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6196.- Tregua a Gaza per evitare il caos? Cosa succede tra Israele e Iran

Biden attende le elezioni sedendo sui carboni accesi da Netanyahu. L’Iran si mostra saggio perché la guerra totale non la vuole nessuno. Se Israele lascia spazio alla diplomazia finiscono insieme le guerre e Netanyahu. Intanto, l’Israele di Netanyahu può fare il terrorista … perché la guerra totale non la vuole nessuno; non la vuole il Libano, non la vuole Hezbollah e, pur profittandone, non la vogliono gli Houthi. L’Italia, fra l’India e il Mediterraneo allargato, aspetta che Netanyahu se ne vada.

Da Formiche.net un punto acuto sul Medio Oriente di Emanuele Rossi. 08/04/2024

Israele a un bivio: le pressioni interne, regionali e internazionali; il raid model e la crisi umanitaria; gli ostaggi e l’idea dell’Iran. Cosa potrebbe succedere nei prossimi giorni

L’Iran non attaccherà Israele per rappresaglia del colpo subito a Damasco se si riuscirà a trovare la via per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Gli Stati Uniti stanno conducendo le trattative — insieme a Qatar ed Egitto — per trovare un “deal” sugli ostaggi trattenuti ancora da Hamas e fermare le armi dopo sei mesi di guerra, oltre trentamila morti, una crisi umanitaria in divenire. Israele vede uscire una pioggia di indiscrezioni sulla situazione (ne parla Al-Qahera News, Tv statale egiziana, l’iraniana Jadeh e lo Yediot Ahronot) e sente il peso di una pressione su diversi fronti.

Innanzitutto c’è quello interno, di doppio valore. I cittadini israeliani vogliono il ritorno a casa delle persone rapite brutalmente nel bestiale attacco del 7 ottobre — con cui Hamas ha dato inizio alla stagione di guerra in corso. Protestano contro il governo perché non fa abbastanza per liberare quelle 140 persone, pesantemente maltrattate, e per questo sono disposti ad accettare anche compromessi. Contemporaneamente vogliono evitare l’allargamento del conflitto che un attacco iraniano su Israele potrebbe significare, con potenziali ulteriori vittime.

Punto comune della situazione è il destino di Benjamin Netanyahu. Molti israeliani lo vorrebbero fuori dal potere, e le manifestazioni in strada per gli ostaggi diventano sempre occasione per critiche pesanti e generali al governo. E sanno che la continuazione della guerra, o l’allargamento, sono per Netanyahu l’unica occasione di sopravvivenza, come ricordava Giuseppe Dentice (CeSi). Differentemente, con le armi in pausa, potrebbe esserci la possibilità di un ricambio, magari convocando nuove elezioni come proposto da Benny Gantz, uno dei leader dell’opposizione attualmente rientrato nel cosiddetto “gabinetto di guerra” per spirito di responsabilità e unità nazionale.

Ma le pressioni su Israele arrivano anche dall’esterno, innanzitutto sul piano internazionale. Se dall’Europa sono arrivate critiche per l’attacco a Damasco (bombardamento non rivendicato da Israele che ha portato all’uccisione di alcuni alti funzionari iraniani nel cortile antistante la sede consolare dell’ambasciata della Repubblica islamica in Siria), per gli Stati Uniti c’è un coinvolgimento anche maggiore. Washington sente su di sé le pressioni internazionali per aver sempre difeso l’alleato (e il suo diritto di autodifesa) e per questo da tempo sta cercando di deviare la situazione verso una rotta negoziale. Gli Usa hanno anche consapevolezza che se l’Iran dovesse attaccare, allora il loro coinvolgimento aumenterebbe (sia per difendere Israele, sia per difendere le proprie postazioni militari mediorientali). E l’amministrazione Biden vuole evitare questa situazione a pochi mesi dal voto.

Gli Stati Uniti, dopo la fase di pressione diplomatica per affrontare la crisi umanitaria, hanno ottenuto un maggiore flusso di aiuti nella Striscia (domenica sono entrati 332camion, mai così tanti dal 7 ottobre scorso). Contemporaneamente qualcosa potrebbe muoversi anche sul campo militare: le forze israeliane si sono parzialmente ritirate dall’area sud dell’enclave palestinese, tenendo però la presenza nel corridoio di Netzarim (che taglia trasversalmente la Striscia, permette ingressi rapidi per operazioni spot e garantisce un punto di slancio per un’eventuale azione su Rafah). Ad oggi, Israele è presente con circa un quarto delle forze che avevano condotto l’invasione su larga scala, e forse potrebbe essere l’effettivo inizio del “raid model” chiesto dagli Stati Uniti per minimizzare le vittime civili — attraverso attacchi più chirurgici contro Hamas.

Infine ci sono le pressioni regionali. Israele non ha abbandonato l’idea di normalizzare i rapporti con l’Arabia Saudita, passaggio che è un presupposto strategico per la stabilità della regione immaginata anche da Washington, e per progetti globali come l’Imec (la nuova rotta geostrategica indo-mediterranea che connetterà Europa e Asia). Riad vive con difficoltà la situazione: per interessi strategici vuole continuare le discussioni con Israele (anche via Usa) per avviare una nuova fase in Medio Oriente, ma per ragioni di equilibri interni non può abbandonare la causa palestinese (il regno protegge i luoghi sacri dell’Islam, d’altronde, è la questione palestinese è una delle grandi incomplete per i credenti mussulmani in tutto il mondo).

Di più: i sauditi — insieme agli altri leader della regione del Golfo, gli emiratini — hanno da tempo intrapreso un processo di détente con l’Iran. Lo hanno fatto dopo aver rotto le relazioni con il Qatar perché troppo aperto nei confronti di Teheran e dopo aver recuperato i rapporti anche con Doha (ora player centrale negli equilibri regionali internazionali). Uno scontro aperto tra Israele e Iran sarebbe problematico, perché altererebbe il processo nella regione e potrebbe intaccare dossier delicatissimo come quello in Yemen, dove gli Houthi — in fase di cessate il fuoco con i sauditi dopo anni di guerra — hanno già dimostrato di essere interessati a sfruttare il contesto a proprio vantaggio.

Inoltre, con la proposta che filtra sui media (tregua in cambio di non escalation),  l’Iran cerca di dimostrarsi potenza regionale responsabile. Nella narrazione generale questo serve anche a dimostrarsi migliore di Israele, che bombarda un edificio consolare — anche se l’intento si scontra col sostegno armato fornito al network terroristico che va da Hamas a Hezbollah fino alle milizie in Iraq e Siria e gli Houthi. Teheran vuole controllare la reazione tutelando interessi strategici senza perdere aliquote di propaganda, come spiegava Francesco Salesio Schiavi?

6195.- Siamo stati ingannati sul genocidio di Gaza. Al Jazeera ci ha mostrato come

A un certo punto, è quasi sembrato che gli interessi di Israele e di Hamas, ai danni dei palestinesi, convergessero. Al Jazeera ha tirato le somme, ma non è proprio lecito accusare di atrocità o di genocidio questi popoli così a lungo abbandonati in un bagno di sangue.

Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu looks on as he chairs the weekly cabinet meeting on July 6, 2014 at his Jerusalem office. Violence which rocked east Jerusalem for three days following the kidnap and murder on July 2 of a Palestinian teenager, spread to half a dozen Arab towns in Israel. AFP PHOTO / POOL /GALI TIBBON

Di Sabino Paciolla|Aprile 5th, 2024

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Jonathan Cook e pubblicato su AntiWar. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. https://www.youtube-nocookie.com/embed/_0atzea-mPY?si=8LIwDPAMZ2eU3SGf

Per settimane, mentre Gaza veniva bombardata e la conta dei morti nella piccola enclave aumentava inesorabilmente, l’opinione pubblica occidentale ha avuto poca scelta se non quella di affidarsi alla parola di Israele su quanto accaduto il 7 ottobre. Circa 1.150 israeliani sono stati uccisi durante un attacco senza precedenti alle comunità israeliane e alle postazioni militari vicino a Gaza.

Neonati decapitati, una donna incinta con l’utero aperto e il feto accoltellato, bambini messi nei forni, centinaia di persone bruciate vive, mutilazioni di cadaveri, una campagna sistematica di stupri di indescrivibile ferocia e atti di necrofilia.

I politici e i media occidentali si sono bevuti tutto questo, ripetendo acriticamente le accuse e ignorando la retorica genocida di Israele e le operazioni militari sempre più genocide che queste affermazioni sostenevano.

Poi, mentre la montagna di cadaveri a Gaza aumentava ancora, le presunte prove sono state condivise con pochi, selezionati giornalisti e influencer occidentali. Sono stati invitati a proiezioni private di filmati accuratamente curati da funzionari israeliani per dipingere il peggior quadro possibile dell’operazione di Hamas.

Questi nuovi iniziati hanno offerto pochi dettagli, ma hanno lasciato intendere che i filmati confermassero molti degli orrori. Hanno prontamente ripetuto le affermazioni israeliane secondo cui Hamas sarebbe “peggiore dell’Isis”, il gruppo dello Stato Islamico.

L’impressione di una depravazione senza pari da parte di Hamas è stata rafforzata dalla volontà dei media occidentali di permettere ai portavoce israeliani, ai sostenitori di Israele e ai politici occidentali di continuare a diffondere incontrastati l’affermazione che Hamas avesse commesso atrocità indicibili e sadiche – dalla decapitazione e dal rogo di bambini alla realizzazione di una campagna di stupri.

L’unico giornalista dei media mainstream britannici a dissentire è stato Owen Jones. Concordando sul fatto che il video di Israele mostrasse crimini terribili commessi contro i civili, ha notato che nessuno degli atti barbari sopra elencati era incluso.

Ciò che è stato mostrato è stato invece il tipo di crimini terribili contro i civili che sono fin troppo comuni nelle guerre e nelle rivolte.

Coprire il genocidio

Jones ha dovuto affrontare una raffica di attacchi da parte dei colleghi che lo accusavano di essere un apologeta delle atrocità. Il suo stesso giornale, il Guardian, sembra avergli impedito di scrivere di Gaza sulle sue pagine.

Ora, dopo quasi sei mesi, la morsa narrativa esclusiva su quegli eventi da parte di Israele e dei suoi accoliti mediatici è stata finalmente spezzata.

La scorsa settimana, Al Jazeera ha trasmesso un documentario di un’ora, intitolato semplicemente “7 ottobre”, che permette al pubblico occidentale di vedere con i propri occhi ciò che è avvenuto. Sembra che il racconto di Jones fosse il più vicino alla verità.

Tuttavia, il filmato di Al Jazeera si spinge ancora più in là, divulgando per la prima volta a un pubblico più vasto fatti che per mesi hanno occupato i media israeliani, ma che sono stati accuratamente esclusi dalla copertura occidentale. Il motivo è chiaro: questi fatti coinvolgerebbero Israele in alcune delle atrocità che per mesi ha attribuito ad Hamas.

Middle East Eye ha messo in evidenza questi clamorosi buchi nella narrazione mediatica occidentale già a dicembre. Da allora non è stato fatto nulla per correggere il record.

L’establishment mediatico ha dimostrato di non potersi fidare. Per mesi hanno recitato con fede la propaganda israeliana a sostegno di un genocidio.

Ma questa è solo una parte dell’accusa nei suoi confronti. Il suo continuo rifiuto di riferire le prove sempre più evidenti dei crimini perpetrati da Israele contro i suoi stessi civili e soldati il 7 ottobre suggerisce che ha intenzionalmente coperto il massacro di Israele a Gaza.

L’unità investigativa di Al Jazeera ha raccolto molte centinaia di ore di filmati dalle bodycam indossate dai combattenti di Hamas e dai soldati israeliani, dalle dashcam e dalle telecamere a circuito chiuso per compilare il suo documentario che sfata i miti.

Il documentario dimostra cinque cose che mettono in discussione la narrazione dominante imposta da Israele e dai media occidentali.

In primo luogo, i crimini commessi da Hamas contro i civili in Israele il 7 ottobre – e quelli che non ha commesso – sono stati utilizzati per mettere in ombra il fatto che il 7 ottobre Hamas ha condotto una spettacolare e sofisticata operazione militare per uscire da una Gaza assediata da tempo.

Il gruppo ha messo fuori uso i sistemi di sorveglianza di punta di Israele che avevano tenuto imprigionati per decenni i 2,3 milioni di abitanti dell’enclave. Ha fatto breccia nella barriera altamente fortificata di Israele che circonda Gaza in almeno 10 punti. E ha colto alla sprovvista i numerosi campi militari israeliani vicini all’enclave, che avevano fatto rispettare l’occupazione a distanza.

Quel giorno sono stati uccisi più di 350 soldati israeliani, poliziotti e guardie armate.

Un’arroganza coloniale

In secondo luogo, il documentario mina la teoria della cospirazione secondo cui i leader israeliani avrebbero permesso l’attacco di Hamas per giustificare la pulizia etnica di Gaza – un piano a cui Israele sta lavorando attivamente almeno dal 2007, quando sembra aver ricevuto l’approvazione degli Stati Uniti.

È vero, i funzionari dell’intelligence israeliana coinvolti nella sorveglianza di Gaza avevano avvertito che Hamas stava preparando una grande operazione. Ma questi avvertimenti sono stati ignorati non a causa di una cospirazione. Dopotutto, nessuno dei vertici israeliani ha tratto vantaggio da ciò che è accaduto il 7 ottobre.

Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu è politicamente finito a causa dell’attacco di Hamas e probabilmente finirà in prigione dopo la fine dell’attuale carneficina a Gaza.

La risposta genocida di Israele al 7 ottobre ha reso il marchio di Israele così tossico a livello internazionale, e ancora di più presso le opinioni pubbliche arabe della regione, che l’Arabia Saudita ha dovuto interrompere i piani per un accordo di normalizzazione, che era stata la speranza finale di Israele e Washington.

L’operazione di Hamas ha distrutto la reputazione mondiale di invincibilità dell’esercito israeliano. Ha ispirato Ansar Allah (gli Houthi) dello Yemen ad attaccare navi nel Mar Rosso. Sta rafforzando l’arcinemico di Israele, Hezbollah, nel vicino Libano. Ha rinvigorito l’idea che la resistenza sia possibile in tutto il Medio Oriente, tanto oppresso.

Non è stata una cospirazione ad aprire la porta all’attacco di Hamas. È stata l’arroganza coloniale, basata su una visione disumanizzante condivisa dalla stragrande maggioranza degli israeliani, secondo cui essi erano i padroni e i palestinesi – i loro schiavi – erano troppo primitivi per sferrare un colpo significativo.

Gli attentati del 7 ottobre avrebbero dovuto costringere gli israeliani a rivalutare il loro atteggiamento sprezzante nei confronti dei palestinesi e ad affrontare la questione se il regime pluridecennale di apartheid e di brutale asservimento di Israele potesse – e dovesse – continuare all’infinito.

Prevedibilmente, gli israeliani hanno ignorato il messaggio dell’attacco di Hamas e hanno scavato più a fondo nella loro mentalità coloniale.

Il presunto primitivismo che, si presumeva, rendesse i palestinesi un avversario troppo debole per affrontare la sofisticata macchina militare israeliana è stato ora riformulato come prova di una barbarie palestinese che rende l’intera popolazione di Gaza così pericolosa, così minacciosa, da dover essere spazzata via.

I palestinesi che, secondo la maggior parte degli israeliani, potrebbero essere ingabbiati come polli da batteria per un tempo indefinito e in recinti sempre più piccoli, sono ora visti come mostri che devono essere abbattuti. Questo impulso è stato la genesi dell’attuale piano genocida di Israele per Gaza.

