fondamentali che hanno portato a stringere questo nodo scorsoio attorno al collo dei popoli europei (specialmente al nostro) sono sempre stati decisi in modo tecnocratico, camuffando le decisioni dietro sigle e trattati per addetti ai lavori  e talora con il pretesto di emergenze  che impongono quelle scelte.

Infatti oggi si arriva fino al punto di “scomunicare”  chi vuol portare certe scelte alla luce del sole accusandolo di populismo, sovranismo, come fosse un pericoloso  demagogo che rischia di suscitare turbolenze sui mercati.

Quale sia la loro filosofia  lo si capisce dalle parole di Jean Monnet, il più importante esponente della tecnocrazia franco-tedesca oggi dominante nella Ue.

Nel 1952 ebbe a dire: Le nazioni europee dovrebbero essere guidate verso un superstato senza che le loro popolazioni si accorgano di quanto sta accadendo. Tale obiettivo potrà essere raggiunto attraverso passi successivi ognuno dei quali nascosto sotto una veste e una finalità meramente economica”.

Pare che – dopo aver sentito queste parole – Charles de Gaulle  abbia osservato che Monnet voleva creare delle “mostruosità sovranazionali”.Poi De Gaulle è passato e il partito tecnocratico di Monnet ha vinto. Ed è il disastro di oggi.

Antonio Socci, Lo straniero

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Da “Libero”, 29 novembre 2019

2752.- Come e perché Usa e Ue si guardano quasi in cagnesco

Da Start Magazine riprendo questi pensieri di un generale simbolo delle Forze Armate italiane. È vero: “L’Occidente non può continuare a vivere di rendite di posizione” e non può rimanere diviso in due blocchi in conflitto per interposte nazioni e per eserciti mercenari, che ci riportano alla Compagnia delle Indie, pena la perdita del suo primato mondiale, già alle porte. C’è un però che spiega il male che ci impedisce una visione politica più ampia e proiettata nel futuro ed è che l’Occidente è “pilotato” – dire “governato” sarebbe troppo – dalla finanza mondiale che, primo, sa fare affari e non politica e, secondo, non ha una bandiera e può cambiare cavallo come più gli conviene. Esemplificando, con le commesse militari, la finanza americana ha vinto in Vietnam.

di Mario Arpino 

dazi

Non siamo ancora a Venere e a Marte (immagine un po’ datata, eppure sempre efficace), ma Europa ed America si assomigliano sempre di meno, forse anche in termini culturali, si guardano con una certa circospezione e reagiscono in modo diverso persino ai disagi della crisi economica. Sembra quasi che, proprio ora che ci sarebbe bisogno di unità, l’Occidente si stia lentamente suddividendo in due sottosistemi distinti, talvolta addirittura incompatibili. L’analisi del generale Mario Arpino, già Capo di Stato Maggiore della Difesa

L’Occidente non può continuare a vivere di rendite di posizione; e il tempo non sta giocando a suo favore. Il segnale è evidente nelle Organizzazioni internazionali, dove si fatica persino a mantenere gli spazi acquisiti nell’Assemblea e nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu e negli incontri globali dove si discute dei destini del pianeta. L’Occidente si era fatto su misura un bel G7, dal quale dettava legge, per passare poi ad uno speranzoso G8, dove anche la Russia sembrava volersi integrare. Ora siamo di nuovo al G7, che ormai di leggi ne detta pochine, e a un G20 dove, se non altro perché l’Occidente è in minoranza, la nostra voce è sempre più flebile, meno ascoltata, poco incisiva. Continua però a distinguersi, nel bene e nel male, la voce grossa di Donald Trump.

MEZZO OCCIDENTE È FERMO, MA IL RESTO DEL MONDO SI MUOVE

Lo stesso rapporto transatlantico – sino a pochi anni or sono riferimento preciso nel comportamento con il Resto del Mondo -, sebbene gli europei continuino a riaffermare che è un legame solido, a causa della frammentazione delle relazioni internazionali sembra aver perso parte della propria coesione. In altre parole, a seconda del settore preso in esame (sicurezza e difesa, economia, ambiente, ecc.) appare sempre più difficile per gli Stati Uniti e per l’Unione europea rivendicare quel ruolo di leadership nella governance globale che – forse proprio perché ritenuto scontato – si è invece dimostrato non più all’altezza. Il vecchio mazzo di carte è ormai usurato, oggi si sta giocando con quello nuovo.

Altre realtà, alcune con incremento del prodotto interno lordo annuo a due cifre, stanno ormai facendosi spazio velocemente, un anno dopo l’altro. Oggi si delineano due fronti, che vorremmo pensare come cooperanti, ma che in realtà sono in contrapposizione quasi su tutto. Per Occidente (vecchio e nuovo) siamo soliti identificare Europa ed America, ovvero, in termini politici, Unione europea e Stati Uniti. Gli ‘emergenti’ sono i Paesi ormai noti con l’acronimo Brics, ovvero Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Non costituiscono un’organizzazione formale, non tutti emergeranno davvero, ma di fatto ce li troviamo sempre di fronte, e talvolta in modo scomodo. L’Occidente reagisce poco, male, in modo a volte scoordinato e non sempre incisivo. Procedere a colpi di sanzioni può anche dare dei risultati, ma se eretto a sistema relazionale può diventare un pericoloso boomerang.

UN NUOVO ASSETTO GEOPOLITICO

La frammentazione globale in ciò che alcuni chiamano ‘geografia del potere’ o ‘nuovo assetto geopolitico’ (dove anche lo spazio ormai gioca un suo ruolo) richiederebbe invece un’unitarietà d’azione e di pensiero che oggi sembra in via di disarticolazione. Non siamo ancora a Venere e a Marte (immagine un po’ datata, eppure sempre efficace), ma Europa ed America si assomigliano sempre di meno, forse anche in termini culturali, si guardano con una certa circospezione e reagiscono in modo diverso persino ai disagi della crisi economica. Sembra quasi che, proprio ora che ci sarebbe bisogno di unità, l’Occidente si stia lentamente suddividendo in due sottosistemi distinti, talvolta addirittura incompatibili.

Nel fronteggiare i Brics, prima di capire bene dove stiano andando davvero e la persistenza o meno del loro successo, avremmo invece la necessità di comprendere, ragionando assieme, verso quale mare ci stia portando questa nostra lenta deriva. E come relativamente saremo, ad esempio, nel prossimo quinquennio. In questo quadro, i paradigmi tradizionali usati per intendere la portata della relazione transatlantica sono ormai insufficienti, ed è del tutto evidente la necessità di un approccio più concreto e vivace. Questo ovviamente sottende un nuovo spirito di iniziativa e una volontà che oggi appare carente.

CRISI DI SISTEMA

Ma come debba svilupparsi questo nuovo approccio è difficile capirlo, se al nostro stesso interno siamo giornalmente occupati a combattere una crisi che potrebbe essere quella di un sistema che forse ha già toccato il suo tetto, mentre, ad esempio, non sappiamo ancora come saranno gli Stati Uniti dopo le prossime elezioni presidenziali. E poi, siamo davvero cosi sicuri che un sistema socio-economico che si basa sul continuo aumento della produzione possa continuare all’infinito? È urgente capire bene se la relazione transatlantica, assieme a tutto il nostro sistema, è davvero sul viale del tramonto, o se invece si sta solo adattando a nuove forme più funzionali a quello che sarà il nuovo assetto globale.

I segnali che siamo in grado di percepire sembrano spingerci ad accelerare questa nuova consapevolezza, a dismettere gli atteggiamenti rassegnati e a riprendere con vigore l’iniziativa. Non si tratta di una guerra, ma i principi da osservare non sono molto diversi da quelli enunciati da Clausewitz. Tra questi, a nostro avviso l’iniziativa continua a fare da capofila. Certo, oggi per lo più si gioca ancora con le nostre regole economiche e anche con la nostra tecnologia (sempre meno esclusiva). Questo, finora, ci ha consentito di non essere sopraffatti e di mantenerci ancora in leggero vantaggio.

Ma per quanto tempo? Noi, almeno in Europa, non abbiamo ancora rimesso in moto la locomotiva (nemmeno quella che traina le idee, anzi…) e siamo ancora fermi a discettare dottamente su affascinanti quanto evanescenti principi universali. Nel frattempo, più pragmaticamente, l’Atlantico si sta allargando e tra i Brics c’è chi continua ad avanzare veloce, senza pretese di universalismo, ma anche senza mai perdere l’abbrivio. Non sarà il caso di rifletterci su, almeno un pochino?

Articolo pubblicato su Affarinternazionali.it

2751.- Esercito europeo? Meglio se inserito in un contesto Nato. L’analisi di Arpino

“L’Europa non sarà mai un’alleanza militare”, ha affermato Ursula Von der Leyen e la condividiamo per il semplice motivo che le Forze Armate sono l’ultima carta della diplomazia e che senza una Politica Estera è inutile parlarne, come senza una Costituzione è ozioso parlare di Politica Estera.

Da Start Magazine, l’articolo di Mario Arpino 

Forze armate unitarie della Ue non potranno mai esistere senza una politica estera e di difesa comune. Che è di là da venire. L’analisi di Mario Arpino, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa

Gavettone di acqua gelata rovesciato sulla testa di un attonito Macron dalla presidente della Commissione Europea. Il gentile fattaccio si è verificato a Bruxelles, nel corso dell’intervento con il quale Ursula Von der Leyen presentava i membri designati della rinnovata Commissione. “L’Europa non sarà mai un’alleanza militare”, ha affermato con garbato cipiglio. Poi, rincarando la dose: ”…è la Nato il riferimento essenziale per la nostra difesa, non l’Unione Europea”. Amen.

In un bell’articolo uscito ieri proprio su queste pagine, Carlo Jean ci ricordava come, quando la Pesco (cooperazione rinforzata permanente) era stata da poco approvata, l’intraprendente presidente Macron – già distintosi per precedenti fughe in avanti – estraeva a sorpresa dal cilindro un nuovo coniglio: l’European Defense Iniziative (Edi).

