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5355.- Gli schiaffi cinesi sul muso di Biden nell’Indo-Pacifico.

Gli alleati AUKUS devono trovarsi un altro leader. Sembrava che la diplomazia USA avesse recuperato il suo prestigio nelle Salomone, ma così non è e comandano i cinesi. Al termine della missione di sorveglianza pesca verso le attività illegali dei cinesi nell’area, alla fregata USCGC Oliver Henry è stato negato di rifornirsi. Il trattato dello scorso aprile ha posto il regime del primo ministro delle Salomone Manasseh Sogavare definitivamente nelle mani di Pechino (vedi n. 5078). Ricordiamo che l’isola di Guadalcanal, nel Sud Pacifico, appartiene all’arcipelago delle Isole Salomone e dista circa 3.552 miglia da Pearl Harbour.

Da Scenari economici, 31 Agosto 2022, posted by Giuseppina Perlasca

MAI PIU’! Le Isole Salomone cacciano la marina americana in modo definitivo.

FFG-7 USCGC Oliver Henry

Le Isole Salomone hanno informato le autorità statunitensi che tutte le visite navali sono state sospese fino a nuovo avviso, a seguito di un precedente incidente avvenuto il 23 agosto, quando a una nave della Guardia Costiera statunitense, la Oliver Henry, è stato negato il permesso di effettuare uno scalo programmato. L’”incidente” giunge tra le crescenti preoccupazioni per l’influenza di Pechino nella regione e le mosse del primo ministro delle Salomone Manasseh Sogavare per approfondire i legami con il regime cinese e consolidare il suo potere.

La Oliver Henry avrebbe dovuto fermarsi a Honiara, nelle Isole Salomone, il 23 agosto per rifornirsi di carburante e riempire la cambusa, ma non ha ricevuto risposta dalle autorità delle Salomone. Successivamente, l’equipaggio è stato dirottato a Port Moresby, Papua Nuova Guinea.

È sconcertante che all’USCGC Oliver Henry non sia stata fornita l’autorizzazione diplomatica a sostegno della sua operazione con l’FFA“, ha dichiarato l’ambasciata statunitense.

Il leader dell’opposizione delle Salomone Matthew Wale ha criticato la decisione del governo del primo ministro Sogavare. “”Amici di tutti, nemici di nessuno” è chiaramente una battuta, il primo ministro Manasseh Sogavare tratta chiaramente gli Stati Uniti e i loro alleati come nazioni ostili. Tutti i nostri amici devono essere trattati allo stesso modo“, ha dichiarato nei commenti ottenuti da RNZ.

Secondo l’ambasciata statunitense a Canberra: “Il 29 agosto, gli Stati Uniti hanno ricevuto una notifica formale dal governo delle Isole Salomone riguardante una moratoria su tutte le visite navali, in attesa di aggiornamenti nelle procedure di protocollo“. “Continueremo a monitorare da vicino la situazione“, ha dichiarato un portavoce a The Epoch Times. Il congelamento delle visite navali arriva dopo che l’USS Oliver Henry ha concluso la sua parte nell’operazione Island Chief, volta a monitorare e prevenire le attività di pesca illegali nella regione – un problema costante con le flotte pescherecce cinesi. L’operazione Island Chief è stata condotta in collaborazione con i membri dell’Agenzia per la pesca del Forum delle isole del Pacifico (FFA), tra cui Australia, Nuova Zelanda e Figi.

Il silenzio radio delle autorità delle Salomone segue una serie di incidenti che suggeriscono che il governo del primo ministro Manasseh Sogavare non solo sta approfondendo i legami con Pechino, ma sta anche erodendo costantemente le istituzioni democratiche del Paese per rafforzare la sua posizione.

Il 18 agosto, il governo di Sogavare ha firmato un importante accordo con l’azienda cinese di telecomunicazioni Huawei per la costruzione di 161 torri di telefonia mobile nel Paese con un prestito di 448,9 milioni di yuan (66,15 milioni di dollari) da parte della Export-Import Bank of China, di proprietà statale. L’8 agosto, il team del primo ministro ha presentato al Parlamento una proposta di legge per ritardare le elezioni nazionali, che secondo alcuni esperti potrebbe essere un modo per il primo ministro di evitare una potenziale sconfitta elettorale.

Queste azioni arrivano dopo che Sogavare ha stretto un patto di sicurezza con Pechino per consentire al Partito Comunista Cinese di stazionare armi, truppe e navi militari nel Paese. In questo modo Pechino avrebbe una presenza militare vicina all’Australia, alla Nuova Zelanda e al territorio statunitense di Guam. Una posizione strategica che sia Washington sia Canberra non stanno ovviamente sottovalutando e che potrebbe portare a delle reazioni di carattere diplomatico e politico rilevanti.

5143.- Grazie alle isole Fiji, l’avanzata di Pechino nel Pacifico è saltata sul clima e sulla riduzione delle emissioni.

