Archivio mensile:ottobre 2014

L’ACCORDO STRATEGICO TRANSPACIFICO DI COOPERAZIONE ECONOMICA (TPP): DUBBI E RIFLESSIONI

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Dopo la serata sul TTIP e a suo completamento, proponiamo questa traduzione in quanto molto interessati alle forme di aggregazioni in generale e particolarmente a quelle proposte dagli Stati Uniti. Essendo ventilata l’ipotesi di un accordo di libero scambio fra Europa e Usa, bisogna porgere l’attenzione alle esperienze già in atto per capirne la reale portata. Un accordo con una super potenza di quel tipo, alla quale già paghiamo abbondantemente la politica estera attraverso la Nato, sarebbe un ulteriore colpo alle disastrate società europee?

 

L’accordo strategico transpacifico di cooperazione economica (TPP) è un accordo oppressivo di libero commercio guidato dagli USA, in cui il reale potere di cooperazione condivisa è pari all’1%

Uno dei temi meno discussi e meno riportati dall’informazione riguarda gli sforzi dell’amministrazione Obama di mettere in atto e dar priorità agli accordi strategici transpacifici per la cooperazione economica,  soffocanti accordi plurilaterale per il commercio, che vedono a capo gli Stati Uniti, attualmente in corso di negoziazione con diversi Stati che si affacciano sul Pacifico. 
Seicento società di consulenza aziendale hanno negoziato e sono entrate nel TPP anche se il testo della proposta di accordo non è stato ancora reso pubblico per la stampa e per la società politica. Il livello di sicurezza impiegato per questo accordo non ha precedenti: gruppi paramilitari circondano le sedi di ogni riunione ed elicotteri pattugliano i cieli. Gli organi di stampa impongono un silenzio quasi totale sull’argomento e addirittura al Senatore americano Ron Wyden, presidente del comitato del congresso con poteri giurisdizionali sopra la TPP, è stato negato l’accesso al testo relativo al negoziato. “La maggioranza dei componenti del congresso è tenuta all’oscuro degli argomenti di negoziazione del TPP, mentre i rappresentanti delle multinazionali statunitensi come Halliburton, Chevron, PhaRMA, Comcast e la Motion Picture Association of America vengono consultati e sono a conoscenza dei dettagli dell’accordo” ha dichiarato Wyden in una dichiarazione al Congresso.

In aggiunta agli USA gli altri Stati che partecipano ai negoziati sono: Australia, Brunei, Cile, Canada, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam. Il Giappone ha espresso il desiderio di divenire un partner commerciale, ma non ha ancora preso parte ai negoziati in parte a causa delle pressioni pubbliche volte ad evitarlo. Il TPP imporrebbe regolamentazioni punitive che darebbero alle corporation multinazionali diritti mai avuti in precedenza, in grado di chiedere ai contribuenti dei risarcimenti per eventuali politiche contrarie alle loro aspettative di profitto direttamente dalle casse delle nazioni coinvolte – ciò spingerebbe un’azienda come la Big PhaRMA a mettere nella sua agenda lo sviluppo di un sistema mondiale per un controllo sui medicinali, limitando drasticamente le possibilità di accesso ai farmaci generici, di costo inferiore, dai quali dipendono le persone. Il TPP minerebbe anche la sicurezza alimentare con la limitazione delle etichettature e costringendo Stati come gli USA a importare cibo che non soddisfi i propri standard di sicurezza a livello nazionale, in aggiunta mettendo al bando Buy America o Buy Local.

In base alle bozze d’accordo trapelate, il TPP imporrà anche una serie di protezioni per gli investitori volte ad incentivare la delocalizzazione del lavoro attraverso speciali incentivi alle imprese – il TPP soffoca le innovazioni pretendendo dai fornitori dei servizi internet controlli diretti dalla polizia all’utente equiparando di fatto i download individuali ai download su larga scala di coloro che traggono profitto da tale violazione. Più prevedibilmente, ridurrà le regolamentazioni evitando gli intoppi relativi ai servizi finanziari più rischiosi, impedendo alle nazioni firmatarie di esercitare la capacità di perseguire in modo indipendente una politica monetaria e i controlli sui capitali emessi.  I firmatari dovranno consentire il libero flusso dei derivati , la speculazione sulla valuta e altri sistemi di manipolazione finanziaria. La partnership a guida statunitense – che cerca di imporre una globalizzazione modello “Shock and Awe” che si propone di abolire la responsabilità delle società multinazionali nei confronti dei governi dei Paesi con cui commerciano, facendo in modo che i governi firmatari debbano rendere conto alle corporation per i costi imposti da leggi e regolamenti nazionali, compresi salute, sicurezza e ambiente. La proposta di legge sulla proprietà intellettuale avrà enormi implicazioni per i firmatari del TPP, tra cui il divieto dell’uso di internet per le case private, le imprese e le organizzazioni come pena riconosciuta in seguito alla violazione dei diritti d’autore. Le nazioni firmatarie si sottoporrebbero sostanzialmente a delle restrizioni oppressive di indirizzi IP progettati appositamente dai cartelli dei diritti d’autore di Hollywood, limitando in maniera notevole la capacità di scambiare informazioni per via virtuale su siti come YouTube, dove i video in streaming sono considerati coperti da copyright. «Diritti d’autore e diritti di proprietà intellettuale richiesti in maniera più ampia dagli USA, bloccherebbero la rete, soffocherebbero le ricerche ed aumenterebbero i costi dell’educazione, attraverso l’estensione del lungo copyright dai 70 ai 120 anni, rendendo inoltre un reato penale la memorizzazione temporanea dei file su un computer senza autorizzazione. Gli USA, in qualità di esportatore netto di informazioni digitali, sarebbero gli unici beneficiari di queste misure», ha dichiarato Patricia Ranald al convegno dell’Australian Fair Trade and Investment Network.

