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5490.- L’Occidente sta effettuando una escalation della guerra in Ucraina?

Leggo con interesse e ripropongo a mia volta questa lucida analisi perché lo scollamento fra la leadership occidentale e i suoi cittadini ci rendi deboli e sta producendo una guerra senza eroi, negli Stati Uniti come in Europa e nella stessa Ucraina. Nel centro di Washington si è svolta una manifestazione di massa contro la fornitura di armi a Kiev. Il Pentagono USA ha già speso $27 miliardi in questa guerra per procura; cresce l’insoddisfazione degli americani per la spesa multimiliardaria per l’Ucraina e cresce la richiesta di una soluzione pacifica, oltre che e non è poco, l’abolizione della NATO. E i soldati in congedo della NATO, in Ucraina, ci sono. Abbiamo assistito all’arruolamento forzoso degli ucraini, alle proteste dei russi, alla imponente marcia dei tedeschi di ieri 25 febbraio, alla Porta di Branderburgo, a Berlino. In decine di migliaia, 50.000 si dice e intere famiglie, Dimostravano contro l’escalation del conflitto in Ucraina, contro la consegna a Zelensky dei carri da battaglia Leopard II e per i negoziati di Pace. I cartelli recavano: “Stiamo ancora sparando contro ucraini e russi”, “Questa non è la nostra guerra”, “Armi tedesche stanno uccidendo di nuovo ucraini e russi”. In Italia, come in Francia, il governo è allineato alla politica di Washington. Lo era Draghi e lo è Meloni. Giusto o non che sia, i media non bastano più a manovrare l’opinione pubblica. Ieri i lavoratori portuali del porto di Genova si sono nuovamente rifiutati di inviare armi in Ucraina. Manifestazioni di massa contro l’UE e la NATO si sono svolte anche in Grecian e a Roma, Milano, Napoli, Torino, Firenze e in molte altre città italiane. La gente non vuole marciare alla frontiera, non vuole combattere l’invasore; ma quello che i media occidentali non ricordano è che nei giorni precedenti al 24 febbraio, il fuoco di artiglieria nel Donbass era sempre più intenso. L’esercito ucraino aveva 110.000 soldati al confine. Stava per invadere… Riuscirà la diplomazia a recuperare i valori delle democrazie occidentali?

Di Sabino Paciolla|Febbraio 25th, 2023

Ad un anno dall’inizio della guerra è giunto il momento che l’Occidente si ponga con realismo alcune domande per porre fine ad un assurdo e insensato bagno di sangue. Ci aiuta a capire queste domande un lucido articolo di Arta Moeini, pubblicato su Unherd. Eccolo nella mia traduzione. 

Biden a Kiev abbraccia Zelensky 20 02 2023

 

È passato appena un giorno dalla richiesta di carri armati tedeschi Leopard-2 da parte dell’Ucraina, quando il governo di Kiev ha chiesto ai Paesi della NATO di dimostrare ancora una volta la loro solidarietà fornendole i caccia F-16 di produzione statunitense. Sebbene gli esperti militari dubitino che questi veicoli modificheranno in modo significativo la situazione sul campo di battaglia, Kiev li pubblicizza come importanti simboli della determinazione politica dell’Occidente.

“La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, scriveva Clausewitz nel 1832. A un anno dalla guerra russo-ucraina, qual è la politica dell’Ucraina? O dell’America
, della Germania e degli altri alleati della Nato? I ripetuti appelli dell’Ucraina per un maggiore sostegno e la risposta accomodante dell’Occidente sono un caso di sfruttamento della “pubblicità strategica”, di diplomazia performativa, di solidarietà dell’alleanza o di qualcosa di completamente diverso? Dopotutto, per quanto gli ucraini stiano combattendo contro le forze russe e subendo ingenti perdite per proteggere l’integrità territoriale dello Stato ucraino, oggi la Nato è apertamente impegnata in una guerra per procura che rischia di trasformarsi in un conflitto catastrofico tra Occidente e Russia.

Sebbene il realismo in politica estera possa aiutare a delineare, persino a prevedere, i contorni generali della guerra e a spiegare la politica di Mosca e Kiev, questa posizione realista mainstream, rappresentata da personaggi come John Mearsheimer, fornisce un resoconto incompleto del comportamento della maggior parte degli alleati occidentali, in particolare degli Stati Uniti. Per comprendere il processo decisionale occidentale e le peculiari dinamiche interalleate della Nato, abbiamo bisogno di un realismo più radicale che prenda in seria considerazione le dimensioni non fisiche, psicologiche e “ontologiche” della sicurezza – comprendendo il bisogno di uno Stato o di un’organizzazione di superare l’incertezza stabilendo narrazioni e identità ordinate sul proprio senso di “sé”.

Tuttavia, i conti realisti “strutturali” – incentrati sull’anarchia sistemica, la sicurezza fisica, l’equilibrio di potere e le dimensioni politiche della strategia – possono aiutare a spiegare alcuni aspetti del processo decisionale strategico dell’Ucraina. In un recente studio per l’Institute for Peace & Diplomacy, di cui sono coautore, abbiamo analizzato le ragioni strutturali che guidano il calcolo strategico dell’Ucraina. Abbiamo suggerito che, in qualità di “equilibratore regionale”, l’Ucraina ha corso un rischio enorme sfidando le linee guida russe sul rifiuto esplicito da parte di Kiev delle offerte della Nato e sull’interruzione di qualsiasi integrazione militare con l’Occidente. Si è trattato di una mossa massimalista che presupponeva il sostegno militare dell’Occidente e rischiava di provocare attivamente Mosca a proprio svantaggio strategico.

Scegliendo la strategia più rischiosa, a somma zero, volta a ostacolare la sfera di influenza storica e geopolitica di una potenza regionale e civile vicina, l’Ucraina è stata forse imprudente, ma non per questo irrazionale. Come abbiamo scritto:

“Praticamente tutte le alleanze di sicurezza americane oggi sono accordi asimmetrici tra gli Stati Uniti e gli equilibratori regionali – una classe di Stati regionali più piccoli e periferici che cercano di bilanciarsi con le medie potenze dominanti nelle rispettive regioni. In quanto grande potenza, l’America possiede una capacità intrinseca di invadere altri complessi di sicurezza regionale (RSC). In questo contesto, è ragionevole che gli equilibratori regionali cerchino di attirare e sfruttare il potere americano al servizio dei loro particolari interessi di sicurezza regionale”.

Fissare un obiettivo così elevato, tuttavia, significava di fatto che Kiev non avrebbe mai potuto avere successo senza un intervento attivo della NATO che spostasse l’equilibrio di potere a suo favore. In virtù della sua decisione, l’Ucraina, insieme ai suoi partner più stretti in Polonia e nei Paesi baltici, è diventata il classico “alleato di Troia” – Paesi più piccoli il cui desiderio di avere un peso regionale contro la media potenza esistente (la Russia) si basa sulla capacità di persuadere una grande potenza esterna e la sua rete militare globale (in questo caso, gli Stati Uniti e, per estensione, la Nato) a intervenire militarmente a loro favore. Come abbiamo osservato nel nostro studio, “questo avviene con grandi rischi per l’equilibratore regionale e con grandi costi per la grande potenza esterna”. Infatti, in ultima analisi, l’accordo dipende dalla “minaccia dell’uso della forza e dell’intervento militare” da parte della grande potenza esterna, senza la quale l’equilibratore regionale fallirebbe.

L’ambizione strategica dell’Ucraina è quella di superare la Russia una volta per tutte e di staccarsi dal controllo storico di Mosca. Mettendo da parte le pretestuose e facili giustificazioni russe per l’invasione, che cercano di sbeffeggiare l’intervento militare della NATO in Jugoslavia, è lo schiacciamento di questa più grande ambizione ucraina a motivare il Cremlino. Questo spiega l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014, le sue aspirazioni agli accordi di Minsk e il ricorso finale all’azione militare.

Una volta iniziata l’invasione russa, l’obiettivo di Kiev di contrastare Mosca e mantenere intatti i propri territori è diventato impossibile senza un intervento militare occidentale. Il futuro dell’Ucraina come Stato sovrano dipenderebbe ora dalla sua capacità di organizzare con successo un’escalation. Dal punto di vista dell’Ucraina, quindi, il desiderio di ricevere forniture di armamenti sempre più sofisticati dalle nazioni occidentali più potenti non è motivato principalmente dal loro immediato impatto pratico e tattico – dopo tutto, la consegna e l’addestramento per questi sistemi saranno ancora lontani mesi. No, le richieste ucraine derivano in gran parte da ciò che l’introduzione di queste armi rappresenterebbe dal punto di vista politico e dalle conseguenze geostrategiche a lungo termine per la prossima fase della guerra.

È infatti nell’interesse di Kiev indirizzare la NATO verso un maggiore coinvolgimento nella guerra. L’Ucraina ha fatto ricorso a una combinazione di tattiche – tra cui la guerra d’informazione e lo sfruttamento del senso di colpa storico dell’Occidente – per istigare una cascata informativa e reputazionale tra i membri della NATO che assicurerebbe l’adesione alle richieste ucraine. Date le sue evidenti debolezze a lungo termine in termini di manodopera di qualità, artiglieria e munizioni, il governo Zelenskyy ha combattuto astutamente una guerra ibrida fin dall’inizio, sapendo che l’Ucraina non può sconfiggere la Russia senza che la Nato combatta al suo fianco. La domanda che ci si pone ora è se l’Occidente debba lasciarsi intrappolare in questa guerra, mettendo a rischio il destino del mondo intero.