È partita male l’avventura cinese nel Pacifico. Ecco perché 

Da Formiche.net, di Gabriele Carrer | 30/05/2022 – 

È partita male l’avventura cinese nel Pacifico. Ecco perché 

La riunione tra il ministro Wang e gli omologhi di dieci Paesi insulari nel Pacifico non si è conclusa con la firma dell’annunciato ampio accordo, dalla pesca alla sicurezza. Pesano i dubbi delle Fiji e di altri Stati della regione sul progetto di Pechino per un’ordine globale alternativo a guida americana

Non sembra essere partita come Pechino sperava l’offensiva diplomatica nel Pacifico guida da Wang Yi, ministro degli Esteri cinese, per raccogliere consenso e sostegno all’iniziativa di sicurezza con cui il presidente Xi Jinping è deciso a costruire un ordine globale alternativo a quello guidato dagli Stati Uniti.

La riunione ministeriale nella capitale figiana Suva con Wang e i suoi omologhi di dieci Paesi insulari nel Pacifico non si è conclusa con la firma di un nuovo accordo di vasta portata che avrebbe dovuto coprire moltissimi settori, dalla sicurezza alla pesca. La Cina cercava un accordo che riguardasse anche il libero scambio e la cooperazione tra forze di polizia. Ma Qian Bo, ambasciatore cinese alle Fiji, è stato costretto ad ammettere che alcune nazioni hanno espresso preoccupazioni su elementi specifici della proposta. “Non imponiamo mai nulla agli altri Paesi, tanto meno ai nostri amici in via di sviluppo e ai piccoli Paesi insulari”, ha aggiunto il diplomatico respingendo le preoccupazioni di alcuni Stati.

Nel corso di un’insolita conferenza stampa con il ministro Wang, durata mezz’ora e conclusa con i giornalisti che urlavano le domande mentre i protagonisti lasciavano il podio, il primo ministro figiano Frank Bainimarama ha spiegato che “come sempre, mettiamo al primo posto il consenso tra i nostri Paesi in ogni discussione su nuovi accordi regionali”. Le Fiji “continueranno a cercare un terreno fertile per le nostre relazioni bilaterali”, ha aggiunto ringraziando il ministro Wang per “lo spirito di collaborazione”. Ma Bainimarama ha detto di aver cercato, e non trovato, un impegno più importante da parte della Cina sul clima e sulla riduzione delle emissioni.

Proprio la posizione figiana sembra aver fatto saltare l’intesa. Anche perché nei giorni scorsi le Fiji avevano deciso di aderire in qualità di membro fondatore all’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity, un nuovo meccanismo lanciato dal presidente statunitense Joe Biden nel recente viaggio in Asia per compensare il fallimento dell’accordo di libero scambio Trans-Pacific Partnership con i Paesi asiatici e anticipare l’offensiva diplomatica cinese. “Il futuro dell’economia del XXI secolo sarà in gran parte scritto nell’Indo-Pacifico” e il meccanismo “contribuirà a promuovere una crescita sostenibile per tutte le nostre economie”, aveva dichiarato Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, accogliendo la decisione del governo figiano. “Gli Stati Uniti ringraziano il primo ministro Bainimarama e si augurano di approfondire la nostra partnership a beneficio dei nostri Paesi, delle isole del Pacifico e dell’Indo-Pacifico”, aveva aggiunto.

Ma altri Paesi nella regione avevano espresso preoccupazioni. David Panuelo, presidente degli Stati Federati di Micronesia, aveva messo in guardia le nazioni dal firmarlo temendo che potesse scatenare una nuova guerra fredda. Surangel Whipps Jr., presidente di Palau (che non ha legami diplomatici con la Cina e riconosce Taiwan) aveva avvertito i leader del Pacifico che patti commerciali e di sicurezza ad ampio raggio con la Cina avrebbero potuto avere conseguenze dannose. Ha anche auspicio che la regione abbia imparato dai traumi del passato: “Vogliamo avere pace e sicurezza nella regione e non vogliamo rivivere quello che abbiamo vissuto durante la Seconda guerra mondiale, quindi quando vediamo questo tipo di attività ci preoccupiamo”.

È saltato, dunque, quell’accordo multilaterale che prevedeva l’addestramento degli ufficiali di polizia del Pacifico da parte della Cina, la collaborazione in “sicurezza tradizionale e non tradizionale” e l’allargamento della cooperazione giudiziaria. Oltre a ciò la Cina vorrebbe sviluppare congiuntamente un piano per la pesca, aumentare la cooperazione nella gestione delle reti internet della regione e creare istituti e aule Confucio. A Pechino rimangono accordi bilaterali più piccoli firmati con i Paesi del Pacifico e “un proprio documento di posizionamento” sulle relazioni nella regione che la diplomazia cinese presenterà come dichiarato da Wang in conferenza stampa. “E in futuro, continueremo ad avere discussioni e consultazioni continue e approfondite per creare un maggiore consenso”, ha aggiunto il ministro degli Esteri.

Una figuraccia diplomatica per Pechino. “Gli Stati Uniti concludono sempre gli accordi in anticipo. È davvero imbarazzante!”, ha commentato Derek J. Grossman, esperto di sicurezza nazionale e Indo-Pacifico, della Rand Corporation. La propaganda cinese si è subito mossa per tentare di rimediare. Il Global Times, megafono in lingua lingua, ha pubblicato un articolo che sostiene che i Paesi insulari del Pacifico non saranno usati da nessuno per diventare fronti di competizione tra grandi potenze. Come a dire: o con noi, o con nessuno. Questa almeno è l’intenzione della propaganda di Pechino.

