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5609.- La concorrenza non crea lo stato sociale

In una delle ultime riunioni del Consiglio europeo è emersa innanzitutto l’erronea impostazione sul tema dei migranti. Particolarmente errata è risultata la posizione della Meloni, la quale, con una prospettiva di corto respiro, ha concentrato il problema nella lotta agli scafisti e nella necessità di mantenere i migranti nei loro Paesi, anche con respingimenti e rimpatri.

Errata è risultata, in modo macroscopico, la posizione espressa dalla Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, la quale ha ritenuto punti fermi, oltre il giustissimo obiettivo della tutela ecologica mondiale, tre obiettivi completamente sbagliati: sostenere l’Ucraina nella guerra contro la Russia, contrastare l’immigrazione e rafforzare la competitività tra i singoli e tra gli Stati.

Sostenere la guerra in Ucraina significa soltanto marciare a pie veloce verso l’olocausto totale, e l’Europa dovrebbe invece impegnarsi a sostenere un cessate il fuoco, ovviamente ammettendo che in questa situazione non possano esistere ne vinti ne vincitori, in altri termini è indispensabile cancellare nella trattativa la parola vittoria, da sostituire con le parole compromesso di pace.

Erronea è anche la posizione della Von der Leyen sulla migrazione, che è una posizione di contenimento di un fenomeno che andrà progressivamente ingrandendosi, comprendendo anche la Tunisia, oltre la Libia e i Paesi del Medio Oriente.

Per cui l’unica soluzione realistica è quella della cooperazione internazionale che implichi dei grandi sacrifici a carico degli europei (che peraltro hanno da sempre sfruttato al massimo le risorse africane), al fine di portare questi Paesi, che si trovano in condizioni di povertà assoluta, a livelli accettabili dal punto di vista economico e sociale.

Fuori di questa soluzione è agevole ritenere che entro 4/5 anni il continente africano, che secondo le statistiche arriverà presto a 3 miliardi di abitanti, non avrà difficoltà ad invadere completamente il continente europeo.

Assolutamente illogico è l’insistere della Von der Leyen sul concetto della concorrenza che è la causa unica, principale e fondamentale dell’attuale disastro economico mondiale, in quanto consente agli individui e ai Paesi economicamente più forti di ridurre in condizioni di estrema povertà gli individui e i Paesi economicamente più deboli.

Se non si capisce che il maledetto pensiero, a suo tempo espresso da Milton Friedman, di considerare l’economia non più come economia dello scambio, ma come economia della concorrenza, costituisce un imperdonabile errore che comporta l’attuazione, seguita da tutto l’Occidente, della cosiddetta ricetta dello stesso Friedman, la quale prescrive: liberalizzazioni, privatizzazioni e eliminazione dello Stato sociale. Proprio il contrario di quello che occorre.

È questo il punto essenziale da ribaltare e finché le menti dei nostri politici resteranno offuscate da questo errato mantra della concorrenza, non ci sarà nessuna possibilità di soluzione dei problemi della guerra, del clima e dell’immigrazione. Anche in questo campo l’unico modello che può aiutarci è quello sancito, per i rapporti economici, dalla nostra Costituzione repubblicana e democratica.

4500.- Fra sigle e miliardi per l’inclusione sociale, per l’occupazione giovanile e per i bambini poveri. Che film è?

Dice l’articolo 3 del trattato sull’Unione europea che l’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri. Da luglio è operativo l’FSE+. Parliamo di 99 miliardi. A chi e come andranno? Quanto a 98,5 miliardi, la gestione dei progetti è nelle mani degli Stati membri, mentre la Commissione deve monitorare.

Art. 3 Trattato sull’Unione europea

TRATTATO SULL’UNIONE EUROPEA, Versione consolidata

Articolo 3

(ex articolo 2 del TUE)

1. L’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli.

2. L’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima.

3. L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico.

L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore.

Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri.

Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo.

4. L’Unione istituisce un’unione economica e monetaria la cui moneta è l’euro.

5. Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite.

6. L’Unione persegue i suoi obiettivi con i mezzi appropriati, in ragione delle competenze che le sono attribuite nei trattati.

IT 26.10.2012 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea C 326/

Il Fondo sociale europeo plus, FSE+

Unione europea
@Andrzej Rembowski – Pixabay – CC BY

6 Novembre 2021 Gaia Cellante, Lo Spiegone, Unione Europea

La lotta all’esclusione sociale rientra tra gli obiettivi dell’Unione europea elencati nell’art. 3 del Trattato sull’Unione europea (TUE). Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), all’art. 4, riconosce la politica sociale come materia concorrente: la competenza degli Stati membri si spinge fin dove l’UE non esercita la propria.

Negli anni, l’impegno dell’Unione europea per i temi sociali non è mai mancato e, anzi, è cresciuto nell’ultimo periodo. In questo senso, un momento importante è stato l’istituzione del Pilastro europeo dei diritti sociali, nel 2017, che in seguito è stato ulteriormente rafforzato con la nascita del Fondo sociale europeo plus (FSE+), entrato ufficialmente in vigore a luglio 2021.

Il FSE+

Il Fondo sociale europeo plus è lo strumento messo in campo dall’UE per investire nelle persone, con lo scopo di dare vita a un’Europa più sociale e inclusiva. Le aree tematiche di cui si occupa il FSE+ sono l’occupazione, l’istruzione e l’inclusione sociale mentre i destinatari sono gli individui, le regioni e gli Stati membri. Il Fondo, su cui le istituzioni europee avevano iniziato a lavorare dal 2018, è stato ripensato con lo scopo di porre rimedio alla crisi economica e sociale legata alla pandemia da Covid-19.

Il budget destinato al FSE+ dal bilancio pluriennale 2021-2027 è di 99 miliardi da investire a sostegno dei giovani, particolarmente colpiti dalla “crisi Covid”, per migliorare le loro possibilità lavorative ed educative. Il fondo verrà utilizzato anche per combattere la povertà infantile, prevedendo a tal riguardo anche forme di assistenza diretta, come la fornitura di cibo e di beni di prima necessità. 

Parte delle risorse sarà inoltre destinata alla riqualificazione dei lavoratori in vista della transizione verso un’occupazione più digitale e attenta all’ambiente e al finanziamento della cooperazione per l’innovazione sociale. 

Nello specifico, gli Stati membri dovranno utilizzare almeno il 25% delle risorse a loro destinate alla promozione dell’inclusione sociale, il 3% agli aiuti diretti, il 12,5% per azioni mirate e interventi strutturali a favore dell’occupazione giovanile e, infine, il 5% a sostegno dei bambini al di sotto della soglia di povertà. 

Il funzionamento del FSE+

Del Fondo sociale europeo plus si occupano in gestione concorrente Commissione europea e Stati membri. Questo significa che i finanziamenti non sono controllati esclusivamente dall’UE, come accade in caso di gestione diretta, ma la responsabilità ricade su entrambi: all’inizio del settennio, Commissione e Stati siglano un accordo di partenariato sulla suddivisione dei finanziamenti e sulle priorità del fondo; a quel punto, la responsabilità della gestione dei progetti passa nelle mani degli Stati membri, mentre la Commissione continua a monitorare sull’operato dei governi, restando ultimo responsabile del budget. 

La quasi totalità delle risorse del fondo (98,5 miliardi) verrà gestita in collaborazione diretta dagli Stati membri, mentre i restanti 762 milioni di euro verranno utilizzati direttamente dalla Commissione europea. 

I programmi dell’FSE+ sono comunque co-finanziati da Stati e UE che contribuiscono insieme, e in percentuali variabili, al finanziamento dei progetti.

Gli altri fondi dedicati al sociale dell’UE

Il nuovo fondo FSE+ integra e accorpa al suo interno i fondi e le risorse dedicati alla sfera sociale già stanziati dalle istituzioni europee nella precedente programmazione. Tra i più importanti figura il Fondo sociale europeo (European Social Fund – FSE), primo fondo strutturale istituito con il Trattato di Roma del 1957 e antenato dell’attuale FSE+. 

L’Iniziativa per l’occupazione giovanile (Youth Employment Initiative – YEI) nacque, invece, nel 2013 con l’obiettivo di supportare il lavoro giovanile in quelle aree in cui la disoccupazione dei ragazzi supera il 25%. In Italia, l’iniziativa è stata attuata attraverso il progetto “Garanzia Giovani”.

