Archivi categoria: Politica estera – Gran Bretagna

6220.- Alta Tensione. Ministro degli esteri russo convoca ambasciatori di Francia e Regno Unito, mentre lo Stato maggiore ha dichiarato l’inizio delle esercitazioni delle forze nucleari tattiche. – AFV

La domanda che da convinti europeisti ci poniamo è: A quale titolo il presidente Emmanuel Macron e il ministro David Cameron hanno impegnato l’Unione europea e la Nato con dichiarazioni bellicistiche e con forniture di missili superficie – superficie Storm Shadow/Scalp? La miglior difesa è l’attacco, ma la domanda vale anche per la Casa Bianca che ha confermato l’invio di missili a lunga gittata AtacMS a Kiev, per rispondere agli attacchi di Mosca. E, come leggeremo, l’Italia sembra non essere da meno.

Da nova-project, di Micheli Fabrizio, 7 maggio 2024

Oggi pomeriggio sia l’ambasciatore britannico Nigel Casey (nella foto, non felicissimo) che l’ambasciatore francese Pierre Levy sono stati convocati al Ministero degli Esteri a Mosca, dove sono rimasti rispettivamente per trenta e quaranta minuti. Non hanno rilasciato dichiarazioni, ma ci ha pensato il Ministero degli Esteri russo. All’ambasciatore inglese è stato chiesto conto delle parole di David Cameron, secondo il quale l’Ucraina è autorizzata a usare armi britanniche per colpire il territorio russo, e gli è stato notificato che il governo russo le considera un’escalation molto seria: se dovesse verificarsi un’eventualità del genere, la Russia si riserva il diritto di colpire obiettivi militari inglesi “sia sul territorio dell’Ucraina che altrove”. Non sembra invece che all’ambasciatore francese siano stati fatti discorsi di obiettivi militari da colpire, ma poco dopo Macron ha dichiarato che la Francia sostiene l’Ucraina ma non è in guerra né con la Russia né col popolo russo, e non cerca un cambio di regime a Mosca.
Per dare un po’ più di sostanza al discorso fatto agli ambasciatori, ad ogni modo, poco prima del loro ingresso al Ministero lo Stato maggiore russo ha dichiarato che, su ordine di Putin, ha iniziato le preparazioni per esercitazioni delle forze nucleari non-strategiche (cioè tattiche) “nel prossimo futuro”, nel Distretto Militare Meridionale (che comprende Russia meridionale, territori annessi e Crimea) e con la partecipazione della flotta (ovvero, che le esercitazioni in questione saranno condotte nel Mar Nero). Le esercitazioni, continua lo Stato Maggiore, sono effettuate in risposta alle “affermazioni provocatorie e alle minacce di certi funzionari occidentali” nei confronti della Federazione Russa.
È chiaro che le esercitazioni non saranno condotte con missili nucleari, ma che verranno testati solo i meccanismi di dispiegamento, comando e controllo. Ad ogni modo è un’escalation seria, che viene in risposta a una serie di escalation altrettanto serie da parte di Francia e Gran Bretagla – da cui appunto la convocazione degli ambasciatori. Le dichiarazioni di Macron potrebbero lasciare intendere che il messaggio è stato recepito, considerando anche che, a quanto pare, i colloqui con Xi Jinping non hanno portato ai risultati da lui sperati (quanto queste speranze poi fossero fondate ognuno può immaginarlo): se nei prossimi giorni dalla Francia non si parlerà più di inviare le truppe, la collaudata (ma un po’ rischiosa) tattica “escalate to de-escalate” potrebbe essersi rivelata vincente.
Per quanto riguarda le testate tattiche, visto che se ne parla come fossero fuochi d’artificio solo un po’ più rumorosi: non si sa quante la Russia ne abbia, perché non sono regolate da nessun trattato. Sono certamente meno potenti delle armi nucleari strategiche, ma vanno comunque da un minimo di uno a un massimo di 50 chilotoni, che non è poi pochissimo – per mettere le cose in prospettiva, la bomba di Hiroshima era di 15 chilotoni. Sappiamo con certezza che nell’arsenale russo ci sono testate nucleari tattiche per gli Iskander, per i Kh-59M (lanciati dai Su-24M, Su-30, Su-34 e Su-35S), per i Kalibr (probabilmente), per le bombe a caduta libera (il cui impiego ormai non è più ipotizzabile)e anche proiettili per l’artiglieria da 1 a 3 chilotoni: i 3BV1 da 180 mm, i 3BV2 da 203 mm, i 3BV3 da 152 mm e i 3BV4 da 240 mm. Buona parte dei proiettili nucleari per l’artiglieria è stata deattivata e distrutta, ma sicuramente qualcosa è rimasto, e non è difficilissimo farne di nuovi.

PS – tanto per andare sul sicuro, Tajani ha detto che l’Italia non ha mandato armi che possono colpire il territorio russo.

Francesco Dall’Aglio

Ma sia i missili anglo-francesi sia quelli americani sia, infine, quelli eventualmente italiani non risolveranno la crisi di uomini combattenti di Kiev. Malgrado ciò, dal Il Fatto Quotidiano del 1° maggio si legge: …

“L’Italia invia a Kiev un Samp-T e anche i missili da crociera”

Samp/T e Storm Shadow. L’Italia supera due altre linee rosse negli aiuti – che mai avrebbe inviato, parola di ministri della Difesa e degli Esteri – a Kiev. Il sistema di difesa aerea richiesto dal premier Zelensky infatti sta per essere trasferito all’Ucraina nel nono pacchetto italiano che il ministro Guido Crosetto sta per firmare. Eppure lui stesso aveva negato questa possibilità all’alleato per non lasciare sguarnito il nostro Paese che di Samp/T ne ha solo 5. Di questi, dopo la distruzione a gennaio da parte di un raid russo della batteria inviata in Ucraina appena 7 mesi prima, l’Italia ne avrebbe solo uno nel nostro Paese: uno sarebbe in Kuwait, uno in Romania e uno in Slovacchia.

A “muoversi” verso Kiev sarebbe proprio la batteria slovacca, dislocata nel distretto di Bratislava, per il rafforzamento del fianco orientale della Nato nell’ambito della crisi ucraina, tanto che il premier di Praga se n’è già lamentato. A darne notizia il sito Aktuality che ha riportato l’indignazione di Robert Fico: “Ho ricevuto un messaggio dal governo italiano che il sistema di difesa sarà ritirato dalla Slovacchia perché ne hanno bisogno altrove”, ha dichiarato lasciando intendere che arriverebbe a Kiev e lanciando l’allarme sulla mancanza di protezione delle strutture strategiche del suo Paese nonché delle centrali nucleari. La Slovacchia, infatti, ha trasferito i suoi sistemi anti-aerei S-300 all’Ucraina.

Lamentele slovacche a parte, il Samp/T sarà fornito di non molti missili: pare sotto la decina. Questo perché, se di sistemi di difesa richiesti da Zelensky – frutto del programma franco-italiano Mamba1 sviluppato da Thales e Mbda Italia e Francia – non siamo molto forniti, dato anche il costo (si va dai 500 milioni a batteria), di munizioni in giro per l’Europa se ne trovano sempre meno. E i Samp/T montano i missili Aster30 che hanno un raggio d’azione di 100 km per l’intercettazione di aerei e 25 km per quella dei missili e che vanno da un minimo di 8 a un massimo di 48 a batteria per un costo medio di 1 milione di euro.