Missione suicida

Il terzo punto che il documentario chiarisce è che l’evasione dalla prigione di Hamas, che ha avuto un successo strepitoso, ha vanificato l’operazione più ampia.

Il gruppo aveva lavorato così duramente sulla temibile logistica dell’evasione – e si era preparato a una risposta rapida e selvaggia da parte dell’oppressiva macchina militare israeliana – che non aveva un piano serio per affrontare una situazione che non poteva concepire: la libertà di perlustrare la periferia di Israele, spesso indisturbati per molte ore o giorni.

I combattenti di Hamas che entravano in Israele avevano dato per scontato che la maggior parte fosse in missione suicida. Secondo il documentario, i combattenti stessi ritenevano che tra l’80 e il 90% non sarebbero riusciti a tornare.

L’obiettivo non era quello di sferrare una sorta di colpo esistenziale contro Israele, come i funzionari israeliani hanno affermato da allora nella loro determinata razionalizzazione del genocidio. Si trattava di colpire la reputazione di invincibilità di Israele, attaccando le sue basi militari e le comunità vicine e trascinando a Gaza il maggior numero possibile di ostaggi.

Questi sarebbero poi stati scambiati con le migliaia di uomini, donne e bambini palestinesi detenuti nel sistema di incarcerazione militare di Israele – ostaggi etichettati come “prigionieri”.

Come ha spiegato il portavoce di Hamas, Bassem Naim, ad Al Jazeera, l’evasione aveva lo scopo di riportare sotto i riflettori la disperata situazione di Gaza, dopo anni in cui l’interesse internazionale per la fine dell’assedio israeliano era scemato.

A proposito delle discussioni in seno all’ufficio politico del gruppo, egli afferma che il consenso è stato: “Dobbiamo agire. Se non lo facciamo, la Palestina sarà dimenticata, completamente cancellata dalla mappa internazionale”.

Per 17 anni, Gaza è stata gradualmente strangolata a morte. La sua popolazione aveva tentato di protestare pacificamente contro la recinzione militarizzata che circondava la loro enclave ed era stata presa di mira dai cecchini israeliani. Il mondo si era talmente abituato alle sofferenze dei palestinesi che si era spento.

L’attacco del 7 ottobre aveva lo scopo di cambiare le cose, in particolare stimolando nuovamente la solidarietà con Gaza nel mondo arabo e rafforzando la posizione politica regionale di Hamas.

L’obiettivo era quello di rendere impossibile all’Arabia Saudita – il principale mediatore di potere arabo a Washington – la normalizzazione con Israele, completando la marginalizzazione della causa palestinese nel mondo arabo.

In base a questi criteri, l’attacco di Hamas è stato un successo.

Perdita di concentrazione

Ma per molte lunghe ore – con Israele colto completamente alla sprovvista e con i suoi sistemi di sorveglianza neutralizzati – Hamas non ha affrontato il contrattacco militare che si aspettava.

Tre fattori sembrano aver portato a una rapida erosione della disciplina e dello scopo.

Senza un nemico significativo da affrontare o che limitasse il margine di manovra di Hamas, i combattenti hanno perso la concentrazione. I filmati li mostrano mentre litigano su cosa fare dopo, mentre si aggirano liberamente per le comunità israeliane.

A ciò si è aggiunto l’afflusso di altri palestinesi armati che hanno approfittato del successo di Hamas e della mancanza di una risposta israeliana. Molti si sono improvvisamente ritrovati con la possibilità di saccheggiare o regolare i conti con Israele – uccidendo israeliani – per anni di sofferenza a Gaza.

Il terzo fattore è stato l’irruzione di Hamas nel festival musicale Nova, che era stato trasferito dagli organizzatori con breve preavviso vicino alla barriera di Gaza.

Il festival è diventato rapidamente la scena di alcune delle peggiori atrocità, sebbene non assomigli agli eccessi selvaggi descritti da Israele e dai media occidentali.

I filmati mostrano, ad esempio, combattenti palestinesi che lanciano granate contro i rifugi di cemento dove molte decine di partecipanti al festival si stavano riparando dall’attacco di Hamas. In un filmato, un uomo che scappa viene ucciso a colpi di pistola.

In quarto luogo, Al Jazeera ha potuto confermare che le atrocità più estreme, sadiche e depravate non hanno mai avuto luogo. Sono state inventate da soldati, funzionari e soccorritori israeliani.

Una figura centrale in questo inganno è stata Yossi Landau, leader dell’organizzazione religiosa ebraica di pronto intervento Zaka. Lui e il suo staff hanno inventato storie stravaganti che sono state prontamente amplificate non solo da una stampa occidentale credulona, ma anche da alti funzionari statunitensi.

Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha raccontato graficamente di una famiglia di quattro persone massacrata a colazione. Al padre è stato cavato un occhio davanti ai due figli, di otto e sei anni. Alla madre fu tagliato il seno. Alla ragazza fu amputato un piede e al ragazzo furono tagliate le dita, prima di essere giustiziati. I boia si sono poi seduti a mangiare accanto alle loro vittime.

Ma le prove dimostrano che nulla di tutto ciò è realmente accaduto.

Landau ha anche affermato che Hamas ha legato decine di bambini e li ha bruciati vivi nel Kibbutz Be’eri. Altrove, ha ricordato che una donna incinta è stata uccisa con un colpo di pistola, il suo ventre è stato aperto e il feto è stato accoltellato.

I funzionari del kibbutz negano qualsiasi prova di queste atrocità. I racconti di Landau non corrispondono a nessuno dei fatti noti. Il 7 ottobre morirono solo due bambini, entrambi uccisi involontariamente.

Quando viene interpellato, Landau si offre di mostrare ad Al Jazeera la foto del feto pugnalato sul suo cellulare, ma viene filmato mentre ammette di non essere in grado di farlo.

Inventare le atrocità

Allo stesso modo, la ricerca di Al Jazeera non trova prove di stupri sistematici o di massa il 7 ottobre. In realtà, è Israele che ha bloccato gli sforzi degli organismi internazionali per indagare sulle violenze sessuali di quel giorno.

Autorevoli organi di stampa come il New York Times, la BBC e il Guardian hanno ripetutamente dato credibilità alle affermazioni di stupri sistematici da parte di Hamas, ma solo ripetendo senza riserve la propaganda delle atrocità israeliane.

Madeleine Rees, segretario generale della Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà, ha dichiarato ad Al Jazeera: “Uno Stato ha strumentalizzato gli orribili attacchi alle donne per giustificare, crediamo, un attacco a Gaza, dove la maggior parte delle vittime sono altre donne”.

In altri casi, Israele ha incolpato Hamas di aver mutilato i corpi delle vittime israeliane, anche passandoci sopra con la macchina e spaccando loro il bacino. In diversi casi, l’inchiesta di Al Jazeera ha dimostrato che i corpi erano di combattenti di Hamas mutilati o investiti da soldati israeliani.

Il documentario osserva che i media israeliani – seguiti da quelli occidentali – “non si concentrano sui crimini che hanno commesso [Hamas], ma su quelli che non hanno commesso”.

La domanda è: perché, quando c’erano molte atrocità reali di Hamas da raccontare, Israele ha sentito il bisogno di fabbricarne di ancora peggiori? E perché, soprattutto dopo che è stata smentita l’invenzione iniziale dei bambini decapitati, i media occidentali hanno continuato a riciclare con credulità storie improbabili di efferatezze di Hamas?

La risposta alla prima domanda è che Israele aveva bisogno di creare un clima politico favorevole che giustificasse il suo genocidio a Gaza come necessario.

Netanyahu viene mostrato mentre si congratula con i leader di Zaka per il loro ruolo nell’influenzare l’opinione pubblica mondiale: “Abbiamo bisogno di guadagnare tempo, che guadagniamo rivolgendoci ai leader mondiali e all’opinione pubblica. Voi avete un ruolo importante nell’influenzare l’opinione pubblica, che influenza anche i leader”.

La risposta alla seconda domanda è che i preconcetti razzisti dei giornalisti occidentali hanno fatto sì che si convincessero facilmente che la gente di colore fosse capace di una tale barbarie.

Direttiva Hannibal

In quinto luogo, Al Jazeera documenta mesi di copertura mediatica israeliana che dimostra come alcune delle atrocità imputate ad Hamas – in particolare quelle relative al bruciare vivi gli israeliani – fossero in realtà responsabilità di Israele.

Privata di una sorveglianza funzionante, una macchina militare israeliana furiosa si è scagliata alla cieca. I filmati degli elicotteri Apache li mostrano mentre sparano all’impazzata su auto e persone che si dirigono verso Gaza, senza riuscire a capire se si tratta di combattenti di Hamas in fuga o di israeliani presi in ostaggio da Hamas.

In almeno un caso, un carro armato israeliano ha sparato una granata contro un edificio nel Kibbutz Be’eri, uccidendo i 12 ostaggi israeliani all’interno. Uno di essi, Liel Hetsroni, di 12 anni, i cui resti carbonizzati hanno reso impossibile l’identificazione per settimane, è diventato il manifesto della campagna israeliana per incolpare Hamas di essere dei barbari per averla bruciata viva.

Il comandante responsabile dei soccorsi a Be’eri, il colonnello Golan Vach, viene mostrato mentre inventa ai media una storia sulla casa che Israele stesso aveva bombardato. Ha affermato che Hamas aveva giustiziato e bruciato otto bambini nella casa. In realtà, nessun bambino è stato ucciso lì – e quelli che sono morti nella casa sono stati uccisi da Israele.

La devastazione diffusa nelle comunità dei kibbutz – ancora imputata ad Hamas – suggerisce che il bombardamento di questa casa in particolare da parte di Israele è stato tutt’altro che un caso isolato. È impossibile determinare quanti altri israeliani siano stati uccisi dal “fuoco amico”.

Queste morti sembrano essere legate alla frettolosa invocazione da parte di Israele, quel giorno, della cosiddetta “direttiva Hannibal” – un protocollo militare segreto che prevede l’uccisione di soldati israeliani per evitare che vengano presi in ostaggio e diventino merce di scambio per il rilascio di palestinesi tenuti in ostaggio nelle carceri israeliane.

In questo caso, la direttiva sembra essere stata riproposta e utilizzata anche contro i civili israeliani. Straordinariamente, nonostante il furioso dibattito in Israele sull’uso della direttiva Hannibal il 7 ottobre, i media occidentali sono rimasti completamente in silenzio sull’argomento.

Un triste squilibrio

L’unica questione ampiamente trascurata da Al Jazeera è la sorprendente incapacità dei media occidentali di coprire seriamente il 7 ottobre o di indagare sulle atrocità in modo indipendente dai resoconti auto-assolutori di Israele.

La domanda che incombe sul documentario di Al Jazeera è la seguente: come è possibile che nessuna organizzazione mediatica britannica o statunitense abbia intrapreso il compito che Al Jazeera si è assunta? E poi, perché nessuno di loro sembra pronto a utilizzare la copertura di Al Jazeera come un’opportunità per rivisitare gli eventi del 7 ottobre?

In parte, ciò è dovuto al fatto che essi stessi sarebbero incriminati da qualsiasi rivalutazione degli ultimi cinque mesi. La loro copertura è stata tristemente sbilanciata: accettazione a occhi aperti di qualsiasi rivendicazione israeliana di atrocità di Hamas e analoga accettazione a occhi aperti di qualsiasi scusa israeliana per il massacro e la mutilazione di decine di migliaia di bambini palestinesi a Gaza.

Ma il problema è più profondo.

Non è la prima volta che Al Jazeera svergogna la stampa occidentale su un argomento che ha dominato i titoli dei giornali per mesi o anni.

Nel 2017, un’inchiesta di Al Jazeera intitolata The Lobby ha mostrato che Israele era dietro una campagna per diffamare gli attivisti della solidarietà palestinese come antisemiti in Gran Bretagna, con Jeremy Corbyn come bersaglio finale.

Questa campagna diffamatoria ha continuato a riscuotere un enorme successo anche dopo la messa in onda della serie di Al Jazeera, anche perché l’inchiesta è stata uniformemente ignorata. I media britannici hanno ingoiato ogni pezzo di disinformazione diffuso dai lobbisti israeliani sulla questione dell’antisemitismo.

Il seguito di un’analoga campagna di disinformazione condotta dalla lobby pro-Israele negli Stati Uniti non è mai stato trasmesso, a quanto pare dopo le minacce diplomatiche di Washington al Qatar. La serie è stata infine divulgata dal sito web Electronic Intifada.

18 mesi fa, Al Jazeera ha trasmesso un’inchiesta intitolata The Labour Files, che mostrava come alti funzionari del Partito laburista britannico, assistiti dai media del Regno Unito, avessero ordito un complotto segreto per impedire a Corbyn di diventare primo ministro. Corbyn, leader democraticamente eletto dei laburisti, era un critico dichiarato di Israele e un sostenitore della giustizia per il popolo palestinese.

Ancora una volta, i media britannici, che avevano svolto un ruolo così critico nel contribuire a distruggere Corbyn, hanno ignorato l’inchiesta di Al Jazeera.

C’è uno schema che può essere ignorato solo per cecità intenzionale.

Israele e i suoi partigiani hanno libero accesso alle istituzioni occidentali, dove fabbricano affermazioni e calunnie che vengono prontamente amplificate da una stampa credulona.

Queste affermazioni vanno sempre e solo a vantaggio di Israele e danneggiano la causa di porre fine a decenni di brutale sottomissione del popolo palestinese da parte di un regime israeliano di apartheid che sta commettendo un genocidio.

Al Jazeera ha dimostrato ancora una volta che, sulle questioni che le istituzioni occidentali considerano più vitali per i loro interessi – come il sostegno a uno Stato cliente altamente militarizzato che promuove il controllo dell’Occidente sul Medio Oriente ricco di petrolio – la stampa occidentale non è un cane da guardia del potere, ma il braccio delle pubbliche relazioni dell’establishment.

L’inchiesta di Al Jazeera non ha solo rivelato le bugie che Israele ha diffuso sul 7 ottobre per giustificare il suo genocidio a Gaza. Rivela la totale complicità dei giornalisti occidentali in quel genocidio.

Jonathan Cook

6187.- Israele costringerà il Libano a entrare in guerra. L’ONU non ferma l’escalation di Biden e Netanyahu.

Gli attacchi di Israele agli ospedali sono “inaccettabili, violano le leggi e le norme internazionali, in particolare la Convenzione di Ginevra, che sottolinea la neutralità dei centri sanitari e degli operatori sanitari”. Il Libano non vuole la guerra, ma Israele gliela fa. A Gaza si sta celebrando la catastrofe dell’umanità.

Israele attacca centro medico in Libano e uccide 7 persone. La risposta di Hezbollah causa una vittima

Da Pagine Esteri, di Eliana Riva, 27 marzo 2024

Israele attacca centro medico in Libano e uccide 7 persone. La risposta di Hezbollah causa una vittima

di Eliana Riva – 

Il confronto armato tra Israele e Hezbollah, in Libano, subisce una nuova, pericolosa accelerazione. Martedì Israele ha colpito la zona più settentrionale del Libano dall’inizio della guerra. A 100 chilometri dal confine, nella città di Zaboud, nella zona orientale della Valle della Beqaa. L’esercito israeliano afferma di aver colpito un complesso militare contenente diverse piattaforme per il lancio dei droni.

Lo stesso giorno Hezbollah aveva attaccato la base aerea sul monte Meron, poco all’interno del confine israeliano. Si tratta di un presidio utilizzato dall’esercito per monitorare lo spazio aereo che, sempre secondo le forze armate, non ha subito danni significativi.

