Archivi categoria: Politica estera – Libano

6206.- GAZA. Via libera degli USA all’offensiva israeliana su Rafah. Israele in cambio attuerà un attacco limitato contro l’Iran che, secondo funzionari americani, dovrebbe scattare dopo la Pasqua ebraica.

Dalla Casa Bianca un No all’ingresso della Palestina nell’ONU e un appoggio incondizionato alla “mietitura araba”. Infatti, Israele miete altri morti nel Nord della Striscia, a decine. Il genocidio impazza e l’Iran, il Libano e la Siria sono in pericolo; la Turchia è in travaglio.

من البيت الأبيض لا لدخول فلسطين إلى الأمم المتحدة ودعم غير مشروط لـ«الحصاد العربي». والحقيقة أن إسرائيل تحصد عشرات القتلى في القطاع، وإيران ولبنان وسوريا في خطر.

Dalla redazione di Pagine esteri, 18 Aprile 2024

GAZA. Via libera degli USA all’offensiva israeliana su Rafah

della redazione

Pagine Esteri, 18 aprile 2024 – Una fonte egiziana ha rivelato al quotidiano Al-Arabi Al-Jadid che l’Amministrazione Biden ha approvato il piano d’attacco del gabinetto di guerra israeliano contro Rafah, in cambio Israele non lancerà un attacco su larga scala all’Iran. Inoltre funzionari americani hanno detto alla rete ABC che Israele non attaccherà Teheran prima della fine della Pasqua ebraica (22-29 aprile).

Al Arabi Al Jadid aggiunge le forze egiziane nel Nord Sinai sono in piena allerta lungo il confine con la Striscia di Gaza per far fronte allo scenario di un’invasione di Rafah. Il Cairo è in allarme da lunedì scorso, da dopo i colloqui avuti con Israele relativi proprio ai preparativi per la nuova fase dell’offensiva militare nel sud di Gaza.

Il piano israeliano prevederebbe la suddivisione di Rafah in quadrati numerati che verranno presi di mira uno dopo l’altro, spingendo i civili palestinesi al loro interno a scappare, in particolare verso Khan Yunis e Al-Mawasi. La fonte egiziana ha affermato che, nell’ambito dei preparativi egiziani, la capacità di assorbimento dei campi per sfollati nella città di Khan Yunis, che sono supervisionati dalla Mezzaluna Rossa egiziana, è stata aumentata e la quantità di aiuti che vi entrano è cresciuta.

Intanto la tv Kan riferisce che il gabinetto di guerra israeliano avrà difficoltà ad attuare la risposta originale, pianificata e approvata inizialmente contro l’Iran. Una risposta ci sarà, ma molto probabilmente sarà diversa da quanto previsto nella notte tra sabato e domenica. Gli alleati occidentali, ha aggiunto la rete televisiva, sanno “che Israele risponderà ma che nessuno può garantire che la risposta non porti ad un’ampia escalation” con l’Iran. Pagine Esteri

6187.- Israele costringerà il Libano a entrare in guerra. L’ONU non ferma l’escalation di Biden e Netanyahu.

Gli attacchi di Israele agli ospedali sono “inaccettabili, violano le leggi e le norme internazionali, in particolare la Convenzione di Ginevra, che sottolinea la neutralità dei centri sanitari e degli operatori sanitari”. Il Libano non vuole la guerra, ma Israele gliela fa. A Gaza si sta celebrando la catastrofe dell’umanità.

Israele attacca centro medico in Libano e uccide 7 persone. La risposta di Hezbollah causa una vittima

Da Pagine Esteri, di Eliana Riva, 27 marzo 2024

Israele attacca centro medico in Libano e uccide 7 persone. La risposta di Hezbollah causa una vittima

di Eliana Riva – 

Il confronto armato tra Israele e Hezbollah, in Libano, subisce una nuova, pericolosa accelerazione. Martedì Israele ha colpito la zona più settentrionale del Libano dall’inizio della guerra. A 100 chilometri dal confine, nella città di Zaboud, nella zona orientale della Valle della Beqaa. L’esercito israeliano afferma di aver colpito un complesso militare contenente diverse piattaforme per il lancio dei droni.

Lo stesso giorno Hezbollah aveva attaccato la base aerea sul monte Meron, poco all’interno del confine israeliano. Si tratta di un presidio utilizzato dall’esercito per monitorare lo spazio aereo che, sempre secondo le forze armate, non ha subito danni significativi.

Durante la notte tra martedì e mercoledì, Israele ha compiuto un raid aereo sul villaggio di al-Habbariyeh, attaccando un centro medico e uccidendo 7 persone. Tel Aviv ha dichiarato che l’operazione militare mirava all’uccisione di un combattente dell’organizzazione Al-Jama’a Al-Islamiyya. Il Centro islamico di Emergenza e Soccorso è stato distrutto nell’attacco, che secondo fonti libanesi ha causato vittime civili: le autorità hanno dichiarato che nell’edificio c’erano paramedici, volontari e studenti universitari. Il Ministero della Salute libanese ha condannato il raid: “Questi attacchi inaccettabili violano le leggi e le norme internazionali, in particolare la Convenzione di Ginevra, che sottolinea la neutralità dei centri sanitari e degli operatori sanitari”.

Hezbollah ha immediatamente dichiarato che avrebbe risposto con forza a quello che ha definito un massacro compiuto da Israele. Alle 8 di mercoledì il gruppo islamico ha lanciato un attacco massiccio contro Kiryat Shmona, la città della punta settentrionale si Israele, vicinissima al confine, tra il Libano e le Alture del Golan occupate da Tel Aviv nel 1967. Almeno 3 dei circa 30 missili esplosi dal Libano hanno raggiunto la città, colpendo un edificio industriale e uccidendo un uomo di 25 anni.

Il Consiglio nazionale libanese per la ricerca scientifica (CNRS) ha denunciato il massiccio utilizzo di Fosforo bianco da parte di Israele nella zona meridionale, quantificato in circa 117 bombe fosforiche lanciate dall’inizio delle ostilità con Hezbollah, l’8 ottobre 2023, fino al 6 marzo 2024.

In Cisgiordania, intanto, sono stati uccisi 3 palestinesi nella zona di Jenin tra i quali due ragazzi di 19 anni. Il primo durante un’incursione dell’esercito israeliano nella città, all’esterno del campo profughi. Poche ora più tardi i militari hanno guidato un drone sull’area che ha ucciso altri 2 giovani palestinesi nelle prime ore dell’alba. L’utilizzo dei droni per uccidere i palestinesi in Cisgiordania è sempre più diffuso. All’inizio dell’anno, il 7 gennaio, proprio a Jenin un drone ha ucciso 7 persone tra le quali 4 fratelli della famiglia Darwish, che aspettavano di cominciare il lavoro quotidiano nei campi.

A Gaza si intensificano gli attacchi israeliani a Rafah, nonostante la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite abbia chiesto un cessate il fuoco immediato. Nella notte sono state uccise almeno 9 persone in un attacco aereo che ha distrutto l’abitazione della famiglia Chahir, nel nord di Rafah, al confine con l’Egitto. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver attaccato altri 5 edifici durante la notte. Sono stati distrutti anche numerosi terreni agricoli. Continua, intanto, l’assedio all’ospedale Shifa, dove gli israeliani hanno dichiarato di aver ucciso decine di persone.

Nella Striscia almeno 27 persone, tra le quali 23 bambini, sono morte di fame. Secondo la United Nations Population Fund, 1 su 3 bambini sotto i due anni a Gaza soffre una grave malnutrizione. Metà della popolazione ha esaurito le proprie scorte di cibo e deve far fronte a una “fame catastrofica”. Martedì almeno 12 palestinesi, tra cui bambini, sono annegati nel tentativo disperato di recuperare gli aiuti umanitari lanciati dagli aerei e finiti in mare. Decine di persone affamate hanno rincorso i paracadute con le scatole di aiuti alimentari fino alla spiaggia di Beit Lahia, dove il forte vento li ha spinti in mare. Pagine Esteri.

Raid nel sud del Libano, colpita auto con osservatori Onu. Idf smentisce: nessun attacco. Come credergli?

Feriti 3 membri Unifil di nazionalità australiana, cilena e norvegese, e un libanese, non in pericolo di vita. Ancora non chiara la dinamica dell’accaduto. Morti sulla distribuzione di aiuti, a Jenin ucciso un 13enne dopo un blitz dell’esercito.

