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5976.- Israele-Gaza: il mondo si divide

Israele-Gaza: il mondo si divide

di Redazione Pagine esteri, 11 Ottobre 2023

Pagine Esteri, 11 ottobre 2023 – Se dopo l’operazione militare a sorpresadel movimento palestinese Hamas contro Israele i governi dei paesi aderenti o vicini alla Nato hanno espresso totale sostegno a Israele, nel resto del mondo le reazioni sono state in genere più equilibrate se non schierate dalla parte del popolo sottoposto a occupazione dall’ormai lontano 194


Il ministro degli Esteri cinese ha fatto sapere ieri che «la Cina si oppone ad azioni che intensificano i conflitti e minano la stabilità regionale» ma il governo cinese non ha esplicitamente condannato il sanguinoso blitz di Hamas in territorio israeliano, irritando non poco Washington, Bruxelles e Tel Aviv. La portavoce della diplomazia di Pechino ha comunque aggiunto di augurarsi di vedere presto un rapido cessate il fuoco».

Da parte sua la Federazione Russa ha condannato lunedì la violenza contro ebrei e palestinesi, ma ha criticato gli Stati Uniti per quello che definisce il loro approccio distruttivo che ha ignorato la necessità di uno Stato palestinese indipendente. Il Cremlino ha chiesto il ritorno alla pace e si è detto “estremamente preoccupato” per il fatto che la violenza possa degenerare in un conflitto più ampio in Medio Oriente. Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha condannato la violenza, ma ha detto che l’Occidente sarebbe miope se credesse di poter semplicemente condannare gli attacchi contro Israele e poi sperare in una vittoria israeliana senza risolvere la causa dell’instabilità, cioè l’occupazione della Palestina.


Le relazioni diplomatiche del Sudafrica con Israele sono tese, perché il governo dell’African National Congress lo definisce uno “stato di apartheid”. L’ANC afferma che Tel Aviv tratta i palestinesi nello stesso modo in cui il governo dell’apartheidopprimeva i neri sudafricani, «segregandoli e impoverendoli» per il solo fatto di essere palestinesi. Il governo sudafricano ha ribadito la sua solidarietà incondizionata alla causa palestinese.

Tra i Brics si distingue l’India che ha adottato una posizione simile a quella dei paesi del blocco euro-atlantico. «Il popolo indiano è con fermezza al fianco di Israele in questo momento difficile» ha scritto su X il primo ministro Narendra Modi dopo un colloquio telefonico con l’omologo israeliano Benjamin Netanyahu.

L’Indonesia è «profondamente preoccupata dall’escalation del conflitto tra Palestina e Israele» e chiede «l’immediata cessazione della violenza per evitare ulteriori perdite umane» recita un comunicato pubblicato dal ministero degli Esteri di Giacarta. Secondo l’Indonesia, storicamente sostenitrice della causa palestinese, «devono essere risolte le radici del conflitto, in particolare l’occupazione dei Territori palestinesi da parte di Israele, in accordo con i termini stabiliti dalle Nazioni Unite».

Simile la posizione espressa dal governo della Malesia che ha esortato tutte le parti coinvolte a esercitare la moderazione e ad adoperarsi per la distensione ribadendo comunque il sostegno al diritto del popolo palestinese di vivere all’interno di uno stato indipendente. «I palestinesi sono stati soggetti alla prolungata occupazione illegale, al blocco e alle sofferenze, alla profanazione di Al Aqsa, così come alla politica di esproprio da parte di Israele in quanto occupante» ricorda una nota del ministero degli Esteri di Kuala Lumpur che definisce quella di Israele «un’amministrazione dell’apartheid».

