Archivio mensile:novembre 2023

6104.- Vaccini, non è finita: spunta il documento UE che dichiara guerra agli “esitanti” ▷ Avv. Holzeisen | Documento in PDF

Di un giorno speciale, 29 novembre 2023

L’Unione Europea non molla neanche per scherzo: sui vaccini spunta il documento del Consiglio, datato 29 novembre 2022, che straparla contro chi ha esitato. E non senza conseguenze. Se pensavamo che la vicenda Covid fosse ormai finita nel dimenticatoio, ebbene l’avvocato Renate Holzeisen richiama l’attenzione. Nessuna tesi veramente scientifica, nessun riferimento a effetti avversi o qualsiasi cosa, in realtà, che possa aver destato sospetti sui vaccini anti-Covid. Nonostante tutti i numeri del caso, il Consiglio dell’Unione Europea del gruppo dei ministri della Salute del Vecchio Continente continua imperterrito nella sua personale e rancorosa battaglia contro i No Vax, o contro chiunque abbia lanciato dubbi sulla sostanza in questione. 

L’OMS – si legge – annovera l’esitazione vaccinale tra le dieci principali minacce per la salute mondiale“.
Il documento dà nome e cognome quasi a una patologia: “l’esitazione vaccinale”, come se dubitare fosse una malattia.
Oltre a una sviolinata infinita alla cura “proposta” nell’era Covid, ci sono ovviamente premesse e promesse.
Combattere l’esitazione vaccinale“: un capitolo dedicato nel documento che, tra una serie di “rammenta” (a caratteri cubitali) e “accoglie con favore” (idem) promette di azionare “Orizzonte 2020” per “contrastare la cattiva informazione sui vaccini e lo sviluppo di strumenti– (chissà quali) – intesi a migliorare la copertura vaccinale“. Forum di esperti, di social media e non; azioni concrete; lotta; invito agli Stati membri: un elenco di parole tutto da leggere di raccomandazioni UE per gli “esitanti” da vaccino.
Una nuova invettiva che fa sbottare Renate Holzeisen e Fabio Duranti in diretta.

Qui il documento.

LEGGETELO E CHIEDETEVI COSA ANDRETE A VOTARE

Bruxelles 29 novembre 2022

(OR. en)

14.771/2022

__________________________________________________________________NOTA

Origine: Segretariato generale del Consiglio

Destinatario: Consiglio

Oggetto: Conclusioni sulla vaccinazione come uno degli strumenti più efficaci per prevenire le malattie e migliorare la salute pubblica

  • Approvazione
  1. Il 14 settembre la presidenza ha presentato al gruppo “Sanità pubblica” un progetto di conclusioni del Consiglio sulla vaccinazione come uno degli strumenti più efficaci per prevenire le malattie e migliorare la salute pubblica.
  2. La pandemia di COVID-19 ha evidenziato ancora una volta la questione dell’esitazione vaccinale e ha dimostrato il valore della cooperazione dell’UE nel prevenire e limitare laa diffusione delle malattie prevenibili da vaccino. Questi due aspetti della politica in materia di vaccinazione sono stati una priorità per la presidenza ceca. Tra i vari eventi su questi temi, la videoconferenza dei dei membri del gruppo “Sanità pubblica” (Alto livello) del 26 luglio 2022 e la riunione informale dei ministri della Salute del 7 settembre 2022 hanno fornito un contributo alla proposta di conclusioni del Consiglio.

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Doc. 12396/22.

ALLEGATO

Conclusioni sulla vaccinazione come uno degli strumenti più efficaci per prevenire le malattie e migliorare la salute pubblica

Introduzione

La vaccinazione è considerata uno degli strumenti più efficaci in materia di salute pubblica per prevenire le malattie infettive e attenuarne gli effetti più dannosi. E’ importante non solo per i bambini, ma anche in una prospettiva che abbraccia l’intero arco della vita. Lo sviluppo dei vaccini rappresenta una svolta nella storia della medicina e ha avuto un impatto significativo sulla salute pubblica. Grazie ai vaccini è stato possibile prevenire molte malattie, il che ha ridotto l’onere a carico dei sistemi sanitari ed evitato ogni anno tra i 3,5 e i 5 milioni di decessi. Nel caso del vaiolo, la vaccinazione ha permesso addirittura di eradicare la malattia.

Oggi, tuttavia, la vaccinazione è vittima del suo successo. Alcuni non vedono più gli effetti delle malattie infettive che sono scomparse grazie ai programmi di vaccinazione e quindi un numero considerevole di persone può persino mettere in discussione l’importanza dei vaccini.In molte regioni dell’UE i tassi di copertura vaccinale stanno scendendo ben al di sotto dei livelli raccomandati. In tali circostanze le malattie infettive possono facilmente ritornare e l’epidemia di morbillo scoppiata negli ultimi anni in diversi paesi europei ne è un esempio.

Negli ultimi decenni la disponibilità dei cittadini a ricevere vaccini sicuri, efficaci, raccomandati e disponibili è stata messa alla prova. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) annovera l’esitazione vaccinale tra le dieci principali minacce per la salute mondiale. nIl problema è particolarmente complesso anche perché varia a seconda del contesto, del paese e del tipo di vaccino in questione. Non esiste una soluzione universale e serve un impegno duraturo per migliorare il dialogo con i cittadini, comprenderne le preoccupazioni e sviluppare strategie di vaccinazione su misura, unitamente a campagne di comunicazione mirate.

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La pandemia di COVID-19 ha ulteriormente sottolineato l’entità e la portata della questione. L’esitazione vaccinale rispetto a tale malattia è stata influenzata in modo sostanziale da diversi fattori, in primis la sicurezza e l’efficacia percepite del vaccino. Sebbene in alcuni Stati membri dell’UE le campagne di vaccinazione contro la COVID-19 non abbiano portato a tassi di vaccinazoione molto elevati, in altre parti dell’Unione europea i risultati sono stati impressionanti.

Tra gli aspetti positivi, la pandemia ha fatto progredire lo sviluppo di una serie di soluzioni e strumenti importanti che possiamo già utilizzare oggi. Sono stati compiuti progressi significativi, ad esempio nel campo della digitalizzazione con la raccolta e lo scambio di dati a livello di UE e la creazione del certificato COVID digitale dell’UE, una tappa importante che ha definito uno standard globale nell’ambito delle misure di sanità pubblica per contenere la diffusione della pandemia. Anche la strategia dell’UE per i vaccini contro la COVID-19, seguita dalla nascita dell’Autorità europea per la preparazione e la risposta alle emrgenze sanitarie (HERA)n, rappresenta un importante passo avanti nel garantire lo sviluppo, l’approvvigionamento, l’acquisto e la distribuzione di contromisure mediche a livello di UE, quali vaccini e terapie. Un altro risultato altrettanto importante è la creazione dell’Unione europea della salute, che mira a rafforzare la preparazione e la risposta delle principali agenzie alle crisi.

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Combattere l’esitazione vaccinale: il rischio di cattiva informazione e di disinformazione e la necessità di accrescere la fiducia dei cittadini nella vaccinazione

IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA

  1. RICORDA che, conformemente all’articolo 168 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), l’azione dell’Unione, che completa le politiche nazionali, si indirizza al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all’eliminazione delle fonti di pericolo per la salute fisica e mentale.
  2. RICONOSCE che, sebbene i programmi di vaccinazione sia di competenza degli Stati membri, un approccio più coordinatoa liuvello dell’UE può generalmente avere un valore aggiunto, data la natura transfrontaliera delle malattie prevenibili da vaccino.
  3. RILEVA che l’esitazione vaccinale ha diverse cause profonde. Situazioni diverse, come la vaccinazione di routine con vaccini noti o la vaccinazioni durante crisi sanitarie, quali la pandemia di COVID-19 con l’impiego di vaccini ri recente sviluppo, richiedono soluzioni divgerse.
  4. RICONOSCE che a pandemia di COVID-19 ha dimostrato chiaramente le minacce e le sfide che la cattiva informazione e la disinformazione rappresentano per le nostre società. Uno dei fattori cruciali che hanno fatto aumentare i rischi per la salute umana, i sistemi sanitari e l’efficace gestione delle crisi, è stato l’”infodemia”, ossia la sovrabbondanza di informazioni, comprese informazioni false o fuorvianti, negli ambienti digitali e fisici durante il focolaio di una malattia.
  5. RAMMENTA la comunicazione congiunta della Commissione e dell’Alto rappresentante, adottata il 5 dicembre 2018, che dà avvio al piano d’azione contro la disinformazione online adottata il 26 aprile 2018, la comunicazione della Commissione “Orientamenti sul rafforzamento del codice di buone pratiche sulla disinformazione” adottata il 26 maggio 2021, la comunicazione della Commissione “Rafforzamento della cooperazione nella lotta contro le malattie prevenibili da vaccino” adottata il 26 aprile 2018 e la comunicazione congiunta della Commissione e dell’Alto rappresentante, “Contrastare la disinformazione sulla COVID-19 – Guardare ai fatti” adottata il 10 giugno 2020.

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5. segue

6103.- I 100 anni di Henry Kissinger, Grande Vecchio politica estera americana: la sua storia

“La smetta o la pagherà cara, molto cara”.