Secondo la concezione materialista della sicurezza offerta dalla maggior parte dei realisti, per l’America e l’Europa occidentale non ci sono grandi vantaggi, e certamente non c’è un vero interesse nazionale o strategico, nel farsi trascinare in quella che è essenzialmente una guerra regionale in Europa orientale che coinvolge due diversi Stati nazionalisti. Da un punto di vista ontologico, tuttavia, un establishment di politica estera anglo-americano che si “identifica” fortemente con l’unipolarismo statunitense ha investito molto nel mantenimento dello status quo, impedendo la formazione di una nuova architettura di sicurezza collettiva in Europa, che sarebbe incentrata su Russia e Germania piuttosto che sugli Stati Uniti. Come ha osservato l’analista geopolitico George Friedman nel 2015: “Per gli Stati Uniti, la paura primordiale è… [l’accoppiamento di] tecnologia e capitale tedeschi, [con] risorse naturali russe [e] manodopera russa”.

Forse seguendo una logica simile, l’establishment statunitense ha lavorato per distruggere qualsiasi possibilità di formazione di un asse Berlino-Mosca allineandosi al blocco Intermarium di Paesi dal Baltico al Mar Nero, opponendosi ripetutamente (e minacciando apertamente) i gasdotti Nord Stream e respingendo deliberatamente l’insistenza russa su un’Ucraina neutrale. In relazione all’Ucraina, l’obiettivo iniziale di un’alleanza ideologica occidentale orientata verso “valori condivisi”, come la Nato è diventata con la dissoluzione dell’URSS, era quello di trasformare il Paese in un albatros occidentale per la Russia, di impantanare Mosca in un pantano esteso per indebolire il suo potere e la sua influenza regionale e persino di incoraggiare un cambio di regime al Cremlino.

Se si accetta la logica di questa strategia, allora sembra plausibile un limitato sostegno militare dell’Occidente agli obiettivi di guerra ucraini, finalizzato alla creazione di un conflitto conflittuale e congelato. Tuttavia, anche in questo scenario, l’espansione della portata e del grado di tale sostegno fino a includere sistemi d’arma avanzati, come gli F-16 o i missili a lungo raggio, non è solo imprudente, ma sempre più suicida in qualsiasi calcolo costi-benefici. Un sostegno così esplicitamente ostile potrebbe far degenerare la guerra per procura in una guerra diretta e convenzionale – uno scenario da terza guerra mondiale, che il Presidente Biden insiste di voler evitare. Inoltre, nell’improbabile caso che tale assistenza militare espansiva riesca a cacciare le forze russe dal Donbas, per non parlare della Crimea (dove la Russia possiede una grande base navale), aumenterebbe drammaticamente la probabilità di un evento nucleare, dato che Mosca considera la protezione della sua roccaforte strategica nel Mar Nero come un imperativo esistenziale.

Perché allora l’Occidente continua ad assecondare l’Ucraina e a cedere alle pressioni reputazionali e al braccio di ferro dei nuovi membri della Nato nel corridoio Intermarium? Le cause sono molteplici e vanno dagli interessi privati e istituzionali dell’establishment internazionalista liberale alla diffusione di una visione del mondo manichea all’interno dell’alleanza. L’aspetto più importante, tuttavia, è il fenomeno della compulsione di gruppo verso l’escalation, aggravata dall’insicurezza ontologica, che si verifica quando eventi storici mondiali improvvisi e tragici come l’invasione russa sconvolgono il senso unitario di ordine e continuità nel mondo.

Esacerbata dall’allargamento e dalla trasformazione della NATO in un colosso istituzionale di circa 30 nazioni con percezioni diverse della minaccia e della sicurezza, questa coazione ha plasmato e rafforzato una “identità” unificata tra le nazioni occidentali – una narrazione di noi contro di loro. In una condizione di insicurezza ontologica, le correnti socio-psicologiche ed emotive permettono di creare cascate di reputazione, di imporre il conformismo in nome dell’unità dell’Occidente e di rafforzare la “polarizzazione di gruppo” intorno alla scelta più rischiosa, che garantisce l’adozione di politiche più estreme ed escalatorie. E, cosa fondamentale, gli alleati troiani usano comprensibilmente queste dinamiche per promuovere i loro reali interessi nazionali e di sicurezza all’interno dell’alleanza, dando loro un ruolo molto più importante nel processo decisionale di quanto il loro potere relativo potrebbe far pensare.

Un’analisi più attenta del discorso interalleanza all’interno della Nato rivela anche una psicologia attivista che si cela sotto il segnale politico e ideologico. Dato che l’ideologia – in particolare l’umanitarismo e il democratismo liberali – gioca un ruolo chiave nel mantenimento dell’alleanza, il suo processo decisionale è predisposto alla fallacia dell’action bias: l’idea che fare qualcosa sia sempre meglio che non fare nulla. Questa sorta di mentalità reciproca, che si rafforza a vicenda, tra i membri dell’alleanza che professano un’”etica della cura” attivista, interpreta di riflesso la responsabilità come azione, mentre rimprovera l’esitazione e la moderazione come disumane. La dinamica ricorda l’osservazione di Nietzsche ne La nascita della tragedia, secondo cui “l’azione richiede di essere avvolti da un velo di illusione”; in questo caso, il “velo di illusione” è fornito dal processo ontologico di formazione dell’identità e dalle narrazioni condivise di “responsabilità collettiva” e “unità occidentale”.

Nel contesto del processo decisionale interalleanza, un’etica di questo tipo non può fare a meno di assecondare le richieste che le vengono rivolte, tanto più che i pari più rumorosi possono mascherare questa costrizione con il presunto imperativo morale di promuovere l’unità occidentale, difendere i “nostri valori” e combattere il male reazionario. La ricerca di sicurezza ontologica di una grande potenza globale ed egemonica come gli Stati Uniti mette in primo piano la necessità di un’ideologia che le offra un senso di coerenza, che faccia apparire le sue azioni come significative e giustificate. Lo stesso fenomeno vale per la Nato, che – pur non essendo uno Stato ma un’istituzione – è oggi praticamente un alter-ego degli Stati Uniti.

Ora, questo potrebbe sembrare indicare una tensione intrinseca tra il desiderio di un racconto di ancoraggio su “chi siamo” e la più tradizionale sicurezza materiale che si basa sull’autoconservazione fisica. Ma se questo è vero in alcuni casi, soprattutto in relazione a grandi potenze ideologiche come gli Stati Uniti, la cui auto-narrazione idealistica dell’eccezionalismo americano spesso si scontra con i suoi interessi reali, la ricerca di sicurezza ontologica e fisica è più congruente negli Stati più piccoli e di medio livello, per i quali sia gli interessi che le identità sono più radicati, localizzati e reali.

Nell’Anglosfera, forse a causa dell’eredità dell’imperialismo e della realtà storica dell’unipolarismo, esiste attualmente uno scollamento tra gli autentici interessi nazionali, definiti in modo ristretto e concreto, e il comportamento del suo establishment di politica estera liberale e internazionalista, che privilegia la ricerca di una sicurezza ontologica con ramificazioni globali. Questo fatto deve essere rettificato. Fortunatamente, ci sono i primi segni che il Presidente Biden e almeno alcuni dei suoi consiglieri, tra cui il presidente dello Stato Maggiore degli Stati Uniti, Gen. Mark Milley, hanno percepito questa terribile realtà e le sue ricadute potenzialmente pericolose, e stanno iniziando a parlare della necessità di negoziati e di una soluzione diplomatica in Ucraina.

All’inizio del secondo anno di guerra, molti a Washington si sono finalmente resi conto che l’esito probabile di questa tragedia è lo stallo: “Continueremo a cercare di convincere [la leadership ucraina] che non possiamo fare tutto e niente per sempre”, ha dichiarato questa settimana un alto funzionario dell’amministrazione Biden. Per quanto si parli di agenzia ucraina, questa dipende interamente dall’impegno della NATO a continuare a sostenere lo sforzo bellico di Kiev a tempo indeterminato. Un desiderio così massimalista di “vittoria completa” non solo è altamente distruttivo e fa pensare a un’altra guerra infinita, ma è anche imprudente; il suo stesso successo potrebbe scatenare un olocausto nucleare.

Mosca ha già pagato a caro prezzo le sue trasgressioni in Ucraina. Prolungare la guerra a questo punto, in una ricerca ideologica di vittoria totale, è discutibile sia dal punto di vista strategico che morale. Per molti internazionalisti liberali in Occidente, la richiesta di una “pace giusta” che sia sufficientemente punitiva per la Russia suggerisce poco più di un desiderio poco velato di imporre a Mosca una pace cartaginese. L’Occidente ha effettivamente ferito la Russia; ora deve decidere se lasciare che questa ferita si incancrenisca e faccia esplodere il mondo intero. Infatti, a meno che a Mosca non venga fornita una ragionevole via d’uscita che riconosca lo status della Russia come potenza regionale con i propri imperativi esistenziali di sicurezza strategica e ontologica, questo è il precipizio verso cui ci stiamo dirigendo.

Arta Moeini

5434.- Così difendiamo le infrastrutture sottomarine. Il punto dell’amm. Sanfelice di Monteforte.

