Archivi categoria: Kurdistan

6083.- Le mire imperialiste di Tel Aviv, quelle di Ankara e le diaspore dei poveri: dei Curdi, degli Armeni, dei Palestinesi.

Il tradimento dei Kurdi e la doppia morale dell'Occidente ...

La guerra per la sopravvivenza del popolo Curdo.

Curdi, Armeni, Palestinesi sono popoli con un loro ordinamento giuridico e un loro territorio. Non sono gruppi etnici, tradizionalmente nomadi come, ad esempio, sono i Tuareg.

Refugees from Nagorno-Karabakh arrive in Kornidzor

La diaspora del Nagorno-Karabakh

Fuga dalla striscia di Gaza.

Lo scopo di questa guerra di Israele è lo Stato-Messia

Articolo dal blog di Sabino Paciolla, di Mattia Spanò, 20 Novembre 2023

Palestina
La Palestina nei disegni di Londra

Nella richiesta del governo israeliano alla “comunità internazionale” di accogliere tutti i palestinesi che – orwellianamente, annota ZeroHedge – “migrano volontariamente” c’è la rivelazione del piano: la scelta magnanima fra il genocidio e la deportazione. Scelta che prima o poi sarà imposta a tutti, dal momento che convivenza e fratellanza universale non sono semplici utopie, ma frescacce vere e proprie.

In sostanza la famigerata “comunità internazionale si dovrebbe accollare sia le persone – tre milioni – che i costi annessi. E lo dicono con una tranquillità macabra, come fosse la cosa più ovvia del mondo.

Qualche avvisaglia del progetto c’era stata a fine ottobre, quando Israele aveva proposto all’Egitto di accogliere i palestinesi in cambio di un taglio del debito estero. Si badi bene: taglio, non azzeramento. Gli egiziani brutti sporchi e cattivi hanno gentilmente declinato la generosa offerta.

Chi conosca bene la deriva che ha preso la trappola del debito pubblico ha subito compreso che si trattava di una truffa: ciò che ti sconto oggi te lo riaccollo domani quadruplicato, per mezzo dei soliti “aggiustamenti strutturali” delle “politiche monetarie”, sempre con lo spettro del regime-change. La notizia casomai è che il debito pubblico si può condonare, ma quasi nessuno ha riportato la vera notizia: il debito non è come il vento e la pioggia, si può condonare. Specie quando è creato ad arte con la truffa e l’inganno.

Non mi straccerò le vesti per la proposta israeliana. Certamente chiunque altro, in situazione analoga, avesse osato proporre qualcosa di anche solo lontanamente paragonabile sarebbe stato sepolto da contumelie, risate e soprattutto sanzioni.

Se lo fa Israele, no. Anzi: parliamone. Ma non è questo il punto. Anzi a mio avviso una ragione c’è, è più profonda e molto evidente. E che sia una ragione più che buona e più che solida lo certifica il fatto che non se ne parli.

Il punto è che l’esistenza stessa di Israele è storicamente un’operazione in vitro. È puro artificio. In un certo senso, Israele sta pretendendo qualcosa di fondato: avete creato voi il problema, adesso risolvetelo. È ovvio che parli in partibus infidelium, e quindi non siano loro a dover pagare il fio. Israele vincerà la guerra e in un modo o nell’altro ripulirà la Palestina dai palestinesi. Lo sta dicendo in forma talmente netta e chiara che a questo punto la sordità e l’assenza di comprendonio è tutta da parte nostra, instupiditi dal senso di colpa per il male commesso da altri.

Che poi Israele lo faccia per sfruttare i giacimenti di gas al largo di Gaza è la classica ciliegina sulla torta. Ma la vera partita è infinitamente più remunerativa, e molto poco ha a che fare con la storica querelle Israele-Palestina.

Il costo umano insomma sarà pagato con settant’anni di ritardo da chi il problema l’ha creato, riportando – o ri-deportando, se solo si potesse dire senza scandalizzare le anime belle – gli ebrei in una terra che avevano abbandonato duemila anni prima. Duemila anni, non duemila mesi o duemila giorni. L’impero romano è finito solo 1600 anni fa, ma provate voi a proporne la riedizione.

D’altra parte, privatizzare gli utili e socializzare le perdite è un vizio antico. Per avere un saggio di come le élite finanziarie strangolino Stati ed economie potenzialmente ricchissime, si guardi questa tanto breve quanto esatta analisi storica delle nove bancarotte subite dallo stato argentino nell’ultimo secolo.

Per tornare all’argomento è fuori dubbio che esista una specificità ebraica, ma essa non risiede tanto a mio avviso nell’aver subito l’ignominia della Shoah, quanto nel carattere messianico dello Stato nato dopo. Il Messia, secondo i sionisti, è Eretz Israel stesso.

Al potere non interessa nulla né degli ebrei, né men che meno degli israeliani, figuriamoci se gliene cale qualcosa del diritto di uno stato ad esistere o a difendersi. Sono tutti specchietti per allodole: la narrazione deve procedere spedita, monolitica e monografica.

E infatti si tace della formidabile opposizione interna allo Stato sionista, come si tace gli appelli alla pace congiunti di intellettuali israeliani e palestinesi. Né ha la minima rilevanza il fatto che sia stato anche l’esercito israeliano a sparare sui giovani al rave del 7 ottobre. La notizia la danno, per carità. Un po’ come annunciano lo stiramento alla coscia del terzino dell’Udinese che lo terrà lontano dal campo tre settimane.

La cartina di tornasole della sovrana incuranza rispetto all’identità ebraica è che se un ebreo come Moni Ovadia si permette di dissentire, viene trattato come un pazzo deliranteantisemita e quindi implicitamente filonazista,   e costretto a dimettersi, casomai avesse un lavoro e lo svolgesse egregiamente.

Il dato interessante è che gli stessi giornali che accusano gli altri di essere complottisti e negazionisti, quando si tratta di mettere a punto complotti e negazioni della realtà ben più bislacche ma organiche al potere, sono in prima linea.

Abbiano così i nazisti di Azov che leggono Kant e difendono i nostri valori, mentre un intellettuale ebreo con decenni di militanza pacifista alle spalle diventa di colpo un nazista che vorrebbe lo sterminio degli ebrei. Vero che anche nell’ ubriachezza possono aversi momenti di lucida consapevolezza – in vino veritas, si diceva un tempo – ma qui se ne abusa malamente.

La specificità di Israele è il fatto di essere, almeno in prospettiva, uno Stato-dio, cioè da una volontà superiore insindacabile. Dio non esisterebbe nell’alto dei cieli, ma sarebbe vivo e presente in mezzo a noi. Se lo Stato comanda che un’intera categoria di persone va debellata con qualsiasi mezzo, chi avrebbe la forza e le ragioni per opporsi?

In parallelo, l’élite si sta premurando di farci sapere che la “democrazia” non funziona più. Sono decenni che “tecnici” non eletti nemmeno in assemblea condominiale si occupano del nostro bene con una solerzia che ci ha ridotto tutti in mutande. La povertà, dice la Caritas, è diventata strutturale, eppure un numero non esiguo di persone impermeabili alle relazioni di causa-effetto continuano a rimpiangere Monti e Draghi.

Chi pensa che negli Stati Uniti se la passino molto meglio che a Napoli, si sbaglia di grosso. Certe persone se la passano meglio negli U.S.A., come certe persone se la passano molto bene a Bruxelles o a Ginevra, ma forse i Quartieri Spagnoli sono più civili e confortevoli di sobborghi di Los Angeles come Inglewood. Per tacere di Molenbeek a Bruxelles, o Stovner a Oslo.

Per vari gradi, e attraverso teorie politiche sempre più raffinate ma di un cinismo raccapricciante, si sono attratte le masse dentro gigantesche trappole concettuali. Una volta sancito lo Stato voluto da Dio come principio regolatore della vita umana – una vita umana sottoposta ad un controllo ferreo al quale è impossibile sottrarsi – ecco che si affaccia lo Stato-dio. L’Iran sarà anche una teocrazia, ma il tecno-stato scientista non mi pare tanto meglio.

Prima si sono sedotte le masse introducendo concetti come la razza, nel senso che un fatto banalmente somatico come avere la pelle nera o gli occhi a mandorla ha assunto un valore culturale, storico e politico.

Dopo di che, sempre restando nell’esempio fatto, si è introdotto il concetto di tolleranza e integrazione, posizioni intellettuali che si sono lentamente trasformate in obblighi.

Attirati i topi nel formaggio del pensiero mainstream, la trappola scatta. Nel caos generale, si profilano all’orizzonte entità super-statuali che devono però avere una connotazione soprannaturale per essere accettate da tutti. Utili idioti come gli attivisti di Ultima Generazione e Black Lives Matter, per tacere degli Lgbtq+ trovano spazi nel discorso pubblico impensabili per chiunque altro. Eppure, si tratta di minoranze nelle minoranze, molto ben foraggiate. Anche l’idealità si paga.

In questo e in molti altri sensi (si pensi alla teoria gender), l’Antico Testamento e la storia stessa del popolo ebraico, anche nella sua versione talmudica, tornano eccezionalmente utili.

Non pretendo di avere ragione in questa breve disamina. Mi limito ad osservare che si tratta di una possibilità, una coincidenza forse, o almeno un’intenzione nemmeno troppo nascosta.

Che poi si realizzi, è un altro discorso. Non lo farà, ma per un fatto semplice: Dio esiste e non ci permette di fare il Suo lavoro. Soprattutto non si fa prendere in giro da quattro pagliacci che non sanno come spendere la cellulosa e il cotone che hanno accumulato nelle banche.

Non mi faccio illusioni: non ci sarà nessun risveglio, ma un colossale e certosino lavoro culturale e politico. Porta a porta, casa per casa, un uomo alla volta.


Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni del responsabile di questo blog. I contributi pubblicati su questo blog hanno il solo scopo di alimentare un civile e amichevole confronto volto ad approfondire la realtà.

Chi siamo. Quanto contiamo.

Tanto poco noi contiamo che fanno passare quest’uomo per il nostro leader.

5985.- I falchi usano le violenze a Gaza come pretesto per una guerra con l’Iran

Prima le guerre contro contro la Siria, il Libano, la Palestina, la Cisgiordania, poi una guerra contro la Federazione Russa, ora, una contro Israele, poi, ne vedremo un’altra contro l’Iran e contro gli arabi; aggiungete la corsa all’impero dei turchi contro i curdi e dei turchi e dell’Azerbajian contro gli armeni e avrete davanti agli occhi il quadro di instabilità che si frapporrà fra la Cina e l’Occidente. Un percorso studiato e attuato in ben più di dieci anni. Non era questo il cammino tracciato da Donald Trump.

Tradotto e pubblicato da Sabino Paciolla il 15 Ottobre 2023:

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Ted Galen Carpenter e pubblicato su AntiWar. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella mia traduzione. 

Attacco di Hamas A Israele -Foto-ANSA
Attacco di Hamas A Israele -Foto-ANSA

La risposta degli Stati Uniti all’ondata di violenza tra palestinesi e israeliani non riserva alcuna sorpresa. Il consueto contingente bipartisan di personalità favorevoli alla guerra nell’arena politica, nella comunità politica e nei media corporate ha presentato fin dall’inizio una narrazione prevedibile che è diventata rapidamente dominante. I sostenitori hanno ripetuto cliché familiari che ritraevano una lotta complessa come una cruda commedia morale con solo vittime innocenti da una parte e mostruosi cattivi dall’altra. Tipicamente, il Presidente Biden ha etichettato gli attacchi di Hamas come “puro e semplice male”.

Questa “logica” porta alla conclusione ineluttabile che gli Stati Uniti devono sostenere Israele con entusiasmo e senza riserve. Il New York Times ha stabilito il tono in un editoriale del 9 ottobre 2023. I membri del comitato editoriale hanno affermato che “il presidente Biden ha ragione a esprimere il pieno sostegno dell’America a Israele in questo momento doloroso. Gli Stati Uniti, come suo più stretto alleato, hanno un ruolo cruciale da svolgere”.

È lo stesso copione che le élite americane favorevoli alla guerra hanno usato per i conflitti in Bosnia e Kosovo, per le due guerre con l’Iraq e per la disastrosa ingerenza degli Stati Uniti e dei loro alleati in Libia, Siria e Ucraina. Il motivo è sempre lo stesso: suscitare nell’opinione pubblica il sostegno al cliente che il governo statunitense sostiene e l’odio viscerale per l’”aggressore”. Questo tipo di immagini è anche progettato per creare un sentimento a favore di un possibile intervento militare diretto degli Stati Uniti.