Infine, Kissinger, l’architetto del mondo unipolare, è morto: Scrivono Francesco Borgonovo e Savino Balzano: “Non perdono la minaccia rivolta all’allora ministro italiano Aldo Moro”quello che non si perdona a Kissinger e nessun italiano dovrebbe perdonargli, fu la minaccia rivolta all’allora ministro degli esteri italiano Aldo Moro in visita negli Stati Uniti. Rivolse proprio una minaccia quando Moro cercava di allacciare un rapporto con i comunisti, voleva farli entrare nel governo. Nel ’74 Kissinger gli disse “la smetta o la pagherà cara, molto cara”. Nel 1978 Aldo Moro è stato rapito in Via Fani dopo che la sua scorta veniva sterminata e c’è chi dice che sul sedile di quell’auto nella sua borsa lasciò un articolo per il giorno nel quale rivendicava un’autonomia italiana di cui noi oggi avremmo così disperatamente bisogno.”

Dal Centro Studi Enti Locali SpA, 30 novembre 2023

(Adnkronos) –
Di origini ebraiche, Henry Kissinger è nato il 27 maggio 1923 a Furth in Germania da dove nel 1938 fuggì con la famiglia per sfuggire alla persecuzione dei nazisti. La famiglia Kissinger si stabilì a New York dove Henry frequentò prima il liceo e poi i corsi universitari serali, lavorando la mattina come operaio. 

Nel 1943 venne arruolato nell’esercito e durante l’addestramento Kissinger, che intanto era diventato cittadino americano, venne notato per la sua conoscenza del tedesco e per la sua intelligenza ed assegnato alla sezione controspionaggio dell’intelligence militare. “Tutte le persone in gamba hanno iniziato con l’intelligence, anche io”, disse Kissinger ad un giovane, ed ancora poco conosciuto Vladimir Putin, che, incontrato il leggendario ex segretario di Stato, si presentò spiegando di aver lavorato del Kgb.  

Finita la guerra, Kissinger – che come tutti ricordano non ha mai perso un particolare accento tedesco – tornò agli studi, laureandosi nel 1950 a Harvard in scienze politiche e poi, nel 1954 prese il dottorato, sempre nell’ateneo dell’Ivy League, con una dissertazione sul Congresso di Vienna dal titolo “Pace, legittimità ed equilibrio”. 

Rimasto come docente ad Harvard, Kissinger iniziò a lavorare come consulente di diverse istituzioni, compreso il dipartimento di Stato, e centri di ricerca e think tank. Il primo impegno politico arriva nel 1960 quando diventa consigliere di politica estera della campagna presidenziale di Nelson Rockfeller con il quale continuerà a lavorare anche per le presidenziali del 1964 e del 1968. Fu proprio durante queste ultime primarie che avvenne il suo primo incontro con Richard Nixon che Kissinger all’inizio definì, forse con una certa lungimiranza, “l’uomo più pericoloso da candidare alla presidenza”. 

Ma una volta che Nixon vinse la nomination, fu lo stesso Kissinger a contattare la sua campagna per offrire il suo aiuto e così, dopo la vittoria a novembre, divenne prima consigliere per la Sicurezza Nazionale e poi segretario di Stato. Carica che mantenne anche dopo che, nell’agosto del 1974, Nixon fu costretto, per evitare l’impeachment per lo scandalo Watergate, a dimettersi, lasciando la Casa Bianca a Gerald Ford, fino ad allora suo vice presidente.  

Kissinger ha giocato un ruolo dominante nella politica estera Usa dal 1969 al 1977, ispirandosi ai principi della Realpolitik e della distensione che portarono ad una riduzione delle tensioni con l’allora Unione Sovietica ed alla firma nel 1972 del Salt (Strategic Arms Limitation Talks, Trattato per la limitazione degli armamenti strategici) e dell’Abm (Trattato Anti Missili Balistici).  

Kissinger lavora anche sul fronte di un ‘nemico comunista’: la Cina dove nel luglio 1971 compie una missione segreta sospendendo, con la scusa di un malore, il programma di una visita in Pakistan, ma in realtà spostandosi a Pechino per 48 ore di colloqui con il premier cinese Zhou Enlai. Era la famosa “Operazione Marco Polo”, che permise preparare il terreno allo storico viaggio che, sette mesi dopo, Nixon fece in Cina per riaprire i rapporti diplomatici tra Stati Uniti e Cina. 

Rapporti privilegiati con Pechino che fino all’ultimo Kissinger ebbe fino all’ultimo, come dimostra l’incontro avuto lo scorso luglio nella residenza Diaoyutai, nella capitale cinese, con Xi Jinping. Un incontro che si tenne all’indomani della conclusione della missione nel gigante asiatico dell’inviato Usa per il clima, John Kerry, che non incontrò Xi. Durante la sua visita in Cina, l’ex segretario di Stato vide anche il capo della diplomazia Wang Yi e il ministro della Difesa Li Shangfu, sotto sanzioni americane. 

Intanto gli Stati Uniti continuano ad essere nel “pantano” della guerra del Vietnam, e anche su questo fronte Kissinger avvia trattive segrete che portarono agli accordi di Parigi per un cessate il fuoco, il ritiro delle forze militari americani e la riunificazione pacifica del Vietnam. Per questo accordo, a Kissinger viene conferito quell’anno il premio Nobel della pace insieme al nordvietnamita Le Duc Tho che rifiutò il premio perché lo scontro tra il Nord e il Sud continuava a dilaniare la sua terra.  

Due membri del comitato del Nobel si dimisero per protesta contro la decisione di premiare Kissinger ed in tutto il mondo venne, e viene ancora criticata, la scelta di conferire il riconoscimento per la pace al maestro della ‘realpolitik’. Soprattutto da parte di chi ricordava e ricorda il ruolo che Kissinger ha avuto su un altro fronte caldo della politica estera americana, quella del cosiddetto “back yard”, il cortile di casa, l’America Latina dove Washington ha appoggiato golpe e giunte militari sanguinarie. 

A partire da quello con cui, l’11 settembre proprio dell’anno in cui Kissinger vinceva il Nobel, il generale Augusto Pinochet rovesciò il governo democraticamente eletto del socialista Salvador Allende. In molti sostengono che Kissinger abbia avuto pesanti responsabilità nel sostenere Pinochet ed abbia avuto un ruolo nella triste stagione delle dittature latino-americane. In particolare nel cosiddetto Plan Condor, un’operazione a cui partecipavano le giunte militari di Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay e Uruguay per sopprimere i dissidenti all’interno dei loro Paesi ed all’estero.  

Nel 2001 il famoso giornalista Christopher Hitchens ha pubblicato il libro ‘The trial of Henry Kissinger’, in cui accusa l’ex segretario di Stato di “crimini di guerra, contro l’umanità, violazioni delle leggi internazionali”, facendo un lungo elenco di crimini in Vietnam, Bangladesh, Cipro e Timor est, bollando il diplomatico come “un fantastico bugiardo con una memoria prodigiosa”.  

6102.- La famiglia naturale, la base per legami veri

Cacciari parla di “famiglia patogena” sostenendo che bisogna accantonare l’idea di famiglia naturale per superare le tensioni attuali. In realtà è l’innaturale a generare violenza. La natura, invece, è l’alfabeto che regola rapporti veri e appaganti.

Da La Nuova Bussola Quotidiana, di Stefano Fontana, 30_11_2023

Il confronto-scontro in corso circa il cosiddetto “femminicidio”, dopo la tragica uccisione di Giulia Cecchettin, è molto incentrato su cosa si ritiene essere una famiglia. Il titolo stesso del Ddl Roccella sul contrasto alla violenza di genere approvato dal Senato in via definitiva parla di “violenza domestica”, qualcosa quindi che si consuma tra le mura di casa. Anche il ridicolo e inconsistente richiamo al “patriarcato” come causa di questi fenomeni ha a che fare con la famiglia, in questo caso la famiglia appunto patriarcale. L’attentato terroristico a Pro Vita & Famiglia testimonia ulteriormente che l’obiettivo è colpevolizzare la famiglia addossandole le responsabilità del “femminicidio”.

L’idea cavalcata è quindi quella della “famiglia patogena”. Sarebbe essa a provocare patologie nei comportamenti, insicurezze, carenze formative, difficoltà di relazioni, ansie e atti di violenza. L’espressione “famiglia patogena” è stata di recente coniata da Massimo Cacciari in un passaggio della trasmissione Otto e mezzo, condotta da Lilly Gruber [vedi QUI]. La famiglia, secondo il professore, è qualcosa di storico, si è sempre evoluta in molte forme e oggi ha completamente abbandonato l’idea di essere qualcosa di naturale. Proprio questo passaggio dalla natura alla storia, da una visione statica e chiusa ad una dinamica e aperta, creerebbe quelle patologie che poi si esprimono anche in forme violente. La soluzione sarebbe di non rivendicare più alcuna caratteristica naturale per la famiglia, perché questo farebbe continuare la tensione attuale, ma di transitare le menti verso una piena accettazione della sua storicità e pluralità di sensi, senza più rimpianti patogeni. A questo le persone vanno aiutate, secondo Cacciari, tramite la scuola in primo luogo e poi tramite gli amici, affinché non si sentano più a disagio nelle nuove forme di famiglia. In questo modo viene appoggiata la politica governativa di introdurre nuovi percorsi di educazione alle relazioni sentimentali e alla diversità.

