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6200.- L’addio all’Ecowas di tre giunte filorusse in Africa interessa anche l’Italia. Ecco perché

Mentre le mani si tendono a sugellare i patti per il futuro fra Italia e Africa le politiche di Washington e di Londra sembra che alimentino le divisioni e, infatti, come non notare le assenze a Roma del Mali, del Niger, del Burkina Faso, del Sudan e della Mauritania e, addirittura, della semibritannica Nigeria, che, solo ieri, faceva proseliti contro la rivolta filo russa nel Niger e non avrà certo cambiato idea. Sappiamo quanto credito abbia concesso Giorgia Meloni a Rishi Sunak e alla sua associazione e dovremo capire quanto la Gran Bretagna sarà a fianco dell’Italia in questo progetto mondiale. Dovremo capire se gli Stati Uniti useranno l’Italia e l’Europa verso l’Africa e contro Russia e Cina per rinsaldare la loro leadership occidentale, ma c’è ancora un Occidente e, in Occidente, c’é ancora un leader mondiale per tutti ? E, poi, di quali Stati Uniti stiamo parlando? É mai possibile avere per leader uno Stato a rischio di secessione? E, infine, saremmo insieme a un leader o sotto un padrone. Il South Stream 2 risponderebbe per noi. Ma se dovessimo dare una collocazione alla Federazione Russa, fra Europa e Asia diremmo: Europa! L’Italia e l’Europa troveranno sempre la Russia sul loro cammino: un fratello tradito o un competitor?

Da Formiche.net, di Emanuele Rossi | 30/01/2024 – 

L’addio all’Ecowas di tre giunte filorusse in Africa interessa anche l’Italia. Ecco perché

Mali, Niger e Burkina Faso annunciano l’uscita dall’Ecowas accusando l’organizzazione di essere al servizio dell’Occidente. È anche contro le narrazioni di queste giunte golpiste e populiste aiutate dalla Russia che si muovono progetti di cooperazione come quello Italia-Africa. L‘auto esclusione potrebbe peggiorare le condizioni economiche di quei Paesi: “Ciò comprometterebbe uno dei principali pilastri del Piano Mattei, ovvero la riduzione della migrazione”, spiega Willeme (Clingendael Institute)

L’annuncio di ieri da parte dei tre Paesi dell’appena costituita Alliance des Etats du Sahel — Mali, Niger, Burkina Faso, tre giunte golpiste in parte legittimate dalla popolazione anche come effetto delle attività ibride russe — “non è sorprendente, data la tensione in corso con il blocco regionale Ecowas/Cedeao”, spiega una fonte diplomatica europea che segue la regione del Sahel. “Tuttavia solleva diverse incertezze per l’intera regione e non solo, e forse non è un caso che arrivi contemporaneamente allo svolgimento della Conferenza Italia-Africa” — che con la presentazione del cosiddetto “Piano Mattei” intende lanciare una nuova visione strategica per la cooperazione con l’Africa.

Non si sa ancora come e quando quel “ritiro immediato”, ma ancora non formalizzato stando all’Ecowas (acronimo inglese di Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), si tradurrà concretamente in uscita formale — che richiederebbe comunque un anno per entrare in vigore. Fatto sta che Bamako, Ouagadougou e Niamey spingono una narrazione perfettamente in linea con quella diffusa sin da subito dalle rispettive giunte golpiste, che negli ultimi tre anni hanno conquistato il potere nei vari Paesi sull’onda di una stagione particolarmente travagliata, sfruttata anche per attività di influenza strategica da attori nemici dell’Occidente.

Come la Russia, che cerca dossier e ambiti in cui capitalizzare successi nella competizione globale. Mosca ha da sempre sfruttato la situazione, soffiando le insoddisfazioni popolari a proprio vantaggio, penetrando — prima con la Wagner adesso con il neonato Africa Corps — le forze di sicurezza dei golpisti attraverso forme di assistenza che si sono trasformate in campagne ibride. Le unità russe fanno addestramento per militari e polizia locale, ma nel frattempo diffondono narrazione anti-occidentale e si incuneano nel tessuto economico (e sociale).