Non solo gasdotti e non solo oleodotti, anche le reti e i sistemi informativi che vedete richiedono misure di prevenzione dagli atti terroristici e dai danneggiamenti dei cavi a causa della pesca a strascico e ancoraggio nelle zone vietate

Nel Potere Marittimo la sommatoria funzionale delle componenti è, come sempre, maggiore, o comunque differente, delle medesime parti prese singolarmente. La capacità di protezione delle infrastrutture sottomarine strategiche nel Mediterraneo che garantiscono il trasporto delle informazioni e l’approvvigionamento energetico italiano è una di queste componenti. L’Italia ha recepito la direttiva europea Network and Information Security, Nis, per la sicurezza delle reti e dei sistemi informativi e la Guardia Costiera e la Terna SpA hanno implementato un protocollo di collaborazione. Il controllo del Canale di Sicilia e la cooperazione con le marine della costa africana e di tutto il Mediterraneo si pongono fra i cardini del sistema difesa Italia e rappresentano un invito ulteriore a ricercare la comunanza fra i Paesi rivieraschi attraverso il mare. Il futuro dell’Italia “è” nel Mediterraneo.

Da Formiche.net, di Gaia Ravazzolo | 09/10/2022 – 

Così difendiamo le infrastrutture sottomarine. Il punto dell’amm. Sanfelice

Le Forze armate tornano a guardare al dominio marittimo e alla sua sicurezza, anche in risposta alla crescente vulnerabilità delle infrastrutture strategiche sottomarine preposte a provvedere all’approvvigionamento energetico. Per proteggere tali infrastrutture “bisognerà, in accordo con le industrie, creare via via dei sistemi di intervento rapido” secondo l’ammiraglio Sanfelice di Monteforte

L’attenzione delle Forze armate sta tornando sulla dimensione marittima e sottomarina. Dopo il danneggiamento del Nord Stream è stato lanciato un allarme globale sulla vulnerabilità delle reti energetiche subacquee, accolto anche dal nostro Paese. Proprio la scorsa settimana infatti l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo di Stato maggiore della Difesa, ha parlato di un piano lanciato in accordo con il ministro Lorenzo Guerini per aumentare le misure di tutela a protezione delle infrastrutture strategiche nel Mediterraneo che garantiscono l’approvvigionamento energetico italiano, a partire dal Canale di Sicilia. Impegno ribadito anche nei dibattiti del Trans-regional seapower symposium di Venezia. Ne abbiamo parlato con l’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, esperto militare e docente di Studi strategici.

Il nostro Paese riconosce il Mediterraneo allargato quale principale area di riferimento strategico. Quale ritiene dovrebbero essere le priorità nazionali per permettere all’Italia di assumere un ruolo da protagonista nella regione? 

La massima priorità, affinché il Paese conservi il proprio livello di benessere, è la salvaguardia del commercio internazionale marittimo. Insieme al commercio ci sono le infrastrutture marittime quali oleodotti, gasdotti, cavi sottomarini legati alla connettività ecc. Il desiderio italiano è di voler giocare un ruolo da protagonisti in quest’area e per farlo c’è un solo modo: adottare la strategia del “fratello maggiore”. Dunque, essere benevoli verso tutti e favorire le sinergie nella regione, come si fece una quindicina di anni fa favorendo lo scambio di informazioni virtuali per tutta l’area del Mediterraneo, organizzato proprio dalla Marina militare italiana. Ne è un esempio il caso dell’Algeria, che abbiamo supportato per anni e che ora ci sostiene a sua volta attraverso le forniture energetiche. Parallelamente a questo, vi sono le riunioni periodiche a carattere biennale del Trans-regional seapower symposium proprio per conoscere e riunire insieme i capi delle Marine militari dell’area, per cercare di instaurare nuove collaborazioni e sinergie, in un’ottica di scambio reciproco.

La centralità del Mediterraneo è un elemento strategico non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa e la Nato. Ci sarà bisogno di implementare sinergie con gli alleati. L’Italia può ambire a una posizione di leadership di queste probabili iniziative future, e come?

Nell’ambito europeo l’Italia è già una potenza in questo senso. Mentre nella cornice Nato occupiamo una posizione più defilata. Questo perché disponiamo di un livello di forze nelle tre dimensioni – terrestre, aerea, marittima – che è considerato dai nostri alleati inferiore rispetto a quello che potremmo esprimere, non in senso qualitativo ma quantitativo. Quindi, nell’Alleanza Atlantica siamo ancora un po’ “al traino” degli altri. Mentre in Europa possiamo influenzare in modo più significativo la politica comunitaria. Ciò nonostante, vi è da fare una precisazione. Ultimamente con questa nuova attenzione al dominio marittimo prevale un sentimento di giusto orgoglio nazionale e il conseguente desiderio di avere una posizione preminente rispetto agli altri. Tuttavia, ad oggi quello che dovrebbe prevalere è il sentimento e la voglia di sopravvivenza economica, e non solo fisica.

Al recente simposio di Venezia, il capo di Stato maggiore della Marina, Enrico Credendino, ha parlato della necessità di un approccio olistico per garantire la sicurezza delle vie marittime. C’è necessità di superare una sorta di sea-blindness che colpisce il sistema Italia. Che ruolo dovranno avere le forze navali nazionali in questo senso?

Il ruolo delle forze navali nazionali è da una parte quello di prevenire le crisi e sedarle, e dall’altra proteggere sia il commercio sia le infrastrutture strategiche. Questo fa parte di un approccio olistico perché le Forze armate, e in particolare le Forze della Marina militare, non sono più occupate solo nel portare avanti battaglie navali ma sono impegnate a creare una situazione che garantisca il maggior livello di sicurezza possibile.

Quali sono gli strumenti a disposizione del nostro Paese e della Marina militare per provvedere alla protezione di cavi e pipeline in modo da continuare a garantire la connettività e l’approvvigionamento energetico?

Sono 1.500 km di cavi sottomarini che saranno sorvegliati dalla Guardia Costiera e da Terna SpA

In primo luogo è necessaria una sorveglianza particolare nelle zone di passaggio di tali infrastrutture critiche, che dovrà inevitabilmente essere ampliata e ingrandita nella sua portata. Per adesso stiamo puntando alle infrastrutture subacquee più vicine e quindi si dovrà pensare e provvedere un po’ a tutte quelle infrastrutture che esistono nell’area. In secondo luogo bisognerà, in accordo con le industrie, creare via via dei sistemi di intervento rapido. Siccome non è possibile prevenire le minacce in modo completo al 100%, si dovranno creare delle capacità di intervento rapido per fermare eventuali conseguenze e ripercussioni dovute a sabotaggi o guasti.

Di fronte alla crescente rilevanza della dimensione marittima e sottomarina, è importante puntare sull’innovazione. Che ruolo può giocare in questa dimensione la componente unmanned?

Le Marine dispongono e impiegano la componente unmanned ormai da vent’anni, non è qualcosa di nuovo. Tuttavia, solo nell’ultimo periodo si sta ampliando ed espandendo sempre di più. Innanzitutto, la componente unmanned è stata usata, e viene usata ancora oggi, per la “guerra di mine”. Così da sminare le aree di mare che sono state minate in passato. Poi vi sono degli altri sistemi subacquei, di più recente introduzione al servizio, quali i sommergibili, che possono lanciare dei droni a guida remota e non solo. In questo quadro bisogna però considerare anche i sistemi che possono agire ed essere sopra la superficie, dal momento che finalmente si stanno sviluppando i droni lanciabili e recuperabili dal mare. Dunque, la componente unmanned per la Marina non è certamente una novità, ma ricopre un ruolo molto rilevante. D’altronde è molto più pratico mandare un mezzo unmanned a sorvegliare le aree che ospitano infrastrutture critiche, piuttosto che dispiegare un elicottero con quattro persone a bordo.

3489.- Macron scioglie il gruppo ultranazionalista turco dei Lupi Grigi. Erdoğan: Ankara “risponderà con la forza”

Mentre aspettiamo di capire quale sarà la politica della NATO verso la Turchia dopo Trump, Emmanuel Macron fa fronte all’attacco dell’Islam, fomentato da Recep Tayyip Erdoğan. Lo scontro è frontale.

Ci mancavano pure i Lupi Grigi, i famigerati nazionalisti dell’ultra destra parafascista e xenofoba turca, che spesso si sono macchiati di crimini efferati e che sono tra i sostenitori del sultano Recep Tayyip Erdoğan.  Emmanuel Macron e Recep Tayyip Erdoğan sono coinvolti in uno scontro che, molto possiamo dire certamente voluto e cercato da entrambi e che trova radice, da un punto di vista, nella politica sempre più aggressiva, espansionista di Erdoğan, da un altro punto, nella debolezza politica della Turchia, come potenza regionale, impossibile a sostenere le aspirazioni del cosiddetto neo sultano. Non dimentichiamo che, con l’eccezione dei droni, le proiezioni di potenza turche in Siria, in Libia, nel Karabach, hanno visto l’impiego di un arsenale datato della NATO, risalente alla Guerra Fredda. Nemmeno dimentichiamo, che nella regione di cui il sultano varrebbe diventare arbitro e padrone si intrecciano gli interessi delle vere potenze.

Per l’Europa, i soli a fare fronte a Erdoğan sono i greci e Emmanuel Macron.