Nel rapporto investitore privato–Stato il TPP sta tentando di far si che le corporation straniere possano citare in giudizio i governi nazionali, sottomettendo i Paesi firmatari alla giurisdizione di tribunali arbitrari di investitori, gestiti da avvocati privati. I tribunali internazionali potrebbero avere la facoltà di ordinare ai governi di pagare dalle casse dello Stato risarcimenti in contanti virtualmente illimitati a corporation straniere, nel caso in cui la politica di un nuovo o esistente governo andasse a condizionare i futuri guadagni degli investitori. Il contribuente di ogni Paese firmatario dovrà assumersi sulle proprie spalle ogni eventuale compensazione che dovrà essere versata agli investitori privati e le società straniere, oltre ai grandi compensi orari per i tribunali e le spese legali. Un buon esempio di come questo accordo neutralizzi la sovranità nazionale viene dalla Malesia, che è stata in grado di recuperare dalla crisi finanziaria asiatica del 1997 in modo più rapido rispetto ai suoi vicini con l’introduzione di una serie di misure di controllo dei capitali sul ringgit malese per evitare speculazioni dall’estero. Il TPP, tra l’altro, propone misure che dovrebbero limitare nazioni firmatarie dall’esercitare controlli sui capitali per prevenire e mitigare le crisi finanziarie e per promuovere la stabilità finanziaria.

Il regime del TPP assicura agli investitori stranieri e alle multinazionali il pieno diritto di minare la sovranità delle nazioni firmatarie evitando normative nazionali e limitando le capacità dei governi nazionali di condurre una politica economica autonoma. Non ci sono precedenti di un tale assalto congiunto alla sovranità nazionale, inclusa quella degli Stati Uniti. Documenti del TPP trapelati, mettono in evidenza come l’amministrazione Obama intenda cedere la sovranità degli Stati Uniti a tribunali internazionali che operano in base alle norme delle Nazioni Unite e la Banca Mondiale per risolvere le controversie derivanti dal TPP, destinate in maniera specifica a escludere il Congresso  dalla creazione di una autorità giudiziaria superiore alla corte suprema degli Stati Uniti. In teoria, il TPP darebbe a enti giudiziari internazionali il potere di annullare le leggi degli Stati Uniti, permettendo alle aziende straniere che fanno affari negli Stati Uniti il privilegio di operare in un contesto giuridico che darebbe loro significativi vantaggi economici rispetto alle imprese americane che rimangono legate alle leggi degli Stati Uniti, mettendo le imprese nazionali, che non si muovono all’estero, in condizioni di svantaggio competitivo.

Di fronte all’emergere di forti economie in via di sviluppo come i BRICS e le altre nazioni che cercano un sempre maggiore accesso alla crescita industriale e lo sviluppo, l’amministrazione Obama si rende conto che essa deve offrire agli Stati del Pacifico – i quali, di contro, avrebbero maggiori incentivi ad approfondire i legami economici con la Cina – un’attraente partecipazione nell’economia americana. Mentre il Pentagono insedia nuovamente la sua forza militare nella la regione Asia-Pacifico, il TPP diviene chiaramente il braccio economico della politica dell’ “Asia Pivot”, legando le economie strategiche in un regime di corporate-governance giuridicamente vincolante, adescandole con la promessa di libero accesso ai mercati degli Stati Uniti. L’amministrazione Obama sta essenzialmente facendo “prostituire” il consumatore americano alle società straniere per inaugurare un accordo che imporrebbe “una misura unica” a tutte le norme internazionali che ancora limitano il diritto del governo degli Stati Uniti per regolare gli investimenti stranieri e per l’appropriazione delle risorse naturali. In tal maniera si conseguirebbe la solidità per un governo mondiale supportato dalla finanza e dal capitale, di cui tanto a lungo si era discusso.

Dei 26 capitoli della bozza proposta del TPP, si segnala che solo due capitoli riguardano le questioni commerciali, relativi a taglio delle tariffe e all’innalzamento delle quote. Il TPP potrebbe obbligare il governo federale a forzare gli Stati degli USA a conformarsi alle leggi dello Stato per oltre mille pagine di disposizioni dettagliate e vincoli non correlati al commercio – dall’utilizzo del suolo fino ai diritti di proprietà intellettuale. Tutto ciò autorizza le autorità federali a usare tutti i mezzi possibili per convincere gli Stati a rispettare le regole TPP, anche imponendo sanzioni se non riescono a farlo. Secondo informazioni ufficiose dai documenti trapelati, gli standard degli Stati Uniti per la protezione dei diritti di proprietà verrebbero spazzati via in favore di standard internazionali dei diritti di proprietà, come interpretato dai tribunali internazionali non eletti del TPP, dando così agli investitori il controllo su suolo pubblico e di risorse “che non sono ad uso esclusivo o a predominante beneficio del governo”.