L’annuncio dei tre Paesi segue una staffetta diplomatica con rappresentanti di Russia, Cina e poi Stati Uniti che hanno viaggiato in Africa e mentre le massime autorità europee erano ospiti a Roma per parlare di nuove relazioni col continente in un “vertice” tra capi di Stato e di governo (espressione che ha valore non solo simbolico-diplomatico per la conferenza). Sullo sfondo si delineano — come già successo con i vari golpe regionali — i contorni della competizione tra potenze. Mentre la ricerca di un’autarchia politica, sicuritaria ed eventualmente economica caratterizza sia l’ambito golpista maliano che nigerino e burkinabé (i golpe ci sono stati nel 2020 in Mali, nel 2022 in Burkina Faso e nel 2023 in Niger).

Anche su questo si basa parte del successo narrativo dei golpisti, che incolpano l’Occidente, gli sfruttamenti coloniali passati e l’inefficacia nel fornire assistenza nel presente, della pessima situazione economica e del divampare dell’insorgenza jihadista sui propri territori. Una retorica emersa anche, in modo più moderato e controllato, in alcuni interventi degli invitati alla conferenza organizzata ieri al Senato — per esempio nelle parole del presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki.

Emergono interrogativi sempre più complessi per l’Ecowas, che, nonostante ultimatum, minacce di interventi militari e sanzioni, non ha ottenuto risultati concreti nelle negoziazioni con le giunte militari. Le quali invece accusano l’organizzazione di agire sotto l’influenza di potenze straniere (occidentali, chiaramente, e il contestassimo uso delle sanzioni ne sarebbe un marker). Sfruttando quel terreno narrativo fertile, pensano però in primo luogo ai propri interessi di mantenimento del potere.

Ecowas, dall’altra parte, si impegna a trovare una “soluzione negoziata all’impasse politica”, sottolinea le complessità burocratiche dell’uscita (che sono sintomo anche della complesse connessioni che l’organizzazione ha creato sin dalla fondazione nel 1975), ma si trova davanti a una sfida senza precedenti — e che potrebbe crearne uno pericoloso.

Diversi cittadini sono scesi in strada in quei tre Paesi per festeggiare l’Ecowas, visto anche altrove come un club esclusivo che preserva gli interessi delle leadership a discapito delle collettività. L’Alleanza degli Stati del Sahel, che le giunte hanno creato a novembre, sta cercando spazi nel contesto regionale per legittimare i governi militari che la compongono e per iniziare deve essere indipendente dall’Ecowas: è una scelta populista che potrebbe portare frutti.

Tuttavia ritirarsi dal blocco in questo modo “è senza precedenti”, spiega un osservatore regionale e visto come “un importante cambiamento”, perché “tutto il lavoro che è stato messo nella costruzione di un meccanismo di sicurezza collettiva si basa sui protocolli che postulano che la democrazia, il buon governo e lo stato di diritto saranno la base per quella sicurezza e per la pace”.

È un problema in più per l’Europa — che nel Sahel ha i suoi confini virtuali — e per l’Italia, che dell’Europa è avamposto esposto a quella regione? “L’Ue è uno dei principali partner e finanziatori dell’Ecowas e l’uscita di Mali, Burkina Faso e Niger ridurrà probabilmente lo spazio di manovra dell’Europa in questi tre Paesi”, risponde Laurens Willeme, esperto di Sahel del Clingendael Institute.

“Tutti e tre i Paesi hanno già abbandonato alcuni accordi bilaterali con l’Ue e con i singoli Stati membri, ma sono rimasti legati agli accordi stipulati dall’Ecowas. Con l’uscita dei tre, questi accordi non saranno più applicabili. Questo potrebbe lasciare spazio ad altri attori internazionali, come Russia, Cina e Turchia, che hanno già aumentato la loro presenza negli ultimi anni”.