6110.- La lunga guerra di Israele per l’Occidente

Da Gatestone institute, di Pete Hoekstra, 4  Febbraio 2024. Traduzione libera.

(Image source: iStock/Getty Images)

Il filo conduttore che unisce Hamas, Hezbollah e le milizie sciite è il significativo finanziamento e sostegno che ciascuno riceve dall’Iran, che a sua volta li ha ricevuti dalle amministrazioni Obama e Biden. Quando è entrata l’amministrazione Biden, l’Iran aveva 6 miliardi di dollari di riserve; ora possiede, secondo l’ex generale dell’esercito americano Jack Keane, più di 100 miliardi di dollari, che presumibilmente è ciò che ha utilizzato per finanziare i suoi delegati e il suo programma nucleare.

L’amministrazione Biden sembra ora sul punto di aggravare il problema con un’altra catastrofica ritirata: si dice che ci siano discussioni sul fatto che gli Stati Uniti ritirino le loro truppe dall’Iraq ricco di petrolio – proprio come il regime iraniano ha cercato di costringere gli Stati Uniti a fare dai tempi dell’Iran. Rivoluzione islamica del 1979.

“Israele non ha iniziato questa guerra. Israele non ha voluto questa guerra… Nel combattere Hamas e l’asse del terrore iraniano, Israele sta combattendo i nemici della civiltà stessa… Mentre Israele sta facendo di tutto per ottenere i palestinesi i civili palestinesi fuori pericolo, Hamas sta facendo di tutto per tenere i civili palestinesi in pericolo. Israele esorta i civili palestinesi a lasciare le aree di conflitto armato, mentre Hamas impedisce a quei civili di lasciare quelle aree sotto la minaccia delle armi.” – Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, Wall Street Journal.

L’ex ministro degli Esteri iraniano Ali-Akbar Salehi ha recentemente confermato che “lo scontro tra Iran e Israele continuerà finché [Israele] esiste… anche se verrà creato uno Stato palestinese”.

In realtà Israele è sulla buona strada per vincere. Il minimo che possiamo fare è consentirgli di avere tutto ciò di cui ha bisogno per completare la sua missione e il tempo necessario per farlo.

[P]proteggere i nostri confini e proteggere i nostri alleati non è una scelta alternativa…. Le eccezionali truppe americane stanno combattendo all’estero non perché gli Stati Uniti siano irresponsabilmente coraggiosi, e non per finanziare sconsideratamente il complesso militare-industriale, ma per difenderci qui a casa meglio.

Se hai un esercito forte, non dovrai usarlo: nessuno ti metterà alla prova.

Nel 1938, il primo ministro britannico Neville Chamberlain pensava che un “accordo” con Hitler avrebbe portato pace e stabilità. Ha portato il contrario. Hitler, non a caso, sfruttò l’opportunità offerta dall’illusione della pace per ampliare le sue invasioni. Quando diventarono intollerabili, fu chiaro a tutti che sarebbe stato molto meno costoso, in termini di vite umane e di denaro, fermare Hitler prima che il suo esercito attraversasse il Reno.

Come ha sottolineato il giornalista Daniel Greenfield, qualcuno ha mai chiesto durante la seconda guerra mondiale se ci fossero state troppe vittime tedesche e, in caso affermativo, che i combattimenti dovessero cessare?

L’amministrazione Biden probabilmente preferirebbe lavorare con un primo ministro israeliano, che fosse più compiacente, uno che sarebbe felice di vedere uno stato palestinese accanto a Israele, e non si preoccuperebbe così tanto se fosse un genocidio; un primo ministro che sarebbe felice di vedere un Iran armato di armi nucleari, e non diventare schizzinoso ogni volta che i mullah invocano “Morte a Israele” e dicono che Israele è una nazione “con una sola bomba”. L’amministrazione Biden potrebbe anche chiedersi: “Perché non può esserci un primo ministro israeliano ragionevole che approvi semplicemente questi piani senza dare del filo da torcere a tutti?”

“L’Iran vuole cancellare lo Stato ebraico dalla mappa geografica, ma il principale ostacolo che Blinken vede al suo piano è Israele.” — Comitato editoriale, Wall Street Journal, 24 gennaio 2024.

Altri hanno affermato che se questo è ciò che l’Iran sta facendo senza un’arma nucleare, basti pensare a cosa farà con una.

Non tutte le guerre sono “per sempre” o “inutili”, altrimenti gli Stati Uniti non sarebbero qui. Purtroppo, sembra esserci… un impegno a perdere.

Finora l’amministrazione Biden ha fornito un enorme sostegno a Israele in molti modi, il che è molto gradito. Si spera sinceramente che il suo sincero sostegno mantenga le distanze.

L’Iran stesso è stato esentato dal pagare qualsiasi prezzo per tutta la devastazione che sta causando, per non parlare della devastazione che potrebbe causare se gli fosse permesso di possedere armi nucleari. La diplomazia non lo fermerà, e un “accordo” non lo fermerà.

È tempo di affrontare seriamente la sfida iraniana, eliminare la capacità dell’Iran di finanziare e fornire armi ai suoi delegati che rappresentano molteplici minacce in questa lotta, e porre fine al suo programma nucleare prima che sia troppo tardi.

Il 17 gennaio 2024, il Council for a Secure America (CSA) ha pubblicato l’ultimo aggiornamento del suo rapporto “Guerra Israele-Hamas”, segnando 100 giorni dall’inizio della guerra. L’aggiornamento è il terzo di una serie che segue i rapporti di guerra di 50 e 70 giorni del CSA. Fin dall’inizio di questi rapporti, la vera domanda era quanto tempo sarebbe stato necessario per pubblicarli.

Storicamente, le guerre che coinvolgono Israele sono state relativamente brevi. La “Guerra dei Sei Giorni” del 1967 prese il nome dalla durata della guerra che vide Israele sconfiggere le forze combinate di Egitto, Giordania e Siria in quel periodo. La guerra dello Yom Kippur del 1973, iniziata con un attacco a sorpresa contro Israele guidato da Siria ed Egitto, durò poco meno di tre settimane prima della vittoria israeliana. Nel mezzo ci sono stati continui attacchi, ai quali Israele ha risposto “ripulendo” le fonti immediate degli attacchi, che gli israeliani hanno seccamente definito “falciare il prato”.

       L’attuale guerra di Gaza, purtroppo, è diversa. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha paragonato gli attacchi terroristici di Hamas da Gaza il 7 ottobre 2023 all’equivalente del “11 settembre”.

Il problema sembra essere che l’origine non è essenzialmente Hamas, ma l’Iran, che organizza, finanzia e rifornisce i suoi delegati: Hamas e la Jihad islamica palestinese a Gaza e nella Cisgiordania israeliana, Hezbollah in Libano e gli Houthi nello Yemen. Inoltre, l’attuale regime in Iran schiera la propria milizia, il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), che addestra le milizie per procura, e milizie più piccole in Siria e Iraq.

Dall’inizio della guerra di Gaza, le milizie sciite sostenute dall’Iran in Iraq hanno intensificato gli attacchi contro le forze statunitensi in Siria e Iraq, aggiungendo ancora un altro fattore destabilizzante militare ed economico nella regione. Il filo conduttore che unisce Hamas, Hezbollah e le milizie sciite è il significativo finanziamento e sostegno che ciascuno riceve dall’Iran, che a sua volta li ha ricevuti dalle amministrazioni Obama e Biden. Quando è entrata l’amministrazione Biden, l’Iran aveva 6 miliardi di dollari di riserve; ora possiede, secondo l’ex generale dell’esercito americano Jack Keane, più di 100 miliardi di dollari, che presumibilmente è ciò che ha utilizzato per finanziare i suoi delegati e il suo programma nucleare. Inoltre, grazie all’amministrazione Biden, l’Iran ha potuto continuare a finanziare Hamas per circa 100 milioni di dollari all’anno, oltre a fornire armi e addestramento.