Chiudono il quadro dei progetti dedicati dall’UE all’integrazione sociale il Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fund for European Aid to the Most Deprived – FEAD), che si occupa di sostenere l’assistenza materiale delle persone che vivono in condizioni di estrema povertà e il Programma dell’UE per l’occupazione e l’innovazione sociale (EU Programme for Employment and Social Innovation – EaSi), nato con lo scopo di promuovere un’occupazione sostenibile e garantendo una protezione sociale dignitosa.

L’iter legislativo

La proposta della Commissione europea di inserire nel bilancio pluriennale 2021-2027 la creazione di un Fondo sociale europeo plus come strumento per implementare la dimensione sociale dell’Unione europea risale al maggio 2018.

L’idea iniziale era quella di creare un fondo in cui far convergere tutti gli strumenti pensati dall’UE a favore dell’integrazione sociale nel corso degli anni – quindi ESF, YEI, EaSi, FEAD – e anche l’EU Health Programme, il programma che le istituzioni europee dedicano alla salute dal 2003, con lo scopo di semplificare l’accesso a questo genere di sostegni a chi più ne necessita. La proposta della Commissione prevedeva un budget di 101,2 miliardi di euro.

Dopo che la proposta della Commissione giunse in Parlamento europeo, nel dicembre 2018 la Commissione occupazione e affari sociali del PE propose di aumentare il budget e la plenaria approvò la proposta.

A ottobre 2019, con i rappresentanti delle istituzioni da poco rinnovati alle elezioni del maggio 2019, ebbero inizio i negoziati interistituzionali. A dicembre, ebbe luogo il comitato di conciliazione tra i rappresentanti delle tre istituzioni – Commissione, Consiglio e Parlamento – con lo scopo di trovare un accordo.

A maggio 2020  – alla luce degli sviluppi legati alla pandemia da Covid-19 – la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen annunciò che l’Health programme sarebbe rimasto escluso dal FSE+ per svilupparsi come programma indipendente.

Con l’accordo politico raggiunto tra Commissione e Consiglio sul bilancio pluriennale, il budget dedicato al FSE+ è stato fissato a 99 miliardi di euro. L’accordo politico tra PE e Consiglio è invece stato raggiunto nel gennaio 2021. Con il voto in seconda lettura della plenaria del Parlamento a giugno, il Fondo sociale europeo plus è ufficialmente entrato in vigore il 1° luglio 2021

3977.- La Costituzione delle Donne

Articolo 38: Le donne hanno gli stessi diritti previdenziali e assistenziali degli uomini?

di Federica Gentile | 20 Maggio 2019

Articolo 38 della Costituzione "Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L'assistenza privata è libera."

Con l’Articolo 38 della Costituzione lo Stato si impegna ad assicurare agli individui il rispetto della propria dignità, anche qualora si trovino in una condizione di bisogno. In particolare, il comma 1 prevede l’assistenza sociale (vale a dire le misure che servono a garantire un adeguato tenore di vita anche a chi è titolare di un reddito inferiore ad una certa soglia e non può procurarsi altre entrate) per cittadini che non possano lavorare o che siano in una situazione di povertà: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.”  Se il comma 1 dell’Articolo 38 della Costituzione si riferisce in generale a tutti gli individui, il comma 2 si riferisce invece a lavoratori e lavoratrici e riguarda la previdenza sociale: “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.”

Con il comma 3, il diritto all’educazione e alla formazione per le fasce più deboli della popolazione vien garantito dall’Articolo 38 della Costituzione: “Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale” e aggiunge, al comma 4, che “Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.” Con il comma 5, “L’assistenza privata è libera”, lo stato di fatto dichiara di non avere il monopolio dell’attività di assistenza.

L’assistenza sociale e le donne

Le donne sono particolarmente vulnerabili dal punto di vista economico e quindi maggiormente dipendenti da strumenti di assistenza sociale: infatti le donne guadagnano mediamente a parità di lavoro 3.000 euro in meno degli uomini,  mentre la loro ricchezza individuale è più bassa di quella maschile del 25%.
Il reddito prodotto autonomamente dalle donne, o le loro proprietà individuali, rappresentano però indicatori di autonomia e di indipendenza economica.

Diverso è il discorso sulla redistribuzione delle risorse all’interno delle famiglie, sulla capacità di spesa e di consumo, che definiscono la soglia di povertà delle famiglie e degli individui. In questo caso le donne, pur essendo molto spesso dipendenti dalle risorse economiche del partner che mediamente guadagna di più, godono di una capacità di consumo e di un benessere maggiore di quello che avrebbero con il loro solo stipendio.
Per questo effetto di redistribuzione delle risorse, del consumo e delle spese all’interno della famiglia, quindi, il numero delle donne povere a livello individuale, tra adulte e minori,  calcolato dall’Istat sulla capacità di consumo, non è molto differente da quello degli uomini: dei 5 milioni e 58 mila di poveri assoluti nel 2017 in Italia 2 milioni 486 mila sono gli uomini e 2 milioni 472mila le donne.

Tuttavia,  se per le donne la redistribuzione familiare delle risorse può apparire un vantaggio, in realtà diventa molto pericolosa perché rappresenta pur sempre una dinamica di dipendenza: se le cose non vanno bene in famiglia, se ci si separa o si rimane vedove, aumenta sensibilmente il rischio di povertà per le donne. Le statistiche ci dicono infatti che il rischio di povertà per le donne è superiore a quello degli uomini, soprattutto per le fasce di età relative alla maternità (23,5% contro il 19,9% degli uomini per le 25-34enni, 3,6 punti percentuali di differenza) e soprattutto per le over 75 (18,7% contro il 12,1% degli uomini, per una differenza di 6,6 punti percentuali).

Eventuali strumenti di contrasto alla povertà dovrebbero quindi tenere presente le peculiarità della povertà delle donne; resta da vedere l’impatto di genere del reddito di cittadinanza – strumento che dovrebbe contrastare la povertà diffusa nel nostro paese. Al momento il 58% dei richiedenti sono donne, tra le quali molte donne single con bambini.

Le donne e la previdenza sociale

Per quanto riguarda invece la previdenza sociale, secondo dati Istat, le donne sono il 52,5% dei pensionati, e ricevono in media pensioni di quasi 6mila euro più bassi di quelli degli uomini. Le donne sono anche la maggioranza delle beneficiarie delle pensioni assistenziali (59,3%) dato che tendono ad avere percorsi lavorativi e contributivi più frammentati; percepiscono poi il 58,2% delle pensioni di invalidità civile, il 62,9% delle pensioni sociali e il 64,1% di quelle di guerra. Il 18% delle anziane non riceve alcuna forma di pensione  contro il 3% degli uomini. Vi è quindi un importante divario pensionistico di genere in Italia – così come in Europa – ed esso è peraltro il risultato inevitabile  della disuguaglianza nel mondo del lavoro: le donne guadagnano di meno, e spesso devono ridurre la propria attività lavorativa per prendersi cura dei familiari, e dunque non versano contributi che garantiscano loro una esistenza dignitosa.

Le proposte per la riforma delle pensioni per ora non sembrano prendere in considerazione il divario pensionistico di genere, per esempio Quota 100 pare proprio andare nella direzione opposta, in quanto per le donne, per via della carriera lavorativa mediamente discontinua, è difficile soddisfare i requisiti dei 62 anni e di 38 anni di contributi. Quota 100 quindi  “Incentiva il pensionamento anticipato e per farlo incanala una gran quantità di risorse verso lavoratori sessantenni, prevalentemente uomini, con carriere lavorative continue e aderenti al (generoso) sistema retributivo”.

3976.- La solidarietà dello Stato e per lo Stato nella Costituzione

Articolo 38 Costituzione

Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.

L’assistenza privata è libera.

I principi costituzionali costituiscono un unicum

“… lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” [2110 c.c.] perché garantire la Sicurezza Sociale contribuisce al soddisfacimento dei principi di eguaglianza sostanziale e di partecipazione effettiva alla vita pubblica della Nazione, in una parola, alla democrazia. Il principio di Solidarietà dell’art. 38 completa il principio lavoristico dell’art. 1. Non istituisce una forma di previdenza pubblica, non può essere sostituito dal Reddito di Cittadinanza, Rdc e dai suoi limiti. Subordinarlo alle disponibilità finanziarie, come accade nel Rdc, significa che si sono adottate politiche insufficienti a soddisfarlo.