Ma il flop diplomatico cinese rappresenta una vittoria per gli Stati Uniti, con Kurt Campell, coordinatore dell’Indo-Pacifico al Consiglio per la sicurezza nazionale, impegnato nella strategia per la regione anche in questi mesi di guerra in Ucraina. “La Cina è l’unico Paese che ha l’intenzione di rimodellare l’ordine internazionale e, sempre più, il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per farlo”, ha detto nei giorni scorsi Antony Blinken, segretario di Stato americano, nell’atteso discorso sulla politica dell’amministrazione Biden verso la Cina. “La visione di Pechino ci allontanerebbe dai valori universali che hanno sostenuto gran parte del progresso mondiale negli ultimi 75 anni”, ha aggiunto. Per Pechino è soltanto disinformazione per “contenere e sopprimere lo sviluppo della Cina e sostenere l’egemonia statunitense”, utilizzando le parole di Wang Wenbin, portavoce del ministero degli Esteri.

Se la sicurezza ha sostituto lo sviluppo come la parola chiave della politica estera della Cina, gli Stati Uniti sembrano voler “puntare su iniziative economiche riconoscendo l’importanza dell’agenda di prosperità, e non soltanto di sicurezza, verso i Paesi più piccoli e quelli in via di sviluppo, dove si concentrerà in futuro il confronto” tra le due superpotenze, come ha spiegato recentemente Alessio Patalano, professore di War & Strategy in East Asia presso il King’s College London, a Formiche.net. L’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity e il caso delle Isole Salomone lo dimostrano. Le iniziali difficoltà cinesi potrebbero rappresentano un piccolo segnale che la strada è quella giusta.

(Nella foto il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il primo ministro figiano Frank Bainimarama, Twitter @FijiPM)

5126.- Washington faccia i conti con Pechino.

Da un briefing di Veneto Unico, di Mario Donnini, 25 maggio 2022, aggiornato 26 maggio 2022.

La competizione per il potere marittimo

Il patto di sicurezza trilaterale tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti, AUKUS, risale al 15 settembre 2021 ed è stato ottimisticamente definito la Triplice alleanza di Biden per l’Indo-Pacifico – ISPI. Ha acquistato notorietà immediatamente per la messa fuori gioco della Francia nel contratto per la fornitura all’Australia di sottomarini a propulsione nucleare, già stipulato. Che fosse una misura strategico militare di Washington, volta a ostacolare le politiche espansionistiche di Pechino, ma con insufficiente pianificazione, lo dimostra la reattività e, probabilmente, il successo di Pechino nel contrastarlo, precedendo gli Stati Uniti nella stipula di alleanze, nella zona indo-pacifica. Prescindendo dal giudizio impietoso sulla politica dei democratici, osserviamo subito, che se gli Stati Uniti vogliono mantenere la leadership dell’Occidente e anche del mondo, non possono cambiare politica estera ad ogni nuovo presidente, sopratutto oggi che non godono di una supremazia assoluta in campo militare.

Navi da guerra senza equipaggio

È vero che nessuna nazione possiede i carrier nucleari dell’US.NAVY, ma è anche vero che ne schierano soltanto dieci, con tempi di sosta per i lavori di manutenzione e aggiornamento significativamente più lunghi di quelli della marina cinese.

USS Sea Hunter

La competizione fra l ’US.NAVY e la PLAN ha aperto nuovi scenari. Con il programma DARPA per la lotta antisommergibile, l’US.NAVY, nel 2016, ha varato la USS Sea Hunter. Un vascello a pilotaggio remoto, un drone, di 40 m., 145 tonn. e 27 nodi, gestito interamente dall’intelligenza artificiale, quindi, senza equipaggio, costruito dalla Vigor Industrial di Portland. Dal 2019, gli USA stanno valutando , questa loro prima nave drone, specializzandola, per ora, in missioni di lotta anti sommergibile. 

Zhu Hai Yun

Ed è di oggi la notizia del varo della cinese Zhu Hai Yun, nave porta droni aerei, marini o sommergibili, guidata da intelligenza artificiale e senza equipaggio. La nave è stata costruita dal cantiere navale Huangpu Wenchong di Guangzhou, della China State Shipbuilding Corporation; è lunga 88 metri e potrà soddisfare esigenze sia civili sia militari.

Le navi porta droni sono dei droni anch’esse. Certamente rivoluzioneranno la sorveglianza degli oceani, ma richiederanno una rete logistica importante e un sistema di comando e controllo spaziale.

Attenti a Taiwan!