Ancora più problematico è che, in segno di gratitudine per la generosità dell’amministrazione Biden, l’Iran e i suoi delegati hanno finora lanciato più di 244 attacchi (qui, più 161 secondo il generale Jack Keane) contro risorse statunitensi in Siria e Iraq da quando Biden è entrato in carica. La filantropia fuorviante di Biden è la stessa del suo primo giorno in carica, quando, dopo aver di fatto ostacolato l’approvvigionamento energetico americano, gli Stati Uniti acquistarono petrolio dalla Russia (perché non dal Canada?). Il presidente russo Vladimir Putin presumibilmente ha utilizzato i prezzi del petrolio improvvisamente raddoppiati (e per un certo periodo triplicati) per portare avanti la sua guerra all’Ucraina. Allo stesso modo, l’Iran, ha utilizzato i suoi guadagni per accelerare l’arricchimento dell’uranio all’84%, appena al di sotto del 90% necessario per la capacità di sviluppare armi nucleari. Il regime allora non solo finanziò e ordinò il suo procuratore Hamas per attaccare Israele; un altro dei suoi delegati, gli Houthi dello Yemen, ha attaccato gli Stati Uniti e i loro alleati nella regione.

Il problema con un cessate il fuoco nella guerra di Gaza adesso, prima che Israele disabiliti le capacità terroristiche di Hamas, è che Israele sta combattendo non solo per difendere se stesso, ma per conto di tutti noi nel mondo libero che siamo stati attaccati dal terrorismo e di coloro che sponsorizzarlo e che potrebbero essere attaccati da loro in futuro. L’attuale guerra a Gaza in realtà ha meno a che fare con Hamas, la Jihad islamica palestinese, Hezbollah o gli Houthi, e ha molto più a che fare con il loro finanziatore e protettore, l’Iran.

Al momento, l’Iran sta espandendo la sua guerra mentre l’amministrazione Biden sembra fare tutto ciò che è in suo potere per non farlo. Questi due obiettivi sembrano scarsamente allineati: l’Iran e i suoi delegati massacrano gli israeliani e ora gli americani; e gli Stati Uniti affermano per l’ennesima volta che risponderanno quando e come vorranno, in un momento “di nostra scelta”. Ciò dovrebbe certamente incutere loro terrore!

All’inizio della guerra, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha delineato il conflitto:

“Mentre Israele sta facendo di tutto per tenere i civili palestinesi fuori dal pericolo, Hamas sta facendo di tutto per mantenere i civili palestinesi in pericolo. Israele esorta i civili palestinesi a lasciare le aree di conflitto armato, mentre Hamas impedisce a quei civili di lasciare quelle aree sotto la minaccia delle armi.

“La cosa più deplorevole è che Hamas detiene più di [136] ostaggi israeliani… compresi… bambini. Ogni nazione civilizzata dovrebbe schierarsi con Israele nel chiedere che questi ostaggi siano liberati immediatamente e senza condizioni.

“Le richieste di cessate il fuoco sono richieste a Israele di arrendersi a Hamas, di arrendersi al terrorismo, di arrendersi alla barbarie. Ciò non accadrà.

“La lotta di Israele è la tua battaglia. Se Hamas e l’asse del male iraniano vincono, tu sarai il loro prossimo obiettivo. Ecco perché la vittoria di Israele sarà la tua vittoria.”

L’ex ministro degli Esteri iraniano Ali-Akbar Salehi ha recentemente confermato che “lo scontro tra Iran e Israele continuerà finché [Israele] esiste… anche se verrà creato uno Stato palestinese”.

L’amministrazione Biden sembra ora sul punto di aggravare il problema con un’altra catastrofica ritirata: si dice che ci siano discussioni sul fatto che gli Stati Uniti ritirino le loro truppe dall’Iraq ricco di petrolio – proprio come il regime iraniano ha cercato di costringere gli Stati Uniti a fare dai tempi dell’Iran. Rivoluzione islamica del 1979. Come riportato dal New York Times:

“Dalla presa del potere dell’Iran da parte dell’Ayatollah Ruhollah Khomeini nel 1979, il governo rivoluzionario islamico del Paese ha avuto un’ambizione fondamentale: essere il principale attore nel plasmare il futuro del Medio Oriente. Visto in un altro modo, vuole che Israele si indebolisca e gli Stati Uniti se ne vadano dalla la regione dopo decenni di primato.”

Quindi, dopo essersi arresi ai talebani in Afghanistan, gli Stati Uniti d’America, il grande difensore della libertà mondiale, si arrenderanno ancora una volta, arrendendosi ai terroristi e al loro padrone del terrore, l’Iran, e lasciando un vuoto in Medio Oriente essere riempito dagli avversari statunitensi?

I leader degli alleati degli Stati Uniti in Israele, Taiwan, Ucraina e nel Golfo Persico possono solo chiedersi quale di loro sarà il prossimo.

Israele, nonostante la straziante perdita di vite umane e il colpo devastante alla sua economia, non sta tagliando e fuggendo. È “una battaglia di civiltà contro la barbarie”, ha detto Netanyahu. “Vinceremo.”

Sembra che ci sia chi, però, preferirebbe che Israele non vincesse. Voci di propaganda disfattista (come qui e qui) stanno già cercando di affermare che “Israele non può vincere”. Al contrario, come ha spiegato il reporter militare Yaakov Lappin, Israele è in realtà sulla buona strada per vincere. Il minimo che possiamo fare è consentirgli di avere tutto ciò di cui ha bisogno per completare la sua missione e il tempo necessario per farlo.

Altre voci, nel frattempo, protestano dicendo che prima che gli Stati Uniti affrontino i confini esteri, dovremmo prima occuparci dei nostri, soprattutto quelli meridionali. Più di 8,6 milioni di immigrati clandestini sono entrati negli Stati Uniti da quando Biden ha iniziato il suo mandato, inclusi quasi 1,6 milioni di “fughe” di cui sappiamo, ma di cui non sappiamo nulla. È una crisi di sicurezza e deve essere affrontata. Tuttavia, proteggere i nostri confini e proteggere i nostri alleati non è una scelta alternativa.

Ciò che manca in una simile valutazione è che le truppe statunitensi di stanza all’estero stanno di fatto proteggendo un confine virtuale più ampio, per gli Stati Uniti e il mondo libero. Questi siti sono basi avanzate, non solo per difendere alleati come Ucraina, Israele, Taiwan, Medio Oriente, Indo-Pacifico, ma per assicurarci che non dovremo combattere nelle strade di Boston, San Francisco e New York . Se ciò sembra inverosimile, non c’è nemmeno bisogno di guardare indietro fino agli attacchi dell’11 settembre. Il direttore della CIA Christopher Ray, riferendosi ai segnali che erano sfuggiti prima dell’11 settembre, ha recentemente avvertito i senatori americani: “Vedo luci lampeggianti ovunque mi giri”.

Le migliori truppe americane combattono all’estero non perché gli Stati Uniti siano irresponsabilmente coraggiosi e non per finanziare sconsideratamente il complesso militare-industriale, ma per difenderci meglio qui in patria. Infatti, se vogliamo tenere il passo con gli eserciti stranieri che si stanno rapidamente modernizzando, e se vogliamo mantenere una deterrenza credibile, abbiamo bisogno di più finanziamenti per le forze armate oltre a uno studio serio delle migliori modalità aggiornate per utilizzarle. Questo non è essere un falco; in realtà è pura colomba: se hai un esercito forte non dovrai usarlo: nessuno ti metterà alla prova. Il presidente Ronald Reagan lo definì “Pace attraverso la forza”. Ha funzionato.

L’isolazionismo statunitense, una piacevole fantasia, è, come gli Stati Uniti hanno scoperto nel modo più duro durante la Seconda Guerra Mondiale, immensamente pericoloso. Mentre i nostri avversari si riversano per riempire ogni vuoto da cui gli Stati Uniti si ritirano, il desiderio di spodestare l’America non sarà trascurato. Per quanto costosi e spesso anche dispendiosi (un problema di gestione e responsabilità che dovrebbe essere indagato), questi impegni possono sembrare, sono un affare rispetto a quelle che potrebbero essere le spese successive in una guerra vera e propria.

Nel 1938, il primo ministro britannico Neville Chamberlain pensava che un “accordo” con Hitler avrebbe portato pace e stabilità. Ha portato il contrario. Hitler, non a caso, sfruttò l’opportunità offerta dall’illusione della pace per ampliare le sue invasioni. Quando diventarono intollerabili, fu chiaro a tutti che sarebbe stato molto meno costoso, in termini di vite umane e di denaro, fermare Hitler prima che il suo esercito attraversasse il Reno.

Se il problema sembra essere il numero delle vittime civili, il rapporto CSA rileva che, anche se sono significative – idealmente anche una sola morte è di troppo – non sono diverse da quelle delle guerre precedenti – e, secondo il New York Times, sono addirittura drammatiche. decrescente.