Lo Stato si fa carico in prima persona dell’assistenza sociale, ossia quelle misure che servono a garantire un adeguato tenore di vita anche a chi è titolare di un reddito inferiore ad una certa soglia e non può procurarsi altre entrate (ad esempio perchè invalido di guerra o inabile al lavoro per malattia). Queste misure si sostanziano, tra gli altri, in corresponsione di pensioni di invalidità e guerra o in agevolazioni per la fruizione di servizi. Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea si occupa di “sicurezza sociale e assistenza sociale” all’art. 34:

Articolo 34  – Sicurezza sociale e assistenza sociale.

Ogni persona che risieda o si sposti legalmente all’interno dell’Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali.

L’assistenza sociale

Vuole che l’autorità statale salvaguardi la dignità umana nelle situazioni di bisogno, garantendo a tutti i cittadini i mezzi minimi per vivere, tutelando la salute e rimuovendo tutti quegli ostacoli economici e sociali che impediscono lo sviluppo della persona. Lavoro, I principi della Costituzione costituiscono un unicum inscindibile.

La previdenza sociale

Lo scopo della previdenza sociale è quello di consentire al soggetto una vita dignitosa. Dal 1969 è stata istituita la pensione sociale (oggi, assegno sociale) a totale carico dello Stato: essa è destinata alle persone con più di 65 anni di età e con redditi inferiori ai limiti stabiliti dalla legge. Nel tempo, peraltro, si sono susseguite numerose disposizioni di legge volte a limitare (per es. l’aumento dell’età pensionabile) o condizionare il diritto a queste forme di tutela e tali interventi sono stati ritenuti legittimi per la necessità di contemperare questo diritto con le risorse finanziarie disponibili. Non è superfluo ricordare che le risorse provengono dal lavoro e che la Repubblica, anche perciò, è fondata sul Lavoro. Le risorse finanziarie disponibili impongono di ridurre i costi dello Stato sociale per poter continuare a erogare le prestazioni a cittadini che hanno fatto la loro parte o che sono inabili. Con il Reddito di cittadinanza elargito, di fatto a pioggia, senza disporre del tempo per effettuare i controlli, si va nel senso contrario.

Cittadini e non

Come si conciliano i numeri folli e, sopratutto, la infelice qualità dell’immigrazione di massa con lo sviluppo della persona con gli obiettivi della sicurezza, dell’assistenza sociale, della salvaguardia della dignità umana? Ma anche: Dove sono le risorse per garantire a tutti i clandestini i mezzi minimi e la tutela della salute? Spaccio, prostituzione e delinquenza non pagano tasse.

La legge 28 marzo 2019, n. 26. Reddito e pensione di cittadinanza.

Il Reddito di cittadinanza è una misura introdotta dal decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, per contrastare la povertà, la diseguaglianza e l’esclusione sociale, a garanzia del diritto al lavoro, della libera scelta del lavoro e del diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura. Comprende:

  • Il Reddito di cittadinanza, Rdc,(o pensione di cittadinanza se ultra 67enni) per i soggetti e i nuclei familiari in condizioni di particolare disagio economico e sociale, vale a dire di misure mirate a una ridefinizione del modello di benessere collettivo, attraverso meccanismi in grado di garantire un livello minimo di sussistenza, grazie al beneficio, che sarà compreso tra i 480 e i 9.360 euro annui, per il periodo di 18 mesi, rinnovabile, previa sospensione di 1 mese, composto da una integrazione al reddito di 6.000 € e da un sostegno economico per contribuire alle spese di affitto, fino ad un massimo di 3.360 € annui, o di mutuo, fino ad un massimo di 1.800 €. Aggiungasi la promozione delle condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro e alla formazione;
  • Una ridefinizione dei requisiti minimi per l’accesso al pensionamento anticipato e di misure per incentivare l’assunzione di lavoratori giovani.

Seguono alcuni casi particolari. Entrambi gli strumenti costituiscono misure di politica economica volte, oltre che a tutelare le fasce deboli della società, con il contrasto alla povertà, a rilanciare l’occupazione con misure di inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro. Ma quale occupazione? Per esempio, i beneficiari del Reddito di cittadinanza hanno anche l’obbligo di svolgere lavori di pubblica utilità per conto del proprio Comune. 

Il reinserimento lavorativo, in particolare

Si introduce un meccanismo volto a garantire l’inserimento o il reinserimento del beneficiario del Rdc nel mondo del lavoro, attraverso un percorso personalizzato che potrà riguardare attività al servizio della comunità, riqualificazione professionale, completamento degli studi, nonché altri impegni individuati dai servizi competenti finalizzati all’inclusione sociale e all’inserimento nel mercato del lavoro. In particolare, il beneficiario dovrà sottoscrivere il Patto per il Lavoro o per l’Inclusione sociale, partecipare alle specifiche iniziative formative previste e non potrà rifiutare le offerte di lavoro proposte dai Centri per l’impiego in base a specifici requisiti di distanza e di durata del periodo di disoccupazione.

Gli incentivi alle imprese 

Fra tante parole, un fatto positivo. Sono introdotti incentivi per le imprese che assumono il beneficiario di RdC a tempo pieno e indeterminato, sotto forma di esoneri contributivi, nonché per i beneficiari che avviano un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o una società cooperativa entro i primi 12 mesi di fruizione.

L’assistenza privata è libera

 Tra le forme previdenziali private che sono state introdotte vi sono associazioni di volontariato, cooperative ed istituti di patronato ed assistenza. Negli ultimi anni, a causa della scarsità delle risorse dello Stato, l’importanza dell’assistenza privata è aumentata. La scarsità delle risorse dello Stato non dipende da una casualità, bensì è la diretta conseguenza dell’avere inserito in Costituzione la regola del Pareggio di Bilancio e del cosiddetto divorzio fra il Tesoro era Banca d’Italia, che ha, sì, contribuito al contrasto della svalutazione; ma non è stato accompagnato da politiche economiche adeguate a mantenere gli investimenti sul lavoro.

La Costituzione come la vede il Partito Democratico:

Da Coffee Break:

Diego Fusaro (filosofo): “Il problema del reddito di cittadinanza è nella possibilità che vengano proposti dei lavori del tutto alieni alla propria formazione”.

Moni Ovadia: “Il reddito di cittadinanza rischia di creare una massa di consumatori inerti”.

Detto da un costituzionalista …!

Il prof. Alfonso Celotto (costituzionalista) il 5 ottobre 2018: “L’assistenzialismo di base può essere uno dei fini dello Stato!” Sembrava, a Noi, che la Repubblica fosse fondata sul Lavoro.

“Il reddito di cittadinanza viene incontro alla crisi del mondo del lavoro .

“Il mercato del lavoro sta cambiando, perderemo milioni di posti di lavoro nei prossimi anni. Cosa faranno i cittadini? Il reddito di cittadinanza affronta queste difficoltà”

3753.- La retromarcia delle pensioni e della solidarietà.

A quanti credono che chiunque e tutti possano governare , a quelli che santificano i messia del momento, il diritto degli incompetenti a cimentarsi nel governo della Nazione e sono i primi a lamentarsi di doverne pagare il prezzo, proponiamo questa rivisitazione della solidarietà nazionale verso i lavoratori; solidarietà che vediamo svilupparsi in crescendo, obbedendo ai principi del cristianesimo e, infine, ai giorni nostri regredire in nome di un deviato principio del profitto e di una malintesa regola della competitività sui mercati, che, con il Trattato di Lisbona, ha sacramentato il primato di questa ultima sulla dignità della persona umana, quindi, sulla Costituzione: un falso e realizza una eversione dei principi, incatenati uno all’altro, sui quali i padri costituenti disegnarono l’architettura della Repubblica; un falso che accompagna l’altrettanto falsa storiografia che sostiene che gli italiani che ci precedettero nel noto ventennio non abbiano lavorato anche per il progresso sociale del nostro popolo.

Può sembrare un paradosso, ma è una verità, che lo Stato sociale sia stato costruito dalle monarchie, anche non costituzionali, sia cresciuto durante la dittatura e, oggi, venga demolito da partiti che si dicono di sinistra. “Si dicono”, perché il mercato del lavoro, come lo chiamano, valgono per loro due pesi e due misure. Ad esempio, “il Partito democratico appoggiò in maniera compatta la manovra salva Italia, da cui poi è scaturita l’intera riforma del welfare e la normativa Fornero non ricorre a un secolo fa, ma alla fine del 2011, con un Parlamento diverso ma non troppo, e molti protagonisti di oggi che ieri sedevano sui medesimi scranni”. Invece, l’ex segretario dem Bersani si è opposto al taglio del suo vitalizio. Il mantra è che pagheranno il debito i nostri figli e nipoti. Quindi, sprecare si può senza ritegno, ma non si ottengono benefici senza che qualcuno paghi: i nostri figli e nipoti”.