Alle spalle dell’attivismo turco c’è la cosiddetta Nuova Via della Seta, dalla Cina verso il Mediterraneo e l’Europa. In questi ultimi tre anni, la Cina ha investito tre miliardi di dollari in Turchia e, dopo la Russia, è il secondo più grande importatore di prodotti turchi. Il progetto della Nuova Via della Seta è stato solo rallentato dalla pandemia e costituisce una occasione unica per i paesi del Medio Oriente. La Grande Turchia deve, però, fare i conti con Israele e con l’Arabia Saudita. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, celebrando alla Casa Bianca la firma degli Accordi di “Abramo” da parte di Israele, Emirati arabi uniti e Bahrein per la normalizzazione delle loro relazioni, aveva, anzi, ha messo la prima pietra sul Nuovo Medio Oriente. Ora, mentre la normalizzazione dei rapporti degli arabi con Israele ha fermato l’annessione dei Territori palestinesi e permetterà agli Emirati Arabi Uniti di sostenere con maggior forza i palestinesi nella realizzazione di un loro Stato indipendente, l’intenzione di Erdoğan, malgrado le smentite, senz’altro strumentali, sarebbe di annettere o sottomettere territori, ridisegnare a pro suo i confini degli stati inventati nella regione medio orientale dagli accordi di Sykes-Picot  tra i governi del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda e della Repubblica francese. La sconfitta di Trump e della sua ferma leadership non dovrebbero fermare questo processo.

In tutto questo divenire, le continue iniziative aggressive di Recep Tayyip Erdoğan costituiscono un problema e, per la Turchia, un boomerang, a parere nostro. Erdoğan è abile a collocarsi dove gli interessi contrapposti lasciano spazi alla sua ambizione e alla sua necessità di alimentare il favore dei turchi per la sua politica. Proprio gi interessi contrapposti, hanno fatto sì che Francia e Turchia siano giunte ai minimi termini. Nel Nagorno-Karabakh, Erdoğan ha armato, sostenuto e condotto le operazioni degli azeri e, con vari progetti, mira a mantenere la sua influenza sull’Azerbaijgian. Qui, Erdoğan ha dovuto sottomettersi a Putin. In Medio Oriente, Ankara sta deliberatamente lavorando per una autonomia dall’Occidente e dalla Russia. Un’ambizione da tavolo del poker. Nel recente conflitto del Nagorno-Karabakh, la politica dell’Eliseo è stata a favore dell’Armenia e l’impegno militare di Ankara nel conflitto ha acuito le tensioni. In Libia, Erdoğan ha comprato da al-Sarraj una posizione privilegiata, promettendo di debellare l’esercito fedele a Khalifa Haftar, senza però riuscirci. Lo avessero lasciato libero di strafare, avrebbe trasferito in Libia l’esercito turco, ma non demorde. Di certo, a Erdoğan non manca il coraggio che difetta al governo italiano. Emblematico lo sfratto dato all’ospedale militare italiano di Misurata, ribadito, ogni mese, da una raccomandata al comandante della struttura. La Turchia, dopo 108 anni, è tornata in Libia e ha fatto di Misurata una sua base navale. A giugno, la Turchia, aveva accusato la Francia di aver appoggiato le forze del generale Khalifa Haftar e di aver violato quanto deciso dall’Alleanza Atlantica e dalle Nazioni Unite. Il Ministro della Difesa aveva parlato molto chiaramente di “un problema turco” da affrontare in seno alla Nato. Considerate anche la cacciata dell’ENI dalle acque di Cipro, i tentativi di accaparramento delle risorse energetiche, le frizioni della Turchia con la Grecia su queste risorse e sull’Asia Minore e le manovre congiunte fra le flotte francese e greca, in chiave anti turca, niente di più vero. Aspettiamo di vedere come Biden affronterà il problema turco denunciato da Macron e non da Merkel. Trump, sorpassando anche l’ONU, ha fatto pensare a un futuro in cui arabi e israeliani, musulmani, ebrei e cristiani possano vivere insieme, pregare insieme e sognare insieme, vicini, in armonia”. Il Corano non dice questo.

Mercoledì la Turchia ha avvertito che avrebbe “risposto con forza” allo scioglimento da parte della Francia dell’organizzazione ultranazionalista turca “I lupi grigi”, definendo la mossa una “provocazione”. “Sottolineiamo che è necessario tutelare la libertà di espressione e di riunione dei turchi in Francia (…) e che risponderemo nel modo più forte possibile a questa decisione”, ha dichiarato in un comunicato il ministero degli Affari esteri turco.

DRHugo Rouet. Il segno distintivo dei Lupi Grigi, noti col nome ufficiale di Ülkücüler, sono le corna, in alto, con cui, però, si rappresentano le orecchie del lupo.

Il decreto che scioglie i Lupi Grigi è una mossa di Macron contro Erdoğan

La decisione è stata assunta in seguito ad un atto vandalico che ha colpito un memoriale del genocidio armeno situato nei sobborghi della città di Lione. Il memoriale è stato imbrattato da una serie di graffiti tra i quali ci sono la firma dei Lupi Grigi e le iniziali del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. La recrudescenza delle attività del gruppo fa seguito anche alle polemiche fra Francia e Turchia seguite all’appello di Macron a mettere fine al “separataismo islamico” e all’Islam radicale in Francia. Il presidente turco Erdoğan aveva invitato l’omologo francese a “farsi esaminare il cervelllo”, affermazioni definite “inaccettabili” tanto dall’Eliseo che dall’Unione Europea. Non dimentichiamo gli efferati delitti compiuti da terroristi islamici in Francia, contro cittadini indifesi e innocenti e contro le chiese. Questo attivismo violento dimostra, che l’Islam propugnato da Erdoğan persegue i suoi propositi imperialisti, con la consueta ipocrisia, anche avvalendosi di cellule eversive, dormienti o quasi.

Chi sono i lupi grigi fascisti che sostengono Erdoğan

Il gruppo viene definito idealista perché tra i suoi fondamenti ideologici ci sono l’ideale del panturchismo (o turanismo, e cioè l’unione di tutte le popolazioni di cultura turca) e la xenofobia nei confronti delle minoranze etnico-religiose in Turchia e nei paesi confinanti. Il gruppo accompagna al panturchismo, un generale atteggiamento militarista e parafascista. I lupi Grigi sono giunti in Germania, Francia, Austria, Svizzera e nei Paesi Bassi, a seguito di una messa al bando in patria, dedicandosi prevalentemente al contrabbando di eroina, alla gestione di moschee, alle rapine e all’organizzazione di eventi, apparentemente, culturali, di copertura. Soltanto dal 1997, una nuova leadership del movimento li ha portati su posizioni, apparentemente, più moderate. I lupi Grigi sono tra i sostenitori di Recep Tayyip Erdoğan. Infatti, il gruppo è affiliato al Partito del Movimento Nazionalista, già alleato del Partito della Giustizia e dello Sviluppo guidato da Recep Tayyip Erdoğan e questo spiega la durezza della reazione del ministro  per gli affari esteri Mevlüt Çavuşoğlu. 

A Lione e a Digione, Manifestazione dei nazionalisti turchi nel “segno” dei lupi grigi

Da Globalist, 4 novembre 2020 

Una mossa importante e inevitabile: la Francia ha messo ufficalmente al bando l’organizzazione nazionalista turca dei “Lupi grigi”, su decisione adottata in Consiglio dei Ministri dal presidente francese Emmanuel Macron: lo ha reso noto il ministro degli Interni, Gerald Darmanin.
“Come dettagliato nel decreto che ho presentato, l’organizzazione incita all’odio ed è implicata in atti violenti”, scrive Darmanin elencando le ragioni che hanno portato a “decretare lo scioglimento del gruppo”. In particolare, nel decreto viene sottolineato che il gruppo incitava alla discriminazione, all’odio e alla violenza contro persone di origine curda o armena, come è capitato di recente a Lione. Per chi manifesta, la pena prevista è fino a tre anni di reclusione, più una multa di 45mila euro.

Nelle zone di Lione e Digione, malgrado il lockdown in atto, i militanti del gruppo paramilitare ultranazionalista turco dei Lupi Grigi si sono riversati in strada a decine, urlando “Allah Akbar uccidiamo gli armeni”, scontrandosi con la polizia. Nelle vie delle cittadine di Vienne e del sobborgo lionese di Décines-Charpieu, nei quartieri abitati da armeni, centinaia di turchi e azeri, organizzati dai Lupi Grigi e armati di spranghe, martelli e coltelli, avevano dato luogo a una caccia all’uomo, dopo che un’ottantina di armeni, muniti di bandiere armene e striscioni avevano picchettato l’autostrada dalle 7,30 del mattino per richiamare l’attenzione del pubblico alla guerra del Nagorno Karabakh: “vogliamo impedire un secondo genocidio, vogliamo la pace”. Décines-Charpieu ospita un memoriale del genocidio armeno. I Lupi Grigi sono foraggiati da Erdoğan. Quella dei turchi era stata spacciata per una “contro-manifestazione”, ma si è palesata come un vero attacco all’armeno e ai negozi armeni da devastare, fallito solo per la massiccia presenza della polizia francese.

Décines-Charpieu, sobborgo lionese, dove il 29 ottobre 2020 si è scatenata la caccia dei turchi e degli azeri all’Armeno.

La comunità armena di Décines-Charpieu aveva denunciato l’azione dei Lupi Grigi e chiesto la messa al bando dell’organizzazione nazionalista turca. “Questi gruppi, foraggiati dal presidente turco, stanno indebolendo il nostro modello di società”, aveva dichiarato Sarah Tanzilli, presidente della Casa della cultura armena di Décines. “E’ la stessa logica in base alla quale si arriva all’odio delle caricature. Sono delle pressioni volte a limitare il nostro diritto di libertà d’espressione, in un Paese in cui questo diritto è fondamentale”. Per questo diritto di libertà d’espressione sono stati orridamente assassinati il prof Patry e le vittime di Nizza.