Avere una storia, tuttavia, non significa essere storia. Ciò vale anche per la famiglia. Essa ha certamente assunto varie forme organizzative e di vita. La famiglia patriarcale – quella che secondo i sostenitori del femminicidio a base familiare esisterebbe tuttora e sarebbe la causa del disastro – non esiste più da tempo. Si tratta però di cambiamenti sociologici perché, anche nel caso della famiglia mononucleare, sempre di famiglia si tratta. La famiglia ha avuto e ha una storia, ma non è storia, perché questo significherebbe che non esista la famiglia ma solo le famiglie, caso per caso. Significherebbe non poterle più chiamare nemmeno con lo stesso nome di famiglie perché non ci sarebbe nessuna struttura universale e permanente che le unifichi, nemmeno per analogia. Significherebbe, infine, che il tempo non sia più il “luogo” in cui ogni famiglia si costruisce, ma solo la successione priva di un senso unitario delle situazioni di vita che, nominalisticamente, chiamiamo famiglia.

L’abbandono della visione naturale della famiglia la trasformerebbe in una semplice aggregazione di cittadini. Come far parte di un circolo del tennis o di un coro amatoriale, la famiglia sarebbe un’aggregazione elettiva, la cui unica motivazione sarebbe la scelta di chi decide di parteciparvi. È stato questo il caso, per esempio, della legge Cirinnà che, legiferando sulle unioni civili, chiama famiglia un’aggregazione di individui. Che differenza c’è tra un’aggregazione di individui e una famiglia? La prima è un accostamento interessato e strumentale di soggetti intesi come unità numeriche che si sommano gli uni con gli altri; la seconda è un’integrazione complementare di un uomo e una donna che cessano di essere individui isolati e di utilizzare criteri strumentali nei loro rapporti, per vivere insieme secondo una regola indisponibile, non più loro ma della coppia-famiglia. Questo non può derivare dalla semplice aggregazione a base volontaristica, con la quale l’individuo non esce mai da sé stesso, ma richiede di rispondere ad un’inclinazione naturale presente in noi ma che non proviene da noi. Questa è precisamente l’idea di natura umana, la quale inclina naturalmente la donna e l’uomo al “coniugio”, alla procreazione e all’educazione della prole.

Se la famiglia varia nei tempi e nei luoghi, come dice Cacciari, per forza diventa patogena. Non, quindi, perché naturale ma perché ridotta a tempo e spazio. La persona è così sperduta e sradicata, dissolta in esperienze prive di continuità e coerenza, dentro le forme aggregative apparentemente più varie ma nella realtà imposte e rese artificialmente naturali. L’innaturale elimina l’indisponibile e, quando su tutto si può mettere le mani, il conflitto e la violenza sono inevitabili. La natura viene interpretata á la Cacciari come qualcosa di astratto e imposto. Invece è la nostra vita libera perché protetta nei suoi elementi indisponibili. La nostra natura è l’alfabeto con cui possiamo avere legami veri, appaganti e privi di violenza.

6101.- No al ddl Roccella sulla violenza alle donne

Appezziamo Eugenia Roccella da sempre, ma concordiamo con Stefano Fontana.

Dalla Redazione del Blog di Sabino Paciolla, di Stefano Fontana, 30 Novembre 2023

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto dall’amico Stefano Fontana e pubblicato su . Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. Eugenia Roccella

Il nostro Osservatorio esprime una valutazione molto negativa del cosiddetto ddl Roccella (dal nome del ministro della famiglia e delle pari opportunità), approvato definitivamente dal Senato nei giorni scorsi e avente ad oggetto “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”. Sia il governo che il parlamento hanno preferito seguire l’emozione della pubblica opinione costruita ad arte dopo l’omicidio di Giulia, aderendo a una visione della problematica distorta dall’ideologia e approvando delle misure nell’ambito della educazione e della pubblica istruzione decisamente inaccettabili. La maggioranza parlamentare e il si sono adeguati, per carenza di criteri culturali alternativi, alla corrente di pensiero di sinistra e radicale, rumorosa e tendenziosa ma non per questo attendibile.

La drammatica e riprovevole vicenda dell’omicidio di una giovane donna, rubricata sotto l’etichetta ideologica di “femminicidio”, corrisponde ad una realtà volutamente deformata a cui si sono prestate le maggiori testate giornalistiche e, soprattutto, le televisioni nazionali sia private che statali. Tutti hanno recitato con pressante insistenza e pervasività lo stesso copione. Nelle scuole statali si è iniziata una propaganda a senso unico. Anche il mondo cattolico vi ha ampiamente aderito, se i settimanali diocesani non hanno avuto dubbi a parlare di “violenza di genere”, accodandosi alla versione “ufficiale”, e se nelle omelie domenicali i sacerdoti hanno ampiamente ripreso questo fatto, dopo aver nascosto invece quello di Indi Gregory. La linea culturale è stata dettata dalla sinistra sociale e dal movimentismo femminista e omosessualista secondo i quali il “femminicidio” è un disastro diffusissimo, le donne sono vittime in quanto donne, essere donna è la più recente delle forme di discriminazione, la colpa è del maschio in quanto tale, questi fatti avvengono prevalentemente in famiglia e tra le mura domestiche, sono in pericolo i diritti delle donne ma anche quelli di ogni “diverso”, la rivoluzione femminista e di genere non è ancora finita perché in Italia c’è un rigurgito di “fascismo”, di sessismo e di visione patriarcale. Peccato, come dicevo, che il governo e i parlamentari abbiano assunto acriticamente queste invenzioni funzionali a far passare una linea culturale radicale.

I fenomeni di uccisione di donne per motivi di relazione con il partner maschio sono molto più limitati di quanto si dice, come ha anche affermato di recente il prefetto di Padova. Il movimentismo sociale di sinistra, femminista e omosessualista, ha compiuto un vero e proprio attacco terroristico alla sede romana di Pro Vita e Famiglia – cui va la nostra solidarietà -, con un atto proditorio che nessuno di quell’area sociale e politica ha condannato. Segno, questo, che c’è una regia dietro questa messa in scena del femminicidio e che la polemica è destinata ad altre finalità. Nell’attuale cultura woke la tesi del femminicidio assume il carattere della condanna del maschio in quanto maschio e del padre in quanto padre e quindi viene finalizzata alla distruzione della famiglia naturale. A questo proposito, i dati delle situazioni rubricate come “femminicidio” dimostrano che si tratta quasi sempre di relazioni più o meno irregolari e disturbate, ma ciononostante l’opinione pubblica viene indotta ad accusare la famiglia in quanto tale, considerandola fonte di violenza in se stessa – anche il titolo della legge parla di “violenza domestica” -, mentre la causa vera è la crisi della famiglia programmata e caparbiamente portata avanti. L’assunzione della donna come simbolo del “diverso” discriminato conduce ad allargare per analogia il discorso ad altri supposti “diversi” come sessuali e transessuali. Le vere situazioni di violenza contro le donne, dall’aborto selettivo all’utero in affitto, non vengono minimamente ricordati.  

Il ddl Roccella accoglie tutto questo, dato che è impossibile assumere la ratio del “femminicidio” così come oggi viene impostata senza accogliere anche tutti questi suoi effetti collaterali. È molto grave che, su questa base, si sia pensato di dover intervenire nella scuola pubblica con percorsi obbligatori di educazione alle relazioni sentimentali e alla diversità. Molto grave prima di tutto perché è una nuova ingerenza dello Stato in ambiti non di sua competenza, tagliando fuori ancora una volta i genitori e imponendo una educazione che ha tutte le caratteristiche di una ri-educazione ideologica voluta e attuata dal potere centrale. Di tutto abbiamo bisogno ma non di un ulteriore accentramento statalistico, soprattutto in campo educativo. Molto grave, poi, perché questi percorsi di educazione forzata saranno riempiti di contenuti assolutamente negativi, prima di tutto dal punto di vista morale. Data la composizione del corpo insegnante della scuola statale, che coltiva in massima parte una cultura ideologicamente di sinistra, relativista e irreligiosa, è inevitabile che il nuovo insegnamento venga riempito di contenuti diseducativi. Purtroppo, ciò varrà anche per le scuole cattoliche paritarie, integrate come sono nel sistema pubblico di istruzione, le quali non si sottrarranno all’inganno essendo già ora permeate della stessa cultura post-naturale di quelle statali strettamente intese. Chiesa e cattolici in genere non hanno nulla da obiettare, perché dovrebbe obiettare un preside di una scuola cattolica paritaria? Il ddl Roccella è una nuova spinta ad uscire dal sistema mediante la scuola parentale cattolica.

Stefano Fontana 

6100.- Le sciacalle di certa politica lordano la memoria di una povera figlia, mirando allo scranno.

La donna è il simbolo dell’amore, anzitutto materno, ma per tutti è anche il simbolo della libertà con il suo essere libera di scegliere se essere madre, moglie, compagna, lavoratrice. L’emozione suscitata dalla crudeltà dell’assassino e l’intento di non rendersi partecipi di uno scontro, che è già difficile chiamare ideologico, hanno consigliato al Governo di unirsi alle forze dell’opposizione per legiferare a difesa delle donne. Anche se questo ha agevolato le adoratrici di satana, un manipolo ristretto, nella strumentalizzazione dell’omicidio contro ogni struttura naturale di famiglia e società, tuttavia ha consentito di conoscere i pericoli che corre questa società.

Le transfemministe tentano la via della battaglia ideologica parlando di patriarcato, che non sanno cosa sia perché la famiglia patriarcale ha ceduto alla famiglia borghese da lungo tempo. Sono, comunque, libere di copulare con maschi svirilizzati, come e quando desiderano, ma ha colpito la sensibilità degli italiani la sorella della vittima con i simboli di satana sulla felpa, che, a cadavere ancora fresco, tenta il proselitismo, avanti alle telecamere. Libera anche di questo? ma non ora.