Durante la notte tra martedì e mercoledì, Israele ha compiuto un raid aereo sul villaggio di al-Habbariyeh, attaccando un centro medico e uccidendo 7 persone. Tel Aviv ha dichiarato che l’operazione militare mirava all’uccisione di un combattente dell’organizzazione Al-Jama’a Al-Islamiyya. Il Centro islamico di Emergenza e Soccorso è stato distrutto nell’attacco, che secondo fonti libanesi ha causato vittime civili: le autorità hanno dichiarato che nell’edificio c’erano paramedici, volontari e studenti universitari. Il Ministero della Salute libanese ha condannato il raid: “Questi attacchi inaccettabili violano le leggi e le norme internazionali, in particolare la Convenzione di Ginevra, che sottolinea la neutralità dei centri sanitari e degli operatori sanitari”.

Hezbollah ha immediatamente dichiarato che avrebbe risposto con forza a quello che ha definito un massacro compiuto da Israele. Alle 8 di mercoledì il gruppo islamico ha lanciato un attacco massiccio contro Kiryat Shmona, la città della punta settentrionale si Israele, vicinissima al confine, tra il Libano e le Alture del Golan occupate da Tel Aviv nel 1967. Almeno 3 dei circa 30 missili esplosi dal Libano hanno raggiunto la città, colpendo un edificio industriale e uccidendo un uomo di 25 anni.

Il Consiglio nazionale libanese per la ricerca scientifica (CNRS) ha denunciato il massiccio utilizzo di Fosforo bianco da parte di Israele nella zona meridionale, quantificato in circa 117 bombe fosforiche lanciate dall’inizio delle ostilità con Hezbollah, l’8 ottobre 2023, fino al 6 marzo 2024.

In Cisgiordania, intanto, sono stati uccisi 3 palestinesi nella zona di Jenin tra i quali due ragazzi di 19 anni. Il primo durante un’incursione dell’esercito israeliano nella città, all’esterno del campo profughi. Poche ora più tardi i militari hanno guidato un drone sull’area che ha ucciso altri 2 giovani palestinesi nelle prime ore dell’alba. L’utilizzo dei droni per uccidere i palestinesi in Cisgiordania è sempre più diffuso. All’inizio dell’anno, il 7 gennaio, proprio a Jenin un drone ha ucciso 7 persone tra le quali 4 fratelli della famiglia Darwish, che aspettavano di cominciare il lavoro quotidiano nei campi.

A Gaza si intensificano gli attacchi israeliani a Rafah, nonostante la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite abbia chiesto un cessate il fuoco immediato. Nella notte sono state uccise almeno 9 persone in un attacco aereo che ha distrutto l’abitazione della famiglia Chahir, nel nord di Rafah, al confine con l’Egitto. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver attaccato altri 5 edifici durante la notte. Sono stati distrutti anche numerosi terreni agricoli. Continua, intanto, l’assedio all’ospedale Shifa, dove gli israeliani hanno dichiarato di aver ucciso decine di persone.

Nella Striscia almeno 27 persone, tra le quali 23 bambini, sono morte di fame. Secondo la United Nations Population Fund, 1 su 3 bambini sotto i due anni a Gaza soffre una grave malnutrizione. Metà della popolazione ha esaurito le proprie scorte di cibo e deve far fronte a una “fame catastrofica”. Martedì almeno 12 palestinesi, tra cui bambini, sono annegati nel tentativo disperato di recuperare gli aiuti umanitari lanciati dagli aerei e finiti in mare. Decine di persone affamate hanno rincorso i paracadute con le scatole di aiuti alimentari fino alla spiaggia di Beit Lahia, dove il forte vento li ha spinti in mare. Pagine Esteri.

Raid nel sud del Libano, colpita auto con osservatori Onu. Idf smentisce: nessun attacco. Come credergli?

Feriti 3 membri Unifil di nazionalità australiana, cilena e norvegese, e un libanese, non in pericolo di vita. Ancora non chiara la dinamica dell’accaduto. Morti sulla distribuzione di aiuti, a Jenin ucciso un 13enne dopo un blitz dell’esercito.

6186.- Gli USA inviano altre armi a Israele: più di 2.000 bombe da sganciare su Gaza

GAZA. Armi dagli Stati uniti per l’attacco più violento

Così Biden & Co. festeggeranno la Pasqua cristiana con i Palestinesi. Come Bernie Sanders ha commentato la notizia criticando l’amministrazione Biden: “Non possiamo dire a Netanyahu di smetterla di bombardare civili e il giorno dopo mandargli migliaia di bombe.

Gli USA inviano altre armi a Israele: più di 2.000 bombe da sganciare su Gaza

Da Pagine Esteri, di Eliana Riva | 30 Mar 2024

Fonti di sicurezza americane hanno rivelato al Washington Post che negli ultimi giorni l’amministrazione Biden ha segretamente autorizzato il trasferimento a Israele di oltre 2.000 bombe e 25 aerei da guerra per miliardi di dollari.

Ipocriti! Chi nasce tondo, non muore quadro.

Nonostante gli Stati Uniti critichino il modo in cui Netanyahu sta gestendo la guerra a Gaza e si dicano preoccupati per un attacco su larga scala a Rafah, dove la maggior parte della popolazione palestinese è rifugiata, il sostegno armato non viene assolutamente messo in discussione. Secondo rivelazioni pubblicate a marzo, dal 7 ottobre gli USA hanno inviato 100 carichi di armi a Tel Aviv.

Su richiesta di Biden, alcuni funzionari di sicurezza israeliani avrebbero dovuto recarsi alla Casa Bianca ad ascoltare le proposte americane per limitare il numero dei morti civili. Ma Netanyahu ha annullato la visita in seguito alla decisione degli Stati Uniti di astenersi e non porre il veto sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiede un cessate il fuocotemporaneo a Gaza e il rilascio di ostaggi, senza subordinare la prima istanza alla seconda.

Washington consegnerà 1.800 bombe MK84 da 900 chilogrammi, e 500 bombe MK82 da 225 chilogrammi. Si tratta di armi con una potenza tale da demolire interi isolati e che non vengono più, di norma, utilizzate dagli eserciti su strutture civili o in contesti densamente abitati. Tuttavia, Israele ne ha fatto largo uso sulla Striscia, come nel caso dell’attacco al campo profughi di Jabalya, lo scorso 31 ottobre, che uccise circa 100 persone. Gli Stati Uniti hanno sganciato numerose MK84 durante la guerra del Vietnam e durante l’attacco all’Iraq del 1991, nell’operazione da loro denominata “Desert Storm”. Si tratta di ordigni utilizzati quando gli obiettivi principali richiedono forza e vastità della deflagrazione, piuttosto che precisione, nel colpire il bersaglio. 

Non sanno fare altro. Ecco la foto aerea d’una bomba M84 sganciata in Vietnam nel 1972

Dal 7 ottobre l’esercito israeliano ha sganciato 70.000 tonnellate di esplosivo su Gaza, utilizzando armi fornite principalmente da Stati Uniti e Germania.

25 caccia F-35A che Washington ha trasferito la scorsa settimana a Tel Aviv hanno un valore di 2,5 miliardi di dollari.

Lo scorso ottobre, l’F-35A è stato omologato al trasporto delle bombe nucleari B-61-12.

L’IRAN dovrà guardarsi da questo wing. La cessione potrebbe essere il risultato di un “do ut des”.

La risposta ufficiale dell’amministrazione USA è che l’accordo di fornitura era stato approvato prima della guerra e che per questo non richiedeva notifica pubblica. Lo stesso varrebbe per il nuovo pacchetto di 2.300 bombe.

Ma non sono i democratici, compresi alcuni alleati del presidente Biden, che ritengono che il governo degli Stati Uniti abbia la responsabilità di non consegnare armi fin quando Israele non si impegnerà seriamente a limitare le vittime civili e a far entrare aiuti a Gaza assediata sull’orlo della carestia? Quelli che chiedono maggiore trasparenza e condivisione nelle decisioni sul sostegno militare a Tel Aviv?

Il senatore statunitense Bernie Sanders ha commentato la notizia criticando l’amministrazione Biden: “Non possiamo dire a Netanyahu di smetterla di bombardare civili e il giorno dopo mandargli migliaia di bombe”.

La notizia dell’invio segue una visita a Washington del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, durante la quale ha chiesto all’amministrazione Biden di accelerare la consegna di armi.

In 175 giorni nella Striscia di Gaza sono state uccise 32.600 persone, di cui 8.850 donne e 13.800 bambini.

Questa mattina a Rmeish, nel sud del Libano, è stato colpito un veicolo delle Nazioni Unite appartenente all’UNIFIL, la forza di interposizione ONU. L’esplosione ha causato almeno quattro feriti. Israele nega di aver effettuato il raid. All’inizio del mese, tuttavia, un drone israeliano ha colpito e distrutto un veicolo proprio nell’area di Naqoura, non lontano da Rmeish, uccidendo 3 persone.

Forze di interposizione ONU presenti in Libano

Sempre a Naqoura, alla fine di ottobre un missile aveva colpito la base militare dell’UNIFIL, senza causare vittime, come nel mese di novembre, quando i colpi di Israele hanno raggiunto invece una delle pattuglie ONU. All’inizio di marzo l’UNIFIL ha presentato la relazione finale dell’inchiesta sull’uccisione in Libano, nell’ottobre 2023, del giornalista di Reuters Issa Abdallah. Il report denuncia la volontà israeliana di colpire deliberatamente i civili presenti lungo il confine, chiaramente identificabili come giornalisti. L’Italia è presente in Libano con un contingente di circa 1.000 soldati. L’UNIFIL è composta da circa 10.000 militari provenienti da 49 diversi Paesi. Pagine Esteri

6165.- La strategia delle atrocità nella guerra di Gaza

Michael Hochberg e Leonard Hochberg, in questo articolo pubblicato da Gatestone institute e da noi tradotto liberamente, sostengono che l’umanità che distingue il combattente cristiano dalla bestia feroce, avrebbe lasciato il campo all’atrocità. Preferirei una nuova Nurnberg. Riflettiamo.

Da Gatestone Institute, di Michael Hochberg e Leonard Hochberg, 18

Hamas è forse il primo regime nella storia a combattere una guerra progettata per massimizzare le vittime tra la propria popolazione.

Il fallimento nel distruggere rapidamente Hamas e nel punire direttamente i suoi sostenitori in Iran e Qatar insegnerà ai simpatizzanti di altre parti del mondo musulmano che le strategie di atrocità dovrebbero essere aggiunte al programma dei regimi che sfidano gli alleati degli Stati Uniti in tutto il mondo. Ancora peggio sarebbe che Hamas ottenesse effettivamente una vittoria strategica e ottenesse uno stato palestinese; un simile risultato garantirebbe che l’atrocità diventi una strategia standard e ampiamente utilizzata per almeno una generazione a venire.

Le leggi di guerra – principalmente un’innovazione occidentale – vengono utilizzate come armi dai nemici dell’Occidente, che non aderiscono alla cultura occidentale… Oggi, gli Stati Uniti e i nostri alleati si trovano in guerra con stati e non -entità statali che non sottoscrivono le leggi di guerra.

“[I] terroristi di Hamas uccisi da Israele nella guerra che ne seguì, e civili non combattenti uccisi nella Striscia di Gaza mentre venivano usati come scudi umani da Hamas. Sono tutti considerati” Martiri “le cui famiglie hanno diritto a ricevere uno stipendio di 1.400 -12.000 shekel [$375-$3200] al mese per tutta la vita.” — Itamar Marco; Fondatore, Palestine Media Watch, palwatch.org, 10 gennaio 2024.

L’accusa popolare di sproporzionalità è, in realtà, mirata a impedire alle nazioni allineate all’Occidente di ottenere vittorie decisive. Anche quando gli alleati degli Stati Uniti avranno la capacità militare di spezzare la volontà del nemico, imponendo così la pace agli sconfitti, saranno costretti a ricorrere a guerre eterne.

Perché gli israeliani dovrebbero essere costretti a concedere aiuti a Gaza, quando Hamas continua a tenere in ostaggio non solo gli israeliani ma anche gli americani? Con il pretesto di benevolenza e generosità, le organizzazioni internazionali promuovono guerre eterne.

Se si permette al tipo di guerra che abbiamo visto da parte di Hamas di avere successo, e non viene accolta con violenza schiacciante e sconfitta totale, diventerà l’approccio standard per coloro che sfidano il dominio occidentale. Se, tuttavia, vogliamo vivere in un mondo in cui le leggi di guerra significano qualcosa, allora le sanzioni per chi le viola deliberatamente devono essere terribili. Altrimenti più regimi saranno tentati di trarre vantaggio attraverso strategie di atrocità.

  • Gli Stati Uniti dovrebbero smettere di imporre ai nostri alleati la dottrina della sconfitta.
  • Infine, il giorno dopo la fine delle ostilità, gli israeliani devono proteggere il nuovo governo di Gaza dall’essere indebolito dai rinnovati sforzi per sostenere il terrorismo e la rimilitarizzazione.
  • L’unica via verso la pace, oltre alla distruzione di Israele, passa attraverso una vittoria globale di Israele e una resa incondizionata di Hamas a Gaza, e un accordo postbellico che garantisca che gli abitanti di Gaza non saranno più in grado di commettere tali atrocità in Israele.
Hamas è forse il primo regime nella storia a combattere una guerra progettata per massimizzare le vittime tra la propria popolazione. Nella foto: il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen mostra una foto di un soldato israeliano in posa accanto a un deposito di armi di Hamas trovato all’ospedale Rantisi di Gaza, in una conferenza stampa presso l’Ufficio europeo delle Nazioni Unite a Ginevra, il 14 novembre 2023 (Foto di Pierre Albouy/AFP tramite Getty Images)

Le persone dovrebbero essere accarezzate o schiacciate. Se fai loro un danno minore, si vendicheranno; ma se li paralizzi non possono fare nulla. Se devi ferire qualcuno, fallo in modo tale da non dover temere la sua vendetta.” — Niccolò Machiavelli.

Immagina per un momento la seguente storia apparsa sul New York Times:

12 ottobre 2023, Gaza City. In un impeto di rabbia, la popolazione di Gaza è scesa in piazza per protestare contro gli attentati del 7 ottobre, che hanno provocato il crollo del governo di Hamas. I resoconti locali sono confusi, ma sembra che diverse centinaia di funzionari di Hamas siano stati uccisi da folle inferocite di cittadini palestinesi. Si dice che i leader sopravvissuti di Hamas stiano fuggendo da Gaza. Sui social media sono stati pubblicati video non verificati di quella che sembra essere la morte raccapricciante di diversi alti funzionari di Hamas.

Ma non è questa la realtà in cui viviamo.

LEZIONI APPRESE DAL 7 OTTOBRE

A parte la distruzione di Israele, non ci sarà nessuno stato palestinese sovrano a Gaza nel prossimo futuro. Ciò non è dovuto a ciò che Hamas ha fatto il 7 ottobre. Questo perché tali azioni sono avvenute con il sostegno e la collaborazione della popolazione di Gaza, migliaia della quale si è riversata oltre confine per saccheggiare, stuprare e prendere ostaggi al seguito dei terroristi.

Sfortunatamente, parlare di Hamas come di un’entità separata dalla popolazione di Gaza è falso e fuorviante. Ogni indicazione, dai sondaggi d’opinione alle azioni tangibili di gran parte della popolazione di Gaza, indica che le azioni di Hamas sono viste in una luce positiva da molti abitanti di Gaza. Per gli Stati Uniti ricompensare queste azioni con statualità, autonomia o fondi per la ricostruzione sarebbe una totale follia.