Come avevamo previsto il 24 febbraio, aver messo all’angolo la Russia, non rispondendo ad alcuna delle sue richieste di sicurezza, ha fatto rompere ogni indugio: “Ricorrerò alle armi”, aveva preavvertito Putin. Ha messo in moto l’esercito russo e ha dato ottime carte a Xi Jinping, senza dubbio a conoscenza delle iniziative di Putin. All’alba dell’invasione dell’Ucraina, dicemmo: “Se c’era Donald Trump, tutto questo non accadeva. Questa operazione di Putin ha sicuramente l’avvallo di Xi Jinping: Attenti a Taiwan, Attenti a Taiwan!” Meglio, disse Donald Trump, considerando le tensioni internazionali intorno al conflitto tra Mosca e Kiev. La Cina sarà la prossima” disse  l’ex presidente degli Stati Uniti d’America,  intervistato durante un programma radiofonico, annunciando che Pechino sarebbe la prossima potenza ad attaccare. L’impressione fu che la governance della Casa Bianca stesse giocando su tavoli troppo grandi per lei e l’annuncio dell’A.UK.US. non fece sperare di meglio. La portavoce del ministero degli esteri cinese Hua Chunying, riaffermò la posizione di Pechino su Taiwan, affermando che il tentativo di indipendenza di Taipei dalla Cina è “un vicolo cieco” e non ci dovevano essere “malintesi” sul punto. Notiamo che anche tentare di controllare il potere marittimo cinese nell’indo-pacifico, facendo perno su Taiwan è “un vicolo cieco”. Ieri, in una conferenza stampa congiunta con il premier nipponico Fumio Kishida, il presidente Joe Biden non ha usato mezzi toni su Taiwan e ha dichiarato: “Gli Stati Uniti interverranno militarmente se la Cina tenterà di prendere Taiwan con la forza”. Ci chiediamo se il presidente Joe Biden è consapevole di ciò che dice. Sicuramente, lo è Xi Jinping che lo ha accusato, anzi ha accusato gli Stati Uniti di giocare con il fuoco. Ancor più dura la replica per bocca del portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin: una risposta che ha già il sapore di guerra: “Non puoi resistere a 1,4 miliardi di cinesi”. La Cina ha ridicolizzato Joe Biden e gli USA: “Completeremo la riunificazione con Taiwan. Così Pechino ci pone dinanzi a una realtà dove non possiamo fare conto sulla saggezza e sull’abilità di Vladimir Putin e dove Joe Biden appare come un ragazzaccio o come un messaggio di morte. Del resto, alcuni anni or sono, si diceva che se il dollaro non avesse riguadagnato la sua supremazia, l’unico modo per fermarne la caduta sarebbe stata una guerra. Ma dove?

Henry Kissinger, 98 anni ben portati, ha gelato Davos.

Concludendo questa analisi impietosa della politica USA verso la Russia, la Cina e l’Europa, non possiamo non manifestare il nostro disappunto di membri della Nato e rilevare che il giudizio trova più valenti sostenitori negli stessi Stati Uniti. Parliamo di Henry Kissinger, 98enne, già consigliere per la sicurezza nazionale e Segretario di Stato degli Stati Uniti durante le presidenze di Richard Nixon e di Gerald Ford negli anni tra il 1969 e il 1977 e qualcosa di più nella élite e nella politica americana non sostiene la linea dura di Biden contro la Russia e la partecipazione attiva degli Stati Uniti nella guerra tra Russia ed Ucraina. Sarebbe interessante sapere se la condivideva anche prima del 24 febbraio. A Davos, Kissinger, presenziando, come sempre, al World Economic Forum, ha affermato: “L’Occidente non cerchi la sconfitta russa, l’Ucraina rinunci a qualcosa”, che significa che, in Ucraina, la Nato non ha vinto la partita e che l’Occidente dovrebbe cercare di favorire la pace. Esattamente, ha detto: “avviare negoziati prima che si creino rivolte e tensioni che non sarà facile superare.” Tirando le somme, un’altra ritirata dopo il Kurdistan e l’Afghanistan. Ce n’è abbastanza per predire un addio a Taiwan, per invitare alla riflessione il segretario della Nato Jens Stoltenberg e per correre ai ripari con la Federazione russa. Non ultimo, a distanza di oltre mezzo secolo, ripensare alle note sotto-organizzazioni internazionali per lo sviluppo del Nuovo ordine mondiale, quali la Banca Mondiale, il Fondo monetario internazionale, FMI, l’Unione europea, le Nazioni Unite e la Nato, spesso nominate come molto attive, ma poco vincitrici. L’Occidente avrà un futuro soltanto se l’Unione europea diverrà una confederazione sovrana, capace di fungere da punto di equilibrio fra gli Stati Uniti e la Federazione russa, anch’essa affiliata; la Nato dovrebbe garantire la sicurezza dall’Alaska all’Alaska. La cooperazione con le nuove potenze, per ora solo asiatiche, dovrà essere accompagnata da politiche fiscali a sostegno dei valori del rispetto del lavoro, della dignità della persona umana e della libertà.

Guerra di alleanze. Pechino installa basi nel Pacifico, sulle rotte del patto di cooperazione A.UK.US.

Fatta questa ampia premessa, come avevamo previsto il 24 febbraio di quest’anno tragico, la guerra del Nuovo Ordine Mondiale in Ucraina provocata da Biden, contro la Russia, ha aperto la strada all’espansione cinese e alle rivendicazioni di Pechino su Taiwan, sulle isole del Mar Cinese Meridionale e anche su tutte le entità strategiche del Sud del Pacifico. Sono rivendicazioni possibili se consideriamo che, dalla fine del 2020, le navi militari cinesi sono oltre 60 in più rispetto a quelle di cui dispone la Marina degli Stati Uniti. Sono diventate 360 contro circa 300, anche se l’US. NAVY schiera 10 super portaerei d’attacco, che sono pur sempre, però, anche grandi bersagli e non possono essere sempre tutte operative. Aggiungiamo che le coste del Mare Cinese sono un istrice di missili di ogni tipo con cui dovrebbe fare i conti qualunque nave e la fine dell’incrociatore russo Moskwa lo ha mostrato.

