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6155.- Ucraina. L’informazione patacca che chiamiamo democrazia

Impossibile parlare di democrazia da quando alle imprese, soprattutto, alle grandi imprese multinazionali, si è lasciato raggiungere livelli nella finanza che le pongono in grado di incidere e influenzare i processi democratici. L’informazione, nei Paesi dell’Occidente, è posseduta, oggi, da personaggi di sicura autorità e prestigio capaci di orientare la vita politica ed economica del proprio paese. Nulla di diverso da quanto accadeva e accade ancora nelle monarchie con i Consigli della Corona.

Ecco alcuni fatti che non vengono riportati sulla guerra russo-ucraina…

Di Sabino Paciolla, 11 Marzo 2024

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Ted Snider e pubblicato su AntiWar. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. Sabino Paciolla

Volodymyr Oleksandrovyč Zelenskyy, Presidente dell'Ucraina
Volodymyr Oleksandrovyč Zelenskyy, Presidente dell’Ucraina

Diversi eventi apparentemente di poco conto nella guerra russo-ucraina sono passati di recente in gran parte inosservati nei media occidentali. Ma ognuno di essi, a suo modo, può essere significativo.

La caduta di Avdiivka

Il 25 febbraio, il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato che 31.000 soldati ucraini sono stati uccisi da quando la Russia ha invaso il suo Paese due anni fa. È stata la prima volta che ha reso noto il numero dei morti. Non ha voluto fornire il numero dei feriti.

Il 4 febbraio ha dichiarato: “Circa il 26% del territorio nazionale è ancora sotto occupazione”, prima di aggiungere che “l’esercito russo non può fare molti progressi. Li abbiamo fermati”.

Entrambe le dichiarazioni sono assurde. Come osserva il New York Times sulla contabilità del campo di battaglia di Zelensky, “differisce nettamente dalle stime degli ufficiali statunitensi, che, la scorsa estate, hanno valutato le perdite molto più alte, affermando che quasi 70.000 ucraini erano stati uccisi e da 100.000 a 120.000 erano stati feriti”.

Il numero di 31.000 potrebbe essere più vicino al numero di morti e feriti delle ultime settimane disastrose che a quello degli ultimi due anni. Il Ministro della Difesa russo Sergey Shoigu ha recentemente dichiarato che oltre 383.000 soldati ucraini sono stati uccisi o feriti dall’inizio della guerra. Yuriy Lutsenko, ex procuratore generale ed ex capo del Ministero degli Affari Interni ucraino, sostiene che 500.000 soldati ucraini sono stati uccisi o gravemente feriti. Un numero di 400.000-500.000 è coerente con le comunicazioni interne ucraine e con i rapporti dal campo di battaglia, secondo i quali sarebbero necessari 20.000 soldati al mese per rimpiazzare i morti e i feriti. Questo numero concorda anche con i 450.000-500.000 che Zelensky ha richiesto per una nuova mobilitazione.

Essere assurdi era appropriato quando Zelensky era un comico; poteva far ridere gli ucraini. Ma essere assurdi quando Zelensky è presidente non è appropriato: potrebbe far morire altri ucraini.

La seconda affermazione, secondo cui la Russia non è in grado di compiere ulteriori progressi significativi perché le Forze armate ucraine li hanno fermati, non è meno assurda. Meno di due settimane dopo aver fatto questa dichiarazione, il 17 febbraio, dopo aver esaurito ogni capacità, le Forze Armate ucraine si sono ritirate in disordine dalla città pesantemente fortificata di Avdiivka, che è caduta in mano ai russi. Si è trattato di un’avanzata molto significativa. La conquista di Avdiivka non è solo una vittoria simbolica, come riportato in Occidente, ma una vittoria strategica che potrebbe aprire alle forze russe la porta del Donbas, consentendo alla Russia di consolidare i confini dei territori recentemente annessi.

Dopo la ritirata da Avdiivka, le dichiarazioni ucraine sulla necessità di fermare la Russia hanno fatto un ulteriore passo indietro, affermando ora che la Russia non sarà in grado di avanzare. Il generale Kyrylo Budanov, capo dell’intelligence militare ucraina, ha riconosciuto che la perdita di Avdiivka è stata dura, ma ha insistito che anche la Russia ha i suoi problemi e che “non ha la forza” per avanzare in modo significativo e conquistare tutto il Donbas.

I funzionari americani hanno fatto eco alla valutazione di Budanov, affermando che “i guadagni russi nell’Ucraina orientale non porteranno necessariamente a un crollo delle linee ucraine e che è improbabile che Mosca sia in grado di seguire un’altra grande offensiva”.

Kiev ha dichiarato che le sue forze armate si sono ritirate da Avdiivka e hanno stabilito nuove linee difensive intorno a Lastochkyne e ad altri villaggi vicini. Ma il 26 febbraio Lastochkyne è caduta e le truppe ucraine si sono ritirate in villaggi più a ovest.

I funzionari occidentali affermano ora che la Russia sta “attaccando in forze lungo quattro assi paralleli nel nord-est” e che sta “avanzando intorno a Lyman e Kupiansk, nella regione di Kharkiv”. Newsweek afferma che le truppe russe sono “avanzate a ovest del villaggio di Lastochkyne”. Il portavoce militare Dmytro Lykhoviy afferma che le truppe ucraine si sono ritirate da Stepove e Severne, due villaggi vicino ad Avdiivka e a nord di Lastochkyne.

Cosa ha ucciso Alexei Navalny?

Non si sa ancora cosa abbia ucciso Alexei Navalny in una prigione russa il 16 febbraio. Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden afferma che “Putin è responsabile della morte di Navalny”. Zelensky è d’accordo, dicendo che Navalny “è stato ovviamente ucciso da Putin”.

Ma il capo dell’intelligence militare ucraina non è d’accordo. Il 25 febbraio, il generale Kyrylo Budanov ha detto ai giornalisti che gli dispiaceva deluderli, “ma quello che sappiamo è che è morto davvero per un coagulo di sangue. E questo è più o meno confermato. Non è stato ripreso da Internet, ma, purtroppo, è stata una [morte] naturale”. La Russia ha affermato che la causa della morte è stata un coagulo di sangue.

Un’affermazione inaspettata fatta dagli aiutanti di Navalny il 26 febbraio ha creato un’altra grinza. Navalny, secondo loro, stava per essere rilasciato in uno scambio di prigionieri. “Navalny avrebbe dovuto essere libero nei prossimi giorni”, ha dichiarato Maria Pevchikh, presidente della Fondazione anticorruzione di Navalny. “Ho ricevuto la conferma che i negoziati erano nella fase finale la sera del 15 febbraio”.

I collaboratori di Navalny hanno presentato questa affermazione come una nuova prova che Putin ha ucciso Navalny. Pevchikh afferma che Putin ha ordinato l’omicidio di Navalny per togliere “la possibilità del suo rilascio dal tavolo”.

Ma sembra inconcepibile che il rilascio di Navalny possa essere negoziato da Mosca senza il consenso di Putin. Non avrebbe dovuto ucciderlo, ma solo togliergli la possibilità di essere rilasciato. Sebbene non ci siano ancora prove sufficienti per giudicare la causa della sua morte, se è vero che la libertà di Navalny era sul tavolo, ciò sembra far propendere per il fatto che Putin non si sentiva minacciato da lui o non sentiva il bisogno di eliminarlo.

Il licenziamento di Zaluzhny

L’8 febbraio, i titoli dei giornali sono stati dominati dal licenziamento da parte di Zelensky del comandante in capo delle forze armate ucraine, Valerii Zaluzhny. Ma i titoli dei giornali hanno messo in ombra il fatto che Zaluzhny non è stato l’unico generale ad andarsene. Zelensky ha licenziato tutto il suo stato maggiore e lo ha sostituito con un nuovo capo di stato maggiore delle forze armate ucraine e con nuovi vicecapi.

Anche se il cambio potrebbe semplicemente riflettere un nuovo comandante in capo che sceglie il proprio staff, potrebbe anche indicare che Zelensky si è assicurato un comando militare a lui fedele in un momento in cui i militari sono arrabbiati per il licenziamento di Zaluzhny e, come ha detto recentemente il Guardian, Zelensky “non è più visto come intoccabile, e la competizione politica sta tornando in Ucraina” e “la società ucraina è esausta dalla guerra”.

Ted Snider

Ted Snider scrive regolarmente di politica estera e storia degli Stati Uniti su Antiwar.com e The Libertarian Institute. Collabora spesso anche con Responsible Statecraft e The American Conservative, oltre che con altre testate. Per sostenere il suo lavoro o per richieste di presentazioni mediatiche o virtuali, contattatelo all’indirizzo tedsnider@bell.net.

6153.- La morsa pm-cronisti soffoca l’Italia.

Diciamo, ridiciamo, sempre la stessa cosa: La vera riforma, la madre delle riforme è quella sul Capo dello Stato e Presidente del C.S.M.. Chi non la farà, sarà perché è parte del sistema. E citiamo il mancato scioglimento del C.S.M., preteso, invece, dall’art. 31 della Legge 24 marzo 1958, n. 195. In sintesi, il C.S.M. è organo super partes deputato a garantire l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura, sopratutto, dalla politica. Se non è super partes – Palamara dixit – , non garantisce nemmeno la separazione dei poteri, quindi, la democrazia e va sciolto. Fossi Presidente, darei le dimissioni…darei le dimissioni!