Il Ministero della Sanità di Gaza – gestito ovviamente da Hamas, le cui statistiche sono palesemente inaffidabili – ha riferito che più di 23.000 persone sono state uccise a Gaza. Il ministero, tuttavia, non fa distinzione tra terroristi e civili. Sfortunatamente, Hamas sembra credere che sia nel suo interesse pubblicare statistiche quanto più attendibili possibile, molto probabilmente nella speranza che sia Israele ad essere incolpato per le morti e non lui stesso per aver usato i propri cittadini come scudi umani.

Inoltre, come ha sottolineato il giornalista Daniel Greenfield, qualcuno si è mai chiesto durante la seconda guerra mondiale se ci fossero state troppe vittime tedesche e, se ci fossero state, che i combattimenti dovessero cessare? Come ha detto Netanyahu, Israele non voleva questa guerra e non ha chiesto questa guerra; gli dovrebbe essere consentito di porre fine a questa guerra prima che il piano del regime iraniano di “esportare la Rivoluzione” si diffonda ulteriormente. L’Iran controlla quattro capitali oltre alla propria, in Siria, Yemen, Libano e Iraq. L’Iran ha rafforzato i suoi intermediari terroristici; è vicino alla costruzione della sua bomba nucleare e da più di un decennio sta espandendo le sue operazioni in Sud America (qui, qui, qui e qui).

Ci sono state preoccupazioni circa il periodo di tempo di cui Israele potrebbe aver bisogno se non si vede una fine definita in vista. Netanyahu, tuttavia, ha dichiarato chiaramente i suoi “tre obiettivi di guerra”, secondo il Wall Street Journal:

“Questi obiettivi sono realizzabili”, ma la guerra “richiederà molti mesi”. Elenca gli obiettivi nel suo caratteristico baritono. “Uno: distruggere Hamas. Due: liberare gli ostaggi”, di cui circa 136 rimangono nei tunnel di Hamas, alcuni dei quali si presume siano morti. “Tre: garantire che Gaza non costituisca mai più una minaccia per Israele.”

Non è questo ciò che gli Stati Uniti vorrebbero in un confronto simile con al-Qaeda o ISIS?

L’amministrazione Biden probabilmente preferirebbe lavorare con un primo ministro israeliano, che fosse più compiacente, uno che sarebbe felice di vedere uno stato palestinese (qui e qui) accanto a Israele, e non si preoccuperebbe così tanto se fosse un genocidio; un primo ministro che sarebbe felice di vedere un Iran armato di armi nucleari, e non diventare schizzinoso ogni volta che i mullah invocano “Morte a Israele” e dicono che Israele è una nazione “con una sola bomba”. L’amministrazione Biden potrebbe anche chiedersi: “Perché non può esserci un primo ministro israeliano ragionevole che approvi semplicemente questi piani senza dare del filo da torcere a tutti?”

Sembra esserci una mentalità profonda negli Stati Uniti che crede: “Se solo Israele non ci fosse, non avremmo tutti questi problemi”. Potrebbero anche essere le stesse persone che pensano che se continuate a corrompere i vostri avversari, questi, come falsamente promesso dall’ayatollah Ruhollah Khomeini, non si opporranno agli interessi americani in Iran. Non ci sono prove che indichino che qualcosa sia cambiato. Perché dovrebbe farlo quando gli Stati Uniti continuano a dimostrare che essere un avversario è un grande business? I nostri avversari possono vedere che gli alleati degli Stati Uniti, come Israele, ricevono minacce (per esempio qui e qui); sono ordinati in giro; hanno subito interferenze nei loro affari interni, come le riforme giudiziarie, e compromesse le loro elezioni libere ed eque (qui e qui). I nostri avversari possono anche vedere agli alleati degli Stati Uniti sentirsi dire quando, dove, come possono o meno difendersi – anche dopo un attacco genocida (qui e qui). In quale squadra preferiresti essere?

Il Wall Street Journal ha osservato:

          ”L’Iran vuole cancellare lo Stato ebraico dalla mappa geografica, ma il principale ostacolo che Blinken vede al suo piano è Israele…

“A quanto pare, le concessioni politiche al terrorismo sono l’unica via da seguire…

“Lo prenda dal presidente israeliano Isaac Herzog, un oppositore di Netanyahu ed ex leader del partito laburista. ‘Se chiedi a un israeliano medio adesso’, ha detto giovedì, ‘nessuno sano di mente è disposto ora a pensare a quale sarà la soluzione di gli accordi di pace…’

Nell’entusiasmo dell’amministrazione Biden per il successo in politica estera, non si dovrebbe dimenticare che quanto più completa sarà la sconfitta di Hamas, tanto maggiore sarà lo spazio di compromesso che Israele avrà. La vittoria sarebbe il massimo per aprire la strada alla pace.”

Biden, con ogni probabilità, vede la cessazione della violenza e la creazione di uno Stato palestinese come un biglietto per la rielezione, o per lo meno, per un Premio Nobel per la pace. Sembra ancora, mistificantemente, determinato a garantire una sorta di “accordo” con l’Iran, anche se l’Iran non ha onorato nessuno dei suoi accordi in passato e non sembra probabile che ne onorerà uno in futuro.

“L’Iran minaccia il mondo”, ha detto il ministro dell’Economia israeliano Nir Barkat. “Vogliono creare una bomba per usarla.”

Altri hanno affermato che se questo è ciò che l’Iran sta facendo senza un’arma nucleare, basti pensare a cosa farà con una.

Non tutte le guerre sono “per sempre” o “inutili”, altrimenti gli Stati Uniti non sarebbero qui. Purtroppo, sembra esserci nell’amministrazione Biden l’impegno a perdere. Naturalmente, probabilmente sembra più facile – nel breve termine – arrendersi, come in Afghanistan, e ritirare le truppe americane dalla Siria e dall’Iraq, e abbandonare Israele a favore di un regime terroristico maligno. È molto meglio scoraggiare e ancora meglio vincere.

Sul confine settentrionale di Israele si trova il Libano, ora sotto il dominio di un’altra milizia per procura dell’Iran, Hezbollah. Per anni, ha ampliato gli sforzi dell’Iran schierando circa 150.000 missili puntati contro Israele, un paese più piccolo del New Jersey. Hezbollah ammette apertamente di aver condotto più di 670 attacchi contro Israele – oltre a quelli di Hamas nel sud di Israele – proprio da allora. 7 ottobre 2023. In risposta, il ministro del Gabinetto di Guerra israeliano Benny Gantz ha detto agli alti funzionari statunitensi dei crescenti attacchi di Hezbollah nel nord di Israele, “chiedendo a Israele di rimuovere tale minaccia”.

L’Iran, ovviamente, è felice che i suoi delegati combattano e muoiano per distruggere Israele, purché la guerra non si estenda a loro – il motivo, con ogni probabilità, in primo luogo per cui l’Iran ha dei delegati. L’amministrazione Biden, con suo enorme merito, ha stazionato diverse navi da guerra nella regione per scoraggiare l’espansione, il che prolungherebbe ulteriormente la durata della guerra. Finora l’amministrazione Biden ha fornito un enorme sostegno a Israele in molti modi, il che è molto gradito, e si spera sinceramente che il suo sincero sostegno mantenga le distanze.

Qualsiasi deterrenza, tuttavia, dovrà essere molto più potente e indirizzata direttamente all’Iran, un conto per i beni iraniani, per distrarre l’Iran dai suoi obiettivi egemonici. Una situazione diversa in questa guerra richiederebbe una risposta molto più forte da parte degli Stati Uniti rispetto a quella a cui abbiamo assistito attualmente. Il generale Keane ha suggerito di colpire i leader e le capacità militari dell’IRGC e dei suoi leader che stanno dando inizio all’aggressione, per impedire loro di causare ulteriori danni.

Come in tutte le guerre, entrambe le parti sono colpite da centinaia di migliaia di civili sfollati, sia palestinesi che israeliani.

Dalla lettura del rapporto CSA è possibile trarre alcune conclusioni significative.

