Da Istituto Affari Internazionali, n.208, di di Giovanni Carbone, Federico Donelli, Lucia Ragazzi e Valeria Talbot,
Giovanni Carbone è professore di Scienze Politiche all’Università Statale di Milano e responsabile del Programma Africa dell’ISPI.
Federico Donelli è docente di Relazioni Internazionali all’Università di Trieste.
Lucia Ragazzi è Research Fellow per il Programma Africa dell’ISPI.
Valeria Talbot è Senior Research Fellow e responsabile dell’Osservatorio Medio Oriente e Nord Africa dell’ISPI.
1. MAPPARE LA PRESENZA TURCA IN AFRICA
Giovanni Carbone
Nel corso degli ultimi vent’anni la Turchia è emersa come uno degli attori esterni più attivi e dinamici nel continente africano, divenuto sempre più un’arena di competizione non solo delle tradizionali potenze globali ma anche di medie potenze emergenti. La proiezione africana di Ankara rientra nell’ambito di una politica estera che nell’era del Partito Giustizia e Sviluppo (Akp), al potere dal novembre 2002, ha puntato su una maggiore diversificazione delle relazioni politiche ed economiche, ampliandole oltre i tradizionali partner occidentali, nonché sulla penetrazione di nuovi mercati a livello globale anche nell’ottica di accrescere lo status internazionale del paese. Il 2005 è l’anno che inaugura ufficialmente la nuova politica africana della Turchia, dopo l’adozione della Strategy for enhancing the economic and commercial relations with Africa nel 2003. L’azione della Turchia nel continente africano può essere suddivisa in tre distinte fasi – la prima dal 2005 al 2010, la seconda dal 2011 al 2015, la terza a partire dal 2017 – caratterizzate da diversità di approccio, attori e strumenti, pur mantenendo tutte quel pragmatismo di fondo tipico della politica estera dell’Akp. Ragioni di carattere tanto strategico quanto economico sono alla base della cosiddetta apertura della Turchia al continente africano dal Nord Africa al Corno, dal Sudafrica al Sahel. In tutte queste aree Ankara ha portato avanti un’agenda che coniuga una pluralità di interessi e azioni in diversi ambiti (diplomatico, economico, umanitario e culturale), cui si è aggiunto di recente anche il settore della difesa, con l’ambizione di giocare un ruolo di media potenza che propone un modello di sviluppo alternativo a quello dei paesi occidentali o della Cina. L’estensione delle aree di interesse strategico ha inoltre indotto la Turchia a dislocare, in alcuni paesi, una presenza militare sul terreno, trovandosi così a competere con altri attori esterni anche su questo piano.
L’Africa è la regione in cui la più che ventennale strategia di ampliamento delle relazioni esterne della Turchia appare più intensa, diversificata e visibile. A eccezione della Cina, che può contare su risorse straordinarie e su una guida politica fortemente centralizzata e continuativa, nessun altro paese ha dispiegato in maniera così rapida e sistematica una serie di reti istituzionali – politico-diplomatiche, economiche, militari e anche culturali – che attraversano il continente e ne connettono le diverse parti ad Ankara. Un approccio che mostra quanto l’interesse turco per l’Africa sia parte di una strategia di lungo periodo, che coinvolge la totalità della regione, e non frutto di interventi occasionali e opportunistici, come ad esempio le incursioni russe degli anni recenti.