Due temi dominanti sono emersi dall’ultima offensiva propagandistica. Uno è che i palestinesi sono interamente responsabili dello spargimento di sangue. Certo, Hamas contiene elementi terroristici di cattivo gusto. Alcune delle tattiche dell’organizzazione nella nuova offensiva (in particolare la presa di ostaggi civili e le notizie credibili di omicidi raccapriccianti) sono riprovevoli. Tuttavia, i sostenitori di Israele in Occidente non sono disposti ad ammettere che il terribile comportamento del Paese nei confronti dei palestinesi (soprattutto a Gaza) ha contribuito all’ultima esplosione di violenza. I sostenitori dei diritti umani hanno giustamente descritto Gaza come la più grande prigione a cielo aperto del mondo.

Severe sanzioni internazionali (e forse un intervento militare multilaterale) si sarebbero verificate molto tempo fa, se un Paese non così favorito da Washington avesse trattato una minoranza etnica o religiosa nel modo in cui l’IDF (la forza di difesa israeliana), la polizia e altro personale di sicurezza trattano abitualmente i palestinesi sia a Gaza che nella Cisgiordania occupata. Tuttavia, i membri della brigata di propaganda dei falchi americani non ammettono alcuna di queste imbarazzanti e sgradevoli prove. Invece, attribuiscono l’ultima ondata di violenza interamente ai “terroristi” di Hamas e invocano una risposta militare israeliana draconiana che sfiorerebbe il crimine di guerra.

L’altro tema narrativo, sempre più visibile, è che l’Iran, utilizzando i suoi proxy Hezbollah in Libano, ha fatto da padrino ispiratore e logistico per l’ultima offensiva di Hamas. In effetti, la polvere dell’attacco iniziale di Hamas si era appena depositata quando i redattori del Wall Street Journal hanno pubblicato un articolo di alto profilo in cui si sosteneva che l’Iran fosse il vero responsabile dell’assalto. La narrazione non è stata aiutata, tuttavia, quando il governo israeliano ha rilasciato una dichiarazione in cui ammetteva che non c’erano prove credibili del coinvolgimento di Teheran.

Un dettaglio così scomodo non ha dissuaso i falchi americani dal continuare a sostenere questa tesi. Il senatore Lindsey Graham (R-SC) e l’ex ambasciatore americano alle Nazioni Unite Nikki Haley, candidata alla nomination presidenziale del GOP nel 2024, sono stati particolarmente espliciti. Non è una coincidenza che molti dei sostenitori di un’azione militare contro l’Iran in questo caso siano gli stessi neoconservatori che per anni hanno desiderato ardentemente una guerra degli Stati Uniti contro quel Paese. In effetti, alcuni di loro sono stati coinvolti nella disonesta campagna per incolpare l’Iraq di un presunto coinvolgimento negli attacchi terroristici dell’11 settembre – un’affermazione che è stata completamente smentita. Sfortunatamente, questo sforzo lobbistico ha avuto fin troppo successo e ha spianato la strada all’invasione dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti nel 2003 per rovesciare Saddam Hussein, scatenando il caos in tutto il Grande Medio Oriente. Questi falchi stanno cercando di convincere l’amministrazione Biden a percorrere una strada simile nei confronti dell’Iran.

Non dobbiamo permettere che si ripeta lo stesso sanguinoso scenario. Teheran fornisce sostegno ad Hamas, come componente di una strategia volta a minare l’egemonia già vacillante di Washington nella regione. Tuttavia, è pericolosamente semplicistico attribuire l’ultima ondata di violenza alle macchinazioni iraniane. Eppure i politici statunitensi sembrano muoversi in questa direzione. L’8 ottobre 2023, l’amministrazione Biden ha schierato un gruppo di portaerei nel Mediterraneo orientale come segnale enfatico di sostegno a Israele. L’Iran era l’unico obiettivo plausibile per questa dimostrazione di forza; Hamas non ha né una forza aerea né una marina.

Gli Stati Uniti devono porre fine alla loro rozza solidarietà con Israele. È triste che il Segretario di Stato senta il bisogno di cancellare un blando tweet che chiede semplicemente un cessate il fuoco nel conflitto tra Israele e Hamas. Nel suo Discorso d’addio, il Presidente George Washington ammoniva i suoi concittadini che “una nazione che nutre verso un’altra un odio abituale o un’affezione abituale è in qualche misura schiava. È schiava della sua animosità o del suo affetto, l’uno o l’altro dei quali è sufficiente a farla deviare dal suo dovere e dal suo interesse”. Un monito preveggente che si applica con particolare intensità alla politica statunitense nei confronti di Israele. Troppi opinionisti americani si comportano come se Israele fosse parte integrante degli Stati Uniti piuttosto che un Paese straniero con i propri pregiudizi, interessi e programmi.

In particolare, i funzionari dell’amministrazione devono porre fine a qualsiasi flirt con l’idea di attaccare l’Iran come risposta alla violenza tra israeliani e palestinesi. Avventurarsi su questa strada porterà solo a una maggiore tragedia per tutti gli interessati. L’ultima cosa di cui l’America ha bisogno è di lanciare un’altra guerra sanguinosa, debilitante e non vincibile.

Ted Galen Carpenter, senior fellow del Randolph Bourne Institute e senior fellow del Libertarian Institute.

5962.- L’attacco a Israele non ferma Erdogan contro i curdi

Senza dimenticare gli armeni, Erdogan profitta della guerra in Palestina per colpire i curdi. In Turchia i cittadini sono scesi in strada a festeggiare l’attacco di Hamas contro Israele.

Da Formiche.net, di Emanuele Rossi | 09/10/2023 – 

L’attacco a Israele non ferma Erdogan contro i curdi

Per Bakir (Acus), la Turchia non fermerà gli attacchi contro i curdi finché non lo riterrà necessario. Il rischio è una ulteriore destabilizzazione regionale, oltre che al costo umano dei bombardamenti di Erdogan. Tutto mentre Israele lancia la controffensiva su Gaza

Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, scrive su Twitter di aver parlato con il suo omologo turco, il ministro degli Esteri Hakan Fidan, e di averlo coinvolto nel tentativo di convincere Hamas – colpevole di un brutale assalto contro Israele, sabato 7 ottobre  – a rilasciare i civili catturati. Blinken aggiunge anche di aver “incoraggiato la difesa della Türkiye per un cessate il fuoco”.

L’ambiguità su Israele e Palestina

La Turchia (o Türkiye, col nome nazionalista voluto dalla presidenza Erdogan che Blinken usa per evitare “Turkey”, che in inglese significa anche “tacchino” e che non è mai piaciuto ai turchi) ha seguito l’impostazione del mondo arabo. Ankara non ne è parte, ma lo marca con attenzione per via del ruolo che vorrebbe avere all’interno della sfera islamica. Nelle dichiarazioni ufficiali, il governo turco ha chiesto di evitare la de-escalation, senza sposare apertamente la posizione israeliana – nonostante con Israele sia da tempo in piedi una nuova fase delle relazioni, basata sulla condivisione di intelligence in ottica contro-terrorismo (anche a tema “Iran”, convitato di pietra dietro all’attacco di Hamas, perché i terroristi palestinesi da tempo ricevono fondi, armi, addestramento e in qualche modo coordinamento da parte dei Pasdaran).

“Aggiungere benzina sul fuoco non gioverà a nessuno, soprattutto ai civili di entrambe le parti”, ha detto Recep Tayyp Erdogan. Ma la Turchia è uno di quei Paesi in cui i cittadini sono scesi in strada per festeggiare l’azione palestinese contro Israele. Erdogan ha sempre tenuto una posizione di totale, aperto sostegno alla causa palestinese, e ha anche permesso contatti più o meno pubblici con le fazioni più radicali, come Hamas. Al punto che su X, Jonathan Schanzer del neocon FDD ed ex analista del Tesoro, replica a Blinken scrivendo: “Hakan Fidan era il capo dell’intelligence che presiedette alla creazione di un quartier generale di Hamas in Turchia, il quale includeva un comandante terrorista attivo che dirigeva gli attacchi in Cisgiordania, Saleh al-Arouri”.

Se quella di Schanzer è una dichiarazione parte di un campagna che dura da tempo — per criticare i collegamenti turchi con Hamas, che ha anche prodotto lo scarrellamento del gruppo verso l’Iran — quella turca è una posizione strategicamente ambigua. Ankara la usa come leva con Israele e non solo. Più recentemente, l’appoggio alle istanze della Palestina serve infatti a differenziare la linea da quella di altri Paesi – come gli Emirati Arabi Uniti, l’Egitto o l’Arabia Saudita – che hanno avviato forme di dialogo con gli israeliani le quali, secondo la narrazione turca (e non solo) hanno abbandonato le istanze della Palestina. Non a caso, anche in questi giorni è tornato a sollevare la soluzione a due stati come unica forma di sistemare la questione palestinese che è alla base “di tutti problemi della nostra regione.

Erdogan si trova ad affrontare la vicenda in un momento particolare, perché ciò che è accaduto nei territori israeliani attorno a Gaza avviane mentre la Turchia è lanciata in una nuova offensiva contro i curdi. Una sovrapposizione di questioni annose – sebbene Erdogan non sembri voler adottare la stessa apertura che riguardo alla Palestina quando si tratta delle beghe territoriali al sud del suo Paese, o appena oltre confine in Siria.

Le operazioni contro i curdi

“La Turchia continuerà a contrastare il terrorismo di Pkk e Ypg (i curdi turchi e siriani, ndr) in diverse forme, compresa l’opzione militare”, spiega Ali Bakeer, senior fellow dell’Atlantic Council. “L’obiettivo finale — continua con Formiche.net — è impedire alle milizie curde di lanciare attacchi terroristici transfrontalieri e tagliare la strada ai tentativi di creare uno Stato curdo de factoguidato dall’Ypg nel nord della Siria, ai confini meridionali turchi”.

Per l’esperto del think tank statunitense, finché i gruppi combattenti curdi continueranno a ricevere denaro e armi, poi utilizzate contro la Turchia, Ankara sarà “determinata ad aumentare la pressione sull’organizzazione terroristica al di fuori dei confini turchi”. Nella ultima dichiarazione di Fidan, ora ministro degli Esteri un tempo capo dell’intelligence e uomo fidatissimo del presidente Erdogan, ha avvertito coloro che sostengono l’Ypg di stare lontani dal gruppo (che per la Turchia è una entità terroristica) per evitare il rischio di essere colpiti. “È una vetrina” delle intenzioni del governo turco, spiega Bakir.

Il messaggio è chiaro, rivolto anche a un alleato in particolare, che ha collegamenti stretti con i curdi: gli Stati Uniti, che con una scelta detestata da Ankara hanno elevato le milizie siriane a partner nella lotta al terrorismo — un riconoscimento che i curdi hanno usato anche come fattore di riconoscimento delle loro istanze indipendentiste sull’agognato stato del Rojava.

In un recente sviluppo, le tensioni tra Turchia e Stati Uniti sono aumentate dopo l’abbattimento di un drone turco da parte delle forze statunitensi in Siria. Il Pentagono ha spiegato che l’azione si era resa necessaria perché il velivolo stava bombardando postazioni curde a meno di 500 metri di distanza da dove erano acquartierate alcune unità delle forze speciali statunitensi (in Siria per presenza territoriale e per proseguire le attività contro le spurie baghdadiste). I funzionari di Ankara da parte loro hanno chiarito che non si tireranno indietro nella lotta contro i gruppi terroristici, indipendentemente dalle sfide che dovranno affrontare.

Fahrettin Altun, direttore delle comunicazioni della presidenza turca, ha sottolineato l’impegno incessante per sradicare il terrorismo dalle regioni settentrionali della Siria e dell’Iraq. Altun ha criticato l’approccio di combattere un gruppo terroristico con un altro e ha esortato Washington a riconsiderare il suo sostegno ai gruppi curdi. Ha descritto l’aiuto a tali organizzazioni come “una vera e propria tremenda stupidità”.

Il contesto

La questione curda e la determinazione — operativa e narrativa — turca arriva in risposta a un recente attentato ad Ankara, rivendicato dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk).

L’abbattimento del drone turco ha segnato un incidente significativo, in quanto è stato il primo conflitto armato tra alleati della Nato in Siria e la prima volta nella storia della Nato che un alleato ha abbattuto un veicolo aereo senza pilota di un altro. Nonostante la confusione iniziale sulla proprietà del drone, legata probabilmente anche all’imbarazzo sul come gestire la situazione, alla fine la Turchia ha riconosciuto che apparteneva a loro.