La proposta si pone ancora oggi come una via per conseguire una autonoma e credibile capacità expeditionary europea, dotata di proprie forze, proprio stato maggiore e proprio sistema di comando e controllo. La dichiarazione dell’accattivante Ursula ha fatto specie, in quanto all’inedita iniziativa francese aveva subito aderito Germania, assieme a Regno Unito, Belgio, Olanda, Danimarca, Lussemburgo, Spagna, Portogallo ed Estonia. Successivamente, si univa anche la Finlandia. Quindi, per difendere efficacemente l’Europa niente Nato a 29, niente Pesco a 25, ma una compatta formazione sotto guida francese di (almeno) queste 10 nazioni.

L’Italia, che già era stata propulsiva nell’iniziativa Pesco e aveva favorito i lavori per giungere all’ultima Joint Declaration Nato-Ue, si era riservata una pausa di riflessione per valutare se partecipare o meno. Saggia decisione, cui però sono seguiti quindici mesi di ermetico mutismo. Questa volta, auspichiamo, ci salveranno dal torpore i fondi dell’Edf già programmati, e sarà l’Industria ad evitare che sulla difesa europea cali un’altra volta il sipario. Cherchez l’argiant! L’articolo di ieri ha già spiegato tutto, ma, dopo oltre mezzo secolo di storia della difesa europea, qualche osservazione generale in ordine logico va comunque fatta.

Prima riflessione. Spesso ci si dimentica, nel valutare le più disparate proposte di difesa dell’Europa, che le forze in campo, se si prescinde da Usa e Canada, sono sempre le stesse. Comunque le si voglia allocare (alla Nato o alla Ue). Ha senso, allora, volerlo fare senza gli Stati Uniti? Certo, a Macron piacerebbe molto, lo dice lui stesso. Tuttavia, Ursula non ha tutti i torti. Non varrebbe la pena, se il problema è semplificare risparmiando, lavorare per potenziare la posizione europea nella Nato, che già dispone già di tutte le strutture e l’esperienza necessaria? In fondo, è quello che chiedono da anni tutti i presidenti del Stati Uniti. Trump ha solo agitato lo spauracchio un po’ più degli altri. Finché lasciamo che siano loro, e sempre loro, i maggiori contribuenti, non cambieranno né la loro politica europea, né la volontà di indirizzo.

Seconda riflessione. Senza gli Usa l’Alleanza non ha senso, anche se comunque resterebbe il Regno Unito. Ma, essendo fuori dall’Ue, non potrà esserne a capo, né avere gran voce in capitolo. E allora torna alla mente, sotto una luce più chiara, il discorso di Macron. I casi sono due: o “comanda” lui, come la Francia ambisce da sempre, con bomba atomica e seggio al Consiglio di Sicurezza, oppure finirà per decidere la grande Germania unificata, massima potenza economica e, se prevalessero certe idee, in futuro anche massima potenza militare. Magari di concerto con la Polonia, capofila dei sospettosi ed un po’ riottosi Paesi dell’Est. Tra Francia e Germania chi è il meno pericoloso? Una volta, scherzando, il vecchio Helmut Kohl aveva ammonito: “…noi, unificati, ritorneremo ad essere il Gigante. Voi, i Lillipuziani, questo gigante fareste bene a mantenerlo ben legato…”. Kohl era il padrino della Merkel, che a sua volta è la madrina della Von der Leyen.

Terza riflessione. Questa ci riguarda direttamente, e si riallaccia alla seconda. Per quanto bravi e desiderosi di emergere, non c’è alcuna automaticità – come forse avevamo sperato – nel fatto che potremmo essere proprio noi, dopo la Brexit, a sostituire la Gran Bretagna nell’affiancamento al rinnovato asse franco-tedesco. Ma abbiamo già avuto dei segnali: nel terzetto di guida è gradita la Spagna, ma noi non saremo mai i benvenuti. Allora – e questo potrebbe anche diventare il ragionamento dell’Italia – al tavolo di Macron varrebbe la pena ci sedessimo anche noi, assieme agli altri dieci. Ne avremmo tutti i titoli e anche qualche carta da giocare, sopra tutto dopo la tardiva adesione al futuro aereo Tempest inglese. Ormai abbiamo già imparato che c’è modo e modo di stare seduti: aggregandosi senza idee, come purtroppo abbiamo fatto a lungo, o presentandoci con un nostro pacchetto ben confezionato.

Se le alternative fossero davvero peggiori, come purtroppo è possibile, anche l’interessato piano di Macron (che, come a Ursula, così com’è non piace nemmeno a noi) diventerebbe per necessità appetibile. Va però inserito in un contesto Nato, forzando in qualche modo gli Usa ad accettarlo. Magari a titolo di pacchetto che contribuisce a conseguire il tanto stressato due per cento del Pil.

Con spirito pragmatico, occorre allora cominciare almeno a pensare come gestire al meglio anche questa evenienza. Tanto, ad un compromesso prima o poi si dovrà pur arrivare, visto che forze armate unitarie della Ue non potranno mai esistere senza una politica estera e di difesa comune. Che è di là da venire.

2750.- Che cosa penso di parole e azioni del ministro Guerini (Difesa). L’analisi di Arpino

La conferma della nostra visione di complementarietà anche militare tra Unione Europea e Alleanza Atlantica rappresentano un tracciato di percorso della nostra politica non equivocabile. Il problema è l’Unione europea, priva di una Costituzione, di una politica estera sua per confrontarsi con Washington e priva di Forze Armate sue all’interno della NATO.

Da Start Magazine, l’articolo di Mario Arpino 

Berlin Security Conference

Le dichiarazioni del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini (Pd), commentate e analizzate dal generale Mario Arpino, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa

In queste plateali conferenze internazionali tradizione vuole che le cose migliori vengono fuori sempre “a margine”, mai in sessione. Così, anche la Berlin Security Conference dei giorni scorsi non ha tradito né le aspettative (non molte, per la verità), né la tradizione. Sono di rilievo, infatti, anche le dichiarazioni ex-post del nostro ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, il quale, pur senza approfondire, ha toccato – in modo coerente con quanto sostenuto in altre sedi – tutti i punti qualificanti del suo programma di governo. Non si tratta certo di novità, ma sono proprio la coerenza, l’assertività ed il pacato modo di esprimersi del nuovo ministro a ridare ai cittadini almeno un velo di fiducia e di speranza. Anche in termini di credibilità.

I punti toccati, come l’obiettivo di raggiungere il 2 per cento del pil entro il 2024, la decisione di entrare nella “seconda fase” del programma F-35, la necessità di immaginare l’Alleanza e la sua evoluzione in ordine a nuove minacce, il commento sulla non elegante dichiarazione di Macron (in disaccordo con Angela Merkel) sulla “morte cerebrale” della Nato e la conferma della nostra visione di complementarietà anche militare tra Unione Europea e Alleanza Atlantica rappresentano un tracciato di percorso della nostra politica non equivocabile. Certo, si dirà, ma sono cose dette in passato anche da altri, che – rientrati in casa – hanno subito ricominciato ad azzuffarsi proprio su questi temi. Che, ancora prima che pratici, di bilancio o di priorità, diventano divisivi quando affrontati in termini ideologico-culturali. E’ quello che sta accadendo.

Non conosco il ministro, ma, come già commentato in altre sedi (vedasi Cybernaua InformAction Magazine), si nota subito che appare come persona pacata e riflessiva. Non dovrebbe quindi essere un gran ‘twittatore’ e questo lo aiuterà a proteggersi da decisioni non reversibili, magari prese sull’onda di problematiche contingenti, che vediamo spesso trattate in termini di botta e risposta. Che però, se continuate, finiscono per sostituirsi alla buona politica. Non lo conosco, però posso permettermi di osservare che le sue stesse origini demo-margheritine ne hanno certamente fatto nel tempo un mediatore attento e moderato, cosa molto utile in un dicastero che già dispone di personaggi molto preparati a svolgere le attività tecnico-operative tecnico-amministrative. Sicuramente avrà subito compreso che sono il Capo di Smd ed il Segretario Generale i suoi primi consiglieri, da ascoltare a fondo prima di decisioni importanti. Senza interferenze reciproche, perché le sue competenze ed il suo ruolo sono esclusivamente di carattere politico. L’avvio sembra in questa direzione, è positivo, convoglia fiducia e, se sostenuto all’interno, non mancherà di portarci a nuova credibilità anche nel contesto internazionale

Nello specifico, sull’argomento “2 per cento del Pil” mi sembra che siamo finalmente usciti dalle ambiguità e dalle fuorvianti perifrasi: riprenderemo a camminare su questa strada, ma, tutti i ‘promotori’ si mettano l’animo in pace, entro il 2024 l’ipotesi non è raggiungibile. Compenseremo, come stiamo già facendo, con il contributo operativo nelle missioni internazionali. Michele Nones, dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), lo aveva già già dimostrato con lucidità e piena evidenza. A metà di quest’anno eravamo ancora all’1,15% del Pil, mentre nel documento programmatico ancora in vigore si prevede 1,17 per fine anno e 1,20 per il 2020. Avanzando così il mantenimento della promessa, fatto e da noi accettato sin dal 2014, è irraggiungibile, e finalmente il ministro Guerini ha avuto il coraggio di dirlo. Infatti con il passo attuale (aumento dello 0,03% annuo),a meno di positivi cataclismi finanziari (che non si intravedono) è onesto rivedere la stima di una ventina d’anni. Nel rapporto per il Parlamento, tuttavia, sono state indicate alcune aree di intervento a risparmio. Vedremo…

Bene la dichiarazione di Guerini sui due pilastri complementari della Difesa, l’Unione e la Nato. E’ però importante ricordare che, a parte Stati Uniti e Canada, le forze europee disponibili sono sempre le stesse, a prescindere dall’etichetta Ue oppure Nato. Senza gli americani, l’Alleanza perderebbe una parte sostanziosa della sua efficacia in termini di numeri, di mezzi di risorse intelligence e di comando e controllo. Al tavolo voluto da Macron quindi ora è bene aderire, ma solo per vigilare, per assicurasi che quel convitato di pietra che sempre sarà il fantasma della Tatcher (la ‘lady di ferro’ di quando non si parlava di Brexit) venga ancora ascoltato. Ricordate i suoi NO ai famosi 3D? (Duplication, Decouplig, Discrimination).