Relazioni diplomatiche e vie di comunicazione
Prima componente del tessuto di relazioni che la Turchia è andata costruendo in questi anni è la rete delle rappresentanze diplomatiche, punto di riferimento del più ampio attivismo di Ankara. La strategia di espansione era stata ufficializzata nel 2008, con l’annuncio dell’intenzione di aprire quindici nuove missioni in Africa, tra ambasciate e consolati. Una volta avviato, tuttavia, l’incremento delle sedi è risultato nei fatti ancora più consistente. La copertura diplomatica diretta in Africa è infatti passata da un mero 22% degli stati della regione nel 2009, con sole 12 ambasciate, all’80% dei paesi nel 2023, con 43 ambasciate1 (speculare l’ampliamento di quelle africane in Turchia, passate da 10 a 38)2. L’estensione della rete turca è oggi superata, per numero di sedi, solo da paesi come Stati Uniti, Cina, Francia e Regno Unito (l’Italia, ad esempio, si ferma a 29). Oltre alle isole minori che fanno parte del continente africano – come Capo Verde o Mauritius – sono lasciati senza rappresentanza diretta solo paesi demograficamente e geograficamente piccoli o molto piccoli (eSwatini, Lesotho, Guinea-Bissau, Liberia) e due soli stati di dimensioni territoriali (Repubblica Centrafricana) o demografiche (Malawi) più rilevanti. A Mogadiscio, in Somalia, in uno dei contesti più difficili e insicuri – dove solo una dozzina di paesi, circa la metà dei quali africani, mantengono ambasciate – Ankara ha il suo più grande complesso ambasciatoriale a livello globale.
1 “Turkey is making a big diplomatic and corporate push into Africa”, The Economist, 23 aprile 2023.
2 M.S. Kalaycioglu, “Iran and Turkey: Competing for Islamic Africa”, iGlobeNews, 13 aprile 2023.
A una rete così densa corrisponde un attivismo bilaterale continuativo, manifesto nella frequenza delle visite diplomatiche effettuate direttamente dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan – che in una ventina d’anni, inizialmente come primo ministro e dal 2014 come presidente, ha effettuato circa 50 missioni nel continente, visitando oltre 30 stati africani3 – e dei suoi ministri degli Esteri, oltre al corrispondente flusso di visite di rappresentati africani nella capitale turca.
3 U. Farooq, “Erdogan seeks to boost ties at Turkey-Africa summit”, Al Jazeera, 18 dicembre 2021.
4 J. Pearson, “Inside Turkish Airlines’ Incredible Africa Growth”, Simple Flying, 1 settembre 2021.
5 B. Babali, “The Scramble for African Aviation”, The Business Year, 24 novembre 2022.
Ad arricchire i legami anche lo status di osservatore presso l’Unione Africana (UA) riconosciuto alla Turchia dal 2005 – che il governo turco proclamò “Anno dell’Africa” – e, dal 2008, quello di partner strategico dell’UA. Una posizione, quest’ultima, ottenuta in precedenza solo da pochi importanti paesi (Cina, India, Giappone e Corea del Sud). Sempre nel 2008 venne organizzato a Istanbul, per il primo anno, un Turkey-Africa Partnership Summit che, tra i temi dell’incontro, delineò termini e forme della “partnership strategica” tra Ankara e UA. Con il summit – al quale parteciparono 49 paesi africani, variamente rappresentati da capi di stato, di governo o dei dicasteri degli Esteri – il governo turco assumeva e mostrava un profilo di alto livello, facendo proprio un costume che si stava diffondendo tra grandi economie avanzate ed emergenti, ovvero quello di riunire appunto i paesi africani, collettivamente, in consessi a loro specificamente dedicati (l’Italia ha organizzato incontri di questo tipo a partire dal 2016). Un secondo e un terzo summit – rispettivamente nel 2014 a Malabo, in Guinea Equatoriale, e nel 2021, con 39 paesi africani, di nuovo ad Istanbul – hanno poi dato continuità a questa pratica.