Gli attacchi di Parigi, Nizza e Vienna sembrano aver scosso l’Europa. Per la Germania di Merkel e della sua nutrita comunità turca, l’Europa e la Turchia hanno reciproco bisogno tra di loro. Francamente, faremmo a meno della Turchia, della Nuova Via della Seta e degli assatanati per non sentire più parlare di questa barbarie.

Misurata è turca per 99 anni! La Turchia ha ottenuto di fare del porto di Misurata una sua base navale e anche l’utilizzo della base aerea di al-Watya. Giuseppe Conte non è al livello di Recep Tayyip Erdoğan. Emblematico lo sfratto dato all’ospedale militare italiano di Misurata, ribadito, ogni mese, da una raccomandata al comandante della struttura.

3325.- “Mamma li turchi!” Nuove immagini della nave turca rivelano i danni causati dalla collisione volontaria con la fregata greca

La politica bullesca della Turchia non porta niente di buono alla NATO e nemmeno ai turchi. Mitsotakis ha trovato un fedele alleato nel presidente francese, Emmanuel Macron, che ha anche mosso navi e caccia per avvicinarle di più alle acque agitate – politicamente – dell’Egeo. Giovedì, due Mirage 2000 e una fregata della Marina francese hanno condotto esercitazioni congiunte con la Marina greca al largo dell’isola di Creta, dove opera la nave turca Oruc Reis.

2020-08-19

La fregata turca Kemal Rais (F247). Mercoledì 12 agosto, ad Est di Rodi il confronto diretto fra le due marine NATO. Venerdì la questione è stata sul tavolo del Consiglio europeo dei ministri degli Esteri

Duello nell’Egeo: un confronto diretto tra navi da guerra di Turchia e Grecia si è verificato nelle acque a Est dell’isola di Rodi. L’incidente risale a mercoledì 12. Secondo la versione turca, la fregata greca Limnos (codice NATO F451) ha compiuto una manovra di disturbo nei confronti della nave da esplorazione sismica turca Oruc Reis, impegnata in attività di ricerca energetica all’interno della Zona economica esclusiva (Zee) greca non riconosciuta da Ankara. Sarebbe a questo punto intervenuta la fregata turca del dispositivo di scorta Kemal Reis (codice NATO F247), che ha ostacolato la fregata greca, speronandola, danneggiandole la poppa e costringendola al rientro.

Secondo la versione politicamente rappacificatrice del giornale greco kathimerini, invece, vi sarebbe stata una collisione dovuta, apparentemente, ad un errore di manovra della nave da guerra turca, che avrebbe riportato i danni maggiori. Secondo quanto riportato dal quotidiano “Kathimerini” e dall’Agenzia Nova, Il ministro della Difesa greco Nikos Panagiotopoulos si è congratulato con il comandante della fregata Limnos, captain Ioannis Salyaris, durante una breve conversazione avvenuta alla radio pubblica. Il comandante ha spiegato al ministro di aver fatto tutto quanto era nei suoi doveri, cercando di evitare lo scontro.

L’incidente è stato inserito nel dossier che il ministro degli Esteri greco, Nikos Dendias, ha presentato al Consiglio straordinario per gli affari Esteri dell’Ue convocato dal capo della politica estera, Josep Borrell, su richiesta proprio di Atene. Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha scritto ai colleghi dell’Unione per denunciare “atti unilaterali e alleanze di Grecia e Cipro che hanno escluso la Turchia”. Come abbiamo già rilevato, per il ministro di Ankara l’accordo marittimo tra Grecia ed Egitto “viola le piattaforme continentali di Turchia e Libano” e “dimostra la riluttanza di Atene ad avviare un dialogo onesto con la Turchia”.

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha rivendicato l’incidente come una risposta di Ankara alla minaccia della Marina greca. “Lo avevamo detto, se ci attaccano pagheranno un prezzo altissimo. Oggi hanno avuto la prima risposta”, ha commentato bullescamente. Fonti diplomatiche greche sostengono tuttavia che la rivendicazione di Erdogan serva solo a giustificare gli “ingenti danni riportati dalla nave turca”.

Nel frattempo, si moltiplicano gli sforzi diplomatici per allentare le tensioni innescate dalla presenza della Turchia nell’area al largo dell’isola greca di Kastellorizo, con la cancelliera tedesca, Angela Merkel, e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in contatto sia con il premier greco, Kyriakos Mitsotakis, che con Erdogan.

La foto della nave turca, pubblicata mercoledì dal quotidiano greco Kathimerini mostra i danni causati dalla collisione con la fregata greca

“La collisione è avvenuta quando la nave, la Kemal Rais, ha cercato di ostacolare la fregata greca Lemnos, che stava monitorando i movimenti della nave turca da ricognizione sulla piattaforma continentale greca nel Mediterraneo orientale”, ha detto il giornale. Fonti della difesa greca hanno riferito al quotidiano che il tentativo di ostacolare la nave greca l’ha costretta a virare per evitare uno scontro frontale e nel frattempo la prua della nave è andata a squarciare la poppa della fregata turca .

L’immagine mostrerebbe la Kemal Rais in accostata sulla dritta per tagliare la strada alla Limnos e quest’ultima che controaccosta a sinistra per evitarla, ma senza riuscirvi.

Il ministro greco ha anche parlato al telefono con la sua controparte tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer, spiegando che la Grecia è pronta ad entrare in dialogo con la Turchia nel quadro del diritto internazionale nel caso in cui la Turchia ritiri immediatamente le sue navi da guerra e navi da ricerca sismica dal continente greco. mensola.

2807.- Libia nuovi fronti di guerra e di terrorismo

Di Gianfranco D’Anna -29 Dicembre 2019

Libia nuovi fronti di guerra e di terrorismo
Un cannone semovente OTO-MELARA “Palmaria”, delle milizie di Misurata.

Nella babele del conflitto che da anni divora la Libia, l’inizio del 2020 sta per assumere risvolti ancora più tragici.

L’entrata in scena, nelle vesti di signore della guerra, del Presidente turco Recep  Erdoğan, sembra completare assieme a Putin e al leader egiziano al Sisi la metafora dei Re Magi armati di missili e bombe.

“Realpolitik. La Turchia sfrutta il caos interno alla Libia per realizzare le sue ambizioni egemoniche nel Mediterraneo”, sottolinea l’ analista di strategie geopolitiche e militari  Michela Mercuri, docente di Storia Contemporanea dei Paesi mediterranei ed esperta di Libia.

Libia nuovi fronti di guerra e di terrorismo

Per  Arduino Paniccia, esperto di strategia militare e di geopolitica, Presidente della Scuola di Competizione Economica Internazionale di Venezia: “in Libia stiamo sperimentando un modello turco diverso di alleanze e interventi militari rispetto a quello della Siria. Modello che ha come presupposto la continuazione della politica di Erdogan, tesa alla instaurazione dell’influenza turca, di stampo neo ottomana, nell’area medio orientale e in nord Africa,  sfruttando gli opposti interessi di Washington e Mosca per mantenersi in bilico fra  Trump Putin.”

Libia nuovi fronti di guerra e di terrorismo
  •  L’intervento turco a Tripoli accentuerà ulteriormente il conflitto o stabilizzerà la situazione?

Mercuri: Tre sono le direttrici di Erdogan. La prima è di natura religiosa: rafforzare la fratellanza musulmana in Libia. La seconda è di natura geopolitica: affermare  il ruolo di player indispensabile nel Mediterraneo. La terza è di natura economica: sfruttare le risorse dell’area. Da qui l’accordo con Serraj per creare una Zee – Zona economica esclusiva – tra Turchia e Libia, ottenendo il monopolio  di una porzione nevralgica del Mediterraneo orientale, compresi i diritti di estrazione di petrolio e gas e i relativi gasdotti che solcheranno quella zona, sottraendoli a molte altre imprese, Eni inclusa. Tripoli è per Erdogan il fulcro di ognuna di queste direttrici. Da qui l’appoggio a Serraj a cui si sta sostituendo nella gestione del conflitto con il generale Khalifa Haftar e i suoi alleati.

Paniccia: Le dittature non temono le contraddizioni. In Libia Erdogan sta facendo l’opposto di quanto ha fatto in Siria, dove per anni ha armato milizie e rivolte contro Assad. Prima ancora della scontata l’approvazione all’intervento da parte dell’ assemblea turca,  saranno utilizzate sia le milizie di supporto che hanno già combattuto in Siria agli ordini dei turchi sia le nuove Milizie libiche e dei volontari per costituire una fascia costiera libica sul modello appunto della fascia di interposizione attuata negli ultimi mesi in Siria. Erdogan si confronterà  con i russi che sostengono Haftar secondo  il modello di spartizione del territorio attuato in Siria. Dietro le quinte l’alleanza Erdogan Putin punta al controllo delle risorse petrolifere, a scapito dell’Eni  che a causa dell’emarginazione del nostro Paesedovrà scendere a patti con entrambe le parti.

Libia nuovi fronti di guerra e di terrorismo
Il Generale Haftar
  • Dalla Somalia al Sahel alla Libia: cosa c’è da aspettarsi nel 2020 in Africa sul fonte del terrorismo?