Il Fascismo e le pensioni agli italiani. La verità è più forte delle bufale di Grasso

Su una prima pagina del Corriere della sera di novembre Aldo Grasso confuta la “bufala” (secondo lui) delle pensioni introdotte dal fascismo in Italia, spiegando ai lettori che tra le “cose positive” che il regime mussoliniano ha introdotto non c’è l’Inps, come alcuni ripetono senza documentarsi a dovere. E scrive che l’Inps nacque invece nel 1898, mentre la pensione sociale arriva solo nel 1969, quando il fascismo era caduto da un pezzo. Una ricostruzione non corretta, fa notare il giornalista e scrittore Gianni Scipione Rossi: “Aldo Grasso – scrive Rossi in una nota su Fb – dimentica la sostanziale differenza tra l’assicurazione pensionistica volontaria per operai e impiegati, nata in Italia nel 1898, e quella obbligatoria, nata nel 1919, dunque prima del governo Mussolini”. 

In ogni caso è ingeneroso saltare come fa Grasso dal 1898 al 1969 come se in mezzo nulla fosse avvenuto e come se nessun provvedimento fosse stato adottato in quell’epoca per i lavoratori. Può essere utile allora riportare qui le informazioni contenute nello studio di Stefano Vinci, Il fascismo e la previdenza sociale (Annali della facoltà di Giurisprudenza di Taranto, Cacucci editore, 2011). Vinci cita la legge n. 350 del 17 luglio 1898, che promosse la nascita della Cassa nazionale di previdenza per la vecchiaia e l’invalidità degli operai, alla quale i cittadini italiani che svolgevano lavori manuali o prestavano servizio ad opera o a giornata potevano iscriversi liberamente e volontariamente. Dà quindi conto del dibattito che si sviluppa agli inizi del ‘900 per “organizzare l’assicurazione obbligatoria contro le malattie e coordinarla con i servizi di assistenza medica e ospedaliera, di tutela della maternità e con l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e con le esistenti istituzioni di beneficenza e di mutuo soccorso”. Un dibattito dal quale scaturisce la legge 603/1919 che stabilì l’obbligatorietà dell’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia per tutti i lavoratori dipendenti da privati  ed unificò la Cassa nazionale infortuni e la Cassa nazionale per le assicurazioni sociali nella CNAS (Cassa nazionale per le assicurazioni sociali).

Si giunge quindi all’avvento del fascismo che da subito intende imprimere “una spinta di accelerazione al processo di unificazione degli istituti gestori delle assicurazioni sociali”. Lo stesso Mussolini in un discorso a Torino del 23 ottobre 1932 spiegò che il fascismo nel suo intento di nobilitare il lavoro si era sganciato “dal concetto troppo limitato di filantropia per arrivare al concetto più vasto e più profondo di assistenza. Dobbiamo fare ancora un passo innanzi: dall’assistenza dobbiamo arrivare all’attuazione piena della solidarietà nazionale”.

“Dopo i primi provvedimenti del 1923 – scrive Vinci – con i quali fu stabilito il riordino del Fondo per la disoccupazione involontaria affidato alla CNAS, senza però finanziamenti da parte dello Stato, si assistette nel 1926 ad una forte espansione della «mano pubblica» con l’avvio del monopolio assicurativo attuato attraverso il riordino della Cassa nazionale infortuni (CNI); nel 1927 alla istituzione dell’assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi estesa nel 1929 alle malattie per gente di mare; nel 1929 alla previsione dell’assicurazione contro gli infortuni anche per le malattie professionali”.

La Cni venne sostituita nel 1933 dall’Infail  (Istituto nazionale fascista contro gli infortuni sul lavoro) e nello stesso anno viene costituito l’Infps (Istituto nazionale fascista della previdenza sociale). Segue nel 1935 la promulgazione di un testo unico sul Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale  che disciplinò il frammentato sistema previdenziale per l’invalidità e la vecchiaia, la disoccupazione, la tubercolosi e la maternità.  Alcune modifiche al sistema, si legge ancora nello studio,”furono apportate nel 1939, quando fu accolto il principio della reversibilità della pensione ai superstiti, rinviando al ’45 l’erogazione effettiva della prestazione, e fu abbassata l’età del pensionamento a 60 anni per gli uomini e a 55 per le donne, con aggiustamenti nella misura delle prestazioni, adeguate fino al 1943″. In quell’anno si tentò anche di realizzare l’unificazione delle assicurazioni per malattia con l’istituzione dell’Ente Mutualità “che, nei propositi della legge 138/1943 avrebbe dovuto condurre alla completa unificazione degli istituti di assistenza malattia, ma che di fatto non riuscì a realizzare tale intento”.

Un rilievo è d’obbligo: tutti capiscono la differenza tra una Cassa di previdenza cui si aderisce volontariamente e un sistema previdenziale pubblico che comincia di fatto nel 1933 con l’Infps poi divenuto Inps. Ciò non certo per fare apologia delle misure sociali introdotte dal fascismo ma per sottolineare che una bufala è anche raccontare la storia a metà, o manipolarla, o non valutarla con la serena obiettività che dopo 70 anni dovrebbe essere d’obbligo.

Ma andiamo, più indietro, al Regno di Napoli, ingiustamente conquistato e spogliato dal Piemonte.

LA PREVIDENZA SOCIALE NEL REGNO DI NAPOLI

Posted by altaterradilavoro on Ago 27, 2018

LA PREVIDENZA SOCIALE NEL REGNO DI NAPOLI

Nel 1751, nel Regno di Napoli, fu avviata la costruzione del
“REAL ALBERGO DEI POVERI “,
per l’accoglienza e la rieducazione al lavoro di circa ottomila mendicanti.

Nel 1789 ci fu l’esperimento sociale di FERDINANDOPOLI San Leucio, dove vennero classificati diritti e doveri degli abitanti-lavoratori della colonia. Un altro splendido esempio di modernità in tema di assistenza fu

“IL PRIMO SISTEMA PENSIONISTICO D’EUROPA”, 

che prese forma nel 1813 nella Napoli di Gioacchino Murat, con cui fu istituita 

LA RITENUTA DEL 2% sugli stipendi DEGLI IMPIEGATI STATALI, da capitalizzare sotto forma di RETRIBUZIONE PREVIDENZIALE.

Il lavoratore, occupato per otto ore al giorno, avrebbe avuto diritto a:

a) UN TERZO DELLO STIPENDIO DOPO VENT’ANNI DI
. SERVIZIO;

b) ALLA META’ DOPO VENTICINQUE ANNI

c) AI CINQUE SESTI DOPO TRENTACINQUE ANNI

d) ALL’INTERO STIPENDIO DOPO QUARANT’ANNI.

Nel 1818 la restaurazione borbonica ne dispose di nuove:

“PER IL MODO DI RIPARTIRE LE PENSIONI VEDOVILI TRA LE VEDOVE IN SECONDE NOZZE ED I FIGLI DEL DI LEI DEFUNTO MARITO”

Nel 1821 fu garantita LA PREVIDENZA AI LAVORATORI DELLO SPETTACOLO
con un regolamento approvato dal REAL RESCRITTO nell’ambito dell’istituzione di
una
“CASSA DELLE PENSIONI E SOVVENZIONI DEI PROFESSORI GIUBILATI ADDETTI AI REALI TEATRI.

Oltre all’ASSISTENZA MEDICA GRATUITA il fondo erogava un TRATTAMENTO DI GIUBILAZIONE, una 

PENSIONE ANCHE VULTURABILE PER EREDITA’ ALLE VEDOVE DEI DIPENDENTI E SUSSIDI PERIODICI ALLE FAMIGLIE DEGLI IMPIEGATI DECEDUTI PRIMA DI AVER MATURATO L’ANZIANITA’ MINIMA RICHIESTA. 

SUSSIDI agli artisti divenuti INABILI prima del completamento di dieci anni di servizio. 