Al reticolo di sedi di ambasciate sul terreno è stata fin da subito affiancata un’altra trama, quella delle tratte aeree di Turkish Airlines che connettono Istanbul (o, in misura minore, Ankara) a un’ampia maggioranza di capitali africane, nonché ad alcune città secondarie di rilevanza economica o portuale, come Douala in Camerun, Pointe-Noire in Congo-Brazzaville, Port Harcourt in Nigeria, Durban in Sudafrica e Mombasa in Kenya. Il numero delle destinazioni africane ha toccato il picco massimo nel 2019 – ben 52, un aumento di dodici volte rispetto alle quattro destinazioni servite dalla compagnia di bandiera nel 2004, scendendo poi a 44 nel 2021 in virtù dell’impatto della pandemia di Covid-19 sul traffico aereo. Lungi dall’avere un significato esclusivamente politico-diplomatico, l’investimento ha pagato a tutto tondo. Il numero di passeggeri è cresciuto di quasi venti volte, da 320.000 a oltre 6 milioni l’anno (2004-2019), anche grazie al successo di Turkish Airlines nel posizionarsi come vettore per passeggeri europei attraverso l’hub geograficamente favorevole di Istanbul4. Il ritorno economico per la compagnia è stato netto, rendendo quelle africane destinazioni importanti da un punto di vista meramente commerciale5.
Relazioni in ambito economico
Gli investimenti politico-diplomatici turchi hanno contribuito a produrre risultati economici di successo che vanno ben oltre quelli del settore di trasporti e aviazione. Nel 2008 l’intento dichiarato dal governo era stato quello di far crescere il volume complessivo degli scambi commerciali da 17,3 miliardi di dollari a 30 miliardi di dollari in soli due anni6. I tempi necessari a raggiungere questo obiettivo si sono in realtà dimostrati ben più lunghi e il totale dell’interscambio resta ancora distante da quello della Cina (282 miliardi di dollari nel 20227) e, pur in misura minore, anche di India, Stati Uniti e dalle maggiori economie europee. Ma i 30,4 miliardi di dollari di scambi toccati nel 2022 – il 38% (11 miliardi di dollari) con i paesi subsahariani, tra i quali il Sudafrica occupa il primo posto con 1,6 miliardi di dollari8 – rappresentano comunque un’espansione del volume di sei volte in vent’anni, rispetto ai 5,4 miliardi di dollari di partenza del 2003. Per dare un termine di paragone, gli scambi Italia-Africa nello stesso arco di tempo (2003-2022) sono cresciuti solo di una volta e mezzo (da 26,6 a 68 miliardi di euro, con oltre un terzo dell’incremento dovuto alle carissime importazioni di energia africana dello scorso anno). Non solo, ma gli scambi turchi consistono per oltre il 70% di esportazioni, una bilancia più favorevole di quella di Pechino, per la quale la quota di export resta sotto il 60% (per l’Italia la bilancia commerciale è di norma in disavanzo, con esportazioni sotto il 50% del volume complessivo degli scambi; nel 2022 si è scivolati sotto il 33%). Gli obiettivi, nel frattempo, erano già stati esplicitamente rilanciati dal presidente Erdoğan – che vuole che il paese raggiunga rapidamente i 50 e poi i 75 miliardi di dollari di interscambio – in occasione dell’ultima edizione del Turkey-Africa Economic and Business Forum, una sede di periodica promozione e concertazione dei legami economico-commerciali tra le due parti9.
6 “The Turkey-Africa summit”, DW, 17 agosto 2008.
7 R. Bociaga, “China-Africa trade soars on spike in commodity prices”, Nikkei Asia, 27 gennaio 2023.
8 “Turkey is making a big diplomatic and corporate push into Africa”, cit.; “Turkish exports to Africa break a record in 2022”, Move 2 Turkey, 11 gennaio 2023.
9 “A trade volume of USD 21 Billion Is Targeted with Africa”, Business Diplomacy.
10 H. Ryder, “Emerging power rivalries in Africa: Is China really ahead of Turkey?”, Africa Report, 10 gennaio 2022; A. Dahir, “The Turkey-Africa bromance: key drivers, agency, and prospects”, Insight Turkey (23:4), 2021; “Third Turkey-Africa Partnership Summit delivers ‘win-win’ agreements”, African Business, 18 dicembre 2021.