Aggressione a Pro Vita: torna il clima degli anni Settanta

L’attacco rivendicato dal collettivo transfemminista non è un esito incidentale, ma l’esito di una campagna politica che con la difesa delle donne dalla violenza ha ben poco a che vedere, ma è invece un chiaro tentativo di assalto ideologico.

Da La Nuova Bussola Quotidiana, di Eugenio Capozzi, 29_11_2023

La violenta aggressione alla sede dell’associazione Pro Vita e Famiglia, perpetrata dal collettivo “transfemminista” Non Una di Meno in margine alla manifestazione nominalmente indetta contro la violenza sulle donne sabato scorso 25 novembre a Roma, e ancor più l’agghiacciante rivendicazione di quell’aggressione con un linguaggio che ricorda i peggiori schemi del terrorismo degli anni Settanta, non rappresentano un esito incidentale, ma il logico coronamento della campagna politica di cui quella manifestazione, come molte altre, è stata parte. Una campagna che con il tema della difesa delle donne dalla violenza ha ben poco a che vedere, ma è invece un chiaro tentativo di assalto ideologico e di destabilizzazione politica e culturale.

Occorre riflettere bene su quello che è avvenuto in Italia a partire dal 18 novembre, data del ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, uccisa in circostanze atroci dal suo ex fidanzato. Approfittando dell’emozione suscitata da quel singolo episodio di cronaca nera, un consistente blocco politico-mediatico ha messo in piedi un’operazione propagandistica clamorosa – già preparata peraltro da mesi e anni di martellante indottrinamento nello stesso senso in ogni sede della cultura e dell’intrattenimento – in cui l’Italia è stata rappresentata come un inferno per le donne, un Paese “patriarcale” popolato da legioni di maschi violenti, oppressori, dominatori, per cui si è intimato addirittura a tutti gli uomini in blocco di fare mea culpa e chiedere scusa (e molti sventurati, per sfare sfoggio di femminismo, si sono addirittura prestati a questa messa in scena degna dell’Urss di Stalin).

Si tratta di una rappresentazione completamente scollegata dalla realtà quotidiana, dai dati misurabili, dalle statistiche, che convergono al contrario nell’indicare il nostro Paese come uno di quelli in cui in Europa si verificano meno “femminicidi” e stupri. E si tratta di una operazione spudoratamente ipocrita, volutamente strabica, in quanto omette di specificare che una componente statisticamente significativa della violenza sulle donne – in Italia come, ancor più, nei Paesi dell’Europa settentrionale – è legata all’immigrazione da Paesi in cui, al contrario che in quelli europei contemporanei, la condizione femminile si trova in uno stato di soggezione al dominio di una società quella sì “patriarcale” nel senso peggiore e più violento del termine.

Non è un caso se gli episodi di violenza ai danni delle donne che conquistano la “prima pagina” dei media, e attirano legioni di articoli di denuncia, sono esclusivamente quelli che vedono come responsabili uomini italiani autoctoni, laddove invece quelli messi in atto da immigrati vengono sistematicamente svalutati e relegati nelle brevi di cronaca, quando non viene addirittura taciuta la nazionalità del colpevole.

D’altra parte il corto circuito tra questo inorridito coro “antipatriarcale” e il relativismo culturale altrettanto imperante nel “progressismo” nostrano, con le sue propaggini di immigrazionismo selvaggio, è ben evidenziato dal fatto che alla citata manifestazione “femminista” romana il tema della “violenza strutturale contro le donne e le libere soggettività” è stato accoppiato, non si comprende in base a quale contorta logica, ad attacchi violenti contro Israele, al totale silenzio sulle orrende violenze contro le donne perpetrate da Hamas, all’invocazione di ancor più immigrazione, senza minimamente considerare un problema, tra gli altri, il rapporto tra fondamentalismo islamico e assoggettamento femminile.

Tale spregiudicata e disonesta ondata di indottrinamento può essere spiegata,  a mio avviso, secondo due direttrici fondamentali. La prima è la  precisa volontà, da parte dell’opposizione politica saldata al mainstream mediatico e culturale, di colpire con ogni pretesto il governo di Giorgia Meloni, montando e strumentalizzando contro di esso qualsiasi episodio di cronaca: in questo caso, per additare l’attuale esecutivo come responsabile “a prescindere” di ogni sopruso subìto dal genere femminile, in quanto conservatore, di destra, quindi maschilista (benché guidato da una donna, che in tal caso viene persino privata della sua appartenenza di genere, in quanto “traditrice”). La seconda è l’utilizzo di ogni occasione, da parte del compatto blocco sopra citato, per importare e imporre a tappe forzate nel nostro Paese tutti gli aspetti dell’ideologia progressista woke attualmente egemone nei Paesi anglosassoni, fondata sul soggettivismo totale e sul rifiuto di ogni struttura naturale di famiglia e società. Un’importazione che, quando appunto sulla spinta di risposte emotive riesce a superare le resistenze di elementare buonsenso tipiche di Paesi di tradizione cattolica più solida, dotati di strutture familiari più coese, in cui la secolarizzazione radicale è arrivata più tardi e in forma più attutita, provoca smottamenti clamorosi, con contrapposizioni di una violenza inusitata (come è accaduto in altre nazioni in ciò analoghe, come Spagna, Portogallo, Irlanda).

La fusione tra queste due componenti ci aiuta a contestualizzare l’enorme sproporzione tra la natura dei fatti e la spropositata tensione politica che a partire da essi è stata costruita nelle ultime settimane. E soprattutto ci aiuta a comprendere perché certe esagitate manifestanti “anti-patriarcali” abbiano considerato naturale e giustificabile un’esplosione di violenza altrimenti inspiegabile contro un’associazione cattolica che si batte contro l’aborto, l’eutanasia, l’indottrinamento Lgbt nelle scuole, l’utero in affitto.

Ciò avviene, evidentemente, perché a quanti hanno sposato la campagna ideologica di criminalizzazione dell’Italia come Paese “patriarcale” non importa nulla di promuovere una prevenzione fattuale ed efficace delle violenze sulle donne. Essi vogliono soltanto colpire in ogni modo la famiglia naturale, la paternità e la maternità, la fecondità. Il loro nemico sono innanzitutto i cristiani, e tutti coloro che continuano a mantenere in piedi la continuità della nostra civiltà con le sue radici. Il loro obiettivo, in sintonia con i fanatici woke che essi scimmiottano, è quello di ridurre la società a una somma disgregata di individui isolati, anaffettivi, diffidenti gli uni degli altri, incapaci di qualsiasi relazione solida, dediti soltanto ossessivamente alla ricerca di gratificazioni egotistiche ed effimere.

6099.- L’adesione della Svezia alla Nato è stata rinviata al parlamento turco

Da:  EURACTIV.com con Reuters | traduzione di Simone Cantarini, 17 nov 2023

Foto d’archivio. Il vicepresidente turco Fuat Oktay parla durante la parata militare per celebrare l’invasione turca di Cipro nord nel 1974, a Nicosia, Cipro, il 20 luglio 2018. Ora parlamentare, Fuat Oktay ha dichiarato il 16 novembre 2023 che la commissione per gli affari esteri, controllata dal partito al governo Giustizia e Sviluppo (AKP) del presidente Recep Tayyip Erdoğan terrà ulteriori colloqui e potrebbe riportare il disegno di legge all’ordine del giorno la prossima settimana, ma non ha fissato una tempistica chiara. [EPA-EFE/ANDREAS MANOLI]

     

La commissione per gli Affari esteri del parlamento turco, controllata dal partito al governo del presidente Recep Tayyip Erdoğan Giustizia e Sviluppo (AKP), ha rinviato giovedì (16 novembre) il voto sulla candidatura della Svezia all’adesione alla NATO, un’ulteriore battuta d’arresto per le speranze del Paese nordico di aderire all’alleanza occidentale dopo 18 mesi di attesa.

Il presidente della commissione Fuat Oktay e membro del partito AKP ha affermato che i parlamentari terranno ulteriori colloqui, sottolineando che il disegno di legge potrebbe ritornare all’ordine del giorno la prossima settimana, ma non ha fissato una tempistica chiara.

“Affinché tutti i nostri parlamentari possano approvare l’adesione della Svezia alla NATO, è necessario che siano pienamente convinti. Discuteremo tutti questi aspetti nella nostra (prossima) riunione della commissione (sulla questione)”, ha detto Oktay, già vicepresidente turco, ai giornalisti dopo ore di dibattito.

La commissione può approvare i progetti di legge a maggioranza semplice. Potrebbe invitare l’ambasciatore svedese a informare i parlamentari se necessario e se i regolamenti del Parlamento lo consentono, ha aggiunto Oktay.

Erdoğan ha detto questo mese che cercherà di facilitare il processo di ratifica, ma ha aggiunto che la Svezia non ha intrapreso azioni sufficienti nei confronti dei militanti curdi che hanno ricevuto asilo politico.

Per essere ratificato, il disegno di legge deve essere approvato dalla Commissione prima di essere sottoposto al voto parlamentare, che potrebbe avvenire giorni o settimane dopo. Erdoğan lo firmerebbe poi in legge per concludere il processo, la cui durata ha ormai frustrato gli alleati di Ankara in seno alla NATO e messo alla prova i suoi legami con l’Occidente.