A proposito di collaborazione, il ministero della Difesa italiano persevera nel segreto sulle armi inviate a Kiev. Ma la conferma della partecipazione italiana alla produzione dei missili a lungo raggio Storm Shadow anglo-francese destinati a Kiev secondo il vanto del ministro inglese Grant Shapps in un’intervista al Times, arriva dalla relazione annuale dell’Unità di controllo sull’invio degli armamenti (Uama). Nel report 2023, infatti, tra i programmi di co-produzione internazionale approvati campeggia “Storm Shadow – Sistema di armamento aria/superficie”. Paesi produttori: Italia, Gran Bretagna, Francia. Imprese coinvolte: Mbda Italia-Leonardo. I missili da caccia in grado di raggiungere il suolo dai 250 ai 300 km hanno anche il marchio italiano, quindi, come dichiarato dal ministro britannico. “Penso che lo Storm Shadow sia un’arma straordinaria”, si è detto convinto Shapps mentre faceva da cicerone al sito di produzione della Mbda vicino Londra. “Sono il Regno Unito, la Francia e l’Italia che stanno posizionando queste armi per l’uso, in particolare in Crimea – ha detto – sottolineando come “queste stanno facendo la differenza”.

L’Italia non ha mandato armi che possono colpire il territorio russo; ma attenzione! Quando i piccoli giocano con i grandi rischiano sempre di farsi male.

Il programma congiunto a cui l’Italia si è aggiunta a giugno 2023, nella fase iniziale prevedeva un investimento di 100 milioni di euro con l’obiettivo proprio di svecchiare i primi Storm Shadow. Stando alla relazione dell’Uama, le aziende italiane avrebbero dedicato al programma 12 milioni. Ma scorrendo l’elenco di armamenti inviati, il nome del missile da crociera della Mbda compare più volte sotto forma di pezzi di ricambio, serbatoi o altre componenti, e anche di missili da addestramento. Il destinatario finale non è specificato. E la Difesa italiana non conferma che sia Kiev. L’Italia ha acquistato per la prima volta 200 Storm Shadow dalla Mbda nel 1999 e li ha utilizzati in Libia nel 2011. Ma le parole di Shapps – che puntavano a convincere la Germania a inviare a Kiev i Taurus – non paiono campate in aria. Sul suolo ucraino, infatti, Storm Shadow francesi ci sono già arrivati, colpendo la Crimea.

6216.- Missili anglo-americani sulla Russia? Putin avverte sempre. E vale per tutti

Da uno scritto di Laura Calosso, scrittore e giornalista

Nei giorni scorsi il ministro degli Esteri inglese, Cameron, ha dichiarato che l’Ucraįna può colpire il territorio rūsso con armi trasferite dalla Gran Bretagna.

La Russįa ha oggi ufficialmente minacciato la Gran Bretagna di attacchi sul suo territorio in caso di attacchi ucraįni sul territorio russo esiguiti con missili britannici. 

Il ministero degli Esteri russø ha ora voluto incontrare l’ambasciatore britannico.
Da sottolineare che fu l’ex premier britannico Johnson a far saltare (per conto del blocco Nāto) l’accordo già siglato 2 anni fa da russį e ucrāini.
È sempre più evidente che, se avremo un’escalation, sarà imputabile ai leader occidentali che ogni giorno alzano il tiro. 
È sensato reggere ancora questo gioco?

Un comunicato della Tass avverte che l’ambasciatore britannico a Mosca Nigel Casey è stato convocato presso il ministero degli Esteri russo.

ROMA, 06 maggio 2024, Redazione ANSA

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Gli Stati Uniti inviano missili a lungo raggio a Kiev, lo Stato Maggiore britannico: “Li useranno per colpire la Russia”.

Gli Stati Uniti inviano missili a lungo raggio a Kiev, l’esercito britannico: “Li useranno per colpire la Russia”di F. Q.

   26 APRILE 2024

Avevano promesso di spedirli nel pacchetto di aiuti appena approvato recentemente al Congresso e firmato dal presidente Biden, invece i missili a lungo raggio ATACMS, armi che gli Stati Uniti in oltre due anni di guerra avevano dichiarato di non voler inviare all’Ucraina per evitare che il conflitto si trasformasse da difensivo in offensivo, sono già nelle mani di Kiev, spediti segretamente da Washington. E da parte dell’ammiraglio Tony Radakin, capo di Stato Maggiore della Difesa britannica, emergono valutazioni sull’influenza che queste avranno sulla guerra che avevano spinto proprio gli Usa a collocare questo tipo di armi al di là di quella linea rossa tracciata inizialmente per evitare l’allargamento del conflittocon Mosca: “Mentre l’Ucraina acquisisce maggiori capacità per la lotta a lungo raggio, la sua capacità di continuare le operazioni in profondità diventerà sempre più una caratteristica” della sua offensiva, ha detto aggiungendo che così Kiev organizzerà “attacchi e raid di sabotaggio” utilizzando armi a lungo raggio all’interno della Russia.

Joe Biden ha perso anche in Ucraina, ma non può ammetterlo, come non vuole ammetterlo Londra che 2 anni fa fece saltare l’accordo già siglato da russį e ucrāini. Con Biden, non solo gli Stati Uniti hanno perso la faccia, ma anche noi membri di un’alleanza non più difensiva abbiamo perso. Quanto ancora dovremo perdere? Mosca convocherà l’ambasciatore USA o si limiterà ad abbattere i missili?

Il missile MGM-140 ATACMS (Army tactical missile system) in servizio dal 1991 presso l’esercito statunitense. La testata della prima versione contiene 950 submunizioni M-74 APAM (Anti-Personnel Anti-Material) in grado di saturare un’area di 33.000 m²: un aeroporto, per esempio. Qui, il missile è lanciato da un sistema MLRS, forse in Ucrāina, ma non sappiamo da chi. Sappiamo, però, che le sue vittime sarebbero russe.

Così, per alimentare ancora la resistenza ucraina, fiaccata dalla superiorità numerica sia di uomini che di armamenti a disposizione della Russia, Washington viene meno alle sue promesse e sceglie di fornire a Kiev anche armi a lungo raggio. Il timore iniziale era chiaro: in un conflitto causato da un’invasione territoriale da parte dell’armata di Vladimir Putin, fornire a Kiev armi come gli ATACMS capaci di colpire ben oltre il confine russo, dato che la loro gittata supera i 300 chilometri, voleva dire favorire raid ucraini sulle città di confine russe e, di conseguenza, dare a Putin un appiglio per giustificare un’intensificazione dello scontropermettendogli di mettere in campo armi ben più performanti e distruttive, se non addirittura bombe nucleari tattiche. Un po’ lo stesso ragionamento che aveva fatto escludere, salvo poi fare anche in questo caso passi indietro, l’invio di caccia F-16.

La decisione Usa
Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza Nazionale, spiega che la decisione del presidente Joe Biden di cambiare la propria posizione rispetto al passato è stata influenzata in parte dai crescenti attacchi della Russia alle infrastrutture civiliucraine, oltre all’uso da parte del Cremlino di missili balistici nordcoreani. Gli ATACMS, secondo quanto appreso dal Financial Times, sono arrivati in Ucraina già la settimana scorsa e sono stati usati per attaccare un aeroporto in Crimea e una posizione di truppe russe. “Ne abbiamo già inviati alcuni, ne invieremo altri ora che abbiamo ulteriore autorità e denaro”, ha detto Sullivan citando il nuovo pacchetto di aiuti militari da 61 miliardi di dollari firmato mercoledì da Biden.