Cacciatorpediniere antiaereo cinese tipo 052L. Tale è il ritmo di entrata in servizio delle nuove unità che la PLAN ha problemi di addestramento degli equipaggi.

Notiamo, infine, che le moderne navi della Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione Cinese sono presenti nell’Oceano Indiano, nell’Artico, si sono affacciate in Mediterraneo a sostegno della Marina russa in Siria. Sopratutto, contendono apertamente il dominio dell’US.NAVY nel Pacifico Occidentale.

Alla fine di novembre 2021 è scoppiata una massiccia protesta contro il primo ministro delle Isole Solomone Manasseh Sogavare perché, a partire dal 2019, aveva deciso di aprire ai rapporti diplomatici con la Cina, chiudendo, dopo 19 anni, le relazioni con Taiwan. La rivolta andò accrescendosi fino a che non fu domata con la forza, grazie al supporto di reparti di polizia e di soldati dell’Australia, di Figi, di Papua Nuova Guinea e anche della Nuova Zelanda, in tutto 275 uomini. Pechino ha accordi di sicurezza con Figi e Papua Nuova Guinea.

Alla luce delle intenzioni, ora manifeste, di cambio di campo di Sogavare, malgrado la contraria volontà del suo popolo, dobbiamo rilevare sia l’incongruenza della politica, evidentemente mercantile, del Commonwealth, che manda il gruppo Queen Elizabeth in crociera nell’Indo Pacifico e, poi, reprime le rivolte contro la Cina, sia l’abilità della diplomazia cinese che, a marzo di quest’anno, placate le proteste contro Sogavare e dopo anni di paziente tessitura, di aiuti, di promesse di investimenti, ha portato alla firma dell’accordo sui “porti aperti”. Il patto è stato sottoscritto dal premier cinese Li Keqiang e dal ministro degli Esteri cinese Wang Yi e ha per oggetto la sicurezza delle Isole Salomone. La preoccupazione, tardiva, per il successo del ministro degli Esteri cinese Wang, ha visto precipitarsi nella capitale delle Salomone sia Kurt Campbell, uomo di Biden per l’Indo-Pacifico, sia il capo della diplomazia nipponica Hayashi. Si ha, ora, notizia della discussione di un altro accordo con la Repubblica di Kiribati e di un altro ancora con la Repubblica di Vanuatu, entrambe sulle rotte di collegamento degli Stati Uniti con l’Australia.

Gli accordi verterebbero su un’ampia libertà di scalo, di manutenzione e di appoggio per le navi della Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione Cinese, ma anche su aiuti militari. Ci aspettiamo la costruzione di una o più basi logistiche e la riattivazione delle basi aeree americane di Kanton (Vanuatu) e Luganville. Qui, su otto delle compagnie appaltatrici dei lavori, cinque sono cinesi, due sono della Nuova Zelanda e una è della Nuova Caledonia. Da marcare la possibilità di interventi della guarnigione cinese in supporto all’ordine pubblico, probabilmente in ragione degli scontri del novembre scorso, perché questo significa che la sicurezza sarà amministrata in accordo con e per i cinesi. Dura, quanto tardiva e inutile, la reazione USA: “intollerabile una presenza cinese a soli 2mila km dalla costa australiana”. Strano che non valga anche per la Nato. Stupisce molto e crea ansia il fatto che l’A.UK.US. si sia fatto precedere da Pechino. Come si è sempre saputo, il potere marittimo non è solo un fatto di numeri e di tonnellate di naviglio, ma sopratutto, di politica e di diplomazia. L’élite che domina gli Stati Uniti ha dimostrato di saper gestire le borse, e basta!

Nel migliaio di isole Salomone troviamo la famosa Guadalcanal, che dista circa 3.552 miglia da Pearl Harbour. Guadalcanal fu per gli Stati Uniti il turning point della Battaglia del Pacifico. Rischia di esserlo ancora, ma in negativo. Le Isole Salomone sono una monarchia costituzionale del Commonwealth e il sovrano è Elisabetta II, Regina delle Isole Salomone. Il governatore generale è Sir David Vunagi, dal 7 luglio 2019 e il primo ministro, che ha sottoscritto con la Cina l’accordo per la sicurezza  è Manasseh Sogavare. Ricordiamo che i poteri della Regina nei 16 reami del Commonwealth si limitano alla nomina del governatore generale, su “consiglio” del primo ministro, il suo nome e la sua immagine continuano a giocare un ruolo importante nei simboli e nelle istituzioni politiche, ma gli stati del Commonwealth sono politicamente separati tra loro e indipendenti.

Un accordo simile a quello concluso con risulta prossimo alla firma con la Repubblica delle Kiribati. Parliamo di tre arcipelaghi con un isola e 32 atolli, nel mezzo del Pacifico, a cavallo dell’Equatore e della linea del cambio data e, ancora, di un altro accordo con la Repubblica di Vanuatu, l’arcipelago dei vulcani, composto da 83 isole, noto come il paradiso della Melanesia. Questi accordi prevedono che le navi cinesi saranno presenti sulle rotte fra le Hawaii e l’Australia, distante 2mila km dagli arcipelaghi.