LE ENTRATE DERIVAVANO DA:

SOVVENZIONI DELLO STATO, DAI VERSAMENTI CONTRIBUTIVI DEL PERSONALE, 

DAI PROVENTI DELLE SANZIONI A ESSI COMMINATE 

E DALLA PERCENTUALE DELL’INCASSO DI ALCUNE SERATE A SCOPO BENEFICO AL REAL TEATRO DI SAN CARLO.

. I N V A L I D I 

. Art. 1 del REGOLAMENTO PE R LA REAL COMMISSIONE DI BENEFICENZA costituita il 4 gennaio 1831:
si istituì nelle Due Sicilie di Ferdinando II :
.
“UN ASSEGNO DI DISOCCUPAZIONE”:

“ per coloro i quali non possono assolutamente con il proprio travaglio sostenere se medesimi e la loro famiglia”.

Art. 4: SUSSIDI “TEMPORANEI O PERPETUI”:

“Per coloro che per impedimenti fisici non potevano più sostenersi con il loro travaglio”.

in realtà erano “ASSEGNI D’INVALIDITA’” istituti in Italia nel 1984.

. C R I TE R I 

. “ in primo luogo giovanotti orfani o abbandonati, poi le vedove con i figli in tenera età e vecchi, storpi, ciechi, cronici ed altri simili “.

L’assegnazione poteva essere definitiva o a termine. Nel secondo caso, la COMMISSIONE stabiliva l’eventuale prolungamento 

“ SENZA CHE L’OZIOSITA’ VENGA FOMENTATA “, 

in modo da evitare frodi, e attingeva a un fondo speciale PER I SOCCORSI URGENTI “, ai quali si accedeva tramite la raccolte di SUPPLICHE da presentare, in forma del tutta anonima, nelle parrocchie.

Le politiche assistenziali di Ferdinando II furono regolate e applicate nonostante uno spaventoso deficit derivante dalle vicissitudini dei moti costituzionalisti del 1820 – 1821.

Proprio il gennaio del 1831 segnò l’avvio di una precisa politica economica atta a risanare le casse dello Stato. 

LO STATO ASSISTENZIALE IN EUROPA SI FECE STRADA CON IL CONTRIBUTO FONDAMENTALE DELLA LEGISLAZIONE NAPOLETANA.
IL REGNO D’ITALIA CI MISE QUARANT’ANNI PER DOTARSI DI UN SISTEMA PREVIDENZIALE E SOLO NEL 1898 FU ISTITUITA LA “CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA PER L’INVALIDITA’ E LA VECCHIAIA DEGLI OPERAI”.

3363.- Pasquale Tridico, Di Maio e Conte sapevano dell’aumento di stipendio Inps. Repubblica: “C’è la loro firma sulle carte”

Il patto PD e 5stelle per non morire.
Di Maio sapeva. E Salvini?

VOGLIAMO CHIAREZZA!

Tridico e lo stipendio? “Se l’è aumentato. Però…” era nella legge n. 26/2019 istitutiva di reddito di cittadinanza e Quota 100. Conte avvallò il patto sottoscritto dai due vice presidenti del consiglio dei ministri.

Chiede trasparenza, Luigi Di Maio, e ufficialmente prende le distanze dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico e l’aumento di stipendio deciso la scorsa estate, nel pieno del disastro di bonus, reddito di cittadinanza e casse integrazione non pagate dall’Istituto previdenziale. Ma secondo Repubblica, Di Maio sarebbe stato a conoscenza della decisione, eccome. Di più, l’avrebbe avallata lui, quando era vicepremier, ministro del Lavoro e leader del Movimento 5 Stelle.

“Si raddoppia lo stipendio, una presa in giro”. Salvini, Tridico e lo schiaffo agli italiani

Politicamente, è cosa nota, Di Maio è stato il più grande sponsor di Tridico: lo aveva indicato come possibile ministro del Lavoro in un governo tutto grillino, prima delle elezioni del 2018, e una volta nata l’alleanza con la Lega l’ha imposto alla guida dell’Inps. Stando a quanto riportato da Repubblica, che sabato ha sganciato la bomba su Tridico, “gli stipendi di oggi dei vertici di Inps, ma anche di Inail, sono frutto di un patto Lega- M5S siglato con l’altro vicepremier Matteo Salvini e avallato dal premier Conte”. L’aumento di stipendio infatti sarebbe stato fissato dalla “legge istitutiva di Reddito di cittadinanza e Quota 100, la 26 del 2019”, che “prevede che le retribuzioni siano fissate con decreto del ministro del Lavoro”. In una nota “dell’allora capogabinetto di Di Maio, Vito Cozzoli – ora presidente di Sport e Salute, spa del ministero dell’Economia – datata 12 giugno 2019”, si parla già di cifre: 150mila euro al presidente, 100mila euro al vicepresidente e 23mila euro ai tre consiglieri dei due consigli di amministrazione ancora da nominare”. “La nota era indirizzata alla Direzione generale per le politiche previdenziali dello stesso ministero del Lavoro e per conoscenza al premier, al ministro del Tesoro Giovanni Tria e al Ragioniere dello Stato Biagio Mazzotta -sottolinea Repubblica – e si chiedeva una ‘valutazione definitiva di congruenza degli importi’ ai fini ‘della predisposizione del decreto del ministero del Lavoro’ che doveva ratificare le cifre”. Quella disposizione non poteva ovviamente prevedere che l’aumento sarebbe arrivato nel pieno del marasma coronavirus, con l’Italia in ginocchio, ed è proprio questo il motivo della critica di Salvini e dell’opposizione. L’imbarazzo di Conte e Di Maio, che cadono dalle nuvole, non ha invece alcuna giustificazione.

2433.- Affidamenti illeciti di minori, la manipolazione è devastante. Nessuno è pronto all’inferno

Maurizio Montanari ci porta il suo sdegno. Dinanzi alle fogne aperte nella magistratura e in difesa dello spirito democratico della mia generazione, mi pongo un quesito su un argomento controverso e dibattuto: È proprio vero che la pena di morte per gravi reati sia estranea al diritto penale? In quale recupero di questi serpenti possiamo sperare? Dinanzi alle fogne aperte nella magistratura, nel suo apice e fino a quella onoraria e in difesa dello spirito democratico della mia generazione, mi pongo un quesito su un argomento controverso e dibattuto: È proprio vero che la pena di morte per gravi reati contro la personalità dello Stato, contro la dignità della persona umana, come il cannibalismo, sia in contraddizione con il diritto penale? In quale recupero di questi serpenti alla società possiamo sperare con le pene umanitarie? La protezione dei diritti fondamentali dell’uomo può essere disparitaria quando si tratta di quella del minore? Occorrerebbe un’altra legge di revisione costituzionale sull’articolo 27.

dal blog di Maurizio Montanari

Se i fatti accaduti a Bibbiano dovessero essere anche solo in parte confermati, ci troveremmo di fronte al tentativo di realizzazione di una delle più subdole pratiche di manipolazione dell’essere umano: la distruzione artificiale del fresco passato di un bambinooperata attraverso l’innesto di ricordi artificiali finalizzati alla cancellazione sistematica delle figure genitoriali. Il tutto per preparare un terreno nel quale fare attecchire nuove figure di riferimento. Bisogna aspettare gli sviluppi. Tuttavia la rabbia e l’incredulità diffusa sono legate alla consapevolezza che agire sulle menti di bambini, la cui personalità è in abbozzo di formazione, significa avere un’elevatissima garanzia di riuscita dell’opera di azzeramento del tempo trascorso, pratica la cui validità sull’adulto è testimoniata da una solida letteratura.

Affidamenti illeciti di minori, 16 arresti a Reggio Emilia: “Lavaggio del cervello e impulsi elettrici ai bimbi”

Se provate, queste manipolazioni entrerebbero direttamente in una dimensione che esula dalle quasi incredibili testimonianze di malapratica riportate dai quotidiani (la pervicacia terrorizzante con la quale alcune frasi sarebbero state “imposte” ai bambini per demolire padre e madre, le presunte modifiche ai disegni, sono cose che provocano sgomento e smarrimento anche nel più cinico dei poliziotti o nel più indurito degli analisti) per avvicinarsi ai deliranti progetti di controllo generazionale partoriti nella storia dal ventre delle più cupe dittature. Mentre il regime argentino di Jorge Videla operava sul campo pratico, uccidendo i genitori ritenuti “sovversivi” per rendere i figli adottabili da parte degli aguzzini, la pratica di invalidamento di figure parentali ancora viventi che gli inquirenti ipotizzano avrebbe operato malignamente su un doppio livello: dapprima si lacerano i ricordi di un minore, il che dovrebbe poi generare un moto “spontaneo” di repulsione nel suddetto, obbligato a ripudiare un genitore che è stato costretto ad odiare.

