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2002.- EUROPA: CHI STA CON GLI STATI SOCIALI E CON LA CRISTIANITA’ E CHI NO

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La Macedonia dice no all’Europa: fallisce il referendum per cambiare in FYROM il nome del Paese. Il tanto atteso referendum, consultivo e non vincolante, sull’accordo con la Grecia per il nuovo nome del Paese ex jugoslavo (Macedonia del nord) non ha raggiunto il quorum: il presidente nazionalista Ivanov aveva invitato al boicottaggio perché l’accordo è una «flagrante violazione della sovranità» nazionale macedone e una capitolazione di fronte agli interessi greci. Il presidente nazionalista Gjorgje Ivanov aveva dichiarato: «Questa è la Macedonia, qui vivono i macedoni, la nostra identità è quella macedone, la nostra lingua è il macedone, i nostri antenati erano macedoni». Per l’approvazione delle modifiche costituzionali legate all’accordo con la Grecia per il nuovo nome è richiesta la maggioranza dei due terzi, che attualmente il governo non ha. L’affluenza alle urne non ha raggiunto il 50% più uno. L’ultimo dato diffuso dalla commissione elettorale parlava di una partecipazione di appena sopra il 34% alle 18.30, mezz’ora prima della chiusura dei seggi. A metà dei voti scrutinati, oltre il 90,8% dei votanti aveva scelto il cambio di nome, rispetto al 6,18% dei no. Da Bruxelles – che aveva posto la soluzione sul nome conteso con la Grecia come condizione al cammino di adesione all’Ue – anche il Commissario all’allargamento Johannes Hahn ha invitato in un tweet «tutti i partiti» a tenere conto «con grande senso di responsabilità» della «notevole maggioranza di voti a favore» dell’accordo, nonostante non si sia raggiunto il quorum.

Il problema esiste da quando nel 1991 la Macedonia dichiarò la sua indipendenza dalla Jugoslavia scegliendo il nome “Repubblica di Macedonia”, lo stesso nome che aveva quando faceva parte della federazione jugoslava. Diversi politici greci accusarono il nuovo paese di essersi appropriato di un nome e di un’identità culturale e storica appartenente a un’area geografica e una storia – quella dell’antico regno macedone – di tradizione prevalentemente greca. Secondo questa tesi, la Repubblica di Macedonia si era appropriata di figure come Alessandro Magno e altri simboli antichi. Il loro uso è percepito come una scorrettezza e una minaccia per la regione più settentrionale della Grecia (che infatti si chiama Macedonia): per questo motivo la Grecia ha sempre posto il veto all’ingresso della Macedonia nell’UE o nella NATO, spiegando che prima andava risolta la questione del nome e dell’eredità dell’antico regno macedone.

Per evitare problemi nel 1993 le Nazioni Unite accettarono la Macedonia a patto che il suo nome ufficiale fosse FYROM,“Former Yugoslav Republic of Macedonia” . Nel 1995 il contenzioso tra Grecia e Macedonia arrivò alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja: nel 2011 la Corte diede ragione alla Macedonia, che ha infatti continuato a chiamarsi con il nome scelto nel 1991. Ma la Grecia ha comunque continuato ad opporsi all’entrata della Macedonia nell’Unione Europea e nella NATO.

Il referendum chiedeva proprio ai cittadini di rispondere alla domanda «Sei favorevole a entrare nella NATO e nella Unione Europea, e accetti l’accordo tra Repubblica di Macedonia e Grecia?». Il principio di accordo era stato firmato a giugno da Zaev e dal primo ministro greco Alexis Tsipras, dopo un voto favorevole da parte del parlamento greco.

La disputa con la Grecia dura da 27 anni, ma una è la Macedonia ed è quella del Nord.

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Londra fuori, Turchia e Macedonia dentro. Europa, fatti una domanda… titola il Secolo d’Italia.