Bene anche per la dichiarazione circa il pomo della discordia, l’F-35, che riassume questi concetti: “Il programma è fondamentale per la Difesa e per l’Industria, siamo entrati nella seconda fase, il confronto e le riflessioni continuano”. Bene, ma bisogna però essere più certi su ciò che tutto questo significa. Il programma, composto a lotti, prevedeva 131 sistemi spalmati negli anni, ridotti a 90 dal governo Monti (a seguito di valutazioni la cui profondità ci è sconosciuta). 28 sono stati già acquisiti od ordinati, mentre altri 27 appartengono a quella 2^ fase cui di riferisce il ministro Guerini, e ciò porterà la nostra linea a 55 sistemi.

L’ambiguità quindi non è stata ancora del tutto eliminata, perché, per arrivare a 90, mancano ancora all’appello 35 sistemi. Si vuole tagliare ancora? O il “confronto e le riflessioni” che continuano derivano da una latente intenzione di fermarsi qui? Entrambe le ipotesi sarebbero un disastro operativo ed industriale, proprio in un momento in cui si prospettano nuove opportunità. E’ necessario uscire dall’arcano quanto prima. Se non altro per ricominciare a respirare….

2749.- Mes, Tria: “Conte si congratulò per accordo, penso che i vice sapessero”

Affaritaliani29 novembre 2019 08:32

Ricordate chi volle Tria al governo?

LaPresse 

L’ex ministro dell’Economia del governo gialloverde Giovanni Tria, nel rievocare il giorno di giugno in cui si definì l’accordo su una bozza di riforma del Mes da sottoporre al summit dei giorni successivi, ricorda in un’intervista a la Repubblica che “si trattava di tradurre in un testo definito l’accordo che era stato raggiunto nel dicembre precedente”. “Le trattative – spiega Tria – andarono avanti fino all’alba a Bruxelles perché il mandato era quello di non cedere su una questione non secondaria: alcuni Stati volevano che si prevedesse che le metodologie specifiche per valutare la sostenibilità dei debiti sovrani fossero rese pubbliche”, mentre “per noi era inaccettabile” perché avrebbe significato – dice – “aprire una corsa a valutazioni prospettiche anche fantasiose su un tema per noi di stretta competenza della Commissione che è un organo politico”. Quindi “ci opponemmo e la spuntammo” ricorda aggiungendo: “Nelle prime ore del mattino mi arrivò la telefonata di Conte che si complimentò per il risultato raggiunto. Immagino che i due vice presidenti del Consiglio fossero informati del buon risultato” afferma. 

Sulle accuse lanciate da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, di “alto tradimento” e violazione degli “interessi nazionali”, Tria dice di non volerle neppure prendere in considerazione, perché quest’ultimo “si difende mostrando che esso coincide con gli interessi dell’Europa e delle altre nazioni” ribatte ai due leader di Lega e Fratelli d’Italia. Per poi aggiungere anche: “Non è nell’interesse di nessuno né creare difficoltà alla gestione del debito in Italia, né ostacolare la gestione di una crisi bancaria in Germania. Gli effetti devastanti cadrebbero in ogni caso anche sugli altri paesi per le interdipendenze delle economie”. 

Tria sottolinea: “La riforma del Mes non ci danneggia. Ed è meglio che ci sia il Mes piuttosto che non ci sia, anche se noi non abbiamo bisogno di essere salvati”. E l’ex ministro ricorda che la trattativa per rafforzare il Mes “nacque essenzialmente con l’idea di introdurre anche il cosiddetto backstop, cioè un paracadute per rafforzare la capacità di intervento sulle crisi bancarie con risorse aggiuntive da utilizzare quando quelle del Single resolution fund fossero terminate”. 

Un’agenzia per altro “sostenuta da tutti” ad eccezione di “alcuni paesi del Nord” i quali “posero delle contropartite in termini di revisione del trattato per noi inaccettabili” come il conferimento al Mes di più poteri in caso di crisi rispetto a quelli della Commissione oltre alla previsione di regole di ristrutturazione dei debiti sovrani in caso di richiesta da parte degli Stati di un intervento di sostegno. 

“Ciò era inaccettabile perché si sarebbe rischiato di rendere plausibile l’idea che la ristrutturazione di un debito sovrano potesse avvenire”, chiosa l’ex ministro, il quale dice che “non fu un’impresa facile” opporsi alle richieste. 

2748.- Anche un reparto britannico lascia il confine turco per la regione ricca di petrolio della Siria: video

Con il pretesto di affiancare i curdi nella lotta all’Isis, americani, francesi e, ora, inglesi, tutti a difendere i pozzi di petrolio siriani dai siriani, scusate, dall’Isis e, poi, a chi le sanzioni?

By Hasan Khat -2019-11-28

Un reparto delle forze armate britanniche è stato visto, ieri, in partenza da una base militare americana nel Governatorato di Al-Hasakah per la vicina Deir Ezzor. il convoglio era diretto ai campi petroliferi di Al-Omar, dove, attualmente, sono acquartierate le forze speciali americane, secondo quanto riferito dal giornalista Mohammed Hassan. Segno che le compagnie petrolifere anglo-americane e la Total hanno spartito le loro zone d’interesse.

MOHAMMED HASSAN✔@MHJournalist

Così come le forze armate francesi, le forze armate britanniche fanno spesso base vicino all’esercito degli Stati Uniti e alle forze democratiche siriane a guida curda (SDF).

Il caso vuole che la partenza dei militari britannici da Al-Hasakah arrivi lo stesso giorno in cui un rapporto rivelava che l’ex primo ministro britannico Theresa May stava ponderando la possibilità di inviare 1.000 soldati britannici nel Nord della Siria, per sostituirvi le truppe statunitensi ritirate in seguito alla decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

La Russia: L’occupazione statunitense dei giacimenti petroliferi siriani sta alzando il livello della crisi.

2019-11-29

Il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov ha criticato aspramente, venerdì, la presenza militare degli Stati Uniti nei pressi di giacimenti petroliferi nel Nord-Est della Siria, dicendo che ciò porta all’escalation della situazione nel paese.

All’inizio di questo mese è stato riferito che un convoglio militare americano composto da 22 veicoli blindati e da due camion ha attraversato il confine tra Siria e Iraq e si è posizionato vicino a diversi giacimenti di petrolio nella Siria Nord-orientale.

Il rischieramento è arrivato fra una dichiarazione e l’altra del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, sottolineando che il principale obiettivo degli Stati Uniti in Siria è mantenere il controllo sui giacimenti petroliferi del paese.

“Abbiamo portato le nostre truppe fuori di lì, e ne porteremo molte a casa, ma conserveremo ancora il controllo sul petrolio”, ha detto Trump all’inizio del suo incontro con la sua controparte turca Recep Tayyip Erdogan il 13 novembre.

Fonte: Sputnik

L’esercito arabo siriano affronta i ribelli jihadisti

L’esercito arabo-siriano (SAA) ha ripreso i suoi attacchi di terra contro i ribelli jihadisti nella Latakia nord-orientale questa settimana, mentre cercano di catturare la città chiave di Kabani.

In un breve video pubblicato dall’arabo Sputnik, si può vedere l’esercito arabo siriano che affronta i ribelli jihadisti a sud di Kabani mentre tentano di avanzare verso l’ingresso meridionale della città.

Up close footage from Syrian Army’s attack on key town in northeast Latakia

I ribelli jihadisti posizionano armi pesanti vicino alla base turca a Idlib. Guarda caso!

2019-11-28

I ribelli jihadisti nel Governatorato di Idlib hanno iniziato a posizionare le loro armi pesanti vicino a una base militare turca. Che ci fa una base turca nel Governatorato di Idlib?

Nelle foto catturate da aerei da ricognizione, si possono vedere i ribelli jihadisti che stabiliscono le loro posizioni vicino alla base militare turca, che fornirebbe loro copertura in caso di un attacco di ritorsione da parte dell’esercito arabo siriano (SAA) e dei loro alleati.

L’esercito turco “della NATO” sta permettendo ad al-Qaeda di stabilire posizioni di armi pesanti proprio accanto ai suoi posti a Idlib, i posti che sono stati istituiti in primo luogo per spingere i terroristi e le loro armi pesanti a 20 km da dietro. pic.twitter.com/F05JF5Vi6o

— All’interno della Siria (@WithinSyriaBlog), 28 novembre 2019

Questo stratagemma dei ribelli jihadisti è già stato attuato in precedenza, specialmente nel Governatorato di Hama, quando questi ha posizionato i loro lanciarazzi vicino ai posti di osservazione dell’esercito turco nel nord di Hama.

Ben sapendo che da qui provenivano i missili dei mercenari, l’esercito arabo-siriano, alla fine, ha risposto ad agosto, attaccando queste posizioni jihadiste, provocando anche la morte di un paio di militari turchi.

Ankara ha avvertito Mosca di questi incidenti avvenuti nella parte nord-occidentale di Hama; tuttavia, l’esercito siriano ha promesso di attaccare i ribelli jihadisti in qualsiasi parte della Siria.

Con l’esercito siriano che avanza costantemente nella regione Sud-orientale del Governatorato di Idlib, i ribelli jihadisti stanno cercando in tutti i modi di rafforzare le loro posizioni ed eludere i devastanti attacchi aerei dell’aeronautica russa.

Non è tutto:

“La Turchia ha consegnato ai terroristi siriani almeno due carri armati Leopard II tedeschi, che erano già stati individuati in prima linea nella provincia di Idlib. Pertanto, la parte turca sostiene attivamente i terroristi che si oppongono alle forze governative siriane e conducono regolarmente attacchi contro le forze armate russe in questa regione della Siria “, afferma il rapporto.

L’esercito arabo siriano (SAA) ha riferito che le sue forze hanno abbattuto un drone militare turco nella Siria Nord-orientale questa sera.

Secondo l’esercito, il comando delle forze dell’SAA nel distretto di Al-Qamishli di Al-Hasakah ha dato l’ordine di abbattere il drone militare turco dopo che è stato avvistato in giro per l’area.