La Svezia e la Finlandia hanno chiesto di aderire alla NATO nel maggio dello scorso anno in seguito all’invasione russa dell’Ucraina.

All’epoca Erdoğan aveva sollevato obiezioni ad entrambe le richieste riguardo a quella che, a suo dire, era la protezione delle nazioni nordiche nei confronti di coloro che la Turchia considera terroristi, nonché agli embarghi commerciali imposti da Svezia e Finlandia nel settore della difesa. La Turchia ha appoggiato l’offerta della Finlandia in aprile, ma sta temporeggiando sulla Svezia.

La Turchia ha chiesto alla Svezia di compiere ulteriori passi per tenere a freno i membri locali del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), considerato un gruppo terroristico dall’Unione europea e dagli Stati Uniti.

In risposta, Stoccolma ha introdotto un nuovo disegno di legge antiterrorismo che rende illegale l’appartenenza a un’organizzazione terroristica, revocando allo stesso tempo le restrizioni sull’esportazione di armi alla Turchia. Dice di aver mantenuto la sua parte dell’accordo firmato l’anno scorso.

Il parlamento turco ratificherà la candidatura della Svezia alla NATO, resta il veto dell’Ungheria

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha presentato lunedì (23 ottobre) il disegno di legge alla Grande nazionale assemblea di Turchia (il parlamento monocamerale turco) che approva la richiesta della Svezia di aderire alla NATO, lasciando solo l’Ungheria a ostacolare …

I parlamentari turchi non sono ancora convinti

Nonostante i commenti del viceministro degli Esteri turco Burak Akcapar che delineavano le misure adottate dalla Svezia, i parlamentari sia del partito al potere AKP che dell’opposizione hanno espresso riserve e, con una mossa rara, hanno ritardato il voto.

“Apprezzo l’allargamento della NATO. Tuttavia, dobbiamo rimuovere alcune controversie dalle nostre menti. La Svezia è diventata un rifugio sicuro, o un paradiso, per alcune organizzazioni terroristiche”, ha affermato Ali Sahin, un deputato del partito AKP.

“Troviamo preziosi i passi compiuti finora dalla Svezia, ma non li riteniamo sufficienti”, ha aggiunto.

Anche i membri della NATO Finlandia, Canada e Paesi Bassi hanno adottato misure per allentare le politiche di esportazione di armi verso la Turchia durante il processo, mentre la Casa Bianca ha affermato che andrà avanti con il trasferimento di aerei da combattimento F-16 alla Turchia in consultazione con il Congresso degli Stati Uniti.

Sebbene non vi siano tempi chiari per l’approvazione della richiesta di acquisto degli F-16, Ankara ha collegato la questione all’offerta della Svezia. Giovedì Oktay ha ribadito il punto di vista di Erdoğan secondo cui “se loro hanno un Congresso, noi abbiamo un Parlamento”.

Alcuni analisti sostengono che il Parlamento turco potrebbe ratificare integralmente la proposta durante la riunione dei ministri degli Esteri della NATO che si terrà a Bruxelles il 28 e 29 novembre.

Un alto funzionario del Dipartimento di Stato americano, parlando in condizione di anonimato, ha detto che la Turchia è “molto interessata” a finalizzare la ratifica prima dell’incontro della NATO a Bruxelles, anche se alla fine è stata Ankara a farlo.

“Ora spetta a loro decidere se il loro sistema otterrà il consenso in quel lasso di tempo, ma continueremo a parlarne con loro”, ha detto il funzionario.

Sebbene l’amministrazione Biden non abbia collegato la ratifica con la vendita di jet F-16, i membri del Congresso hanno chiarito che difficilmente approveranno tale vendita finché la Turchia non ratificherà l’offerta NATO del paese nordico, ha detto il funzionario.

“Come amministrazione, stiamo cercando di tenere entrambe le parti pronte a muoversi in modo tempestivo.”

Il ritardo giunge mentre si sta acuendo il divario tra la Turchia e i suoi alleati occidentali sul conflitto tra Hamas e Israele nella Striscia di Gaza. A ciò si aggiunge la dura diplomazia condotta da Ankara sulla guerra in Ucraina che ha infastidito anche alcuni alleati. Ankara mantiene buoni rapporti con Mosca e Kyiv, opponendosi all’invasione russa ma anche alle sanzioni occidentali contro Mosca.

Per la presidente dell’Ungheria la Svezia deve dimostrare di meritare l’adesione alla NATO

La Svezia deve dimostrare di meritare l’adesione alla NATO, ha dichiarato mercoledì (8 novembre) la presidente ungherese Katalin Novák, esortando i parlamentari nazionali a firmare la candidatura del Paese.

Stoccolma ha chiesto di entrare nell’alleanza militare occidentale poco dopo l’invasione …

Sebbene anche l’Ungheria, membro della NATO, non abbia ratificato l’adesione della Svezia, la Turchia è vista come il principale ostacolo all’adesione della Svezia.

Sempre giovedì, l’ambasciatore americano in Ungheria ha detto di essere stato assicurato dal governo ungherese che Budapest non sarebbe stata l’ultima a ratificare la proposta della Svezia, aggiungendo di essere “fiducioso” che Stoccolma diventerà presto membro della NATO.

6098.- Ecco come la Turchia arma la Russia. Report Ft

La premessa di Mario Donnini

La politica di Washington di usare la NATO per circondare la Federazione Russa e di opprimerla con le sanzioni potrebbe aver avuto e ancora avere successo se gli Stati Uniti fossero sempre il leader senza condizioni almeno dell’Occidente. In realtà, le sanzioni hanno oppresso, sopratutto, i Paesi dell’Unione europea e l’adesione della Svezia alla NATO, ancora attende l’approvazione della commissione per gli Affari esteri del parlamento turco, controllata dal partito al governo del presidente Recep Tayyip Erdoğan.

Anche se l’abilità dello statista Erdoğan e le sue mire possono far pensare a un tiro alla lenza, è vero che il presidente e i parlamentari turchi potranno approvare l’adesione della Svezia alla NATO solo se e quando ne saranno pienamente convinti. Nel frattempo, Stoltenberg avrà un bel cantare: “È giunto il momento” che Ankara approvi…”. La Turchia chiama in causa, ora, i regolamenti parlamentari, ora, le politiche del governo svedese verso i curdi, ma uno sguardo alla carta geografica fa capire che ad Ankara non giova stringere il cappio intorno al collo di Mosca e che la situazione creata ad arte in Ucraina può non suscitare apprensione soltanto in chi ha di mezzo un oceano a proteggerlo e – diciamolo in chiaro – se ne frega delle conseguenze della sua politica per i Paesi NATO: conseguenze a lungo termine. Quindi? Quindi, se a una lettura superficiale, la politica del presidente Erdoğan non fa onore agli impegni della Turchia verso la NATO, è probabile, invece, che sia la politica della NATO, di Washington e di chi là detta legge a mettere in difficoltà i suoi legami con gli Stati membri di questa alleanza ormai orfana: orfana e tradita perché è divenuta offensiva e perché noi europei non abbiamo né voglia né intenzione di ammazzare un russo.

Se questo è chiaro, possiamo, facilmente, prevedere che la ratifica della Turchia dovrà attendere un nuovo corso della politica USA in Europa e non soltanto la fine del massacro degli ucraini e dei russi. Ma l’Asia è alle porte e preme. Ci sarà questo nuovo corso?

Che cosa ha svelato il Financial Times sul sostegno della Turchia alla macchina bellica della Russia.

Da Startmag, l’articolo di Marco Orioles di ieri 28 Novembre 2023. Aggiornato 29 novembre 2023

L’impiego di droni su larga scala da parte della Russia nella guerra in Ucraina non sarebbe possibile se Paesi come la Turchia evitassero, come Ankara sta facendo adesso, di rifornire la macchina bellica di Mosca con beni dual use come i microchip che, grazie a un complesso gioco elusivo che si basa soprattutto sul ricorso a intermediari, da quel Paese prendono la volta della Russia in barba alle sanzioni occidentali. È quanto emerge da un recente articolo del Financial Times che riporta i dati di questi flussi commerciali vietati.

La visita del sottosegretario Usa.

Questa settimana, riporta il Financial Times, il sottosegretario Usa al terrorismo e all’intelligence finanziaria Bryan Nelson visiterà Istanbul e Ankara allo scopo di discutere “gli sforzi per prevenire, interrompere e indagare le attività finanziarie e commerciali che aiutano lo sforzo della Russia nella sua guerra contro l’Ucraina”.

Si tratta del secondo viaggio in Turchia del sottosegretario, che arriva nel momento in cui sono emerse prove del trasferimento diretto dalla Turchia alla Russia di beni e merci dual use che vengono impiegati nella macchina bellica di Mosca.

Flussi commerciali sospetti.

Nei primi tre mesi del 2023, riferisce ancora Ft, la Turchia avrebbe esportato verso la Russia e cinque Paesi ex sovietici sospettati di agire da intermediari 158 milioni di dollari di 45 beni che gli Usa classificano come “di alta priorità”: si tratta di tre volte il livello registrato nello stesso periodo del 2022 oltre che di molto superiore della media di 28 milioni registrata negli anni compresi tra il 2015 e il 2021.

Le 45 categorie di beni includono articoli come i microchip e le attrezzature per comunicazioni che sono soggette a controlli dell’export da parte degli Usa, dell’Ue, della Gran Bretagna e del Giappone per impedire che entrino in Russia.