Mercuri:Il terrorismo di matrice jihadista rischia di rafforzarsi nei prossimi mesi, soprattutto nel nord Africa.  I gruppi jihadisti si muovono verso le aree più caotiche, dove possono riorganizzarsi e colpire con più facilità. Maggiore é l’instabilità di un’area, maggiore é la tentazione per i gruppi terroristi di recarvisi. In questo momento la Libia é un paese in preda a una guerra civile e dunque manna dal cielo per i gruppi jihadisti che possono sfruttare un failed state a poche miglia marittime dall’Italia. Nel sud libico la presenza di affiliati a Isis o ad altri gruppi terroristici è assodata da tempo. Ora la loro numerosità e le loro capacità operative potrebbero aumentare anche in conseguenza del caos che regna nel paese e che rende i suoi confini molto porosi. Se a questo aggiungiamo che la Turchia starebbe inviando in Libia, dalla Siria, miliziani appartenenti ad alcuni gruppi jihadisti , il quadro si fa sempre più a tinte fosche. Infine, non dimentichiamo che l’instabilità libica potrebbe mettere in crisi anche i vicini regionali, Tunisia ed Algeria in particolare, in cui è radicata la presenza di gruppi terroristi, come Aqmi– Al Qaeda nel Maghreb islamico. Da questa prospettiva il 2020 non promette bene.

Paniccia: Il terrorismo trasnazionale iniziato con ” la base” di al Quaeda in Afganistan ha decisamente perso, pur con tutte le sue trasformazioni e mutazioni, molta capacità e impatto. Ha puntato con i foreign fighters e i lupi solitari contro l ‘Europa, ma l’operazione è risultata spesso solo mediatica. Il terrorismo quindi sceglierà di consolidarsi nel nord africa e nel Sahel e nel subcontinente asiatico, dove la massiccia presenza di popolazioni islamiche consente ai terroristi, secondo i dettami di Mao di muoversi come pesci nell’ acqua. Questo oggi non possono farlo, anche se vi sono cellule dormienti,  né in Usa, né in Russia né in Cina. La guerra che oggi si combatte in Libia, la situazione di paesi in conflitto permanente come la Somalia rendono queste aree geografiche ideali per nuove basi e la prosecuzione delle attività più coperte, necessitando di minori risorse e mimetizzazioni e aiutati dalle popolazioni. Il terrorismo nelle aree abbandonate a se stesse proseguirà con ancora maggior forza anche in futuro.

Libia nuovi fronti di guerra e di terrorismo
Reparti corazzati dell’esercito turco
  • E sul piano internazionale, aree di maggiore rischio?

Mercuri: Dalla Siria, alla Libia, passando per lo Yemen, tutto il Medio Oriente allargato rischia di diventare la spina nel fianco della comunità internazionale negli anni a venire. Purtroppo si tratta di guerre alimentate da attori esterni, che hanno tutto l’interesse a portare avanti conflitti locali piuttosto che a “deporre le armi”. Potrebbe spegnersi per un pò un conflitto, come ad esempio quello libico con possibile accordo russo-turco, tuttavia nuovi conflitti potrebbero aprirsi o riacutizzarsi. Gli ultimi quindici anni (perlomeno) ci hanno mostrato l’inesorabile ripetersi di questo poco edificante spettacolo. Temo che il 2020 non ci riserverà delle sorprese in tal senso. L’augurio, tuttavia, è quello di essere smentita dai fatti!

Paniccia: Mentre le grandi potenze occidentali continuano le  proxy wars, le guerre per procura,  con alleati a geometria variabile, la Russia prosegue la sua marcia nel Mediterraneo. Le aree di instabilità maggiore sono i paesi all’indice: l’Iran, le fasce islamiche sub continentali asiatiche e il Sahel insieme alla sponda nord africana e all’area del corno d’ Africa. Qui gli attacchi non sarebbero comunque casi isolati, ma dettati da regie di contiguità sostenute da medie potenze in guerra fra loro ( Turchia, Arabia Saudita, Iran ) o dalla lotta nell’area energetica.

Libia nuovi fronti di guerra e di terrorismo
Recente incontro fra Erdogan e il leader libico Serraj

Nessuna spaccatura tra Turchia e Russia per la Libia: MoD turco
Tratto da News Desk del 31.12.2019

Il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ha negato l’esistenza di attriti tra Ankara e Mosca sulla Libia circa le recenti mosse della Turchia per inviare truppe in aiuto di Tripoli.

“No, la Turchia e la Russia hanno ottimi canali di dialogo”, ha detto all’emittente turca NTV in risposta al fatto che tra i due si stesse formando una fila.
Ha detto che si sono tenuti colloqui tra i presidenti delle nazioni e i funzionari della difesa. La Turchia intende appianare eventuali differenze con la Russia attraverso negoziati, ha aggiunto Akar.
Il governo di Tripoli di accordo nazionale ha chiesto alla Turchia aiuti “aerei, terrestri e navali” dopo che le forze rivali del generale Khalifa Haftar, con base orientale, hanno raddoppiato i loro sforzi per impadronirsi di Tripoli.

Il governo turco vuole far passare il parlamento in una seduta straordinaria il 31 dicembre. Chiede di schierare truppe in Libia per proteggere gli interessi nazionali.

A fine novembre, Turchia e GNA hanno firmato accordi di cooperazione militare e una nuova frontiera marittima. Entrambe le parti hanno già ratificato l’accordo e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato il 26 dicembre che Ankara era pronta a fornire assistenza militare nella lotta contro l’LNA.

Una foto che mostra i MRAP BMC Kirpi II inviati da Turkey per GNA forze e fazioni allineate che combattono contro Khalifa Haftar’s LNA . Apparentemente i veicoli armati di fabbricazione turca sono stati schierati sia a Tripoli che a Misurata, ma non sono ancora stati coinvolti nella lotta.

Concludo la traduzione da News Desk con questa osservazione: La Turchia ha messo piede in Siria e, ora, in Libia. Le fasce di sicurezza sono un pretesto e uno scudo diplomatico, ma ha dichiarato di essere sbarcata in Nord Africa per proteggere i propri interessi nazionali. Quali? Se c’è un paese che aveva interessi nazionali da garantire in Libia, questo era l’Italia, non la Turchia. Anche se le forze armate turche irregolari e regolari combattono guerre per procura altrui, bisogna riconoscere che Erdogan sa quello che vuole. A ipotetica, parziale giustificazione dell’inerzia di Italia, Gran Bretagna e Francia c’è che difficilmente Erdogan potrà consolidare e mantenere i vantaggi conseguiti. La Turchia non è Israele, ma il governo italiano non ha un Erdogan.

2804.- Chiudiamo l’anno 2019 con Erdogan che dirige l’orchestra: a Cipro, in Siria e in Libia.

Nei piani di Erdogan, la Turchia gestirà l’energia, la leva islamica, il terrorismo e i flussi dei migranti in Mediterraneo.

Erdogan sa quello che vuole e chi ha di fronte.

L’accordo sul freno al flusso dei migranti, sottoscritto dall’Unione europea con la Turchia il 18 marzo 2016, è stato voluto da Merkel ed era stato preceduto dalla dichiarazione congiunta del 7 marzo. Doveva dissuadere i trafficanti di esseri umani dall’incanalare su rotte balcaniche il flusso dei migranti irregolari diretto in Europa attraverso la Turchia. L’accordo, costato miliardi di euro, da pagare alla Turchia in tranche di tre, prevedeva che, dal 20 marzo 2016, i nuovi migranti clandestini, irregolari partiti dalla Turchia per raggiungere le isole greche dovessero essere riportati in Turchia dai greci. La Grecia sarebbe stata messa in condizione di poter attuare queste misure, ricevendo dall’Ue i mezzi necessari: circa 4.000 funzionari dall’Ue, da FRONTEX, interpreti, guardie di frontiera, esperti in materia di asilo. Quella parodia di Presidente della Commissione europea, di nome Jean-Claude Juncker, recitò l’osanna per l’accordo raggiunto: “l’accordo è conforme a tutte le norme europee e internazionali”. “Il principio di non respingimento sarà rispettato”. E, comunque, le domande dei rifugiati e dei richiedenti asilo si sarebbero trattate ciascuna singolarmente e contro le decisioni sarebbe stata garantita la possibilità di presentare ricorso. L’accordo era l’attuazione del piano d’azione comune UE-Turchia del 29 novembre 2015. Come stanno sperimentando gli americani e la NATO, la Turchia è il paese levantino per eccellenza: con una mano ti accoglie, con l’altra minaccia. Per Ankara, prevale sempre l’interesse contingente del governo turco e gli accordi che va sottoscrivendo sono solo un tampone temporaneo e un rischio per l’altro contraente. Citiamo l’accordo sulle testate nucleari B-61 dislocate nella base aerea della NATO a Incirlik, che il Pentagono deve trasferire al più presto in Grecia o in Italia. Nel frattempo,  l’emergenza profughi è diventata insostenibile nelle isole greche dell’Egeo, a Lesbo in particolare. Dopo che la Turchia ha dichiarato guerra ai curdi anche in Siria e l’ha invasa, l’Unione europea ha sperimentato cosa significhi trattare con Ankara. I governi europei hanno condannato l’attacco turco ai curdi; Erdogan, che aveva ricevuto già sei miliardi di euro per le prime due tranche dell’accordo sui migranti, ha battuto cassa per il pagamento della terza tranche di finanziamenti europei. Non solo! Erdogan minaccia l’Unione europea di spalancare le porte e spedirci i suoi quattro milione di rifugiati. Jean Claude Juncker, con un piede già fuori della Commissione europea, tuonò: “L’Unione europea esige lo stop dell’offensiva turca in Siria”, ha detto e, rivolgendosi ai turchi: “Non aspettatevi che l’Ue finanzi una cosiddetta zona sicurezza”. L’Alto rappresentante Ue Federica Mogherini fece sentire la sua voce: “Le rinnovate ostilità armate nel nord-est minano ulteriormente la stabilità dell’intera regione, aggravano la sofferenza dei civili e provocano nuovi sfollati”. Dimenticavo, il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli chiese “con forza alla Turchia di interrompere immediatamente ogni azione militare: c’è una popolazione che ha già sofferto duramente. Non dobbiamo metterla in condizioni di avere altre sofferenze. Si fermi questo intervento, non sarà mai una soluzione ai problemi che abbiamo”. Non c’è limite al ridicolo ed è difficile non fare il tifo per Erdogan, sempre più difficile. Ma c’è molto di più.