L’arcipelago delle Kiribati si trova in posizione strategica rispetto alle rotte marittime che collegano Stati Uniti e Australia. Poco più a nord, abbiamo le Isole Marshall, con l’atollo di Kwajalein, poligono militare statunitense per i test missilistici.

5078.- La Cina prende il controllo delle Isole Salomone, e del Pacifico

L’isola di Guadalcanal, nel Sud Pacifico, appartiene all’arcipelago delle Isole Salomone e dista circa 3.552 miglia da Pearl Harbour. Da Guadalcanal iniziò la rivincita degli Stati Uniti sul Giappone nella Seconda Guerra Mondiale. Oggi, è la volta della Cina. Con le forze armate cinesi nelle Salomone, vediamo problematica la tenuta dell’AUKUS. La Cina non sarebbe distante dalle Hawaii e potrebbe interrompere le rotte marittime e i collegamenti aerei tra gli Stati Uniti e i loro alleati e partner, Australia e Nuova Zelanda. Cosa farà Tokyo? Questa volta, Washington ha tardato a sostituire il presidente dell’arcipelago con uno a suo favore. Un altro passo di Pechino verso il pieno controllo dell’Oceano Pacifico.

di Gordon G. Chang  •  18 aprile 2022

La Cina comunista si sta muovendo attraverso il Pacifico da un gruppo di isole a un altro e presto l’Esercito Popolare di Liberazione sarà a breve distanza dalle Hawaii. Il nuovo accordo quinquennale tra la Cina e le Isole Salomone, soggetto a rinnovi automatici, consentirà a Pechino di utilizzare le isole come base per le proprie forze armate e di fare più o meno ciò che vuole l’esercito cinese. Nella foto: il premier cinese Li Keqiang indica la strada al primo ministro delle Isole Salomone Manasseh Sogavare, a Pechino, il 9 ottobre 2019. (Foto di Thomas Peter/Pool/AFP tramite Getty Images)

Il 25 marzo, le Isole Salomone hanno annunciato che stavano “estendendo” gli accordi di sicurezza, “diversificando la partnership per la sicurezza del Paese, anche con la Cina”.

L’annuncio ha un tono difensivo. Il giorno prima, gli oppositori di un patto di sicurezza con la Cina hanno fatto trapelare quella che è stata etichettata come una “bozza” di accordo. Il governo del primo ministro Manasseh Sogavare non ha confermato l’autenticità del documento trapelato, ma gli osservatori ritengono che il premier intenda come definitiva quella versione. L’Australia, che ha espresso “grande preoccupazione”, ha confermato l’autenticità della bozza.

Il patto, intitolato “Accordo-quadro tra il governo della Repubblica Popolare cinese e il governo delle Isole Salomone sulla cooperazione in materia di sicurezza”, evidenzia una tendenza inquietante: la Cina, dopo anni di persistenti sforzi commerciali, diplomatici e militari, sta assumendo il controllo del Pacifico.

Pechino si sta muovendo attraverso il Pacifico da un gruppo di isole a un altro e presto l’Esercito Popolare di Liberazione sarà a breve distanza dalle Hawaii.

Secondo quanto detto al Gatestone da Cleo Paskal della Foundation for Defense of Democracies, l’accordo-quadro è frutto di una “decisione unilaterale di Sogavare”. E la Paskal ha sottolineato che “Non c’è stata alcuna consultazione pubblica”.

L’accordo quinquennale, soggetto a rinnovi automatici, consentirà a Pechino di utilizzare le isole come base per le proprie forze armate e di fare più o meno ciò che vogliono i generali e gli ammiragli cinesi. “La Cina”, afferma il patto all’articolo I, “può, secondo le proprie esigenze e con il consenso delle Isole Salomone, effettuare visite navali, rifornimenti logistici, fare scalo e transitare nelle Isole Salomone, e le relative le forze della Cina possono essere utilizzate per proteggere la sicurezza del personale cinese e per importanti progetti nelle Isole Salomone”.

Se applicato nella sua piena estensione, l’accordo-quadro darà alla Cina la possibilità di interrompere le rotte marittime e i collegamenti aerei tra gli Stati Uniti e i loro alleati e partner, Australia e Nuova Zelanda.

Per decenni, Washington ha consentito a Canberra e a Wellington di gestire le Salomone e la loro area, ed entrambe le potenze occidentali, attraverso una combinazione corrosiva di negligenza e condiscendenza, hanno consentito alla Cina di fare importanti incursioni. Pechino, mediante fondi ora circostanziati pubblicamente, in pratica ora controlla il governo di Sogavare.

Non stupisce che il premier delle Isole Salomone stia eseguendo gli ordini di Pechino. Nel 2019, ha trasferito il riconoscimento diplomatico da Taipei a Pechino e, in patria, ha spalancato le porte agli investimenti cinesi.

Sogavare ha inoltre malgovernato il Paese, ad esempio, emarginando Malaita l’isola più popolosa delle Salomone, e ha minacciato il suo governatore, Daniel Suidani. Mettendo a rischio la propria vita, Suidani si è opposto fermamente all’acquisizione da parte cinese delle Salomone.

Nel novembre scorso, il malgoverno di Sogavare ha provocato rivolte sanguinose nella capitale Honiara, sull’isola di Guadalcanal, dove tra il 1942 e il 1943 morirono 1.600 americani nel liberare l’isola dal controllo giapponese.