I resoconti letti sui quotidiani portano alla mente l’azione dell’Anka di Pol Pot, in Cambogia. Nei campi di prigionia khmer, mirabilmente descritti nel film Urla del silenzio, il passato veniva eradicato eliminando fisicamente gli adulti, crescendo i bambini in una surreale condizione di “anno zero”, nella quale “nulla è successo prima d’ora”. Padri e madri erano sostituiti dall’onnipotente Anka, il Partito Cosa al quale questi nuovi figli erano di fatto assoggettati.

Se i fatti venissero provati, il rischio per le piccole vittime sarebbe quello di rendere reale e sedimentato quel passato che è stato loro sovrascritto, creando nei loro cuori e nelle loro menti un conflitto permanente. Tutto quel sistema simbolico e culturale di identificazioni progressive che il bambino, superate le figure genitoriali, deve acquisire e possedere per instradarsi verso la vita adulta, fatto di fiducia negli insegnanti, nei medici, nell’altro, sarebbe stato in questo caso minato gravemente. Chiunque siano i genitori suppletivi, laddove piantati artificialmente su un terreno bruciato col terrore e la paura, non potranno mai garantire un solido aggancio di questi bambini al mondo adulto.

Nei casi di manipolazione di ricordi operata su minori, solo affidandoli a mani espertissime è forse possibile aprire un varco nel quale cercare, quantomeno, di ripristinare un passato accettabile dopo che questo è stato violato. Solo un’opera fine e precisa può mettere le mani laddove le fondamenta sono state semidistrutteper ridisegnare e circoscrivere il posto di questi padri e madri, da lì espulsi col marchio dell’infamia.

La clinica insegna che i genitori privati dei figli in base ad accuse false, messi artatamente alla gogna con accusa di essere maneschio sessualmente violenti, vanno incontro a una devastazioneprogressiva dell’animo e un isolamento che, quand’anche la verità torni nel tempo a galla, lascia segni indelebili, anche sul corpo, come testimonia l’inchiesta “Veleno” (“Due vicende con tantissime analogie, finalmente i nodi stanno venendo al pettine”. Lorena Morselli, una delle madri, negli anni 90 si vide togliere quattro figli per un’inchiesta su presunti casi di violenza sessuale su minori e satanismo, la cosiddetta vicenda dei “pedofili della Bassa”).

Ci sono davvero tanti indagati in questa storia. Abito queste terre, e ho sobbalzato come tutti a leggere tali notizie. Pare impossibile che un mondo parallelo, fondato sul plagio, la soperchieria, la prevaricazione, si sia evoluto sino a soppiantare, in zone circoscritte, lo stato di diritto in una delle aree più pedagogicamente avanzate dell’Italia. Nessuno è pronto all’inferno.

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Maurizio Montanari
Psicoanalista

2418.- CI STIAMO ESTINGUENDO – E NON INTERESSA A NESSUNO. ANZI.

Maurizio Blondet  22 Giugno 2019  72 commenti

Meno di mezza giornata è durata l’attenzione alle informazioni dell’Istat sul collasso demografico accelerato in Italia. “il peggior calo delle  nascite degli ultimi 100  anni,  pari a quello del 1917-18. Quasi 140 mila in meno rispetto al 2008“.  il 45% delle donne tra i 18 e i 49 anni  non ha  avuto figli.  Piùdella metà de 20-34enni (5,5 milioni), celibi e nubili, vive con almeno un genitore.  L’emigrazione degli italiani giovani e istruiti che “ha prodotto una perdita netta di circa 420 mila residenti. E circa la metà (208 mila) è costituita da 20-34enni, due su tre  con un’istruzione medio-alta.

“La crescita della popolazione italiana degli ultimi vent’anni è avvenuta unicamente grazie all’aumento della componente di origine straniera”, si rallegrano i media, “ una componente che al primo gennaio 2019 conta 5 milioni e 234 mila residenti pari all’ 8,7% della popolazione. Una numerosità di tutto rilievo superiore al numero degli abitanti di 9 dei 27 paesi dell’ Ue”.

(Qui sotto la propaganda CGIL per  la Giornata Mondiale del Rifugiato. Piena di disprezzo per la  vecchia signora “razzista e ignorante”?

Dice: SIAMO INVASI!!1! Noi: Ma se emigrano più persone di quelle che accogliamo…#20giugno – Giornata Mondiale del Rifugiato#ignoranzaèrazzista#WorldRefugeeDay#RefugeeWeek2019#Refugees #WithRefugees#CiSiamo28209:01 – 20 giu 2019

Nelle  stesse ore, si apprendeva che in Spagna le nascite sono  calate del  40 per cento in dieci anni.   Che il Giappone  ha più giapponesi oltre gli 80 che  bambini sotto i 10.  Che gli Stati Uniti hanno il più basso tasso di fecondità mai registrato nella loro  storia.  Che “le nazioni sviluppate (Stati Uniti, Giappone, Europa occidentale) soffrono di allarmanti cali dei tassi di fertilità, mentre i paesi in via di sviluppo stanno vivendo una rapida crescita della popolazione. I 47 paesi meno sviluppati al mondo (principalmente in Africa) sono quelli con la crescita più rapida, e solo nove paesi dovrebbero costituire la metà della crescita della popolazione mondiale nei prossimi trent’anni”.

Naturalmente, gli economisti si allarmano per l’insostenibilità dei  sistemi previdenziali (a  ripartizione, occorre che ci siano 3 lavoratori per ogni pensionato) e  le recessioni  inevitabili; o addirittura il collasso economico. I  global-illuministi  si allietano alla Grande  Sostituzione razziale in corso, in cui vedono una vittoria contro “i populisti”.

Tutti sembrano accettare quel che di spaventoso questa demografia  irreversibilmente implica: la sparizione  della nostra cultura, storia, civiltà in quanto  tale. Stiamo per diventare una delle Atlantidi estinte di cui a malapena restano ruderi indecifrabili. O come quella Tartesso di cui si tramanda che era abitata da un popolo di vecchi, e  che Strabone ricorda vagamente come “i più civilizzati degli iberici: possiedono libri antichi ed anche poemi e leggi in versi che essi considerano antichi di settemila anni”. E per Tito Livio erano “omnium hispaniorum maxime imbelles”: cosa che ben si può dire di noi oggi,  imbelli  mentre “accogliamo” inermi  migliaia di  negri maschi in età militare,  e  ci vien detto che ci pagheranno le pensioni.

Entro pochi anni, tutta la nostra comune storia e culture, lettere e  musica, religioni e lingue, esplorazioni e scoperte di nuovi mondo e popoli, sofferenze e conquiste (politiche e intellettuali)  e scienze che i nostri antenati hanno perpetuato – salvandole e riuscendo a recuperarle anche nelle crisi e tragiche cesure  di re-imbarbarimento  –  per trasmetterle fino a noi come l’eredità  vivente, non avranno più un’umanità che le coltivi  – per il semplice fatto che non abbiamo più figli; ed è dubbio che i  nuovi arrivati dall’Africa e dall’Islam abbiano alcun interesse a Dante o a Shakespeare, al principio di indeterminazione e a san Luigi di Francia.

Ma la cosa più agghiacciante è che questa estinzione demografica, questa infertilità e  accettata rinuncia   ai  figli e  discendenza, avviene nei decenni  che, secondo i criteri della nostra stessa civiltà – sono quelli del massimo benessere, abbondanza, libertà e  pace.  Nelle privazioni più severe, penuria di tutto, carestie, guerre e saccheggi, i nostri antenati han continuato a generare con lieto impeto  vitale.   La morte per  violenza e fame fu onnipresente nella cristianità  medievale, eppure essa fu feconda.  I giapponesi non avevano speso nemmeno la legna per cuocere il riso, fu forse il solo popolo che contemplava come cibo  le lucertole  e il pesce crudo per mancanza di combustibile e proteine, eppure, fra torbidi e  guerre feudali incessanti, crearono una cultura  e identità inarrivabile per grazia ed  essenzialità. Adesso che, congiunti all’Occidente, mai più  insidiati dalla fame, pieni degli strumenti e conforti tecnici più  moderni e  post-moderni, ecco che si estinguono.