La vicenda è indicativa di come Ankara sia determinata a procedere con la campagna anti-curda, nonostante, anche prima dello scontro aereo, dagli Usa erano arrivate indicazioni sul rallentare ed evitare escalation. Escalation che visto il delicatissimo quadro israelo-palestinese aggraverebbe il contesto regionale. La Turchia invece, anche approfittando degli occhi del mondo puntati su Israele, ha continuato con gli attacchi aerei nel nord-est della Siria, prendendo di mira pozzi petroliferi e infrastrutture energetiche gestite da gruppi curdi siriani, anche come contro-messaggio verso gli alleati americani.

Ci sono state diverse vittime civili e interruzioni di servizi base, tra cui la perdita di acqua ed elettricità nel campo di al-Roj, dove sono detenute le famiglie di sospetti combattenti dello Stato Islamico. Potenzialmente potrebbero innescare situazioni ancora più problematiche per la sicurezza regionale se quei prigionieri dovessero essere in qualche modo costretti o portati a dover lasciare il campo di detenzione. Un riflesso su Israele diretto, che riflette delle destabilizzazioni interne al dossier siriano, e teme infiltrazioni baghadiste tra il proselitismo palestinese.

3802.-I militanti delle SDF, sostenuti dagli Stati Uniti, rubano 140.000 barili al giorno di petrolio siriano ad Hasakah: rapporto

News Desk by News Desk 2021-02-22 in Syria

TEHRAN (FNA)-

I militanti delle forze democratiche siriane (SDF), sostenute da Washington, rubano ogni giorno 140.000 barili di greggio dai giacimenti petroliferi nella provincia nord-orientale di Hasakah, in Siria, secondo un rapporto.

Ghassan Halim Khalil, governatore di Hasakah, ha annunciato la triste notizia in un’intervista al quotidiano libanese al-Akhbar sabato, aggiungendo che i militanti delle SDF stanno saccheggiando il petrolio siriano in vari modi, il tutto con la partecipazione e il sostegno delle forze americane schierate nel regione.
Ha sottolineato che le informazioni precise raccolte e ricevute mostrano che i militanti sostenuti dagli Stati Uniti utilizzano camion cisterna dell’area di Taramish nel Tigri e al-Malikiyah per contrabbandare il petrolio siriano nel vicino Iraq.

Khalil ha inoltre osservato che molte autocisterne passano ogni giorno attraverso l’attraversamento illegale di al-Mahmoudiyah in Iraq, aggiungendo che i militanti delle SDF inviano regolarmente anche montagne di petrolio rubato nelle loro aree controllate in Siria.
Il governatore siriano ha anche rivelato che le forze Usa avevano ordinato ai militanti delle SDF di non consentire alle aree controllate da Damasco di ricevere petrolio.

Khalil ha detto che mentre il popolo siriano soffre il freddo e la fame, questi militanti sostenuti dagli Stati Uniti saccheggiano le risorse petrolifere nazionali della Siria.
Il saccheggio del petrolio siriano da parte degli Stati Uniti è stato confermato per la prima volta durante uno scambio di audizioni al Senato tra il senatore repubblicano della Carolina del Sud Lindsey Graham e l’allora segretario di Stato americano Mike Pompeo lo scorso luglio.

Durante la sua testimonianza al Comitato per le relazioni estere del Senato, Pompeo ha confermato per la prima volta che una compagnia petrolifera americana inizierebbe a lavorare nella Siria nord-orientale, controllata dalle SDF, che è un’alleanza di militanti curdi che operano contro Damasco e che attualmente controlla le aree della Siria settentrionale e orientale.

Il governo siriano all’epoca ha denunciato con la massima fermezza l’accordo siglato per saccheggiare le risorse naturali del Paese, inclusi petrolio e gas siriani, con il patrocinio e il sostegno dell’amministrazione dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Dalla fine di ottobre 2019, gli Stati Uniti hanno ridistribuito i soldati nei giacimenti petroliferi controllati dalle SDF nella Siria orientale in un’inversione del precedente ordine di Trump di ritirare tutte le truppe dal paese dilaniato dalla guerra.
Il Pentagono afferma che la mossa mira a “proteggere” i campi e le strutture da possibili attacchi dei terroristi Takfiri Daesh (noto anche come ISIL o ISIS).
Allo stesso tempo, Trump ha notoriamente affermato che gli Stati Uniti cercano interessi economici nel controllo dei giacimenti petroliferi.
Una coalizione militare guidata dagli Stati Uniti ha martellato quelle che affermava essere le posizioni di Daesh all’interno della Siria dal settembre 2014 senza alcuna autorizzazione da parte del governo di Damasco o un mandato delle Nazioni Unite. In molte occasioni, gli attacchi hanno provocato vittime civili e non hanno rispettato obiettivo della lotta al terrorismo.

2930.- L’esercito arabo-siriano ha il controllo dell’autostrada M-5 Aleppo-Damasco

I siriani in pieno controllo dell’autostrada Aleppo-Damasco, per la prima volta dopo 8 anni. Malgrado tutto l’appoggio, anche aereo, le armi, i mezzi corazzati forniti dalla Turchia, i jihadisti e i mercenari turchi cedono il passo all’esercito arabo-siriano. I turchi non riescono a fermare l’esercito arabo-siriano.

2020-02-12

L’esercito arabo siriano (SAA) ha ufficialmente il pieno controllo dell’autostrada Aleppo-Damasco (M-5) dopo otto anni di battaglia.
L’esercito siriano ha dichiarato di aver catturato gli ultimi punti lungo l’autostrada martedì sera, quando le loro forze hanno preso il controllo della città strategica di Khan Al-“Assal e del vicino settore Rashiddeen 4 nel sud-ovest di Aleppo.
Secondo l’esercito siriano, le loro forze furono in grado di ottenere questa vittoria imperativa dopo aver conquistato diversi importanti siti nell’Idlib orientale, tra cui le città di Saraqib e Ma’arat Al-Nu’man.
Mentre l’autostrada Aleppo-Damasco è sotto il loro controllo, la strada non sarà probabilmente riaperta al pubblico fino a quando l’esercito siriano non spingerà a ovest verso il confine turco.

La ragione di ciò è dovuta al fatto che i ribelli jihadisti di Hay’at Tahrir Al-Sham (HTS) e i loro alleati del Fronte di liberazione nazionale sostenuto dalla Turchia (NLF) mantengono ancora una presenza lungo la parte occidentale dell’Aleppo- Autostrada di Damasco.
Inoltre, vi sono ancora serie preoccupazioni su una potenziale offensiva militare turca su vasta scala per recuperare le aree perse dai ribelli jihadisti nelle ultime settimane.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha già promesso di lanciare un’operazione per riconquistare le aree intorno ai loro posti di osservazione, ma non è ancora chiaro se lo faranno, poiché Ankara e Mosca stanno pianificando di affrontare la situazione a Idlib.

Un nuovo video mostra l’esercito siriano nel settore strategico di Aleppo per la prima volta dopo 8 anni

2020-02-12

L’esercito arabo siriano (SAA) ha segnato un importante progresso martedì nel Governatorato di Aleppo, poiché le loro forze hanno preso il controllo di due siti imperativi dai ribelli jihadisti di Hay’at Tahrir Al-Sham (HTS).
Sostenuto da attacchi aerei russi, l’Esercito arabo siriano è riuscito a prendere il controllo del settore Rashiddeen 4 e la città chiave di Khan Al-‘Assal dopo essersi rapidamente spostato a nord lungo l’autostrada Aleppo-Damasco (M-5) martedì sera.
Questo avanzamento su larga scala dell’esercito arabo siriano è stato incredibilmente importante per le loro forze in quanto ha dato loro il pieno controllo dell’autostrada Aleppo-Damasco per la prima volta in diversi anni.
Inoltre, la cattura di Khan Al-“Assal è stata una vittoria emotiva per le forze armate siriane, in quanto è stata la scena di uno dei primi crimini all’interno del Governatorato di Aleppo.
Nel luglio 2013, le forze militanti, guidate dall’Esercito siriano libero (FSA) e Jabhat Al-Nusra, hanno giustiziato diversi soldati siriani all’interno di Khan Al-“Assal dopo aver preso il controllo della città.

Il video seguente è delle truppe dell’esercito siriano dopo che hanno preso il controllo di Rashiddeen 4 e Khan Al-“Assal

L’esercito turco appoggia i terroristi e colpisce l’esercito siriano nel Sud-Ovest di Aleppo

2020-02-12

Le forze armate turche hanno colpito le posizioni dell’Esercito arabo siriano (SAA) nel sud-ovest di Aleppo questo pomeriggio, a seguito di un nuovo avanzamento da parte di quest’ultima a ovest dell’autostrada Aleppo-Damasco (M-5).
Secondo quanto riferito, i militari turchi hanno pesantemente bombardato le posizioni dell’esercito siriano nella città recentemente catturata di Kafr Halab, spingendo le truppe SAA a cercare copertura dall’artiglieria.
Non sono state ancora riportate vittime.

Allo stesso tempo, secondo quanto riferito, nuovi scontri tra l’esercito arabo siriano e i ribelli jihadisti stanno avvenendo a ovest di Kafr Halab, poiché questi tentano di rivendicare i territori persi.
Quest’ultimo attacco arriva poche ore dopo che l’esercito arabo siriano ha catturato tre città nella campagna sudoccidentale di Aleppo.

I residenti della città siriana di Khirbat Amo aprono il fuoco su una pattuglia americana: video

2020-02-12

Khirbet Amo sud di Qamishli nel nordest siriano

Un nuovo video dalla campagna di Al-Qamishli è stato rilasciato questo pomeriggio a seguito di una scaramuccia tra le forze armate statunitensi e i residenti di Khirbat Amo.
Secondo un primo rapporto del Governatorato di Al-Hasakah, i residenti di Khirbat Amo hanno tentato di bloccare le forze armate statunitensi dalla violazione di un checkpoint appartenente alle forze di difesa nazionali (NDF) nella campagna meridionale di Al-Qamishli.
Come risultato di questa opposizione, due veicoli militari statunitensi dovevano essere rimorchiati fuori dalla zona dopo essere stati colpiti.


L’incidente ha anche provocato false notizie di attacchi aerei, che sarebbero stati condotti dalla coalizione degli Stati Uniti sulle posizioni dei militari siriani a Khirbat Amo mercoledì.
L’agenzia di stampa araba siriana (SANA) ha detto che almeno un residente di Khirbat Amo è stato ferito durante il breve scambio.
Il portavoce della Coalizione degli Stati Uniti in seguito ha riferito che un soldato americano ha subito una ferita superficiale e gli è stato permesso di tornare in servizio attivo a seguito dell’incidente.

Le truppe americane, entrate illegalmente con l’aiuto dei curdi nel Nord Est siriano sono considerate Forze d’Occupazione con l’unico obbiettivo di sottrarre le risorse energetiche al popolo siriano per mettere in ginocchio il suo regime.
Di seguito è riportato il video dello scambio di spari di Khirbat Amo mercoledì

Il ministero della Difesa russo ha rilasciato una dichiarazione che conferma che Faisal Khalid Muhammad, di 14 anni, è stato ucciso nell’incidente, oltre a due feriti.

Stando alle ultime notizie diffuse Da OIRmedia e da Avia pro, a Khirbat Amo “I curdi hanno interdetto il passaggio i militari americani, al che, questi hanno aperto un fuoco indiscriminato, uccidendo un quattordicenne che non  li stava attaccando, ma scappava. I curdi hanno reagito di conseguenza, sparando e ferendo almeno tre soldati americani, disarmandoli e impadronendosi dei due  mezzi da trasporto blindati”, sui quali hanno alzato la bandiera curda.

Una umiliazione senza precedenti.

Sono gli stessi curdi che gli americani hanno protetto, armato e  sostenuto mediaticamente contro Assad, facendo balenare la creazione di uno staterello indipendente (il Royava dalle belle guerrigliere), e che poi hanno abbandonato – adesso – alle rudi cure di Erdogan.

Circa un migliaio di americani abbandonò i curdi siriani per ordine di Trump, lasciando la regione fra lanci di sassi e insulti, per poi occupare le stazioni di pompaggio del petrolio siriano. I proventi di questo petrolio fruttano oltre 30 milioni di dollari al mese; vengono parzialmente impiegati per sostenere le spese del contingente USA e, in gran parte, finanziano i presunti ribelli anti-Assad (jihadisti di varie nazionalità, per lo più non siriani. Il petrolio siriano trafugato viaggia su autocisterne, diretto attraverso la cittadina di Jarablus ed Erbil nel nord dell’Iraq verso la Turchia.