Maurizio Belpietro, 9 marzo 2014 – Inchiesta dossieraggio.

La ricostruzione della «Verità» sul caso Perugia mette a nudo un sistema che condiziona pesantemente la vita pubblica e la stessa libertà di stampa, che viene invece sbandierata per perpetuare il verminaio. Occorre che si intervenga per smontarlo. E in fretta.

Stanno provando a buttarla in vacca, a fare finta che sotto attacco ci sia la libertà di stampa e che i cronisti facciano semplicemente il loro mestiere, che è quello di scovare notizie e scoperchiare segreti. Ma la storia – anzi, le storie – dimostrano che così non è. La lunga ricostruzione fatta ieri da Giacomo Amadori a proposito degli accessi abusivi compiuti da un cancelliere in servizio nella città umbra rivelano ciò che abbiamo sempre sospettato, ovvero un sistema che lega magistrati e giornalisti, un patto neanche troppo segreto che per anni ha consentito fughe di notizie su inchieste in corso, ma, soprattutto, pesanti condizionamenti della vita pubblica. … Dalla prima pagina del “La Verità” del 9 marzo 2024.

6149.- Dossieraggi, FdI: “Ma quale libertà di stampa, pretendiamo chiarezza su autori e mandanti”

E la chiamano democrazia! Si tratta di golpe! l’ennesima eversione della sinistra, che si defila lanciando cortine di fumo, come la libertà di stampa. Ricordo a chi non avesse memoria l’eversione rossa sostanziata dallo scandalo del C.S.M. politicizzato, naturalmente rosso, dichiarato dal suo giudice Palamara coinvolgendo il Capo dello Stato pro tempore, non per nulla “il Capo”; un’eversione che ha minato le fondamenta della democrazia facendo saltare la divisione dei poteri e che non ha visto il Presidente sciogliere quel C.S.M., semplicemente perché il suo livello ne era partecipe. Il sottufficiale finanziere Pasquale Striano avrebbe agito di sua iniziativa? Il dossieraggio fa parte di un’azione di controllo del potere da parte di uno Stato parallelo che si mimetizza dietro la parola “sinistra”, ma, che, in realtà e per forza di cose, fa capo a un potere occulto della politica finanziaria o della finanza politica di cui parlava Giulietto Chiesa, finché non gli fu più concesso. Possiamo solo immaginare o dedurre a quale altissimo livello delle istituzioni si collochi la direzione di questo anti-Stato, ma è certo che siamo di fronte a una organizzazione e che è così profondamente ramificato che, difficilmente, la magistratura ordinaria potrà andare fino in fondo e restituirci la libertà. Tribunale speciale, quindi? Bene Fabio Rampelli. Approvo tutti i suoi 5 punti, ma stia attento!

L’articolo che segue è da Il Secolo D’italia del 7 marzo 2024 – di Eugenio Battisti

Un “verminaio”. Parole pesantissime quelle pronunciate dal procuratore di Perugia Raffaele Cantonenella sua lunghissima audizione, circa tre ore, davanti alla Commissione parlamentare Antimafia sullo scandalo dossieraggio. Parole  che destano sconcerto per un fenomeno molto più grave ed esteso di quanto emerso finora.

Dossieraggio, le reazioni all’audizione di Cantone

Non si contano le reazioni alla fotografia scattata da Cantone, che è stato ringraziato dalla presidente dell’Antimafia, Chiara Colosimo, per la scelta “di trasparenza di venire qui a dire tutto quello che si poteva dire”. Fratelli d’Italia punta l’indice sulla gravità di quanto emerso, sulla necessità di fare chiarezza e accertare i mandanti.  Si parla di “scenario orwelliano, inaccettabile in una democrazia occidentale”. Parola del senatore Sandro Sisler, componente la commissione Antimafia, per il quale “è poco credibile che le condotte illecite, ben più numerose di quelle oggi note, siano frutto di una iniziativa individuale. Non ci fermeremo fino a quando non avremo scoperto i mandanti e i loro obiettivi”.

Rampelli politici spiati

Rampelli: sbattere in galera i mandanti

Ancora più esplicito Fabio Rampelli sulla sua pagina Facebook, che procede per punti. “Primo: trovare i mandanti e sbatterli in galera. Secondo: togliere la toga e la divisa ai servitori infedeli dello Stato. Terzo: chiedere ai 4 giornalisti di svelare il segreto professionale, in base agli articoli 200 e 204 del codice di procedura penale e rintracciare i msg cancellati tra loro e Striano. Quarto: demansionare i giudici che utilizzano il loro potere per perseguire finalità politiche destabilizzatrici delle istituzioni. Quinto: demansionare tutte le persone in divisa che utilizzano il loro potere per perseguire finalità politiche destabilizzatrici delle istituzioni”.  E dire – aggiunge Rampelli polemico – “che hanno avuto la faccia tosta di criticare i provvedimenti del governo per razionalizzare le intercettazioni. Bisogna agire immediatamente per ripristinare le libertà del cittadino conculcate da sceriffi e giudici dell’anti-Stato”.

Basta con la favola della libertà di stampa

Maria Cristina Caretta, deputata di Fratelli d’Italia, accende i riflettori sulla distinzione tra libertà di stampa e attività di dossieraggio. “Stanno emergendo atti gravissimi sulle cui responsabilità occorre fare chiarezza in tempi rapidi. Non stiamo parlando di violazione della privacy delle persone, che sarebbe già di per sé un atto grave, ma di concreti attentati ai valori fondanti della democrazia, sui cui autori e mandanti non bisogna lasciare nessuna zona d’ombra”. Di scandalo senza precedenti parla la senatrice Cinzia Pellegrino che ricorda come Fratelli d’Italia fin dal primo momento “ha preteso che si facesse chiarezza su quanto sta emergendo dalle indagini della procura”.

Tajani: chi c’è dietro? Chi ha dato l’ordine?

Da Bucarest il ministro Antonio Tajani, che non crede che un sottufficiale possa aver fatto tutto da solo, parla di un’ombra in un Paese democratico. “Sono cose che non devono accadere. Il problema è a monte: qualcosa non ha funzionato”, dice l’esponente di Forza Italia, “non va concentrata l’attenzione sul particolare, ma sul generale: perché? Chi c’è dietro? Chi ha dato l’ordine? Non è una questione di destra o sinistra”.

Occhiuto: più protezione ai dati personali

Il senatore di Forza Italia, Mario Occhiuto, denuncia “un campanello d’allarme che richiama l’urgenza di rafforzare la protezione dei nostri dati personali. La rivelazione di un’ampia rete di dossieraggio abusivo, in cui la mia stessa privacy è stata violata, è un’amara, ulteriore conferma di ciò che ho sempre saputo sui pericoli che corriamo quando le nostre informazioni vengono manipolate da mani invisibili”.

6137.- In assenza di contenuti, l’opposizione sfida il Governo con manichini capovolti, bruciati e cortei non autorizzati.

Manifestare è un diritto se si seguono le pur semplici prescrizioni. Invece, prima si violano le regole e, poi, “Basta manganelli”. Andando alla radice, il messaggio del Presidente Mattarella può essere letto come una scusa per gli organizzatori, ma non richiesta. Discutere degli oltraggi continui all’autorità da parte di una parte politica elettoralmente sconfitta ci porta lontano. Bisogna farlo anche se vengono in campo le massime istituzioni. Anche la guerra in Medio Oriente, che suscita orrore, esprime una situazione complessa fuori della portata delle piazze, che ci riguarda e su cui informare e dibattere.
La manifestazione irregolarmente tenuta avrebbe potuto essere preannunciata e, eventualmente, autorizzata, anziché tradursi in una violazione dell’autorità. Questo dovrebbe essere oggetto di discussione in Parlamento e di un richiamo del Capo dello Stato. La condivisione del ministro rispetto al richiamo vale come segno di grande rispetto. Detesto i manganelli, ultima ratio, quindi, “ratio” e non fallimento. Il fallimento comincia quando l’autorità non viene rispettata e se ne contesta in piazza l’autorevolezza violando le regole. Non è questo il modo di tenere l’agone politico e, perciò, il messaggio del Presidente può presentarsi parziale. Sono modi di sentire diversi.
Il sentire di un popolo muta e si evolve. Oserei dire che un doppio mandato, per quattordici anni, non consente a nessun Presidente della Repubblica, nemmeno se fosse Gesù Cristo, di rappresentare sempre e al meglio sia il Popolo sia il Governo espresso dalle urne. Sarebbe molto democratico riprendere i lavori dei costituenti e dibattere civilmente su questo vulnus creato da Giorgio Napolitano e proseguito da Lei, sicuramente buona mente, ma con effetti che, nel tempo, possono risultare politicamente divisivi. Dall’Africa al Medio Oriente, all’Asia Transcaucasica la scena in cui operano i Governi è rovente. Con fiducia e con rispetto, ambirei chiederLe se pensa di poter mettere un freno a questo modo almeno irrituale di fare politica, oppure, se insulti, manichini capovolti, bruciati e cortei non autorizzati debbano accompagnare i governi espressi dai partiti diversi da quelli all’opposizione, che l’hanno anche eletta.