A causa della natura incostituzionale del TPP, i membri del Congresso potrebbero probabilmente opporsi a molte delle sue disposizioni – e naturalmente, l’amministrazione Obama sta ora impiegando il suo braccio esecutivo per limitare l’autorità del Congresso operando sotto una sorta di “autorità preferenziale”, una disposizione commerciale che richiede al congresso di rivedere  l’accordo di libero scambio con un dibattito limitato e per un breve tempo.  La risposta possibile sarà un “sì o no” secco, in modo da rassicurare i partner stranieri. L’accordo di libero scambio che, una volta firmato non verrà sottoposto a modifiche durante il processo legislativo, non viene cambiato nel corso del processo legislativo. Non sono state prese misure ufficiali per consultare il Congresso, mentre il trattato continua ad essere negoziato, e Obama sembra determinato a trasformare il trattato in legge. Tale è la natura nociva delle politiche statunitensi che cercano di portare i disastri del capitalismo su scala globale, pur mantenendo nella più completa oscurità le persone comuni, ovvero coloro che più risentiranno nelle proprie vite di tutto ciò. Il messaggio dietro questo grande “furto con scasso” senza restrizioni è semplice – “Inchinatevi!”.

Recenti statistiche affermano che la produzione economica combinata di Brasile, Cina e India supererà quella di Canada, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti entro il 2020. Più dell’80% della classe media del mondo vivrà a sud entro il 2030, un mondo completamente diverso da quello attuale. Gli Stati Uniti sono economicamente in difficoltà, e il TPP – sogno erotico di Wall Street e la risposta di Washington alla diminuzione della performance economica – è stato progettato per permettere agli USA di fare grandi business con una maggiore partecipazione nella regione emergente del Pacifico attraverso l’imposizione di un modello economico di sfruttamento sui Paesi firmatari che esenti le multinazionali e investitori privati da qualsiasi forma di responsabilità pubblica. Le origini del TPP risalgono alla seconda amministrazione Bush, e rimane ancora nelle fasi negoziali. L’evidente mancanza di trasparenza che circonda i colloqui porta a credere a ciò che è già noto – che il contenuto di questo accordo commerciale sia al servizio degli interessi di chi è sulla cima della catena alimentare economica, mentre il resto di noi ristagnerà nel menù.

Nile Bowie è un analista politico indipendente e fotografo che vive a Kuala Lumpur, in Malesia. È possibile contattarlo all’indirizzo: nilebowie@gmail.com

INTERCETTAZIONE DEI CACCIA O MONITORAGGIO DEGLI SPAZI AEREI RUSSI ?

L’excalation della politica aggressiva della Nato verso la Russia è continuata con il rischieramento degli AWACS da ricognizione in Polonia e Romania per monitorare la crisi ucraina. Lo riferisce la BBC .

L’attività degli AWACS è iniziata subito monitorando l’attività di volo dei russi nelle acque internazionali e nei loro spazi aerei, controllati da loro.

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Ecco i bollettini di guerra:

“Aerei di paesi della Nato sono decollati da quattro località diverse in missione di intercettazione dei caccia russi tra ieri e oggi. Lo riferisce la Nato, in un comunicato precisando che si è trattato di aerei portoghesi, turchi tedeschi, britannici e norvegesi. Ma sappiamo che 6 F-16 della base di Aviano sono stati rischierati anch’essi e partecipano alle operazioni. E cominciano gli annunci dal “fronte”: Sono almeno 26 i voli militari russi intercettati dalla Nato e, secondo l’Alleanza, molti di essi «pongono rischi all’aviazione civile perché non hanno piani di volo o non usano trasponder, quindi il controllo aereo civile non può vederli né assicurare che non interferiscano con i voli civili».

La Nato ha «rilevato e monitorato quattro gruppi di aerei militari russi», si legge nel comunicato, «mentre conducevano manovre militari significative il 28 e 29 ottobre 2014». Secondo la ricostruzione della Nato i movimenti rilevati sono i seguenti: «1) alle tre del mattino otto aerei russi hanno sorvolato il mare del Nord nello spazio aereo “internazionale”, avvicinandosi alla Norvegia. Due di questi aerei hanno poi proseguito verso l’Oceano Atlantico, allertando l’aviazione norvegese, britannica e portoghese; 2) nel pomeriggio di oggi quattro aerei russi hanno sorvolato il mar Nero, mantenendosi nello spazio aereo internazionale e allertando l’aviazione turca; 3) nel pomeriggio di oggi alcuni aerei russi hanno sorvolato il mar Baltico, mantenendosi nello spazio aereo internazionale; 4) nel pomeriggio di ieri sette aerei russi hano sorvolato il mar Baltico, mantendosi nello spazio aereo internazionale e allertando l’aviazione tedesca, danese, finlandese e svedese».