In primo luogo, se l’Iran e i suoi delegati vengono ulteriormente coinvolti nel conflitto, gli Stati Uniti devono rispondere all’Iran, cosa che il presidente Biden ha accettato di fare, anche se non è ancora chiaro quando, dove o come. Almeno finora, l’amministrazione Biden è apparsa riluttante a rispondere all’Iran e alle sue provocazioni in un modo che potrebbe effettivamente scoraggiarlo. Il personale statunitense è morto e decine di soldati sono rimasti feriti, alcuni con gravi lesioni cerebrali traumatiche, ma l’Iran stesso è stato esonerato dal pagare qualsiasi prezzo per tutta la devastazione che sta causando, per non parlare della devastazione che potrebbe causare se gli fosse permesso. avere armi nucleari. La diplomazia non lo fermerà, e un “accordo” non lo fermerà.

L’Iran non è stato colpito affatto: né le basi dell’IRGC, né i centri di addestramento, né la sua nave spia nel Mar Rosso. Non sono state ripristinate nemmeno le sanzioni finanziarie. L’Iran può solo leggere questa risposta come un’opportunità d’oro per intensificare l’aggressione e, almeno fino alle elezioni presidenziali americane di novembre, fare tutto ciò che vuole.

Il capo di stato maggiore dell’IDF, il tenente generale Herzi Halevi, ha detto ai giornalisti che “sia la sicurezza che il senso di protezione” per il nord di Israele potrebbero richiedere alle forze dell’IDF di apportare un “cambiamento molto chiaro”. Non ha detto di cosa.

Ci sono anche segnali che la guerra sta diventando un conflitto regionale allargato, anche se l’amministrazione Biden, apparentemente facendo del suo meglio per evitarlo, potrebbe scoprire, come ha fatto Chamberlain, che tale posizione è esattamente ciò che la provoca.

Con una mezza mossa, l’amministrazione Biden ha recentemente aggiunto gli Houthi con sede nello Yemen a un elenco di gruppi designati come organizzazioni terroristiche. Purtroppo, l’elenco si è rivelato relativamente inefficace, ben al di sotto del livello delle organizzazioni terroristiche straniere a cui il gruppo era stato precedentemente assegnato.

Finora, l’amministrazione Biden non ha affrontato le minacce come se fossero sfide globali significative. L’amministrazione sta sostenendo le necessità militari di Israele, il che è positivo, ma si rifiuta ancora di affrontare il vero problema centrale: l’Iran. Fornire agli israeliani le risorse per vincere la guerra e costruire una coalizione per affrontare gli attacchi terroristici degli Houthi contro il trasporto marittimo globale sono passi concreti. Ciò che viene ignorato è che l’Iran è il burattinaio dietro le quinte che tira le fila. Per contenere la minaccia, l’amministrazione Biden deve ripristinare una strategia molto più vigorosa per affrontare l’Iran. L’Iran deve essere nuovamente sanzionato, ostracizzato nella comunità globale e la sua fonte di entrate – il petrolio – utilizzato per finanziare Hamas, Hezbollah, gli Houthi e le milizie sciite – deve essere tagliata.

Se all’Iran non verrà impedito di acquisire armi nucleari, il mondo si troverà in una situazione diversa, soggetto a innumerevoli corse agli armamenti o addirittura a una guerra nucleare.

Come evidenzia il rapporto CSA, la guerra in corso tra Israele e Hamas comporta rischi significativi per Israele, per la regione e per il mondo. È tempo di affrontare seriamente la sfida iraniana, eliminare la capacità dell’Iran di finanziare e fornire armi ai suoi delegati che rappresentano molteplici minacce in questa lotta, e porre fine al suo programma nucleare prima che sia troppo tardi.

Peter Hoekstra è un Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute. È stato ambasciatore degli Stati Uniti nei Paesi Bassi durante l’amministrazione Trump. Ha anche prestato servizio per 18 anni nella Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti in rappresentanza del secondo distretto del Michigan ed è stato presidente e membro di grado del comitato di intelligence della Camera.



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6179.- “Quando la lite è ebraica”

Alla domanda sull’autenticità delle immagini dei bambini morti che Netanyahu aveva condiviso e sostenuto, il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha dichiarato il 12 ottobre: “Non credo che il nostro compito sia dover convalidare o approvare questo tipo di immagini”. “Provengono dal primo ministro israeliano e non abbiamo motivo di dubitare della loro autenticità“. Quindi, di fatto, Kirby le ha convalidate, ma Netanyahu aveva diffuso delle balle, come quelle sull’attacco di sorpresa. Per l’Italia e per gli italiani, per gli Stati del Mediterraneo, sono importanti gli israeliani, i palestinesi e gli arabi ma, fra tutti questi, soltanto quelli che vogliono e sanno convivere e lavorare in pace. Ecco, un obiettivo per il Piano Mattei che farebbe il paio con la solidarietà attiva.

Atrocity Propaganda, Moral Idealism, and the West

Da The UNZ Review, di MARSHALL YEATS • JANUARY 5, 2024. Republished from The Occidental Observer. Traduzione libera e premessa di Mario Donnini.

“Quando la lite è ebraica”,è necessaria più cautela del solito, poiché la stampa dell’Europa è in larga misura e sempre più nelle mani degli ebrei.” Così
Goldwin Smith , “Una nuova luce sulla questione ebraica[1]”

Dovrebbe essere considerato un assioma, semplice e scontato, il fatto che il sistema politico occidentale possa essere comprato con il denaro, ma che il suo popolo si compra meglio con storie singhiozzanti. La citazione sopra riportata, del brillante storico e giornalista britannico Goldwin Smith (1823-1910), era una reazione alla propaganda delle atrocità ebraiche che denunciavano pogrom estremamente violenti nell’impero russo. Questi “pogrom”, descritti in dettaglio su The Occidental Observer da Andrew Joyce, erano un panico morale di massa ideato dai media per servire gli interessi ebraici. In questo caso, ad esempio, i pogrom fungevano da pretesto per una migrazione economica di massa, e i racconti spaventosi di atrocità e sofferenze erano la valuta morale utilizzata per acquistare l’acquiescenza occidentale nei confronti dell’immigrazione di milioni di ebrei. Sebbene si siano svolte proteste di massa a favore degli ebrei e siano stati raccolti milioni di dollari in aiuti, Smith ha ricordato ai suoi ingenui contemporanei ciò che le indagini del governo britannico avevano già rivelato:

A Elizabethgrad, invece di radere al suolo intere strade, solo una capanna era stata scoperta. Pochi ebrei, se non nessuno, furono uccisi intenzionalmente, anche se alcuni morirono per le ferite riportate durante le rivolte. Gli oltraggi contro le donne, di cui, secondo i resoconti ebrei, ce n’erano stati un numero spaventoso non meno di trenta in un luogo e venticinque in un altro e per i quali l’indignazione pubblica in Inghilterra era stata ferocemente suscitata, sembrano, dopo inchieste dai consoli, siano stati ridotti in tutto a qualcosa come una mezza dozzina di casi autenticati. Ciò è tanto più notevole perché le rivolte cominciavano comunemente con il saccheggio dei negozi di vodka, che sono gestiti dagli ebrei, sicché le passioni della folla devono essere state infiammate dal bere. L’orribile accusa mossa dagli ebrei nel The Times contro le donne russe, di aver incitato gli uomini a oltraggiare le loro sorelle ebree e di aver tenuto a freno le ebree, per punirle per la loro superiorità nel vestire, si rivela del tutto infondata. Cade anche l’accusa di aver arrostito vivi i bambini. L’opuscolo ebraico ristampato dal London Times afferma che un locandiere ebreo fu rinchiuso in uno dei suoi barili e gettato nel Dnepr. Questa risulta essere una favola, il villaggio che ne fu la presunta scena si trova a dieci miglia dal Dnepr e non è vicino a nessun altro fiume importante, perciò….

Valuta morale

Come sottolineano sia Smith che Joyce, i fatti dietro la narrativa del pogrom furono più o meno soffocati dall’intensità del sentimento morale provocato dai resoconti ebraici vistosamente violenti diffusi dalla Russia, e abbiamo assistito esattamente alla stessa dinamica svolgersi nel periodo immediatamente successivo. dell’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre. Anche se questo saggio si concentrerà su alcuni dettagli e misteri che circondano i primi resoconti della propaganda delle atrocità israeliane sull’incursione di Hamas, l’aspetto più interessante in tutto è forse che gli ebrei sembrano consapevoli che la moralità è la valuta con cui acquistare l’acquiescenza, o ad un prezzo più basso. silenzio quantomeno silenzioso, da parte del pubblico occidentale. Sono profondamente consapevoli della nostra sensibilità alle argomentazioni morali.