L’esercito ha affermato che il drone è stato abbattuto precisamente nella campagna Sud-orientale di Al-Qamishli, che in precedenza era sotto il controllo delle forze democratiche siriane a guida curda (SDF).

Il distretto di Al-Qamishli si trova nella regione settentrionale del Governatorato di Al-Hasakah vicino al confine turco. Mentre le forze armate turche hanno preso di mira la città prima, hanno fermato i loro attacchi da quando le forze armate russe si sono schierate all’aeroporto militare.

La Siria, quando riavrà la sua pace, è una terra bellissima.

Valle di Al-Ghab. Questo è un posto favolosamente bello in Siria tra le montagne di Latakia e le colline di Hama.

A settembre 2018, Turchia, Russia e Iran hanno concordato di concludere una tregua tra l’esercito siriano e la cosiddetta “opposizione”. Uno dei punti principali è stato il ritiro di tutte le armi pesanti al di fuori della “zona smilitarizzata”.

Tuttavia, l’ala siriana di al-Qaeda (Jebhat al-Nusra) ha respinto qualsiasi accordo politico. I territori di Idlib e Hama furono dichiarati “terre della jihad”. Ad aprile, i terroristi non solo hanno costantemente attaccato le cere siriane, ma hanno anche sparato più volte alla base aerea russa Khmeimim dalla valle di Al-Gab. In risposta, l’esercito siriano, con il sostegno dell’aeronautica russa, lanciò un’operazione militare. E come al solito, la Tiger Force, sotto il comando di Suhel Hassan, aveva il compito di sfondare la linea di difesa del nemico.

L’operazione militare è accompagnata da un numero enorme di falsi e rumori informativi prodotti dai militanti. Hanno un compito: ispirare i loro sostenitori e fermare i combattimenti con qualsiasi mezzo attraverso i loro sponsor. Ma la maggior parte dei rapporti dei militanti si rivela una banale menzogna. Cui prodest?

2747.- Giorgia Meloni, Claudio Borghi e Carlo Calenda, il dott. Marcotti ci parlano del MES

DAL CAMPO MINATO DEL MES:


Il Tradimento della Costituzione dei lavoratori, rectius, dei partiti prosegue con il MES. Il Parlamento ospita poche persone competenti, in grado di dare un indirizzo ponderato e di esprimersi in modo compiuto e troppe persone che sanno e possono fare solo caciara. È il vulnus di questa democrazia in mano a partiti-consorteria, senza principi costituzionalizzati e facili prede dei poteri finanziari, retta da istituzioni che contraddicono i principi fondanti della Costituzione, in cui un presidente della Repubblica, scelto ed eletto da un partito della falsa sinistra, scivolato in fondo alla graduatoria degli elettori, nomina presidenti del Consiglio e Governi con i voti di un altro partito bocciato reiteratamente dai successivi confronti elettorali, benché non politici. Una situazione grottesca nella quale prevalgono i poteri finanziari mondiali, che sta attuando cinicamente la distruzione del tessuto economico e, poi, sociale della Nazione risorta dalle ceneri di una guerra idiota e che mi farebbe riscrivere alcuni articoli della Costituzione, così:


Articolo 1.- La sovranità appartiene al Presidente della Repubblica, che la esercita per sette e anche più anni attraverso governi e parlamenti che rispecchiano il suo volere e non quello del popolo. La Repubblica è fondata sulle elemosine di Stato a favore di chiunque e da qualunque luogo provenga.


Articolo 42.- La proprietà pubblica o privata è un delitto e va perseguitata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta dalla legge, che ne determina i modi di sfruttamento e i limiti allo scopo di renderla inappetibile e inaccessibile a tutti.


Articolo 49.- I cittadini possono partecipare alla vita politica della Nazione se si conformano e obbediscono agli interessi delle consorterie che governano i partiti, senza Alternanza, Trasparenza e Onestà.


Articolo ultimo.- Chi non approva questi principi è fascista.

Tutto quanto detto da Gualtieri è gravissimo e evidenzia comportamenti che potrebbero anche configurare eversione Conte ha nei fatti approvato un testo definitivo e inemendabile senza alcun dibattito in parlamento. Perché “potrebbero”? Ci hanno svenduto e, ora, ci rapinano.

Art. 264 c.p. “Chiunque,incaricato dal Governo italiano di trattare all’estero affari di Stato, si rende infedele al mandato è punito, se dal fatto possa derivare nocumento all’interesse nazionale, con la reclusione non inferiore a 5 anni”.

Diciamo No alla ristrutturazione del MES e del debito pubblico italiano, No a chi ha tradito il suo impegno verso il Parlamento. Basta con i vincoli esterni per la felicità di quattro venuti a galla, manco loro sanno come. Il MES imporrà la ristrutturazione del debito all’Italia, se vorrà avere accesso ai 15 miliardi che noi abbiamo versato e ai 100 per cui ci siamo impegnati. Se no, poi, sale lo spread e…

Fuori dall’Unione europea di Maastritch e rifondarla senza violare la Costituzione. .

Salvini: “Il bail-in non ha genitori adesso, ma se torniamo a una conferenza stampa che la Lega fece anni fa sul bail-in risentiamo in parte le parole di oggi, col problema che il #MES è il bail-in fatto 100. Fermiamoci finché siamo in tempo, cioè fermatevi finché siete in tempo”.

Molinari: “se lo votiamo andiamo in quel meccanismo per cui i titoli di Stato diventano carta straccia, e quindi avremo un danno certo alla nostra economia. Se dovessimo non votarlo avremmo una speculazione dei mercati che creerebbero dei problemi enormi col solito gioco dello Spread”. In appendice il testo integrale della Risoluzione in Assemblea: 6/00076 presentata dall’on. Riccardo Molinari il 19 giugno 2019, seduta 192.

Si parla di “fondo salva-Stati”, come se fosse una cosa normale. Ma nessuno spiega perché all’improvviso uno Stato debba essere “salvato”, da chi o da che cosa.

La ristrutturazione del debito è una minaccia figlia della divisione in Europa fra stati debitori, l’Italia e stati creditori, la Germania e il Meccanismo Europeo di stabilità, istituito nel 2011 per supportare gli Stati aderenti in casi di crisi, oggi, dopo il tentativo di riforma è accusato di essere ed è in realtà un “Fondo Ammazza Stati”. Giancarlo Giorgetti: “Prima di tutto stiamo parlando di un trattato che non è una legge ordinaria, e neanche paradossalmente di una legge costituzionale. Di un trattato che una volta firmato condizionerà la vita della politica e degli italiani per le generazioni a venire…” Bisogna uscire al più presto da questa unione europea che non ha più senso di esistere: ITALEXIT.

La fregatura del fondo salva stati spiegata in 4 minuti da Giorgia Meloni.

Cosa prevede la riforma del MES? Delle modifiche sostanziali al Meccanismo Europeo di Stabilità che risultano ancora più svantaggiose e pericolose per la nostra Nazione di quanto non lo fossero già. L’Italia contribuirà con decine di miliardi a un fondo al quale non potrà accedere e se mai dovesse fare richiesta di aiuto, lo Stato italiano sarà commissariato dal MES stesso che avrebbe il potere di imporre misure lacrime e sangue agli italiani. L’ennesimo delirio utile solo alla Germania. Fratelli d’Italia non lo permetterà, faremo di tutto per impedirlo!

Il “confronto” tra Carlo Calenda e Lucia Borgonzoni

28/11/2019 

L’Europa, il Fondo Salva-Stati e le elezioni in Emilia Romagna: questi sono alcuni dei temi su cui si è acceso il dibattito tra Carlo Calenda e Lucia Borgonzoni a piazza Pulita. 

Mettiamo a rischio i nostri titoli di Stato – spiega la leghista -, se ipoteticamente bisogna rientrare di 120 miliardi in 7 giorni, visto che il debito diventa collettivo, si può andare a prenderli da quelli che sono i titoli di Stato. Direttamente, o indirettamente se viene colpita una banca. Non a caso agli Stati a cui va bene hanno riempito le loro banche con la Grecia. Se volessimo accedere al fondo salva Stati perché abbiamo una crisi, ci sarebbero una serie di clausole che non riusciremmo a garantire e in 7 giorni ci richiederebbero indietro 120 miliardi”.
La spiegazione di Borgonzoni irrita Calenda, che sbotta: “C’è una confusione gigantesca, stai facendo un macello, il delirio non è possibile… Quelli di cui parli sono fondi differenti, due linee di credito diverse: uno per il contagio da default e uno per i Paesi in difficoltà economica. O voi siete in grado di articolare un pensiero compiuto in cui si spiega qual è il meccanismo secondo cui – come dice Salvini – c’è una pistola alla testa puntata sull’Italia, o diventa l’ora del dilettante allo sbaraglio. Hai citato cose che non c’entrano niente l’una con l’altra… Non la buttare in caciara!”.

Claudio Borghi spiega il funzionamento del Mes: “Possedere titoli di Stato diventa rischioso”

28/11/2019 

Mes, Claudio Borghi: “Il testo è sbagliato nella sua versione originale, abbiamo dato quasi 60 miliardi che sono finiti alle banche francesi e tedesche che verrano restituiti nel 2070. Inoltre, vi era già la previsione delle perdite possibili per chi ha in mano dei titoli di Stato. Per il futuro, vengono aggiunte due clausole di azione collettiva a voto singolo, significa che i prossimi titoli di Stato devono essere stampati con una postilla, che rende più facile farli fallire. Se noi mettiamo insieme questi due elementi: il fatto che sia prevista la possibilità che chi ha titoli di Stato abbia delle perdite e delle clausole che facilitano questa ristrutturazione, è chiaro che i avere titoli di Stato diventa pericoloso. Dato che i titoli di Stato sono in mano ad italiani o istituzioni italiane, nel momento che qualcuno facesse scattare questo meccanismo, per l’Italia sarebbe un disastro. Significa, inoltre, che, visto che i titoli di Stato sono rischiosi, i mercati potenzialmente potrebbero non acquistarci titoli di Stato. E allora chiederemmo aiuto al fondo salva Stati. E’ molto pericoloso”.