Mattarella sente Piantedosi: “I manganelli esprimono un fallimento”. Nel ministro trova “condivisione”

Da Il Secolo d’Italia, 24 Feb 2024, di Sveva Ferri

mattarella piantedosi

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è intervenuto sugli scontri di piazza che si sono verificati ieri a Pisa e Firenze, con una telefonata al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, resa pubblica dal Quirinale. Il Capo dello Stato, si legge nella nota del Colle, “ha fatto presente al ministro dell’Interno, trovandone condivisione, che l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi – è la conclusione – i manganelli esprimono un fallimento”.

Mattarella “trova condivisione” in Piantedosi

È notizia di stamattina, inoltre, che Piantedosi ha avuto una serie di contatti telefonici con i leader sindacali per fissare un incontro, previsto lunedì alle 12, sui “recenti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine”, come confermato dal Viminale. Ieri, lo stesso Dipartimento di Pubblica sicurezza aveva rilasciato una nota nella quale aveva contestualizzato gli scontri nelle difficoltà che si generano “dal mancato rispetto delle prescrizioni adottate dall’autorità ovvero dal mancato preavviso o condivisione dell’iniziativa da parte degli organizzatori”, ribadendo che il proprio impegno ”è da sempre proteso a garantire il massimo esercizio della libertà di manifestazione e nel contempo ad assicurare la necessaria tutela degli obiettivi sensibili presenti sul territorio nazionale”.

La “riflessione” del Dipartimento di pubblica sicurezza su Firenze e Pisa

Nella nota, però, era stato aggiunto anche un altro passaggio: “Quanto verificatosi nelle città di Firenze e di Pisa costituirà, come sempre, momento di riflessione e di verifica sugli aspetti organizzativi ed operativi connessi alle numerose e diversificate tipologie di iniziative, che determinano l’impiego quotidiano di migliaia di operatori delle forze dell’ordine”. Dunque, prima ancora del netto richiamo di Mattarella, lo stesso Viminale nelle sue articolazioni amministrative si era posto il problema della dinamica di piazza. Quanto alla sua guida politica, appare chiaro che la riunione fissata con i sindacati è un segnale che Piantedosi vuole dare.

L’appello di FdI ad abbassare i toni

Sulla necessità di abbassare i toni e fare il possibile per contemperare il diritto alla libertà di manifestare con le esigenze di sicurezza si è espresso anche il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli. Il ministro, Francesco Lollobrigida, poi, ha invitato le forze politiche ad avere un atteggiamento di fiducia nelle forze dell’ordine e non a considerarle in partenza “soggetti da accusare che si devono giustificare”. Messaggi, dunque, improntati alla responsabilità, rispetto ai quali resta da capire cosa vorrà fare quella sinistra che soffia sul fuoco delle piazze. E che mentre oggi si spertica nel condividere le parole di Mattarella, ieri ne ha accolto con una certa freddezza l’avvertimento sull’esigenza di assumere un atteggiamento degno nell’agone politico, rigettando le “intollerabili manifestazioni di violenza” di cui è stata fatta oggetto il premier.

6135.- Dal Piano Mattei alla Bielorussia, cosa succede in Africa

In Africa, le democrazie partono svantaggiate rispetto alle tempistiche delle autocrazie, salvo che non facciano un uso appropriato, preventivo, offensivo dell’intelligence.

Da Formiche.net, di Francesco De Palo | 23/02/2024 – 

Dal Piano Mattei alla Bielorussia, cosa succede in Africa

Etiopia e Ghana sono solo due dei Paesi che il governo italiano ha messo al centro della propria azione con il Piano Mattei. Ma nelle stesse settimane in cui si celebrava a Roma il vertice Italia-Africa, si è rafforzata la presenza bielorussa in loco

Piano Mattei e Africa: sono due i fatti che si possono unire idealmente sotto le insegne della geopolitica (e della marcatura che Mosca vuole fare all’Italia?). Il primo tocca l’Etiopia e in generale i progetti che si stanno moltiplicando tra Italia e Africa e il secondo verte l’attivismo del Presidente bielorusso.

Qui Etiopia

L’Italia ha restituito all’Etiopia il primo aeroplano costruito nel Paese africano, un gesto che rafforza i legami tra le due nazioni e chiude un capitolo doloroso iniziato quasi un secolo fa. Il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha espresso grande orgoglio per il ritorno di “Tsehay”. Alla cerimonia di consegna, ad Addis Abeba, hanno preso parte il Presidente Sahle-Work Zewde, il primo ministro e il sindaco Adanech Abiebie, nell’ambito della cerimonia di inaugurazione del Memoriale della Vittoria di Adwa. La cessione segue la cerimonia, avvenuta lo scorso 30 gennaio, presso il Musam, quando era stato ufficialmente consegnato il velivolo meticolosamente restaurato, alla presenza del primo ministro Abiy Ahmed Ali e del ministro della Difesa Guido Crosetto.

Su richiesta del primo ministro etiope al presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il velivolo è stato completamente ristrutturato prima della riconsegna e si inserisce all’interno di una relazione italo-etiope già solida dopo i vari incontri bilaterali tra i due leader. In Etiopia, tra l’altro, è presente l’istituto Galilei che quest’anno festeggia i 70 anni, al centro di accordo bilaterale siglato nel dicembre scorso nella capitale etiope dal ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara e personalmente visitato da Giorgia Meloni lo scorso aprile in occasione della sua visita ufficiale. 

Progetto Ghana

Colmare il deficit di manodopera nell’industria friulana: per questa ragione il presidente di Confindustria Alto Adriatico, Michelangelo Agrusti, ha incontrato il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, al quale ha illustrato il “Progetto Ghana”, con l’obiettivo di formare giovani ghanesi, già inseriti nelle scuole tecniche e professionali in quel Paese, con uesti profili richiesti: saldatori, mulettisti, carpentieri, elettricisti ed altro. Il ministero ha già dato la propria disponibilità a sostenere questa iniziativa nell’ambito di quel progetto arioso che prende il nome di Piano Mattei.

Qui Bielorussia

A fare da contraltare all’attivismo italiano, ecco il movimentismo bielorusso: il presidente Aleksandr Lukashenko ha dichiarato che, nonostante molti Paesi africani abbiano ottenuto l’indipendenza politica, devono ancora liberarsi dalla dipendenza economica. Ovvero ha annunciato l’inizio, anzi, la prosecuzione di una più ampia strategia per fer entrare in contatto Minsk con quei Paesi a cui si rivolge anche l’Italia con il Piano Mattei. Èun po’ come se, incrociandola con altre partite geopolitiche primarie, Mosca (per il tramite della Bielorussia) volesse marcare stretta l’Italia sull’Africa. 

Tra l’altro tre settimane fa è stato in Kenya per una visita ufficiale, dopo il precedente incontro avuto con il suo omologo kenyano, William Ruto, che si è tenuto a Dubai il 1° dicembre scorso, in occasione del Summit sul Clima Mondiale. Il viaggio in Kenya è stato per Lukashenko l’occasione di annunciare una più intensa partnership tra i due Paesi, sulla scia di quello che la Bielorussia già fa con Zimbabwe e Guinea Equatoriale. “Il potenziale della nostra cooperazione è enorme” disse nel gennaio 2023 incontrando ad Harare il leader dello Zimbawe Emmerson Mnangawa, dopo aver consegnato delle macchine agricole bielorusse.

Un mese prima aveva firmato una serie di accordi di cooperazione con il presidente della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema Mbasogo nella capitale Malabo come parte di un tour africano per rafforzare i legami nel continente. I progetti nei settori dell’industria, dell’istruzione, della sanità e dell’agricoltura dovrebbero essere completati entro i prossimi due anni.

Strategia binaria

L’obiettivo di Minsk è quello di rafforzare i legami diplomatici ed economici tra i Paesi africani e la Bielorussia, sotto la spinta di Mosca, soprattutto riguardo alcuni settori mirati come l’agricoltura e la produzione alimentare, ambiti in cui il Kenya è più sensibile.

A dimostrazione dell’ulteriore presenza russa in loco ecco i numeri che provengono alla voce grano: l’Algeria è il secondo consumatore di grano in Africa dopo l’Egitto e lo acquista per la maggior parte dalla Russia, che si pone come il principale fornitore di grano davanti ai Paesi dell’Unione Europea. Numeri che hanno permesso al settore russo di esportare circa 400.000 tonnellate di grano in più rispetto all’Ue, che fino a prima della guerra era la prima fonte di approvvigionamento del Paese nordafricano.

6127.- Il “trappolone” del trattato pandemico OMS minaccia l’indipendenza degli Stati e l’unità del pianeta

Senza un freno, un limite, alla crescita delle multinazionali andiamo incontro, rovinosamente, a una dittatura mondiale, capace già di condizionare l’autonomia degli Stati e che, inevitabilmente, cancellerà la democrazia degli States e i principi fondanti del cristianesimo. Lo stato dell’informazione, cui è vietato il solo parlarne, ci mostra già in atto il controllo sociale e mentale sull’intera umanità. L’uso sistematico dell’Intelligenza Artificiale costituirà un potente acceleratore. Avremo, perciò, una risposta il 5 novembre.

Di Redazione Blog di Sabino Paciolla, 13 Febbraio 2024

Sabino Paciolla: Ricevo dagli amici dell’Osservatorio Internazionale Card. Van Thuân e volentieri pubblico. 