«Otto aerei russi sono stati intercettati da F-16 dell’aviazione norvegese mentre volavano in formazione sul Mare del Nord/Oceano Atlantico, e li hanno identificati». Si tratta di quattro “Tu-95 Bear H”, bombardieri strategici, e quattro “Il-78”, aerei cisterna. La formazione volava dalla Russia sopra il mare di Norvegia in spazio internazionale. Sei dei velivoli russi sono tornati indietro tornando verso la Russia, mentre due hanno proseguito a Sud-Ovest paralleli alla costa norvegese. Il bomber e gli aerei cisterna non avevano piani di volo e non hanno mantenuto contatto con il controllo dell’aviazione civile perché non usavano transponder. «Questo pone rischi all’aviazione civile perché il controllo aereo non riesce a controllarli».

«Quattro sono stati intercettati sul Mar Nero, il 29 ottobre, nel pomeriggio, tra cui due bombardieri Tu-95 Bear-H e due jet d’attacco Su-27. Alle 4 erano ancora operativi nei cieli», si legge ancora.

Infine,«molteplici aerei sono stati intercettati sul baltico, il 29 ottobre, tra cui due MiG-31, due Su-34, un Su-27 e due Su-24. F-16 portoghesi assegnati alla missione di pattugliamento del Baltico, sono stati fatti decollare in urgenza e gli aerei russi sono tornati nel loro spazio aereo».

Altri sette Jet sono stati intercettati il 28 ottobre sempre nel baltico, alle 2.30 del pomeriggio. «La Nato ha intercettato oltre cento velivoli russi nel 2014, circa tre volte il numero del 2013», si legge ancora.”

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Un monte di baggianate!
1. dire che i caccia russi interessano lo spazio aereo europeo e’ fuorviante se volano nello spazio aereo russo e sicuramente non possono interferire con il traffico civile perche’ o volano al di fuori delle aerovie o sono sotto controllo del ATC russo responsabile per l’area.
2. se volano nello spazio aereo di paesi della UE e quindi NATO costituiscono un violazione e vengono intercettati dai caccia della NATO.
Leggendo poi l’articolo si evince che volavano in acque internazionali.
Nei giorni scorsi la NATO ha svolto esercitazioni aeronavali nel Mar Baltico ed in Lituania cioe nelle stesso spazio aereo internazionale, ma nessuno si e’ sognato di dire che poteva rappresentare un pericolo per il traffico aereo civile.

3. Infine, si legge ancora: «La Nato ha intercettato oltre cento velivoli russi nel 2014, circa tre volte il numero del 2013», cioè, a dire che nel 2014, la NATO ha triplicato la sua attività provocatoria negli spazi aerei internazionali nei confronti della Russia. Ma Putin non si farà agganciare.

L’ITALIA STAZIONE DI QUARANTENA DELLA NATO PER EBOLA

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100 militari americani in isolamento a Vicenza dopo una missione in Liberia: il generale Darry Williams in videoconferenza racconta come si svolge la quarantena di 87 uomini: 11 sono già arrivati, altri 75 giungeranno in Italia tra domani e sabato. – Intervistati: Generale DARRY WILLIAMS (Comandante UsArmy in Africa).

La politica dettata dalle multinazionali passa sopra ogni diritto, al punto che la sua comprensione sfugge alla logica. Chi mai, infatti, avendo la responsabilità della salute del suo popolo consentirebbe che soldati di un governo straniero, provenienti da un’area gravemente infetta, epidemica, giungessero in Italia, in Veneto, a verificare la loro non contaminazione in stato di quarantena, mettendo così a rischio gli italiani. Chi l’ha voluto e perché? Perché sono atterrati a Venezia e non negli Stati Uniti? La risposta è semplice. Se Obama soltanto pensasse di riportarne uno negli USA, esploderebbe la psicosl, perché il rischio c’è.  Ebola è sempre esistito, ma il virus moriva insieme al villaggio contaminato. Il suo pericolo, oggi, è moltiplicato dalle reti di comunicazione. E, anziché stendere un cordone sanitario, cosa fanno i “cari alleati”? Lo esportano in Italia.

Ma altre domande sorgerebbero a fianco. Quante migliaia di paracadutisti americani (sono armati) occupano l’Italia? Cosa c’entra la Liberia con la NATO? A che, anzi a chi serve più la NATO? Era un’alleanza difensiva ed è divenuta offensiva, in progressiva, continua espansione, inventando un falso nemico dopo l’altro. Ricordate le armi di distruzione di massa di Saddam? Così, l’Unione Europea. Doveva mirare alla crescita sociale e, invece, la sacrifica in nome del profitto per il profitto. Nella mia gioventù, sognavamo un’Europa senza più confini fra i suoi stati e, invece, abbiamo un intero continente senza più confini, dove le multinazionali dei finanzieri e della malavita spadroneggiano libere. Libere, ma non ancora abbastanza. perché ci siamo noi con la trama dei nostri principi, ancora con le nostre leggi a tutela dell’ambiente, della salute, dell’alimentazione. Guardando alla dispensa, non più ricca come pochi anni fa, vien da dire: L’Europa e la NATO han fatto i vermi. E noi?

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IL NODO IRRISOLTO DEL NAGORNO-KARABACH

È una questione poco conosciuta, ma molto complessa, quella della regione separatista dell’Azerbaigian, a cavallo tra Armenia e Turchia. Interessi geopolitici ed economici si sovrappongono, rendendo l’area ‘stabilmente instabile’.