L’accordo bilaterale sottoscritto da Tripoli e Turchia sui confini marittimi, per quanto possa valere, ha messo in calcio d’angolo Israele, Grecia, Cipro ed Egitto, preoccupa l’Unione Europea e ha gettato nel ridicolo il governo Conte e la Farnesina, in realtà, l’Italia e l’ENI si sono venute a trovare in una posizione insostenibile. L’accordo concede alla Turchia la possibilità di estrazione di gas e petrolio in un’area strategica al di fuori delle acque territoriali dei firmatari e d’interesse per più paesi mediterranei. Non solo, Erdogan avrebbe potere decisionale sui gasdotti che attraverseranno il Mar Mediterraneo orientale. La Grecia, che vede i turchi nelle acque di Creta e Ankara che vuole occupare le isole greche dell’Egeo, ha espulso l’ambasciatore di Tripoli ad Atene definendo l’accordo “un’aperta violazione del diritto di navigazione e dei diritti sovrani di Grecia e di altri Paesi”. Per l’Italia, Luigi Di Maio, ha dichiarato che “quegli accordi non sono legittimi”. Probabilmente, attenderemo una inutile risoluzione dell’ONU.

Guardando all’Italia, oggi in Libia, come in Siria e a Cipro, Erdogan ha fatto un boccone di Giuseppe Conte e del suo ministro degli esteri. Come, a Bruxelles, gli imponenti flussi migratori attraverso i Balcani presero il posto dei flussi migratori dal Mediterraneo, più contenuti, seppellendo il pre-accordo di Malta, che, invano, Conte (si legge l’Italia) sperava di trasformare in accordo, così, oggi, ci troviamo ad appoggiare il governo di Al-Sarraj, con i mercenari terroristi dei turchi a Tripoli e contro il governo libico di Khalifa Haftar, che combatte il terrorismo. Al-Sarraj ha dichiarato a Di Maio che ha estremo bisogno di aiuto militare e che scegliere da chi riceverlo sono affari suoi.

Chiudiamo l’anno 2019 con il nostro amico di Tripoli nelle braccia di Erdogan, con circa 1.200 terroristi mercenari dei turchi per 2.000 $ al mese, sbarcati fra ieri e l’altro ieri, a Tripoli, dalla Turk Hava Kuvvetleri – parte integrante delle forze NATO -, che, domani, potrebbero essere imbarcati dalle ONG e sbarcare in Italia, pronti ad accendere il fuoco, un pò qua, un pò là per assecondare i futuri diktat di Ankara. D’altronde, abbiamo ribadito più volte che lo Stato Maggiore turco, prima di dare il via all’Operazione Primavera di Pace, aveva affermato di avere ai suoi ordini i reparti di irregolari, ribelli, mercenari, chiamateli come vi pare; ma sempre terroristi sono quelli che decapitano, sgozzano e ammazzano prigioniere e prigionieri. Un’altra volta, Erdogan ha messo le mutande in testa a Conte, e tacciono sia Conte sia Mattarella, sia l’Unione europea. Tace il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg; tace il presidente Trump, che ha dato il via all’invasione turca della Siria con l’annuncio della ritirata delle truppe USA e che si è visto negare da Erdogan l’ingresso al Mar Nero per la Sesta Flotta. Gli Stati membri dell’Unione europea, a partire dalla Francia alla Germania e, naturalmente, all’Italia, si dichiareranno preoccupati. Noi lo siamo.

La Turchia ha trasferito i terroristi dell’ISIS e di Al Qaeda in Libia: LNA spox.

2019-12-30, 31

Il maggiore generale Ahmed Al-Mismari, portavoce dell’esercito nazionale libico, ha affermato che centinaia di terroristi affiliati all’ISIS e ad Al Qaeda sono stati trasferiti dalla Siria alla Libia nei giorni scorsi attraverso la Turchia. A noi, risultano sbarcati dagli aerei turchi 300 terroristi domenica 29 e 800 ieri.

Maggiore Generale Ahmed Al-Mismari, portavoce dell’Esercito Nazionale Libico,

Ieri, lunedì, durante una conferenza stampa, Al-Mismari ha dichiarato che “Ankara ha trasferito terroristi di varie nazionalità” in Libia.
Ha continuato: “Erdogan vuole colpire due piccioni con una fava inviando i militanti in Libia. Il primo motivo è sbarazzarsi di questi militanti che sono un peso per il suo paese e, in secondo luogo, controllare le risorse della Libia “. Terzo, aggiungerei, tenere gli europei, la TOTAL e l’ENI sui carboni accesi.

La Yavuz sta perforando i fondali nella zona assegnata all’ENI.

Il portavoce dell’esercito nazionale libico ha affermato che “Erdogan ha violato tutti gli standard della comunità internazionale e del Consiglio di sicurezza e ha contribuito al trasferimento di terroristi da un paese all’altro”, osservando che “ciò che Ankara sta facendo non sta solo minacciando la Libia ma l’intera regione araba “. Tutto il Mediterraneo, diremmo noi!

Il flusso del traffico dalla Turchia a Tripoli e Misurata è intenso.

2799.- I TERRORISTI DEI REPARTI IRREGOLARI DELL’ESERCITO TURCO IN LIBIA! CHE FARA’ L’ONU?

L’Italia non può consentire alla Turchia di essere militarmente in Libia!

Di Maio ha fatto i compiti. Dopo i “contatti” con il Segretario di Stato americano Mike Pompeo e con Sergei Lavrov, dopo il viaggio in Libia della settimana scorsa, “sta provando” a rilanciare uno spazio per la trattativa diplomatica, innanzitutto con una missione comune dell’Unione europea in Libia che interrompa il percorso inevitabile dell’escalation militare. Dopo la missione Ue in Libia – se ne sa poco -, presumibilmente a Tripoli e Bengasi, l’Italia prevede altri incontro politici e anche l’Onu sta provando assieme al governo tedesco. Se Erdogan sta dimostrando spregiudicatezza e arroganza, tuttavia, sa fare i suoi conti e sa chi ha di fronte. All’Italia serve un altro Erdogan. A casa i bambini. Ai libici, la pace turca non serve, quindi, la Turchia deve stare a casa sua!

La Turchia contrabbanda terroristi di Daesh in Libia per LNA

La Turchia contrabbanda i suoi terroristi militantiimpiegati in Siria da Hayat Tahrir al-Sham (precedentemente noto come Fronte di Al-Nusra) e Daesh ) in Libia attraverso la Tunisia, il portavoce dell’Esercito nazionale libico (LNA) lo ha riferito mercoledì al quotidiano egiziano El-Watan. Sarà anche per questo che Erdogan è volato improvvisamente a Tunisi.

Nell’intervista di questa settimana, Aref Ali Nayed, inviato del governo della Libia orientale, ha dichiarato di possedere informazioni “credibili” che i militanti dei suddetti gruppi terroristici sarebbero stati spediti in Libia attraverso la città portuale di Misrata per combattere l’LNA.


I militanti dei reparti irregolari che hanno preceduto l’esercito turco in Siria sono i terroristi comandati direttamente dallo Stato Maggiore turco?

“Certamente, i militanti di Daesh e Al-Nusra Front sono stati contrabbandati dalla Siria con la mediazione dell’intelligence turca. Un gran numero di militanti. Questo è un problema molto serio perché viene utilizzato uno degli aeroporti tunisini: l’aeroporto [sull’isola di] Djerba, dove ha luogo lo sbarco di gruppi terroristici in Tunisia. Sono spediti in Libia via Jabal al Gharbi [i distretti montuosi della Libia nordoccidentale] ”, ha detto Ahmed Mismari.

Secondo il portavoce dell’LNA, negli aeroporti libici di Misrata, Zuwara e Mitiga sono sbarcati un gran numero di terroristi del Daesh e del Fronte di Nusra.

I militanti dei reparti irregolari che hanno preceduto l’esercito turco in Siria sono i terroristi che hanno sgozzato e decapitato i soldati siriani prigionieri. Li volete in Libia? Ripubblichiamo un’immagine di queste bestie.

La Turchia, sostenitrice del GNA, ha ripetutamente promesso di sostenere il governo appoggiato dalle Nazioni Unite a Tripoli e ha fornito aiuti militari per proteggere il GNA. Di recente, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha confermato che Ankara invierà truppe in Libia qualora Tripoli lo chiedesse.