OMS

di Gianfranco Battisti

Nubi nere si avvicinano  

Notizie poco tranquillizzanti stanno giungendo dal fronte medicale. Stavamo appena cercando di dimenticare i tre anni del Covid, ed ecco che ci arrivano le affermazioni catastrofiste circa una ipotetica, prossima pandemia dai caratteri apocalittici. Nessuno sa di cosa si parli, ma la notizia è data per certa dal vertice dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). A ciò si aggiunge la nuova campagna mediatica pro-vaccini, che sponsorizza quelli attualmente in commercio e quelli che saranno prodotti in futuro. Si stanno inoltre preparando le task force che dovranno indottrinare in tal senso gli studenti all’interno delle scuole e delle università. Il tutto rientra chiaramente nella manovra volta a far approvare il cosiddetto “Trattato Pandemico”. Il quale ha per obiettivo l’asservimento di tutti i Paesi del mondo agli interessi plutocratici tramite l’OMS, un’agenzia delle Nazioni Unite che otterrebbe letteralmente i “pieni poteri” a livello planetario.

Le istituzioni, queste sconosciute

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’autorità dell’OMS non è destinata a limitarsi all’ambito della salute. Le politiche sanitarie sono infatti solo il pretesto per assumere il controllo di ogni settore della società: economia, scienza, cultura, politica. Il piano prevede infatti di condizionare qualsiasi decisione politica riconducendola in vario modo a questioni anche solo apparentemente di carattere medicale. È questo l’esito di una strategia che è andata sviluppandosi nell’arco di decenni, attraverso il progressivo ampliamento dell’area di competenza della medicina maturato in seno all’OMS. L’obiettivo attribuitosi da tale organismo nel 2022 parla infatti del “raggiungimento da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute”, definita (già nel 1948) come “uno stato di totale benessere fisico mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità”. Nelle sue ambizioni questo programma non solo richiama il Dr. Faust, ma presuppone soprattutto il controllo sociale e mentale dell’intera umanità[1]. Tutto approvato in un momento in cui si presumeva che avessimo superato l’epoca dei totalitarismi. Evidentemente, esiste una tabella di marcia che è nota solo ai potenti.

Se ogni aspetto della vita umana viene a confluire all’interno della salute, appare logico che il governo della stessa finisca col travalicare ogni limite, occupando tutti gli spazi dell’azione politica, nessuno escluso. Ne abbiamo avuto una dimostrazione eclatante durante la dittatura sanitaria introdotta a livello globale (ma di fatto implementata solo nell’Occidente, oltreché in Cina) nel periodo del Covid. La lettura della bozza di Trattato lascia intravvedere, al di là della scarna formulazione, l’enormità dei poteri che verrebbero attribuiti ad un organismo privo non solo di qualsiasi legittimazione democratica, ma di fronte alle cui decisioni non vi sarebbe modo di tutelarsi.

Poteri così illimitati riuscerebbero ad indirizzare la spesa degli Stati verso specifici settori, alterando il funzionamento dei mercati e l’allocazione dei capitali, impedendo di fatto ai governi di effettuare investimenti nei settori che essi considerino strategici per i loro interessi. Si consideri ad es. l’enormità delle somme spese per l’acquisto dei vaccini anti Covid, mediante contratti capestro il cui contenuto rimane tuttora secretato. Né il danno si limiterebbe al campo dell’economia, in quanto per l’implementazione dei diktat onusiani sono esplicitamente previsti interventi drastici sul fronte delle libertà di stampa, di circolazione (di beni e persone), di istruzione e financo di ricerca scientifica. L’indottrinamento della popolazione, rafforzato dalla censura, diverrebbe addirittura un obbligo internazionale. Il risultato sarebbe la nascita di un nuovo regime di colonialismo globale, nel quale i governi nazionali si troverebbero ridotti nella condizione dei consigli tribali di fronte ai governatori imposti dalle potenze europee. Una nuova via, coatta, al sottosviluppo, che questa volta è destinata a coinvolgere anche la (un tempo) ricca Europa. Per tacere dei rischi ormai più che prevedibili in ordine alla nostra salute.

Non a caso, l’ordine di scuderia è “non parlare del Trattato”. Questo svela la realtà delle cose: l’OMS è soltanto la più esterna delle matrioske che compongono la struttura occulta del potere, che si cela dietro una pluralità di controfigure, secondo la logica del Deep State[2]. Naturalmente c’è chi ha fiutato il “trappolone”, a cominciare dal parlamento USA, non del tutto asservito ai poteri occulti. Quest’ultimo ha infatti approvato una mozione con la quale si riserva di decidere se dare attuazione o meno alle singole direttive provenienti dall’OMS. Lo stesso atteggiamento è emerso nei governi di alcuni Stati dell’Unione. A loro volta i Paesi africani si sono subito dimostrati molto scettici, ed i loro rappresentanti in seno all’assemblea hanno votato in massa contro l’evidente tentativo di bruciare i tempi dell’approvazione. In Slovacchia, il presidente ha già annunciato che il suo Paese ne resterà fuori; in Ungheria la protesta viene invece dal partito nazionalista, che milita all’opposizione. Dietro le quinte c’è dunque una certa mobilitazione, nonostante il fatto che i media internazionali dedichino alla questione una scarsissima copertura.

La storia si ripete

La situazione ricorda il tentativo della presidenza Obama di far passare il cosiddetto “Trattato Transatlantico”, che avrebbe dovuto portare alla pratica “annessione” dell’area OCSE all’economia americana. L’operazione, anch’essa portata avanti nel massimo segreto, è poi fallita principalmente per l’opposizione interna agli Stati Uniti, che vedeva comunque minacciati una serie di interessi vitali da parte dell’élite globalista. Lo spettro di una dittatura mondiale che cancelli l’autonomia degli States è una delle questioni che stanno alla base del successo di Trump, e contribuisce a spiegare l’accanimento dimostrato contro il presidente durante il suo mandato ed attualmente contro la sua ricandidatura[3].

Quella attuale appare come l’ennesima “soluzione tecnica” che l’élite al potere sta cercando di attuare da decenni. Come è noto, essa sta progressivamente  monopolizzando le ricchezze ed i poteri, sottraendoli ovunque agli Stati, sia a livello di governi che di singoli cittadini. A livello istituzionale lo fa sovente attraverso organizzazioni private che vengono spacciate per pubbliche – l’OMS, come l’ONU di cui è emanazione, non sono enti pubblici, soggetti al controllo degli elettori – e lo stesso discorso vale per la pletora di OnG ad essa riconducibili, la cui operatività non casualmente viene ufficializzata dalle Nazioni Unite.

Ritornando al caso in questione, i potenti del nostro tempo hanno scoperto che in un mondo dove Dio è stato cacciato, la paura della morte e della malattia è un sentimento che può venire usato per spingere a comportamenti irrazionali e financo autolesionistici. Anche ad accettare una dittatura in confronto alla quale nazismo e comunismo conservavano pur sempre un fondo umanitario. Le modalità con le quali si è reagito quasi ovunque al Covid sono indicative della brutalità che ci aspetta in futuro. Se a ciò aggiungiamo che il virus è un’arma biologica, realizzata con i finanziamenti dell’esercito americano (non si dimentichi che sulla composizione dei cosiddetti “vaccini” grava un segreto militare che l’Unione Europea è costretta a rispettare) si comprende dove si intende arrivare. Apertis verbis, ad attribuire all’OMS il potere di dichiarare – ogniqualvolta farà comodo a “lorsignori”  – l’esistenza di una pandemia, costringendo il mondo intero ad assumere decisioni di portata epocale praticamente senza contraddittorio.

Lo sfilacciarsi della democrazia

Dopo aver sottratto furtivamente ai popoli ogni possibilità di controllo sulla politica, con il Trattato pandemico si vuole adesso sottomettere ufficialmente gli Stati all’OMS, instaurando di fatto un governo mondiale facente capo ad un organismo apparentemente “tecnico”. In realtà, gli amministratori dell’OMS vengono nominati dai politici conniventi, dai quali ricevono una delega in bianco. Questa delega è poi riempita dai padroni dell’industria del farmaco, i quali mirano unicamente ad aumentare le loro ricchezze, direttamente e indirettamente. Dietro all’industria vi sono poi i militari, e dietro ad essi tanti “signori X” che tirano i fili. 

Sulla strada che abbiamo sintetizzato un risultato fondamentale è già stato raggiunto: esiste in effetti un “governo mondiale delle banche”[4], ma questo non è più in grado di far funzionare un mondo che è stato depredato al punto da essere sull’orlo del tracollo. Occorre dunque rafforzare la presa. La prossima crisi di Wall Street, che negli ultimi 16 anni è stata ritardata a prezzo della definitiva compromissione dell’economia mondiale, è ipotizzabile per il 2025. Vale a dire all’indomani delle elezioni presidenziali americane. Da qui il tempismo del Trattato, che mira a dare al nuovo presidente i poteri per salvare l’America a spese del mondo intero. Difatti, gli USA sono ad un tempo il “grande malato” dell’economia mondiale[5] ed il maggior contribuente dell’OMS, più ancora della Cina. E come tali, sono in grado di condizionarne le decisioni.