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LE ORIGINI – Nota come frozen conflict (conflitto congelato), la questione della minoranza nazionale del Nagorno-Karabach, connessa alla storica presenza di turchi azeri, cristiani armeni e altre etnie, rimane tuttora irrisolta. È il 20 febbraio 1988 quando la maggioranza armena del Soviet della regione autonoma del Nagorno-Karabach, parte integrante della Repubblica socialista sovietica dell’Azerbaijan, delibera il passaggio dell’amministrazione del territorio alla Repubblica socialista sovietica dell’Armenia. Lo scontro ha inizio. Mentre la reazione della Russia di Gorbaciov, nel luglio 1988, fu tesa a mantenere lo status quo per i confini interni alle Repubbliche socialiste sovietiche, l’Armenia reagì con la formazione di un Comitato armeno del Karabach, e l’Azerbaijan con la mobilitazione del Fronte popolare. Il riferimento al principio di autodeterminazione dei popoli e la legislazione sovietica (che garantiva alle Repubbliche autonome il diritto di unirsi o separarsi dall’URSS) portarono de facto alla proclamazione unilaterale dell’indipendenza della Repubblica del Nagorno-Karabach, il 6 gennaio 1992, con capitale Step’anakert. Alla fine del 1993 l’Armenia riuscì a consolidare la compattezza territoriale del Karabach e il bilancio fu di un milione di profughi e circa 30mila vittime tra civili e militari di entrambi gli schieramenti. Il cessate il fuoco arrivò solo il 12 maggio 1994 a seguito dell’accordo di Bishkek, che tuttavia non portò alla firma di alcun trattato di pace. La guerra non è mai finita davvero. Gli Stati della regione (quali Iran, Turkmenistan, Federazione russa), unitamente alle iniziative delle Nazioni Unite, tentarono di proporre accordi di mediazione tra le parti in causa, a partire dalle quattro risoluzioni ONU per la cessazione degli scontri e il rispetto dei conflitti nazionali. Contestualmente la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (l’odierna OSCE, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) propose la creazione del Gruppo Minsk, composto dagli undici Paesi OSCE e attualmente presieduto dalla Federazione russa, dalla Francia e dagli Stati Uniti. Nonostante il processo di Praga del 2004 (teso a incentivare rapporti e trattative dirette tra i Governi protagonisti dello scontro) e l’avvio di un processo di mediazione e pace nel 2007 fondato sui principi di Madrid, gli scontri rimasero in una situazione di stallo, tra la ricerca di un compromesso e una graduale transizione verso la guerra. E anche sulla natura di quest’ultima sussiste una certa indecisione: per l’Armenia si tratta di guerra di liberazione, per l’Azerbaijan di guerra d’aggressione e per il Nagorno-Karabach di guerra di secessione.
LA RIPRESA DEL CONFLITTO – In Nagorno-Karabach non è tanto il conflitto a essere congelato, bensì il processo di pace. A testimoniarlo, a partire da fine luglio, l’escalation militare sulla linea del fronte e circa 20 morti (questi i dati forniti dai due Governi in mancanza di osservatori internazionali nel territorio). Oltre a mettere in discussione il rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario, il conflitto risulta avere serie ripercussioni per l’equilibrio geopolitico della regione. Innanzitutto la Repubblica del Nagorno-Karabach non è riconosciuta da alcuno Stato al mondo, men che meno dall’Armenia. Nonostante il Governo di Step’anakert cerchi di creare una struttura statale, attraverso l’organizzazione di regolari esercizi elettorali e l’istituzione di nuove pratiche rituali connesse alla celebrazione del ventitreesimo anniversario della “indipendenza”, l’Azerbaijan rifiuta la sua partecipazione ai negoziati, ritenendo l’Armenia lo Stato aggressore. Il nodo del Karabach regola dunque la politica interna dei due Stati, il cui sviluppo economico negli ultimi dieci anni è stato completamente diverso. Mentre in Armenia, dal 2002 al 2012, il PIL è cresciuto da 2 a 10 miliardi, l’Azerbaijan ha avuto un maggiore sviluppo sia economico sia militare, contando su un aumento del PIL da 6 a 60 miliardi di dollari. L’ascesa del Governo di Baku a potenza energetica ha fornito sufficienti risorse per ampliare la propria forza militare e la propria influenza a livello internazionale. Nel 2014 l’Azerbaijan ha infatti dichiarato di voler aumentare le spese militari del 7,1%, più dell’intero bilancio nazionale armeno (fonte APA- Azerbaijan Press Agency).

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LO SCACCHIERE INTERNAZIONALE – L’intera regione caucasica rimane un’area stabilmente instabile, in cui gli interessi delle potenze internazionali sono in continuo contrasto. Gli attori che sfruttano le rivalità del Karabach sono innanzitutto due dei tre Paesi che costituiscono la trojka del Gruppo Minsk, Russia e Stati Uniti, seguiti dal Governo di Ankara. Quest’ultimo ritiene il nodo del Karabach un serio ostacolo al proprio piano geoeconomico di garantire un equilibrio regionale. Tuttavia, la Turchia ha fornito al Governo di Baku il proprio sostegno incondizionato in caso di necessità, a seguito di un accordo di assistenza militare siglato nel 2010. Il ruolo della Russia nella regione è stato, sin dall’inizio, quello di arbitro nelle dinamiche regionali. Da un lato, a seguito della ristrutturazione della 102a base militare, la Russia ha segnalato un possibile coinvolgimento a fianco dell’Armenia in caso di attacco da parte dell’Azerbaijan. Dall’altro lato, il Governo di Mosca e Baku hanno firmato un accordo per la fornitura di armamenti, necessario a causa dell’embargo mantenuto dalla maggior parte dei Paesi NATO. Infine, gli Stati Uniti si trovano sia a dover regolare le pressioni delle lobby armene, sia a mantenere il ruolo della Turchia nel corridoio di collegamento eurasiatico. L’Azerbaijan riveste, infatti, una fondamentale influenza per i collegamenti del corridoio energetico est-ovest che permette il passaggio delle risorse di petrolio e gas dai giacimenti centro-asiatici ai mercati europei, attraverso la Turchia. Un simile assetto sembrerebbe, dunque, escludere o almeno limitare lo scoppio di una nuova guerra. Tuttavia gli equilibri reali della regione risultano estremamente fragili e fraintendibili, tali da far raggiungere dimensioni imprevedibili.