Kevin MacDonald ha sottolineato che “l’idealismo morale è una tendenza potente nella cultura europea. … La moralità è definita non come ciò che è bene per l’individuo o il gruppo, ma come un ideale morale astratto”. Ciò contrasta con gli approcci alle questioni morali seguiti da altri popoli, che tendono ad essere molto più pragmatici, situazionali o basati sul contesto. Prendiamo, ad esempio, la massima di Deng Xiaoping: “Non importa se un gatto è bianco o nero; se prende i topi, è un buon gatto”. L’approccio pragmatico della Cina alla moralità, quando si riflette nella politica estera e nella sicurezza internazionale, è stato considerato uno dei principali motori della sua influenza globale in rapida espansione. Gli Stati Uniti, nel frattempo, sono impegnati da decenni in una demonizzazione morale dei loro oppositori (“Asse del Male”, ecc.) che rende il compromesso quasi impossibile. Scrivendo per Global Asia, Kishore Mahbubani commenta che “esiste una vena morale che influenza il pensiero della politica estera degli Stati Uniti che non può essere eliminata. E molti americani sono orgogliosi del fatto che questa dimensione morale sia un fattore cardinale. Clinton ha dichiarato in un’intervista dell’aprile 2009: ‘C’è sempre e deve esserci una dimensione morale nella nostra politica estera’”. Il fatto che gli interessi materiali siano il motore principale degli obiettivi di politica estera non toglie alla maggior parte dei politici la consapevolezza di devono tuttavia inserire i propri obiettivi materiali in una struttura morale di consumo pubblico. Gli alleati dell’America devono essere presentati come moralmente buoni, indipendentemente dalla realtà dietro l’immagine, e i suoi nemici designati devono essere presentati come moralmente cattivi, anche se il gruppo o la nazione avversari stanno semplicemente perseguendo i propri interessi.

Gli ebrei sono consapevoli di questa dimensione morale, e i sionisti in particolare dispongono di un arsenale retorico accuratamente realizzato per il pubblico occidentale, basato esclusivamente sul linguaggio dei diritti, della moralità e della giustizia, anche se tali concetti sono molto lontani dalla realtà delle azioni israeliane. atteggiamenti e comportamenti. Sebbene Israele sia uno stato chiaramente espansionista, spesso aggressivo nella forma dei suoi insediamenti in Cisgiordania, i suoi apologeti in Occidente utilizzano una serie di frasi difensive come “Israele ha il diritto di difendersi”, “Israele ha il diritto di difendersi” di esistere”, e, secondo le parole dell’Ayn Rand Institute, “Israele ha un diritto morale alla propria vita”. Un eccellente esempio di quella che potremmo chiamare “propaganda morale” è apparso sul Wall Street Journal l’11 ottobre. L’articolo, intitolato “Il dovere morale di distruggere Hamas” e scritto dai giornalisti ebrei Walter Block e Alan Futerman, sosteneva che Israele risiedeva accanto a una “cultura malvagia e depravata”. Si diceva che gli arabi fossero motivati da nient’altro che un “odio verso gli ebrei” infondato e amorfo e che avessero “massacrato uomini, donne e bambini innocenti. Queste bande li hanno violentati, mutilati e torturati mentre gridavano “Uccidete gli ebrei!””

Dal momento che non viene mai riconosciuto che gli ebrei abbiano danneggiato altri gruppi, i racconti sui loro stupri, mutilazioni e torture da parte di “odiatori degli ebrei” sono ancora più scioccanti e ripugnanti. Questa definizione e comprensione dell’antisemitismo conferisce intrinsecamente agli ebrei una sorta di valore morale, persino di superiorità, e gli ebrei hanno goduto di un’abbondanza quasi illimitata di valore morale a partire dalla seconda guerra mondiale perché quella guerra è stata ripetutamente confezionata come la quintessenza della “buona guerra”. – una guerra contro il male. Sebbene negli ultimi decenni siano stati compiuti sforzi per affrontare le scelte morali e i dilemmi etici degli Alleati, come la moralità dell’uso della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki o la decisione britannica di bombardare Amburgo riducendola in macerie, l’unico elemento intoccabile della visione popolare della Guerra Mondiale II è che gli ebrei furono le principali vittime di un regime “malvagio” nel conflitto e che la loro esperienza durante quella guerra ha lezioni morali profonde e durature per tutti i popoli occidentali.

La carta bianca ebraica

Il risultato più immediato e geopoliticamente significativo di questa impostazione della Seconda Guerra Mondiale fu la creazione dello Stato di Israele e la concessione internazionale agli ebrei di carta bianca per dominare e rimuovere centinaia di migliaia di palestinesi dalle terre desiderate. In effetti, è difficile individuare un esempio di pulizia etnica a memoria d’uomo che abbia provocato una risposta internazionale più attenuata rispetto allo sfollamento israeliano dei palestinesi. I funzionari del consolato americano in Palestina nel 1948 notarono che gli ebrei bombardavano obiettivi civili palestinesi in un modo “così completamente immotivato da collocarlo nella categoria del nichilismo”. Gli ebrei, che solo pochi decenni prima avevano diffuso false voci di stupri e saccheggi russi nel mondo, furono denunciati da un diplomatico americano nel 1948 mentre “portavano mobili, masserizie e forniture da edifici arabi e pompavano l’acqua delle cisterne in autocisterne. Le prove indicavano [un] saccheggio chiaramente sistematico [del quartiere arabo] [da parte degli ebrei]”. Ma queste osservazioni restavano proprio questo: osservazioni.

Sebbene sia forte la tentazione di dare pieno sostegno ai palestinesi, è importante ricordare che abbiamo più che sufficienti problemi nostri, anche se molti di essi sono stati causati dagli stessi sospettati. Mi associo al commento di Kevin MacDonald secondo cui “Ciò non significa che io sia una cheerleader per i palestinesi. I palestinesi sono un tipico popolo mediorientale e tutto ciò che ciò comporta in termini di forme sociali non occidentali: i clan, il collettivismo e l’Islam con la sua lunga storia di odio contro l’Europa”. Ma il conflitto israelo-palestinese è di vitale interesse per i popoli occidentali per due ragioni principali. In primo luogo, il dominio israeliano nella regione dipende totalmente dal sostegno occidentale, in particolare dagli aiuti finanziari, diplomatici e militari americani. Al netto dell’inflazione, i contribuenti americani hanno consegnato centinaia di miliardi di dollari allo Stato ebraico dal 1948. Le azioni israeliane in Medio Oriente hanno implicazioni dirette per le nazioni occidentali: consumano risorse occidentali, provocano atti di terrorismo nei paesi occidentali e sono componenti di una sorta di teatro morale manipolativo in cui gli israeliani lottano costantemente per presentarsi come eroi che combattono contro una folla di malvagi. Al centro di questo teatro c’è il racconto delle atrocità.

Beheaded Babies?

È indiscutibile che Hamas abbia commesso violenze contro i bambini durante e dopo l’incursione del 7 ottobre in territorio israeliano, ma l’affermazione particolarmente cruenta ed emotiva secondo cui Hamas avrebbe decapitato dozzine di bambini ha acquisito improvvisa e diffusa importanza nei giorni successivi al massacro. Questa importanza è in gran parte il risultato dell’amplificazione delle affermazioni iniziali di un singolo giornalista israeliano da parte di esponenti del governo statunitense e israeliano. L’affermazione è stata ampiamente ripetuta anche da politici tra cui i rappresentanti repubblicani Marjorie Taylor Greene ed Elise Stefanik, da importanti organi di informazione come CNN, Fox News e New York Post; da funzionari israeliani, compreso l’ufficio del primo ministro; dal presidente dell’ADL Jonathan Greenblatt e da numerosi attori e celebrità ebrei sui social media. L’affermazione divenne di per sé un fenomeno virale, ma col passare del tempo divenne chiaro che mancavano prove.

Sappiamo finalmente la verità: Un falso! ndt

Sarah Swann, scrivendo per PolitiFact, ha commentato:

Già la violenza confermata era abbastanza orribile. Allora perché l’affermazione, basata su fonti deboli, di circa 40 bambini decapitati viaggiava in lungo e in largo? Esperti di disinformazione e Medio Oriente hanno individuato la risposta emotiva suscitata dalla violenza contro i bambini, insieme alla mancanza di conferma da parte di fonti ufficiali. “Poiché è un’affermazione così scioccante… ha raccolto un’attenzione significativa così come tentativi di sostenerla o confutarla”, ha affermato Osamah Khalil, professore di storia della Syracuse University specializzato in Medio Oriente moderno e politica estera degli Stati Uniti.