Nel filmato che segue  si vede uno degli abitanti che strappa la bandiera americana da uno dei veicoli, sfidando le Forze d’Occupazione Americana urla in faccia loro : Cosa volete! Cosa ci fate qui, nel nostro paese?


Naman Tarcha نعمان طرشه
@NamanTarcha

#Siria🇸🇾 “Cosa ci fate nel nostro Paese?”
Uno degli abitanti strappa la bandiera Usa e sfidando le Forze d’Occupazione Americana urla in faccia loro : Cosa volete! Cosa ci fate qui?
Khirbet Amo sud di Qamishli nel nordest siriano
#OccupazioneUsa #ladridipetrolio

2765.- Chi sono i mercenari combattenti del proxy turchi in Siria? Elizabeth Tsurkov

Membri dell’esercito nazionale siriano che partecipano all’operazione turca Peace Spring, posano per una foto nel centro della città del distretto di Ras Al-Ayn in Siria dopo che è stata liberata dal “gruppo terroristico” del PKK e dalla milizia curda siriana YPG, che la Turchia considera anch’essa un gruppo terroristico, il 13 ottobre 2019. (Foto di Muhammed Nur / Anadolu Agency via Getty Images)distretto di Ras al-Ayn, Siria settentrionale, 13 ottobre 2019

Una piccola bandiera turca era in piedi sulla scrivania degli uffici della fazione sostenuta dalla Turchia in una zona residenziale di lanlıurfa, nel sud della Turchia. Gli uomini nella stanza, la maggior parte dei quali veterani combattenti della Siria orientale, mi stavano aspettando e fecero del loro meglio per individuare una bandiera rivoluzionaria siriana in tempo per il nostro incontro nell’estate del 2019. Non riuscirono a trovarne uno. Tutto ciò che riguarda l’incontro, la sua posizione, l’arredamento e il contenuto, mi ha indicato che gli uomini nella stanza non erano i responsabili. Speravano presto di lanciare un’offensiva sulla Siria nord-orientale, ma non avevano idea di quando i veri decisori, i funzionari turchi, avrebbero dato loro i loro ordini di marcia.

La creazione dell’esercito siriano libero (TFSA) sostenuto dalla Turchia, noto anche come esercito nazionale siriano (SNA), è stato il risultato di un cambiamento strategico nella posizione della Turchia in Siria. Nei primi anni della guerra civile, la Turchia mirava a rimuovere Assad dal potere. In seguito all’intervento diretto della Russia nella guerra, nel settembre 2015, l’equilibrio di potere si è decisamente spostato a favore del regime di Assad. La Turchia ha quindi adeguato le sue ambizioni per far avanzare un insieme più ristretto di interessi. In cima alle priorità di Ankara c’era l’obiettivo di impedire l’ingresso di ulteriori rifugiati siriani e il desiderio di combattere le Unità di protezione del popolo curdo (YPG), la componente principale delle forze democratiche siriane, un ombrello che include anche milizie arabe e siriache. L’YPG è un ramo siriano del movimento armato ispirato agli insegnamenti del leader curdo imprigionato Abdullah Öcalan che ha intrapreso una sanguinosa insurrezione contro la Turchia dagli anni ’80. Poiché l’SDF ha lavorato a stretto contatto con le forze armate statunitensi nella campagna contro l’ISIS in Siria, Ankara ha osservato con crescente preoccupazione mentre la milizia a guida curda ha acquisito il controllo su ampie aree di quel paese.

Già, nell’agosto 2016, la Turchia aveva deciso di agire per impedire all’SDF di collegare due enclavi sotto il suo controllo, Efrîn e Manbij nell’entroterra di Aleppo, e di espellere le rimanenti sacche di combattenti dell’ISIS da questa regione di confine. Quell’operazione, nome in codice Euphrates Shield, fu la prima in cui la Turchia dispiegò fazioni che sarebbero diventate l’esercito nazionale siriano come forza di supporto a fianco dell’esercito turco. Una seconda operazione all’inizio del 2018, denominata Olive Branch, ha usato queste fazioni per espellere le forze YPG da Efrîn e portarle sotto il controllo della Turchia e delle sue fazioni siriane. L’ultima operazione, chiamata — apparentemente senza ironia — Peace Spring, è stata avviata dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato il ritiro delle forze statunitensi di stanza vicino al confine tra Siria e Turchia che avevano lavorato con l’SDF. La Turchia ha cercato di capitalizzare la perdita di protezione americana da parte dell’YPG avviando un’operazione per cacciarla dalla Siria nord-orientale.

Dopo l’inizio dell’invasione guidata dalla Turchia, queste milizie sostenute dalla Turchia hanno rapidamente acquisito notorietà dopo che i loro membri sono stati ripresi in una serie di video che mostravano loro cantare slogan estremisti e portare a termine esecuzioni sul campo. Un funzionario americano li ha etichettati come “criminali e banditi”. L’ultima operazione turca ha costretto la leadership dell’SDF ad invitare le forze del regime siriano in vaste aree della Siria nord-orientale. Quindi questi combattenti, che si presentano come rivoluzionari che combattono il regime, hanno aiutato Assad a riconquistare un punto d’appoggio in un vasto territorio senza sparare un solo proiettile.

Ma chi sono esattamente i circa 35.000 uomini siriani che combattono per conto della Turchia in Siria? Ho mantenuto contatti regolari con alcuni di questi combattenti sin dal 2014. La maggior parte sono arabi sunniti, sfollati dalle loro case nel corso della guerra. Interviste multiple che ho condotto telefonicamente, di messaggistica istantanea e faccia a faccia in Turchia con questi combattenti dal 2014 rivelano che si tratta di un gruppo eterogeneo di uomini spesso traumatizzati e impoveriti che si sentono spinti a combattere per conto della Turchia per guadagno finanziario. Alcuni di questi combattenti si uniscono alle fazioni per derubare e saccheggiare, ma quelli che non avevano quel motivo si rendono sempre più conto che gli interessi della Turchia non si allineano con le loro speranze di rovesciare il regime di Assad, mentre Ankara segnala la sua volontà di cooperare con il regime di Assad. Individui come questo, ho scoperto, lottano per razionalizzare e giustificare – a se stessi e alle loro comunità – le loro azioni e affiliazioni con queste fazioni, che sono molto disprezzate dai compagni siriani, in particolare dai civili che vivono sotto il loro dominio.

“Tutte le decisioni, grandi e piccole, nell ‘” Esercito Nazionale “sono prese dalla sala operativa gestita dai servizi segreti turchi”, ha confermato Mazen, un ribelle veterano di Rastan, nella campagna settentrionale di Homs, che ora combatteva nelle file del Fronte Levante , un’altra fazione di SNA. Stava facendo eco a tutti i miei intervistati nell’ammettere che il processo decisionale era nelle mani degli stessi comandanti siriani. Mazen è stato addestrato da personale militare turco in Turchia e Siria.

I decisori

Fatta eccezione per alcune scaramucce, le fazioni sostenute dalla Turchia non hanno combattuto il regime di Assad. Tutte e tre le operazioni condotte dalla Turchia riguardavano accordi di “conflitto” con la Russia (e, per estensione, il regime di Assad) prima che iniziassero. Questi accordi continuano: le aree sotto il controllo dell’SNA non vengono bombardate dal regime di Assad o dalla Russia, a differenza delle aree detenute dai ribelli. Mentre i confini di Aleppo settentrionale detenuti dall’SNA sul territorio detenuto dal regime, la forza sostenuta dalla Turchia non ha lanciato alcuna offensiva autorizzata contro il regime e le linee di fronte sono state statiche.

La Turchia mantiene l’autorità sulla sua delega nell’uso della forza nelle azioni militari. Gli stipendi dei combattenti, l’addestramento e la supervisione in battaglia sono forniti anche dalla Turchia. Parlando da un posto di blocco stava presidiando Tel Abyad, una città catturata dalle forze guidate dai curdi nell’ultima offensiva SNA, un combattente con una fazione SNA di nome Faylaq al-Majd di Idlib che chiamerò Muhammad (i nomi di tutti i soggetti siriani in questo articolo sono stati cambiati per proteggerli da possibili rappresaglie) ha spiegato “i combattenti qui sono come asini, seguendo i loro padroni. E i comandanti sono anche asini, seguendo gli ordini turchi e anche se ciò danneggia gli interessi della rivoluzione [anti-Assad], a loro non importa. “

I combattenti

I combattenti sostenuti, rectius, comandati dalla Turchia sono un mix di ex ribelli e combattenti recentemente reclutati. La Turchia faceva affidamento su fazioni ribelli siriane già esistenti, alcune delle quali una volta ricevettero sostegno dal comando delle operazioni militari guidato dalla CIA o dal dipartimento Train of Defense Train and Equip Program. Il programma gestito dalla CIA, nome in codice Timber Sycamore, è stato chiuso alla fine del 2017, mentre il programma Train and Equip nella Siria nordoccidentale è fallito nel 2015. Tra i gruppi che una volta hanno ricevuto il sostegno diretto dagli Stati Uniti c’erano Levant Front e la Brigata Hamza (che in seguito si unì ad altri gruppi ribelli per formare la divisione di Hamza). La Turchia ha assunto il pagamento degli stipendi ai combattenti prima dell’operazione del 2016 e ha aumentato significativamente i loro ranghi. Le fazioni aumentarono di dimensioni, da dozzine e centinaia di combattenti a migliaia. I più grandi gruppi ribelli incorporati nell’SNA, le fazioni che compongono Ahrar al-Sharqiya e Jaysh al-Islam, non godevano del sostegno occidentale.

Altre fazioni, e in particolare quelle con nomi ottomani o turchi, sono state create in previsione dell’operazione del 2016. Le reclute post 2015 tendono ad essere più giovani, attratte dall’adesione alla battaglia per i salari offerti. Molti sono stati reclutati come minorenni, come giovani rifugiati che vivono in Turchia che non avevano completato nemmeno l’istruzione primaria, che è stata interrotta a causa della guerra.

La maggior parte dei combattenti oggi sembrano reclute più recenti, senza alcuna precedente esperienza nella lotta contro il regime di Assad. I combattenti e i comandanti nei ranghi dell’SNA intervistati per l’articolo hanno stimato che i combattenti che si sono arruolati nei ranghi delle fazioni per l’operazione del 2016, e quindi in un altro tentativo di reclutamento prima dell’invasione Efrîn 2018, costituiscono il 60 percento della forza . Questi combattenti – noti, ironicamente, come “i rivoluzionari del 2016” – “si unirono per lo più agli stipendi, non alla rivoluzione”, ha detto Mustafa, un comandante della Brigata Hamza, che si era unito all’opposizione armata siriana nel 2013, al quattordici anni.

I combattenti dell’SNA sono uomini prevalentemente sunniti di umili origini, proprio come i ribelli siriani anti-Assad. Quasi tutti hanno perso casa, parenti e amici a causa del regime di Assad; alcuni hanno contato simili perdite simili all’ISIS e all’SDF a guida curda. La maggior parte sono sfollati, provenienti da tutti i governatorati della Siria. Ora vivono in uno stretto tratto di terra lungo il confine turco-siriano. Mentre l’83 percento dei siriani ora vive al di sotto della soglia di povertà del paese di $ 6 al giorno, gli sfollati sono particolarmente vulnerabili: sono disconnessi da fonti di reddito tradizionali come il lavoro agricolo o i negozi di proprietà familiare, ma hanno una rete di supporto limitata dove ora vivere e devono pagare l’affitto. Questo rende gli sfollati più propensi a unirsi ai gruppi armati.

Quando la Turchia ha creato per la prima volta il quadro delle sue fazioni siriane, prima dell’operazione Scudo dell’Eufrate, i salari offerti ai combattenti erano straordinariamente alti: $ 300 al mese, pagati in lire turche. Nel tempo, gli stipendi sono diminuiti. All’inizio del 2019, gli stipendi erano stati ridotti a circa $ 100 distribuiti ogni sette-otto settimane. Quel tasso, di circa $ 50 al mese, è insufficiente a coprire anche le necessità di base, quindi i combattenti di solito devono fare affidamento su prestiti, sostegno familiare e attività criminali come il saccheggio per far quadrare i conti. I comandanti, secondo un commercialista di una fazione SNA nota come Brigata al-Mu’tasim con cui ho parlato, guadagnano almeno $ 300 al mese.