“MES: Lega e 5 Stelle erano contrari. Fu Conte a decidere diversamente” ► Borghi (Lega)

Borghi: “Se loro a maggioranza possono decidere come riallocare questi soldi significa che faranno una valutazione di convenienza, e se gli conviene mettere i soldi sul condominio bene, se invece gli conviene concentrare su un solo membro il problema della ristrutturazione del debito, lo faranno”

23 nov 2019

Del MES, il Meccanismo europeo di stabilità detto anche Fondo salvaStati, il deputato leghista Claudio Borghi aveva detto che avrebbe messo profondamente in crisi l’Italia. Questo già a giugno scorso, in piena incubazione di quella che poi è diventata ufficialmente la crisi del governo giallo-verde. A distanza di mesi, e con un governo che ha cambiato sfumatura di colore ma non Presidente del Consiglio, che cosa ne pensa il Presidente della Commissione Bilancio della Camera? Stefano Molinari lo ha chiesto proprio a lui durante la diretta di ‘Lavori in corso’. Ecco cosa ha risposto. Intervista all’Onorevole Claudio Borghi Aquilini

Il Dott. Marcotti di Finanza in chiaro : Il MES e’ una tragedia, Conte e Di Maio ci trascinano nel baratro

28 nov 2019

Conte e Di Maio potrebbero trascinarci nel baratro. Solo Conte e Di Maio ? E Mattarella dove lo mettiamo ? Gualtieri l’ uomo del bail in ? La vicenda MES sta esplodendo in tutta la sua gravità. Si può arrivare anche alla ristrutturazione del debito italiano.

“Questo video spiega in modo efficace le conseguenze devastanti che l’applicazione del MES avrebbe sulla nostra economia (e sulle nostre vite). Il Dott. Marcotti di Finanza in chiaro è molto preparato .  Il tono del suo video, soprattutto negli ultimi minuti, è da brividi perché spiega molto bene l’enorme gravità della situazione. Se il MES venisse applicato l’Italia precipiterebbe nel baratro, nel caos più totale. Condividete il più possibile”.

Legislatura 18 Atto Camera dei Deputati

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

6/00076 CAMERA

presentata da MOLINARI RICCARDO il 19/06/2019 nella seduta numero 192

Stato iter : CONCLUSO

Atti abbinati :
Atto 6/00075 abbinato in data 19/06/2019 Atto 6/00077 abbinato in data 19/06/2019 Atto 6/00078 abbinato in data 19/06/2019 Atto 6/00079 abbinato in data 19/06/2019

Partecipanti alle fasi dell’iter :

Sindacato Ispettivo

COFIRMATARIOGRUPPODATA FIRMA
D’UVA FRANCESCOMOVIMENTO 5 STELLE19/06/2019
NOMINATIVOGRUPPO oppure MINISTERO/CARICADATA evento
INTERVENTO GOVERNO
CONTE GIUSEPPEPRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI19/06/2019
DICHIARAZIONE VOTO
TABACCI BRUNOMISTO-+EUROPA-CENTRO DEMOCRATICO19/06/2019
COLUCCI ALESSANDROMISTO-NOI CON L’ITALIA-USEI19/06/2019
FORNARO FEDERICOLIBERI E UGUALI19/06/2019
LOLLOBRIGIDA FRANCESCOFRATELLI D’ITALIA19/06/2019
BERGAMINI DEBORAHFORZA ITALIA – BERLUSCONI PRESIDENTE19/06/2019
BOCCIA FRANCESCOPARTITO DEMOCRATICO19/06/2019
DI MURO FLAVIOLEGA – SALVINI PREMIER19/06/2019
SCERRA FILIPPOMOVIMENTO 5 STELLE19/06/2019
FATUZZO CARLOFORZA ITALIA – BERLUSCONI PRESIDENTE19/06/2019
PARERE GOVERNO
CONTE GIUSEPPEPRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI19/06/2019

Fasi dell’iter e data di svolgimento :
DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 19/06/2019
DISCUSSIONE IL 19/06/2019
ATTO MODIFICATO IN CORSO DI SEDUTA IL 19/06/2019

ACCOLTO IL 19/06/2019
PARERE GOVERNO IL 19/06/2019 APPROVATO IL 19/06/2019 CONCLUSO IL 19/06/2019

TESTO ATTO

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00076

presentato da MOLINARI Riccardo

testo di

Mercoledì 19 giugno 2019, seduta n. 192

La Camera,

in occasione della riunione del Consiglio europeo che avrà luogo a Bruxelles il 20 e 21 giugno prossimi venturi e del Vertice Euro del 21 giugno prossimo, in cui i Capi di Stato e di Governo degli Stati membri affronteranno un cospicuo numero di argomenti iscritti all’ordine del giorno e ascoltate le comunicazioni del Presidente del Consiglio,

premesso che:

il Consiglio europeo di giugno è il primo dopo la tornata elettorale europea dello scorso maggio e segnerà l’inizio della partita per la definizione del nuovo assetto delle istituzioni europee, soprattutto per quanto riguarda l’adozione della nuova Agenda strategica per l’Unione 2019-2024 e le nomine del prossimo ciclo istituzionale;

l’Italia dovrà giocare un ruolo centrale in questa fase quale paese fondatore dell’Unione europea sia nella determinazione degli equilibri della nomina del nuovo Presidente della Commissione europea, sia nell’attribuzione degli incarichi da commissario europeo;

in vista delle trattative per la composizione della nuova Commissione europea, il nostro paese non potrà non porre in essere tutte le azioni per lavorare alla costruzione del più largo consenso possibile a sostegno delle candidature che saranno avanzate dall’Italia, nell’ambito del rinnovo delle cariche istituzionali di vertice dell’Unione europea;

anche il Vertice Euro è il primo dopo la tornata elettorale europea, e prevede all’ordine del giorno il tema dell’approfondimento dell’Unione economica e monetaria (UEM), considerando in particolare i tre temi dello strumento di bilancio per la zona euro, della riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), e dei progressi compiuti nel rafforzamento dell’Unione bancaria,

considerato che:

il nuovo Parlamento europeo avrà un primo banco di prova con cui dovrà misurarsi, vale
a dire la definitiva approvazione, d’accordo con il Consiglio europeo, del bilancio a lungo termine dell’Unione, il cosiddetto Quadro Finanziario Pluriennale con cui si decide non solo il contributo degli Stati membri al bilancio europeo, ma soprattutto come saranno spese le risorse nei sette anni compresi tra il 2021 e il 2027;

rimane ancora aperta la possibilità di limitare gli effetti dei tagli previsti pari al 5 per cento dei settori tradizionali del bilancio europeo vale a dire la Politica agricola comune e del 7 per cento per la politica di coesione, ponendo nel negoziato la massima attenzione ai criteri per l’assegnazione dei fondi che oltre al prodotto interno lordo pro capite come criterio principale dovrà tenere conto anche di altri fattori come ad esempio la disoccupazione (in particolare giovanile), per pervenire ad un quadro legislativo e finanziario il più possibile aderente agli interessi nazionali;

nonostante il comparto agricolo abbia subito negli ultimi anni sostanziali cambiamenti per fattori macroeconomici e tensioni geopolitiche con una drastica riduzione dei prezzi dei prodotti agricoli e una concorrenza spesso sleale dai paesi terzi, anche a causa dell’assenza di una politica di difesa europea in materia agro-alimentare, il futuro assetto della Politica agricola comune è stato delineato partendo da una consistente riduzione sia dei pagamenti diretti, sia delle dotazioni del Fondo agricolo europeo per lo sviluppo rurale;

si rende pertanto necessario un impegno del Governo volto ad assicurare il mantenimento di adeguate risorse finanziarie, supportate da un sistema di incentivi che agevoli il raggiungimento degli obiettivi, in grado di garantire un equo reddito ai produttori agricoli, con misure in grado di promuovere la competitività del settore, nonché misure sostenibili della gestione dei rischi legati
ai cambiamenti climatici in atto e al rispetto dell’ambiente, tenendo in debito conto il contributo della PAC alle tematiche climatico-ambientali, alla luce degli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Agenda 2013 e dell’Accordo di Parigi;

tenuto conto che:

i leader europei nel corso del Consiglio Europeo torneranno sulla questione dei cambiamenti climatici in vista del vertice sull’azione per il clima convocato dal Segretario generale delle Nazioni Unite per il prossimo 23 settembre 2019;

l’Unione europea sta compiendo importanti passi avanti nella realizzazione degli obiettivi ambientali al 2030, ma per fornire un maggiore impulso e rafforzate certezze agli investitori appare necessaria la presentazione di una strategia a lungo termine che, in linea con gli Accordi di Parigi, definisca una serie di obiettivi chiave e misure di intervento, e valuti la possibilità di scorporare gli investimenti pubblici nel settore « green» dal computo dei parametri utili al pareggio di bilancio
e del rapporto deficit/pil, per rendere l’economia e il sistema energetico dell’Unione europea più competitivi, sicuri, omogenei e sostenibili;

in ultimo il Consiglio europeo dibatterà delle conclusioni relative alle raccomandazioni specifiche per paese 2019 nel quadro del semestre europeo, presentate dalla Commissione europea lo scorso 5 giugno, indirizzando tutti gli Stati membri dell’Unione europea agli orientamenti in materia di politica economica per i prossimi 12-18 mesi;

il rallentamento economico globale sta avendo un impatto sulla congiuntura economica in Europa e necessita pertanto di una risposta europea, con un rafforzamento in particolare della domanda interna e con un impulso alla crescita attraverso maggiori investimenti e riforme coraggiose;

allo stesso tempo persistono differenze significative tra i paesi, le regioni e i gruppi di popolazione, per questo tra i temi decisivi per il futuro dell’Europa per i prossimi anni c’è quello dell’occupazione, della crescita e della competitività, orientato alla realizzazione del pilastro europeo dei diritti sodali e alla salvaguardia dell’equità del mercato del lavoro;