L’obiettivo è in fondo semplice: si tratta di rinchiudere il mondo in una rete dalla quale rimangano fuori soltanto loro: all’esterno, ma seduti nella stanza dei bottoni. Dalla quale amministrare il resto del pianeta. Come già anticipato, ciò trasformerebbe il mondo intero in una colonia, da amministrare né più né meno di come l’Europa ha trattato il resto del mondo nei secoli passati[6]. Per l’occasione è stato già lanciato il nuovo slogan: “Non possiederai nulla e sarai felice”. Il copyright è del World Economic Forum, un’associazione privata che comprende circa 1.500 tra grandi e grandissimi imprenditori multinazionali (incluso il famoso Klaus Schwab), provenienti dal mondo intero. È questa la vera “assemblea globale” che oggi vuole assumere tutti i poteri. Un’assemblea al cui interno i diritti di voto non sono distribuiti in modo paritetico, ma sono “pesati” secondo le ricchezze formalmente detenute da ciascuno.

Il “Piano B”

Relativamente al Trattato Pandemico, il colpo è talmente grosso che i “furbetti”, a quanto è dato di intendere, temono adesso di non riuscire a farlo approvare. L’operazione richiede infatti una maggioranza qualificata pari a non meno di 2/3 dei membri ONU. Si starebbe allora preparando un “Piano B”, che consisterebbe nello spostare le norme liberticide dal Trattato al Regolamento interno dell’OMS. Questo si può infatti modificare a maggioranza semplice: bastano 98 voti.

Non sarebbe la prima volta che una simile manovra ha luogo. È accaduto lo stesso allorquando il progetto della cosiddetta “Costituzione europea” è crollato di fronte all’opposizione popolare. Nell’occasione, l’élite che ci governa ha reagito collocando a livello di trattati internazionali (soprattutto il Trattato di Nizza) le norme tecniche che trasferiscono i poteri determinanti dai singoli Stati all’Unione europea[7]. Questa è diventata di fatto una sorta di ircocervo, un “quasi Stato”, nel quale il potere è concentrato in pochissime mani ed ai parlamentari, che non possono esprimere il governo, non è consentita nemmeno l’iniziativa legislativa. Il risultato è un deficit democratico ineliminabile, che non è nemmeno equilibrato dalla relativa maggiore efficienza che solitamente caratterizza i regimi autoritari.

Tutto ciò non deve meravigliare. Le storture originarie dell’Unione europea presentano tutti i tratti di un organismo handicappato, fatto nascere a forza dalle stesse élites che su un altro versante si battono ostinatamente per far abortire i bambini, anche e soprattutto se potrebbero nascere sani. Queste caratteristiche istituzionali sono infatti finalizzate a consentire che l’embrione di Stato europeo si sciolga prossimamente nel calderone dal quale dovrà scaturire il futuro governo mondiale. Da quanto è dato intuire, tale governo sarà caratterizzato dalla stessa mancanza di coesione che ravvisiamo nella UE, dove le diverse istituzioni costituiscono delle realtà fra loro disarticolate.

Se tutto procedesse come si vuole “dall’alto”, vedremmo nascere, più che una modalità di governance completamente inedita, una forma “perfezionata” della attuale struttura europea. Una forma ibrida che vede il potere spartito tra le grandi multinazionali e le organizzazioni non governative – ergo, private – che sono state messe in piedi come “braccio” politico dei magnati. Organizzazioni il cui compito è di “costruire” un consenso apparente per le decisioni elaborate dai moderni “padroni del vapore”.

Tempus fugit

Per il “Trattato pandemico” i tempi sono strettissimi: il golpe (o, per chi preferisce usare il “politicamente corretto”: il voto) è calendarizzato per maggio, all’indomani delle elezioni europee. A quel tempo il nostro continente sarà ancora rappresentato dai leader espressi dall’attuale coalizione di centro-sinistra, mentre la nuova maggioranza che probabilmente emergerà dalle urne non avrà avuto il tempo di organizzarsi e prendere in mano le redini del potere. Certe coincidenze non sono mai casuali.

A questo punto la parola passa più che mai ai singoli Stati, che conservano ancora (non si sa fino a quando) l’autorità di aderire o meno al “trappolone”. La situazione è invero assai difficile. La bozza di piano pandemico nazionale recentemente presentata alle Camere contiene già la sottomissione dell’Italia ai diktat dell’OMS, anche se non esplicitamente. Non resta che sperare nella votazione finale in assemblea. Ogni azione di sensibilizzazione mediatica e politica, ovunque avvenga, è dunque benvenuta e potremmo dire, anche “sacrosanta”.

Per i cattolici, doverosa appare una mobilitazione di natura religiosa. Da troppo tempo abbiamo dimenticato il potere della preghiera collettiva. Sarà forse il caso di ricordare come una catena di rosari, portata avanti per anni, da una porzione crescente del popolo austriaco abbia portato nel dopoguerra all’evacuazione delle truppe sovietiche ed al ristabilimento dell’indipendenza del Paese. Se a ciò aggiungiamo che maggio è il mese caro alla Madonna, non ci dovrebbero essere dubbi su quale sia il nostro compito primo.

[1] Nel 1999 si era giunti ad un passo dall’inserire nell’elenco anche il “benessere spirituale”.

[2] Cfr. Il Deep State planetario: la politica manovrata dall’ombra – 15° Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel Mondo, a cura di G. Crepaldi, R. Cascioli, S. Fontana, Siena, Cantagalli – Osservatorio internazionale Card. Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa, 2023.

[3] Questo tema è “convenientemente” omesso dagli organi d’informazione.

[4] Il quale è praticamente in guerra con la Federazione Russa.

[5] Cfr. “Le logiche economiche del Great Reset”, in Proprietà privata e libertà: contro lo sharing globalista – 14° Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel Mondo, a cura di R. Cascioli, G. Crepaldi, S. Fontana, Siena, Cantagalli – Osservatorio internazionale Card. Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa, 2022, pp. 37-60.

[6] Vi sono ancora dubbi sulle ragioni per le quali non il solo Putin ma la maggior parte del pianeta – che si sta organizzando all’interno dei BRICS – si oppone agli Stati Uniti?

[7] Si consideri che la Costituzione italiana esclude le leggi di ratifica dei Trattati internazionali dalla possibilità del referendum abrogativo. Una circostanza che spiega l’apparente “debolezza” che i nostri governanti mostrano nei rapporti con gli altri Stati.

6165.- Africa 2024. Tutti i dossier aperti in vista del Piano Mattei

18 Paesi africani, l’Unione europea e gli Stati Uniti andranno al voto nel 2024. Il Piano Mattei avrà successo se chiunque sarà eletto faremo dimenticare ai governi e ai popoli africani gli europei predatori.

Da Formiche.net, di Lorenzo Piccioli | 04/01/2024 – 

Africa 2024. Tutti i dossier aperti in vista del Piano Mattei

Con l’avvicinarsi delle elezioni in numerosi Paesi africani entrano in moto dinamiche specifiche di ogni singolo Stato. Dinamiche fondamentali da afferrare, per poter strutturare al meglio l’intervento del nostro Paese nel continente africano

Il 2024 sarà un anno di elezioni. Dagli Stati Uniti all’Europa, arrivando alla Federazione Russa, dove Vladimir Putin cercherà (presumibilmente con successo) una riconferma. E anche nel continente africano, il 2024 sarà un anno “elettorale”: 18 diverse consultazioni avranno luogo nei Paesi di tutta l’Africa, dove si alterneranno elezioni mancate a elezioni correttamente svolte, ed elezioni corrette ad elezioni truccate.

A partire dal Senegal, dove il presidente uscente Macky Sall ha ufficialmente rinunciato a ripresentarsi per un terzo mandato (superando il limite di due mandati previsto dalla costituzione del Paese). La candidatura ad apparire favorita nelle consultazioni elettorali di febbraio è quella del delfino di Sall e attuale primo ministro Amadou Ba; tuttavia, le forti proteste (con in testa la fascia più giovane della popolazione) che hanno avuto luogo in Senegal a sostegno del leader dell’opposizione Ousmane Sonko, attualmente impossibilitato a candidarsi per una condanna penale, dimostrano come la popolazione sia fortemente divisa sul piano politico. A dicembre, un tribunale senegalese ha ordinato il reinserimento di Sonko nelle liste elettorali, aprendogli la strada alle elezioni di febbraio. Una sua partecipazione effettiva al confronto elettorale potrebbe portare a risultati inattesi.

A luglio sarà invece il turno del Rwanda, dove invece il presidente Paul Kagame mantiene il potere sin dal 1994, e con l’emendamento della costituzione del Paese promosso nel 2015 adesso può rimanere in carica fino al 2034. Kagame intende ricandidarsi per un quarto mandato, e il risultato sarà facile da prevedere. Le elezioni si svolgeranno in un momento di alta tensione tra il Rwanda e la vicina Repubblica Democratica del Congo, dove si sono da poco svolte delle contestate elezioni che hanno riconfermato il presidente in carica Felix Tshisekedi.

Le elezioni presidenziali in Tunisia avranno invece a novembre, per la prima volta dall’emanazione della nuova Costituzione del Paese, redatta dal presidente Kais Saied e approvata lo scorso luglio in un referendum ampiamente boicottato dagli elettori. Secondo la nuova costituzione, il presidente può assumere e licenziare il primo ministro e i ministri parlamentari. Nel settembre 2023, Tunisi ha annunciato che gli osservatori stranieri non avrebbero potuto prendere parte alle elezioni. Non è un buon segnale, unito alle previsioni secondo cui molti tunisini boicotteranno il voto. Anche se ciò non basterà a fermare il processo.