11 U. Farooq, “Erdogan seeks to boost ties at Turkey-Africa summit”, cit.
A complemento del commercio, la presenza di aziende turche in Africa si è moltiplicata anche attraverso gli investimenti diretti esteri (Ide), il cui incremento nel corso del tempo è stato ancora più marcato, passando dai 100 milioni di dollari del 2003 ad almeno 2 miliardi di dollari nel 2022 (alcune fonti parlano di 6-7 miliardi di dollari)10. Un’ampia quota degli Ide di Ankara – quasi un terzo del totale – fa capo all’Etiopia, che beneficia di una buona parte dei 25.000 posti di lavoro creati, secondo alcune stime, dalle imprese turche nella regione11.
Anche per le relazioni economiche con i singoli paesi africani, la strategia turca contempla una rete articolata e ramificata che poggia su 45 “consigli di imprese”, emanazioni del
Consiglio per le relazioni economiche estere (Deik) e ulteriore elemento del fitto tessuto di connessioni della Turchia con i diversi territori della regione. L’Africa del nord, in parte il Corno d’Africa, di cui è perno appunto l’Etiopia, e l’Africa orientale rappresentano aree più prossime alla Turchia e includono quindi i paesi ai quali Ankara ha guardato per primi. Ma il governo turco non si è mai limitato alle sole sub-regioni africane “vicine” e, anzi, in anni recenti ha investito nel rafforzamento del proprio posizionamento in Africa occidentale. È a questa specifica regione, ad esempio, che nel 2018 è stato dedicato il primo di una serie di Turkey-Ecowas Business and Economic Forum (ed è in questa stessa area che si registra anche una recente spinta ad aumentare la cooperazione nel campo della sicurezza)12.
Tanto il commercio quanto gli investimenti turchi in Africa tendono a concentrarsi nell’industria delle costruzioni, dell’acciaio e del cemento, ma anche nei beni per la casa, nell’elettronica e nel tessile13. Nel settore di costruzioni e infrastrutture, in particolare, società turche, come Summa, Limak, Albayrak e altre, hanno effettuato nel continente lavori per circa 78 miliardi di dollari. Nel 2022, ad esempio, hanno spuntato un contratto da 1,9 miliardi di dollari per la costruzione di una nuova linea ferroviaria in Tanzania. A Mogadiscio, in Somalia, sono imprese turche ad aver ricostruito diverse strade e il parlamento nazionale, sostenute finanziariamente dagli aiuti allo sviluppo di Ankara, e ad avere in mano la gestione del porto e dell’aeroporto internazionale, dopo averli ristrutturati14. Un ulteriore comparto ritenuto strategico dal governo è l’agroalimentare, al centro fin dal 2017 di diversi incontri ministeriali Turchia-Africa e oggetto di accordi già stipulati con sei paesi della regione15.
12 M. Özkan, A. Kanté, “West Africa and Turkey forge new security relations”, Institute for Security Studies (ISS), 31 marzo 2022; K. Hairsine, B. Ünveren, “Turkey deepens its defense diplomacy in Africa”, DW, 28 ottobre 2022.
13 “Third Turkey-Africa Partnership Summit delivers ‘win-win’ agreements”, cit.
14 “Turkey is making a big diplomatic and corporate push into Africa”, cit.
15 S. Orakçi, “The Rise of Turkey in Africa”, Al Jazeera Centre for Studies, 9 gennaio 2022.
16 U. Farooq, “Erdogan seeks to boost ties at Turkey-Africa summit”, cit.
Relazioni nel settore della sicurezza
Se l’espansione diplomatica ed economica turca in Africa è seguita da vicino da oltre un decennio da analisti e media internazionali, a richiamare attenzione negli anni più recenti è stata l’evoluzione delle relazioni turco-africane nell’ambito della sicurezza. Due sono i punti di forza della Turchia nel settore: la capacità di fornire armi tecnologicamente avanzate, di dimostrata efficacia ed economicamente accessibili; e quella di poter offrire forti competenze nell’antiterrorismo e nella lotta ai movimenti estremisti16.