Ma questi controlli possono essere aggirati da aziende che usano strutture intermediarie per nascondere la vera destinazione di quei flussi d’export.

Importazioni record dai Paesi G7.

C’è un’altra statistica sospetta secondo Ft ed è quella che vede le importazioni di beni di alta priorità della Turchia dai Paesi G7 aumentare quest’anno di ben il 60% rispetto ai periodi precedenti, raggiungendo la somma record di 500 milioni di dollari.

Esplosione dell’export turco.

Questi dati vanno letti in parallelo a quelli che mostrano l’esplosione dell’export di questi stessi beni dalla Turchia verso Paesi come l’Azerbaigian, la Georgia, il Kazakistan, il Kirghizistan e l’Uzbekistan dove le agenzie statistiche non hanno registrato un incremento equivalente delle importazioni.

Ad esempio, mentre il Kazakistan ha dichiarato importazioni dalla Turchia di questi beni tra gennaio e settembre pari a 6,1 milioni, i dati della Turchia mostrano che le esportazioni in Kazakistan erano pari a 66 milioni.

Questa discrepanza indica che i beni in partenza dalla Turchia destinati formalmente agli intermediari vengono trasportati direttamente in Russia.

Il monito del sottosegretario.

Come evidenziato dalla visita del sottosegretario Usa, adesso Washington e Bruxelles vogliono porre fine a questo giochino. Come ha dichiarato alla stampa James O’Brien, assistente Segretario di Stato Usa agli Affari Europei e Euroasiatici, “gli Usa, l’Ue, l’U.K. e i nostri partner G7 hanno chiarito che non vogliamo che i nostri partner chiave diventino posti in cui si aggirano le nostre sanzioni”.

Riferendosi ai recenti attacchi con droni condotti dalla Russia in Ucraina, O’Brien ha affermato che “il tipo di beni che supportano questi attacchi sono cose che vengono spesso importate dall’Occidente o da Paesi G7 attraverso alcuni Paesi che fungono da magazzino, e noi vorremmo por fine a tutto questo il prima possibile”.

L’ammissione del ministro turco.

Il ministro degli Esteri turco ha tuttavia dichiarato che, sebbene il Paese non osservi le sanzioni occidentali, “è parte integrante della nostra politica uno stretto monitoraggio atto ad impedire ogni tentativo di eludere le sanzioni attraverso la Turchia”.

Giurando che le aziende turche “rispettano in modo stringente” le sanzioni, il ministro ha tuttavia dovuto ammettere che “ci sono inevitabilmente tentativi di evasione da parte di entità oscure e insignificanti che o non sono al corrente delle restrizioni o sono loro indifferenti”.

Tensioni geopolitiche.

Queste tensioni arrivano in un momento particolarmente delicato delle relazioni tra Turchia e Occidente. Ankara spera ancora di ricevere dagli Usa un certo numero di jet F-16 con cui rimpiazzare l’obsoleta flotta della sua aviazione, ma l’accordo è ostacolato dalle lungaggini con cui il governo di Erdogan sta tenendo in ostaggio la procedura per l’approvazione dell’ingresso della Svezia nella Nato.

Risale peraltro alla settimana scorsa il plateale scontro tra lo stesso presidente turco e il cancelliere tedesco Scholz dopo che quest’ultimo, durante la visita del primo a Berlino, ha risposto no alla richiesta di Erdogan di acquisire un certo numero di caccia Eurofighter Typhoon.

6097.- Aifa ammette in tribunale: nessun dato su efficacia e benefici dei vaccini

Già davanti al TAR, il 6 dicembre di un anno fa, l’Agenzia Italiana del Farmaco, messa sotto pressione dal Tribunale Amministrativo del Lazio, prima si contraddisse e poi confessò di non poter esibire la necessaria (e obbligatoria) documentazione, cui era condizionata la vendita dei vaccini anti-Covid. Intanto che il presidente della Lega Italiana Tumori si interroga sull’aumento delle patologie (più 15%) la Commissione parlamentare d’inchiesta è stata tarpata dal Capo dello Stato, i contratti dell’Unione europea con le case farmaceutiche sono blindati dal segreto e in galera non va mai nessuno.

Da La Nuova Bussola Quotidiana, di Andrea Zambrano, 27 novembre 2023

Al momento della messa in commercio dei vaccini, Aifa non aveva dati su efficacia, trasmissione del virus e rapporto rischi/benefici perché erano tutti in possesso dell’Ema e lo sono tuttora. Una sentenza del Tar apre interrogativi inquietanti sull’approvazione al buio dei vaccini. Eppure è stato ripetuto come un mantra dai governi che i dati Aifa erano decisivi. 

Durante la campagna vaccinale Aifa non aveva i documenti sull’efficacia dei vaccini. Non c’è solo il pesante sospetto che l’ente nazionale del farmaco abbia taciuto gli eventi avversi che arrivavano dai centri vaccinali e che è alla base dell’inchiesta sugli Aifa leaks della Procura di Roma. L’organismo di regolamentazione non aveva nemmeno a disposizione la documentazione basilare che avrebbe dovuto comprovare che i vaccini fermassero il virus, il rapporto rischi benefici e l’efficacia degli stessi.

Eppure, questi tre corollari sono stati profusi come un mantra nel corso della campagna vaccinale come dati indiscutibili. Invece Aifa non aveva niente sottomano che giustificasse il trionfalismo sul vaccino, per il semplice motivo che queste informazioni sono (asseritamente) in possesso di Ema e dunque Aifa non può esibirla oggi in un contraddittorio a riprova della correttezza delle sue azioni.

La vicenda kafkiana arriva da un tribunale italiano, precisamente il Tar del Lazio, che ha rigettato un ricorso di un gruppo di sanitari sospesi e non e di danneggiati. E alla base della motivazione di rigetto, inoppugnabile tanto che i ricorrenti non intendono nemmeno fare appello, è che la documentazione non è disponibile per il semplice motivo che sarebbe in Ema e dunque è all’ente europeo del farmaco che bisognerebbe chiedere.

Ma allora, sorge una domanda: se non era in possesso delle evidenze scientifiche sull’efficacia, sulla trasmissibilità e sul rapporto rischi-benefici, sulla base di che cosa ha autorizzato l’immissione in commercio dei vaccini anti covid? E sulla base di quale dato scientifico si è costruita la narrazione diventata virale durante la campagna vaccinale del non ti vaccini, ti ammali e muori? O dei rischi che superano nettamente i benefici?

Le domande sorgono spontanee leggendo la sentenza numero 01331/23 pronunciata l’11 luglio scorso dalla sezione Terza Quater del Tar del Lazio.

Opponenti un centinaio abbondante di sanitari, alcuni anche danneggiati da vaccino, che si sono rivolti all’avvocato italo-tedesco Francesco Golinelli per opporsi al diniego di Aifa alla loro domanda di accesso ad alcuni dati inerenti all’immissione in commercio dei vaccini anti covid. La domanda all’osso formulata dall’avvocato Golinelli assieme ad un team di legali e sviluppata sotto forma di 9 quesiti specifici era la seguente: «Dato che i provvedimenti di sospensione dal lavoro si diceva che erano motivati da evidenze scientifiche – spiega Golinelli alla Bussola – abbiamo chiesto ad Aifa di indicarci quali sarebbero queste evidenze che giustificavano il mantenimento in commercio dei vaccini. Ma non abbiamo ricevuto risposta, se non qualche generico riscontro senza alcun riferimento scientifico».

Così Golinelli col team di legali da lui approntato ed i suoi assistititi hanno presentato ricorso al Tar e il Tar ha emesso una sentenza che da un lato raffredda le loro aspirazioni a vedersi riconosciute le ragioni, ma dall’altro apre più di un inquietante interrogativo su come l’Aifa abbia gestito la campagna vaccinale con annessi e connessi di sicurezza e efficacia.

«Nel merito il ricorso è infondato», scrive la presidente della Corte Maria Cristina Quiligotti. Ma a sorprendere è il motivo per cui il ricorso è infondato. Semplice: perché quei dati richiesti, Aifa non li ha e non li ha mai avuti. Infatti, nella sentenza, la Corte rimarca proprio questo concetto: «Nel caso in esame – si legge nel dispositivo – l’Aifa ha dichiarato di non essere in possesso della documentazione richiesta dai punti 1 a 6, con la conseguenza che il ricorso deve essere respinto proprio alla luce della dichiarazione Aifa».

È così, avete capito bene: in pratica l’ente del farmaco ha dato tutti i via libera di legge per la somministrazione dei vaccini senza avere a disposizione studi, dati, comunicazioni proprie fatte sue che ne comprovassero l’efficacia e i rapporti rischi benefici, affidandosi completamente ai dati in possesso di Ema di cui Aifa non tiene evidentemente neanche una copia nei cassetti. Eppure, in tutte le circolari, comunicazioni, report che Aifa ha diramato durante questi due anni di campagna vaccinale ha sempre confermato tanto l’efficacia quanto i benefici dei vaccini. Solo che non ha niente sottomano per poterlo comprovare.

A riprova dell’importanza del fatto, c’è che Aifa si è costituita direttamente in giudizio e che il Tar non ha emesso una sentenza nel metodo, ossia solo in rito, come fa spesso, ma nel merito – prosegue alla Bussola Golinelli -. A questo punto è legittimo chiedersi: «In base a che cosa i cittadini sono stati chiusi dentro casa? E sulla base di quale evidenza scientifica i cittadini sono stati praticamente costretti a inocularsi il vaccino pena la perdita dei diritti civili?».