Artiglieri ucraini al pezzo. È un 155 mm.

Ucrāini in fuga da Ocheretyne, Mosca abbatte 4 missili Atacms

Attacco a Kharkiv

Nel Donetsk, le forze russe hanno guadagnato terreno a Ocheretyne. Mosca ha poi fatto sapere di aver abbattuto quattro missili Atacms lanciati sulla Crimea.

Prosegue incessante l’offensiva russa nell’est dell’Ucraina. Attacchi anche a Kharkiv, dove le forze di Mosca hanno preso di mira le centrali elettriche. Il ministero della Difesa di Mosca ha poi fatto sapere di aver abbattuto quattro missili Atacms lanciati dall’Ucraina.

Combattimenti nel Donetsk: cittadini in fuga

Il villaggio di Ocheretyne è stato martoriato dai combattimenti,  lo mostrano i filmati ottenuti da un drone dell’Associated Press. Il villaggio è stato uno degli ultimi obiettivi delle forze russe nella regione di Donetsk.

Le truppe russe stanno avanzando nell’area, colpendo le forze di Kiev, esaurite e prive di munizioni, con artiglieria, droni e bombe. L’esercito ucraino ha riconosciuto che i russi hanno conquistato un “punto d’appoggio” a Ocheretyne, che prima della guerra contava circa tremila abitanti, ma afferma che i combattimenti continuano.

6214.- 10 anni di NATO in Ucraina. Il declino della politica e della potenza USA nel mondo e l’inutilità dell’Ue in politica estera per noi.

Non è lui il capo!

L’Orso russo è meglio averlo per amico e le strategie per dominarlo avrebbero dovuto evitare il confronto militare. Stando alla situazione presente, chi detta gli indirizzi al polo angloamericano dovrà contentarsi di controllare i Paesi europei, ma avrebbe dovuto e farebbe sempre bene a evitare che la Federazione Russa sia schierata a fianco della Cina. Vieppiù oggi che gli Stati Uniti sembrano concentrarsi sul confronto con la Cina, anche se il viaggio di Blinken a Pechino, le minacce verso la collaborazione con la Federazione Russa e il loro fiasco confessano le preoccupazioni del Pentagono di fronte a un asse Mosca – Pechino. Non è tutto qui il futuro della geopolitica che apprezziamo.

Stiamo assistendo all’ingresso della Wagner nella, ancora per poco, base americana 201 di Niamey, nel Niger, con i russi, addirittura, nel palazzo a fianco del comando USA e ci vediamo, noi bravi italiani, con il nostro sacrosanto, ambizioso Piano Mattei, unico Paese occidentale a tenere un presidio gradito agli africani nel Sahel. L’Italia è consapevole di non essere una grande potenza e si deve domandare quanto una Unione europea sgradita agli africani, senza un’anima e senza una sovranità, potrà sostenere la politica di cooperazione e di solidarietà attiva di questo governo, confrontandosi e in competizione con i russi.

L’aver rotto i rapporti degli Stati europei con la Federazione Russa sarà sembrata una necessità per la Casa Bianca e avrà soddisfatto gli interessi di chi controlla il popolo americano, ma non i nostri e siamo del parere che Washington sta spendendo male le possibilità dell’Occidente. 

Dal punto di vista della politica, la realizzazione da parte della Casa Bianca, in segreto, di questa disgraziata guerra in Ucraina, con quasi un milione di morti, creata, dalla Victoria Jane Nuland insieme alla NATO, scatenata, infine, da Putin, fino al sabotaggio dei gasdotti North Stream, promesso e attuato da … e, infine la cessione degli USA a Kiev di 100 missili Atacms, americani, con una gittata di 300 km, una dichiarazione di guerra! – come tale, da sottoporre all’approvazione del Parlamento europeo -, ha confermato che ogni alleanza fra una grande potenza e un Paese di secondaria importanza, come sono, appunto, i nostri europei, si traduce in un dominio da parte della potenza. Ragione non ultima sia della necessità di giungere a uno Stato sovrano europeo, con una sua politica estera e un suo esercito sia del pericolo rappresentato dalla proposta di Giulio Tremonti, membro rappresentativo dell’Aspen, di allargare ulteriormente, a tutti i Paesi balcanici (quindi, anche la Turchia) l’Unione.

Dal punto di vista della finanza e dell’economia, aver privato i Paesi europei della risorsa energetica russa, a buon mercato e avergli venduto quella americana a un prezzo quattro volte maggiore, ha certamente risollevato le finanze USA, ma ha indebolito l’Unione e l’Occidente nel suo complesso. É noto che le sanzioni elevate alla Federazione Russa hanno nuociuto e nuocciono ai Paesi europei più che a Mosca, mentre lo sforzo bellico della Nato a favore dell’Ucraina si tradurrà o si sta già traducendo in un fallimento. Ben potrebbe essere vera la contrarietà della grande regina Elisabetta II alla guerra, e ci fermiamo qui.

Dal punto di vista strategico, siamo impegnati militarmente, di fatto, in:

Un conflitto europeo e in Mar Nero, un’altro in Medio Oriente, tra Mediterraneo Orientale e Mar Rosso e, dal Sahel al Corno d’Africa, Osservando l’evolversi del confronto fra Occidente, da una parte e Russia e Cina, dall’altra, preoccupa una strategia che prevede l’interconnessione fra l’Indo-Pacifico e il Mediterraneo Allargato. ma non sembra fare i conti con la vulnerabilità del Canale di Suez. In questo azzardato contesto, l’Us Navy ha appena ritirato dal Mediterraneo il Gruppo d’Attacco della super portaerei nucleare USS Gerald R. Ford (CVN-78), che imbarca il potente Carrier Air Wing 8 con 100 aeroplani combat ready, lasciando il testimone alle portaerei europee nel ruolo di bersagli: La bellissima mezza portaerei italiana ITS Cavour (CVH550) che, a marzo disponeva di appena 3 piloti qualificati Limited Combat Ready per l’F-35B STOVL, e, forse, oggi ne schiera 5, e alla anziana portaerei nucleare francese Charles de Gaulle (R91: due manciate di caccia di 4a generazione Rafale-M, circa 30) i cui sistemi di combattimento, in particolare contro missili antinave e droni, dovranno attendere il 2027 per essere adeguati alle odierne minacce.

La conclusione di questo rapido excursus è che ci avviciniamo alle elezioni europee, ma speriamo – chissà perché – in Donald Trump.

Mario Donnini

Il Regno Unito afferma che è pericoloso inviare truppe Nato in Ucraina

Sembra che lo sforzo di Londra di solleticare le aspirazioni espansionistiche dei polacchi e spingerli in guerra si sia esaurito davanti all’avanzata dei russi in Donbass. Vedremo cosa accadrà il 19 maggio, 60º anniversario del Giorno della Vittoria sul nazismo.

difesacivicaitalia

MAGGIO 4, 2024  

Gli stivali da combattimento occidentali sul terreno porterebbero a un’ulteriore escalation, ha affermato il ministro degli Esteri Davis Cameron.

Inviare soldati della NATO a combattere l’esercito russo in Ucraina sarebbe troppo pericoloso, ha detto venerdì il ministro degli Esteri britannico David Cameron. Ha espresso i suoi commenti mentre i leader europei hanno riacceso il dibattito sull’opportunità che l’alleanza guidata dagli Stati Uniti debba prendere in considerazione un coinvolgimento più diretto nel conflitto. 