La cooperazione negli ambiti della sicurezza e della difesa non è in realtà una novità, ma si è sviluppata gradualmente, e non riguarda solo l’export di armamenti turchi. Aveva infatti tutt’altra natura. La coraggiosa decisione di insediare a Mogadiscio, in Somalia, la base militare denominata Camp Turksom – la maggiore tra le basi di Ankara all’estero –
inaugurata nel 2017 e da allora impegnata nella formazione delle forze di sicurezza del governo della Repubblica Federale di Somalia ne è un chiaro esempio. La struttura ospita contemporaneamente tra 1.000 e 1.500 soldati somali e vanta di aver addestrato circa due terzi dei 15.000 militari in servizio in un paese che da anni fatica a recuperare stabilità a fronte delle violenze dei jihadisti di al-Shabaab. Oltre alla formazione nella base Turksom, unità specializzate di soldati somali completano il loro perfezionamento direttamente in Turchia, a Isparta. La lotta al terrorismo ha portato il governo turco ad appoggiare anche, nel Sahel centro-occidentale, i cinque paesi le cui popolazioni soffrono da anni gli attacchi dei jihadisti, soprattutto sostenendo la loro cooperazione nel G5 Sahel, prima che questo consorzio militare entrasse in fase di stallo a seguito dei colpi di stato e cambi di governi in Mali e Burkina Faso. Più in generale, ben 30 stati africani hanno siglato accordi di sicurezza di vario tipo con la Turchia, mentre in un’ambasciata su tre sono presenti addetti militari17.
In una certa misura, i soldati turchi sono intervenuti anche direttamente in scenari africani, partecipando a missioni multilaterali di peacekeeping dal Mali al Centrafrica. Ma si tratta di una partecipazione contenuta: i 68 turchi attualmente impegnati in missioni delle Nazioni Unite in Africa sono più numerosi di norvegesi (53), francesi (46), svedesi (35), americani (34) o italiani (4), ma sono solo un decimo dei 623 tedeschi e un venticinquesimo dei 1.794 cinesi18.
Come detto, è nel comparto della vendita di armamenti che è emerso da alcuni anni un forte dinamismo turco che ben si combina con la relativa domanda africana. La quota turca del mercato delle armi del continente resta minima se raffrontata ai maggiori produttori (Russia, Stati Uniti, Cina e Francia, nell’ordine) – è attualmente inferiore all’1% – ma sembra avviata verso una crescita marcata. Un volume d’affari che ha oscillato tra i 60 e gli 80 milioni di dollari circa tra il 2015 e il 2020 è infatti improvvisamente balzato a 461 milioni di dollari nel 2021, ultimo dato disponibile19.
La Turchia fornisce agli africani una varietà di prodotti, dalle navi militari ai veicoli blindati, dai sistemi di sorveglianza alle armi leggere20. L’aspetto che maggiormente ha destato attenzione e preoccupazione negli osservatori occidentali è stato il recente balzo in avanti compiuto dalle imprese turche nel proporsi con successo come fornitori di droni per uso militare. I droni turchi più noti sono senz’altro i Bayraktar TB2, venduti a paesi come l’Etiopia – che nel corso del 2022 li ha usati per superare lo stallo nel conflitto del Tigrai e sconfiggere le forze ribelli – Nigeria, Marocco e Tunisia. Ma più recentemente anche al Niger, alle prese con i diversi gruppi jihadisti attivi attraverso vaste zone del Sahel centro-occidentale e sul versante nord-occidentale del bacino del Lago Ciad, e al Togo, preoccupato di proteggere dalle incursioni di questi ultimi le regioni settentrionali di confine21.
17 N.T. Yaşar, “Unpacking Turkey’s security footprint in Africa. Trends and implications for the EU”, SWP, 30 giugno 2022.
18 United Nations Peacekeeping, Troop and police contributors, dati al 31 maggio 2023.
19 H.A. Aksoy, S. Çevik e N. T. Yaşar, “Visualizing Turkey’s Activism in Africa”, Centre for Applied Turkey Studies, 3 giugno 2022.