Ci sono solo due strade verso una pace duratura tra il popolo palestinese e Israele:

La prima è che i palestinesi ottengano una vittoria militare complessiva, che comporterebbe l’immediato stupro, tortura e omicidio di tutti gli israeliani che non riescono a fuggire.

La seconda è che Israele ottenga una vittoria decisiva e la resa incondizionata di Hamas, a quel punto potrà iniziare il lungo processo di ricostruzione della società di Gaza.

La terza alternativa, e l’opzione predefinita – probabilmente sostenuta dal Qatar, il principale negoziatore per il rilascio degli ostaggi ma anche il principale sostenitore di Hamas e di altri gruppi terroristici (qui e qui) – è una guerra eterna in cui nessuna delle due parti può ottenere la vittoria. Hamas continuerà a impiegare mezzi militari asimmetrici, come attacchi terroristici e lancio di missili contro obiettivi civili, per garantire diversi obiettivi:

In primo luogo, ricordare a tutti i palestinesi che Hamas sta assumendo la guida della distruzione di Israele; secondo, sopravvivere come forza militare; terzo, riaccendere il conflitto con Israele quando, in futuro, si presenterà un’apertura strategica; e, quarto, generare conflitti continui e quindi sofferenze per gli abitanti di Gaza, la cui responsabilità può essere trasferita su Israele nei media internazionali e attraverso organismi internazionali, comprese le Nazioni Unite.

UNA GUERRA DI ATROCITÀ

A Gaza stiamo assistendo a un nuovo e innovativo tipo di guerra combattuta: Hamas è forse il primo regime nella storia a combattere una guerra progettata per massimizzare le vittime tra la propria popolazione. Hamas ha creato una circostanza, attraverso il dispiegamento strategico di atrocità, in cui Israele si è trovato di fronte alla scelta di non rispondere o di rispondere con una forza schiacciante. Il primo comporterebbe il collasso del governo israeliano e gli avversari di Israele lo percepirebbero (correttamente) come devastantemente debole, a causa della riluttanza o dell’incapacità di difendersi. Quest’ultima si tradurrebbe inevitabilmente in una condanna internazionale per gli effetti sui non combattenti di Gaza, con false accuse di “sproporzionalità” e presunte violazioni delle leggi di guerra. La strategia atroce di Hamas è allo stesso tempo brillante e malvagia.

Inizialmente, commentatori e politici israeliani hanno notato una somiglianza con le tattiche di atrocità attuate dall’ISIS (lo Stato islamico in Iraq e Siria). Tuttavia, il legame tra Isis e Hamas è molto più profondo di quanto molti credano. Secondo Ofira Seliktar, studiosa dei fallimenti dell’intelligence, l’Isis e Hamas hanno imparato la strategia dagli stessi manuali. Seliktar ha sostenuto che Hamas

“… sviluppò[ndr] una strategia jihadista basata su due famosi libri jihadisti: Uno, Issues in the Jurisprudence of Jihad … noto anche come Jurisprudence of Blood, o la “bibbia jihadista”, forniva una giustificazione teologica per aver inflitto violenza estrema ai nemici, nonché un elenco di tattiche come decapitare, torturare o bruciare vivi i prigionieri. Il secondo libro, Management of Savagery, esortava [gli jihadisti] a commettere atrocità che attiravano l’attenzione per attirare reclute e seminare paura nei cuori del nemico.”

Inoltre, il fatto che Hamas “incorpori” i suoi combattenti tra i civili residenti a Gaza, utilizzando di fatto i palestinesi come scudi umani – un’altra atrocità – è giustificato dai principi della guerra asimmetrica. Secondo Seliktar, la descrizione fornita dai media del rapporto tra Hamas e i residenti è sbagliata

“… si limitava principalmente alla descrizione delle sofferenze…. La dottrina dell’IRGC-QF [Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica Iranica – Forza Quds] dell’uso di scudi umani era basata sul principio coranico della guerra del generale di brigata S. K. Malik. Adattato ai conflitti asimmetrici, stabiliva che l’inserimento tra i non combattenti potesse livellare il campo di gioco quando si affrontavano eserciti occidentali obbligati a seguire le leggi umanitarie della guerra.

GUERRA ASIMMETRICA E LEGGI DI GUERRA

Le leggi di guerra – principalmente un’innovazione occidentale – vengono utilizzate come armi dai nemici dell’Occidente, che non aderiscono alla cultura occidentale. Le leggi di guerra hanno un certo senso quando esiste un consenso culturale tra i potenziali combattenti sull’esistenza di un insieme minimo di standard per la condotta della guerra. Ma senza un terzo sovrano indipendente che possa far rispettare le regole sulle potenze combattenti, tali leggi di guerra saranno valide solo nella misura in cui i leader scelgono di obbedirle e garantire che i loro stessi soldati le rispettino. Quando uno Stato che sottoscrive il concetto di diritti umani e restrizioni militari è in guerra con un’organizzazione che non riconosce tali restrizioni, la bilancia dei vantaggi va alla parte che non riconosce limiti, a meno che non vi sia qualche beneficio esogeno associato all’adesione al concetto di diritti umani e restrizioni militari. leggi di guerra e norme accettate in materia di diritti umani.

Oggi gli Stati Uniti e i nostri alleati si trovano in guerra con stati ed entità non statali che non sottoscrivono le leggi di guerra. Anche se alcuni hanno firmato i relativi trattati, la loro leadership ha dimostrato una profonda mancanza di interesse nel far rispettare le leggi pertinenti riguardanti i propri soldati. Ad esempio, la Russia, durante l’invasione dell’Ucraina, ha commesso una serie infinita di atrocità e crimini di guerra e ha deliberatamente preso di mira i civili. Gli obiettivi russi sembrano includere il terrore della popolazione civile per sottometterla e la cancellazione dell’identità ucraina nelle aree occupate.

Ciò che è ancora peggio è che, in alcuni casi, il nucleo della legittimità dei regimi avversari si fonda su un’agenda che contravviene ai presupposti su cui si fondano le leggi di guerra. L’obiettivo esplicito e dichiarato di Hamas è la distruzione di Israele e la morte di tutti gli ebrei in tutto il mondo (qui, qui e qui).

Hamas, l’ISIS e persino l’Autorità Palestinese (AP) non riconoscono alcuna distinzione significativa tra civili e combattenti, né tra i loro nemici, né all’interno delle loro stesse popolazioni. Come sottolinea Itamar Marcus, fondatore di Palestine Media Watch:

“Ciò che risulta chiaro sia dai nuovi annunci dell’Autorità Palestinese che dalla politica passata è che l’Autorità Palestinese non fa differenza tra i terroristi di Hamas che hanno commesso atrocità dopo aver invaso Israele il 7 ottobre, i terroristi di Hamas uccisi da Israele nella guerra che ne seguì, e i civili non combattenti. uccisi nella Striscia di Gaza mentre venivano usati come scudi umani da Hamas. Sono tutti considerati “martiri” le cui famiglie hanno diritto a ricevere uno stipendio di 1.400-12.000 shekel [$ 375 – $ 3.215] al mese per tutta la vita.”

Questa distinzione tra combattenti e civili è un concetto chiave nella moderna comprensione di ciò che costituisce uno stato-nazione. Quale moderazione è giustificata in una guerra, provocata da un attacco terroristico contro una società liberal-democratica e pluralistica, verso un regime che celebra l’omicidio, lo stupro di massa, il rapimento e ogni immaginabile sapore di ferocia e terrore? La risposta è tragicamente semplice: le leggi di guerra sono state progettate per affrontare i conflitti tra stati che riconoscono una chiara distinzione tra combattenti e civili.

Se a organizzazioni come Hamas fosse permesso di nascondersi “tra la gente” e di ottenere la vittoria violando le regole accettate della guerra civile, allora le regole della guerra civile diventerebbero niente più che un’arma intellettuale schierata contro l’Occidente, impedendo a quest’ultimo di agire. difendendo le sue istituzioni e la sua cultura e, infine, portandolo alla sconfitta.

LA DOTTRINA DELLA PROPORZIONALITÀ

La proporzionalità – uno dei principi chiave delle leggi di guerra – è un termine ampiamente frainteso. Esiste un’intesa popolare e una tecnica, giuridica. Secondo un annuncio disponibile su un sito web di West Point:

“La proporzionalità gioca un ruolo chiave nel diritto internazionale umanitario (DIU). È essenziale per regolare la condotta delle ostilità, richiedendo che il danno accidentale atteso non sia eccessivo rispetto al vantaggio militare previsto….”

Lord Guglielmo Verdirame, in the UK House of Lords, articulated the legal doctrine of proportionality clearly and succinctly:

“Proporzionalità non significa che la forza difensiva debba essere uguale all’attacco. Significa che è possibile usare la forza in modo proporzionato all’obiettivo difensivo: fermare, respingere e prevenire ulteriori attacchi. Gli obiettivi di guerra di Israele sono coerenti con la proporzionalità prevista dalla legge dell’autodeterminazione. -difesa.”

Verdirame suggerisce che la legittimità del vantaggio militare che uno stato cerca di assicurarsi dipende dai suoi obiettivi di guerra mentre si impegna nell’autodifesa. Quali sono gli obiettivi di guerra ufficiali di Israele?

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato, in una recente intervista, che gli obiettivi di guerra di Israele sono: “Uno, distruggere Hamas. Due, liberare gli ostaggi… Tre, garantire che Gaza non costituisca mai più una minaccia per Israele”. Dato che la leadership di Hamas sta già minacciando una serie di ulteriori attacchi (qui e qui), è chiaro che la forza dispiegata finora da Israele non ha ancora consentito loro di raggiungere i loro obiettivi di guerra.

Tuttavia, nell’immaginazione popolare, la dottrina della proporzionalità ha lo scopo di impedire agli Stati di usare una forza schiacciante e di arrecare danni eccessivi ai non combattenti. I media mainstream hanno alimentato l’idea che Israele abbia commesso crimini di guerra uccidendo presumibilmente 30.000 abitanti di Gaza, mentre solo 1.300 persone – israeliane, francesi, americane e cittadini di altri paesi – sono state uccise il 7 ottobre. è fornito da un’agenzia del governo di Gaza gestita da Hamas; e il numero non fa distinzione tra terroristi di Hamas e non combattenti. La stampa popolare sostiene che il numero “sproporzionato” di morti significa che i crimini di guerra devono essere stati commessi da Israele.

Consideriamo il Giappone e la Germania alla fine della seconda guerra mondiale: circa il 6-12% della loro popolazione totale era stata uccisa, e molte di più ferite, prima che fosse raggiunta la resa incondizionata. Al contrario, solo lo 0,32% della popolazione americana è stata uccisa. Una campagna simile oggi comporterebbe un numero di vittime dieci volte superiore a quello riportato a Gaza, forse 300.000 o più.

Questi confronti sollevano il problema della proporzionalità dei risultati, ma c’è un altro problema: la proporzionalità date le diverse capacità militari. Alcuni sostengono che Israele, a causa della sua forza comparativa, ha la responsabilità di attaccare solo Hamas ed evitare danni alla popolazione civile che Hamas usa come scudi umani. Tali affermazioni popolari equivalgono alla dottrina secondo cui una parte lesa in un conflitto, essendo stata accecata da un occhio da un nemico, può cercare solo un danno uguale, “occhio per occhio”. Tale logica non ha alcun fondamento nel diritto internazionale o nel diritto di guerra e produrrebbe risultati assurdi: un omicidio per un omicidio, una mutilazione per una mutilazione, una decapitazione per una decapitazione, uno stupro per uno stupro.

L’effetto immediato di questa dottrina colloquiale della “proporzionalità” definita in modo confuso è quello di delegittimare la guerra di Israele contro Hamas. Ma l’effetto a lungo termine è qualcosa di completamente diverso: l’accusa popolare di sproporzionalità è, in realtà, mirata a impedire alle nazioni allineate all’Occidente di ottenere vittorie decisive. Anche quando gli alleati degli Stati Uniti avranno la capacità militare di spezzare la volontà del nemico, imponendo così la pace agli sconfitti, saranno costretti a ricorrere a guerre eterne.

L’accusa di sproporzionalità non è che una delle accuse di crimini di guerra mosse contro Israele e le Forze di Difesa Israeliane. La Corte internazionale di giustizia dell’Aia, le organizzazioni non governative (ONG) e persino il governo degli Stati Uniti, alleato di Israele, stanno indagando sulle accuse di crimini di guerra israeliani, quando, secondo quanto riferito, Israele ha fatto più di qualsiasi altro esercito per ridurre al minimo i danni ai civili . Queste accuse tuttavia includono, tra le altre: genocidio contro i palestinesi, pulizia etnica, punizione collettiva, negazione degli aiuti umanitari, uccisione indiscriminata di civili e incapacità di fornire un adeguato avvertimento di un attacco imminente. Israele risponderà senza dubbio sia alle accuse formali che alle accuse dei media.

La portata dell’indiscussa distruzione e della tragedia umana a Gaza ha suscitato un’attenzione drammatica e incessante da parte dei media, che ha conseguenze strategiche significative e immediate sia per Israele che per Hamas. L’uso diffuso dei social media si traduce nella trasmissione rapida e di vasta portata di notizie e propaganda, con testi, immagini e video, progettati e ottimizzati per promuovere indignazione e polarizzazione, trasmessi a miliardi di persone in tutto il mondo. Allo stesso modo, la scelta di Israele di limitare la copertura mediatica e la pubblicazione delle immagini e dei video delle atrocità di Hamas del 7 ottobre e delle loro conseguenze ha avuto effetti significativi sulla percezione di Israele e degli attacchi stessi (qui, qui e qui).

Il primo incidente ad attirare l’ampia attenzione dei media è stato quando un giornalista della British Broadcasting Company (BBC) ha indicato che un’esplosione fuori da un ospedale nel nord di Gaza il 18 ottobre 2023 era stata il risultato di un attacco israeliano:

“L’esercito israeliano… ha detto che sta indagando, ma è difficile vedere cos’altro potrebbe essere, in realtà, data la dimensione dell’esplosione, oltre a un attacco aereo israeliano, o diversi attacchi aerei.”

Entro un’ora dall’attacco, il ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas, ha stimato il bilancio delle vittime a 500; la BBC ha fatto eco a questa affermazione indicando che il numero dei morti era di centinaia. Il 19 ottobre 2023, la BBC ha ritirato le sue accuse. Nel commentare questi avvenimenti, il Signore Guglielmo Verdirami ha affermato:

“Quando viene fatta un’accusa seria, in particolare quella che potrebbe costituire un crimine di guerra, la risposta immediata del belligerante rispettoso della legge sarà quella di dire: ‘Stiamo indagando.'”

Il belligerante che non rispetta la legge, al contrario, incolperà immediatamente l’altra parte e fornirà anche cifre sorprendentemente precise sulle vittime. Il dovere di indagare è uno dei compiti più importanti nei conflitti armati. Quello che è successo nel modo in cui è stato riportato lo sciopero all’ospedale è che la parte che non ha mostrato alcun interesse a rispettare le leggi sui conflitti armati è stata premiata con i titoli dei giornali che cercava.

Il resoconto irresponsabile della BBC, accompagnato dalle immagini del luogo dell’esplosione, è stato indagato, smentito e ripudiato da Israele e dai governi occidentali. Hanno stabilito che l’esplosione è stata causata da un razzo lanciato dall’interno di Gaza dalla Jihad islamica palestinese.