Moqtada al-Sadr

Rispetto al passato alcuni paesi arabi hanno espresso giudizi relativamente equidistanti, per lo meno quelli che negli anni scorsi sono stati protagonisti dei cosiddetti “Accordi di Abramo” mediati dagli Stati Uniti e volti alla normalizzazione dei rapporti con Israele. È il caso di Emirati Arabi, Bahrein e Marocco. Il Marocco ha condannato «gli attacchi contro i civili ovunque accadano» mentre gli Emirati hanno espresso «sincere condoglianze a tutte le vittime della crisi». Gli Emirati però hanno anche chiesto alla Siria di non intervenire nel conflitto tra Israele e i movimenti palestinesi e di non consentire attacchi dal territorio siriano.

Egitto e Giordania, che riconoscono Israele rispettivamente dal 1978 e dal 1994, hanno denunciato i gravi rischi di una possibile escalation militare. Il ministro degli Esteri di Amman ha però ricordato «gli attacchi e le violazioni dei diritti dei palestinesi in Cisgiordania». Il governo di Amman ha poi negato che gli Stati Uniti stiano utilizzando delle basi militari del paese per rifornire Israele di armi, accusa diffusa da alcuni media mediorientali.

L’Arabia Saudita, protagonista di un relativo processo di normalizzazione con Israele che però procede molto lentamente, ha chiesto l’immediata sospensione dell’escalation tra israeliani e palestinesi, la protezione dei civili e la moderazione, e ha invitato la comunità internazionale ad attivare un processo di pace credibile che porti a una soluzione a due Stati in Medio Oriente. Il Ministero degli Esteri di Riad ha ricordato i suoi «ripetuti avvertimenti sul pericolo che la situazione esploda a causa dell’occupazione e della privazione dei suoi diritti legittimi inflitta al popolo palestinese». Secondo molti analisti uno degli obiettivi dell’azione di Hamas di sabato scorso era proprio quella di far saltare l’avvicinamento tra Riad e Tel Aviv.

Anche il Qatar – che sostiene la Fratellanza Musulmana, corrente dell’Islam politico alla quale aderisce Hamas – ha indicato nelle politiche israeliane nei confronti dei palestinesi le cause della recente crisi.
Invece il presidente turco Erdogan ha espresso una posizione più equidistante. «Chiediamo a Israele di fermare i suoi bombardamenti sul territorio palestinese e ai palestinesi di fermare le loro aggressioni contro gli insediamenti civili israeliani» ha detto Erdogan in un discorso televisivo, aggiungendo che «anche la guerra ha i suoi modi e la sua morale». La Turchia è l’altra capofila internazionale dei Fratelli Musulmani e sostiene Hamas economicamente e politicamente, ma teme che la crisi attuale causi la rottura delle sue buone relazioni (economiche e militari) con Israele. Ankara e Tel Aviv hanno in cantiere la realizzazione di un gasdotto che consenta il passaggio via Turchia del gas estratto nel grande giacimento israeliano denominato “Leviatano”.

Sostegno incondizionato ad Hamas è giunto immediatamente dal governo dell’Iran. Secondo la guida suprema della Rivoluzione iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, di fronte all’attacco sferrato dal movimento di resistenza islamica palestinese il 7 ottobre Israele ha subito un «fallimento irreparabile» dal punto di vista militare e di intelligence. L’ayatollah ha quindi elogiato la «gioventù palestinese che ha ordito un’operazione di tale intelligenza» smentendo le accuse circolate nei giorni scorsi a proposito di un coinvolgimento dell’Iran. «Quando la crudeltà e il crimine passano il segno e la rapacità giunge al parossismo, bisogna attendersi la tempesta» ha commentato il leader iraniano.