Venerdì, parlando a Sky News, Cameron ha affermato che il Regno Unito deve continuare a fornire armi a Kiev e concentrarsi sulla ricostituzione delle proprie scorte. “come priorità nazionale”.

“Ma non vorrei avere soldati della NATO nel paese perché penso che potrebbe essere una pericolosa escalation”, ha aggiunto il primo ministro. “Abbiamo addestrato – credo – quasi 60.000 soldati ucraini”.

La dichiarazione del ministro degli Esteri è arrivata dopo che il presidente francese Emmanauel Macron ha rifiutato ancora una volta di escludere un potenziale dispiegamento di soldati della NATO in Ucraina. “Non dobbiamo escludere nulla perché il nostro obiettivo è che la Russia non possa mai vincere in Ucraina”, ha detto all’Economist in un’intervista pubblicata questa settimana. Macron ha sostenuto che potrebbe sorgere la questione delle forze NATO sul terreno “Se i russi riuscissero a sfondare la prima linea” e se Kiev chiedesse aiuto. 

Altri funzionari europei di alto rango hanno ventilato l’idea dello spiegamento di truppe, e alcuni suggeriscono che la NATO potrebbe inviare squadre di sminamento e altro personale non combattente. “La presenza delle forze NATO in Ucraina non è impensabile”, Lo ha detto ai giornalisti il ​​ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski a marzo.

Tuttavia, alcuni paesi della NATO, tra cui Ungheria e Slovacchia, si sono espressi fermamente contro un’ulteriore escalation. “Se un membro della NATO impegna truppe di terra, sarà uno scontro diretto NATO-Russia e sarà quindi la terza guerra mondiale”, ha detto giovedì il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto all’emittente francese LCI.

Mosca ha più volte avvertito che sarebbe costretta ad attaccare le truppe occidentali se prendessero parte al conflitto. Lo ha scritto venerdì su Telegram la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova “non resterà nulla” delle forze NATO se inviate in prima linea in Ucraina.

Kiev ha lanciato l’allarme sui ritardi negli aiuti militari occidentali negli ultimi mesi, accusando la carenza di munizioni per le perdite sul campo di battaglia. In un’intervista pubblicata giovedì su The Economist, Vadim Skibitsky, vice capo dell’agenzia di intelligence militare ucraina GUR, ha affermato che le difese dell’Ucraina potrebbero crollare anche con i pacchetti di aiuti aggiuntivi recentemente approvati da Stati Uniti e Regno Unito.

6208.- Balcani in Ue, la ricetta di Tremonti per l’Europa di domani

Grande mossa di Giulio Tremonti, che surclassa sia Joe Biden sia Jens Stoltenberg: Da un lato, come isolare la Federazione Russa con una semplice mossa geopolitica; da un altro, come usare il potenziale geopolitico europeo senza dover fondare uno Stato sovrano, anzi, rafforzandone con l’ulteriore allargamento la debolezza in politica estera. Infine, una mano non da poco all’Erdoğan balcanico. Rispetto alle dichiarazioni sul disarmo europeo a pro di Kiev di Stoltenberg possiamo esprimere differenti pareri. Mario Donnini

Da Formiche.net, articolo di Francesco De Palo

L’ex ministro dell’Economia, dal palco della convention pescarese di Fratelli d’Italia, sostiene che per evitare nuovi sconvolgimenti globali all’Europa occorre un’accelerazione sulle politiche di allargamento con il coinvolgimento dell’intero costone balcanico

26/04/2024

Tutti i Paesi del costone balcanico entrino domattina in Europa: solo in questo modo l’Ue farebbe una mossa geopolitica di lungo periodo. Lo ha detto il presidente della Commissione Esteri della Camera, Giulio Tremonti, dal palco della conferenza programmatica di FdI in corso a Pescara. L’occasione è una riflessione sulla difesa europea dinanzi ai fronti bellici in atto, ma non solo, visto il coinvolgimento oggettivo tanto della cybersicurezza, quanto delle frizioni sul Mar Rosso accanto ai fronti caldi di Kyiv e Gaza. Ma proprio le prospettive di reazione europea rappresentano, da un lato, il vero elemento di novità di questa fase di guerre e, dall’altro, il possibile terreno comune dove iniziare a costruire politiche europee davvero unitarie.

Riunificazione balcanica

Perché un’accelerazione europea nei Balcani significa sanare potenziali nuovi fronti di tensione? Secondo Tremonti quando finirà la guerra in Ucraina non inizierà al contempo la pace. Ovvero i problemi dell’Europa non saranno risolti semplicemente con il cessate il fuoco, dal momento che i luoghi di contrasto restano quelli fuori dai sicuri confini dell’Ue. E cita un nome su tutti, i Balcani, che secondo Churchill sono luoghi in cui si fabbrica più storia di quanta ce ne sia. “Un’ipotesi plausibile secondo me è che dobbiamo accettare tutti i Balcani ora nell’Ue, salvo l’obbligo di adempiere a tutti i criteri. Sarebbe una rivoluzione”, spiega l’ex ministro dell’economia. Ovviamente un attimo dopo bisognerà modificare i criteri di voto, “ma sarebbe una mossa lungimirante, non puoi cancellare la democrazia, ma cambiare le maggioranze di governo sì”.

Un passaggio, quello della riunificazione balcanica, da sempre oggetto delle riflessioni europee di Giorgia Meloni soprattutto in merito alle politiche di allargamento, in un settore dove l’Italia può agire da pivot.

E aggiunge che al netto delle difficoltà di questa scelta, difficile e dura, non vi sono alternative dato il progressivo spiazzamento che l’Europa ha rispetto al resto del mondo, “dopo 20 anni di gestione fatta da tecnici non eletti”. Ragionare sulle politiche per l’Europa, secondo Tremonti, è l’unica strada da seguire per evitare di dover affrontare emergenze dopo emergenze sempre con l’acqua alla gola.

Spese per la difesa

Ma come provvedere alla messa in sicurezza di politiche ad hoc se non con maggiori investimenti nella difesa? Lo sottolinea con veemenza il sottosegretario alla Difesa Isabella Rauti, intervenendo al dibattito “Forte, libera e sovrana” quando dice che occorre investire il 2% del Pil in difesa, “un impegno assunto da tutti i Paesi Nato”, dinanzi alla media attuale europea dell’1,5%: “Il ministro Crosetto ha insistito in Europa perché questo impegno venisse svincolato dal Patto di stabilità, si è persa un’occasione non da noi ma da Bruxelles. All’indomani del voto delle prossime elezioni europee mi auguro si delinei una maggioranza diversa che potrà assumere una nuova visione in questa direzione”.

Di cambio di passo ha parlato il presidente di Leonardo Stefano Pontecorvo con riferimento agli investimenti in difesa, panorama che nemmeno la guerra in Ucraina ha cambiato. E cita dei numeri significativi: nel 2023 l’Europa ha investito come acquisizioni di sistema 110 mld di euro, gli americani 250. I nostri 110 miliardi sono stati distribuiti su 30 diverse piattaforme, quelli americani su 12. Il risultato finale è che su ogni piattaforma gli americani investono 20 mld di ricerca, noi 4 mld. Quale sarà il prodotto migliore? Per cui la prospettiva è quella di lavorare tramite aggregazioni europee rispetto ai grandi giganti mondiali russi, cinesi e americani. “Si tratta di un problema di visione”.