Il referendum in Macedonia sull’ingresso del Paese balcanico nell’Unione europea e sul cambio del nome per contrasti con la Grecia, “ha riportato” all’attenzione dell’Europa lo stato disastroso della Ue. Il Paese poverissimo nato dalla frantumazione della Jugoslavia vorrebbe entrare nella ricca Ue (ha presentato domanda di adesione nel 2004), allo scopo di ricevere sostanziosi finanziamenti per “progetti” di sviluppo, mentre. ad esempio, la Serbia, molto più ricca ed evoluta della Macedonia, è ostacolata con ringhioso sospetto dagli eurocrati di Bruxelles. E questo a causa della guerra di Bosnia, nel corso della quale Onu, Ue e Usa hanno preso smaccatamente parte contro Belgrado e a favore dei musulmani. Il risultato finale della guerra di Bosnia è stato che ora abbiamo due Stati musulmani piantati nel cuore dell’Europa. Dei sei Stati in cui si è polverizzata la Jugoslavia solo due, Croazia e Slovenia, sono stati accolti. Diverso il discorso della Turchia, che geograficamente neanche fa parte dell’Europa, che ha presentato domanda nel lontanissimo 1987, e la cui candidatura è stata sostenuta per anni dalla sinistra europea, Italia compresa. Sembrava cosa fatta, se non che la Turchia, membro della Nato, ha iniziato una deriva fondamentalista che ha raffreddato gli animi e aperto gli occhi ai popoli europei sulla presidenza Erdogan. Senza contare le proteste sanguinose, i disordini, la repressione, ricordiamo che le truppe di Ankara (assegnate alla NATO, cui contribuiamo pesantemente in denaro e con una batteria di missili a difesa di Ankara. ndr) hanno invaso militarmente uno Stato sovrano, la Siria, senza che le sedicenti organizzazioni internazionali, Onu, Ue, Nato, dicessero nulla, mentre quando la Serbia fece esattamente lo stesso per proteggere l’unità del Paese, fu addirittura bombardata dagli Stati “democratici”. La Turchia inoltre continua a perseguitare i curdi, forte minoranza etnica nel Paese (si stima intorno a 20 milioni la popolazione curda in Turchia) e a effettuare arresti politici indiscriminati. Su Ankara inoltre pesa il genocidio degli Armeni del 1915 che si rifiuta di ammettere nonostante la mole di prove. Candidate all’ingresso nella Ue anche Albania e Montenegro, mentre Romania e Bulgaria già sono dentro. Se si considera che il Regno Unito, uno dei Paesi più ricchi e civili del mondo, è liberamente uscito con il referendum della Brexit e se si considera che la Norvegia, altro Paese estremamente civile ed evoluto, non è mai neanche voluta entrare, e se si considera infine che la civilissima Islanda ha addirittura ruitirato la propria candidatura nel 2015, non ci si può sottrarre dal porci qualche domanda su questa Unione europea. Come mai gli Stati più ricchi, evoluti e a più antica tradizione di libertà fuggono e quelli più poveri – meglio se musulmani – premono per entrare? E’ evidente che la logica suicida di Bruxelles è una logica pauperista tesa a portare al ribasso gli standard di vita degli europei, non adeguandoli a quelli inglesi ma abbassandoli a quelli macedoni, in un’ottica di livellamento quasi sovietico e cinese della popolazione. I governi sedicenti liberali e di sinistra che negli ultimi anni hanno governato la Ue hanno scelto la strada suicida della povertà e della antidemocrazia, per rendere gli europei schiavi ai diktat di Bruxelles, forzando questa strategia con l’ingresso indiscriminato nel continente di milioni di africani e asiatici di religioni diverse da quella europea, allo scopo di annichilire il vecchio continente. La fuga di Londra dovrebbe aprirci gli occhi. Ma c’è ancora una speranza per l’Europa, prima che sia tardi: i movimenti sovranisti e identitari stanno facendo prendere coscienza della situazione ai popoli europei, che iniziano a ribellarsi alle lobbies finanziarie che foraggiano le ong, ai potentati economici che armano i terroristi che stanno insanguinando l’odiata Europa. Ma che ci odino gli estremisti islamici è quasi comprensibile, quello che non è comprensibile è che alcuni europei odino i loro compatrioti.

Antonio Pannullo

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