Ieri il presidente della Repubblica dell’Algeria, Abdelmadjid Tebboune, ha espresso «la piena solidarietà con il popolo e il governo della Palestina» al leader dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas (che in realtà è il principale rivale del movimento Hamas), denunciando «le gravissime violazioni commesse dalle forze di occupazione contro il popolo palestinese a Gaza e in Cisgiordania». «Questi sviluppi ricordano a tutti che una pace giusta e completa, come opzione strategica, potrà essere raggiunta solo attraverso la creazione di uno Stato palestinese indipendente e sovrano con Gerusalemme come capitale, in conformità con il diritto internazionale» ha sottolineato il capo di stato algerino. Nei giorni scorsi il presidente della camera alta del parlamento di Algeri ha condannato fermamente i «vergognosi attacchi dell’occupazione israeliana contro il popolo palestinese» nella Striscia di Gaza definendola «una scena di vergognosa umiliazione internazionale di fronte alla crescente arroganza coloniale». Il presidente del parlamento ha denunciato «la continua ipocrisia internazionale che applica doppi standard nei suoi rapporti con la giusta causa palestinese, attraverso la procrastinazione intenzionale, palesi pregiudizi e la vergognosa giustificazione dello spargimento di sangue da parte israeliana e dei suoi crimini contro l’umanità».
Anche il ministero degli Esteri algerino ha preso una netta posizione a sostegno di Hamas e rivendicando il diritto dei palestinesi a combattere contro «l’occupazione sionista».

Una posizione simile è stata espressa dal regime tunisino. La Tunisia intende sostenere il popolo palestinese sia sul piano diplomatico che su quello sanitario, ha detto il presidente Kais Saied dopo una riunione con alcuni ministri. Intanto il sindacato Unione Generale dei Lavoratori sta organizzando una grande manifestazione di solidarietà nei confronti del popolo palestinese.

Le operazioni militari intraprese dal popolo palestinese sono il risultato naturale di decenni di «oppressione sistemica» da parte «dell’autorità di occupazione sionista», ha dichiarato il portavoce ufficiale del governo dell’Iraq. Nella dichiarazione si mettono in guardia le autorità israeliane dall’evitare una continua escalation nei Territori palestinesi occupati, che potrebbe compromettere la stabilità della regione.
Da parte sua il leader sciita iracheno Moqtada al-Sadr ha condannato i leader arabi per il loro continuo fallimento nel sostenere adeguatamente il popolo palestinese. In una conferenza stampa nella quale ha annunciato un grande raduno a Baghdad in solidarietà con la Palestina, al-Sadr ha detto «siamo pronti a fornire cibo e acqua a Gaza attraverso l’Egitto, la Siria o altrove” e ha invitato gli stati arabi a garantire la fornitura di energia elettrica e acqua all’enorme prigione a cielo aperto bombardata incessantemente dall’aviazione israeliana. Il leader sciita iracheno ha anche denunciato il doppio standard della comunità internazionale: «Tutti i paesi si sono affrettati a sostenere l’Ucraina. Perché non fare lo stesso per Gaza?».

Gustavo Petro

Passando all’America Latina, scontata la incondizionata solidarietà espressa ai palestinesi da parte dei governi di Cuba e del Venezuela.

Commentando una dichiarazione del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant che annunciava un “assedio completo” contro gli “animali” di Gaza il Presidente della Colombia Gustavo Petro ha detto: «Questo è ciò che i nazisti hanno detto degli ebrei».
Petro ha pubblicato dozzine di commenti sui social media sugli eventi da sabato, provocando uno scambio aspro con l’ambasciatore israeliano a Bogotà, Gali Dagan, che ha esortato la Colombia a condannare un «attacco terroristico contro civili innocenti». Nella sua risposta, Petro ha affermato che «il terrorismo consiste nell’uccidere bambini innocenti, sia in Colombia che in Palestina», esortando le due parti a negoziare la pace.

Sostanzialmente equidistante la posizione del governo brasiliano. Il Brasile non risparmierà alcuno sforzo per prevenire l’escalation in Medio Oriente, anche mediante il proprio ruolo di presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ha scritto il presidente Luiz Inacio Lula da Silva, che si dice «scioccato dagli attacchi terroristici compiuti contro i civili in Israele». Il leader brasiliano invita la comunità internazionale a lavorare per una ripresa immediata di negoziati che portino a una soluzione del conflitto e che garantisca l’esistenza di uno Stato palestinese economicamente vitale, che coesista pacificamente con Israele entro confini sicuri per entrambe le parti.