Immagine di RADIO MARIA CHE L’ESPRESSO HA CONDANNATO COME “OFFENSIVA CONTRO LE DONNE”

Come noi: liberi finalmente dalle costrizioni imposti dalla morale e dalle limitazioni della povertà, liberissimi di fare “quel che vogliamo” senza  i divieti e i “tabù” che ci rendevano la vita agra, in pieno e felice dominio di noi stessi (“né Dio né padroni”), avendo a disposizione mezzi, comodi  e  piaceri  e sicurezze  che ancora i nostri  fecondissimi nonni nemmeno potevano immaginare – che dico,  che nessun re o signore del Rinascimento poteva godere, dai frigo allo smartphone alla droga e porno facili, per non parlare delle ghiottonerie per cui cediamo alla gola senza limiti di denaro, perché tutti i cibi del mondo sono a nostra portata e a prezzi più che abbordabili  – ecco che non facciamo più figli. Preoccupazioni economiche  c’entrano poco: l’ultima grande spinta demografica  – il baby boom – risale agli sgoccioli della seconda guerra mondiale:i soldati che tornavano senza  lavoro, fra le  macerie,  innamorati figliavano.  Molto c’entrano gli “stili di vita” – esattamente quelli che noi siamo giunti a considerare  essenziali  alla nostra felicità individuale: l’egoismo edonistico, i rapporti sessuali “liberi”,  il nomadismo, la sensualità soddisfatta, la vita come desiderio, il diritto al piacere.

E’ il capitalismo  finanziario nella sua piena  attuazione, che si è liberato del moralismo borghese –  rivelatosi finalmente per quello che è:  un costo e un ostacolo al consumo. Quella pruderie  vittoriana, tratteneva il capitalismo finanziario dal  realizzare tutte le sue promesse. Oggi finalmente, scossi i doveri, le sobrietà,  le patrie,   le fedeltà maritali ed  uxorie, i pregiudizi religiosi,  possiamo finalmente godere  tutto i consumi che il credito illimitato ci mette a disposizione, pagando un modesto interesse. E’ ormai appurato che  in ogni città, una comunità gay “fa bene al business”, molto più di un’acciaieria o una cartiera.

Come accade che, essendo noi così felici e ricchi, in mezzo all’abbondanza che il denaro  a debito bancario ci consente, non facciamo più figli?  – come le belve nelle gabbie dello zoo, che sono colte dalla infertilità così spaventosa, che se all’orsa nasce un orsetto,  mettono la notizia sui giornali?  Ma noi non siamo in gabbia. Non siamo mai stati così liberi di perseguire i nostri fini, scopi e piaceri personali,  mai abbiamo goduto di tanto numerosi diritti  soggettivi, mai più protetti dai “diritti dell’uomo”  contro le autorità statali che volessero imporci degli obblighi collettivi, per cui qualunque voglia diventa un nostro diritto. Mai la vita è stata così facile e felice.

Non sarà che proprio quando è integralmente realizzato, il Sistema che chiamiamo Occidente liberale, produce l’estinzione dei suoi abitanti  e della civiltà? Ciò pone questo Sistema delle Libertà nel rango delle ideologie illuministe totalitarie, del Terrore di Robespierre allo Stalinismo o al Maoismo: terrori in cui “l’essenza è nemica dell’esistenza”; che quanto più rigorosamente vennero applicati nella loro pura essenza alla società per renderla  perfetta (il regno degli Onesti, la società senza classi),  tanto più resero impossibile l’esistenza degli esseri umani.

E’ significativo vedere come il Sistema delle Libertà private che ci estingue, si scagli con furia ideologica contro quei governanti – come Putin e  Orban  – che hanno approntato politiche sociali per favorire  la natalità, alzare la demografia con l’evidente  ambizione di “far durare nei secoli” futuri i loro popoli,  gravidi  delle eredità ricevute dai loro antenati dei secoli passati, che dovranno trasmettere ai nipoti. Ciò viene bollato come autocrazia, fascismo, il liberalismo.

Il capitalismo terminale, fisso sui lucri a breve termine, non solo è incapace di preveggenza e di proporre prospettive di crescita per i secoli: le contrasta positivamente fino alla guerra.  Smantella e scredita lo Stato perché è lo Stato, non certo “la società civile”   che ha la capacità di porre traguardi superiori al profitto privato, di  mantenere fra il popolo le competenze, l’educazione, le scienze  che servono a reggersi nella  storia presente e  futura, contrastando la decadenza e  lo scadimento allo stato selvaggio.

I selvaggi infatti sono non “primitivi”, ma il residuo di civiltà scadute che hanno rinunciato allo sforzo, al difficile compito di perpetuarsi negli  sforzi  esigenti  che la civiltà  richiede che hanno tralasciato la sua manutenzione, e  si è infossata nel particolarismo  “naturale” dell’uomo che si contenta di essere quello che è.  In Africa si  trova  che ogni trenta chilometri si parla  una lingua diversa, da parte di tribù-nazioni   in guerra perpetua le  uno contro le altre.  Ecco il nostro futuro.

Nell’essenza, il Sistema di Libertà  che ci  estingue per evirazione collettiva, è il caso estremo di una società lasciata alle sue tendenze; anzi incoraggiata a vivere dei suoi “diritti” particolari, a  promuovere i soggettivi piaceri e non occuparsi che del breve termine.  Nella più  presuntuosa e volontaria cecità del fatto che la “società”  si evolve  ogni giorno di più  nel contrario di quel che la parola dice: in sfere di dissociazione, insocialità, de-solidarietà irresponsabile – disordine, spaccio e crimine  impunito.    Perché  “la realtà chiamata società è costitutivamente malata  – ed è per questo che ha bisogno dell’apparato ortopedico:  lo Stato” (dice Ortega y Gasset) , ossia  l’insieme di organi che esercitano il potere pubblico e  impongono un ordine “necessariamente rigido, come sono gli apparati ortopedici”.   In altri tempi la società  ha riconosciuto l’urgenza di darsi un ordine, ed ha suscitato  dal suo seno, tra sconvolgimenti e violenze, gruppi capaci  di imporre  l’ordine con la forza:   massima  “illegalità”   che trae la sua legittimità dal semplice fatto di favorire  la vita di un popolo,  perché nella “legalità” di prima  semplicemente “non si può vivere”. Esattamente come oggi, dove il Sistema porta all’estinzione come  popoli, civiltà e culture  – con il consenso  delle masse   sostituite. I “sovranismi” e “populismi” sono conati  verso la vita, ma   privati dei mezzi per  imporla con la forza.

2269.- Diritti sociali ed economici nella Costituzione

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Lo Studio Cataldi offre questa guida alle libertà positive dei titoli II e III della Costituzione che contengono i principali diritti sociali ed economici per i cittadini

giudice che regge bilancia simbolo di giustizia

di Luca Passarini – Lo stato democratico si fa carico della garanzia di un benessere minimo, assistendo i ceti sociali meno abbienti e realizzando forme di sussidio e promozione dello sviluppo della persona. E’ uno stato cioè che interviene nel controllo dell’economia, garantendo l’erogazione di certi servizi e diritti “sociali” che rappresentano un costo effettivo per il bilancio statale. 

Fatta questa premessa, vediamo quali sono i principali diritti sociali ed economici (c.d. “libertà positive) sanciti dalla Costituzione:

  1. Diritto al lavoro
  2. Libertà di iniziativa economica privata
  3. Diritto alla salute (art. 32)
  4. Tutela della famiglia

Diritto al lavoro

Collegato all’art 4 (principio laborista), l’articolo 35 della Costituzione tutela sia il lavoro, sia la formazione che l’elevazione professionale. Tutela inoltre la migrazione all’estero. Il successivo articolo 36 dispone l’osservanza di una retribuzione proporzionata per il lavoratore, sufficiente per sé e per la famiglia. Mentre è l’articolo 37 che sancisce l’assoluta parità tra uomo e donna nel mondo del lavoro, imponendosi di rimuovere quelle discriminazioni già trattate dall’art 3 della Costituzione. L’articolo 38 Cost. prevede sia il diritto all’assistenza per gli inabili al lavoro, sia il diritto alla previdenza sociale in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria. Mentre il 39 e il 40 sono i capisaldi dell’attuale diritto del lavoro, sancendo la base per le libertà sindacali e per il diritto di sciopero; entrambi attuati solo in parte per l’avversione diretta dei sindacati. L’art. 45 si occupa infine dell’organizzazione cooperativistica e dell’artigianato, due materie ritenute interessanti dal costituente. 