Per ristabilire l’ordine, l’Australia ha inviato forze di polizia e militari, salvando in tal modo il governo di Sogavare che sembrava sull’orlo del fallimento. Pertanto, l’incauto intervento di Canberra ha consentito a Sogavare di sollecitare a febbraio l’entrata in azione della polizia cinese. La presenza di Pechino ha consolidato la sua presa sul potere.

L’accordo-quadro prevede inoltre, all’articolo 1, che “le Isole Salomone possono, secondo le proprie esigenze, richiedere alla Cina l’invio di polizia, polizia armata, personale militare e altre forze dell’ordine e forze armate per aiutare a mantenere l’ordine sociale, a proteggere la vita e i beni delle persone, a fornire assistenza umanitaria, a prestare soccorso oppure a fornire assistenza per altre funzioni concordate dalle Parti”.

Il 25 marzo, Honiara ha dichiarato che manterrà in vigore il suo accordo di sicurezza del 2018 con Canberra, ma è chiaro che Sogavare sta ricorrendo soltanto alla Cina per l’assistenza della polizia e dell’esercito.

Sogavare, sostenuto dall’esercito di Pechino e dall’accordo-quadro, può di fatto porre fine alla democrazia nelle Salomone. Secondo Cleo Paskal, la quale segue attentamente l’area del Pacifico, il primo ministro sta cercando di posticipare le elezioni. “Se Sogavare può innescare una crisi della sicurezza interna, la userà come scusa per continuare a governare”, osserva l’analista. “La Cina aiuterà il primo ministro a provocare una guerra civile. Quella guerra fornirà a Sogavare una scusa per chiedere l’invio dell’esercito cinese, secondo il nuovo accordo”.

Come la Paskal ha detto al Gatestone, Pechino ha già esacerbato le tensioni in modo da poter venire in “salvataggio del Paese”.

Le tensioni interinsulari che alimentano la crisi in corso non sono una novità. Nel 2000, controversie simili furono risolte dall’accordo di pace di Townsville, che Sograve anche allora primo ministro, non attuò. La Paskal ritiene che l’accordo potrebbe essere la base di un altro accordo.

Le Salomone non sono un esempio isolato dell’infiltrazione cinese nei governi dell’oceano Pacifico. Si dice che la Cina firmerà un accordo di sicurezza con la Papua Nuova Guinea, appena a nord dell’Australia.

Inoltre, la Cina vuole rimodernare una pista di atterraggio nelle isole Kiribati. Pechino afferma che i miglioramenti sono esclusivamente per scopi civili, ma gli usi militari sono evidenti e nessuno crede alle rassicurazioni cinesi.

La struttura si trova a sole 1.900 miglia a sud delle Hawaii, pertanto, relativamente alla loro posizione geografica nel Pacifico le Kiribati sono vicine di casa dell’America.

Gordon G. Chang è l’autore di “The Coming Collapse of China”, è Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute e membro del suo comitato consultivo.

4344.- Il nuovo progetto di sottomarini nucleari australiani movimenta il Pacifico

Parliamo di una politica estera e di difesa europea, di una zona di libero scambio mediterranea e dall’Australia abbiamo un esempio del da farsi in campo navale. Il Blog Ocean 4 Future presenta l’alleanza AUKUS.

17/09/2021Scritto da andrea mucedola

La spinta cinese nel Pacifico preoccupa non poco i Paesi che vi si affacciano. La marina cinese sta avendo uno sviluppo che va oltre le necessità di difesa territoriali, incrementando il suo potere marittimo nella regione. Gli interessi economici sono molteplici: dalle rotte vitali per i flussi commerciali allo sfruttamento dei fondali marini, ricchi di minerali preziosi per le industrie del III millennio. Facendo eco alle proteste statunitensi, anche altri paesi della Regione hanno dato il via ad iniziative politiche e militari. Non ultima quella che potremmo definire storica alleanza tra Australia, Gran Bretagna e Stati Uniti (AUKUS) annunciata dal primo ministro australiano Scott Morrison.

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L’ambiente di sicurezza relativamente favorevole di cui abbiamo goduto per molti decenni nella nostra regione è alle nostre spalle” ha ribadito Morrison, insieme al presidente degli Stati Uniti Joe Biden e al primo ministro del Regno Unito Boris Johnson. “Siamo entrati, senza dubbio, in una nuova era con nuove sfide per l’Australia e per i nostri partner, amici e paesi in tutta la nostra regione“. Morrison ha affermato che verrà elaborato un piano congiunto nei prossimi 18 mesi che comprenderà anche l’assemblaggio della nuova flotta di sottomarini a propulsione nucleare australiana, che sarà costruita ad Adelaide. Sebbene se ne parlasse da tempo, l’Australia ha bisogno di sfruttare le competenze degli Stati Uniti e del Regno Unito per mettere in servizio una propria capacità nella sorveglianza subacquea.Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è cubmarine-class-collins.jpg

un sommergibile classe Collins ai lavori 

Il progetto renderà l’Australia il settimo paese al mondo ad avere sottomarini a propulsione nucleare. Morrison ha comunque sottolineato che l’Australia non sta cercando di stabilire un’industria nucleare o una capacità nucleare civile e continuerà a rispettare gli obblighi di non proliferazione nucleare. Inoltre, si è impegnata ad “aderire ai più alti standard di salvaguardia, trasparenza, verifica e misure contabili per garantire la non proliferazione, la sicurezza e la sicurezza del materiale e della tecnologia nucleare“.Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è videoconferenza-aukus-morrison-biden-jonhson-1024x614.jpg

l’annuncio del trilaterale AUKUS che prevede il progetto dei nuovi sottomarini nucleari – photo credit AAP

In parallelo l’Australia ha annullato il suo contratto di sottomarini da 90 miliardi di dollari con la Francia suscitando non poche proteste da parte dei Francesi che è stato seguito un incontro tra Morrison, Biden e Johnson al G7 ed un incontro separato tra il primo ministro australiano e il presidente francese Emmanuel Macron a Parigi.