nella prospettiva del prossimo ciclo istituzionale e della nuova agenda politica dell’Unione europea, il sostegno alla crescita, al lavoro e all’inclusione sociale dovrà essere al centro dell’azione di Governo, affinché si lavori alla costruzione di una vera strategia industriale europea, capace di creare crescita e occupazione e di tutelare le imprese, con particolare riguardo alle PMI, principale motore del tessuto produttivo italiano ed europeo;

nel febbraio scorso la Commissione Europea, nelle sue valutazioni, ha concluso che 13 Stati membri presentavano squilibri (Bulgaria, Croazia, Francia, Germania, Irlanda, Portogallo, Spagna, Paesi Bassi, Romania e Svezia) e che tre di essi registravano squilibri eccessivi (Cipro, Grecia e Italia), richiedendo un monitoraggio specifico e continuo nel quadro della procedura per gli squilibri macroeconomici;

nel Rapporto sul Debito, inviato alla Commissione lo scorso 31 maggio, il Governo ha presentato i cosiddetti fattori rilevanti per il mancato rispetto della riduzione del rapporto debito/ PIL nel 2018. In chiave prospettica, sono state anche fornite stime e valutazioni che indicano che nell’anno in corso l’Italia rispetterà i dettami del Patto di Stabilità e Crescita (PSC);

nell’ultima valutazione del mese di giugno la Commissione Europea ha adottato relazioni a norma dell’articolo 126, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) nei confronti di Belgio, Francia, Italia e Cipro, in cui esamina la conformità di questi paesi con i criteri relativi al disavanzo e al debito previsti dal trattato. Per l’Italia, la relazione conclude che è giustificata una procedura per disavanzi eccessivi per il debito;

il quadro di sorveglianza macroeconomica definito dal Regolamento (UE) n. 1176/2011 sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici richiede esplicitamente che la sostenibilità del sentiero di sviluppo di un paese sia monitorata avendo riguardo a una pluralità di indicatori, fra cui assumono rilievo il livello di indebitamento del settore privato, l’evoluzione dei flussi di credito al settore privato, e l’evoluzione della disoccupazione;

la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e alla Banca Centrale Europea recante il quarto rapporto sulla riduzione dei crediti deteriorati e le ulteriori riduzioni del rischio nell’Unione Bancaria COM(2019) 278 definitiva dà atto del rilevante ed efficace sforzo compiuto dal nostro paese sul fronte della riduzione dei crediti deteriorati;

è opportuno sostenere l’inclusione, nelle condizionalità previste dal MES e da eventuali ulteriori accordi in materia monetaria e finanziaria, di un quadro di indicatori sufficientemente articolato, compatibile con quello sancito dal Regolamento (UE) n. 1176/2011, dove si consideri quindi fra l’altro anche il livello del debito privato, oltre a quello pubblico, la consistenza della posizione debitoria netta sull’estero, e l’evoluzione, oltre che la consistenza, delle sofferenze bancarie, onde evitare che il nostro Paese sia escluso a priori dalle condizioni di accesso ai fondi cui contribuisce,
impegna il Governo:

1) in vista del nuovo ciclo istituzionale e del conseguente avvicendamento alle cariche istituzionali di vertice dell’Unione europea, a lavorare alla costruzione del più largo consenso possibile fra i partner europei, a sostegno delle candidature che saranno avanzate dall’Italia, assicurando che la presenza italiana ai vertici istituzionali dell’Unione sia adeguata al peso politico del nostro Paese;

2) con specifico riguardo alla posizione del futuro Commissario italiano, ad avviare le necessarie interlocuzioni con gli Stati membri al fine di ambire ad un portafoglio di prioritario interesse strategico per il Paese, in un ambito in cui l’Unione Europea ha competenze esclusive;

3) in vista della definizione del nuovo quadro finanziario pluriennale, a negoziare una ridefinizione degli stanziamenti destinati alla politica di coesione e alla Politica Agricola Comune
per l’UE-27, tali da scongiurare tagli al finanziamento delle politiche tradizionali, e garantire un’assegnazione equa delle risorse ai diversi Stati membri, in una prospettiva di sostegno e di sviluppo dell’agricoltura italiana, e di difesa strategica della qualità del nostro comparto agricolo, considerata la centralità del settore primario nelle sfide della sicurezza alimentare globale e rispetto ai cambiamenti climatici, nonché di rafforzamento della convergenza economica e sociale all’interno dell’Unione;

4) ad adottare iniziative per potenziare, estendere e rendere più efficace ed efficiente la gestione dei fondi europei che sostengono le politiche di welfare degli Stati membri, nei settori dove si rendono maggiormente necessari; prevedendo, da un lato, appositi stanziamenti destinati al contrasto della povertà e all’inclusione sociale per uno sviluppo equo, condiviso, con lo scopo di contrastare in maniera efficace la disoccupazione e migliorare il contesto imprenditoriale;

5) in tema di cambiamenti climatici, a farsi promotore presso le competenti sedi europee di ogni iniziativa finalizzata alla decarbonizzazione dell’economia fissando come obiettivo l’impatto climatico zero entro il 2050, fermo restando la necessità di conseguire tale obiettivo attraverso un percorso condiviso e sostenibile anche sul piano economico ed energetico, come indicato dalla strategia a lungo termine dell’Unione europea per la riduzione delle emissioni di gas serra, contenuta nella comunicazione «Un pianeta pulito per tutti visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra» del 28 novembre 2018;

6) ad attuare, nelle opportune sedi competenti e nell’ambito delle proprie competenze, tutte le misure necessarie al raggiungimento degli obiettivi di riduzione di gas ad effetto serra concordate
a livello internazionale ed europeo, tenendo conto dei benefici ambientali, sodali ed economici connessi alla riduzione delle emissioni, se inserite all’interno di un progetto condiviso di sviluppo sostenibile;

7) in merito alle recenti decisioni della Commissione Europea sulla situazione macroeconomica frazionale, a favorire uno spirito di piena collaborazione e dialogo con le Istituzioni europee, assicurando che venga preservata la sostenibilità delle finanze pubbliche in un quadro di non aumento e di progressiva riduzione della pressione fiscale, nel segno della sostenibilità sociale e senza attuare manovre recessive, al fine di scongiurare l’effettivo avvio di una procedura di infrazione per debito eccessivo;

8) ad adottare iniziative per porre in essere adeguate politiche economiche in cui venga coniugata da un lato la flessibilità economica per il rilancio degli investimenti infrastrutturali e dall’altro la diminuzione strutturale delle tasse sul lavoro, necessarie per la ripresa della produttività e dell’occupazione;

9) ad avviare un dibattito nelle istituzioni europee al fine di riformare il Patto di stabilità
e di crescita, prevedendo, tra gli altri, l’esclusione degli investimenti produttivi, inclusi quelli in capitale umano, dal computo dei parametri utili al pareggio di bilancio e del rapporto deficit/pil, e la revisione del riferimento al saldo strutturale, indicatore la cui natura pro-ciclica è riconosciuta a livello internazionale, al fine di sostenere crescita, lavoro e inclusione sociale, investendo nella politica industriale aperta alle nuove tecnologie, nella ricerca e nell’innovazione, nelle infrastrutture materiali e digitali, nella cultura, rilanciando l’economia e uscendo dalle spirali recessive;

10) in ordine all’approfondimento dell’unione economica e monetaria, a confermare l’impegno ad opporsi ad assetti normativi che finiscano per costringere alcuni Paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti ed automatici, con sostanziale esautorazione del potere di elaborare in autonomia politiche economiche efficaci;

11) più specificamente, in ordine alla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità, a non approvare modifiche che prevedano condizionalità che finiscano per penalizzare quegli Stati membri che più hanno bisogno di riforme strutturali e di investimenti, e che minino le prerogative della Commissione europea in materia di sorveglianza fiscale;

12) a promuovere, in sede europea, una valutazione congiunta dei tre elementi del pacchetto di approfondimento dell’unione economica e monetaria, riservandosi di esprimere la valutazione finale solo all’esito della dettagliata definizione di tutte le varie componenti del pacchetto, favorendo il cosiddetto « package approach», che possa consentire una condivisione politica di tutte le misure interessate, secondo una logica di equilibrio complessivo;

13) a render note alle Camere le proposte di modifica al trattato ESM, elaborate in
sede europea, al fine di consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, a sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato.

(6-00076) (Nuova formulazione) (Testo modificato nel corso della seduta) «Molinari, D’Uva».

Stampato il 22/11/2019 Pagina 7 di 7

2746.- RICOMINCIAMO! GLI STATI UNITI ACCUSANO LA RUSSIA DI AIUTARE LA SIRIA A NASCONDERE L’USO DI ARMI CHIMICHE

Fossi Putin gliele darei io a Trump le armi chimiche! Quando gli Stati Uniti cominciano ad agitare questo burattino, il teatrino della morte alza il sipario. Il problema della Siria non sono queste bagole, ma l’occupazione e lo sfruttamento illegali delle sue fonti di energia.

2019-11-28

Giovedì gli Stati Uniti hanno accusato la Russia di aiutare la Siria a nascondere l’uso di armi chimiche all’interno del Paese.

Secondo la Reuters News Agency, gli Stati Uniti hanno accusato la Russia di aver compromesso il lavoro dell’Organizzazione per il proibizionismo delle armi chimiche (OPCW), l’agenzia globale che tenta di identificare se queste armi fossero usate in Siria.

I commenti del rappresentante degli Stati Uniti all’Organizzazione per il proibizionismo delle armi chimiche (OPCW), Kenneth Ward, hanno attirato una rapida smentita da Mosca e sono arrivati quando le potenze occidentali e la Russia si sono scontrate alla conferenza annuale dell’agenzia a L’Aia.

Mosca, invece, ha citato per mesi il dissenso di due ex dipendenti dell’OPCW, che hanno fatto trapelare un documento e un’e-mail come prova del fatto che proprio l’OPCW ha documentato le conclusioni di un rapporto del 1° marzo che aveva scoperto che una sostanza chimica tossica contenente cloro era stata utilizzata in un attacco del 2018 vicino a Damasco.

Le presunte armi chimiche su Douma hanno avuto luogo all’inizio di aprile 2018 quando l’esercito arabo siriano (SAA) stava avanzando rapidamente attraverso le ultime aree sotto il controllo delle forze militanti nella regione di Ghasco Est di Damasco.