Simile la posizione del presidente di centrosinistra del Cile Gabriel Boric che ha scritto: «Condanniamo senza riserve i brutali attacchi, omicidi e rapimenti da parte di Hamas. Niente può giustificarli o relativizzarli». Boric ha poi sottolineato che condanna anche «gli attacchi indiscriminati contro i civili condotti dall’esercito israeliano a Gaza e l’occupazione illegale del territorio palestinese».

«Il Messico è favorevole a una soluzione globale e definitiva al conflitto, con la premessa di due Stati, che affronti le legittime preoccupazioni di Israele in materia di sicurezza e consenta il consolidamento di uno Stato palestinese politicamente ed economicamente vitale» ha ricordato il governo di Città del Messico. «Il Messico condanna inequivocabilmente gli attacchi insensati avvenuti contro il popolo di Israele il 7 ottobre da parte di Hamas e di altre organizzazioni palestinesi a Gaza» ha dichiarato il Ministero degli Esteri.
Israele ha però espresso lunedì la sua “insoddisfazione” per le dichiarazioni del presidente Andrés Manuel López Obrador, definite poco incisive.

I cinque aspiranti alla presidenza dell’Argentina hanno dedicato al conflitto in Medio Oriente del secondo e ultimo confronto televisivo, tenuto domenica sera. «In primo luogo, la mia solidarietà con Israele e il suo pieno diritto a difendere il territorio dai terroristi» ha detto il candidato dell’estrema destra liberista Javier Milei, favorito al primo turno del 22 ottobre, Milei ha da sempre indicato Israele come punto di riferimento della sua politica estera. Solidarietà «con il popolo di Israele, in questo momento triste dell’attacco terroristico di Hamas» è stata espressa anche dalla conservatrice Patricia Bullrich, ex ministra della Sicurezza nel governo dell’ex presidente Mauricio Macri. La candidata della sinistra, Myriam Bregman, parla del dolore per «le vittime civili, registrate in un conflitto che ha alla base la politica dello Stato di Israele, di occupazione e apartheid contro il popolo palestinese». Il ministro dell’Economia Sergio Massa, candidato del centrosinistra, ha espresso «solidarietà con tutte le vittime di un attacco terroristico brutale che oggi mette a lutto il mondo». Pagine Esteri

1012.- Pechino, l’ex alleato prende le distanze. “Vengano rispettate le risoluzioni Onu”. Tutti contro Pyongyang

Il ministro degli Esteri cinese: ci opponiamo con forza agli esperimenti coreani. Almeno 3 dei quattro missili balistici lanciati da Pyongyang sono caduti in una zona economica esclusiva del Giappone.

North Korea fires multiple missiles - South Korean military

La Corea del Nord e’ una ”seria minaccia”: il lancio di missili da parte di Pyongyang e’ una ”chiara violazione” di varie risoluzioni dell’Onu. Lo afferma il presidente americano Donald Trump nel corso di due colloqui separati con il premier giapponese Shinzo Abe e il presidente reggente della Corea del Sud Hwang Kyo-Ahn. I tre leader hanno aggiunto che ”continueranno la stretta collaborazione bilaterale e trilaterale per dimostrare alla Corea che ci sono conseguenze severe per le sue azioni provocatorie e di minaccia”.

Gli Stati Uniti iniziano a spostare equipaggiamenti per il sistema anti-missili in Corea del Sud, muovendo i primi ”componenti del Thaad”, il Terminal High Altitude Area Defense per colpire missili balistici a medio e corto raggio. Lo afferma il Us Command, sottolineando che il Thaad rafforzera’ la difesa contro la minaccia della Corea del Nord.

Quattro missili balistici lanciati dalla Corea del Nord verso il mare del Giappone, tre dei quali finiti nella zona economica esclusiva giapponese senza provocare danni, percorrendo una distanza di circa 1.000 km. Tokyo ha inoltrato una protesta formale. Gli Usa hanno condannato con forza i lanci e riaffermato l’impegno a difendere gli alleati. La Corea del Sud ha dato il via al pronto coordinamento con Usa e Giappone in risposta ai quattro missili testati.