20 ottobre 2019, Siria, Tell Abiad: soldati miliziani siriani appoggiati dai turchi pattugliano una strada dopo aver preso il controllo della città dai combattenti curdi con l’esercito turco. Foto: Anas Alkharboutli / dpa (Foto di Anas Alkharboutli / picture alliance via Getty Images)


Spazio non governato

La governance delle aree sotto il controllo SNA nel nord di Aleppo e nelle aree appena catturate nel nord di Raqqa e Hassakeh è strettamente legata alla Turchia. La Turchia paga gli stipendi dei consiglieri locali, degli insegnanti e dei medici, oltre agli stipendi della polizia locale, della polizia militare e delle fazioni armate. Sebbene esista una forza di polizia militare nell’area, è in gran parte incapace di prevenire gli abusi dei civili commessi dall’SNA o i combattimenti tra le fazioni. L’illegalità è dilagante e pochissimi combattenti hanno avuto ripercussioni sulla loro attività criminale. Aymann, che presta servizio nella polizia militare di Efrîn, ha affermato che numerosi combattenti sono stati puniti per furto nei tribunali militari, ma quando si tratta di comandanti , “È impossibile … Le fazioni sono più forti della polizia militare”. Se i parlamentari tentano di arrestare i comandanti, ha detto, “si incontreranno con la forza”.

Sebbene tutti gli attori armati in Siria siano stati coinvolti in violazioni contro i civili, i livelli di criminalità nelle aree sotto il controllo dell’SNA sono particolarmente elevati, secondo i civili con cui ho parlato di vivere lì, molti di loro si sono allontanati da ciò che era stato precedentemente tenuto ribelle aree riconquistate dal regime. I locali, così come i membri stessi dell’SNA, collegano questo alto livello di criminalità con la natura delle fazioni e il tipo di combattenti che appartengono a loro – individui guidati da motivi finanziari, molti dei quali privi di legami con la comunità.

I combattenti completano i loro magri salari attraverso vari schemi. Il controllo dei posti di blocco permanenti tra le aree detenute dall’SNA e le aree detenute dai ribelli, le aree del regime e il territorio detenuto dalle SDF, è molto apprezzato come fonte di entrate per i pedaggi, portando a numerosi episodi di combattimenti tra fazioni. Nelle tregua instabili che seguono tali round di combattimenti, le fazioni generalmente dividono il controllo degli incroci tra loro, a volte suddividendo i loro comandi in ore al giorno o pochi giorni alla volta. Le auto che attraversano questi posti di blocco devono pagare le guardie, in contanti o con altri mezzi. Quelli che trasportano medicine, per esempio, pagano i combattenti dando loro un taglio delle merci che stanno spostando – tipicamente, pillole stimolanti come il Tramadol – mi è stato detto da Mohsin, un ribelle di vecchia data della città di Aleppo, che ora combatte nei ranghi della brigata al-Mu’tasim.

Altri regimi di profitto abbondano. Oltre ai checkpoint stabiliti, i combattenti istituiscono checkpoint temporanei e estorcere denaro dai passanti. I comandanti di SNA chiedono anche soldi per la protezione delle imprese, “come i concessionari di automobili, i proprietari di ristoranti, i venditori di oro, i proprietari di fabbriche. È proprio come una mafia “, ha detto Mohsin. Alcuni gruppi rapiscono anche civili, di solito individui più ricchi o con parenti all’estero, chiedendo riscatti.

Mentre gli abusi sono prevalenti nelle aree detenute dall’SNA, i curdi che sono rimasti a Efrîn soffrono particolarmente. Dopo ogni operazione SNA, ci sono stati saccheggi di proprietà civili da parte dei combattenti. A Efrîn nel 2018, tuttavia, il saccheggio era molto più ampio e molto più organizzato del solito. “Così molti dei ragazzi [compagni combattenti SNA] stavano saccheggiando, non potevo fermarli. Neanche i turchi riuscirono a fermarli. I [saccheggiatori] ci hanno picchiato e sparato contro di noi “, ha detto Mansour, un comandante della nona brigata, una fazione SNA. L’esodo di massa di civili durante quell’operazione militare e la loro incapacità di tornare, fornirono alle fazioni un’occasione redditizia per confiscare le case e poi trasferirsi in esse o affittarle a famiglie arabe sfollate da tasche precedentemente ribelli tenute più a sud. In quello che una volta era un distretto a maggioranza curda, la maggior parte degli abitanti, secondo i residenti di Efrîn, non sono più curdi.

Digla, una donna curda che vive ancora a Efrîn, mi disse che si sentiva fortunata. Sebbene sia stato arrestato poco dopo l’acquisizione della zona da parte dei turchi da parte della Sultan Murad Brigade, “Sono stato a malapena commosso, al contrario di altre donne tenute con me”, ha detto. “Le donne di settant’anni sono state picchiate e torturate”. Attribuisce la sua migliore fortuna all’essere un noto oppositore del PYD, il partito politico associato alla milizia curda YPG, che in precedenza aveva governato la regione. Anche così, Digla è stata detenuta per un mese.

Alla fine rilasciata, tornò in un Efrîn che trovò trasformata e pesantemente saccheggiata. “Ora il 90 percento delle donne curde indossa l’hijab, temendo di essere molestata. Sono stato molestato e minacciato molte volte. Tengo ancora l’hijab in città, ma in campagna, dove la situazione è peggiore, lo indosso ”, ha riferito. “Hai combattenti che sembrano tredici che ti avvertono di vestirti correttamente, ma allo stesso tempo prendono droghe e fanno [religiosamente] cose proibite”.

“Efrîn era un posto pieno di vita”, ha detto Samer, un giornalista di Idlib che ha visitato Efrîn prima e dopo l’acquisizione turca. “Ora i negozi chiudono presto. Vedi dei graffiti sui muri delle diverse fazioni, che segnano il loro territorio. ”Muntaser, un combattente della divisione Hamza, un gruppo implicato in molteplici abusi a Efrîn, ha ammesso che tali violazioni sono all’ordine del giorno, ma lo ha incolpato di altre fazioni. “I civili soffrono per mano di alcune fazioni, mentre altre le trattano bene. Ahrar al-Sharqiya, Signore abbi pietà, sono sporchi estremisti … Opprimono molto i civili. “Digla la mise così:” Abbiamo costantemente paura. Possono arrestarci in qualsiasi momento. Non esiste una legge. “

La campagna intorno a Efrîn è ancora più senza legge. “Di notte, ci sono rapine”, ha detto. “Entrano in casa tua e non puoi resistere. Le persone che resistono vengono picchiate o addirittura uccise “. Non c’è responsabilità, ha detto, perché” le fazioni minacciano e picchiano le persone che sporgono denuncia, quindi le persone preferiscono tacere o fuggire “. Lo stupro è un crimine di guerra che i gruppi ribelli siriani si sono ampiamente astenuti dall’impegnarsi, ma i rapporti sugli stupri perpetrati dai combattenti dell’SNA circolano tra i curdi locali e i media curdi. Stranamente, due membri dell’SNA, Qassem e Mohsin, mi hanno confermato l’incidenza di tali casi e potrebbero nominare specifiche donne curde e yazidi che conoscono che sono state violentate dai combattenti dell’SNA a Efrîn.

Mohsin, che ha partecipato all’offensiva su Efrîn, ha affermato che i locali odiano e temono le fazioni. Riferendosi alle notizie sullo stupro delle donne curde da parte dei combattenti dell’SNA, ha ammesso che a Efrîn, “C’è lo stupro del corpo … E poi [SNA] hanno violentato la loro nazionalità curda”, riferendosi ai diritti linguistici e culturali dei curdi, che sono stati in gran parte annullati sotto il dominio turco. “I loro diritti sono violentati”. Di conseguenza, “la maggior parte dei giovani ha lasciato l’area, il resto, una minoranza, si sta adattando alla situazione”.

I combattenti delle fazioni SNA sembrano generalmente consapevoli della loro immagine pubblica. “Ti senti imbarazzato a far parte di questa parte, soprattutto perché non puoi cambiare nulla”, ha detto Qassem, un membro dell’SNA. La reputazione di alcune fazioni, come Ahrar al-Sharqiya, composta da combattenti della Siria orientale e in particolare Deir Ezzor, è così povera che persino i civili spostati da Deir Ezzor nelle aree SNA sono contaminati dall’associazione. “La gente presume che nel momento in cui parli con un accento di Deiri, sei con Ahrar al-Sharqiya”, ha detto Khaled, un attivista della Siria orientale che vive ad al-Bab, la casa di molti combattenti di Ahrar al-Sharqiya.

Nei villaggi più piccoli nelle aree a maggioranza araba e turkmena, così come nella città di Marea, i combattenti sono di solito locali e vanno d’accordo con la popolazione, ha riferito Aymann, ufficiale di polizia militare. Ma in luoghi come Azaz, al-Rai e Jarablus, così come al-Bab ed Efrîn, i combattenti sono spesso outsider, e in queste città le fazioni gestiscono prigioni dove la tortura dilaga. I canali popolari sull’app di messaggistica Telegram, come “Al-Bab, the Nightmare” e “Jarablus, the Nightmare”, condividono abitualmente notizie di abusi perpetrati dalle fazioni.

Cosa motiva i combattenti?

Nella loro immagine pubblica ufficiale, i combattenti dell’SNA si presentano come un’estensione della ribellione siriana e si definiscono “rivoluzionari”. In privato, accusano liberamente coloro che combattono al loro fianco di combattere semplicemente per soldi, e alcuni ammettono di farlo da soli, giustificando questo elencando i prezzi di beni, affitto, elettricità e acqua che devono pagare per provvedere alle loro famiglie. Mentre nessuno ammette di essere coinvolto nelle stesse imprese criminali, accusano altri combattenti nelle loro fazioni di unirsi per derubare i civili e saccheggiare impunemente. Abdullah, un combattente della Brigata Hamza, ha affermato che alcuni combattenti “si sono uniti … solo per bottino di guerra e denaro”. Unirsi all’SNA è anche una forma di protezione, preziosa in una regione senza legge.

Alcuni dei combattenti sono semplicemente “tossicodipendenti e criminali”, ha detto Mohsin, il combattente SNA con la Brigata al-Mu’tasim. Altri sono motivati ​​dal potere. I giovani combattenti, in particolare, si divertono con le esibizioni dei social media di guidare in auto, brandire armi ed entrare nelle aree residenziali a tarda notte, sparare con le loro armi e godersi l’impunità che gli è stata offerta. E altri ancora sono spinti dal desiderio di vendetta contro l’YPG, tra cui ex ribelli della città di Aleppo, che nel 2016 è stato assediato e i suoi abitanti sono morti di fame a causa della decisione dell’YPG di tagliare l’unica via di rifornimento in città. Ciò ha seguito anni di bombardamenti avanti e indietro tra i quartieri ribelli e YPG detenuti nella città, mentre altri sono stati sfollati dalle loro città quando l’YPG ha sfruttato l’offensiva del regime su Aleppo per ottenere i suoi guadagni contro l’opposizione nascente. Questi combattenti ribelli della Siria orientale decisero che non era sicuro tornare nelle loro case dopo l’acquisizione da parte dell’SDF di territori precedentemente detenuti dall’ISIS.

Anche il razzismo puro ha un ruolo. L’ideologia baathista panarabo ufficiale del regime di Assad, che rese cittadini curdi di seconda classe, influenzò i siriani arabi nel loro insieme. L’egemonia della SDF e la sua amministrazione dominata dai curdi sono particolarmente fastidiose per gli arabi, che a volte si riferiscono ai curdi come “lustrascarpe” e “spazzini”. Digla ha riferito che “i bambini dei combattenti arabi mi hanno detto in faccia cose come , “Sei puttane, speriamo che tu vada all’inferno” e “Uccideremo tutti i curdi”. “Fece una pausa per riflettere:” Immagina quale odio insegnano loro a casa perché parlino così? “

Ma questi combattenti sono “per lo più estremisti”, come hanno sostenuto alcuni funzionari statunitensi? I video recenti dei combattenti SNA li hanno mostrati mentre partecipavano a canti e canzoni jihadisti. Alcuni combattenti dell’SNA hanno chiaramente punti di vista bigotti, manifestati, ad esempio, nella profanazione dei templi yazidi a Efrîn, nella distruzione di negozi che vendevano bevande alcoliche a Efrîn e nella deposizione dell’hijab sulle donne di Efrîn. La retorica islamista, che include il riferimento ai combattenti SDF come “atei” o “apostati”, ha chiaramente infettato gli atteggiamenti di alcuni combattenti. Alla domanda su questi canti e video, questi combattenti (e le persone delle loro comunità) affermano spesso che stanno semplicemente organizzando uno spettacolo, proponendosi come guerrieri sacri, mentre, in realtà, bevono alcol, fumano e fanno uso di droghe.