In effetti, se Aifa avesse almeno fornito dei dati provenienti da Ema, ma in suo possesso si sarebbe potuto almeno accusare l’ente del farmaco di non aver svolto indagini proprie, ma di essersi fidata dell’ente europeo di regolamentazione del farmaco. Eppure, Aifa non dipende da Ema, ma dal Ministero della Salute, è ad esso che deve rendere conto. Ma qui siamo di fronte al fatto che Aifa non avesse uno straccio di prova; quindi, si è fidata ciecamente di Ema, al buio, facendo soltanto da passacarte per la commercializzazione del farmaco.

Nel ricorso si chiedeva dunque conto di obbligare Aifa a fornire «i documenti della determina 154/2020», che giustificava l’immissione al commercio per il vaccino Pfizer (1); quelli della stessa determina per il vaccino Moderna (2); per Astrazeneca(3); e per Janssen (4). Al quesito 5 venivano richieste «le evidenze riguardanti l’efficacia del vaccino anti Covid-19 e la valutazione rischi/benefici per il mantenimento in commercio dei predetti farmaci»; infine, al quesito 6 l’avvocato Golinelli aveva richiesto «gli studi a sostegno del fatto che i vaccini impediscano la trasmissione del virus Sars-Cov-2».

La risposta del giudice è stata ineccepibile: «Il ricorso va respinto perché per queste domande Aifa ha dichiarato di non esserne in possesso perché fanno parte del dossier di autorizzazione depositato presso Ema» e il giudice, citando la giurisprudenza fa riferimento proprio al fatto che se per poterli fornire dovesse effettuare una richiesta di accesso agli atti (in questo caso all’Ema) sarebbe perché non sono nel suo possesso. Quindi non se ne fa nulla.

Viene dunque da chiedersi sulla base di quali studi Aifa abbia informato il ministero della Salute e quindi i governi Conte II e Draghi della bontà dell’operazione vaccini se nemmeno oggi, a un anno dalla fine della campagna vaccinale, è in possesso dei documenti che ne dovrebbero attestare l’efficacia. Eppure il via libera dell’Aifa doveva essere vincolante e decisivo per il nostro Paese. 

Tanto più che i criteri che stabiliscono il corretto rapporto rischi/benefici, che non va inteso in senso collettivistico, ma personale, sono regolamentati da una legge che ovviamente non è stata tenuta in conto se si pensa che quei report nemmeno sono presenti negli uffici di Aifa.

La sentenza è molto simile a quella del dicembre 2022 nella quale sempre al Tar del Lazio Aifa ammetteva di non essere in possesso dei rapporti di sicurezza  perché in possesso esclusivo dell’Ema. Dopo l’assenza di riscontri sulla sicurezza, ora sappiamo che non c’era nulla neppure sull’efficacia, che è il requisito fondamentale oltre alla sicurezza per cui un farmaco e un vaccino devono stare in piedi. 

Appare verosimile che la corruzione – perché di questo si tratta – si avvalga di un filo diretto fra Roma e Bruxelles.

Resta infine da chiarire l’ultimo punto: se bisogna chiederli all’Ema, allora è in Europa che bisogna rivolgersi. «Una mia collega tedesca che ha fatto un ricorso simile – ha detto Golinelli -, ha ottenuto dall’ente europeo un rifiuto altrettanto kafkiano: i dati sono coperti dal segreto che scherma i contratti di acquisto, che l’Ue ha siglato con le singole case farmaceutiche». In poche parole: non possiamo saperlo. È tutto segreto. O forse – e questo è un sospetto legittimo – non c’è mai stato nulla di documentato.

6096.- La legittima difesa di Israele è una vendetta che va oltre il diritto internazionale: “Niente ci fermerà”

Netanyahu è andato a Gaza: “Andiamo fino in fondo, fino alla vittoria” “Niente ci fermerà”. In attesa della fine della tregua e di altre bombe, migliaia di civili, sono allo stremo, per fame e disidratazione. Non ci sono medicinali, non c’è cibo, né acqua, elettricità e carburante. La tregua non è un cessate il fuoco. Fa continuare la guerra e giova a Netanyahu e ad Hamas. Non giova ai popoli israeliano e palestinese. Qatar ed Egitto trattano per gli ostaggi. Liberati altri 17, ma una è molto grave.

I bombardamenti su Gaza distruggono case e infrastrutture

Gaza è una macelleria umana. Immagine tratta da Oxfam

Larison: “Israele sta commettendo crimini di guerra conducendo una ‘guerra della fame’ contro i civili di Gaza”

Da La Nuova Bussola Quotidiana, 27 novembre 2023. Di Daniel Larison.

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Daniel Larison e pubblicato su . Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. Sabino Paciolla.

Il taglio di cibo, acqua e carburante imposto a Gaza ha creato condizioni terribili per i palestinesi in quelle zone solo nelle ultime sei settimane. Presto potrebbero morire di fame.

Il rivolo di aiuti che è stato permesso di far entrare sotto le pressioni internazionali non è nemmeno lontanamente sufficiente a sostenere la popolazione civile. Secondo il Programma Alimentare Mondiale, solo il 10% del cibo necessario sta entrando nella Striscia di Gaza e la popolazione si trova ora ad affrontare una “possibilità immediata di morire di fame”. Il PAM avverte anche che “le infrastrutture alimentari a Gaza non sono più funzionanti” e che il poco cibo disponibile viene venduto a prezzi gonfiati e gran parte di esso non può essere utilizzato perché la gente non ha i mezzi per cucinarlo.

A Gaza si sta verificando una catastrofe umanitaria sotto i nostri occhi. La gente non solo muore di fame, ma viene affamata, e questo avviene con il sostegno del nostro governo.

Human Rights Watch e gli studiosi di diritto affermano che Israele sta commettendo crimini di guerra conducendo una “guerra della fame” contro i civili di Gaza. Nella misura in cui Washington continua ad assistere la campagna militare e il blocco di Israele, contribuisce a renderlo possibile.

Le scarse quantità di aiuti umanitari che l’amministrazione Biden si vanta di facilitare sono una goccia nel mare di ciò di cui la popolazione ha bisogno e, ai ritmi attuali, non possono evitare perdite su larga scala di vite innocenti. La necessità di un cessate il fuoco e di uno sforzo di soccorso di emergenza è innegabile e la resistenza di Washington è una potenziale condanna a morte per migliaia di persone.

La fame è stata usata come arma con una frequenza inquietante in diversi conflitti dell’ultimo decennio, dalla Siria allo Yemen, dal Tigray al Sud Sudan. I governi di solito usano la guerra economica e i blocchi fisici per raggiungere i loro scopi. L’attuale blocco di Gaza comporta entrambe le cose, chiudendo di fatto l’economia di Gaza e tagliandola fuori dai rifornimenti esterni.

L’inedia forzata di una popolazione civile è una forma di punizione collettiva. Israele ha l’obbligo, secondo la Quarta Convenzione di Ginevra, di “garantire l’approvvigionamento alimentare e medico della popolazione”. È evidente che il governo israeliano non sta adempiendo a tale obbligo, anzi sta facendo il contrario.

Non sorprende che il Presidente Biden non abbia avuto nulla di serio da dire su tutto questo nel suo recente articolo sul Washington Post. Il Presidente ha riconosciuto che molti palestinesi innocenti sono stati uccisi in guerra, ma non ha detto nulla sui responsabili della loro uccisione. Biden insiste che non ci deve essere “nessun assedio o blocco” finché entrambi sono in corso. Non ha menzionato alcuna conseguenza se il governo israeliano ignora la sua lista di cose che “non devono” accadere. L’amministrazione Biden può aver “chiesto il rispetto del diritto umanitario internazionale”, ma non sta agendo per sostenerlo e non ritiene responsabili i trasgressori.

Il presidente ha nuovamente respinto l’opzione del cessate il fuoco: “Finché Hamas si aggrappa alla sua ideologia di distruzione, un cessate il fuoco non è pace”. Questo non prende in seria considerazione le conseguenze devastanti che il protrarsi della guerra avrà per tutte le parti in causa. Nessuno immagina che un cessate il fuoco possa risolvere il conflitto o creare immediatamente le condizioni per una soluzione permanente, ma è indispensabile per proteggere la vita e la salute di milioni di persone che rischiano di morire di fame, di malattie e di conflitti.

Come ha spiegato la politologa Sarah Parkinson su Foreign Affairs, “un cessate il fuoco è l’unica politica ragionevole, che aumenta la sicurezza e che è moralmente difendibile, soprattutto se Washington ha qualche speranza di rimanere un attore rispettato in Medio Oriente”. Opporsi a un cessate il fuoco in questa guerra è un profondo errore strategico e morale che costerà caro agli Stati Uniti nei mesi e negli anni a venire”.

Biden sottolinea che gli Stati Uniti stanno aiutando Israele nella sua autodifesa, ma l’autodifesa non dà a uno Stato il diritto illimitato di fare tutto ciò che vuole. All’inizio del mese, Adil Ahmad Haque ha scritto un articolo incisivo sulla legittima difesa e la proporzionalità su Just Security, in cui afferma quanto segue: “Secondo la legge della legittima difesa, anche un obiettivo legittimo deve essere accantonato se è superato dagli effetti dannosi della forza necessaria per raggiungerlo. Anche se il diritto di Israele all’autodifesa è in vigore, il suo attuale esercizio è sproporzionato”.