Dura condanna dagli USA, che riaffermano – attraverso il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Mark Toner – l’impegno a difendere gli alleati facendo ricorso ”all’ampia gamma di capacita’ a nostra disposizione”. Toner ha invitato tutti i Paesi a usare ogni canale possibile e mezzo di persuasione per rendere chiaro alla Corea del Nord che ulteriori provocazioni sono da ritenersi inaccettabili, tali da provocare conseguenze. Il portavoce, nel resoconto della Yonhap, ha poi invitato Pyongyang ad adempiere agli obblighi internazionali e a mostrare l’impegno per il ritorno al dialogo sulla denuclearizzazione. ”La nostra determinazione a difendere gli alleati, inclusi Corea del Sud e Giappone, di fronte alle minacce resta inattaccabile. Siamo pronti e continueremo a prendere tutte le misure necessarie – ha concluso Toner – per aumentare la nostra prontezza a difesa dei nostri alleati dagli attacchi e siamo preparati all’uso di tutte le nostre capacita’ per rispondere alle minacce crescenti”.

>>>ANSA/COREA NORD LANCIA DUE MISSILI, UNO ARRIVA IN ACQUE GIAPPONE

LA TENSIONE SALE

La Cina non gradisce questa escalation di Pyongyang che va a incidere sulla sua politica nel Mar Meridionale Cinese e ha annunciato che reagirà al dispiegamento del sistema anti-missile Usa in Corea del Sud, affermando che Washington e Seul ne affronteranno le conseguenze. Non altrettanto sembra essere per gli Stati Uniti, che hanno colto l’occasione per iniziare a spostare equipaggiamenti anti-missile in Corea contro le minacce di Pyongyang.” 

L’ultimo lancio di missili compiuto dalla Corea del Nord era un test per un attacco contro una base Usa in Giappone. La Corea del Nord e’ una ”seria minaccia”: il lancio di missili da parte di Pyongyang e’ una ”chiara violazione” di varie risoluzioni dell’Onu, afferma il presidente americano Donald Trump nel corso di due colloqui separati con il premier giapponese Shinzo Abe e il presidente reggente della Corea del Sud Hwang Kyo-Ahn.

L’omicidio con il gas nervino agente Vx all’aeroporto di Kuala Lumpur di Kim Jong-nam, il fratellastro del leader Kim Jong, è stato un altra ragione di scontro diplomatico, questa volta fra Pyongyang e la Malaysia, che ha visto un salto di livello: con l’espulsione dei rispettivi ambasciatori. Pyongayang ha poi decretato il divieto per i malesi in Corea del Nord di lasciare il Paese. Il premier malese Najib Razak ha duramente condannato la mossa definendo “ostaggi” i concittadini bloccati al Nord. In una nota, oltre a intimare l'”immediato rilascio”, Najib ha annunciato di aver istruito la polizia su un analogo blocco della partenza dei cittadini nordcoreani dalla Malaysia, un migliaio secondo le stime più accreditate.

Pechino, l’ex alleato prende le distanze. “Vengano rispettate le risoluzioni Onu”.

Un portavoce del ministero degli Esteri, Geng Shuang, ha detto che la Cina “si oppone fermamente” al dispiegamento del sistema anti-missile americano e che Pechino “prenderà sicuramente le misure necessarie per salvaguardare i nostri interessi di sicurezza”. “Tutte le conseguenze” ricadranno sugli Stati Uniti e la Corea del Sud, ha aggiunto.

La Farnesina “condanna” il lancio di missili effettuato dalla Corea del Nord. “I ripetuti test di missili” e “lo sviluppo di un arsenale nucleare”, si legge in una nota, “costituiscono una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale e una aperta violazione delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza”. La Corea del Nord “deve abbandonare lo sviluppo di un arsenale missilistico e nucleare e interrompere il cammino intrapreso di sfida della comunità internazionale e di auto-isolamento. L’Italia è pronta a contribuire a una risposta ferma e coesa della Comunità Internazionale”.