Per stare su un tema complesso caro al governo italiano, c’è la possibilità di un aumento della migrazione verso l’Europa? “Certamente, soprattutto se la situazione economica dei tre Paesi si deteriora ulteriormente, cosa non improbabile, considerando che l’Ecowas facilita la libera circolazione di merci e persone. La mancanza di accesso ai porti marittimi diventerà inoltre una sfida economica considerevole per i tre Stati senza sbocco sul mare. Ciò comprometterebbe uno dei principali pilastri del Piano Mattei, ovvero la riduzione della migrazione”.

6074.- I dilemmi europei nel Sahel

Dilemmi anche italiani perché la solidarietà attiva che ispira il Nuovo Piano Mattei deve caratterizzare iniziative di entrambi gli imprenditori europei e africani e trovare nell’Unione europea un garante; come dire che l’Italia, da sola, può ben poco. Era scontato che gli interessi che gravitano nel Sahel avrebbero reso il cammino irto di ostacoli. Africa ed Europa sono legate a un destino comune e le missioni francesi e quelle ONU non sembrano gradite alle giunte militari che hanno preso il potere. Ci auguriamo che la diplomazia e la politica italiane sappiano trarre profitto da queste difficoltà e che intensifichino i loro sforzi con progetti concreti.

Degage France terroriste vampire

Degage l’Armèe francaise du sol malien

Da Affari Internazionali, di Bernardo Venturi, 13 Novembre 2023

Modibo Keita International è l’aeroporto di Bamako, capitale del Mali. É adiacente all’Air Base 101, usata dalla Mali Air Force, con alcuni Mig-21F.

Gli aeroporti di Bamako e di Niamey sono affollati di soldati nelle ultime settimane. La Missione di Stabilizzazione Integrata Multidimensionale delle Nazioni Unite in Mali (Minusma) sta lasciando il paese, con migliaia di effettivi e centinaia di mezzi in movimento, non senza rischi e una logistica complessa. Si sono infatti verificati già sei incidenti da quando le forze di pace hanno lasciato la loro base nel nord di Kidali il 31 ottobre per compiere il viaggio stimato di 350 km verso Gao, per un totale di 39 feriti.

Un ultimo tributo di sangue della missione: con 310 morti in 10 anni è la seconda più letale della storia, seconda sola a Unifil in Libano (332 caduti). Il ritiro della missione era stato chiesto dalla giunta militare guidata dal colonnello Assimi Goïta, al potere dall’agosto 2020 dopo aver deposto con un golpe il presidente Ibrahim Boubacar Keïta.

La giunta miliare in Mali, dopo aver messo alla porta diversi diplomatici e contingenti militari europei, in primis francesi, ha quindi rinunciato anche a Minusma, benché non sembra in grado di sostituirle adeguatamente. La missione dell’Onu sta lasciando 12 basi nel centro e nel nord del paese, oltre a quella principale di Bamako. La poca collaborazione della giunta militare e il peggioramento delle condizioni di sicurezza hanno accelerato il ritiro e non stanno però permettendo un regolare passaggio di consegne alla autorità maliane.

In questo spazio vacante, i gruppi dell’Accordo Permanente Strategico nel nord del Mali – in predominanza Tuareg– ha dichiarato di avere occupato una base nella regione di Kidali subito dopo l’evacuazione del 31 ottobre scorso. Nel rapporto con i gruppi dell’Azawad rimane infatti un altro nodo critico. Il rapporto con la giunta militare si è progressivamente incrinatoarrivando a scontri armati diretti e mettendo ulteriormente in crisi l’accordo di pace di Algeri del 2015 che aveva messo fine alla guerra con il nord separatista.

La gestione dello spazio e delle basi nel nord del Mali ha però radici più profonde. Dopo l’intervento a fianco del governo di Bamako dalla fine del 2012 con l’Operazione Serval, la Francia non ha mai di fatto passato il testimone alle Fama, l’esercito maliano, tenendo per sé spazi cruciali. Questo approccio, così come altri post-coloniali in ambito politico, sociale e culturale, hanno favorito un sentimento antifrancese e antioccidentale sui quali negli ultimi anni la propaganda russa ha avuto gioco facile a giocare un ruolo incendiario.