Libertà di iniziativa economica privata

Così come per il lavoro, la Costituzione disciplina mediante alcune disposizioni gli interessi economici, prevedendo all’articolo 41 la libertà di iniziativa economica privata, per cui tale iniziativa si definisce libera e non può svolgersi in contrasto con l’attività sociale. La stessa libertà riserva alla legge il compito di determinarne i programmi e i controlli. All’articolo 42 si trova invece sancita la tutela della proprietà, che può essere sia pubblica che privata. Il comma 3 prevede l’esproprio per motivi di interesse generale, previo indennizzo. Connesso agli articoli precedenti, il quarantatreesimo articolo stabilisce che ai fini di utilità generale la legge possa riservare imprese o categorie di imprese per il preminente interesse generale (inattuato). Limiti alla proprietà terriera sono espressi all’articolo 44 della carta costituzionale, mentre una previsione poco valorizzata in ambito economico è la tutela del risparmio sancita all’art. 47 Cost.

Diritto alla salute (art. 32)

Importanza centrale ha assunto nel nostro ordinamento la tutela della salute, costituzionalizzata all’articolo 32. Infatti la salute rappresenta oggi un diritto fondamentale sia dell’individuo, sia della collettività. La Repubblica tutela questo diritto e garantisce cure gratuite agli indigenti. E’ un diritto inviolabile e immodificabile della persona, inizialmente considerato come un diritto sociale, mediante l’intervento della Corte costituzionale è giunto a essere considerato un diritto assoluto. Questo diritto comprende infatti sia il diritto all’integrità fisica e psichica, sia i trattamenti di prevenzione e cura, imponendo per il legislatore il riconoscimento di idonee condizioni di vita e lavoro.

Tutela della famiglia

All’articolo 29 Cost. la famiglia si considera basata sul matrimonio di coniugi di sesso diverso (mentre oggi è noto (a chi vuole che lo sia. ndr) che è definibile famiglia pure quella sorta dall’unione civile di persone dello stesso sesso); inoltre è innegabile che alla famiglia legittima (fondata cioè sul matrimonio) da sempre la giurisprudenza abbia esteso la nozione di famiglia anche a quella di fatto, basata sulla mera convivenza di due soggetti, pur dovendo sottolineare una serie di trattamenti deteriori rispetto alla favorita famiglia legittima. Al fine di far venire meno queste differenze occorre ricordare la previsione del diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, espressa al successivo art. 30 Cost., anche se nati fuori dal matrimonio. Valendo in questo modo il vincolo di parentela indipendente dal carattere legittimo o naturale del figlio. Inoltre la sfera famigliare viene incentivata dallo stesso legislatore, al quale si riferisce la disposizione dell’art. 31 Cost., che espressamente valorizza il ruolo della famiglia assumendo il compito di agevolare economicamente la formazione della stessa.

2236.- SCANDALO NELLE FORZE ARMATE TEDESCHE, SPECCHIO DEL PAESE E DEI SUOI PROBLEMI

La storia insegna che le frange estremiste non sono né di destra né di sinistra e comodano, invece, e spesso sono pilotate dal potere. Si parla da mesi di un piano eversivo potenzialmente mortale per la democrazia tedesca e per tutta l’Unione Europea. Gli elementi a capo di questa estrema destra tedesca sono rimasti nell’ombra, le prove della macchinazione sono sparite e, allora, mi chiedo: a chi fanno capo e quale il loro vero obbiettivo? Per converso, mi chiedo anche: Possiamo parlare veramente di democrazia in Europa? È vero o no che la BCE, che detta il ritmo dell’economia, quindi, della politica degli stati membri è una banca centrale privata; che la Commissione è obbediente ai poteri finanziari globalisti? In che rapporto con i valori e gli stati sociali dei popoli europei si pone la politica di austerità? La destra estremista, tutti gli estremismi, non hanno spazio nel sentire di noi cittadini, ma la crisi politico-sociale che attraversa l’Unione ben può sfociare in un conflitto civile se non si trovano la forza e gli uomini capaci di imprimere una svolta alla governance finanziaria, di nominare una costituente che rimetta al centro del sistema i cittadini; che garantisca di poter manifestare per i propri diritti senza dover scendere nelle strade ed essere mutilati o, peggio, uccisi. La violenza della repressione contro i Gilet Jaunes dice di no. Vedremo quale sarà la risposta il 26 maggio. Mario Donnini

L’articolo di Andrea Gaspardo, del 25/02/2019, per DifesaOnline  :

“Con il procedere del tempo, la crisi politico-sociale che sta interessando la Germania ha cominciato ad evolversi in qualcosa di molto pericoloso per la sicurezza e la stabilità dell’intera Europa. Uno dei fantasmi che disturbano il sonno dei decisori politici, sia Tedeschi che Europei in generale, è quello del ritorno al potere di quella destra estremista che, storicamente, aveva trovato terreno fertile di crescita proprio in Germania negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso con l’avvento al potere del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP) guidato da Adolf Hitler.

Negli ultimi anni, l’estrema destra tedesca ha fatto nuovamente parlare di sé, e non solamente per i successi elettorali ottenuti sia a livello locale che federale dal partito AfD (Alternative für Deutschland – Alternativa per la Germania), ma anche per una serie di preoccupanti scandali riguardanti l’infiltrazione all’interno dell’istituzione che, più di ogni altra, dovrebbe rappresentare il baluardo della democrazia tedesca: la “Bundeswehr”, le “Forze Armate Federali”.

In verità, la Bundeswehr non è nuova a scandali di questo tipo; già nel corso della Guerra Fredda, l’istituzione militare si trovò sotto pesante scrutinio a causa della scoperta di reti clandestine legate al mondo della sinistra eversiva facente capo alle “Cellule Revoluzionarie” (Revolutionäre Zellen) oppure alla “Frazione dell’Armata Rossa” (Rote Armee Fraktion). Oggi, apparentemente, il pericolo viene da una direzione diversa.

Come anticipato dal magazine tedesco “Focus” nel novembre 2018 (v.link), a conclusione di un’inchiesta durata oltre due anni, la polizia ed i servizi segreti tedeschi sono “apparentemente riusciti” (il condizionale in questo caso è d’obbligo) a sventare un complotto neo-nazista all’interno delle forze armate che aveva il suo “epicentro” addirittura all’interno del “KSK Kommando Spezialkräfte” (il Comando delle Forze Speciali). Secondo l’investigazione della polizia, non meno di 200 membri del KSK (il 18% dell’intera unità!) sarebbero direttamente implicati in un piano eversivo chiamato in codice “Giorno X” che, anticipando un collasso politico-sociale del sistema paese, prevederebbe una sorta di “resa dei conti” interna durante la quale i commandos avrebbero dovuto individuare, sequestrare e giustiziare sulla pubblica piazza una lista di “nemici del popolo”, tra cui: l’ex-presidente Joachim Gauck, il leader del partito “Die Linke”, Dietmar Bartsch, il ministro degli esteri Heiko Maas, la vice-presidente del Bundestag, Claudia Roth (Partito dei Verdi) e molti altri politici, giornalisti ed attivisti dei diritti umani. Tuttavia, nonostante l’arresto e la confessione di alcuni “pesci piccoli”, è probabile che ben difficilmente le autorità potranno procedere contro la “truppa” perché, allertati da una spia presente all’interno del MAD (Militärischer Abschirmdienst), il Servizio di Controspionaggio Militare, sembra che i commandos siano riusciti a far sparire le prove più compromettenti a loro carico. Pare che il “simpatizzante neo-nazista” infiltrato nel MAD sia poi stato preso, ma non é sicuro che, ad oggi, sia intenzionato a collaborare.

La capacità che hanno dimostrato gli elementi dell’estrema destra tedesca di infiltrarsi all’interno dei corpi militari d’élite e dei servizi segreti dello stato tedesco e lo strabismo sinora dimostrato dalla politica e dall’opinione pubblica, non solo in Germania, ma anche nell’intera Europa nella corretta valutazione di un piano eversivo potenzialmente mortale per la democrazia non depongono a favore dello “stato di salute” delle istituzioni e dei mass-media del nostro continente.”

Foto: Bundeswehr