Amnesty International ha insistito il 20 ottobre 2023 sul fatto che la sua ricerca ha rivelato che le Forze di difesa israeliane (IDF) non sono riuscite a notificare ai civili la sua intenzione di attaccare le abitazioni nella densamente popolata Gaza, provocando la morte di famiglie palestinesi. Il titolo del post catturava l’intento dell’organizzazione: “Prove schiaccianti di crimini di guerra mentre gli attacchi israeliani sterminano intere famiglie a Gaza”. Inoltre, Amnesty International ha affermato che Israele non aveva permesso loro di entrare a Gaza per missioni conoscitive, suggerendo così che Israele stava nascondendo qualcosa piuttosto che che Amnesty potesse non agire in buona fede.

Prima di accettare acriticamente tali accuse, ciò che dovremmo apprezzare sono i dati comparativi che collocano la distruzione di Gaza da parte di Israele nel perseguimento dei suoi obiettivi di guerra nel contesto storico. Secondo John Spencer, titolare della cattedra di studi sulla guerra urbana presso il Modern War Institute dell’Accademia militare degli Stati Uniti (West Point), la guerra a Gaza non è paragonabile a nessun altro conflitto della storia moderna, in particolare per l’inclusione sistemica dei guerrieri di Hamas e del materiale bellico all’interno e al di sotto di case private, ospedali, scuole, moschee e strutture dell’UNWRA. Tale inclusione è, di per sé, un crimine di guerra.

“La verità”, sostiene Spencer, “è che Israele ha seguito scrupolosamente le leggi dei conflitti armati e ha implementato molte misure per prevenire vittime civili….” Egli paragona il numero di vittime a Gaza con il numero devastante e schiacciante di vite umane persi in altre battaglie urbane moderne – a Mariupol, in Cecenia, in Siria, a Dresda, a Tokyo, a Manila e a Mosul.

Un’implicazione inequivocabile dell’analisi di Spencer è che Israele è tenuto a uno standard di comportamento diverso e più esigente rispetto a Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti – tre potenze che avevano deciso nel 1945 di evitare guerre per sempre cercando la vittoria, anche se devastante. costo per i loro avversari.

HAMAS E LA FINE DELLE GUERRE PER SEMPRE

Hamas fornisce un eccellente esempio di guerra eterna: ha funzionato per quasi 20 anni come governo a Gaza, esercitando il monopolio locale sulla violenza in un territorio specifico. Dal 2006, ogni periodo di relativa pace a Gaza è stato utilizzato da Hamas come un’opportunità per riarmarsi e prepararsi per la successiva serie di attacchi. Nei mesi precedenti il 7 ottobre, Hamas è rimasta relativamente tranquilla, per infondere agli israeliani un senso di sicurezza, mentre si preparavano a lanciare un attacco devastante. Molte élite politiche e leadership militari in Israele credevano in quella che si rivelò una speranza ingiustificata: che attraverso l’impegno economico (qui, qui e qui), Gaza sarebbe diventata più prospera, gli abitanti di Gaza avrebbero abbandonato la loro bellicosità a favore di una crescita verso l’alto. mobilità e che Hamas si stava dedicando completamente al governo. Altri avrebbero potuto sperare che la retorica genocida di Hamas fosse una forma di atteggiamento politico. Purtroppo, non avrebbero potuto sbagliarsi di più.

La leadership di Hamas capisce chiaramente di non avere la forza delle armi o il sostegno esterno necessari per sconfiggere Israele in qualsiasi conflitto intrapreso nell’ambito delle leggi di guerra. Invece, Hamas si impegna in attacchi terroristici che sembrano intenzionati a esigere risposte che provocheranno dispiacere e divisione tra i sostenitori occidentali di Israele. Ciò rafforza la posizione di Hamas all’interno del mondo musulmano, sottoponendo al tempo stesso i cittadini di Gaza alle terribili conseguenze di una guerra che Hamas non può vincere, ma che a volte sembra che l’Occidente non voglia che Hamas perda.

La popolazione palestinese è stata sostenuta da un’agenzia delle Nazioni Unite, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA). I palestinesi, a differenza di altre nazioni, popoli o gruppi etnici, hanno un’agenzia esclusiva delle Nazioni Unite dedicata al loro benessere, ma ad accompagnare questo privilegio ci sono delle restrizioni: ai palestinesi non è consentito reinsediarsi come cittadini nelle popolazioni dei paesi ospitanti. I palestinesi che vivono in Giordania, Libano e Siria da tre generazioni vengono trattati come non cittadini apolidi e non possono per legge lavorare o integrarsi nei loro nuovi paesi d’origine. Ancora oggi, l’Egitto tiene le porte chiuse (in assenza di massicce tangenti o influenza politica) ai palestinesi che cercano di fuggire dalla zona di guerra.

Fornire assistenza sociale a questi rifugiati mantiene una popolazione scoraggiata, piena di odio e in espansione mobilitata allo scopo di terrorizzare contro Israele. Dato che la leadership dei campi profughi, Hamas, Jihad islamica e persino Fatah (qui, qui e qui) sono tutti impegnati nella distruzione di Israele, la domanda profonda è questa: perché le popolazioni che hanno sostenuto tali organizzazioni dovrebbero , e che rifiutandosi di rispettare le leggi di guerra, ricevono benefici dalle Nazioni Unite e dalle istituzioni occidentali? Perché gli israeliani dovrebbero essere costretti a concedere aiuti a Gaza, quando Hamas continua a tenere in ostaggio non solo gli israeliani ma anche gli americani? Con il pretesto di benevolenza e generosità, queste organizzazioni internazionali promuovono guerre eterne.

Al contrario, dopo la seconda guerra mondiale, gli Alleati erano temuti in gran parte perché dimostravano la volontà di usare una forza schiacciante per ottenere la vittoria. Anche se non hanno preso di mira deliberatamente i civili, non hanno esitato a intraprendere azioni che avrebbero senza dubbio provocato un gran numero di vittime civili, al fine di distruggere obiettivi militari legittimi e minare la volontà dei loro avversari di continuare a combattere. Tali azioni sono state una parte necessaria per ottenere la vittoria nella maggior parte delle guerre nel corso della storia umana.

I regimi liberal-democratici del mondo non possono accettare di essere ostacolati dal concetto popolare di proporzionalità, applicato in modo asimmetrico agli avversari che non riconoscono tale limitazione. L’uso di una forza schiacciante per ottenere la vittoria porta a guerre che effettivamente finiscono, anziché trascinarsi all’infinito. I regimi che sostengono il terrorismo, che hanno programmi esplicitamente genocidi e che non riescono a riconoscere la distinzione tra civili e combattenti, devono essere attaccati e distrutti con tutta la forza delle armi occidentali. Qualsiasi appello da parte loro alla moderazione o alle leggi di guerra dovrebbe essere basato sul loro esplicito disconoscimento e applicazione sia degli obiettivi genocidi che dei mezzi terroristici per raggiungere tali fini.

VITTORIA DECISIVA E RESA INCONDIZIONATA

Le distinzioni tra civili e combattenti sono esplicitamente un artefatto della cultura strategica occidentale. Gli avversari dell’Occidente oggi non condividono questa cultura strategica e hanno i propri modi di guerra, del tutto distinti. Nella misura in cui si conformano alle idee occidentali sulla guerra limitata, sui diritti umani o sulle distinzioni tra civile e militare, è perché temono le conseguenze di una risposta da parte degli Stati Uniti. Perfino l’egemonia americana si è rivelata insufficiente per fermare Srebrenica, Xinjiang, Darfur, Grozny o altri massacri troppo numerosi per essere menzionati.

Qual è il risultato di questi casi di atrocità avviate dal governo? Quando un regime che non riconosce una distinzione tra civili e combattenti si impegna nel terrorismo, quel governo, con ogni probabilità, utilizzerà il proprio popolo come scudi umani, ostaggi o sacrifici umani al fine di generare simpatia tra la popolazione dei suoi nemici. I non combattenti che hanno scelto e sostenuto un tale governo hanno creato una circostanza in cui, affinché l’ordine internazionale basato sulle regole sopravviva, il governo deve essere distrutto.

Se si permette al tipo di guerra che abbiamo visto da parte di Hamas di avere successo, e non viene accolta con violenza schiacciante e sconfitta totale, diventerà l’approccio standard per coloro che sfidano il dominio occidentale. Se, tuttavia, vogliamo vivere in un mondo in cui le leggi di guerra significano qualcosa, allora le sanzioni per chi le viola deliberatamente devono essere terribili. Altrimenti più regimi saranno tentati di trarre vantaggio attraverso strategie di atrocità.

Gli Stati Uniti dovrebbero smettere di imporre ai nostri alleati la dottrina della sconfitta. Anche se i civili non dovrebbero essere presi di mira deliberatamente, i nostri alleati dovrebbero essere incoraggiati a usare una forza schiacciante per ottenere vittorie rapide e decisive sui regimi che promuovono le atrocità. Le vittime civili, in una circostanza del genere, sono sia deplorevoli che inevitabili.

Gli Stati Uniti dovrebbero sostenere Israele per ottenere una vittoria decisiva a Gaza. Cosa significa una vittoria decisiva? La resa incondizionata di Hamas.

Chiunque abbia partecipato agli eventi del 7 ottobre, chiunque abbia trasmesso ordini e chiunque abbia fornito sostegno materiale deve essere ucciso, oppure catturato e processato. Lo stesso vale per chiunque sia coinvolto nella cattura, detenzione o abuso degli ostaggi. Chiunque sia stato impegnato con il regime di Hamas come amministratore, politico o esattore delle tasse deve essere detenuto, interrogato e chiamato a rispondere di qualsiasi azione abbia sostenuto l’invasione del 7 ottobre. Alla fine di questa guerra, i militari e i politici i leader responsabili di quegli attacchi avrebbero dovuto essere uccisi in battaglia, processati per la loro complicità in crimini di guerra, o dovrebbero fuggire per salvarsi la vita, come la leadership del partito nazista dopo la seconda guerra mondiale. Inoltre, tutte le organizzazioni internazionali complici di Hamas non dovrebbero più avere alcun ruolo nel governo o nel sostegno di Gaza, in particolare l’UNRWA.

In particolare, anche il governo del Qatar, che “sostiene tutte le organizzazioni terroristiche islamiste (ISIS, Al-Qaeda, Talebani, Hamas e Hezbollah)” (qui e qui) e fornisce un rifugio sicuro alla leadership di Hamas, dovrebbe essere ritenuto responsabile . L’Iran, che finanzia e dirige i gruppi terroristici in tutto il Medio Oriente e oltre, deve essere sanzionato, contenuto e minacciato con l’uso credibile di una forza devastante per il suo ruolo. Infine, il giorno dopo la fine delle ostilità, gli israeliani devono proteggere il nuovo governo di Gaza dall’essere indebolito dai rinnovati sforzi per sostenere il terrorismo e la rimilitarizzazione.

IL GIORNO DOPO LA RESA INCONDIZIONATA: “CONQUISTARE” LA PACE

Gli israeliani dovranno compiere uno sforzo significativo per deradicalizzare la popolazione di Gaza nelle prossime due generazioni. Dovranno istituire un regime che governi per loro conto, anche se gli abitanti di Gaza senza dubbio considereranno questi politici come dei Quisling. Imponendo un governo che tenti almeno di far rispettare i diritti civili fondamentali – accesso al controllo delle nascite, libertà di religione, libertà di parola, sicurezza della proprietà privata, equa giustizia secondo la legge – e un programma educativo inteso a deradicalizzare il popolazione, forse superiore a 50 anni o più – è possibile ottenere una sorta di sistemazione duratura. Nel frattempo, il meglio che si può sperare è sicurezza e stabilità. Nessun attore esterno può far sì che ciò accada. L’alternativa è una guerra eterna. L’unica via verso la pace, oltre alla distruzione di Israele, passa attraverso una vittoria globale di Israele e una resa incondizionata di Hamas a Gaza, e un accordo postbellico che garantisca che gli abitanti di Gaza non saranno più in grado di commettere tali atrocità in Israele.

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Michael Hochberg ha conseguito il dottorato in fisica applicata al Caltech ed è attualmente visiting fellow presso il Center for Geopolitics dell’Università di Cambridge. È il presidente di Periplous LLC, che fornisce servizi di consulenza su strategia, tecnologia e progettazione organizzativa.

6146.- L’illusione di uno Stato della Palestina demilitarizzato

A volte viene da pensare alla soluzione finale perseguita da Netanyahu con il genocidio e la diaspora, come all’unica possibile. L’amministrazione Biden propone di creare uno Stato palestinese “smilitarizzato” accanto a Israele. Nel vincolo della smilitarizzazione sta tutta l’insufficienza di questa proposta. Dal punto di vista giurisprudenziale, come secondo logica, la futura Palestina non può essere privata del diritto degli Stati sovrani a mantenere forze militari essenziali per l’”autodifesa”. È una regola irrinunciabile del diritto internazionale, perentoria. La Palestina di domani avrebbe interamente il diritto di abrogare qualsiasi accordo pre-indipendenza che l’avesse costretta alla smilitarizzazione.”

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu assiste a una riunione del gabinetto AFP PHOTO / POOL /GALI TIBBON

Da Gatestone institute,di Bassam Tawil  •  5 Marzo 2024, traduzione libera

  • [Qualsiasi impegno a favore di uno Stato smilitarizzato da parte della leadership palestinese sarebbe giuridicamente inutile.
  • “Qualsiasi trattato è nullo se, al momento in cui è stato stipulato, è in conflitto con una norma ‘perentoria’ del diritto internazionale generale (jus cogens) – una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati come una norma alla quale non è possibile derogare”. è permesso.’ Poiché il diritto degli Stati sovrani a mantenere forze militari essenziali per l'”autodifesa” è una regola così perentoria, la Palestina, a seconda della sua particolare forma di autorità, potrebbe avere interamente il diritto di abrogare qualsiasi accordo pre-indipendenza che l’avesse costretta smilitarizzazione.” [Corsivo nell’originale.] — Louis René Beres, professore emerito alla Purdue University ed esperto di diritto internazionale e scienze politiche, jurist.org, 23 dicembre 2023.
  • “Qui sta il nocciolo giurisprudenziale del problema della smilitarizzazione palestinese: il diritto internazionale non richiederebbe necessariamente il rispetto da parte dei palestinesi di eventuali accordi pre-statali riguardanti l’uso della forza armata. Dal punto di vista di tale legge autorevole, imporre la smilitarizzazione a uno stato sovrano di Palestina significherebbe essere estremamente problematico.” [Corsivo nell’originale.] —Louis René Beres, jurist.org, 23 dicembre 2023.
  • “Molto palesemente, sia il mondo arabo che l’Iran hanno ancora soltanto una ‘soluzione a un singolo Stato’ per il ‘problema israeliano’. È una “soluzione” che elimina del tutto Israele, una soluzione fisica, una “Soluzione Finale”. Ancora oggi, le mappe arabe ufficiali della “Palestina” (ANP e Hamas) mostrano il potenziale Stato arabo che comprende tutta la Cisgiordania (Giudea/Samaria), tutta Gaza e tutto Israele. Escludono consapevolmente qualsiasi riferimento a una popolazione ebraica e a elencare i ‘luoghi santi’ solo di cristiani e musulmani.” — Louis René Beres, jurist.org, 23 dicembre 2023
  • Nessuno può impedire che un futuro stato palestinese diventi uno stato senza legge e militarizzato. Un simile Stato alle porte di Israele rappresenterebbe una minaccia diretta e grave all’esistenza di Israele e di fatto faciliterebbe la missione del regime iraniano e dei suoi alleati terroristici di uccidere più ebrei.