L’affermazione secondo cui Hamas avrebbe decapitato 40 bambini può essere fatta risalire ai commenti in diretta di un giornalista israeliano. il 10 ottobre, tre giorni dopo l’attacco di Hamas al Kibbutz Kfar Aza, nel sud di Israele. Nicole Zedeck, un’ebrea americana collaboratrice di i24 News, un canale di notizie israeliano, ha affermato che i soldati dell’IDF avevano detto che i suoi bambini erano stati uccisi nell’attacco. In particolare, durante una trasmissione in lingua inglese proprio da Kfar Aza, Zedeck ha detto: “L’esercito israeliano dice ancora di non avere un numero chiaro (delle vittime), ma sto parlando con alcuni soldati, e dicono quello che hanno visto. Testimoniano che hanno camminato attraverso queste diverse case, queste diverse comunità: ovunque bambini con la testa tagliata. Questo è quello che hanno detto anche Oren Ziv di +972 Magazine e Samuel Forey del notiziario francese. Altri giornalisti sul posto quel giorno a Kfar Aza, t Le Monde, hanno negato che tali affermazioni fossero state fatte da soldati dell’IDF.

In un post su X che Ziv ha poi misteriosamente cancellato, ha detto di non aver visto alcuna prova che Hamas avesse decapitato bambini durante la visita del kibbutz quel giorno, “e nemmeno il portavoce o i comandanti dell’esercito hanno menzionato alcun incidente del genere”. Ziv ha detto che ai giornalisti di Kfar Aza è stato permesso di parlare con centinaia di soldati senza la supervisione del team di comunicazione delle Forze di Difesa Israeliane, e che non è stata menzionata alcuna scoperta così raccapricciante. Allo stesso modo, Forey ha detto in un post che è ancora visibile su X: “Nessuno mi ha parlato di decapitazioni, tanto meno di bambini decapitati, tanto meno di 40 bambini decapitati”. Forey ha detto che il personale dei servizi di emergenza con cui ha parlato non ha visto alcun corpo decapitato.

Nonostante le confutazioni di altri giornalisti presenti nello stesso tour del kibbutz, Zedeck ha poi pubblicato il giorno successivo su X che “uno dei comandanti mi ha detto di aver visto le teste dei bambini tagliate”. Trentacinque minuti dopo, ha pubblicato di nuovo, dicendo: “i soldati mi hanno detto che credono che siano stati uccisi 40 neonati/bambini”. Nel giro di 24 ore, organi di stampa negli Stati Uniti e nel Regno Unito, tra cui The Independent, The Daily Mail, CNN, Fox News e il New York Post, hanno ripetuto l’affermazione secondo cui Hamas aveva decapitato bambini, citando come fonti i media israeliani o l’ufficio del primo ministro. Quest’ultima ha guadagnato terreno perché, l’11 ottobre, un portavoce di Benjamin Netanyahu ha detto alla CNN che neonati e bambini piccoli sono stati trovati a Kfar Aza con le “teste decapitate”.

La mattina seguente, tuttavia, la CNN riferì che il governo israeliano non poteva confermare l’affermazione secondo cui Hamas avrebbe decapitato i bambini, contraddicendo la precedente dichiarazione dell’ufficio di Netanyahu. Ciò non ha impedito a Joe Biden di ripetere l’affermazione durante un incontro dell’11 ottobre con i leader ebrei, dicendo: “Non avrei mai pensato davvero che avrei visto e avuto conferma di immagini di terroristi che decapitavano bambini”. È toccato allo staff della Casa Bianca informare in seguito la CNN che Biden in realtà non aveva né visto le foto né ricevuto conferma che Hamas avesse decapitato neonati o bambini. Biden si riferiva ai commenti pubblici dei media e dei funzionari israeliani, che difficilmente equivalevano ad aver “visto e confermato” personalmente immagini di bambini decapitati da terroristi.

Netanyahu said during Secretary of State Antony Blinken and Biden’s visits to Israel on October 18 that Hamas beheaded people, but Netanyahu did not say whether the victims were infants. Netanyahu’s office then went public with photos of babies it said were “murdered and burned” by Hamas, but the provenance of these images was as obscure as the earlier claims. Sarah Swann pointed out that:

Alla domanda sull’autenticità delle immagini dei bambini morti che Netanyahu aveva condiviso, il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha dichiarato il 12 ottobre: “Non credo che il nostro compito sia dover convalidare o approvare questo tipo di immagini”. . Provengono dal primo ministro israeliano e non abbiamo motivo di dubitare della loro autenticità”.

Quindi l’informazione era autentica solo perché proveniva da Netanyahu.

La “proporzionalità” e la rinnovata carta bianca

Proprio come la propaganda delle atrocità è stata cruciale per facilitare la migrazione di massa ebraica verso l’Occidente durante il periodo degli zar, e cruciale ancora una volta nella fondazione dello Stato di Israele, così è cruciale anche per garantire agli ebrei la loro ultima carta bianca. L’invasione di Gaza da parte dell’IDF ha finora causato la morte di oltre 22.000 palestinesi, altri 7.000 dispersi o sepolti, e l’esodo di circa 1,9 milioni di persone. Più profondamente, l’amplificazione internazionale della narrativa ebraica ha aperto la strada a qualcosa precedentemente considerato impensabile: l’abolizione israeliana del sistema di governo a Gaza. Circolano ora voci secondo cui gli israeliani intendono “dividere il territorio governato da Hamas in aree governate da tribù o clan piuttosto che da un’unica entità politica. Secondo l’emittente pubblica KAN, il piano è stato ideato dall’esercito israeliano. … Stabilisce che la Striscia di Gaza sia divisa in regioni e sottoregioni, con Israele che comunichi separatamente con ciascun gruppo”. In altre parole, equivale a “divide et impera”.

A Israele è stato permesso a livello internazionale di compiere azioni che sarebbero considerate oltre ogni limite da altre nazioni a causa del controllo politico e culturale ebraico internazionale e della patina di moralità che ne nasconde la retorica. Le prime richieste di “proporzionalità” furono abilmente spazzate via da un’ondata di commentatori ebrei attentamente posizionati. Jill Goldenzeil, scrivendo per Forbes in un articolo intitolato “La proporzionalità non significa quello che pensi che significhi a Gaza”, svolge un ruolo classico nel plasmare i modi di vedere, incoraggiando i lettori ad abbandonare anche la comprensione più basata sul buon senso di una risposta proporzionata a quello che è successo il 7 ottobre, e invece sconcertante i suoi lettori con la spiegazione che “la proporzionalità è un principio difficile da comprendere, non solo a causa della semantica, ma a causa della crudele realtà della guerra”. Il Jewish News Syndicate ha pubblicato in tutta fretta un articolo su “Che cosa significa effettivamente la proporzionalità” e Steven Erlanger del New York Times ha informato senza mezzi termini i lettori che gli israeliani non sarebbero stati vincolati all’aspettativa di “un numero equilibrato di vittime”. In effetti, la vastità dello sforzo propagandistico ebraico volto a ridefinire e annullare qualsiasi aspettativa di moderazione ha portato il Centro Internazionale di Bruxelles a notare che Israele era impegnato in una “guerra alla proporzionalità”, o qualsiasi suggerimento che ci fossero limiti alla sua azione contro Gaza .

I critici dell’azione di Israele sarebbero stati salvati dalla loro apparente sorpresa con una breve lettura di Goldwin Smith. Dopotutto, quando la disputa è ebraica, e soprattutto quando sono coinvolte istanze morali e storie dell’orrore, è necessaria più cautela del solito.

Notes

[1] G. Smith, “New Light on the Jewish Question ,” The North American Review , Aug., 1891, Vol. 153, No. 417 (Aug., 1891), pp. 129- 143 (133).

6085.- Netanyahu, Erdoĝan: “A chi giova la distruzione di Hamas”.

Hamas: oltre 16mila morti in attacchi israeliani, 6.000 bambini. Idf: sotto ospedale Al-Shifa trovato tunnel

Benjamin Netanyahu (Afp)

Non ci fermeremo perché Noi siamo Noi e voi non siete un cazzo.