A seguito delle loro accuse di utilizzo di armi chimiche, gli Stati Uniti e i suoi alleati, Francia e Gran Bretagna, lanciarono un potente attacco alle installazioni militari del governo siriano all’interno del paese, spingendo Damasco, Mosca, Pechino e Teheran a condannare queste azioni.

È chiaro che si vuole distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica americana dall’occupazione e dallo sfruttamento illegali delle risorse energetiche del popolo siriano, ma con le storie delle armi chimiche o di distruzione di massa, la Casa Bianca si rende sempre più ridicola. In ogni caso, fanno peggio un’invasione di una nazione sovrana con reparti di terroristi armati fino ai denti, con decapitazione di prigionieri, bombardamenti anche con il fosforo e di centri abitati, diaspora di un intero popolo, oppure il dubbio non dimostrato del possesso di armi chimiche?

La Siria sostiene di non aver usato armi chimiche a Douma, cosa che anche l’esercito russo ha confermato immediatamente quando queste accuse sono state avanzate.

Perché non dovremmo credere all’esercito russo e credere a chi impiega reparti di terroristi mercenari?

2745.-ATTENZIONE PERICOLO URGENTE di Maurizio Blondet

Mattarella: al di fuori di questo progetto non vi può essere, in realtà, per i popoli europei, né sovranità né indipendenza, bensì l’esatto contrario

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Cosa intende per sovranità? Non certo quella della Costituzione; ma, allora, Presidente che ci fa Lei al Quirinale?

75012:26 – 23 nov 2019

Attenti:

Entro sette giorni! Irrevocabilmente, incondizionatamente  – e senza approvazione  parlamentare

Claudio Borghi A.@borghi_claudio

Ve la traduco:
“I membri del MES (noi) si impegnano a pagare irrevocabilmente e incondizionatamente al MES a semplice richiesta qualsiasi somma a loro domandata dal direttore del MES (Klaus Regling) entro sette giorni”.
Bello eh? E qualcuno ha il coraggio di firmare sta roba?

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2.14113:56 – 23 nov 2019

Entro sette giorni! Irrevocabilmente, incondizionatamente  – e senza approvazione  parlamentare

Claudio Borghi A.@borghi_claudio

Andiamo avanti con le traduzioni:
“Il MES (con i soldi nostri, quelli che ci siamo impegnati a versare sull’unghia a semplice richiesta) può decidere di accordare un finanziamento per ricapitalizzare le banche di uno stato membro (la Germania)”

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77915:00 – 23 nov 2019

” Gualtieri, Scholtz, Tria, Gentiloni e Sassoli”, tutti a dire  sui media che nel MES non c’è la ristrutturazione del debito italiano

. AH NO? E questa cos’è?



Quindi nella sostanza il MES puó chiedere soldi a tutti i paesi UE per banche tedesche ma se l’Italia o le banche italiane necessitano di aiuto il MES puó opporre un rifiuto se prima non viene ristrutturato il debito italiano, corretto?


CHI E’ RIEGLING? TREMONTI, CHE L’HA CONOSCIUTO, HA DETTO:

Dopo    che  MoscoWC  s’è precipitato  a Roma:  “Il MES va  firmato!”#Mattarella:al di fuori di questo progetto non vi può essere, in realtà, per i popoli europei, né sovranità né indipendenza, bensì l’esatto contrario pic.twitter.com/nIBIYDYQQi— Quirinale (@Quirinale) November 23, 2019Attenti:Ve la traduco: 
“I membri del MES (noi) si impegnano a pagare irrevocabilmente e incondizionatamente al MES a semplice richiesta qualsiasi somma a loro domandata dal direttore del MES (Klaus Regling) entro sette giorni”.
Bello eh? E qualcuno ha il coraggio di firmare sta roba? pic.twitter.com/SVY8KSGu5q— Claudio Borghi A. (@borghi_claudio) November 23, 2019 Entro sette giorni! Irrevocabilmente, incondizionatamente  – e senza approvazione  parlamentare
Andiamo avanti con le traduzioni:
“Il MES (con i soldi nostri, quelli che ci siamo impegnati a versare sull’unghia a semplice richiesta) può decidere di accordare un finanziamento per ricapitalizzare le banche di uno stato membro (la Germania)” pic.twitter.com/XNlOOKRWyG— Claudio Borghi A. (@borghi_claudio) November 23, 2019Andiamo avanti con le traduzioni: “Il MES (con i soldi nostri, quelli che ci siamo impegnati a versare sull’unghia a semplice richiesta) può decidere di accordare un finanziamento per ricapitalizzare le banche di uno stato membro (la Germania)”” Gualtieri, Scholtz, Tria, Gentiloni e Sassoli”, tutti a dire che nel MES non c’è la ristrutturazione del debito italiano. AH NO? E questa cos’è?Quindi nella sostanza il MES puó chiedere soldi a tutti i paesi UE per banche tedesche ma se l’Italia o le banche italiane necessitano di aiuto il MES puó opporre un rifiuto se prima non viene ristrutturato il debito italiano, corretto? Lo sentite il brivido lungo la schiena vero? Lo capite che dire NO al MES potrebbe essere l’ultima possibilità, vero? Lo sapete chi è “la maggioranza” in UE vero? pic.twitter.com/MKyA66JVAJ— Claudio Borghi A. (@borghi_claudio) November 23, 2019Buongiorno, siamo il consiglio direttivo del MES, come traspare dai nostri nomi il nostro pensiero principale è la salute e il benessere dell’Italia e degli amici Italiani. 
Firmate in fretta grazie. pic.twitter.com/9vu5TFVNrn— Claudio Borghi A. (@borghi_claudio) November 23, 2019

learco • 2 giorni fa

Il piano di saccheggio dell’Italia procede senza ostacoli. Prima la svendita delle aziende pubbliche, poi la delocalizzazione e la chiusura di quelle private e infine l’assalto ai risparmi degli italiani, l’ultima trincea.
Si salveranno solo quelli che ci hanno consegnato ai poteri forti stranieri.
Tutto il lavoro e le fatiche di generazioni di italiani finiti nel nulla. Dal 1992 ad oggi abbiamo collezionato solo disastri. Incredibile.

Giovanni • 3 giorni fa

L’Italia fará la fine del Regno delle Due Sicilie… Damnatio memoriae inclusa.

Non so cosa altro ci voglia per capire (per chi ancora non l’ha capito) che siamo alle prese con una dittatura a tutti gli effetti. Tiranni ed anche ipocriti. possono essere giusto applauditi dalle Loro sardine OMG di regime. Qui una ottima intervista a Borghi sulla questione:

Loro, in qualità di tirapiedi, saranno ricompensati, la faranno franca. Da tirapiedi a kapo’.

Merkel è sbottata in pubblico. Contro Macron

ChatMaurizio Blondet  24 Novembre 2019  alcuni commenti

“Capisco che tu desideri una politica di rottura. Ma io sono stanca di raccogliere i pezzi, sempre e sempre, ad essere io che devo incollare insieme le tazze che tu rompi in modo che possiamo sederci a bere insieme una  tazza di tè”.E’ avvenuto  a Bruxelles,  durante  la cena celebrativa del 30mo anniversario della caduto  del muro.  La cancelliera sibilava.  Evidentemente non ha ancora digerito l’intervista in cui Macron ha parlato di “morte cerebrale” della NATO (espressione che la cancelliera ha definito”drastica”)  né  tanto meno  il fatto che Macron  abbia posto il veto (unico fra i paesi UE) all’allargamento della UE ad Albania e Montenegro del Nord, domandandosi se ormai “l’allargamento fosse la teleologia dell’Unione Europea”:

altra espressione che sarà suonata “drastica” a Mutti:  come dire che la UE  ha la sua espansione  come unico fine.

Ma ciò che l’ha fatta esplodere è  quando  Macron ha detto che non  se la sente di andare alla riunione della NATO che si terrà a Londra   ai primi di dicembre e far finta di credere che Usa e Turchia, in Siria, si stiano comportando secondo l’interesse collettivo degli  alleati. “Non posso sedermi lì e comportarmi come se nulla fosse successo”, ha detto.

E’  tanto tempo che non  vedevo le relazioni franco-tedesche a un punto così basso da molto tempo”, ha affermato Claudia Major, analista della sicurezza presso l’Istituto Germanico  per gli affari internazionali e di sicurezza. “Raramente ho visto tanta acredine e incomprensioni.”

Secondo l’analista  suddetta  Macron, in quanto ambizioso presidente francese con poteri quasi monarchici, è sempre più impaziente del lento della signora Merkel e dei processi decisionali nel  federalismo tedesco , “con  la Merkel  al suo ultimo mandato e una coalizione che sta solo cercando di sopravvivere”, ha detto, “le lentezze sono inevitabili”.

Le proposte strategico-militari del  francese  per una”autonomia” della difesa europea, sono  silurate  sia dai socialdemocratici tedeschi, mentre le sue proposte per un’integrazione economica, maggiori spese  e riforme dell’eurozona, sono silurate dai democristiani. La Merkel “non ha grandi visioni, e non cambierà dopo 10 anni”, ha detto la  Major.

Poi ci sono i paesi dell’Est,  nuovi  nella NATO ed entusiasti della  sua protezione militare anti-russa, che hanno sparato  zero contro Macron e la sua definizione di “morte cerebrale”.

Il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, ha definito irresponsabile il presidente francese,   e i suoi commenti  che mettono  in discussione l’impegno della NATO  nella difesa collettiva  (l’Articolo Cinque), come pericoloso. Morawiecki ha dichiarato al suo Parlamento che qualsiasi mossa per mettere in discussione la garanzia inclusa nel trattato NATO è una minaccia per il futuro dell’Unione europea e dell’alleanza militare.

Anche i politici dell’Est, come gli esperti strategici, ammettono privatamente che Macron ha ragione, che Trump con la sua imprevedibilità  ha danneggiato l’Alleanza e anche  Erdogan con  il suo avvicinamento a Mosca, “ma  è sbagliato esprimere questi dubbi in pubblico”.