Dopo le numerose proteste dell’anno scorso, con un salvataggio (il diciassettesimo dall’indipendenza del paese nel 1957) da tre miliardi di dollari stipulato con il Fondo Monetario Internazionale che ha causato sofferenze fiscali per molti cittadini comuni, quest’anno anche il Ghana andrà a votare. Il Paese ha una forte cultura dell’attivismo giovanile e la vittoria nella corsa alla successione del presidente Nana Akufo-Addo, che ha raggiunto il suo limite di due mandati, non è garantita per il New Patriotic Party, attualmente guidato dal vicepresidente Mahamudu Bawumia.

Anche in Paesi teatro di colpi di stato militari (coronati o meno dal successo) è previsto lo svolgimento di “elezioni”. A partire dal Mali, che nel giugno scorso ha indetto un referendum sulla nuova costituzione, la quale concede al capo dello Stato ampi poteri come la possibilità di nominare e licenziare i ministri. Secondo gli esperti l’attuale leader in carica, il colonnello Assimi Goita, e altri leader golpisti si stanno posizionando come potenziali candidati alla presidenza nelle elezioni che erano previste per il febbraio 2023 e che ora sono state rinviate all’ottobre 2024.

C’è poi il Ciad, dove il generale Mahamat Idriss Deby ha preso il potere nel 2021 alla morte del padre. Deby ha ritardato le elezioni di due anni a causa di una nuova costituzione, approvata con un referendum a dicembre, che istituisce assemblee locali autonome che consentono l’elezione di rappresentanti locali e la riscossione delle imposte. Ma la situazione interna è instabile. La possibilità di un colpo di stato interno da parte di membri della cerchia di Deby — a causa della guerra civile in Sudan e della sua presunta alleanza con gli Emirati Arabi Uniti — ha messo il Ciad in una situazione precaria mentre le elezioni incombono.

Infine, nella vicina Guinea-Bissau, il presidente Umaro Sissoco Embalo ha sciolto il parlamento per la seconda volta in meno di due anni dopo il fallimento di un colpo di Stato nel novembre 2022. Embalo ha sciolto il parlamento anche nel maggio 2022, dopo un altro apparente tentativo di rovesciamento nel febbraio 2022.

Le varie tornate elettorali sono un sottile filo rosso che collega più realtà, ognuna delle quali caratterizzata da una situazione unica e con caratteristiche specifiche. Un quadro da tenere a mente nell’attuazione del Piano Mattei. Certe differenze, peculiarità e contesto comportano articolazioni nella proiezione italiana nel continente.

6159.- Da qualunque lato lo si veda, c’è un problema di democrazia negli Stati Uniti “già d’America”

Donald Trump non è stato condannato né per ribellione né per insurrezione in nessuna giurisdizione, mentre la sua mancata ammissione al ballottaggio potrebbe essere giustificata soltanto da una sentenza. Ma Trump è stato assolto dall’accusa di incitamento all’insurrezione per l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio. Nel diritto penale italiano, al limite, è consentito al giudice, in sentenza, di qualificare il fatto storico in modo diverso da come è stato contestato purché il fatto ritenuto resti identico a quello addebitato e ciò in riferimento al triplice elemento della condotta, dell’evento e dell’elemento psicologico. Quale correlazione è stata applicata nel Maine senza una nuova accusa, accusando e decidendo da sola? Il segretario di Stato del Maine Shenna Bellows è una democratica e viene minacciata perché ha lasciato che l’interesse del partito sovrastasse l’istituzione che rappresenta. Da qualunque lato lo si veda, c’è un problema di democrazia negli Stati Uniti “già d’America”.

Maine Secretary of State Says She’s Received Threats After Disqualifying Trump From Ballot

Il segretario di Stato del Maine afferma di aver ricevuto minacce dopo aver squalificato Trump dal ballottaggio

Il segretario di Stato del Maine ha affermato di aver ricevuto minacce dopo aver deciso di escludere l’ex presidente Donald Trump dalle primarie statali del 2024.

Maine Secretary of State Says She’s Received Threats After Disqualifying Trump From Ballot
Maine Secretary of State Shenna Bellows speaks at an event in Augusta, Maine, on Jan. 4, 2023. (Robert F. Bukaty/AP Photo)
Tom Ozimek

Da theepochtimes.com, di Tom Ozimek, 12/30/2023, aggiornato 12/31/2023

Il segretario di Stato del Maine Shenna Bellows ha dichiarato venerdì di aver ricevuto minacce dopo aver dichiarato l’ex presidente Donald Trump non idoneo alle primarie statali del 2024.

“Ero preparata alla possibilità di minacce e apprezzo molto le forze dell’ordine e le persone intorno a me che sono state incredibilmente favorevoli alla mia sicurezza e alla mia incolumità”, ha detto la signora Bellows, una democratica, durante un’apparizione del 29 dicembre alla CNN.

“La mia sicurezza è importante, così come lo è quella di tutti coloro che lavorano con me, e abbiamo ricevuto comunicazioni minacciose: sono inaccettabili”, ha aggiunto.

La signora Bellows non ha fornito alcun dettaglio sul tipo di minacce che avrebbe ricevuto, ma ha dovuto affrontare un torrente di condanne pubbliche, sia online che offline, per la sua decisione unilaterale del 28 dicembre di squalificare il presidente Trump dalle primarie del Maine del 2024. citando la sezione 3 del 14° emendamento.

Conosciuta come clausola interdittiva, questa sezione impedisce a determinati individui di ricoprire cariche pubbliche se sono coinvolti in una “insurrezione o ribellione”.

Proprio come i funzionari del Colorado, la signora Bellows ha affermato che la sua decisione di squalificare e rimuovere il presidente Trump dal ballottaggio è sospesa in attesa dei ricorsi che dovrebbero essere presentati nei tribunali superiori.
La squalifica
La maggior parte delle sfide del 14° emendamento all’idoneità del presidente Trump come candidato presidenziale sono state affrontate in tribunale, ma la signora Bellows (il cui ufficio supervisiona le elezioni nel Maine) ha preso la decisione da sola.

“Concludo che la petizione principale del signor Trump non è valida”, ha scritto la signora Bellows nella sua sentenza. “In particolare, trovo che la dichiarazione sul modulo di consenso del suo candidato sia falsa perché non è qualificato a ricoprire la carica di Presidente ai sensi della Sezione Tre del Quattordicesimo Emendamento.”

Ha citato la violazione del Campidoglio degli Stati Uniti del 6 gennaio 2021 come giustificazione della sua decisione, sostenendo che il presidente Trump “ha utilizzato una falsa narrativa di frode elettorale per infiammare i suoi sostenitori e indirizzarli al Campidoglio per impedire la certificazione delle elezioni del 2020 e il trasferimento pacifico del potere”.

 President Donald Trump at the Save America rally in Washington, on Jan. 6, 2021. (Lisa Fan/The Epoch Times)
Il presidente Donald Trump alla manifestazione per Save America a Washington, il 6 gennaio 2021. (Lisa Fan/The Epoch Times)

Democratici e repubblicani – compresi i rivali repubblicani del presidente Trump nella corsa alla Casa Bianca nel 2024 – hanno criticato la campagna del presidente Trump, condannando la decisione e definendo la signora Bellows una “virulenta sinistra e una democratica iperpartitica che sostiene Biden”.

“Stiamo assistendo, in tempo reale, al tentativo di furto di un’elezione e alla privazione dei diritti civili dell’elettore americano”, ha detto ai media il portavoce della campagna di Trump, Steven Cheung. “Non commettere errori, questi sforzi di interferenza elettorale partigiana sono un attacco ostile alla democrazia americana”.

La campagna di Trump ha detto che farà appello contro la sentenza, mentre un parlamentare repubblicano del Maine sta spingendo per l’impeachment della signora Bellows.

“Pacificamente e patriotticamente”

Il presidente Trump ha tenuto una manifestazione vicino alla Casa Bianca il 6 gennaio 2021, in cui ha rilasciato dichiarazioni incoraggiando i suoi sostenitori a marciare verso il Campidoglio, dove il Congresso stava certificando i risultati delle elezioni presidenziali.

Mentre il presidente Trump chiedeva che gli eventi della giornata fossero pacifici, un gruppo di persone ha fatto irruzione nel Campidoglio, provocando un violento scontro con le forze dell’ordine.

Gli eventi di quel giorno sono stati oggetto di ampio esame e dibattito, con gli oppositori politici del presidente Trump che lo hanno accusato di incitamento a una “insurrezione”. Questa accusa è alla base di diversi sforzi legali volti a impedire che l’ex presidente venga inserito nelle schede elettorali nella corsa presidenziale del 2024 sulla base del 14° emendamento, cercando di dipingerlo come l’istigatore dell’incidente del 6 gennaio.

Questi casi sostanzialmente sostenevano che l’ex presidente avesse preso parte a una “insurrezione” pronunciando un discorso appassionato il 6 gennaio prima che si verificasse la breccia nel Campidoglio.

“Vergogna per il nostro Paese”

Nella sua sentenza, la signora Bellows ha affermato che “le prove” mostrano che la violazione del Campidoglio del 6 gennaio è avvenuta “per volere, e con la conoscenza e il sostegno del” presidente Trump.