LA VALUTA CINESE INSIDIA IL DOLLARO COME MONETA DI RISERVA INTERNAZIONALE

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1 Euro = 1.6177 Dollaro di Singapore
1 Dollaro di Singapore = 0.6182 Euro
1 Dollaro USA= 1.2759 Dollaro di Singapore
1 Dollaro di Singapore = 0.7838 Dollari USA

Il governo di Pechino ha annunciato di essere pronto a consentire il trading diretto tra la valuta nazionale, il renmimbi, e il dollaro di Singapore. La notizia è uscita sul The BricsPost il sito di informazione specializzato nel diffondere le notizie che riguardano i Paesi Brics ( Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).

L’annuncio è stato dato dal CFETS (China Foreign Exchange Trade System) e prevede l’autorizzazione per gli operatori finanziari a negoziare sul mercato a pronti (spot), a termine (forward) e contratti swap (scambio di pagamenti tra due valute) lo scambio tra il renmimbi e le altre più importanti valute mondiali tra le quali adesso anche il dollaro di Singapore. La decisione presa dal governo cinese, che consentirà di ridurre oltre al costo delle transazioni anche il rischio di cambio, è finalizzata ad aumentare l’utilizzo del renmimbi nelle transazioni internazionali per consentire così alla valuta cinese di diventare una valida alternativa al dollaro americano come moneta di riserva.

Ed è forse questa la vera notizia. Se infatti fino ad oggi il tasso di cambio tra il renmimbi cinese e il dollaro di Singapore era calcolato utilizzando il dollaro americano, questo da domani non avverrà più. La transazione avverrà direttamente e i valori utilizzati saranno soltanto i due che riguardano lo scambio. Questa notizia rinforza le convinzioni espresse dal presidente di Bank of China, Tian Guoli, in un’intervista rilasciata per la Class Cnbc e pubblicata da Milano Finanza, rilasciata in occasione del vertice Asem di Milano, lo scorso 14 ottobre. Guoli si era detto convinto che il renmimbi nei prossimi anni sarà l’assoluto protagonista come valuta di riserva mondiale insieme al dollaro americano e all’euro. Ma se lo stato di salute della moneta unica è reso sempre precario dalla debolezza dei fondamentali macroeconomici dell’Eurozona, primo tra tutti una ripresa che stenta ad arrivare a fronte di una recessione ormai cronica in Paesi come l’Italia, lo stesso non può dirsi per quanto riguarda il dollaro americano.

A dimostrazione di ciò c’è proprio l’andamento del tasso di cambio tra le due valute che da settimane registra un trend di apprezzamento costante del dollaro rispetto all’euro. E tra gli economisti sono in molti a credere che nel 2015 si potrebbe arrivare anche alla parità tra le due valute. In un quadro siffatto, si sta inserendo la crescita costante del renmimbi sia nelle transazioni che all’interno dei portafogli degli investitori internazionali. Le ragioni del successo non sono spiegate soltanto guardando i fondamentali dell’economia cinese che anche quest’anno registra un tasso di crescita di oltre 7 punti percentuali ma anche, come ha spiegato lo stesso Tian Guoli, dagli accordi stipulati dal governo cinese in ambito commerciale. Come ad esempio gli accordi di collaborazione in Renmimbi stretti con Inghilterra e Francia in modo di stimolare la presenza sui mercati internazionali di prodotti il cui valore è espresso in moneta cinese. Tra questi, è notizia della scorsa settimana, la scelta operata dal governo inglese di emettere per la prima volta obbligazioni statali in moneta cinese.

Simone Nastasi

DALL’EXPO AL MOSE, TRA GARE DECISE A TAVOLINO E FATTURE GONFIATE

http://shar.es/10HjwB

Dall’Expo al Mose, tra gare decise a tavolino e fatture gonfiate, chi si prenderà i fondi neri e come?

Le due grandi inchieste che hanno messo sottosopra gli organigrammi delle galassie che vivevano intorno ai lavori per l’Expo di Milano e alla maxi diga del Mose di Venezia, rischiano di arenarsi nelle secche dei patteggiamenti e delle prescrizioni. Stefania Rimini ricostruisce un sistema trasversale, che tocca politici, funzionari di amministrazioni locali e di aziende partecipate, ma anche alti ufficiali dello Stato, faccendieri, imprenditori pronti a pagare. Alla fine ognuno ha un proprio tornaconto a spese dei contribuenti.