Si dice che il Segretario di Stato americano Antony Blinken abbia chiesto al Dipartimento di Stato una “revisione di come apparirebbe uno Stato palestinese smilitarizzato sulla base di altri modelli nel mondo”. Nella foto: il Segretario di Stato americano Antony Blinken viene accolto dal Segretario generale dell’OLP Hussein al-Sheikh, a Ramallah il 7 febbraio 2024. (Foto di Mark Schiefelbein/Pool/AFP tramite Getty Images)

Nell’ambito del suo sforzo di promuovere l’idea di una “soluzione a due Stati”, l’amministrazione Biden ha parlato della necessità di creare uno Stato palestinese “smilitarizzato” accanto a Israele.

Si dice che il Segretario di Stato americano Antony Blinken abbia chiesto al Dipartimento di Stato una “revisione di come apparirebbe uno Stato palestinese smilitarizzato sulla base di altri modelli nel mondo”.

Lo scopo di tale revisione è quello di esaminare le opzioni su come una “soluzione a due Stati” possa essere implementata in modo da garantire la sicurezza per Israele, ha detto un funzionario americano ai media americani Axios.

L’amministrazione Biden si sta concentrando su una nuova dottrina che prevede una spinta senza precedenti per promuovere immediatamente la creazione di uno stato palestinese “smilitarizzato” ma vitale, ha riferito all’inizio di febbraio l’editorialista del New York Times Thomas Friedman:

“[Il piano] comporterebbe una qualche forma di riconoscimento da parte degli Stati Uniti di uno stato palestinese smilitarizzato in Cisgiordania e Striscia di Gaza che verrebbe alla luce solo una volta che i palestinesi avessero sviluppato una serie di istituzioni definite e credibili e di capacità di sicurezza per garantire che questo stato fosse vitale e che non potrebbe mai minacciare Israele.” [Il piano] implicherebbe una qualche forma di riconoscimento da parte degli Stati Uniti di uno stato palestinese smilitarizzato in Cisgiordania e Striscia di Gaza che verrebbe alla luce solo una volta che i palestinesi avessero sviluppato una serie di istituzioni definite e credibili e capacità di sicurezza per garantire che questo Stato fosse vitale e che non potesse mai minacciare Israele.

Anche il presidente egiziano Abdel Fattah Sisi ha espresso sostegno alla creazione di uno stato palestinese “smilitarizzato”.

“Deve esserci uno Stato palestinese al confine del 4 giugno con Gerusalemme Est come capitale, fianco a fianco con Israele”, ha affermato il presidente egiziano nel novembre 2023.

“Siamo pronti affinché questo Stato venga smilitarizzato e vi siano garanzie sulla presenza di forze, siano esse della NATO, delle Nazioni Unite, o delle forze arabe o americane, in modo da poter garantire la sicurezza per entrambi gli Stati, la nascente Palestina stato e lo stato israeliano.”

Il discorso su uno stato palestinese “smilitarizzato” arriva all’indomani dell’invasione di Israele da parte di Hamas il 7 ottobre 2023 e dell’omicidio, stupro, tortura, mutilazione e rogo vivo di 1.200 israeliani, tra cui donne, bambini e anziani. Hamas ha anche rapito più di 240 israeliani, più della metà dei quali sono ancora tenuti in ostaggio nella Striscia di Gaza.

I terroristi di Hamas che hanno attaccato Israele hanno utilizzato vari tipi di armi, tra cui fucili d’assalto, granate lanciarazzi (RPG) e deltaplani motorizzati. Migliaia di terroristi si sono infiltrati in Israele dalla Striscia di Gaza, che è sotto il controllo esclusivo di Hamas dal 2007. Il gruppo terroristico Hamas, sostenuto dall’Iran, ha presto lanciato un colpo di stato, rovesciando l’Autorità Palestinese (AP) e prendendo il controllo della Striscia di Gaza.

Il colpo di stato di Hamas è avvenuto due anni dopo il ritiro di Israele dall’intera Striscia di Gaza, dopo aver evacuato più di 9.000 ebrei che vivevano lì in più di 25 comunità. Dal 2005 non ci sono civili o soldati ebrei nella Striscia di Gaza, che è diventata uno stato palestinese semi-indipendente.

Dopo la presa del potere da parte di Hamas, Israele ed Egitto hanno rafforzato i rispettivi valichi di frontiera e imposto restrizioni sulle spedizioni per prevenire il contrabbando e l’infiltrazione di terroristi e armi. Dopo la presa del potere da parte di Hamas, Israele, uno stato grande quanto il New Jersey, è stato bombardato da decine di migliaia di razzi e mortai: più di 11.000 solo dal 7 ottobre: 9.000 da Gaza, 2.000 dal Libano.

Il blocco delle armi israeliano ed egiziano non ha impedito ad Hamas e ad altri gruppi terroristici di contrabbandare grandi quantità di armi nella Striscia di Gaza, principalmente attraverso il confine con l’Egitto. Il blocco inoltre non ha impedito ai gruppi terroristici palestinesi di produrre e sviluppare le proprie armi, compresi vari tipi di razzi e missili. L’idea che la Striscia di Gaza diventi un’entità “smilitarizzata”, grazie all’intervento israeliano e alle restrizioni per la sicurezza egiziana, si sono rivelate un sogno irrealizzabile.

Il massacro degli israeliani del 7 ottobre ha dimostrato che i nemici di Israele non hanno bisogno di carri armati e aerei da guerra per invadere Israele, uccidere 1.200 persone e ferirne più di 5.000. I palestinesi hanno dimostrato negli ultimi decenni che, quando si tratta di uccidere ebrei, usano come arma qualsiasi cosa su cui riescono a mettere le mani, inclusi coltelli, automobili, spade, cacciaviti, mazze, pugnali, pietre, bombe molotov e cinture esplosive.

Quattro mesi dopo l’inizio della guerra tra Israele e Hamas, è diventato chiaro come i gruppi terroristici palestinesi siano riusciti a trasformare la Striscia di Gaza in una delle aree più pericolose e militarizzate del Medio Oriente. L’esercito israeliano ha scoperto e distrutto dozzine di tunnel di Hamas, molti dei quali erano dotati di elettricità, ventilazione, sistemi fognari, reti di comunicazione e binari, nonché armi e cibo. La Striscia di Gaza è così piena di armi che, a quattro mesi dall’inizio della guerra, i terroristi palestinesi usano ancora granate e ordigni esplosivi per attaccare le truppe israeliane.

Altrettanto preoccupante è la situazione nelle zone della Cisgiordania controllate dall’Autorità Palestinese. Negli ultimi anni, l’Iran e i suoi delegati terroristici avevano accelerato gli sforzi per contrabbandare armi in Cisgiordania attraverso la Giordania.

“L’Iran vuole trasformare la Giordania in un’area di transito per le armi destinate a Israele”, ha affermato Amer Al-Sabaileh, fondatore di Security Languages, un think tank antiterrorismo nella capitale giordana di Amman. Secondo un alto funzionario della sicurezza giordano, la maggior parte delle armi iraniane destinate ai palestinesi finisce in Cisgiordania, in particolare nella Jihad islamica palestinese.

Nel novembre 2023, le autorità israeliane hanno sventato un tentativo di introdurre di nascosto 137 armi da fuoco in Israele dalla Giordania, in quello che hanno definito essere il più grande sequestro di armi mai avvenuto al confine giordano.

Quattro mesi prima, le autorità israeliane avevano sventato un insolito tentativo di contrabbando di armi in Israele dalla Giordania, i cui dettagli non sono stati autorizzati alla pubblicazione. Il contrabbando è stato descritto come “irregolare” e non simile ai precedenti e frequenti tentativi di contrabbando. Le autorità che indagano sull’incidente ritengono che le armi siano state nascoste per essere utilizzate da gruppi terroristici palestinesi in Cisgiordania.

Nell’aprile 2023, un membro del parlamento giordano è stato arrestato dalle autorità israeliane per aver tentato di contrabbandare più di 200 armi da fuoco in Cisgiordania utilizzando il suo passaporto diplomatico.

Il flusso di armi in Cisgiordania ha facilitato l’emergere di diversi gruppi armati responsabili di innumerevoli attacchi terroristici contro gli israeliani. La maggior parte di questi gruppi opera in aree controllate dall’Autorità Palestinese, che dispone di diverse forze di sicurezza composte da decine di migliaia di ufficiali che dovrebbero disarmare i gruppi armati.

Se i palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza riuscissero negli ultimi decenni ad accumulare così tante armi, si può solo immaginare cosa accadrebbe se fosse loro consegnato uno stato indipendente e sovrano con il pieno controllo sui confini con l’Egitto e la Giordania. I palestinesi continuerebbero senza dubbio i loro sforzi per ottenere più armi da utilizzare nella Jihad (guerra santa) per uccidere gli ebrei ed eliminare Israele.

In primo luogo, anche se i palestinesi si impegnassero in anticipo per uno stato “smilitarizzato”, l’esperienza ha dimostrato che le loro promesse sono inutili.

Ancora più importante, secondo Louis René Beres, professore emerito alla Purdue University ed esperto di diritto internazionale e scienze politiche, qualsiasi impegno da parte della leadership palestinese nei confronti di uno Stato smilitarizzato sarebbe giuridicamente inutile:

“Qualsiasi trattato è nullo se, al momento in cui è stato stipulato, è in conflitto con una norma ‘perentoria’ del diritto internazionale generale (jus cogens) – una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati come una norma alla quale non è possibile derogare”. è permesso.’ Poiché il diritto degli Stati sovrani a mantenere forze militari essenziali per l'”autodifesa” è una regola così perentoria, la Palestina, a seconda della sua particolare forma di autorità, potrebbe avere interamente il diritto di abrogare qualsiasi accordo pre-indipendenza che l’avesse costretta smilitarizzazione.” [Il corsivo è nell’originale.]

L’Autorità Palestinese si è impegnata, secondo i termini degli accordi di pace firmati con Israele, a combattere il terrorismo e a far rispettare la legge e l’ordine in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Tuttavia, l’Autorità Palestinese sostanzialmente non ha fatto nulla per confiscare armi illegali o per reprimere gli innumerevoli gruppi armati che operano sotto il suo naso.

Ancora oggi l’Autorità Palestinese non fa praticamente nulla per sventare gli attacchi terroristici contro gli israeliani provenienti dalle aree sotto il suo controllo in Cisgiordania. È difficile trovare una famiglia palestinese in Cisgiordania che non possieda un fucile d’assalto, una pistola o qualche altra arma.

Dopo il ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza, i palestinesi hanno avuto la possibilità di trasformare l’enclave costiera nella “Singapore del Medio Oriente”. Invece, l’hanno trasformato in un’enorme base per la Jihad e il terrorismo. Hanno usato anche la Gaza

La Striscia come trampolino di lancio per lanciare decine di migliaia di razzi e mortai su Israele.

Stando a Beres:

“Ci sono diversi problemi sostanziali e prevedibili con la smilitarizzazione palestinese. Il primo di questi problemi ha a che fare con gli impegni palestinesi evidentemente immutabili nei confronti di uno stato arabo che sostituirebbe Israele. Il secondo riguarda alcune aspettative critiche di rispetto del diritto internazionale che potrebbero plausibilmente consentire a qualsiasi Lo Stato palestinese abrogherà i suoi impegni pre-indipendenza di rimanere “smilitarizzato”…

“Qui sta il nocciolo giurisprudenziale del problema della smilitarizzazione palestinese: il diritto internazionale non richiederebbe necessariamente il rispetto da parte dei palestinesi di eventuali accordi pre-statali riguardanti l’uso della forza armata. Dal punto di vista di tale legge autorevole, imporre la smilitarizzazione a uno stato sovrano di Palestina significherebbe essere estremamente problematico.” [Il corsivo è nell’originale.]

Beres ha osservato che sia l’Autorità Palestinese che Hamas continuano a concordare su un punto centrale di rottura dell’accordo: in primo luogo, l’esistenza di Israele è intollerabile per motivi puramente religiosi e, in secondo luogo, Israele, nella sua interezza, non è altro che “Palestina occupata”:

Ripetiamo: “Non nascostamente, sia il mondo arabo che l’Iran hanno ancora solo una ‘soluzione a uno Stato’ per il ‘problema israeliano’. È una “soluzione” che elimina del tutto Israele, una soluzione fisica, una “Soluzione Finale”. Ancora oggi, le mappe arabe ufficiali della “Palestina” (ANP e Hamas) mostrano il potenziale Stato arabo che comprende tutta la Cisgiordania (Giudea/Samaria), tutta Gaza e tutto Israele. Escludono consapevolmente qualsiasi riferimento a una popolazione ebraica e elencare i ‘luoghi santi’ solo di cristiani e musulmani.”

Beres ha avvertito Israele di non trarre conforto da una promessa presumibilmente legale di smilitarizzazione palestinese:

“Se il governo di un nuovo Stato di Palestina scegliesse di invitare eserciti stranieri e/o terroristi sul suo territorio, potrebbe farlo senza difficoltà pratiche e senza violare il diritto internazionale”.

In quanto Stato pienamente sovrano, la Palestina potrebbe non essere vincolata dagli accordi pre-indipendenza, anche se i patti dovessero includerli

Beres ha aggiunto:

“Poiché i trattati autentici possono essere vincolanti solo per gli Stati, qualsiasi accordo tra un’Autorità Nazionale Palestinese non statale (presumibilmente in concerto tangibile con Hamas) e uno Stato sovrano di Israele guadagnerebbe poca credibilità…

“Dopo la guerra di Gaza, qualsiasi piano volto ad accettare la smilitarizzazione palestinese sarebbe costruito sulla sabbia. né gli Stati Uniti né Israele dovrebbero mai basare le proprie valutazioni geostrategiche dello stato palestinese su un fondamento così illusorio. A seguito di qualsiasi forma di indipendenza post-guerra di Gaza, né l’autorità palestinese né Hamas accetterebbero l’idea di una forma “limitata” di stato palestinese. secondo qualsiasi definizione del mondo arabo, un’idea del genere sarebbe considerata irragionevole e umiliante”.
nessuno può impedire che un futuro stato palestinese diventi uno stato senza legge e militarizzato. un tale stato alle porte di Israele rappresenterebbe una minaccia diretta e grave per l’esistenza di Israele e di fatto faciliterebbe la missione del regime iraniano e dei suoi delegati terroristici di uccidere più ebrei.


Bassam Tawil è un arabo musulmano con sede in Medio Oriente.

6143.- Hamas annuncia la morte di 7 ostaggi ‘in un raid di Israele’

L’Ue condanna la strage a Gaza. Borrell: “Carneficina inaccettabile”. Parigi chiede un’inchiesta indipendente.

BRUXELLES, 02 marzo 2024, Redazione ANSA

Hamas annuncia la morte di 7 ostaggi  'in raid di Israele ' -     RIPRODUZIONE RISERVATA

 RIPRODUZIONE RISERVATA © ANSA/EPA

Hamas ha annunciato su Telegram la morte di 7 ostaggi israeliani “in seguito a un bombardamento sionista”, rendendo noti per ora i nomi di tre dei sette: Haim Gershon Perri, Yoram Itach Metzger e Amiram Israel Cooper.

Hamas ha aggiunto che farà sapere i nomi degli altri quattro “dopo aver avuto conferma delle loro identità”. La fazione islamica ha poi detto che “il numero dei prigionieri nemici che sono stati uccisi come risultato delle operazioni militari dell’esercito nemico nella Striscia può superare i settanta”. 

L’Ue ha condannato intanto la strage avvenuta ieri a Gaza, dove 112 palestinesi sono morti e altri 760 sono rimasti feriti, quando una folla si è precipitata verso un convoglio di aiuti alimentari. Divergenti le due versioni: Hamas sostiene che l’esercito israeliano ha aperto il fuoco sulle persone, mentre Israele riconosce un “tiro limitato” da parte dei soldati che si sono sentiti “minacciati”.