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6204.- Netanyahu e Biden si facciano la guerra da soli

Israele ha attaccato l’Iran: droni su una base militare aerea. “Segnale a Teheran, possiamo colpirli”. Fonti Usa: “Avvisati, da noi nessun ok”

Esfahan

Chi tace, acconsente, ma è difficile non vedere anche la regia di Washington in queste schermaglie d’onore, senza danni dichiarati.

Oppure, i danni ci sono? Tre esplosioni di droni nella base aerea di Isfahan, ma i siti nucleari dell’Isfahan Nuclear Technology Centre e di Natanz non sono stati in pericolo”. All’Agenzia internazionale per l’energia atomica non risultano danni agli impianti nucleari iraniani.

Netanyahu: “Teheran è una minaccia esistenziale”, lui pure. Da Usa e Gran Bretagna nuove sanzioni. Veto degli USA sulla Palestina nell’ONU e, così, il regista si dichiara.

Da Il Fatto Quotidiano, 19 aprile 2024

Il raid alle 4.18 italiane: obiettivo la base vicino alla città di Esfahan, che ospita la flotta di caccia F-14. L’esercito iraniano: “Nessun danno”. In sicurezza le centrali nucleari della Repubblica islamica. Attacchi nella notte anche su Siria e Iraq.

Fonte israeliana: “Segnale all’Iran che possiamo colpirlo”

“Un segnale all’Iran che Israele ha la capacità di colpire all’interno del Paese”. Così una fonte israeliana, citata dal Washington Post, ha commentato l’attacco limitato di stanotte sul territorio iraniano, nei pressi della base aerea di Esfahan. La dichiarazione è stata ripresa anche dal quotidiano israeliano Haaretz.

Raid israeliano in Siria: “Colpita una postazione radar”

“Gli attacchi israeliani hanno preso di mira una postazione radar dell’esercito siriano tra le province di Soueida e Deraa”. Lo ha affermato Rami Abdel Rahman, direttore dell’l’Osservatorio siriano per i diritti umani, in riferimento ai raid condotti da Tel Aviv nella notte. 

  • Esercito iraniano: “Nessun danno dall’attacco”Nessun danno è stato causato nell’attacco notturno di Israele contro l’Iran. Lo ha detto alla tv di stato iraniana Siavosh Mihandoust, comandante dell’esercito di Teheran, aggiungendo che il rumore sentito durante la notte a Esfahan era dovuto ai sistemi di difesa aerea.
  • 38m fa07:49Media: “Usa non coinvolti, avvertiti 24-48 ore prima”Israele aveva avvertito gli Stati Uniti che avrebbe attaccato l’Iran nelle successive 24-48 ore, ma  Washington non è stata coinvolta nell’operazione. Lo scrive l’emittente Nbc citando “una fonte ben informata”. Due funzionari citati a condizione di anonimato da Bloomberg hanno poi affermano che ieri Israele aveva avvisato gli Stati Uniti che intendeva attaccare entro i due giorni successivi.
  • 41m fa07:46Attacchi aerei anche su Siria e IraqRaid aerei hanno preso di mira nella notte siti dell’esercito siriano nei governatorati di As-Suwayda e Daraa, nel sud della Siria. Lo riferiscono fonti siriane citate dal sito di notizie As-Suwayda24. Attacchi aerei anche in Iraq, nell’area di Baghdad e nel governatorato di Babil, come riporta al-Iraq News.
  • 42m fa07:45Media Iran: “Impianti nucleari completamente sicuri”Gli impianti nucleari nella provincia Esfahan, città nel centro dell’Iran colpita dai raid israeliani, sono “completamente sicuri” dopo i raid nella notte. Lo riferisce l’agenzia di stampa Tasnim, citando “fonti affidabili”. Dalla base di Esfahan sono partiti i missili lanciati verso Israele nell’attacco di sabato scorso. 
  • 1h fa07:15Cnn: “Attacco limitato, rispetta auspici degli Usa”Secondo gli analisti della Cnn, l’attacco in Iran attribuito a Israele è stato limitato e rispetta le sollecitazioni di Usa e alleati per non aumentare la tensione nella regione. La loro previsione è che Teheran non risponderà.

6202.- La distruzione del centro terroristico nell’ambasciasta iraniana a Damasco era del tutto giustificata

… Ma è stata un atto di guerra!

by Con Coughlin,

  • Iran’s decision to rely on groups such as Hezbollah and Hamas to prosecute its war against Israel has resulted in the Israelis regularly having to retaliate with air strikes against Iranian and Hezbollah targets in Syria and Lebanon in an attempt to disrupt their terrorist infrastructure.
  • Since October 7, the consulate served as Tehran’s main regional command centre, helping to supervise the activities of Iran’s so-called “axis of resistance”.
  • [A]s recent events have indicated, Israel is not just fighting a war against the Iranian-backed Hamas terrorists who committed the terrible atrocities on October 7. It is in an existential battle for survival against the Iranian regime and its many proxies which, if left unchecked, will continue seeking to achieve their ultimate goal of destroying the Jewish state.
The bombing of the Iranian consulate in Damascus, Syria was not, as the Iranians claim, simply an attack on a blameless diplomatic mission. It was a carefully targeted strike on the headquarters of the expansive terrorist network that Tehran has established throughout the Middle East. Pictured: The Iranian Embassy compound in Damascus, Syria on April 1, 2024, following an airstrike that destroyed the consulate building. (Photo by Maher Al Mounes/AFP via Getty Images)

The bombing of the Iranian consulate in Damascus, Syria was not, as the Iranians claim, simply an attack on a blameless diplomatic mission.

It was a carefully targeted strike on the headquarters of the expansive terrorist network that Tehran has established throughout the Middle East.

The real purpose of the Iranian consulate building, an adjunct of the Iranian Embassy in Damascus, was revealed when the Iranians themselves admitted that two senior commanders of the elite Quds Force of Iran’s Islamic Revolutionary Guard Corps (IRGC) were killed in the air strike, which has widely been attributed to the Israeli air force.

The Quds Force, which has direct responsibility for overseeing Iran’s global terrorist operations, reports directly to Iranian Supreme Leader Ayatollah Ali Khamenei, and was established to fulfil the ayatollahs’ ambition of exporting Iran’s Islamic revolution throughout the Muslim world.

In particular, the Quds Force is the main conduit between the IRGC and the network of proxy terrorist groups, such as Hezbollah and Hamas, that Iran uses as frontline units in its constant campaign to attack Israel.

The fact, therefore, that two senior Quds Force commanders were killed in the April 1 strike on the Iranian consulate provides conclusive proof that, far from undertaking basic consulate duties such as issuing visas, the facility was being used as a command and control centre for Iran’s terrorist activities throughout the region.

Among those who died in the attack was Brigadier General Mohammad Reza Zahedi, a senior Quds Force commander, who was responsible for coordinating Iran’s support for its Hezbollah terrorist organisation in neighbouring Lebanon, as well as Tehran’s extensive network of terror groups in Syria. His deputy, General Mohammad Hadi Hajriahimi, was also killed in the attack.

Hezbollah forces, which form part of Iran’s so-called “axis of resistance” against Israel, have been regularly initiating attacks against northern Israel since Iranian-backed Hamas terrorists launched their deadly invasion of Israel on October 7. As a result, large areas of northern Israel have been left desolate as tens of thousands of Israelis have been forced to flee their homes.