20 N.T. Yaşar, “Unpacking Turkey’s security footprint in Africa. Trends and implications for the EU”, SWP, 2022.
Man mano che i droni turchi si sono dimostrati un’arma efficace e comparativamente a buon mercato, nonché di uso, gestione e manutenzione relativamente facile rispetto ad altre risorse aeree, altri potenziali acquirenti si sono fatti avanti, tanto che ora si parla di liste di attesa di tre anni. Tra i vantaggi aggiuntivi offerti dai turchi ai compratori africani c’è quello di non dover rendere conto di intenti ed effetti dell’uso dei droni, nonché di guadagnare autonomia rispetto ad altri fornitori – si pensi in particolare alla Francia per i paesi francofoni – diversificando così le fonti di approvvigionamento.
21 P. Melly, “Turkey’s Bayraktar TB2 drone: Why African states are buying them”, BBC, 25 agosto 2022.
22 “Third Turkey-Africa Partnership Summit delivers ‘win-win’ agreements”, African Business, 18 dicembre 2021.
23 R.İ. Turan, “‘Turkey rejects orientalist approaches towards African continent’”, Anadolu Agency, 18 ottobre 2021.
Relazioni di cooperazione allo sviluppo, umanitaria e culturale
La rotazione verso sud dello sguardo turco è comunemente letta, almeno in parte, come decisione di percorrere altre strade a seguito del congelamento dell’ipotesi di un ingresso di Ankara nell’Unione europea (UE). Anche per questo non sorprende che, nell’approccio all’Africa, la Turchia si posizioni esplicitamente come modello e leader alternativo all’Occidente, tanto nella retorica scelta quanto nelle prassi seguite. Un modo di proporsi che, con sfumature diverse, è adottato con un certo successo anche da Mosca, Pechino e altri attori in cerca di spazio e alleati nel continente. Nel corso della stessa pandemia di Covid-19, le scelte e gli atteggiamenti europei nei confronti dell’Africa sono diventati un’opportunità per attaccare apertamente le discriminazioni e gli interessi occidentali e il loro gravare sul continente22.
La leadership turca non perde quindi occasione di sottolineare agli interlocutori africani la propria diversità rispetto ai paesi con un passato di colonizzatori e una storia, o anche un presente, di sfruttamento delle risorse africane. La Turchia, così come proposta da Erdoğan di fronte al parlamento dell’Angola, è una “nazione che nella sua storia non ha la macchia e la vergogna del colonialismo”, ma una “vittoria contro potenze imperialiste”23. Ankara rifiuta “gli approcci orientalisti occidentalocentrici” e le discriminazioni nei confronti degli africani, a cui la legano relazioni di rispetto reciproco e fratellanza che vanno indietro di dieci secoli. Anche per questo predilige la non ingerenza negli affari interni dei partner africani, ai quali non cerca di imporre alcuna condizione o pressione come quelle legate al rispetto dei diritti umani, della democrazia o dello stato di diritto richiesto dagli occidentali. Più in generale, la Turchia combatte le “ingiustizie nel sistema globale”, denunciando i comportamenti ancora apertamente “coloniali” delle potenze occidentali in Africa, e chiede una profonda riforma dell’architettura di sicurezza internazionale, poiché “il mondo è più grande di cinque” (il riferimento è ai membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu)24. Non sono mancate le reazioni critiche a questo tipo di postura turca, accusata dal presidente francese Emmanuel Macron, ad esempio, di alimentare i risentimenti africani25.
24 Ibidem.
25 Marie Toulemonde, “How Erdoğan turned Turkey into a key player in Africa via economy, religion, arms…”, Africa Report, 8 June 2023.
26 Ö. Yıldırım, “Turkey’s Maarif Foundation educating over 17,000 students in Africa”, Anadolu Agency, 18 ottobre 2021.
La promozione di una specifica immagine e reputazione per la Turchia avviene anche attraverso un’ampia serie di strumenti e ambiti che vanno dagli aiuti allo sviluppo all’assistenza umanitaria, dalle iniziative nel campo della formazione e della religione islamica ai mezzi di informazione.