“Questo discorso sui jihadisti non ha senso. Non abbiamo ISIS qui o Hayat Tahrir al-Sham [il gruppo jihadista che domina Idlib ribelle]. I ragazzi qui sono tutti presi da pillole [stimolanti] ”, ha detto Muhammad, il combattente Faylaq al-Majd, per dimostrare che i suoi fratelli in armi sono empi. C’è qualcosa in questo: se i combattenti fossero veri credenti jihadisti, potrebbero e probabilmente si dirigerebbero verso Idlib per unirsi alle varie organizzazioni jihadiste che operano nell’area e assumere le forze del regime “infedele” di Assad.

Un combattente SNA che carica munizioni in una rivista, distretto di Ras al-Ayn, nel nord della Siria, il 15 ottobre 2019. RAS AL-AYN, SIRIA – 15 OTTOBRE: I membri dell’esercito nazionale siriano (SNA) riempiono le riviste mentre lanciano un’operazione nei villaggi di Ras al-Ayn in Siria dopo che il centro della città è stato liberato dai terroristi del PKK e dalla milizia siriana curda YPG, che la Turchia considera come gruppo terroristico, durante l’operazione Peace Spring in Turchia, il 15 ottobre 2019. (Foto di Huseyin Nasir / Anadolu Agency via Getty Images)


Dissonanza cognitiva

L’auto-presentazione dei combattenti come rivoluzionari che combattono il regime oppressivo di Assad è in conflitto con la realtà. Invece, le forze SNA hanno in gran parte evitato il confronto con il regime di Assad e sembrano rassegnate ad essere usate dalla Turchia per far avanzare i suoi obiettivi strategici in Siria. Qualcuno nutre ancora speranze che la Turchia consentirà loro di combattere Assad o che possano ingannare i loro padroni turchi nel lasciarli combattere il regime. Saleh, ex membro della 20a brigata, una fazione dell’SNA composta in gran parte da combattenti sfollati dalla Siria orientale, ha insistito sul fatto che l’attuale invasione della Siria nord-orientale consentirà loro di affrontare Assad e che, anche se la Turchia lo proibirà, si impegneranno forze del regime. “Non ci importa di quello che dice la Turchia”, mi disse, dopo essere entrato nella Siria nord-orientale con le forze invasori.

Altri hanno giustificato la collaborazione con la Turchia rilevando l’assenza di altri possibili alleati. Issam, un membro dell’SNA che lavora nelle operazioni di sminamento, ha scritto in arabo rotto dalla sua casa in Efrîn, che è stato confiscato da una famiglia curda: “Attualmente, nessuno è al nostro fianco tranne la Turchia. Dove sono gli arabi? Dov’è l’Europa? Quindi, quindi, dobbiamo stare al fianco della Turchia così com’era. “Pochi giorni dopo, tuttavia, dopo che il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan dichiarò che la Turchia non si oppone all’acquisizione da parte del regime di aree nella Siria nord-orientale, ha osservato con disappunto che” il L’esercito nazionale [siriano] sta per proteggere il confine turco. Questo è il compito. “” Nella nostra terra, non abbiamo alcuna decisione [potere decisionale]. “

Ma altri combattenti sembrano più consapevoli della loro impotenza per influenzare la traiettoria della guerra, e tanto meno raggiungere il loro obiettivo di rovesciare il regime di Assad. Eppure si sentono intrappolati dal loro obbligo di sostenere le loro famiglie. Molti combattenti dell’SNA, sebbene nessuno dei comandanti, con cui ho parlato, hanno espresso il desiderio di abbandonare le fazioni – se fossero disponibili altri posti di lavoro – sia perché si sentono a disagio nel combattere per conto di un altro paese che insoddisfatti della scarsa compensazione. Il duro fatto che affrontano questi giovani sfollati con istruzione e competenze limitate è che ci sono poche altre opportunità in questa regione devastata dalla guerra.

“Sono stato deportato dalla Turchia a Idlib e poiché volevo Hayat Tahrir al-Sham per essermi opposto, sono dovuto fuggire nel nord di Aleppo”, ha spiegato Hassan, originario di Deir Ezzor. “L’unico lavoro che ho potuto trovare è stato con Ahrar al-Sharqiya”. Di conseguenza, aveva partecipato all’ultimo assalto turco e assistito a compagni combattenti che eseguivano esecuzioni sul campo, tra cui il politico siriano-curdo e l’attivista per i diritti delle donne Havrin Khalaf.

Per molti di questi giovani uomini, consapevoli della loro situazione e incapaci di illudersi che alla fine sarà loro concesso di assumere il regime di Assad, il trauma e la colpa sono fin troppo evidenti. Hanno trascorso con impazienza ore al telefono con me, descrivendo in dettaglio la violenza e gli abusi che hanno visto. Il disgusto era palpabile nelle loro voci: spesso ricorrevano all’uso della terza persona quando descrivevano le azioni delle fazioni, dissociandosi. Mazen, il combattente del Fronte Levante, ha osservato che “loro [i combattenti dell’SNA] sono impiegati dello stato turco per proteggere il suo confine”. Poi è passato alla prima persona: “I turchi ci usano come carne da cannone. Siamo diventati mercenari “.

27 novembre 2019, 8:01, Elizabeth Tsurkov. Traduzione libera di Mario Donnini.

NYR Daily

2725.- Israele e USA vanno ai ferri corti con l’Iran e, per Trump, dopo decenni, gli insediamenti israeliani sono Israele.

La Siria è virtualmente terra di nessuno. Israele non entrerà in una guerra di logoramento contro l’Iran e continua la rappresaglia contro i quattro missili lanciati dalla Siria in Israele. All’alba di oggi, l’Aeronautica israeliana ha lanciato altri 18 missili aria-superficie, dallo spazio aereo libanese, verso gli accasermamenti dell’Iran, nell’aeroporto internazionale di Damasco, a Sud della città. Israele e USA vanno ai ferri corti con l’Iran. La posta in gioco, però, è grande: Sono l’accesso al Mediterraneo dal Mar Nero della Russia e dell’Iran e i giacimenti di petrolio e di gas del Medio Oriente e, aggiungerei, l’acqua del Golan.

Da Mohammed Kamal Abd el-Hamid
in Rivista di Studi Politici Internazionali

Inquadrato così il problema del Medio Oriente, guardiamo alle battaglie di oggi.

La riapertura del valico di frontiera siriano-iracheno ostacolata dagli USA per non concedere alla Russia un passaggio dal Mar Nero al Mediterraneo
“La riapertura del valico di frontiera siriano-iracheno è stata ostacolata dagli USA per non concedere alla Russia un passaggio dal Mar Nero al Mediterraneo”

L’interesse russo a mantenere una forte presenza nel Mediterraneo è stato percepito da sempre come vitale da Pietroburgo, prima e da Mosca, oggi. Ricordiamo la difficile crociera del Gruppo navale della portaerei Admiral Kuznetzov, dal Mare del Nord al Mediterraneo Orientale, a Latakia, per partecipare alle operazioni militari in Siria. Sembrò una mossa propagandistica, ma per fronteggiare i Gruppi d’Attacco dell’US NAVY, i russi hanno adottato questo tipo di incrociatore lanciamissili portaeromobili, scartando gli “aeroporti galleggianti” americani.

All’alba, l’aeronautica israeliana ha lanciato un pesante attacco a Damasco meridionale: rapporto completo

2019-11-20

L’Aeronautica israeliana ha scatenato un nuovo attacco contro la regione meridionale di Damasco questa mattina, provocando una serie di esplosioni nella base militare sul lato Sud dell’aeroporto internazionale. Sono passate soltanto 24 ore dopo che l’IDF e i militari siriani hanno scambiato attacchi missilistici lungo il confine delle alture del Golan occupate.

L’esercito siriano ha risposto con le sue difese aeree. Le fonti militari hanno detto che l’aeronautica israeliana ha lanciato almeno 18 missili in due distinti attacchi aerei dalla zona di Marjeyoun, vicino al confine meridionale del Libano, con nove di questi proiettili che hanno colpito il loro obiettivo mirato nell’area di Beit Sabre nel Sud di Damasco.

Finora il numero totale di vittime non è stato confermato dai militari siriani; tuttavia, risulta che i missili hanno causato gravi danni ai siti presi a bersaglio.

Israele conferma l’attacco alla Siria e dichiara che continuerà a “operare con fermezza” all’interno del Paese

2019-11-20

Le forze “di difesa” israeliane (IDF) hanno dichiarato, mercoledì mattina, che i loro jet hanno colpito il territorio siriano, attaccando dozzine di obiettivi militari appartenenti alle forze iraniane e siriane.

Secondo l’IDF, gli obiettivi includevano missili aria-aria, magazzini e varie strutture militari.

L’IDF ritiene responsabile il “regime siriano” per gli attacchi, promettendo di continuare a “operare con fermezza e per tutto il tempo necessario contro la trincea iraniana in Siria”.

La domanda è: Cosa farebbe la Siria senza l’alleato iraniano e chi sta attaccando e invadendo la Siria?

Mercoledì, di primo mattino, l’emittente statale siriana Al-Ikhbariya ha dichiarato che i sistemi di difesa aerea della nazione avevano respinto un assalto aereo a Damasco e ai suoi sobborghi, aggiungendo che diversi missili furono abbattuti a sud di Damasco. Il raid aereo è arrivato in risposta ai precedenti lanci di missili, presumibilmente per Israele, fatti dalle forze siriane e dal territorio siriano, che avevano preso di mira il territorio israeliano.

L’agenzia di stampa statale siriana SANA ha chiarito che i missili sono stati lanciati dai jet israeliani dalle alture del Golan occupate e da Marjeyoun nel Libano meridionale, aggiungendo che le difese aeree sono state in grado di distruggere la maggior parte dei missili prima che raggiungessero i loro obiettivi.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha commentato Così l’attacco israeliano più recente alla Siria: “Ho chiarito che chiunque ci sta facendo del male – ne saremo feriti. Questo è quello che abbiamo fatto stasera contro obiettivi militari della forza iraniana di Quds e obiettivi militari siriani in Siria dopo il lancio di missili della scorsa notte in Israele ”. Così, ha dichiarato Netanyahu, citato da Channel 13 TV News-Israel.

Tel Aviv ha ripetutamente condotto attacchi aerei in Siria senza il permesso di Damasco, giustificando le sue azioni con la necessità di contrastare le accuse della presenza militare dell’Iran nel paese vicino.

Israele e Siria condividono i confini lungo le alture del Golan occupate. L’area è stata per lo più sotto il controllo di Tel Aviv dopo che Israele ha conquistato l’area durante la guerra dei sei giorni del 1967, adottando una legge del 1981 che annetteva il territorio, sebbene fosse stata respinta dalle Nazioni Unite. All’inizio di quest’anno, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha riconosciuto le alture del Golan come territorio israeliano contro le decretazioni dell’ONU.

Nuove foto satellitari di ISI mostrano presunti ponti e basi terrestri iraniani nella Siria orientale

2019-11-19 ImageSat Intl.@ImageSatIntl

Image Satellite International ha pubblicato diverse immagini satellitari questa settimana che mostrano un presunto ponte di terra e una base militare costruita dalle forze iraniane nella Siria orientale vicino alla città di confine irachena di Al

Nella prima immagine pubblicata da ISI, mostrano un’immagine di ciò che sostengono sia la base militare “Imam” Ali “, che sostengono sia quasi finita dopo diversi mesi di costruzione.

ImageSat Intl.@gendiemmeImageSatIntl

1/6 – Valutazione ISI: il completamento della costruzione del valico di frontiera Iraniano e della base militare può consentire a Iran di trasferire attrezzature, armi e personale dall’Iraq attraverso il suo nuovo passaggio di frontiera controllato e ai magazzini fortificati nel nuova base in Siria.

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9010:23 PM – Nov 18, 2019

La seconda e la terza immagine satellitare approfondiscono ulteriormente la presunta base militare dell’Imam “Ali, in quanto mostrano l’area circostante e il suo successivo sviluppo negli ultimi mesi.