Vedremo le tecniche di tangenti a 2.0 che sono molto più sofisticate della vecchia valigetta di contanti da portare in Svizzera. Ma soprattutto ci chiederemo: com’è possibile che per tanti anni nessuno si accorga di niente?

Uno dei pilastri di questo sistema di corruzione organizzato è fornito proprio dalla normativa. A volte sembra quasi che le norme siano state disegnate da esperti in corruzione, attenti a individuare la scorciatoia migliore per consentire l’elusione delle regole.

E d’altra parte, chi legifera, chi deve mettere in pratica le regole e chi deve controllare in questa brutta storia è, in buona parte, anche il beneficiario di questo sistema che non lascia scampo alle imprese che si rifiutano di stare al gioco.

Eppure la stessa Associazione nazionale Costruttori a più riprese ha proposto nuove regole per gli appalti che garantiscano trasparenza e pari opportunità: la politica ha sempre nicchiato. Anzi, proprio in contemporanea con gli scandali Expo e Mose, entra in vigore la legge delega 67/2014, che introduce la “messa in prova”, una norma che di fatto consente di estinguere reati puniti con pene fino a 4 anni di reclusione tra cui addirittura l’omessa dichiarazione, la dichiarazione infedele, il falso in bilancio, le false comunicazioni sociali, la corruzione tra privati: il passo verso l’impunità totale è breve.

La trattativa Stato-Mafia di Sabina Guzzanti

L’avvocato del boss Totò Riina potrà interrogare in gran segreto, domani, il Capo dello Stato nel processo sulla trattativa Stato-Mafia e potrà porre domande a Napolitano su quanto accadde fra il 1993 e il 1994. Il Passaparola di oggi è di Sabina Guzzanti regista del film La Trattativa. Film che invito tutti gli italiani a vedere e far vedere nelle poche sale cinematografiche che lo hanno accolto prima che sparisca dalla circolazione tra pochi giorni. Un film che dovrebbe essere proiettato nelle scuole e che invece non ha ricevuto nemmeno un euro di finanziamento nè pubblico, nè privato.

http://www.beppegrillo.it/videos/0_s3gpc0zp.php

FALLITA LA GUERRA ALLA DROGA IN AFGHANISTAN

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Il governo degli Stati Uniti ha perso 7,6 miliardi dollari in una guerra di droga mal concepita in Afghanistan che è stata destinata al fallimento fin dall’inizio, secondo un nuovo rapporto caustico dalla speciale Ispettore generale per la ricostruzione dell’Afghanistan. La coltivazione del papavero da oppio afghano, fornendo la materia prima per la maggior parte delle forniture di eroina al mondo, ha raggiunto livelli record nel 2013 e rischia di salire ancora più in alto di quest’anno

DE MARGERIE MORTO O UCCISO COME MATTEI..

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La dinamica dell’incidente (tutta da verificare). Il Falcon 50 su cui viaggiava de Margerie ha urtato in fase di decollo il mezzo adibito alla spalatura della neve, riportando danni al carrello. Il pilota è riuscito a prendere quota e ha provato un atterraggio di emergenza. Durante la manovra, l’equipaggio ha segnalato alla torre di controllo di avere un motore in fiamme e seri danni alla carlinga. Al momento di toccare la pista, il carrello ha ceduto e l’aereo si è abbattuto al suolo prendendo fuoco.

 

Traffico eccessivo all’aeroporto. Vnukovo è uno dei tre aeroporti internazionali di Mosca. Si trova a sud ovest della capitale, ed è il terminal preferito per i voli privati. Ma ieri, a causa del maltempo che imperversa su Mosca, molti voli di linea erano stati dirottati anche verso questo aeroporto e, secondo alcune fonti citate dalle agenzie di stampa russe, c’era molto caos nella gestione delle partenze e degli arrivi. Per gli inquirenti il traffico eccessivo e la situazione di confusione potrebbero aver contribuito allo scontro. Una delle ruote del velivolo è stata trovata a 200 metri dal luogo dello schianto, mentre uno dei motori s’è staccato cadendo ad oltre 50 metri dall’aereo ormai distrutto. Il legale del conducente del veicolo spalaneve ha fatto sapere che l’uomo “non beve mai”.

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Il cordoglio di Putin.  De Margerie aveva partecipato ieri ad una riunione col governo russo sugli investimenti stranieri a Gorki, vicino a Mosca. La notizia della sua morte, in nottata, è stata confermata dalla compagnia petrolifera francese. “Abbiamo perso un vero amico del nostro paese, ne manterremo un bel ricordo”, ha detto il presidente russo Vladimir Putin al collega francese François Hollande. “Vi chiedo di trasmettere le più sincere condoglianze e simpatia per i parenti e gli amici di de margerie, un importante uomo d’affari francese che era all’origine di molti dei grandi progetti congiunti, ponendo le basi per una cooperazione a lungo termine fruttuosa tra Francia e Russia nel settore energetico” ha scritto Putin in un telegramma. Quasi immediate anche le condoglianze dei responsabili di Gazprom.