Il Fronte di Al-Nusra (noto anche come Jabhat al-Nusra, Jabhat Fatah al-Sham o al-Qaeda in Siria) e Daesh (noto anche come ISIS / ISIL / IS) sono organizzazioni terroristiche messe al bando in Russia e in molti altri paesi. In Turchia hanno ricevuto una addestramento completo per poter operare insieme all’esercito turco della NATO.

2019-12-27. Fonte Sputnik

Il capo del gruppo di contatto russo per l’insediamento intra-libico, Lev Dengov, ha confermato che il GNA ha richiesto ufficialmente aiuti militari – supporto “aereo, marittimo, terrestre” – dalla Turchia.

All’inizio della giornata, diversi media hanno riferito che il GNA di Tripoli aveva fatto una richiesta formale.

“Si è vero. L’ufficio del GNA ha confermato di aver chiesto ufficialmente alla Turchia un aiuto militare – aereo, marittimo, terrestre “, ha affermato Dengov.

In precedenza, il presidente turco Tayyip Erdogan aveva dichiarato che Ankara è ancora pronta a prendere in considerazione la possibilità di inviare truppe in Libia, se tale richiesta venisse presentata dal governo di accordo nazionale.

Il 21 dicembre, il parlamento turco ha ratificato un accordo di cooperazione militare firmato con il governo libico di Tripoli.

A novembre, la Turchia ha firmato un memorandum sulla cooperazione militare con l’amministrazione basata su Tripoli, innescando un contraccolpo da parte del governo rivale con base a Tobruk a est. Tra le altre cose, il documento prevede il supporto militare tra le parti.

Il governo libico di Tripoli (riconosciuto a livello internazionale) chiederà ufficialmente sostegno militare dalla Turchia se la guerra sulla capitale dovesse intensificarsi, ha detto ieri, giovedì, il ministro degli interni di al Sarraj.

“Se la situazione peggiorerà, allora avremo il diritto di difendere Tripoli e i suoi residenti”, ha dichiarato Reuters a Fathi Bashagha parlando ai giornalisti di Tunisi. Le forze orientali fedeli al comandante Khalifa Haftar stanno cercando di prendere Tripoli da aprile.

Sempre giovedì, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato che Ankara invierà truppe in Libia il mese prossimo, quando riceverà una richiesta da Tripoli:”Dal momento che ci sarà un invito [dalla Libia] in quello stesso momento, lo accetteremo”, ha detto Erdogan ai membri del suo partito AK. “Metteremo il disegno di legge sull’invio di truppe in Libia all’ordine del giorno non appena il parlamento aprirà.” Non è chiaro a quale specifico invito si riferisse Erdogan.

La Turchia è pronta a schierare truppe in Libia

2019-12-27

Le forze armate turche sono pronte per essere schierate in Libia, se necessario, secondo quanto riferito dai media venerdì, citando la portavoce del ministero della Difesa nazionale Nadide Sebnem Aktop.

L’esercito turco è in grado di condurre operazioni all’interno e all’esterno della Turchia, a seconda di come richiesto, secondo l’agenzia di stampa Anadolu, citando la portavoce.

Alla fine di novembre, la Turchia e il governo libico di accordo nazionale (GNA) riconosciuto dalle Nazioni Unite con sede a Tripoli hanno firmato un accordo sulla cooperazione militare. Entrambe le parti hanno già ratificato l’accordo e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato giovedì che Ankara sosterrà il GNA nella lotta contro l’esercito nazionale libico (LNA).

I terroristi dei reparti irregolari turchi che militano in Siria saranno rischierati dalla Turchia in Libia

2019-12-27

Membri del cosiddetto Esercito siriano libero ripresi vicino alla città di Bizaah, a Nord-Est della città di al-Bab, a circa 30 chilometri dalla città siriana di Aleppo, il 4 febbraio 2017. (Foto di AFP)

Ragıp Soylu✔: I militanti dei reparti irregolari turchi, per lo più terroristi siriani, addestrati e comandati dallo Stato Maggiore della Turchia, verranno trasferiti in Libia per assistere il governo di accordo nazionale (GNA) riconosciuto dagli Stati Uniti, secondo quanto riferito da Bloomberg.

Prima di questo rapporto, la giornalista investigativa Lindsey Snell ha twittato informazioni sulla Turchia

Lindsey Snell✔ :

La fonte TFSA mi ha detto che la Turchia offrirà ai combattenti di tutte le fazioni TFSA $ 2.000 al mese per andare in Libia”.

Mentre le autorità turche non hanno commentato queste affermazioni, ci sono state voci per anni sullo stato islamico (ISIS / ISIL / IS / Daesh) e altri jihadisti che viaggiano dalla Siria, attraverso la Turchia, la Libia o viceversa.

La Turchia è riuscita a garantire le proprie posizioni in Siria costruendo posti di osservazione in tutta la regione settentrionale del paese; tuttavia, i suoi terroristi militanti non sono stati in grado di ottenere alcun vero successo sul campo, al di fuori della loro breve partecipazione alla Operazione Primavera di Pace.

L’esercito nazionale siriano (SNA), che comprende l’esercito siriano libero e altre fazioni ribelli, ha subito un addestramento rigoroso, motivo per cui la Turchia potrebbe usare le proprie forze in Libia.

Inoltre, le fazioni militanti più potenti nel nord della Siria sono probabilmente i gruppi guidati dal jihadista come Hay’at Tahrir Al-Sham (HTS) e il Partito islamico del Turkestan (TIP), che hanno dimostrato di essere alcuni dei migliori combattenti per l’opposizione forze.

Questi jihadisti sono i principali irregolari militanti che combattono l’Esercito arabo-siriano (SAA) nel Governatorato di Idlib e si comportano come e sono terroristi.

Il portavoce presidenziale turco Ibrahim Kalin ha dichiarato martedì 24, in una conferenza stampa: “Hafter deve fermare i suoi attacchi, altrimenti la situazione si intensificherà in diverse regioni della Libia”.

Mercoledì, Erdogan si è recato in visita non ufficiale in Tunisia per chiedere il cessate il fuoco in Libia

Il presidente Recep Tayyip Erdogan è arrivato in Tunisia in una visita senza preavviso per tenere colloqui con il presidente tunisino Qais Saeed. Erdogan ha sottolineato durante la sua visita, la necessità di un cessate il fuoco in Libia “il più presto possibile”. e, per questo, sta trasferendovi i terroristi militanti con il suo esercito.

Erdogan ha dichiarato, durante una conferenza stampa con il suo omologo tunisino, Qais Saeed, che “gli sviluppi negativi in Libia non sono limitati ai libici, ma si estendono ai paesi vicini, guidati dalla Tunisia, e ne sono molto turbati”, sottolineando che la Tunisia avrà modo di dare un contributo molto prezioso e costruttivo agli sforzi per raggiungere la stabilità in Libia “.

Il presidente turco ha sottolineato che ha discusso con la parte tunisina i passi che potrebbe prendere e la cooperazione che può essere presa per garantire un cessate il fuoco in Libia e tornare al processo politico.

LNA cattura un’autostrada strategica e afferma che le sue truppe sono a 4 km dal centro di Tripoli

LNA Captures Strategic Highway, Says Its Troops Are 4km Away From Tripoli’s City Center

È ufficiale: il governo libico di Tripoli ha approvato una richiesta di assistenza militare turca “via mare e via aerea”, mi dice un alto funzionario della GNA, per respingere l’offensiva di Haftar sulla capitale.

Erdogan minaccia di inviare truppe in Libia

“Abbiamo ricevuto da GNA una richiesta di invio delle truppe turche a #Libya e presenteremo la questione al parlamento. Dopo la sua approvazione provvederemo a soddisfare la richiesta”, ha dichiarato.

I gruppi di ribelli etnici turkmeni (Sultan Murad Division, Abdulhamid Han Brigade?) Che hanno combattuto a fianco della e per la Turchia nel Nord della Siria dovrebbero rafforzare il governo di Tripoli, ha confermato un ufficiale libico.

Al-Sarraj, dal suo canto, aveva aggiunto: “Siamo interessati all’ottenimento di carri armati e droni, cosa ti aspettavi? Mi scusi, non riceviamo carri armati e droni turchi, quindi il nostro governo resta pazzo, mentre vediamo la distruzione della capitale Tripoli davanti ai nostri occhi e vediamo sangue ovunque? Volevate che restassimo pigramente a vedere occupata la capitale della Libia?

Ieri sera, giovedì, la Turchia aveva in programma di effettuare attacchi aerei contro le basi della Libya National Air Force ad Al-Watiya, Benghazi (Benina) e Tobruk usando le sue cisterne volanti KC-135R e gli F-16C / D Block 50, ma questo non è mai successo dopo che sia Grecia che Egitto hanno bloccato il loro spazio aereo ai turchi.

L’Italia non può consentire alla Turchia di essere militarmente in Libia!

The Libyan National Army (LNA), led by Field Marshal Khalifa Haftar, announced on Tuesday that its forces destroyed a Turkish armored vehicle in southern Tripoli.

According to Al-Arabiya TV, “the Libyan Army announced that its pilots destroyed a Turkish armored vehicle south of Tripoli.”

La vigilia di Natale, l’esercito libico ha annunciato la distruzione di un veicolo corazzato turco, vicino a Tripoli

This announcement by the LNA comes just two days after the Tripoli-based President of the Government of National Accord (GNA), Fayez Al-Sarraj, said he would like to bring Turkish tanks and drones to the North African nation.