La signora Bellows, in diverse occasioni precedenti, ha rilasciato dichiarazioni pubbliche descrivendo la violazione del Campidoglio del 6 gennaio come una “insurrezione” e chiedendo l’impeachment del presidente Trump.

Prima della sua sentenza, la difesa del presidente Trump aveva chiesto la sua ricusazione dal processo decisionale, citando le sue dichiarazioni pubbliche.

La sua decisione di rimuovere il presidente Trump dal ballottaggio statale arriva poco dopo che la Corte Suprema del Colorado ha stabilito che non è idoneo a candidarsi alla presidenza, citando allo stesso modo la Sezione 3 del 14° Emendamento.

L’ex presidente ha definito la sentenza della corte del Colorado una decisione motivata politicamente e una “vergogna per il nostro Paese”, mentre i suoi avvocati hanno promesso di appellarsi alla Corte Suprema degli Stati Uniti.

Il presidente Trump ha recentemente rilasciato una dichiarazione in cui nega di essere un “insurrezionalista” mentre etichetta come tale il presidente Joe Biden, citando fattori come il confine aperto e accusando il presidente di “distruggere” l’America con politiche radicali anti-combustibili fossili.

Ciò è avvenuto dopo che il presidente Biden ha detto ai giornalisti che è “ovvio” che l’ex presidente fosse un insurrezionalista.

Un passo indietro al 10 febbraio 2021, all’impeachment: Trump alla sbarra per incitamento all’insurrezione

Quel giorno, Paolo Alberto Valenti pubblicò su Euronews:

“Il processo contro l’ex presidente Donald Trump che resterà il più controverso presidente americano di tutti i tempi.” Letto oggi:

“La battaglia al Senato per il secondo impeachment nei confronti di Donald Trump, accusato di aver incitato all’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio 2021, segnò una prima vittoria per l’accusa: la maggioranza dei senatori votò per la costituzionalità del processo: 56 voti favorevoli 44 i contrari.

La difesa: “processo illegale”

Il voto a favore fu successivo alle discussioni sulla legalità del processo. La squadra di difesa di Trump sostenne l’incostituzionalità del procedimento visto che Trump non era più presidente con la pretesa di una diversa configurazione giuridica. La Procura dei Democratici aprì il processo con la prova del video sul discorso di Trump del 6 gennaio e quindi le rivolte culminate con la morte di alcuni assalitori. Fra le testuali parole dell’ex presidente si erano ascoltate queste: “e noi litighiamo e combattiamo come diavoli e se tu non combatti come all’inferno, non avrai un paese che possa imporsi”.

Per la difesa Trump “non aveva incitato nessuno”

Gli avvocati di Trump insistettero sulla non colpevolezza in relazione all “ istigazione insurrezionale”, e cercarono di confutare le argomentazioni dei democratici. Come fece il legale Bruce Castor che candidamente disse: “Siamo qui perché la maggioranza alla Camera dei rappresentanti non vuole affrontare Donald Trump come un rivale politico in futuro. Questo è il vero motivo dell’azione”.

Un processo politico?

Il processo a Donald Trump “è politico” e se andrà avanti “distruggerà questo Paese forse solo come abbiamo visto una volta sola nella nostra storia”: così lo sostenne David Schoen, difensore dell’ex presidente americano, parlando nell’aula del Senato. Evidentemente facendo riferimento alla guerra civile americana. La battaglia legale per cancellare per sempre l’ex presidente dal “salotto buono” della politica a stelle e strisce non sarebbe stata facile anche perché il costruttore del muro anti-immigrati avrà sempre il suo codazzo di sostenitori e non solo nelle stanze del potere.”

6125.- Schillaci! Meloni! col trattato pandemico ci rubate la sovranità.

Con Sunak…Fra le 4 donne più potenti! Caxxo!

Macché politici: Politicanti, non direte: “Non sapevo!” Ci parlano di tutti i loro successi internazionali, fingono l’alterco fra destra e sinistra, strumentalizzano qualunque tragedia e, intanto, ci fanno mettere le catene ai piedi !!! Da chi? Dall’OMS, cioè, dall’ONU: un teatrino. E noi? Noi siamo un popolo di fessi, usi a sudare e a morire senza capire per chi.

Trattato pandemico Oms, gruppi pro vita in allerta

16_08_2022, Ermes Dovico

L’Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato la bozza base per un trattato sulle pandemie, che andrebbe a rafforzare i poteri dell’agenzia Onu. Resta il nodo della sovranità degli Stati. E i gruppi pro vita sono in allerta, perché il documento rischia di essere usato per promuovere gender e aborto, in nome della sanità.

Trattato pandemico, resta il nodo sovranità. E non solo

11_03_2023, Ermes Dovico

Un documento che intende essere «legalmente vincolante». È la bozza, l’ultima, del trattato pandemico dell’Oms che comporterebbe giocoforza cessioni di pezzi di sovranità da parte dei Paesi aderenti, profilando un governo sanitario mondiale. E intanto l’Amministrazione Biden spinge per inserirvi l’aborto.

E ora? mentre il presidente del Consiglio sale ai fasti della politica internazionale, succede che:

Nel silenzio generale l’Oms sta pianificando la gestione di prossime pandemie sottraendo sovranità ai singoli Stati. Lockdown, Green pass, vaccini: tutto sarà diretto dall’alto senza possibilità di opporsi. Ecco come. Intervista all’eurodeputata Francesca Donato riportata da La Nuova Bussola Quotidiana: 

«Italia attenta, col trattato pandemico rischi l’esproprio»

Da La Nuova Bussola Quotidiana, di Andrea Zambrano, 9 dicembre 2023

L’ingerenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) nelle politiche dei singoli stati sta diventando qualcosa di pervasivo e oppressivo. Due sono gli strumenti attraverso i quali l’organizzazione sovranazionale detta le condizioni per una gestione centralizzata e globalista della sanità: il trattato pandemico e il Regolamento Internazionale della Sanità, uno strumento scritto nel 2005 ed emendato nel 2022 con un accrescimento esponenziale dei poteri dell’Oms a cui gli Stati dovranno sottostare.

Entrambi gli strumenti devono essere pienamente adottati. 

È questo il motivo per cui da diverso tempo se ne parla con preoccupazione. La gestione globalizzata della pandemia, infatti, ha accresciuto a dismisura il potere dell’Oms, che giova ricordarlo, è finanziata solo per un misero 15% dagli Stati membri che sono 192. La restante parte dei finanziamenti è frutto di ingenti donazioni di privati che vedono ai primi posti la Bill & Melinda Gates Foundation e la Gavi Alliance, nata per la promozione dei vaccini.

In questo quadro di pesante interferenza anche economica nell’indipendenza dell’Oms, si inseriscono i due strumenti che i singoli Stati dovranno accettare e adottare in maniera vincolante.

Con l’aiuto di Francesca Donato, europarlamentare indipendente, vediamo di che cosa si tratta.

«Del Trattato Pandemico si è iniziato a parlare dopo il Covid. Attualmente è in fase di definizione una bozza che viene continuamente aggiornata e modificata in un processo molto opaco che deriva dalla delega che il Consiglio europeo ha dato alla Commissione Europea. Pertanto, e qui sta il primo problema, non arrivano informazioni all’Europarlamento».

La versione finale di questa bozza verrà approvata a maggio 2024 nel corso dell’Assemblea generale annuale dopo di che i paesi membri dovranno dichiarare se lo accettano o no e ratificare in Parlamento. È per questo motivo che è più che mai necessario informare l’opinione pubblica su quanto sta accadendo.

Le prescrizioni che sono indicate, intanto, sono decisamente folli.

«Con questo trattato – prosegue Donato – la sovranità nazionale sarà definitivamente azzerata e tutte le decisioni saranno prese dalla conferenza delle parti senza possibilità di veto. In questo modo la volontà dei popoli sarà tradita».

Vediamo alcuni punti salienti, che l’eurodeputata ha illustrato in un video sul suo 

canale Youtube.

Anzitutto sarà vincolante per gli Stati membri e in esso si riconoscerà il ruolo centrale dell’Oms come direzione e coordinamento sanitario internazionale nelle pandemie e nella generazione di prove scientifiche. Questo significa che le prove scientifiche di una pandemia o di una strategia vaccinale saranno accettate solo se provengono dall’Oms.

In secondo luogo, gli Stati dovranno collaborare alla pari con i finanziatori privati, tra i quali, come abbiamo visto, siedono Ong e lobby, ciascuna con interessi che potrebbero non coincidere con l’interesse pubblico o mascherarlo abilmente.

«Ciò che desta sconcerto – prosegue – è che le ripercussioni delle pandemie coinvolgeranno anche gli impatti socio-economici facendo passare il concetto che la diffusione del virus sia causata dalla mancanza di effetti e restrizioni decise dai governi, quando invece sappiamo che è piuttosto il contrario».

Il documento, inoltre, disegna uno scenario temporale di pandemia e di intra pandemia e gli investimenti degli Stati dovranno essere orientati per mantenere la struttura di controllo anche a livello economico: il 5% della spesa sanitaria degli Stati dovrà essere versata proprio per la preparazione e gestione della future pandemie. Tradotto: vivremo nell’era delle pandemie, o perché l’Oms ne dichiarerà una o in attesa di una prossima, imminente, pandemia.