Cercasi partner affidabile

Dopo anni passati a rimarcare la priorità del Sahel e a cercare partner credibili, l’Ue e gli stati europei non sanno letteralmente cosa fare. Fino al colpo di stato in Mali del 2020, Bruxelles aveva individuato nel Bamako il partner centrale per la regione. Ma i due colpi di stato nel paese, e soprattutto l’arrivo dei mercenari del Gruppo Wagner, hanno creato un notevole imbarazzo diplomatico, in particolare per la missione di training militare EUTM: restare con il rischio di incrociare i russi o lasciare il paese? Dopo vari tentennamenti e con il Burkina Faso segnato dai due coup d’état nel 2022 e da una crisi istituzionale e di sicurezza fuori controllo, l’Ue ha volto lo sguardo verso il Niger, indicando il presidente nigerino Mohammed Bazoum come il nuovo partner affidabile. Ancora una volta, un colpo di stato sta stravolgendo i piani e Bazoum si trova in stato di fermo dal 26 luglio scorso. Mentre i canali umanitari e di cooperazione allo sviluppo rimangono attivi con il Sahel, la postura politica e diplomatica sembra inseguire più vie d’uscita che strategie.

Riflessione strategica

Intanto Joseph Borrell nelle settimane scorse ha ammesso che i 600 milioni di euro investiti nell’ultimo decennio nelle missioni civili e militari nel Sahel non hanno portato i risultati sperati. Mentre l’Alto Rappresentante non nasconde che anche la missione militare in Niger ha le ore contate, prima di volgere lo sguardo al prossimo “partner fidato” (Mauritania?), servirà una riflessione più approfondita sul rapporto tra Europa e Sahel, a partire anche dagli errori commenti, come quello di dare priorità a un approccio securitario che ha messo in secondo piano quello integrato. Intanto, però, nonostante non venga detto ufficialmente, difficile togliersi l’idea che il Sahel stia diventando una regione sempre meno prioritaria.

Foto di copertina EPA/STR

Cosa intendiamo? In Mali, un valido esempio di quella che chiamiamo soplidarietà attiva sono le operazioni di magazzinaggio su larga scala della logistica Bolloré che possono fornire un servizio di movimentazione e magazzinaggio per conto di fornitori leader a livello mondiale di informazioni. Ma la Francia non è stata soltanto un vampiro. Bolloré è un impresa francese, una holding fondata nel 1822 con sede a Puteaux nella periferia ovest di Parigi, in Francia. Nata come industria cartaria, ha espanso le sue operazioni a molti altri settori, come il trasporto e la logistica, le distribuzione energetica, i film plastici, la costruzione di automobili e i mass media. Gli imprenditori sono la nostra Wagner.

Rémi Ayikoué Amavi è l’amministratore delegato di Bolloré Transport & Logistics Mali dall’agosto 2021.

Di nazionalità beninese, Rémi Ayikoué Amavi è entrato in Bolloré Transport & Logistics nel 2006 presso la filiale della società nella Guinea Equatoriale, dove era responsabile dello sviluppo commerciale delle attività logistiche. Diventa poi Amministratore Delegato nel 2017.

Rémi Ayikoué Amavi è laureato in Management e Strategia aziendale presso l’ENACO-Lille. Utilizzerà la sua esperienza per sviluppare attività logistiche in Mali. In particolare, si avvarrà della rete di Bolloré Transport & Logistics in 109 paesi e dell’esperienza dei suoi dipendenti per migliorare i servizi al Paese.

Circa la Bolloré Transport & Logistics Mali

Bolloré Transport & Logistics Mali è l’operatore leader nei trasporti, logistica e movimentazione. L’azienda, presente anche in Italia, impiega ora più di 200 persone in Mali, in particolare attraverso le sue agenzie a Bamako, Kayes, Sikasso e Kati, e gestisce anche i porti asciutti di Soterko, Faladié e Kali. Bolloré Transport & Logistics Mali attua una politica sociale a beneficio della popolazione maliana, che si riflette ogni anno nel sostegno di numerose azioni di solidarietà nei settori dell’istruzione e della sanità.

www.bollore-transport-logistics.com