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«Nonostante l’opposizione della comunità internazionale, oggi la Repubblica popolare democratica di Corea ha condotto un altro esperimento nucleare. Il governo cinese si oppone fermamente e chiede con forza che onori l’impegno di denuclearizzazione e rispetti le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». Pesa come un macigno la dichiarazione del ministero degli Affari esteri cinese, tanto più che minaccia di protestare formalmente presso l’ambasciata nordcoreana.

Per più di un decennio, la Repubblica popolare cinese è infatti stata considerata l’unico alleato del «regno eremita» e allo stesso tempo l’unico Stato in grado di fare da garante per la sua denuclearizzazione. Ma con Kim Jong-un, la controparte nordcoreana che il presidente Xi Jinping non ha mai incontrato e che pare ossessionata dall’idea di trasformare il suo Paese in una potenza nucleare, il dialogo appare impossibile. Il quinto test nucleare della Corea del Nord nel giorno del suo 68° anniversario ha fatto traboccare il vaso. I 10 Kilotoni esplosi equivalgono a due terzi della potenza dell’ordigno che ha colpito Hiroshima.

Già a marzo Wu Dawei, da sempre il negoziatore per la Cina nei «colloqui a sei» per il disarmo nucleare, in un’intervista straordinariamente esplicita a un quotidiano sudcoreano aveva espresso la sua frustrazione affermando che ormai i consigli cinesi gli «entravano da un orecchio e ne uscivano dall’altro» e che, rifiutando di astenersi dal migliorare le proprie capacità missilistiche e nucleari, la Corea del Nord aveva «firmato la sua condanna a morte». A questa intervista era seguito un editoriale del quotidiano di Stato «Global Times», altrimenti detto «la voce del Partito», che metteva in guardia l’imprevedibile alleato con parole mai pronunciate prima. «Missili e armi nucleari sono sì strumenti strategici, ma nel caso della Corea del Nord hanno portato a un rischio imminente per la sicurezza del Paese. Pyongyang non deve sopravvalutare le sue capacità nel controllare le situazioni pericolose e non può aspettarsi che la Cina sia in grado di proteggere la sua sicurezza se continua ad assumersi rischi avventati. La situazione che si viene a creare, semplicemente, non è più sotto il controllo cinese». Tutte argomentazioni che negli ultimi mesi sono entrate a far parte del dibattito strategico.

La Cina di fatto non ha potuto far altro che prendere atto che le ambizioni nucleari nordcoreane si sono trasformate in una minaccia per la propria sicurezza nazionale e che a niente è valso il supporto economico che ha continuato a offrirgli nonostante le sanzioni. Il «brillante leader» non è disposto a fare nessun passo indietro per favorire le manovre diplomatiche dell’importante alleato e quest’ultimo si trova nella scomoda posizione di non poter opporre nessun argomento concreto all’installazione in Corea del Sud del Thaad (Terminal High Altitude Area Defence), il sistema statunitense anti-missile più sviluppato al mondo «contro le armi di distruzione di massa e la minaccia nordcoreana dei missili balistici».

Nonostante nel comunicato congiunto i ministeri della difesa di Stati Uniti e Corea del Sud abbiano sottolineato che «non sarà diretto verso nazioni terze», per Pechino che non accetta interferenze così vicine al suo territorio sarebbe «un’evidente minaccia alla stabilità dell’area». Come d’altronde lo sarebbe il collasso del regno eremita, con conseguente ingresso di milioni di profughi nordcoreani nel Paese e potenziale avvicinamento di un fronte unito Usa-Corea del Sud. La Repubblica popolare è a un bivio e nessuna delle due strade che le si aprono di fronte è priva di ostacoli. Sarebbe il caso di percorrere una terza via che al momento, però, è ancora tutta da costruire.