“Privare le persone degli aiuti umanitari costituisce una grave violazione” del diritto umanitario internazionale, ha affermato Borrell. “Deve essere garantito l’accesso umanitario senza ostacoli a Gaza”, ha aggiunto il capo della diplomazia europea.

La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen di dice “profondamente turbata dalle immagini provenienti da Gaza. Occorre fare ogni sforzo per indagare sull’accaduto e garantire la trasparenza. Gli aiuti umanitari sono un’ancora di salvezza per chi ne ha bisogno e l’accesso ad essi deve essere garantito. Siamo al fianco dei civili, sollecitiamo la loro protezione in linea con il diritto internazionale”, scrive su X.

“Sconvolto e disgustato dall’uccisione di civili innocenti. Il diritto internazionale non ammette doppi standard. Dovrebbe essere avviata immediatamente un’indagine indipendente e i responsabili ritenuti responsabili. È urgentemente necessario un cessate il fuoco per consentire gli aiuti umanitari forniti da agenzie specializzate adeguatamente finanziate come l’Unrwa per raggiungere i civili”. Lo dichiara su X il presidente del Consiglio europeo Charles Michel.

Parigi chiede “un’inchiesta indipendente”. “Un cessate il fuoco va immediatamente istituito per consentire la distribuzione dell’aiuto umanitario”, scrive il presidente francese, Emmanuel Macron, su X. Macron ha espresso “profonda indignazione. Esprimo la mia più forte condanna per queste sparatorie e chiedo verità, giustizia e rispetto del diritto internazionale”.

Il capo della diplomazia europea Josep Borrell sempre ieri sera su X aveva denunciato “una nuova carneficina” e vittime “totalmente inaccettabili”. “Sono inorridito dalle notizie di ulteriori massacri tra i civili di Gaza che erano alla disperata ricerca di aiuti umanitari”, si legge nel post. “Queste morti sono completamente inaccettabili”, ha detto l’alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, aggiungendo: “Privare le persone degli aiuti umanitari costituisce una grave violazione” del diritto umanitario internazionale. “Deve essere garantito l’accesso umanitario senza ostacoli a Gaza”.

VideoGaza, Israele mostra un video con l’assalto della folla ai camion di aiutihttps://www.ansa.it/sito/video/incorporaVideo.html?video=//vs.ansa.it/sito/video_mp4_export/m20240229154828299.mp4&photo=https://www.ansa.it/webimages/img_621x414/2024/2/29/0d77382c5a3907bebc471e40b9a51bca.jpg&title=TITLE

Israele ha liberato la scorsa notte a sorpresa circa 50 detenuti palestinesi che erano stati arrestati dopo il 7 ottobre. I media citano un comunicato dello Shin Bet (sicurezza interna) e dell’esercito secondo cui la decisione è giunta in seguito ad un sovraffollamento nelle carceri. Ma il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha scritto su X che in realtà quelle scarcerazioni sono state decise dallo Shin Bet come gesto di distensione in vista del Ramadan. Una mossa a suo parere errata, ha aggiunto, essendo avvenuta ”nel giorno in cui due ebrei sono stati uccisi in un attentato” in Cisgiordania.

Negli ultimi 10 giorni le forze israeliane impegnate a Gaza hanno ucciso ”450 terroristi di Hamas”: lo ha affermato il portavoce militare israeliano Daniel Hagari. ”Dall’inizio della guerra – ha aggiunto – abbiamo eliminato oltre 13 mila terroristi”. Il portavoce ha aggiunto che l’esercito ha ”smantellato le strutture militari” della ‘Brigata Khan Yunis’ di Hamas (nel sud della Striscia) e che sta completando l’opera nei vicini rioni di Amal ed Abassan. Nel nord della Striscia, ha aggiunto, le forze israeliane operano nel campo profughi Shati e nel rione Zeitun di Gaza City ”sulla base di nuove informazioni di intelligence”.

‘Usa forniranno aiuti a Gaza con lanci da aerei militari’

Gli Stati Uniti dovrebbero iniziare a consegnare aiuti a Gaza tramite lanci da aerei militari. Lo riporta il Wall Street Journal citando alcune fonti, secondo le quali il Pentagono dovrebbe iniziare la campagna umanitaria nei prossimi giorni. La Casa Bianca dovrebbe annunciare l’iniziativa a breve.

Tajani, cessi il massacro di palestinesi, liberare gli ostaggi

“La posizione dell’Italia ieri è stata molto chiara: siamo angosciati, preoccupati e condanniamo ogni violenza contro la popolazione civile, israeliana e palestinese. Con grande fermezza chiediamo la liberazione degli ostaggi e che cessi il massacro dei civili palestinesi. Siamo favorevoli a un cessate il fuoco per portare aiuti umanitari in quantità tali da non provocare ciò che è accaduto ieri” e “abbiamo chiesto a Israele di fare un’inchiesta rigorosa su ciò che è accaduto per accertare ogni responsabilità”. Lo ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani in conferenza stampa alla Farnesina.

Per gli aiuti umanitari “intendo riunire i rappresentanti di organizzazioni quali Croce Rossa, Fao, Mezzaluna rossa per vedere di poter coordinare iniziative umanitarie a favore della popolazione palestinese” e “proseguire quell’azione a sostegno dei bambini che possono essere curati nel nostro Paese”, ha sottolineato il ministro.

In un’intervista al QN, Tajani aveva chiesto di “convincere Israele e Hamas a un cessate il fuoco immediato per permettere l’arrivo degli aiuti umanitari, la liberazione degli ostaggi”.  “Chiediamo al governo Netanyahu di accertare ciò che è successo in queste ore e di proteggere i civili – prosegue – Contemporaneamente, pensiamo di aiutare i palestinesi con un miglior coordinamento degli aiuti da inviare a Gaza delle organizzazioni umanitarie: dalla Croce rossa alla Fao”.

Gli Usa bloccano all’Onu il testo di condanna per strage a Gaza

Gli Stati Uniti hanno bloccato nella notte, nella riunione del consiglio di sicurezza dell’Onu, una dichiarazione di condanna della strage sulla folla in attesa di aiuti ieri a Gaza. Gli Usa, secondo fonti diplomatiche, si sono opposti al fatto che Israele venga citata ma le discussioni continueranno. In un testo visionato dall’AFP, l’Algeria ha presentato al Consiglio di Sicurezza una bozza di dichiarazione che esprime la “profonda preoccupazione” dei suoi 15 membri, sottolineando la responsabilità delle “forze israeliane (che) hanno aperto il fuoco”. “Quattordici membri hanno sostenuto questo testo”, ha assicurato l’osservatore permanente della Palestina all’Onu Riyad Mansour dopo la riunione. “Le parti stanno lavorando sulla formulazione per vedere se possiamo raggiungere una dichiarazione”, ha detto il vice ambasciatore statunitense Robert Wood, riferendosi alla possibilità di un accordo in una data successiva.

“Il problema è che non abbiamo tutti i fatti”, ha aggiunto affermando di voler trovare una formulazione che garantisca che “sono state fatte le necessarie verifiche di colpevolezza”. Il Segretario generale delle Nazioni Unite si è detto “scioccato” da questi eventi, che ha condannato, e ha chiesto una “efficace inchiesta indipendente” per identificare i responsabili. “La situazione umanitaria della popolazione civile di Gaza peggiora di giorno in giorno. Siamo di fronte a una catastrofe senza precedenti”, ha commentato l’ambasciatore francese Nicolas de Rivière. “Non è la prima volta che lo dico: il Consiglio di Sicurezza deve assumersi tutte le sue responsabilità”, ha aggiunto, chiedendo ancora una volta un “immediato cessate il fuoco umanitario”.

La Cina condanna ‘fermamente’ la morte dei civili a Gaza

La Cina ha dichiarato di “condannare fermamente” l’uccisione di decine di palestinesi durante una consegna di aiuti nel nord della Striscia di Gaza. “La Cina è scioccata da questo incidente e lo condanna con forza”, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning. “Esprimiamo il nostro dolore per le vittime e la nostra solidarietà per i feriti”.

6130.- Licenza di morte per Hamas e obbligo di tregua per Israele?

Da Formiche.net, di Gianfranco D’Anna | 15/02/2024

Licenza di morte per Hamas e obbligo di tregua per Israele?

Molteplici e non tutte in buona fede le motivazioni del crescendo delle pressioni internazionali affinché Israele interrompa i combattimenti, che da alcuni giorni sono arrivati a Rafah. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Trasfigurazione di una pace che da millenni cerca invano l’uscita dal labirinto di odi e di sangue del Medio Oriente, la striscia di Gaza sta assumendo per l’opinione pubblica internazionale il ruolo geopolitico del miraggio della cessazione delle ostilità e della ripresa della coesistenza pacifica fra israeliani e palestinesi. La realtà è purtroppo molto diversa e incommensurabilmente più atroce e disumana.

Dopo aver subito nell’ottobre scorso il più atroce ed efferato massacro di civili, soprattutto bambini e donne, nonché il sequestro di centinaia di ostaggi, mai compiuto nei 75 anni dell’esistenza dello Stato ebraico, Israele ha scatenato un’offensiva militare contro le basi di Hamas a Gaza. Una guerra senza quartiere per la sopravvivenza di Israele e per sradicare i terroristi islamici dalla striscia.

“La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”, sosteneva Albert Einstein. Una definizione più volte utilizzata tuttavia per sollecitare l’interruzione unilaterale dei combattimenti da parte dell’Idf, le forze di difesa israeliane che avanzavano all’interno di Gaza smantellando i bunker sotterranei sotto ospedali, moschee e sedi Onu e le basi missilistiche di Hamas, che ha sempre usato la popolazione palestinese come scudi umani per coprire covi, attacchi e agguati.

Dopo Gaza city, Deir al-Balah e Khan Yunis la pressione dell’opinione pubblica, delle Nazioni Unite e di vari governi internazionali si è fatta via via più pressante, fino a giungere, quando Israele ha annunciato l’offensiva contro Rafah, ultima roccaforte di Hamas al confine con l’Egitto, ad accusare Gerusalemme di genocidio nei confronti dei palestinesi.

L’infuriare della guerra ha continuato a provocare momenti di grande tensione che hanno raggiunto il culmine con le parole del segretario di Stato vaticano, Cardinale Pietro Parolin, il quale ha invitato il governo israeliano a fermarsi invocando una risposta “proporzionata” che “certamente con 30 mila morti palestinesi non lo è ” ha sostenuto.

Parole accorate fino adesso mai usate dalla Santa Sede, neanche per stigmatizzare precedenti attentati del terrorismo islamico o per condannare il massacro delle ragazze e degli studenti iraniani da parte del regime degli ayatollah di Teheran. Con la conseguenza di cercare di imporre dialetticamente a Israele una tregua unilaterale col proprio destino, mentre Hamas resterebbe libera di sfuggire all’accerchiamento di Rafah di riorganizzarsi e di ricominciare a colpire le città israeliane. “La pace richiede quattro condizioni essenziali: verità, giustizia, amore e libertà” diceva un altro Pontefice, Giovanni Paolo II, esperto di comunismo e terrorismo.

Un ulteriore rilevante aspetto delle pressioni internazionali affinché Gerusalemme interrompa l’offensiva è quello di attribuire a Israele il giudizio morale personale riguardante l’ostinazione del premier Netanyahu di portare a termine la lotta per la sopravvivenza attuale e futura dello Stato ebraico.

Una determinazione a sradicare Hamas giustificata anche dalla liberazione da parte delle forze speciali di due ostaggi e dalla ennesima scoperta che il gruppo terroristico islamico utilizza come base le strutture ospedaliere.

Secondo il portavoce dell’Idf, il contrammiraglio Daniel Hagari “informazioni credibili provenienti da diverse fonti, compresi gli ostaggi rilasciati, indicano che potrebbero esserci corpi dei nostri ostaggi nella struttura ospedaliera di Nasser a Khan Yunis. Come è stato dimostrato con l’ospedale Shif, l’Ospedale Rantisi, l’Ospedale Al Amal e in molti altri ospedali in tutta Gaza, Hamas utilizza sistematicamente gli ospedali come centri del terrorismo” .

Secondo le valutazioni dell’intelligence occidentale, oltre l’85% delle principali strutture mediche di Gaza sono state effettivamente utilizzate per operazioni terroristiche da Hamas, che continua a usare come carne da macello la popolazione palestinese, addebitando continuamente agli israeliani il numero delle vittime che contribuisce in larga misura a provocare.

Fa un certo effetto constatare come molti attacchino i presunti torti di Israele con molto più vigore di quanto difendano e tutelino il suo diritto all’esistenza. Dimenticando soprattutto che la pace non è mai unilaterale e non è concepibile una licenza di morte per Hamas e un obbligo di tregua per Israele. “Tutti facciamo parte di una storia infinita” cantava Jim Morrison.

6129.- L’asse Sud Africa-Hamas-Iran.

Questa guerra non è soltanto di Israele. Che si svolga in Europa o in Medio Oriente, è la continuazione della Guerra Fredda, tutt’altro che conclusa. I suoi attori tentano ognuno di legittimarsi, ma tutti, nessuno escluso, si battono per mantenere le loro posizioni, con la differenza di Israele, che sta rischiando molto, molto di più. Siamo contro la politica di Netanyahu perché è grezza e proprio la sua radicalità non risolverà i problemi alla radice. In estrema sintesi, ne guadagnerebbe andando incontro all’avversario anziché tentare di sradicarlo, perché ogni bomba seminerà un nuovo terrorista.

Da Gatestone institute, di Robert Williams  •  15 Febbraio 2024. Traduzione libera.

  • Secondo NGO Monitor, il caso del Sud Africa all’ICJ si basa su rapporti di gruppi con legami con organizzazioni terroristiche. “La documentazione presentata dal Sud Africa alla corte contiene non meno di 45 riferimenti a pubblicazioni di ONG, tra cui diversi provenienti da gruppi legati al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un’organizzazione terroristica.” — Wall Street Journal, 29 gennaio 2024.
  • “Il governo sudafricano è la stessa cosa di Hamas. È un rappresentante iraniano, e il suo ruolo nella guerra è combattere la guerra ideologica e di idee per stigmatizzare gli ebrei in tutto il mondo”. — Dr. Frans Cronje, ex CEO del South African Institute for Race Relations, justthenews.com, 26 gennaio 2024.
  • Mentre l’ICJ si è rifiutata di archiviare il caso contro Israele e probabilmente trascorrerà i prossimi anni a deliberare sul presunto e immaginario “genocidio” di Israele, John Spencer, che è presidente degli studi sulla guerra urbana presso il Modern War Institute di West Point e un ufficiale militare americano in pensione, ha sostenuto che Israele minimizza le vittime civili più di qualsiasi altro militare nella storia, e ha elencato numerosi esempi degli sforzi compiuti dall’IDF per proteggere i civili, come l’avvertimento prima di lanciare attacchi militari.
  • “Israele ha adottato più misure per evitare inutili danni ai civili di praticamente qualsiasi altra nazione che abbia combattuto una guerra urbana… Nessun militare nella storia moderna ha affrontato oltre 30.000 difensori urbani in più di sette città usando scudi umani e nascondendosi in centinaia di miglia di reti sotterranee appositamente costruite sotto siti civili, mentre tengono centinaia di ostaggi… L’unico motivo delle morti civili a Gaza è Hamas. Da parte di Israele, è stato più attento a prevenirli di qualsiasi altro esercito nella storia umana.” – John Spencer Newsweek, 31 gennaio 2024.
  • Secondo quanto riferito, si starebbe intraprendendo un’azione per portare l’Iran davanti alla Corte internazionale di giustizia con l’accusa di genocidio. La mossa è attesa da tempo.