ImageSat Intl.@ImageSatIntl · Nov 18, 2019

2/6 – In corso di costruzione intensiva le opere nella base militare “Imam Ali” e dintorni. I rapporti dei media hanno riferito questa base all’IRGC e in particolare a QudsForce. La base militare verrà completata in breve termine ad Albukamal, in Siria, vicino alla rotta di attraversamento controllata dall’Iran.

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ImageSat Intl.@ImageSatIntl

3/6 – Sono otto le aree principali interessate dai lavori di costruzione nella base militare “ImamAli” e nei suoi dintorni (circa 20 km2), oltre a varie postazioni militari, fortificazioni e rivelazioni.Siria Albukamal Iran Iraq IMINT intelligence ISI satellite spaziale

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1710:23 PM – Nov 18, 2019Twitter Ads info and privacySee ImageSat Intl.’s other Tweets

Mentre il rapporto fa riferimento a un ponte terrestre costruito dall’Iran, il governo siriano ha già detto che stavano ricostruendo la traversata in Iraq dalla città di Albukamal.
Non è chiaro se il rapporto ISI faccia riferimento a questo attraversamento e, in tal caso, si tratta di un progetto congiunto tra Iraq e Siria da oltre un anno.

Israele all’Iran: attenzione … non siamo l’Arabia Saudita

2019-11-190

Israel’s Prime Minister Benjamin Netanyahu (R) and Transportation Minister Yisrael Katz attend the weekly cabinet meeting in Jerusalem September 4, 2016. REUTERS/Ronen Zvulun

Il ministro degli Esteri israeliano Yisrael Katz ha dichiarato che il suo paese non è l’Arabia Saudita e che non entreranno in una guerra di logoramento contro l’Iran.

Secondo Ynet News, Katz ha “avvertito” che l’Iran ha sparato quattro missili contro le alture del Golan occupate dalla Siria.

Katz ha detto che l’attacco dalla Siria all’alba di martedì mattina è stato un atto iraniano, sottolineando che Israele non avrebbe permesso di ripetere l’attacco e che il suo paese era preoccupato per le minacce ai suoi confini da prima che i missili entrassero nel loro territorio.

L’esercito israeliano ha detto che all’alba martedì i suoi sistemi di difesa hanno abbattuto quattro missili lanciati dalla Siria in Israele, pochi minuti dopo che il suono delle sirene annunciò i missili in arrivo verso le alture del Golan occupate..

Allo stesso tempo, l’agenzia di stampa araba siriana (SANA) ha riferito di esplosioni vicino all’aeroporto internazionale di Damasco nella parte orientale della capitale. Tuttavia, hanno ritirato il rapporto poco dopo.

Una fonte dell’esercito siriano aveva tentato di negare questo attacco all’aeroporto di Damasco, ma aveva ammesso che alcuni proiettili israeliani erano entrati nel loro territorio dalle alture del Golan occupate.

Botta e risposta, ma non sono state riportate vittime.

Mike Pompeo dichiara che gli insediamenti israeliani in Cisgiordania non sono più illegali: video

2019-11-19

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha annunciato che l’amministrazione del presidente americano Donald Trump non riconosce più gli insediamenti israeliani “incompatibili con il diritto internazionale” durante una conferenza stampa a Washington DC lunedì.

“L’amministrazione Trump sta invertendo l’approccio dell’amministrazione Obama nei confronti degli insediamenti israeliani. Le dichiarazioni pubbliche statunitensi sulle attività di insediamento in Cisgiordania sono state incoerenti per decenni “, ha affermato Pompeo.

“Non riconosceremo più gli insediamenti israeliani, come di per sé, incompatibili con il diritto internazionale. Si basa sui fatti unici della storia e delle circostanze presentati dalla creazione di insediamenti civili in Cisgiordania. La nostra decisione odierna non pregiudica né decide conclusioni legali relative a situazioni in qualsiasi altra parte del mondo “, ha aggiunto.
“Ora abbiamo dichiarato che gli insediamenti non sono, di per sé, illegali ai sensi del diritto internazionale”, ha sottolineato Pompeo.

Credit: US State Department, Ruptly


Farah Dahir: “Doppi standard degli Stati Uniti specialmente con questa amministrazione. Da una parte, sta legalizzando gli insediamenti illegali israeliani in aree riconosciute palestinesi e non sta parlando della distruzione di case e fattorie palestinesi da parte del regime e dei coloni israeliani, dall’altra parte sta parlando degli affari interni dell’Iran, che non hanno nulla a che fare con gli Stati Uniti, o vogliono mantenere le stesse tattiche con cui hanno distrutto l’Iraq e la Libia e rubato i loro petroli. Incolpano sempre i governi e dicono che stanno uccidendo la loro gente, poi, dicono che stiamo difendendo i civili, ma quel trucco è già noto e io mi difenderò da tutti gli invasori illegali e dai loro pregiudizi”.

Gli insediamenti illegali israeliani a Karmel, vicino a Hebron, nel West Bank.

Intanto, il Pentagono ha annunciato martedì il ritorno dei loro F-35 nella base aerea di Al-Dhafrah, negli Emirati Arabi Uniti (Emirati Arabi Uniti).

Secondo la dichiarazione rilasciata dal comando centrale degli Stati Uniti, i caccia stealth F-35 sono tornati alla base aerea di Al-Dhafrah negli Emirati Arabi Uniti, dalla base aerea nello Stato dell’Utah.

U.S. Central Command✔@CENTCOMArabic

Da Beirut: مقاتلات ال (F-35A) آل تا بعة لسلاح الجو الأمريكي عادت من قاعدة “هل” الجوية إلى قاعدة #الظفرة الجوية في #الإمارات العربية المتحدة ، للانضمام إلى الجناح الاستكشافي الجوي 380 في 16 نوفمبر 2019

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La dichiarazione rilasciata dagli Stati Uniti, riporta che i caccia stealth F-35 sono stati rischiarati sulla base aerea di Al-Dhafrah e entreranno a far parte del 380esimo stormo, con la spedizione della US Air Force .

L’F-35 è uno degli aerei da guerra più avanzati al mondo ed è uno dei primi aerei da caccia di quinta generazione. L’aereo è prodotto dalla società Lockheed Martin. Oltre alle forze armate statunitensi, molte altre nazioni sono in possesso di questo velivolo avanzato, tra cui Israele, Polonia e Danimarca. Recentemente, Israele ha simulato in una esercitazione la capacità dei suoi F-35I a resistere ai sistemi d’arma antiaerei S-400 della forza aerospaziale russa presenti in Siria. Sappiamo che, non appena l’Iran ha iniziato a negoziare con la Russia per l’acquisto dell’S-300, Israele ha pagato alla Grecia un sacco di soldi per avere accesso a questi sistemi per studiarli. Inoltre, gli americani hanno acquistato parti del complesso attraverso la Bielorussia. L’ex direttore generale del principale ufficio di progettazione della società Almaz-Antei, Igor Ashurbeili, ha affermato che parte della tecnologia S-300 è stata letteralmente rubata dagli Stati Uniti.

2722.- PERCHÈ I CURDI PROTESTANO CONTRO LE PATTUGLIE DEI RUSSI

Questa settimana, nel Governatorato di Al-Hasakah, sono stati filmate manifestazioni violente contro un veicolo militare russo di pattuglia. Il video mostra la sassaiola dei manifestanti che ha preceduto il lancio di un cocktail Molotov contro il veicolo militare russo nel nord della Siria.

Mosca minaccia i curdi, la Nato e gli Usa festeggiano

Il Cremlino: «Sarete asfaltati se non vi ritirate». Nel nord della Siria in atto un processo di ingegneria demografica. Attentati islamisti nel Rojava. Le milizie filo-Turchia saccheggiano e pubblicano video di abusi su civili e Ypg

Chiara Cruciati, a ottobre 2019 ha descritto così l’operazione di ingegneria genetica alla base della diaspora curda approvata dal Cremlino.

“Le prime ore dal patto russo-turco sono segnate dall’ingresso nelle città curdo-siriane di veicoli di ogni tipo: quelli della polizia di Mosca, entrati a Manbij e Kobane – il simbolo della lotta all’Isis e del confederalismo democratico – e quelli dei kamikaze islamisti che hanno violato la capitale del Rojava, Qamishlo, poi Suluk, cittadina a maggioranza araba a Tal Abyad (lì dove comincia l’occupazione turca), e infine al-Shadadi, a sud di Hasakeh.

Una serie di esplosioni che hanno provocato morti e feriti e per ora nessuna rivendicazione. Ma la matrice è troppo simile a quella solita, cellule non più nascoste dello Stato islamico che hanno trovato la giusta linfa nell’invasione turca del nord della Siria.

Fonti curde lo dicono (e pubblicano foto e video) da due settimane: alle fila delle milizie islamiste alleate della Turchia si sono uniti molti membri dell’Isis. Tra questi gli evasi dai campi di detenzione gestiti dalle unità di difesa curde, Ypg/Ypj, stimati ieri dal Dipartimento di Stato statunitense in 100 fuggitivi, molto probabilmente un numero al ribasso.

Nelle stesse ore quattro veicoli russi facevano il loro ingresso a Manbij e Kobane, secondo l’accordo di Sochi di martedì che prevede pattugliamenti congiunti turco-russi a est e ovest della zona cuscinetto tra Tal Abyad e Ras al-Ain, consegnata da Mosca al controllo della Turchia.

Quei veicoli sono l’immagine plastica di quella molti osservatori chiamano pax russa: altro non è che una pace fondata sulla violazione della sovranità siriana, su un progetto in fieri di ingegneria sociale di trasferimento forzato della popolazione e sul tentativo di cancellare l’esperienza curda del confederalismo democratico.

Dopo il vertice-fiume di Sochi tra Erdogan e il presidente Putin, ieri la Russia ha fatto la voce grossa con i curdi: si ritirino e si disarmino entro il 29 ottobre, scadenza delle 150 ore di nuovo cessate il fuoco, altrimenti – parola del portavoce del Cremlino – Mosca e Damasco li lasceranno da soli di fronte «al peso dell’esercito turco». «Saranno asfaltati», dice.

La Russia crede di poterselo permettere: in appena 14 giorni (dall’inizio dell’operazione turca «Fonte di Pace», il 9 ottobre) si è guadagnata gli stivali sul terreno – suoi e di Damasco – nel terzo di territorio siriano da cui finora era assente, sostituendo i marines Usa e spostando ancora più alto il grado di fedeltà di Ankara.

Festeggiano tutti: il presidente Usa Trump celebra follemente l’accordo («Un grande successo. Un risultato creato dagli Stati uniti») e annuncia la fine delle sanzioni alla Turchia; l’Iran parla di passo positivo verso la stabilità; il presidente siriano Assad – che martedì dava del ladro a Erdogan – fa buon viso a cattivo gioco e dà «pieno supporto» all’intesa; pure il segretario generale della Nato, Stoltenberg, definisce «incoraggiante quanto visto in questi giorni».

C’è solo una voce fuori dal coro, quella dell’inviato speciale Usa per la Siria, molto diversa dai trionfalismi trumpiani: «Abbiamo visto molti episodi ascrivibili a crimini di guerra», ha detto ieri James Jeffrey alla Camera, chiedendo poi l’apertura di un’inchiesta su Ankara.

Le uniche a non parlare, finora, sono l’amministrazione autonoma del Rojava e le Forze democratiche siriane, sacrificate sull’altare delle ragion di Stato altrui. Saranno costrette al disarmo, la popolazione ad accettare di vivere sotto occupazione turca tra Tal Abyad e Ras al Ain (Sere Kaniye) o ad andarsene.

Probabilmente in molti lo faranno: in rete miliziani islamisti pro-turchi rilanciano video di abusi contro civili e combattenti curdi, contro i vivi e contro i morti, cadaveri vilipesi che ricordano da vicino le violenze tuttora subite (stupri, rapimenti, saccheggi) dal cantone curdo-siriano di Afrin, a ovest, occupato nell’aprile 2018 dalla Turchia e dai suoi pretoriani islamisti.