Sul fronte degli aiuti allo sviluppo e dell’assistenza umanitaria, ad esempio, Ankara è divenuta un attore sempre più visibile tanto attraverso l’operato di istituzioni governative, quanto attraverso quello delle Ong che finanziano o gestiscono progetti di vario genere, dallo sviluppo agricolo alle strutture sanitarie, come ospedali e cliniche, a quelle educative, come scuole e madrase. L’agenzia per lo sviluppo turca, l’Agenzia turca per la cooperazione e il coordinamento (Tika), ha sedi in 22 paesi africani, e per meglio controllare e indirizzare gli aiuti allo sviluppo, la quota complessivamente instradata attraverso organismi internazionali è scesa drasticamente dal 60% nel 2003 al 2% nel 2019, segnalando una volontà di privilegiare interazioni bilaterali dirette. Anche in questo caso è osservabile chiaramente la predisposizione turca a stringere legami dapprima con i paesi della metà orientale del continente: 13 delle 22 sedi di Tika sono nei paesi ad est di una linea immaginaria che unisce Tunisi a Dar es Salaam in Tanzania (e appena oltre, alle isole Comore), senza lasciarne uno solo senza rappresentanza. Le rimanenti nove sono distribuite in maniera più disomogenea tra i restanti 41 stati. Degli interventi di assistenza umanitaria si occupa invece la Mezzaluna rossa turca (Türk Kizilay), attualmente impegnata in Somalia – dove l’organizzazione fu molto attiva già nella risposta alla drammatica carestia del 2011 – Etiopia, Sudan, Sud Sudan e Libia.
Ugualmente significativi e sistematici sono stati gli sforzi in ambito di cultura e istruzione. La costruzione, grazie a finanziamenti turchi, della Moschea nazionale del Ghana, realizzata ad Accra in stile ottomano come replica della Moschea Blu di Istanbul e inaugurata nel 2021, ha avuto indubbio valore simbolico sul piano delle relazioni religiose. Ma in termini di ampiezza, gli interventi più consistenti sono di altro tipo. Da un lato, la presenza di 175 scuole in 25 paesi africani gestite dalla Maarif Foundation (Türkiye Maarif Vakfi) e frequentate da circa 17.000 studenti26. La fondazione è stata creata dal governo nel 2016 anche con lo scopo di trasferire ad Ankara il controllo delle numerose scuole aperte in parti diverse del mondo dal movimento gulenista (Hizmet), con il cui fondatore, Fethullah Gülen, Erdoğan aveva duramente rotto il precedente sodalizio. Dall’altro, borse di studio per accedere alla formazione in Turchia, una risorsa di cui hanno beneficiato circa
60.000 giovani africani. In parallelo procede poi l’Istituto Emre Yunus, che promuove la conoscenza della lingua turca in Africa.
L’ultimo fronte a cui si è dedicato il governo è quello dell’informazione, cruciale per veicolare l’immagine del paese ritenuta più giusta e utile. Ad Addis Abeba, capitale etiope e sede dell’UA, nel 2014 è stato aperto l’ufficio regionale africano dell’agenzia di stampa pubblica Anadolu Agency. L’obiettivo, per nulla nascosto, è di contrastare il predominio nell’informazione globale, dei grandi gruppi mediatici occidentali, inclusi Bbc, Cnn, France 24, Reuters e Afp, sia producendo contenuti sia formando i giornalisti africani, di concerto con le attività di media turchi con sede in altre grandi città dell’area subsahariana, come Dakar, Nairobi, Johannesburg, Cape Town, Khartoum e Abuja27. Stessa funzione assolve il canale di lingua inglese Trt World, lanciato nel 2015 dalla radiotelevisione statale Trt (Türkiye Radyo ve Televizyon) e affiancato, dal 2022, da un’emittente analoga in lingua francese (Trt Français) rivolta direttamente alle aree e popolazioni francofone del continente.