Si afferma inoltre uno stretto legame tra la scienza e i decisori politici. Ma quale scienza? Dato che le pressioni lobbystiche delle case farmaceutiche nelle politiche dell’Oms sono massicce, la scienza coinciderà con gli esperti allineati alle stesse lobby, chiamati a esercitare un apporto di tipo consultivo sempre più vincolante. «Così gli interessi – insiste l’eurodeputata – saranno calpestati dalle esigenze della cosiddetta scienza».

Nella bozza si parla anche dell’approccio One healt: una sola salute che deve tenere conto di tutte le “emergenze” autoproclamate, dal cambiamento climatico all’uso del suolo, dal commercio della fauna selvatica alla desertificazione.

Questo per quanto riguarda la preparazione alle prossime pandemie che, sembra già dato per scontato, arriveranno.

Ma che cosa succede quando arriverà la pandemia? «Anzitutto è bene rimarcare che nel trattato pandemico spetterà solo al direttore generale Oms il proclamarla, ma nella sua definizione si ignora completamente l’estensione geografica optando per un’estensione globale che rimanda così a interventi su scala mondiale».

Questi sono solo alcuni degli aspetti critici che emergono dal nuovo trattato pandemico. Ma che cosa si può fare di fronte a questa ingerenza sovranazionale che imporrà arbitrariamente lockdown, campagne vaccinali, diffusione di strumenti di controllo come il green pass?

«È bene ricordare che l’Oms non è scesa dal cielo, è un’organizzazione di stati membri dove ognuno di essi ha un rappresentante pro quota, così come per tutte le altre organizzazioni internazionali. Io sono la prima a denunciare le cessioni di sovranità a queste organizzazioni, ma se accade tutto questo è con i singoli governi che dobbiamo prendercela».

Anche il Governo italiano? «Certo e credo che il Ministro della Salute Schillaci dovrebbe dire qualcosa per esercitare una sovranità che ancora c’è, ma se il Paese membro non la esercita e non esprime nessun parere contrario durante i lavori le cose sono due: o la accetta o ha già deciso di rigettare tutto quanto quando sarà il momento dell’approvazione finale. Non possiamo permetterci un esproprio dei cittadini».

Lo stesso esproprio dei diritti dei cittadini potrebbe verificarsi con il Regolamento internazionale della sanità. Le attuali proposte riducono i termini dei paesi membri per rigettare le modifiche e se non vengono rigettate diventano automaticamente valide. Dato che nel trattato del 2005 era previsto che gli emendamenti fossero trattati con questo sistema, ne consegue che accorciare questi termini toglie spazio e tempo ai Paesi per riflettere sugli emendamenti e le modifiche del 2022, che contengono, e questo è il problema, elementi che possono essere penalizzanti per gli stati.

«Neanche stavolta è stato coinvolto il Parlamento, ma neppure la Commissione. Le decisioni sono state prese dall’Oms, dove i rappresentanti degli Stati non hanno detto nulla. Noi come eurodeputati, abbiamo ritenuto necessario sollevare questo tema. Perciò, perché siano validi questi emendamenti, è necessario che l’Oms dimostri che è stata rispettata la procedura e che quindi sia stata decisa con la maggioranza dei voti presenti, ma l’organizzazione non ci ha mandato nessun elemento che comprovasse l’esistenza di questa maggioranza».

In sostanza, mancando le prove di voto la data di cui si è parlato del 30 novembre 2023 come termine perentorio per un suo rigetto, è da ritenersi invalida e pertanto quella revisione, completamente nulla.

6039.- I pericoli della riforma Meloni

Il mio commento

La riforma sostanzia un compromesso soddisfacente ma pericoloso. In parte, mi significa che la deriva dei partiti verso la leadership non è stata sufficiente a dare stabilità ai governi della Repubblica. Sicuramente il quinquennato potrà raggiungere meglio questo obiettivo. Bisognerà però che nei partiti – anche’essi, a cascata, divenuti leadership – si garantisca qualcosa di meglio del “metodo democratico”, modesta espressione con cui i padri costituenti (presieduti dal comunista on. Umberto Elia Terracini) intesero normare lo strumento di partecipazione dei cittadini alla vita politica della Nazione. Il partito comunista, ieri come oggi, mirava alla conquista (anche armata) della Repubblica operaia. Di fatto, mirava a sostituirsi al Partito Nazionale Fascista e una più attenta disciplina dei partiti politici lo avrebbe ostacolato. Oggi siamo maggioranza, ma tremo all’ipotesi di un presidente di sinistra, per 7+7 anni, insieme a premier eletti per 5 anni e, qui, sta il pericolo. A mio modestissimo parere, la vera riforma si avrà quando sarà ridefinita la figura e non solo i poteri, del Capo dello Stato, sopratutto la procedura per la sua messa in stato d’accusa in caso di devianza. Parole gravi, che traggono da un più grave accadimento e parlo di eversione, quale è stato lo scandalo C.S.M. non seguito dal suo scioglimento a’ sensi di legge: L. 24 marzo 1958, n. 195. É senza senso parlare ancora di divisione dei poteri, quindi di democrazia, a fronte della autodichiarazione di politicizzazione del C.S.M. già super partes, rilasciata da un suo membro di spicco e della confessione della avvenuta sua cooptazione da parte del suo presidente e Capo dello Stato, finalizzata a alterare il corso democratico della Repubblica. Quella che chiamai eversione rossa. Dio ce ne guardi.

Mario Donnini

L’intervista. Il costituzionalista Marini: il premierato non offusca né il Parlamento né il capo dello Stato

Da Il Secolo d’Italia del 2 novembre 2023 17:51 – di Vittoria Belmonte

Marini intervista

prof. Francesco Saverio Marini

Il consiglio dei ministro di domani discuterà e approverà l’attesa riforma costituzionale che introduce il premierato. La bozza del ddl che sta circolando in queste ore prevede dunque che il presidente del Consiglio sia eletto a suffragio universale e diretto, in unico turno, per la durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere avvengono tramite un’unica scheda elettorale.

Francesco Saverio Marini, docente di istituzioni di diritto pubblico all’Università Roma2, è uno dei giuristi che ha attivamente collaborato alla stesura della riforma costituzionale del governo Meloni. E si dice fermamente convinto che la riforma del premierato, così com’è congegnata, non altererà gli equilibri tra poteri garantiti dalla Costituzione.

Professor Marini, lei crede che l’atmosfera di scontro che si respira in questi mesi nella politica italiana possa ostacolare il processo di riforma che il governo Meloni intende intraprendere?  

Lo sforzo che si sta provando a fare è quello di trovare una soluzione che possa essere la più condivisa possibile. Prima della riforma gli incontri con le opposizioni hanno avuto proprio questo obiettivo. La consultazione di tutti i partiti aveva proprio lo scopo di cerare un clima diverso, non di scontro. Alla fine si è infatti scelto un modello che fosse quello più vicino alle proposte dell’opposizione e che sia allo stesso tempo utile ed efficace.

Secondo lei il premierato può alla pari del presidenzialismo garantire la stabilità del governo?

Quello della stabilità era l’obiettivo della riforma. I modelli da valutare erano diversi: c’è il presidenzialismo, c’è il semipresidenzialismo e c’è il premierato. Il governo ha ritenuto che il modello del premierato sia quello più efficace. Poi la palla passa al Parlamento.

Perché secondo lei ogni volta che si cerca di cambiare la Costituzione c’è una levata di scudi accompagnata da un allarmismo ingiustificato? 

Questa è una valutazione sociologica che non spetta a me fare. Certo questo è uno di quei temi che incide direttamente sulla vita dei partiti e mette in gioco la loro tradizione e la loro storia. Le forze politiche non hanno interesse a che la riforma la faccia il centrodestra. C’è una pregiudiziale in questo senso. Ma vorrei ricordare che per esempio Renzi si è detto favorevole al premierato e dunque non tutte le opposizioni si trincerano dietro il “no”.

Lei ritiene che il premierato possa oscurare la figura del presidente della Repubblica? 

Il premierato non oscura il Capo dello Stato i cui poteri restano intatti. E si tratta di poteri rilevanti e che continueranno ad esserlo anche dopo la riforma. Il ruolo del presidente della Repubblica è talmente rilevante da non avere bisogno della legittimazione diretta come nel caso di un premier che deve realizzare un indirizzo politico sulla base di una maggioranza. Il Capo dello Stato, che incide sugli organi apicali, ha un ruolo di garanzia che acquisisce un’importanza fondamentale dinanzi a un premier eletto direttamente.

Perché il premierato assicura una maggiore stabilità?

Perché la legittimazione democratica del premier lo rende più forte e indipendente rispetto ai parlamentari. In secondo luogo ricordiamo che la bozza di riforma prevede anche una legge elettorale maggioritaria che garantisce al premier eletto una maggioranza solida a livello parlamentare.

E’ reale il pericolo che il Parlamento venga esautorato? 

Si è cercato di evitare questo pericolo non prevedendo la clausola del simul stabunt simul cadent. C’è la possibilità di sostituire il presidente del consiglio con la scelta di una nuova maggioranza e di un nuovo premier da parte del Parlamento purché faccia parte della stessa maggioranza uscita dalle urne e purché sia vincolato al programma di governo votato dai cittadini.