Iran’s decision to rely on groups such as Hezbollah and Hamas to prosecute its war against Israel has resulted in the Israelis regularly having to retaliate with air strikes against Iranian and Hezbollah targets in Syria and Lebanon in an attempt to disrupt their terrorist infrastructure.

In particular, the Israel Defence Forces (IDF) have targeted Quds Force commanders who play a key role in supporting Hezbollah’s terrorist activities.

In December, Israeli warplanes were reported to have carried out the assassination of Razi Mousavi, the then head of Quds Force operations in Syria.

Mousavi’s assassination was the highest-profile killing of a senior Quds Force commander since the Trump administration’s liquidation of Qasem Soleimani, the charismatic head of the Quds Force who was killed by a US drone strike in Baghdad, Iraq in January 2020.

It was under Soleimani’s supervision, moreover, that the Iranian consulate in Damascus developed into a key headquarters for Iran’s terrorist network throughout the Middle East.

The consulate’s role in supporting Tehran’s terrorist activities dates back to the early 1980s, when Iran first established Hezbollah in southern Lebanon.

According to Western intelligence sources, it was from this building that Iran oversaw the Lebanon hostage crisis in the mid-1980s, which resulted in scores of American, British and French hostages being taken captive by Islamist terrorists.

Imad Mughniyeh, the Lebanese terrorist mastermind behind a wave of deadly truck bombings including against the US Embassy and US Marines compound in Beirut in 1983, was assassinated by a team of Israeli Mossad agents in 2008 shortly after driving out of the compound where the consulate was located.

More recently, it was used as the nerve centre for Iran’s efforts to keep the regime of Syrian President Bashar al-Assad in power during Syria’s brutal civil war.

Since October 7, the consulate served as Tehran’s main regional command centre, helping to supervise the activities of Iran’s so-called “axis of resistance”.

Zahedi, who died in the April 1 attack on the consulate, had fulfilled the same liaison role previously undertaken by Mughniyeh in coordinating links between Iran and Hezbollah.

Given the consulate’s long history of involvement in running Iran’s terror network, Israel would be perfectly justified in seeking to attack it, especially given its role in supervising the constant barrages of missiles Hezbollah has been launching against northern Israel.

For, as recent events have indicated, Israel is not just fighting a war against the Iranian-backed Hamas terrorists who committed the terrible atrocities on October 7. It is in an existential battle for survival against the Iranian regime and its many proxies which, if left unchecked, will continue seeking to achieve their ultimate goal of destroying the Jewish state.

Con Coughlin is the Telegraph‘s Defence and Foreign Affairs Editor and a Distinguished Senior Fellow at Gatestone Institute.

6193.- Futuro e realtà

Con Netanyahu Israele ha gettato la maschera? O è semplicemente alle porte della scena finale?

La scena ci addolora perché Israele è uno di noi, è in Occidente, ma il suo diritto alla vita non vale meno di quello della Palestina; ed ecco riemergere dal Tamigi la genia di quell’impero che volle una spina nel fianco del mondo arabo. Così, come una spina, fu pensato, nei confronti dei palestinesi, questo Stato di Israele e, come tale, fu condotto e armato fino ad oggi, così, dai coloni d’assalto alle forze armate, fra le più efficienti del mondo. La controprova è lì, in quei due milioni di arabi integratisi perfettamente nel nuovo Stato e israeliani di diritto, a tutti gli effetti. E ancora, lo era in quella massa di lavoratori gazesi che ogni mattino varcava il confine d’Israele, per far ritorno alla sera. Poteva essere il motore che avrebbe sviluppato le migliori virtù dei popoli arabi. Non lo fu, non lo è e non lo sarà mai se questa tragica sceneggiata, per molti segni tale e architettata, andrà a compimento. É questo, senza dubbio, il fine ultimo del 7 ottobre: seminare l’odio, il più acerbo e duraturo e, non vorrei vederci un altro fine, costi quel che costi: scalzare il potere degli arabi dalle terre di mezzo fra India, Cina, da una parte e Mediterraneo, Europa, dall’altra e, poi, dalle fonti dell’energia.

Se il costi quel che costi, dovesse prendere forma, noi europei non ne usciremmo indenni. Come con le sanzioni alla Federazione Russa, pagheremmo. Il fuoco acceso in Ucraina è prodromico?

6188.- La pista dell’attentato al Teatro Corcus punta decisamente in Ucraina. Troppo.

Un commento

Sul perché gli investigatori non hanno voluto identificare i mandanti con il governo ucraino si possono fare tante ipotesi. La prima è che farebbe scattare il rullo compressore dell’Armata russa, che dobbiamo ancora vedere. Travolgerebbe l’Ucraina e, inevitabilmente, entrerebbe in contatto con la Nato, che, forse, era un obiettivo, sbaragliandola, fino almeno a invadere la Francia. Vedremmo l’impiego delle armi nucleari, prima tattiche e poi… . Putin è tutt’altro che sciocco e non cadrà nel tranello, ma neanche si lascia volare la mosca al naso e ha denunciato chiaro e subito che la matrice è ucraina. Ma ucraina di chi? Vedrei – non so perché – Londra e Washington e la corsa finale del burattino Zelensky per la vendetta santa e inevitabile e per la condizione di un’apertura seria di trattative di pace, necessaria per affrontare ben altri teatri. Tralascio le aspettative di un crollo di consensi intorno a Vladimir Putin. Qui, in Ucraina, l’Europa ha perso, andrei cauto sulla vittoria di Putin, ma la Casa Bianca non ha vinto.

Sposo tutte le considerazioni di Gianluca Napolitano sugli attentatori.

Muhammad, sarebbe la mente o, comunque, uno dei possibili leader della stragedell’attentato a Mosc

Chi c'è dietro Muhammad, la mente dell'attentato a Mosca: gli scritti, i disegni e le incitazioni che lo legano all'Islam

Vi sembra uno capace di battere tutti i livelli di intelligence della Federazione Russa? 

Strage a Mosca, uno dei presunti terroristi seduto in tribunale col volto tumefatto: "Non parla russo"

E questo, con quella faccia innocente? Sarebbero questi i sicari, giunti a Mosca con la cicogna dall’Ucraina, pardon, dal Tagikistan, che, senza destare sospetti, si sono mossi, come fossero nel giardino di casa loro, nel Crocus City Hall, vi hanno depositato armi, bombe, tute e munizioni; che hanno stabilito contatti per la fuga tutti insieme da Mosca in Ucraina, senza saper parlare una parola di russo.

Da nova-project un Post di Gianluca Napolitano. L’articolo.

Più passano le ore più risultano evidenti le tracce che portano univocamente ad esecutori tagiki, ma ingaggiati e pagati da qualcuno in Ucraina.

Qualcuno che però gli investigatori non hanno voluto identificare con il governo ucraino ma con elementi non meglio identificati.

Ci sono intercettazioni telefoniche e il tracciato del percorso dei pagamenti a quelli che dovevano essere dei martiri islamici, ma che in realtà erano killer prezzolati ben intenzionati a salvare la pelle (anche se con le idee poco chiare su come riuscirci).

Sono troppe le cose che non tornano.

Il fatto che gli attentatori si dirigessero verso l’Ucraina – chiaramente verso un punto di estrazione del commando – è il primo indizio che c’è qualcosa che non quadra.

È chiaro che agivano secondo istruzioni precise che qualcuno gli ha dato.