L’illustrazione del Financial Times sulle ragioni di Macron verso la NATO.

Perché? Perché in questo momenti gli sherpa e i ministri dell’Alleanza, in vista del vertice di Londra , stanno faticando per concordare una dichiarazione congiunta, qualcosa di meno di un comunicato formale, che celebra l’anniversario e raccomanderà  ai membri della NATO di aumentare le spese militari.

“I  francesi  – scrive il New  York Times –   stanno premendo  per  mettere nella dichiarazione un riferimento alla necessità di una nuova revisione strategica della missione della NATO, per sostituire l’ultima , che è stata completata nel 2010 ed è gravemente obsoleta, mentre la maggior parte dei paesi preferisce aspettare per vedere se  Trump è rieletto prima di affrontare una discussione così fondamentale sullo scopo della NATO.

Il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, cercando di prevenire uno scontro a Londra come quello che ha guastato un tempestoso incontro al vertice della NATO a Bruxelles quasi due anni fa, ha proposto un “gruppo di esperti” per rafforzare il pensiero politico della NATO. La  sua idea  sarebbe quella di mettere il gruppo sotto la direzione consensuale del segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, che lavora duramente per mantenere buoni rapporti con Trump.

Il Stoltenberg si recherà anche a Parigi la prossima settimana per incontrare  Macron,  presumibilmente per fargli la ramanzina per  avere nell’intervista  all’Economist  messo in discussione la vigenza dell’articolo Cinque. Metterlo in discussione a voce alta significa minarlo, qualcosa che il signor Trump è stato pesantemente criticato per aver fatto presto nella sua presidenza, quando inizialmente ha esitato a sostenere la disposizione e poi  s’è domandato se l’America avrebbe combattuto per il Montenegro, un membro della NATO.

Ovvia è invece la soddisfazione dell’ambasciatore di Mosca  presso l’Unione europea, Vladimir Chizhov, che ha lodato  le osservazioni di Macron e il suo veto sui colloqui di adesione all’Unione europea della Macedonia settentrionale e dell’Albania, qualcosa che Mosca ha lavorato per anni per prevenire.

“Tra gli alleati”,  spiffera il New York Times, “si teme che [a Londra] Macron intenda  proporre di conferire le  armi atomiche francesi  per formare, insieme al deterrente atomico britannico, una dissuasione nucleare interamente “europea”,  cessando di fare affidamento all’ombrello atomico USA.  Questa idea farà ulteriormente infuriare Berlino e l’Europa centrale  sia perché  nessuno crede che il deterrente nucleare francese sia in grado di coprire il continente; e quanto al deterrente nucleare britannico dipenda quasi interamente dai missili nucleari americani. Ma se  Macron pone la questione della deterrenza nucleare, la signora Major ha detto, “A  Mosca  mettono in ghiaccio lo champagne”.  Francese, ovviamente.

Lo scatto di nervi della Angela rivela una  personalità usurata, in declino politico e contestata all’interno del suo partito.

Ma  è  anche il sintomo di un  atteggiamento padronale verso gli europei. Per vent’anni,  nessun altro governante ha mai   contraddetto il piccino “pragmatico” senza visione della  cancelliera,  che ha condotto l’ Europa su una strada di arretramento addirittura scientifico-tecnologico e  culturale, e a un vicolo cieco economico;   evidentemente disabituata a sentirsi mettere in discussione, a aver sempre ragione,  la Kanzlerin si fa saltare i  nervi appena si sente porre  questioni sui  temi che  ha lasciato marcire  con la sua inazione –  ormai troppo complessi, comprendendo di non esserne  all’altezza nemmeno intellettuale. E’ fin troppo chiaro che  ha sentito  rivolta a  sé l’espressione “Morte cerebrale”….

Interessante la   valutazione che lo Spiegel  dà dell’inadeguatezza  (a dir  poco)  della leadership che la troppo lunga cancelleria della Mutti  ha esercitato in Europa.Per esempio:

“Nessuno nella Cancelleria o nel Ministero degli Esteri vede che   ha lasciato passare la necessità di un avvicinamento  italo-tedesco,  partecipare a frequenti incontri di alto livello con Roma e perseguire progetti comuni? L’Italia è stata di recente sul punto di cadere  nel campo illiberale, con il ministro degli Interni Matteo Salvini – fino a quando non ha calcolato male e ha dato alla democrazia liberale un’altra possibilità nel paese. Ma  Salvini sta attualmente lavorando al suo ritorno, e qualcuno vuole immaginare come sarebbe se l’Italia si unisse ai ranghi delle democrazie illiberali? Sarebbe molto peggio dell’Ungheria o della Polonia. E insieme, tutti e tre sarebbero un potente cuneo antidemocratico nell’Unione europea. Berlino sta perdendo l’occasione.Altro caso:

“È diventato evidente che i cinesi stanno perseguendo una strategia a lungo termine. Quali sono, tuttavia, le strategie a lungo termine dell’UE? E qual è la strategia a lungo termine della Germania per l’UE?

Il governo tedesco dovrebbe lavorare per contrastare tali atteggiamenti (il populismo  di destra)  garantendo che l’idea europea e le istituzioni dell’UE siano convincenti per la popolazione in generale. Berlino ha qualche buona idea per farlo? No, non lo fa.

C’è una tendenza antieuropea nella passività tedesca – una tendenza che si sta facendo sentire 20 anni dopo che Helmut Kohl si è dimesso da cancelliere. Il grande argomento a favore dell’UE,  all’epoca,  era che significava superare le animosità europee. Oggi si tratta di mantenere il Continente come centro di democrazia liberale.  E la Germania sta sottraendosi alle sue responsabilità nell’UE”.

Hunkering DownGermany Is Shirking Its EU Responsibilities

Germany used to be passionately pro-European, with the EU facilitating the country’s postwar return to the international community. These days? Not so much. And Berlin’s passivity is becoming dangerous.

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https://www.spiegel.de/international/europe/germany-is-shirking-its-eu-responsibilities-a-1297801.html

Ma i tedeschi continuano a dare a Mutti un confortevole quasi 30%. I Socialisti, che si sono svenati nella coalizione, saranno rimpiazzati da Verdi.

November 22, 2019  06:19 PM

If the Germans were once the most committed, most passionate Europeans, they are today among the most half-hearted. Despite spending decades after World War II as the greatest beneficiary of the European idea, slowly shedding its pariah status, Germany is now extremely focused on its own interests. Even worse, though, is the fact that German politicians are no longer paying much attention to Europe at all. They are simply letting things take their course, playing catch up or just standing by and watching what happens next. It’s as if they are unable to recognize what is at stake.

A battle is underway in Europe and the U.S. for the future of liberal democracy. In the U.S., that fight is primarily focused on Donald Trump. In Europe, the situation is more multifaceted and less obvious, but no less dangerous. And as the strongest economy on the Continent, Germany should be on the front lines of that fight. Instead, the country is doing nothing to carry its weight, hunkering down in the middle of Europe seemingly with no idea what to do.

Does nobody in the Chancellery or in the Foreign Ministry see that it is way past time to hold a German-Italian powwow, to engage in frequent high-level meetings with Rome and pursue joint projects? Italy was just recently on the brink of falling into the illiberal camp, shoved by Interior Minister Matteo Salvini — until he miscalculated and gave liberal democracy another chance in the country.

It is a chance that Germany must take advantage of. But Berlin is in the process of letting it go. Salvini is currently working on his comeback, and does anybody want to imagine what it would be like if Italy were to join the ranks of illiberal democracies? It would be much worse than Hungary or Poland. And together, the three of them would be a powerful anti-democratic wedge in the European Union. ANZEIGE

And does nobody in the Chancellery or Foreign Ministry see how important the question of EU expansion has become? North Macedonia and Albania are knocking on the door. To be sure, it is unclear whether their democracies are up to snuff, but if they are left out, they could end up falling into the arms of China, giving Beijing a beachhead on the European continent. The Russians would also be more than happy to expand their influence.International Newsletter: Sign up for our newsletter — and get the very best of SPIEGEL in English sent to your email inbox twice weekly.all Newsletters

Simply letting these two countries into the EU could, of course, also be problematic. Even as EU member states, they could end up becoming politically and economically dependent on China, giving Beijing a foothold as an authoritarian power on a democratic continent. That is, of course, a rather pessimistic scenario, but is it unrealistic? It has become abundantly clear that the Chinese are pursuing a long-term strategy. What, though, are the EU’s long-term strategies? And what is Germany’s long-term strategy for the EU?

No Plan

There is no ideal path when it comes to EU enlargement. The focus must be on finding the best possible compromise — but that search must be started. Germany cannot simply leave everything up to France, which recently vetoed the beginning of accession negotiations with North Macedonia and Albania. Paris has, however, presented a step-by-step plan for their eventual accession — not a perfect plan, to be sure, but at least it is an attempt to continue building a Europe that can survive in today’s world. That is more than Germany can say.

And does nobody in Berlin understand that the response to the anti-EU stance of the right-wing populists has to be a strong Europe rather than a weak Europe? When countries like Germany revert to navel gazing, it makes the EU look bad — which automatically gives the EU-skeptics in the far-right camp a boost. The German government should be working to counter such attitudes by ensuring that the European idea and EU institutions are convincing to the population at large. Does Berlin have any good ideas for doing so? No, it does not.

The NATO crisis demonstrates just how important the EU is for Germany. Thus far, Germany has depended on the alliance and, by extension, on the U.S. for its security. The reliability of both of those protecting powers, however, has suffered of late. How will liberal democracy defend itself in a worst-case scenario? A European defense concept is necessary, one which includes the British, if possible.

This is not a new argument and it has been made many times in the past. But that doesn’t make it any less urgent. And it should be repeated, because once again, nothing at all has been done to make it a reality.ANZEIGE

There is an anti-European tendency within the German passivity — a tendency that is making itself felt just 20 years after Helmut Kohl stepped down as German chancellor. The grand argument in favor of the EU back then was that it meant overcoming European animosities. Today, it is about maintaining the Continent as a center of liberal democracy. 

That project is just as important. And it deserves just as much attention.