Per memoria, l’Australia aveva pianificato l’acquisizione di 12 nuovi sottomarini classe Attack nell’ambito di un programma da 90 miliardi di dollari con il gruppo navale francese (DCNS), considerato la più grande acquisizione nell’ambito della Difesa australiana degli ultimi anni. In articolare, il 30 novembre 2015, DCNS con Thales aveva consegnato la sua proposta per il progetto Shortfin Barracuda Block 1A (una variante diesel-elettrica del sottomarino nucleare di classe Barracuda in costruzione per la Marina francese) al Dipartimento della Difesa del Commonwealth of Australia. Di fatto il programma fu da subito afflitto da ritardi, straordinari aumenti dei costi e controversie sul coinvolgimento dell’industria locale. Un programma, quello con i Francesi, che prevedeva la consegna del primo dei nuovi sottomarini nel 2034, seguito ogni due anni da un nuovo battello in sostituzione degli attuali sei sottomarini classe Collins.Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è classe-collinsHMAS_Rankin_2006.jpg

Il sommergibile australiano HMAS Rankin, 2006 – photo credit Specialista comunicazioni James R. Evans USN (rilasciato) 

A marzo l’allora ministro della Difesa in carica, Marise Payne, aveva cercato di rinegoziare il progetto con i Francesi, richiedendo di spendere almeno il 60% del valore del contratto in Australia per tutta la durata del programma. Ma la strada si presentò da subito in salita. Quando Morrison incontrò Macron a Parigi a giugno, dopo il vertice del G7 nel Regno Unito, affermò che il presidente francese stava “assumendo un ruolo molto attivo” nella risoluzione dei problemi con il contratto, “ma c’è ancora molta strada da fare”. Ora sembra che tutto si sia interrotto definitivamente.Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è liaoning_2016_cina-1024x683-1.jpg

la portaerei Liaoning, la prima unità navale di questo tipo entrata in servizio nella marina del PLA (People’s Liberation Army). Una ex unità sovietica, viene classificata come “nave per esperienze” per addestrare e familiarizzare i piloti imbarcati, ma l’unità è a tutti gli effetti in grado di essere impiegata in combattimento dal 2016. Precede la Shandong, la prima costruita completamente in Cina che va a complementare la capacità di proiezione delle forze aeronavali a protezione delle nuove rotte commerciali marine lungo quella che il Presidente cinese definisce la “Via della Seta Marittima del XXI Secolo”, dall’Asia verso Europa e Africa. 

Ovviamente la conferenza stampa che ha ufficializzato l’AUKUS non è piaciuta alla Cina che ha sottolineato come il patto USA-Regno Unito-Australia potrebbe “ferire i propri interessi“. Non sono mancate proteste interne da parte dei laburisti, storicamente opposti allo sviluppo dell’impiego dell’energia nucleare in Australia. Anche alcuni Paesi, come la Nuova Zelanda, hanno assunto delle forti posizioni di chiusura sul transito di questa futura classe di sottomarini nucleari nelle loro acque. Una posizione ribadita dal primo ministro Jacinda Ardern che, nonostante la Nuova Zelanda abbia stretti legami di sicurezza e intelligence con le tre nazioni, che sono tutte membri dell’alleanza Five Eyes, insieme al Canada, ha sottolineato la posizione antinucleare del suo partito.Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Jacinda-Ardern.jpg

Jacinda Ardern, attuale Primo ministro della Nuova Zelanda e capo del Partito Laburista della Nuova Zelanda dal 26 ottobre 2017.

Jacinda Ardern ha dichiarato che la flotta di sottomarini nucleari australiani sarà bandita dalle acque della Nuova Zelanda, ribadendo il divieto al transito di navi a propulsione nucleare di qualsiasi nazione nelle loro acque. Interessante la dichiarazione della Arden sul fatto che “La Nuova Zelanda è prima di tutto una nazione del Pacifico e osserviamo gli sviluppi della politica estera attraverso la lente di ciò che è nel migliore interesse della regione”. Ciò nonostante ha dichiarato “Accogliamo con favore il maggiore impegno del Regno Unito e degli Stati Uniti nella regione e ribadiamo che il nostro obiettivo collettivo deve essere la consegna della pace e della stabilità e la conservazione del sistema basato sulle regole internazionali“.

In sintesi, il Pacifico si conferma un’area di grande interesse geopolitico per i prossimi anni, in cui sarebbe opportuno investire anche in termini di presenza per non essere, come spesso accade, a rimorchio degli altri.

Andrea Mucedola