Così come altrettanto chiaro che erano istruzioni destinate a mandarli al massacro, perché se vuoi salvare la pelle dopo una strage del genere, l’ultima cosa che puoi farti venire in mente è di rimanere tutti insieme e tutti insieme – senza neppure cambiarsi d’abito – intrupparsi su una singola vettura (comprata, neppure noleggiata) e dirigersi dritti dritti a massima velocita su una autostrada che porta verso uka frontiera fra due paesi in guerra.

Sono stati indirizzati lì appositamente. E sicuramente qualcuno ha anche avvisato le autorità russe di quale fosse la vettura.

Questo può trovare una giustificazione nel desiderio da parte dei committenti dell’attentato di eliminare gli esecutori in modo che non lasciassero tracce, ma il fatto stesso che si dirigessero verso la frontiera Ucraina è già una traccia di per sé.

Nessuno può essere così ingenuo da non rendersi conto di questa cosa banale.

Quindi i mandanti dell’attentato volevano che la prima traccia portasse verso l’Ucraina. Una volta messi gli investigatori in quella direzione, hanno trovato rapidamente tutta una serie di molliche di pane lasciate dal misterioso Pollicino e che portano tutte sempre più all’interno dell’Ucraina e delle sue ramificazioni sotterranee.

Troppe molliche lasciate sul percorso per non essere un percorso guidato e voluto.

A questo punto dobbiamo fare due considerazioni semplici semplici.

Chi è che viene favorito da questo attentato di risonanza mondiale?

  • Gli americani sicuramente no perché hanno fatto una pessima figura partendo troppo d’anticipo con la attribuzione delle responsabilità. 

6184.- Le Impronte di Londra nell’attentato a Mosca

E chi altro se no? Il FSB le sta scoprendo, sempre più precise

Sir Richard Moore KCMG is the Chief of MI6, the UK Secret Intelligence Service.

Da Blondet & Friends,

❗Stati Uniti, Gran Bretagna e Ucraina sono dietro l’attacco terroristico a Crocus –

Bortnikov, direttore FSB https://t.co/8tFekYRqhR

— Lukyluke31 (@Lukyluke311) March 26, 2024

Il corrispondente di guerra russo Marat Khayrullin sulle tracce britanniche nell’attacco al municipio di Crocus, parte 1 :

Attacco terroristico a Mosca: tracce tagiche portano alla Londra britannica che ha tirato fuori vecchi scheletri dall’armadio

La mostruosa tragedia avvenuta al Crocus City Hall ha radici molto profonde e conseguenze di vasta portata. Torneremo da loro molte volte in futuro. Ma oggi parliamo da dove è arrivato l’attacco questa volta. E proviamo a ricostruirne almeno approssimativamente la genesi e a comprendere il fatto che il principale nemico sta lanciando contro di noi se non le sue ultime forze, sicuramente giocando le carte vincenti che ha tenuto fino alla fine.

Due giorni dopo il sanguinoso attacco, nella comunità politica e di intelligence russa è opinione generale che dietro l’attacco terroristico ci sia il Regno Unito, o meglio l’MI6. Il modus operandi è fin troppo simile a quello di questa organizzazione.

Un fatto indiscutibile è che tutti i più grandi attacchi terroristici avvenuti in Russia nel periodo post-sovietico, da Beslan a Dubrovka, hanno avuto in un modo o nell’altro una traccia britannica. I leader terroristi che dirigevano i militanti furono reclutati dall’MI6. E in alcuni casi (come Basayev e Khattab) collaboravano apertamente con l’MI6.

Per contrastare questa opinione, il Regno Unito, attraverso i suoi principali media, ha rilasciato una dichiarazione ovviamente preparata: dietro l’attacco terroristico c’è una certa organizzazione Vilayat Khorasan (un ramo dello Stato islamico che opera in Afghanistan).

Per gli specialisti, tale azione parla chiaramente a favore della versione secondo cui in questo caso particolare è l’inglese [UK — S] a confondere le acque. Qui dobbiamo subito dire che la storia non è semplice, e capirla da zero è molto difficile, quindi oggi ne tracceremo solo alcune caratteristiche.

L’Isis, nel suo periodo di massimo splendore, era un insieme di bande tribali unite principalmente sulla base dei finanziamenti provenienti dal Regno Unito. Sia il bandito al-Shishani (Batirashvili, originario della Georgia) che il suo sostituto, Khalimov, tagico, erano mercenari diretti dell’MI6.

La portata delle attività dell’ISIS come procuratore degli inglesi alla fine divenne così seria che iniziò a interferire con l’influenza degli Stati Uniti in Medio Oriente e in Asia centrale, e il Regno Unito dovette parzialmente ridurre la portata delle sue operazioni per non far arrabbiare gli inglesi. egemone. E per un po’ tutti questi terroristi al servizio dell’MI6 sono rimasti nell’ombra, alcuni sono stati addirittura dichiarati morti.

Hanno cominciato a riemergere di nuovo dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan. Fu allora che entrò in scena proprio l’Isis del Khorasan. In realtà, un certo numero di leader tribali pashtun appoggiati dagli inglesi. Sono gli unici che hanno accettato di combattere i talebani. Questo è un punto chiave.

Qui entriamo nella complessa geopolitica dell’Asia centrale. La maggior parte dei paesi della regione sostiene gli sforzi dei talebani per pacificare l’Afghanistan, sperando in tal modo di garantire la loro sicurezza. Tutti, tranne il Tagikistan. Che non riescono a trovare un accordo comune con i talebani perché sotto la loro ala protettrice ci sono una serie di organizzazioni considerate terroristiche in Tagikistan. È stata proprio su questa divisione che il Regno Unito ha giocato per tutti questi anni dopo che gli americani hanno lasciato la regione, cercando con tutte le sue forze di impedire l’instaurazione della pace in Asia.

A tal fine, subito dopo il ritiro degli Stati Uniti, gli afghani di etnia tagica iniziarono ad essere reclutati nelle bande di Vilayat Khorasan. Cioè, hanno iniziato a dimostrare al presidente Rahmon, che è molto sensibile a questo problema e considera i tagiki una delle nazioni più divise al mondo, che l’ISIS del Khorasan è in un certo senso amichevole [verso i tagiki – S]. E che unendosi al sostegno dei talebani tradirebbe gli interessi dei tagiki.

In altre parole, puntando il dito contro l’ISIS del Khorasan, che, sottolineo, al momento praticamente non esiste come organizzazione (esiste solo una certa comunità di bande tribali), il Regno Unito sta apertamente cercando di trascinarci nell’Asia confusione. È un altro tentativo da parte degli inglesi, dopo il Kazakistan, di imporre problemi alle nostre retrovie.

Ma questa è solo una parte del gioco. Il secondo non è meno interessante e più rivelatore.

La base politica dello stesso leader dell’Isis, Khalimov, un tagico, è sempre stata il Partito della rinascita islamica del Tagikistan. È stata dichiarata un’organizzazione terroristica nella sua patria e dall’inizio degli anni 2000, indovina dove si trova il suo quartier generale? Hai indovinato, a Londra.

6173.- Inferno nel Sudan, la peggior crisi umanitaria della storia recente

9 milioni di disperati.

La guerra civile del Sudan, scoppiata a seguito del colpo di Stato del generale Hemedti, è diventata la peggiore crisi umanitaria della storia recente, con 9 milioni di profughi.