 

Hollande e Vallas: “Stupore e tristezza”. Anche la Francia sotto shock dopo la scomparsa di de Margerie. Il presidente della Repubblica francese, Hollande e il premier, Manuel Valls hanno espresso “profonda tristezza” e “stupore” per la morte del numero uno del colosso petrolifero francese. De Margerie, sottolinea Hollande in una nota, “ha dedicato la sua vita all’industria francese e allo sviluppo del gruppo Total” e ha portato “il gruppo ai primi posti mondiali”. Christophe de Margerie, rileva Hollande, “ha difeso con talento l’eccellenza e il successo della tecnologia francese all’estero”.

Difensore della Russia. In quello che è stato il suo ultimo intervento pubblico, de Margerie, ha parlato contro le sanzioni occidentali imposte alla Russia per la crisi ucraina. “Siamo contro le sanzioni, in generale, l’ho detto più volte e lo avete sentito. Non mi sono reso molto popolare nel mio Paese, in quanto sono spesso accusati di promuovere nostri interessi egoistici”,  ha detto parlando durante l’incontro del Foreign Investment Advisory Council (Fiac) davanti al premier Dmitri Medvedev, a cui ha però anche spiegato che Total rispetterà le misure restrittive decise da Bruxelles. Strenuo difensore della Russia e delle sue politiche energetiche anche nel mezzo del conflitto in Ucraina, de Margerie aveva detto in un’intervista a luglio che l’Europa avrebbe dovuto smettere di pensare a tagliare la sua dipendenza dal gas russo. “La Russia è un partner e non dovremmo perdere tempo a proteggere noi stessi da un vicino di casa … Quello che stiamo cercando di fare è di non essere troppo dipendenti da qualsiasi paese, non importa quale. Non dalla Russia, che comunque ci ha salvato in numerose occasioni”. Laureato alla Ecole superieure de commerce di Parigi, è diventato amministratore delegato di Total nel febbraio 2007, assumendo il ruolo aggiuntivo di presidente nel maggio 2010.

Total, il quarto gruppo petrolifero. Total è la seconda più grande società quotata con un valore di mercato di 102 miliardi di euro, il quarto più grande gruppo petrolifero e del gas dell’Occidente, dietro Exxon, Royal Dutch Shell e Chevron. La Russia rappresenta circa il 9 per cento della produzione di petrolio e di gas di Total nel 2013. Come altre grandi compagnie petrolifere, Total è stata messa sotto pressione da parte degli azionisti per ridurre i costi e aumentare i dividendi. De Margerie aveva detto a luglio che avrebbe dovuto essere giudicato sulla base di nuovi progetti avviati sotto la sua vigilanza, come ad esempio una serie di campi petroliferi africani. Ha anche detto poi che la Total avrebbe cercato un successore all’interno della società, piuttosto che un estraneo.

Il progetto Yamal. Total è inoltre uno dei principali investitori stranieri in Russia, ma i futuri investimenti sono stati congelati dopo l’abbattimento, il 17 luglio, di un aereo di linea passeggeri della Malesia che sorvolava il territorio ucraino sotto il controllo dei ribelli filo-russi. Total aveva detto il mese scorso che le sanzioni non avrebbero fermato il lavoro sul progetto Yamal, 27 miliardi di dollari di investimenti in una joint venture per sfruttare vaste riserve di gas naturale nel nord ovest della Siberia che mira a raddoppiare il ruolo della Russia nel mercato in rapida crescita del gas naturale liquefatto. De Margerie aveva sottolineato che l’Europa non poteva vivere senza il gas russo, aggiungendo che non vi era alcun motivo per sospendere le relazioni economiche con Mosca. La compagnia petrolifera aveva previsto nel mese di aprile che la Russia sarebbe diventata la sua principale fonte di petrolio e di gas entro il 2020 a seguito della sua partnership con la società energetica russa Novatek e il progetto Yamal.

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La morte di Christophe de Margerie, amministratore delegato della L’incidente (non ci crede nessuno) ha ricordato quello misteriosissimo di un altro celebre imprenditore, e cioè l’italiano Enrico Mattei, presidente dell’Eni. Anche Mattei, infatti, morì in un controverso incidente aereo, nell’ottobre del 1962, quando il velivolo precipitò a pochi chilometri da Linate. Le cause dell’incidente sono state indagate per decenni senza mai giungere a una soluzione definitiva. Tuttavia, tra le varie ricostruzioni, come quella dell’esplosione a bordo (secondo questa tesi Mattei sarebbe stato ucciso perché avrebbe leso gli interessi petroliferi di diverse aziende italiane e inglesi stipulando accordi concorrenziali con i Paesi produttori di greggio), i sostenitori dell’attentato sposarono la tesi della magistratura di Pavia e soprattutto di Palermo, che avanzarono l’ipotesi di un delitto politico di matrice mafiosa. Un tragico episodio forse legato all’omicidio del giornalista Mauro de Mauro, per cui è stato processato anche Totò Riina, poi assolto nella circostanza (come mandante è stato condannato in secondo grado l’ex senatore democristiano Graziano Verzotto, che tra l’altro fu l’ultimo a volare sull’aereo che successivamente precipitò con Mattei a bordo). Tra le numerose indagini e processi, il 7 agosto 2012 una sentenza della Corte D’Assise di Palermo ha stabilito  che l’omicidio De Mauro è stato voluto da “mandanti occulti”, per ciò che il giornalista aveva scoperto riguardo alla natura dolosa dell’incidente di Mattei.