Se questa guerra stesse accadendo in qualsiasi altro luogo e se non coinvolgesse uno Stato cliente degli Stati Uniti, è molto probabile che il nostro governo insisterebbe sulla necessità di un cessate il fuoco e i funzionari statunitensi ripeterebbero che non esiste una soluzione militare. È solo quando a combattere sono gli Stati Uniti o un governo sostenuto dagli Stati Uniti che Washington non vede il merito di aderire al diritto internazionale. Purtroppo, sembra che gli Stati Uniti siano meno interessati a fermare le guerre su cui hanno una notevole influenza, mentre chiedono a gran voce il cessate il fuoco nelle guerre in cui hanno poco o nessun peso.

Se milioni di persone stessero affrontando una minaccia immediata di fame in qualche altro conflitto, gli Stati Uniti farebbero appello ai belligeranti affinché depongano le armi e facciano tutto il possibile per facilitare la consegna di aiuti salvavita. Questo è esattamente ciò che il nostro governo dovrebbe fare ora in questa guerra. Non basteranno brevi pause nei combattimenti per garantire la consegna sicura e costante degli aiuti.

Agire per autodifesa non libera un governo dagli obblighi che gli derivano dal diritto internazionale, e l’autodifesa non è una scusa valida per violare la legge. Alcuni obiettivi politici e militari non possono essere raggiunti a un costo accettabile. Gli effetti dannosi di questa guerra sono già troppo grandi per giustificarne il proseguimento, e non potranno che peggiorare quanto più a lungo si permetterà a questa guerra di continuare.

Daniel Larison 


6095.- Mattarella esaudito: in Bicamerale Covid indagini a metà

La Commissione bicamerale sulla gestione della Pandemia, con tutti i suoi morti, in buona parte procurati, rischia di coinvolgere il Capo dello Stato, ma tutti – anche il papa – possono sbagliare. Figuriamoci quante volte può accadere nei 14 anni dei 2 mandati.

Nella riforma costituzionale di Giorgia Meloni è fondamentale inserire un articolo a tutela del Capo dello Stato che detti più o meno così:

“ Il deposito di intercettazioni che contengono conversazioni del Capo dello Stato e la verifica e la valutazione da parte delle Commissioni bicamerali della costituzionalità di atti sottoposti al segreto viola le prerogative presidenziali. 

Il Capo dello Stato può a sua insindacabile discrezione, ordinare la cancellazione delle registrazioni.

In deroga all’articolo 82, la commissione che indagherà su materie di pubblico interesse e sulla costituzionalità di atti promulgati dal Capo dello Stato potrà formulare soltanto un giudizio politico e non dovrà attribuirsi compiti propri della magistratura.“

Torna attuale l’articolo di Andrea Zambrano: “Mattarella esaudito: in Bicamerale Covid indagini a metà.”

In Senato il testo della Commissione di inchiesta sul covid, dopo le osservazioni del Capo dello Stato. Escluse verifiche sulla costituzionalità dei Dpcm: su lockdown e green pass ci sarà solo un giudizio politico. Salve le indagini su reazioni avverse e mancate cure. Intanto in Rai fa più scandalo un medico no vax che un pornodivo.

Da La Nuova Bussola Quotidiana di settembre, di Andrea Zambrano, 20_09_2023

Con l’elezione del senatore di FdI Gianni Berrino a relatore avvenuta ieri, l’iter parlamentare della legge che istituisce la Commissione Covid raggiunge l’esame dell’aula del Senato. La Commissione X Sanità, Affari sociali e Lavoro presieduta da Franco Zaffini, ha dato il via libera al testo analizzato in Commissione e modificato dopo le osservazioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Ora, il percorso della legge dovrebbe essere in discesa. «I tempi di calendarizzazione in Senato – spiega alla Bussola il neo eletto relatore Berrino – saranno abbastanza celeri. Poi, come noto, servirà un terzo e ultimo passaggio alla Camera, ma sui tempi non posso sbilanciarmi».

Quel che però è certo è che gli ostacoli che la Commissione si era trovata davanti dopo l’approvazione alla Camera dovrebbero essere stati superati. Il Quirinale, con un intervento di Mattarella in occasione della Cerimonia del ventaglio, aveva mandato un messaggio neanche tanto sibillino ai senatori in procinto di accogliere il testo a Palazzo Madama. Per il Colle, la commissione che indagherà sulla gestione della pandemia non doveva attribuirsi compiti propri della magistratura. Sotto accusa, anche alcune espressioni sulla costituzionalità di alcuni provvedimenti presi dai governi Conte II e Draghi durante lo Stato di emergenza.

Ebbene, da un’analisi degli emendamenti approvati dalla Commissione che ha licenziato il nuovo testo, sembra proprio che i rilievi di Mattarella siano stati tutti accolti.

Come? Cancellando le parti “sgradite” al Colle. 

A cominciare dai limiti e dai poteri in fase inquirente. «L’acquisizione di atti e documenti, che è uno dei compiti della commissione covid, è limitata a quegli atti che giacciono presso gli inquirenti, se non coperti da indagine», ha spiegato Berrino. In poche parole: la Commissione può chiedere alla magistratura atti oggetto di indagine, inerenti alla stagione pandemica e la sua gestione, purché non siano coperti da segreto, in questo caso non potranno essere acquisiti dalla Bicamerale in quanto coperti da indagine.

Ma è con l’eliminazione di due punti in particolare che si può vedere l’intervento più significativo per andare incontro ai desiderata di Mattarella.

Tramite due emendamenti dello stesso Berrino, sono stati tolti infatti due passaggi inerenti alla legittimità costituzionale di alcuni provvedimenti. Il primo si trovava nel testo licenziato alla Camera all’articolo 3 comma 1 lettera t e recitava così: “Verificare e valutare le misure di contenimento adottate dal Governo nelle fasi iniziali e successive della pandemia, individuando eventuali obblighi e restrizioni carenti di giustificazione in base ai criteri della ragionevolezza, della proporzionalità e dell’efficacia, contraddittori o contrastanti con i princìpi costituzionali e valutando se tali misure fossero fornite di adeguato fondamento scientifico, anche eventualmente attraverso la valutazione comparativa con la condotta seguita da altri Stati europei e con i risultati da essi conseguiti».

Nella nuova versione è stato cancellato proprio l’aspetto sul rispetto dei principi costituzionali (che abbiamo sottolineato in grassetto ndr), quindi, la legittimità costituzionale delle misure contenitive non sarà indagata, evidentemente perché quei provvedimenti erano già passati alla valutazione del capo dello Stato. Ciò non toglie che si potrà comunque indagare sulla proporzionalità della risposta politica di fronte alla diffusione e al contenimento del virus, ma il giudizio che ne uscirà sarà solo politico.

La seconda lettera tolta, questa volta integralmente è la “v” che recitava così:“Verificare e valutare la legittimità della dichiarazione dello stato di emergenza e delle relative proroghe nonché dell’utilizzo dello strumento della decretazione d’urgenza”.

Non potremo dunque assistere a indagini sui contestati Dpcm di Conte, che sono stati lo strumento principale con il quale sono stati imposti i lockdown, il green pass, la DaD e poi con Draghi la campagna vaccinale di massa. Tutti provvedimenti imposti in ragione dell’emergenza e che hanno limitato fortemente e compromesso in alcuni casi la libertà dei cittadini. Su questo la Commissione non potrà dunque esprimersi.

Il resto degli emendamenti approvati non costituisce particolari stravolgimentidel testo originario, mentre va registrato che nel corso delle votazioni sono stati respinti tutti gli emendamenti presentati dall’opposizione. Volevano coinvolgere nell’inchiesta anche le Regioni, ma il voto a maggioranza li ha cassati.

Dunque, con l’esclusione delle Regioni e dei paletti fissati dal Colle, il raggio d’azione della Commissione si restringe alla sola attività dei Governi e del ministero della Salute in particolare.

Sono però salvaguardate le indagini sulla campagna vaccinale e sulle mancate cure, nell’ambito del protocollo Tachipirina & vigile attesa. Se da un lato la commissione restringe il suo campo d’azione, dall’altro, potrà concentrarsi meglio sulle due grandi problematiche nazionali mai ancora pienamente accertate: le reazioni avverse da vaccino che sono state minimizzate se non proprio nascoste e le morti in ospedale di pazienti curati troppo tardi sui quali si poteva intervenire in tempo con cure tempestive. Su questi due aspetti la Maggioranza si gioca molto della sua credibilità.

Ma il clima resta ancora quello della caccia alle streghe. Quanto successo ieri a Marcello Foa (in foto), rappresenta un campanello d’allarme, che mostra come l’unica versione che si vuole affermare è quella pandemista, mentre si silenzia il pensiero difforme. Il giornalista, già presidente della Rai, è finito nell’occhio del ciclone per aver invitato nella sua trasmissione radiofonica Giù la Maschera, Massimo Citro della Riva, psicoterapeuta sospeso dall’Ordine perché critico sui vaccini.

Dopo la puntata di ieri, molti esponenti della Sinistra, tra cui Fratoianni, hanno chiesto scandalizzati l’intervento della Vigilanza Rai. La stessa vigilanza Rai che non è intervenuta quando la Rai ha regalato un’ora di diretta al pornoattore Rocco Siffredi. Ma evidentemente per la televisione pubblica di oggi, diffondere un’idea di una pornografia buona è meglio che sollevare dubbi sui vaccini.