Da La Nuova bussola Quotidiana, di Anna Bono,  22_03_2024Campo profughi in Chad

Il delirio di onnipotenza, l’ambizione sfrenata, l’insaziabile avidità di due uomini, due generali, hanno sprofondato il Sudan nella peggiore crisi umanitaria del mondo. Il generale Abdel Fattah al-Burhan è il comandante delle forze armate e il presidente del Consiglio superiore che ha assunto il potere dopo il colpo di stato militare del 2021. Ai suoi ordini ha 120mila militari. Il suo avversario è il generale Mohamed Hamdan Dagalo, più noto come Hemedti, che fino all’anno scorso era il suo vice. È il leader delle Forze di supporto rapido (FSR), un organismo paramilitare composto da circa 100mila combattenti. Lo scorso aprile le crescenti tensioni tra di due generali sono degenerate in conflitto armato. I combattimenti sono iniziati nella capitale Khartoum e nello stato occidentale del Darfur. Nei mesi successivi si sono estesi ad altre regioni.

Le conseguenze della guerra sono di portata apocalittica. Le perdite civili si contano ormai a decine di migliaia. I profughi sono almeno nove milioni, circa 1,7 milioni dei quali rifugiati nei paesi vicini, soprattutto in Ciad e nel Sudan del Sud. Circa 25 milioni di persone, più di metà della popolazione, hanno bisogno di assistenza. Già lo scorso febbraio la situazione era stata definita prossima al punto di non ritorno. “La guerra – aveva ammonito Martin Griffiths, sottosegretario generale Onu per gli affari umanitari e coordinatore dei soccorsi – ha privato gli abitanti del paese quasi di tutto, la loro sicurezza, le loro case e i loro mezzi di sussistenza. Hanno bisogno di aiuto subito, con estrema urgenza o sarà una catastrofe”. Invece gli aiuti hanno tardato ad arrivare, fermati da continui ostacoli, e ancora non hanno raggiunto diverse parti del paese. Le agenzie internazionali e le organizzazioni non governative hanno dovuto lottare con i funzionari di Port Sudan per ottenere i permessi di transito e soccorrere gli sfollati rifugiati nelle regioni per ora risparmiate dalla guerra. Solo da qualche giorno il governo ha consentito l’uso di tre aeroporti per far atterrare aerei carichi di aiuti e l’ingresso di soccorsi dal Ciad e dal Sudan del Sud. Aveva bloccato quelli dal Ciad sostenendo che gli Emirati Arabi Uniti si servivano dei convogli umanitari per fornire armi alle FSR. Questo ha lasciato senza assistenza gli abitanti del Darfur dove i combattimenti sono più intensi, milioni di persone. Come se non bastasse, a peggiorare la situazione contribuiscono i continui attacchi agli operatori e ai convogli per saccheggiarne i carichi.

All’inizio di marzo la situazione è precipitata. A causa della guerra la produzione agricola è crollata, milioni di persone sono senza raccolti e hanno perso tutto il bestiame. A questo si aggiungono i gravi danni alle infrastrutture, l’interruzione dei flussi commerciali, il vertiginoso aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. La prospettiva è la fame per milioni di persone: cinque milioni per il momento, ma il numero è destinato ad aumentare.

“Ormai siamo di fronte a uno dei peggiori disastri umanitari della storia recente” ha dichiarato il direttore delle operazioni e della difesa dell’OCHA, Edem Wosornu, parlando al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 20 marzo. Ma i contendenti non mostrano nessuna pietà per questa umanità esausta, disperata, tanto spietati da usare la fame come arma di guerra negando l’accesso agli aiuti. Nel corso dei mesi si è delineato un quadro raccapricciante di violenze inflitte senza risparmiare nessuno: torture, stupri di gruppo, attacchi indiscriminati in aree densamente abitate con conseguenti, inevitabili vittime civili e tutti gli altri orrori che caratterizzano le guerre in cui le violenze sui civili sono deliberate e non effetti collaterali dei combattimenti. Nel maggio del 2023 in una sola città, El Geneina, nel Darfur occidentale, da 10mila a 15mila persone di etnia Masalit sono state uccise dalle FSR. Sia i militari governativi che quelli delle FSR sono accusati di crimini di guerra e le FSR si ritiene siano responsabili anche di crimini contro l’umanità e pulizia etnica nel Darfur. 

Per dare sollievo alla popolazione, l’8 marzo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione proposta dalla Gran Bretagna che chiedeva ai contendenti di sospendere i combattimenti nel mese di Ramadan, che quest’anno è iniziato il 10 marzo. Sia al-Burham che Hemedti si sono dichiarati favorevoli a una tregua, ma in realtà finora non hanno deposto le armi neanche per un giorno e tutto fa pensare che non accetteranno presto di sedersi al tavolo delle trattative al quale da mesi si tenta di portarli. Del tutto indifferenti alle sofferenze e ai danni immensi provocati dalla loro guerra, non danno il minimo segnale di voler mettere fine alle ostilità se non con la completa sconfitta dell’avversario.   

Sembra che i soldati dell’esercito governativo per mesi non siano stati pagati, che molti, di entrambi i fronti, combattano in sandali, senza uniformi, il che provoca frequenti perdite da fuoco amico. Può darsi, ma le forze armate sudanesi sono uno degli eserciti africani più forti e le FSR sono ben armate e addestrate. Entrambi i generali inoltre continuano ad arruolare e addestrare nuove reclute e sembra che lo facciano su base etnica, una scelta molto allarmante perché la tribalizzazione dei conflitti in Africa accresce sempre la violenza degli scontri e rende più difficile raggiungere accordi di pace definitivi. Altrettanto preoccupanti, per l’esito della guerra, sono le interferenze esterne. La risoluzione adottata dal Consiglio di Sicurezza conteneva anche la raccomandazione ai governi di tutti i paesi di “astenersi da interferenze che cercano di fomentare lo scontro e di sostenere invece l’impegno per una pace duratura”.

La richiesta era rivolta agli Stati che stanno sostenendo i due generali e che in effetti, con i loro aiuti militari, deliberatamente contribuiscono a far sì che la guerra continui con conseguenze sempre più dolorose. I più potenti sostenitori del generale Hemedti sono gli Emirati Arabi Uniti e la Russia. Inoltre ha al suo fianco i mercenari russi della compagnia Wagner ai quali, in cambio, consente di sfruttare le miniere d’oro che controlla. L’alleato più forte del generale al-Burhan è l’Egitto. Di recente può contare anche sull’Iran che gli ha fornito armi e servizi di intelligence grazie ai quali ha lanciato una controffensiva dopo settimane di sconfitte e ha riconquistato la città gemella della capitale, Omdurman. Inoltre ha chiesto e ottenuto aiuto dall’Ucraina. I primi militari ucraini, principalmente dell’unità Tymur, sono arrivati in Sudan lo scorso anno in tempo per aiutarlo a lasciare la capitale, ormai circondata dalle FSR, e riparare a Port Sudan. 

A differenza di altri contesti, nei quali dei paesi stranieri, seppure motivati dall’interesse di stabilire rapporti economici e politici proficui, sono intervenuti a sostegno di governi e popoli africani minacciati da gruppi ribelli o jihadisti, in Sudan i militari russi e ucraini e gli Stati schierati su fronti opposti – Egitto, Yemen, Iran, Arabia Saudita, Qatar… – alimentano con il loro sostegno e le loro ingerenze una guerra voluta da due militari al solo scopo di sopraffare l’avversario. Ne approfittano, disposti a prolungarla e a renderla più cruenta – perché questo è il risultato – se serve a conquistare posizioni nel continente africano, incuranti delle conseguenze tanto quanto i generali Hemedti e al-Burhan.