L’Iran ha chiesto che Israele fosse perseguito davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, e il Sud Africa ha prontamente risposto, servendo direttamente gli interessi iraniani con la sua causa di genocidio contro Israele. Nella foto: Basem Naim (a sinistra), leader di Hamas ed ex ministro della Sanità di Gaza, e Khaled Al-Qaddumi, rappresentante di Hamas in Iran, parlano durante una conferenza stampa a Città del Capo, in Sud Africa, il 29 novembre. (Foto di Rodger Bosch /AFP tramite Getty Images)

Qualche tempo dopo l’ottobre 2015, Hamas, a seguito di un incontro ad alto livello tra il partito al governo del Sudafrica, l’ANC, e i leader di Hamas, ha aperto un ufficio in Sud Africa.

Il segretario generale dell’ANC Gwede Mantashe disse all’epoca che Hamas avrebbe “imparato molto” dal governo sudafricano.

“Stiamo discutendo se Hamas non debba aprire uffici in Sud Africa per poter parlare”, ha detto Mantashe, aggiungendo che l’apertura dell’ufficio è stata in parte finalizzata a “migliorare la comunicazione” tra l’ANC e Hamas. dalla nostra solidarietà e intensificando la lotta della stessa Palestina.”

Il Sud Africa ha recentemente “intensificato la lotta” per Hamas quando si è assunto la responsabilità di intraprendere azioni legali per conto di Hamas e ha accusato Israele di “commettere un genocidio” presso la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ). Secondo NGO Monitor, il caso del Sud Africa all’ICJ si basa su rapporti di gruppi con legami con organizzazioni terroristiche.

“La documentazione presentata dal Sudafrica alla corte contiene non meno di 45 riferimenti a pubblicazioni di ONG, tra cui diverse provenienti da gruppi legati al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un’organizzazione terroristica. Il personale e i membri del consiglio di questi gruppi legati al FPLP facevano parte del La delegazione sudafricana ha partecipato alle udienze pubbliche a metà gennaio e ha contribuito a preparare il caso del Sudafrica.

“Tra i riferimenti contenuti nella petizione alla corte del Sud Africa c’è un rapporto intitolato ‘Apartheid israeliano. Strumento del colonialismo dei coloni sionisti’ di al-Haq, una ONG palestinese che Israele ha designato come ‘organizzazione terroristica’ nel 2021. Secondo Israele, al-Haq è parte di una rete che opera per conto del FPLP…

Il direttore di Al-Haq Shawan Jabarin faceva parte della delegazione del Sud Africa presso l’ICJ… Il 10 ottobre, Ziad Hmaidan, capo dell’unità di formazione e rafforzamento delle capacità di al-Haq, ha celebrato gli attacchi di Hamas, scrivendo su Facebook: “È scritto nell’Hadith: ‘Devi intraprendere la jihad. La migliore jihad è prepararsi alla guerra, ed è meglio prepararsi alla guerra ad Ashkelon, una città israeliana.”

Il ministro degli Esteri sudafricano Naledi Pandor ha parlato con il leader di Hamas appena 10 giorni dopo che il gruppo terroristico iraniano aveva lanciato il massacro contro Israele per affermare “la solidarietà e il sostegno del Sud Africa” ed esprimere “tristezza e rammarico per la perdita di vite innocenti su entrambi i fronti”. lati.” In passato, Pandor ha chiesto che Israele fosse designato “uno stato di apartheid”.

A dicembre, una delegazione di Hamas, guidata da Basem Naim, uno dei leader dell’ufficio politico di Hamas, ha visitato il Sudafrica. La delegazione comprendeva il rappresentante di Hamas in Iran, Khaled Al-Qaddumi, e ha visitato il Parlamento sudafricano, ha incontrato i politici dell’ANC e il nipote di Nelson Mandela, Mandla Mandela.

“Il governo sudafricano è la stessa cosa di Hamas. È un rappresentante iraniano e il suo ruolo nella guerra è combattere la guerra ideologica e di idee per stigmatizzare gli ebrei in tutto il mondo”, ha affermato il dottor Frans Cronje, ex amministratore delegato del Sud Istituto africano di relazioni razziali.

L’Iran ha chiesto che Israele fosse perseguito presso l’ICJ e il Sud Africa ha prontamente risposto, servendo direttamente gli interessi iraniani con il suo caso di genocidio contro Israele.

“Il governo sionista usurpatore deve essere portato in tribunale. Nel contesto della Palestina, il mondo intero è testimone del crimine di genocidio commesso dal regime usurpatore. Il regime sionista usurpatore deve essere perseguito oggi per questo…” Leader Supremo dell’Iran Ali Khamenei ha detto il 17 ottobre, appena 10 giorni dopo il massacro del 7 ottobre.

Pochi giorni dopo, il 22 ottobre, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha tenuto una conferenza stampa congiunta a Teheran con il suo omologo sudafricano, in cui ha affermato che i due avevano “tenuto importanti discussioni sulle relazioni bilaterali e su diverse questioni internazionali, ” e che i due paesi “hanno posizioni e punti di vista comuni sulle questioni internazionali”.

“[Il ministro degli Esteri sudafricano Naledi Pandor ed io] abbiamo anche discusso dei crimini di guerra in corso da parte del regime [israeliano]. Siamo grati per la forte posizione del popolo e del governo del Sud Africa nel loro sostegno alla Palestina e nella lotta contro l’apartheid [di Israele]. Una delegazione sudafricana visiterà Teheran la prossima settimana. Inoltre, il presidente Raisi visiterà il Sud Africa e gli ultimi accordi saranno firmati dalle parti interessate alla presenza dei presidenti di entrambi [i paesi].”

Pandor ha praticamente ammesso che il Sudafrica sta collaborando con l’Iran contro Israele:

“Il Sudafrica ha costantemente dichiarato il suo sostegno alla Palestina. Nessuno dovrebbe subire ingiustizie. Dobbiamo fare di più per sostenere il popolo palestinese… I paesi dovrebbero agire in modo più deciso. Siamo ansiosi di raggiungere questi obiettivi con l’Iran; questo è un obiettivo comune di Iran e Sud Africa.”

A parte il Ciad, il Sudafrica è l’unico paese africano ad aver richiamato il proprio ambasciatore e la propria missione diplomatica in Israele. I legislatori sudafricani hanno votato a favore della rottura completa dei legami. Anche il parlamento sudafricano ha votato a favore della chiusura dell’ambasciata israeliana in Sudafrica, con Israele che richiamerà a casa il suo ambasciatore per consultazioni a novembre.

Mentre l’ICJ si è rifiutata di archiviare il caso contro Israele e probabilmente trascorrerà i prossimi anni a deliberare sul presunto e immaginario “genocidio” di Israele, John Spencer, che è presidente degli studi sulla guerra urbana presso il Modern War Institute di West Point e un ufficiale militare americano in pensione, ha sostenuto che Israele riduce al minimo le vittime civili più di qualsiasi altro militare nella storia e ha elencato numerosi esempi degli sforzi compiuti dall’IDF per proteggere i civili, come gli avvertimenti prima di lanciare attacchi militari.

Spencer ha scritto su Newsweek:

“Israele ha adottato più misure per evitare danni civili inutili di praticamente qualsiasi altra nazione che abbia combattuto una guerra urbana. Infatti, avendo prestato servizio in Iraq per due volte e studiato la guerra urbana per oltre un decennio, Israele ha adottato misure precauzionali anche nel caso Gli Stati Uniti non lo hanno fatto durante le recenti guerre in Iraq e Afghanistan…

“Nessun militare nella storia moderna ha affrontato oltre 30.000 difensori urbani in più di sette città usando scudi umani e nascondendosi in centinaia di chilometri di reti sotterranee appositamente costruite sotto siti civili, tenendo centinaia di ostaggi… L’unica ragione delle morti civili in Gaza è Hamas. Da parte di Israele, è stato più attento a prevenirli di qualsiasi altro esercito nella storia umana.”

Secondo quanto riferito, si starebbe adottando un’azione per portare l’Iran davanti alla Corte internazionale di giustizia con l’accusa di genocidio. La mossa è attesa da tempo.

Robert Williams is a researcher based in the United States.

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6128.- Mossad e Shin Bet, al Cairo, fissano la linea al Qatar e alla CIA. Ombre su Netanyahu e appello di Abbas.

Breve nota di Mario

Acclarato che sia il potere di Hamas che di Netanyahu regge sopratutto sulla vendetta, che Tel Aviv non intende retrocedere nei propri confini, quale altra via se non il genocidio e la diaspora dei palestinesi possono garantire a Israele un percorso di pace e, al mondo, la stabilità del Medio Oriente? Questi morti: i patrioti, i terroristi e gli innocenti, non siano morti invano. C’è concordo sulla soluzione dello Stato palestinese, ma ci sembra prioritario che l’ONU decida i confini di Israele. Può solo pensarlo? Sono in ballo due potenze nucleari: Israele e l’Iran. Alle spalle, c’è chi alimenta la guerra della NATO alla Federazione Russa e la guerra di Putin all’Ucraina. Entrambe impediscono a Washington e a Mosca di dettare, insieme, condizioni a Tel Aviv e a Teheran. Tutto il mondo è in agitazione: dall’Armenia, al Mar Rosso, alle Coree, a Taiwan. Potrebbero? Su tutto ciò sorvola la banalità di Tajani, che, tardi, ma punta al nocciolo della questione: “Da Israele reazione sproporzionata, troppe vittime civili che non c’entrano nulla con Hamas”. In questo momento, mentre l’inverno volge al termine, nella Striscia, ci sono 14°, poche nuvole, pochissimo cibo, acqua, niente elettricità. C’é l’odore dei morti, magari, di mamma e papà.

Appello dell’Anp a Hamas: “Accettate l’accordo con Israele, i palestinesi vanno salvati dalla catastrofe”

anp hamas

Da Il Secolo d’Italia, di Luciana Delli Colli, 14 febbraio 2024

Continueranno per tre giorni i colloqui al Cairo tra Stati Uniti, Israele, Qatar ed Egitto per cercare di raggiungere un accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e il rilascio degli ostaggi in cambio dei detenuti palestinesi dopo che, finora, i negoziati non hanno portato a risultati. A scriverlo è il New York Times citando, a condizione di anonimato, un funzionario egiziano. Il tenore dei colloqui finora è ”positivo”, ha spiegato la fonte. Anche il Times of Israel ha parlato dell’estensione dei negoziati, mentre un lungo retroscena di Haaretz ha gettato ombre sulla volontà del premier Benjamin Netanyahu di arrivare davvero a un accordo. Intanto, il presidente dell’Anp, l’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, oggi, ha lanciato un appello a Hamas affinché accetti un accordo per fermare la guerra.

I negoziati al Cairo per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi

I negoziati sono stati aperti al Cairo da una delegazione di vertice, guidata dal capo del Mossad David Barnea, accompagnato dal capo dello Shin Bet, Ronen Bar. I due funzionari hanno incontrato il primo ministro e ministro degli Esteri del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani e il capo della Cia William Burns. Poi hanno fatto rientro in Israele. Il tavolo ora proseguirà a livelli inferiori. Egitto Qatar e Stati Uniti stanno cercando ancora una volta di raggiungere un cessate il fuoco più lungo per la Striscia di Gaza. In cambio, gli ostaggi ancora nell’enclave palestinese dovrebbero essere liberati, così come alcuni detenuti palestinesi nelle carceri di Israele.

L’appello dell’Anp a Hamas: “Accettate l’accordo per salvare il popolo palestinese dalla catastrofe”

Oggi il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, ha rivolto un appello a Hamas, che è suo rivale politico, affinché accetti un accordo con Israele per fermare la guerra nella Striscia di Gaza. ”Chiediamo al movimento di Hamas di accettare velocemente l’accordo sui prigionieri per risparmiare il nostro popolo palestinese dalla calamità di un altro evento catastrofico con conseguenze terribili, non meno pericolose della Nakba del 1948”, ha detto Abbas, citato dall’agenzia di stampa palestinese Wafa. Il presidente dell’Anp ha poi ”invitato l’Amministrazione americana e i fratelli arabi”, ovvero i mediatori di Egitto e Qatar, ”a lavorare diligentemente per raggiungere un accordo sui prigionieri il più rapidamente possibile, al fine di risparmiare al popolo palestinese il flagello di questa guerra devastante”.

Il retroscena di Haaretz sulle intenzioni di Netanyahu

Secondo un’analisi del quotidiano israeliano Haaretz, però, a non considera un accordo come una priorità sarebbe prima di tutti Netanyahu. Il giornale riferisce che il premier avrebbe concesso alla delegazione guidata da Barnea un margine di manovra limitato, proprio perché non avrebbe fretta di arrivare alla sottoscrizione del patto. Il capo del governo israeliano, si legge nell’edizione web, continuerebbe a insistere sul fatto che le pressioni militari alla fine porteranno a un accordo con condizioni migliori per Israele, indipendentemente dalle proteste delle famiglie degli ostaggi, che oggi per altro, in una delegazione di circa un centinaio, si sono recate all’Aja per denunciare formalmente Hamas al Tribunale internazionale per crimini di guerra. Haaretz ricorda anche che Tel Aviv ha definito inaccettabili finora le richieste avanzate da Hamas, sottolineando il fatto che a confermare che lo stesso Netanyahu non creda molto a un accordo in questa fase ci sarebbe anche l’assenza nella delegazione volata ieri al Cairo del generale Nitzan Alon, capo dell’unità dell’esercito incaricata di raccogliere intelligence sugli ostaggi. Il quotidiano, inoltre, ha richiamato anche il pressing degli Usa contro la linea aggressiva di Netanyahu, il quale però l’ha confermata rilanciando l’offensiva a Rafah.

Tajani: “Hamas vuole una reazione dura di Tel Aviv per isolarla”

“Noi siamo amici di Israele, abbiamo condannato con grande fermezza ciò che è accaduto il 7 ottobre, abbiamo riconosciuto il diritto di Israele a difendersi e a colpire le centrali di Hamas a Gaza perché quello che è accaduto è stata una caccia all’ebreo: sono scene che hanno provocato una giusta reazione”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, sottolineando anche che “noi però abbiamo come obiettivo la pace, vogliamo che ci sia un cessate il fuoco perché non bisogna permettere a Hamas di raggiungere il suo obiettivo”, che è quello “di mettere Israele in un angolo”. “Hamas sta usando la popolazione civile come scudo. Hamas vuole che Israele abbia una reazione ancora più dura per poi dire ‘isoliamo Israele’. È il disegno di Hamas. Non bisogna cadere nella trappola di Hamas”, ha quindi avvertito Tajani, sottolineando che ”senza uno Stato palestinese rischiamo che Hamas diventi l’unica speranza per i palestinesi”, ma ”Hamas è una organizzazione militare terroristica”.  Il vicepremier, quindi, ha ricordato che “l’Italia è protagonista in tutte le iniziative politiche” volte a mettere fine ai combattimenti tra Israele e Hamas e che è ”importante sostenere il dialogo in corso al Cairo tra Stati Uniti, Qatar, Israele ed Egitto per la sospensione dei combattimenti, aiutare la popolazione civile palestinesi e liberare gli ostaggi”. ”Netanyahu sta usando la linea dura, ma è nell’interesse di tutti lavorare per una de-escalation”, ha proseguito il titolare della Farnesina, che questo fine settimana a Monaco di Baviera incontrerà anche i ministri degli Esteri dei Paesi Arabi “con i quali potrò consolidare il dialogo”.