Se ne andranno per fare spazio ai due milioni di rifugiati siriani che la Turchia intende trasferire in cui 100 km per 32 di territorio che la Russia gli ha unilateralmente riconosciuto. Chi siano, da dove vengano e se vogliano rinunciare alla loro casa per ricollocarsi in un’altra, non è dato sapere. Non sono loro a decidere, al pari del popolo del Rojava”.

da il Manifesto

2721.- L’esercito arabo-siriano combatte sui monti di Latakia, a Nord di Aleppo e intorno a Kabani, dove ha impegnato la 4a Divisione Corazzata

I carri armati russi T-90, i migliori dell’esercito arabo-siriano, sono in prima linea nel Nord di Aleppo

2019-11-17

La scorsa settimana un carro armato T-90 di fabbricazione russa è stato avvistato vicino alla prima linea nella campagna settentrionale del Governatorato di Aleppo.

Secondo quanto riferito, il carro armato T-90 è stato visto nella campagna settentrionale del Governatorato di Aleppo, attorno alle linee del fronte di Manbij, che l’Esercito arabo siriano (SAA) condivide con le forze democratiche siriane (SDF).

Secondo quanto riferito, l’Esercito arabo siriano ha ricevuto per la prima volta una decina di questi carri armati di terza generazione russi nel 2016, quando furono lanciate diverse offensive su larga scala contro i ribelli jihadisti e lo Stato islamico (ISIS / ISIL / IS / Daesh).

Il T-90 è un in servizio dal 1995 nelle forze corazzate russe e si è dimostrato incredibilmente efficace in Siria, specialmente nei combattimento dove prevale la sua moderna corazzatura dinamica … Durante questa guerra un T-90 fu colpito sette volte dagli RPG dell’ISIS, senza subire danni significativi e restando operativo. Dicono i carristi siriani che il T-90 mangia missili americani a colazione. Questi carri armati equipaggiano almeno una compagnia della 25a unità delle forze di missione speciali, già Forza Tigre, unità d’élite, i cui carristi sono, probabilmente, i più esperti del mondo. Recentemente, una nave da sbarco russa ha scaricato a Latakia 30 carri armati. Trump, a sua volta, ha schierato 30 carri armati Abrams a guardia dei pozzi del Governatorato  di Deir El-Zoor.


Non si placano gli scontri a Sud di Kabani mentre le truppe siriane tentano di raggiungere la città

2019-11-17

Sabato sera, con le previsioni meteo che davano nebbia, l’esercito arabo siriano (SAA) ha deciso di lanciare un pesante attacco alle difese jihadiste nella campagna Nord-orientale della Latakia.

Preceduti dalla loro quarta divisione corazzata, i reparti dell’esercito arabo-siriano hanno iniziato il loro attacco alla sera, col favore del buio e della nebbia, prendendo d’assalto le difese di Hay’at Tahrir Al-Sham e del Partito islamico del Turkestan nella parte settentrionale dei Monti Zuwayqat.

Dopo un’intensa battaglia, durata diverse ore, l’esercito arabo siriano è stato in grado di impadronirsi dei Monti Zuwayqat.

Dalle posizioni conquistate sui Monti Zuwayqat, tuttavia, l’esercito arabo siriano non è stato in grado di avanzare verso la città chiave di Kabani. Questo è dovuto alla forte resistenza opposta dai ribelli jihadisti.

Da fonti militari nell’area, apprendiamo che l’esercito arabo-siriano è stato sottoposto a un fuoco intenso sulle posizioni raggiunte a Nord delle montagne Zuwayqat e ai contrattacchi dei ribelli jihadisti.

La medesima fonte aveva aggiunto che se, nelle prossime ore, l’esercito arabo-siriano non fosse riuscito a prendere gli ultimi centri di fuoco a sud di Kabani, alla fine sarebbe stato costretto a ritirarsi sul versante meridionale dei Monti di Zuwayqat.

La ritirata dell’esercito siriano era prevista perché le posizioni raggiunte, in questa vasta area allo scoperto a Sud di Kabani, erano esposte al fuoco e ai missili dei terroristi.

Il terreno intorno a Kabani non è adatto a un attacco frontale e richiede una forte preparazione di artiglieria e aerea.

La controffensiva dei ribelli jihadisti per riprendere la montagna strategica a Latakia

2019-11-17

I ribelli jihadisti hanno lanciato una controffensiva ieri sera per riprendere una montagna strategica situata nella campagna Nord-orientale del Governatorato di Latakia.

La controffensiva deI ribelli jihadisti a Sud di Kabani è iniziata, a notte, e hanno contrattaccato con successo quando si è esaurita l’avanzata dell’Esercito arabo-siriano (SAA) verso l’accesso meridionale a Kabani.

Guidati da Hay Ta Tairir Al-Sham, i ribelli jihadisti stanno attualmente contrattaccando le difese dell’esercito siriano sul versante settentrionale dei Monti Zuwayqat nel tentativo di annullare tutti i guadagni della 4a divisione corazzata.

Poiché l’esercito siriano non è stato in grado né ha avuto il tempo per fortificare le proprie posizioni sui Monti Zuwayqat, molto probabilmente dovrà retrocedere alle basi di partenza da cui era partito.

Una fonte militare ha riferito che l’attacco dell’esercito siriano era stato lanciato sotto la copertura di una fitta nebbia; usando la scarsa visibilità per avanzare non visti, ma, alla fine, non furono in grado di attraversare il terreno aperto che separa le ultime colline da Kabani.

Ora, si prevede che l’esercito arabo siriano, per alcuni giorni, non prenderà d’assalto quest’area, in attesa dell’attacco della 25a unità delle forze di missione speciali (ex forze di tigre) contro la regione Sud-orientale del Governatorato di Idlib.

Così, i ribelli jihadisti hanno ripreso la montagna strategica nel Nord-Est di Latakia

2019-11-18

Dopo una breve battaglia condotta dai siriani in ritirata, sul bordo settentrionale dei Monti Zuwayqat, i ribelli jihadisti e Hay’at Tahrir Al-Sham e del Partito islamico del Turkestan hanno potuto riprendere tutte le posizioni perse contro la 4a divisione corazzata dell’esercito siriano, comprese le colline settentrionali.

La nebbia è stata un fattore importante per l’esercito siriano, perché la scarsa visibilità avrebbe fornito la copertura necessaria per le loro truppe mentre entravano in un’area ben fortificata a sud di Kabani.

Alla fine, l’attacco dell’esercito siriano è stato interrotto perché non è riuscito a raggiungere il suo obiettivo principale, che era quello di raggiungere l’ingresso meridionale di Kabani.

Ora, a conclusione di questo rapporto, vogliamo notare che quello arabo-siriano è l’esercito legittimo della Siria ed è appoggiato dai russi. Abbiamo notato che è stato preso, per ore, sotto il fuoco dell’artiglieria e dei missili. I ribelli jihadisti e Hay’at Tahrir Al-Sham e del Partito islamico del Turkestan sono terroristi ed è terrorista anche chi li supporta così pesantemente. Sappiamo a chi dobbiamo questo supporto, che, in Iraq, è appena costato un caro prezzo ai soldati italiani in missione di pace.

2718.- L’IRAN È IL VERO ANTAGONISTA DI ISRAELE IN MEDIO ORIENTE

L’Iran e i suoi missili dietro l’attacco da Gaza su Israele. Le forze iraniane non lasceranno la Siria fino a quando non gli sarà richiesto da Damasco

2019-11-11

Il principale addetto dell’Iran per il ministro degli Esteri, Abbas Araghchi, ha sottolineato lunedì che i consiglieri militari iraniani rimarranno in Siria fino a quando Damasco lo richiederà.

Lunedì Araghchi ha dichiarato in un’intervista a Sputnik che il motivo della presenza di consiglieri militari iraniani in Siria è dovuta al fatto che “gli iraniani sono consiglieri in Siria su richiesta del governo siriano e che vi rimarranno lì finché il governo siriano lo chiederà .

“Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno ripetutamente invitato l’Iran a ritirare le sue forze dalla Siria, posizionando, invece attivamente, le loro truppe vicino alle frontiere di quest’ultima.

Per quanto riguarda l’operazione militare turca nella Siria nord-orientale, Araghchi ha sottolineato che “i problemi di questa iniziativa e, in generale, tutti i problemi della regione sono particolarmente complessi e non esiste una soluzione militare, in particolare quella siriana, e dobbiamo cercare soluzioni politiche attraverso la partecipazione, il dialogo e i negoziati (insomma, chi vuole la guerra? ndr)“.

“Comprendiamo le preoccupazioni per la sicurezza della Turchia, ma crediamo che ci siano modi migliori per affrontare tali preoccupazioni”, ha aggiunto (bella sberla a Erdogan. ndr).

Il comandante dell’IRGC: “Le navi nemiche nel Golfo Persico non saranno mai al sicuro dai missili iraniani”

2019-11-15

Il Comandante in capo del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC), il maggiore generale Hossein Salami ha messo in guardia i nemici dall’avvicinarsi ai confini dell’Iran, sostenendo che, all’interno o all’esterno delle acque territoriali dell’Iran, non esiste una zona sicura per le portaerei dei paesi ostili .

Salami ha rilasciato questa dichiarazione giovedì, in una cerimonia dedicata a Hassan Tehrani Moghaddam, che è spesso elogiato come il padre del programma missilistico iraniano.

“Per quanto riguarda il successo dell’installazione di missili balistici nei motoscafi [IRGC], le portaerei del nemico non saranno più sicure in nessun punto”, ha detto il generale.

Il capo dell’IRGC ha aggiunto che le sanzioni statunitensi hanno stimolato il rapido sviluppo delle tecnologie di difesa dell’Iran, trasformando i “missili balistici iraniani in quelli guidati con precisione”, affermando che le capacità di difesa, missili e droni rafforzate del paese “daranno la risposta più dura al nemico minimo errore. “

L’Iran ha accumulato un vasto arsenale di sistemi balistici convenzionali a corto, medio e lungo raggio creati a livello nazionale.

Gli Stati Uniti, l’Unione Europea, l’Arabia Saudita e Israele hanno espresso preoccupazione per queste armi che rappresentano una minaccia alla sicurezza regionale e globale, ma l’Iran ha insistito sul fatto che i missili sono intesi come deterrente contro un possibile attacco nemico e ha ripetutamente sottolineato che il loro possesso è “Non negoziabile” per la Repubblica islamica.

All’inizio di novembre, funzionari iraniani e statunitensi avevano avviato un dibattito, andando avanti e indietro dall’Iran, sul fatto che l’Iran avesse o meno distrutto un secondo drone spia americano; con la parte iraniana che sosteneva che i rottami dei droni fossero stati recuperati vicino alla città portuale sud-occidentale di Mahshahr, mentre il Pentagono negava le notizie secondo cui un qualsiasi drone americano era stato abbattuto nella regione e aveva affermato che tutti gli apparecchi statunitensi “erano sotto controllo”.

L’aviazione israeliana risponde alle salve di razzi con nuovi strikes su Gaza

I raid a Gaza in risposta alle salve di razzi hanno finora provocato la morte di 34 palestinesi, tra cui 16 civili.

2019-11-16.  Nuove operazioni israeliane nella Striscia di Gaza, a 24 ore dall’annuncio di una fragile tregua, sono scattate in risposta al lancio “indiscriminato di razzi” dall’enclave palestinese verso Israele. Nei raid dell’IDF, sono stati colpiti obiettivi di Hamas e della Jihad Islamica a Gaza.

Le tensioni sono aumentate dopo l’uccisione, in un attacco israeliano, di Baha Abu al-Ata, un comandante di spicco del gruppo palestinese Jihad islamica nella Striscia di Gaza, decisa da Israele circa dieci giorni fa, secondo quanto dichiarato da Netanyahu. Secondo l’IDF, oltre 450 razzi sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza contro Israele.

Diversi feriti in Israele nella pioggia di razzi lanciati dal gruppo armato palestinese. 

I militari israeliani, si legge sul Times of Israel, hanno confermato di aver attaccato a Rafah un edificio utilizzato dalla Jihad Islamica per fabbricare razzi e a Khan Yunis un sito con “diversi uffici di comandanti” del gruppo. Media palestinesi hanno dato notizia del ferimento di due persone. Le incursioni sono scattate dopo ulteriori lanci di razzi da Gaza nella serata di ieri, che hanno nuovamente violato l’accordo di tregua raggiunto con la mediazione dell’Egitto. Le forze armate israeliane hanno poi fatto sapere di aver concluso le incursioni contro obiettivi della Jihad islamica nella Striscia. L’annuncio significa che Israele è pronto ad attenersi al cessate il fuoco se non ci saranno altri lanci di razzi. 

Giorno e notte, senza tregua

Un accordo per il cessate il fuoco era stato raggiunto l’altro giovedì, ma Israele ha ripreso i suoi strikes dopo il nuovo round di missili da Gaza poche ore dopo.