Da Associazione Europa Libera, di Mario Donnini, 21 novembre 2023

Il titolo potrebbe significare ciò che il primo ministro israeliano ha sempre pensato e che pensano i coloni. Israele coltiva gran parte della Valle del Giordano e sfrutta il Mar Morto settentrionale. I villaggi della Palestina, come Wadi Foukin, rischiano di essere confiscati e inglobati dalle colonie israeliane, che offrono paghe miserabili per 18 ore di lavoro al giorno. Certamente, gli ebrei sanno trarre migliori risultati, ma con questo … ?

Nella mente del rifondatore della nazione ebraica, al governo di Israele quasi ininterrottamente dal 2009, non c‘è alternativa per la sicurezza e per il futuro di Israele diversa dalla diaspora dei palestinesi: “Non ci fermeremo finché non avremo completato la missione di riportare gli ostaggi a casa, distruggere Hamas e assicurarsi che non ci siano più minacce da Gaza”. Netanyahu ha votato sé stesso alla grande Israele, quindi, vuole tutta la Palestina, vuole la Cisgiordania, occupa il Golan e guarda al Libano. Solo la presenza degli ostaggi gli impedisce di radere al suolo tutta Gaza e, perciò finora, ha fatto saltare ogni accordo e così farà fino a che, per il resto del mondo, la distruzione di Gaza diverrà un fatto compiuto e l’Egitto avrà accolto il popolo palestinese. Perché questo è l’obiettivo. Non fa meraviglia che l’obiettivo di Hamas sia la distruzione di Israele; ma è una pia illusione, se non altro perché Israele è forte del gemellaggio stretto con i neoconservatori e con i fondamentalisti evangelici americani e perché, malgrado Joe Biden, si fa ancora sentire l’influenza dell’Accordo di Abramo, la pax americana, il nuovo ordine regionale costruito da Donald Trump, che ha normalizzato i rapporti tra Israele, Emirati arabi e Bahrain. Potrebbe ben essere questa pax una delle concause del 7 ottobre, infatti, è facile prevedere che i paesi del Golfo affideranno a Israele la loro difesa dall’Iran. Ai palestinesi resterà la libertà di espatriare o di morire.

Già ora, i feriti della Striscia di Gaza e i 28 neonati palestinesi nati prematuri, provenienti dall’ospedale al-Shifa sono giunti in Egitto attraverso il valico di Rafah.

Come notato più volte, ci sono interessi oltre che emozioni in questa carneficina e non solo nel campo dell’energia. Vogliamo sottolineare come Recep Tayyp Erdoĝan sta subendo il disegno di Israele e come tenta di fermare questa guerra, ufficialmente, di vendetta, per alcuni, di espansione: “Hamas è disposta a liberare gli ostaggi”…Erdoĝan ha detto: “In questo momento abbiamo notizie degli ostaggi e sappiamo che Hamas è disposta a liberarli. Abbiamo ricevuto una lettera dalle famiglie israeliane, ci è stato chiesto di intercedere per la liberazione. Noi non vogliamo che ci siano ostaggi, ma ancora una volta dobbiamo guardare da entrambi i lati e Israele ha tantissimi palestinesi in carcere, tra cui bambini di cinque anni”. Superano i 16.000 i civili morti in questa vendetta delle forze armate israeliane, ma sono le condizioni dei vivi a spaventare più del numero dei morti. Erdoĝan chiede di fermare i bombardamenti terroristici; conosce i punti deboli di Netanyahu e ha rivelato che le bombe hanno e stanno facendo vittime proprio anche fra gli ostaggi. Il presidente Erdoĝan aveva minacciato un intervento armato in difesa di Gaza, ma Tel Aviv ha fatto orecchie da mercante. Erdoĝan attacca Netanyhau: 

“Andrà via e saremo salvi da questo personaggio”.

Ecco cosa scrive sui social Benjamin Netanyahu dopo avere risposto ad alcuni dei familiari degli ostaggi israeliani a Gaza.

“Non ci fermeremo finché non avremo completato la missione di riportare gli ostaggi a casa, distruggere Hamas e assicurarsi che non ci siano più minacce da Gaza”.

Quale sia o sarà il regolamento degli interessi nell’area, si può soltanto immaginare. Tuttavia, sappiamo dei giacimenti di gas di fronte a Gaza. L’Egitto – in cambio di cosa non sappiamo – accoglierebbe i palestinesi e, in questi giorni, il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è passata dal valico di Rafah. É ben noto quanto poco valga l’Unione europea in politica estera, ma ha elogiato ciò che l’Egitto sta facendo per far giungere qualche camion di aiuti a Gaza e ha fatto capire che il destino della striscia è segnato dicendo: «Siamo tutti d’accordo sulla necessità che maggiori aiuti raggiungano il popolo palestinese a Gaza con ulteriore supporto logistico all’Egitto e creando anche un corridoio marittimo». Dagli aiuti alla diaspora, al Cairo, Von der Leyn ha anche detto al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi: “Siamo d’accordo sul principio dello spostamento non forzato dei palestinesi e su un orizzonte politico – una favola – basato su una soluzione a due Stati”.

Mario Donnini

Netanyahu in caduta libera nei sondaggi, ora fa i conti con la fronda


Da Avvenire, di Camille Eid, sabato 18 novembre 2023

Il premier è sempre più sotto attacco dei politici e dei militari. Ricerche di università e quotidiani fanno immaginare una fine poco gloriosa per il protagonista della scena degli ultimi 25 anni

Il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu

Il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu – Ansa 

Meno del 4 per cento di ebrei israeliani lo giudica «affidabile». Questo l’imbarazzante risultato di un recente sondaggio relativo al primo ministro Benjamin Netanyahu e realizzato dall’Università Bar Ilan. Il comune denominatore dei sondaggi, realizzati in queste settimane in Israele, preannuncia una conclusione poco gloriosa della carriera politica di colui ha dominato, sia come premier sia come capo dell’opposizione, la scena interna israeliana negli ultimi venticinque anni. Secondo l’inchiesta, la «credibilità» di Netanyahu come fonte di informazione è quasi nulla per l’opinione pubblica, che privilegia con il 73,7 per cento Daniel Hagari, il portavoce dello Tsahal. Una caduta libera che affossa ulteriormente l’immagine del premier uscita da un primissimo sondaggio realizzato da “Dialog Center” il 12 ottobre scorso, ossia a pochi giorni dall’attacco di Hamas, secondo il quale l’86 per cento degli israeliani ritiene il governo di Netanyahu responsabile delle falle in materia di sicurezza constatate il 7 ottobre, mentre il 56 per cento degli intervistati giudica necessarie le dimissioni del premier a guerra terminata. 

Il colpo di grazia per l’attuale premier è arrivato ieri con uno studio con cui il quotidiano Maariv ha indagato sulle intenzioni di voto degli israeliani se si andasse oggi alle elezioni. Il Likud di Netanyahu, sostiene Maariv, assisterebbe a un drastico calo dagli attuali 32 seggi che occupa attualmente alla Knesset a soli 17,mentre l’Unità nazionale guidata dall’ex capo di Stato maggiore Benny Gantz conquisterebbe 30 seggi in più, passando dagli attuali 12 seggi a ben 42. Un brutto segnale per Netanyahu che deve vedersela non solo con un rivale che siede con lui al Gabinetto di guerra ristretto, ma pure con i venti di fronda nel suo stesso partito. L’ultima a esprimere sentimenti di delusione nei confronti di “Bibi” è stata Galit Distal Atbaryan, che il 12 ottobre si è dimessa da ministro dell’Informazione, sentendosi superflua in quella veste. «Provo una collera enorme nei suoi confronti. mi brucia dentro», ha sbottato Atbaryan in uno scambio di messaggi su Whatsapp che doveva restare privato e che è invece rimbalzato con clamore sui social. «È da mesi che fremo nei suoi confronti, ha scritto ancora Atbaryan, perché ha consentito a quei mostri (Hezbollah e Hamas, ndr) di prosperare durante i suoi governi, a nord e a sud. E dire che si presentava come Mister Sicurezza». Contestato nelle strade, indebolito nei sondaggi, Bibi fa comunque l’orecchio da mercante alla richiesta di Yair Lapid, leader di Yesh Atid, di cedere la sua carica a un’altra figura del Likud per un esecutivo concentrato solo sulla conduzione della guerra.

L’isolamento di Netanyahu è percepito persino all’interno del Gabinetto ristretto, con tre generali (oltre a Gantz e l’ex capo di stato maggiore Gadi Eisenkot, eletti in quota opposizione, anche il ministro della Difesa Yoav Gallant) che contestano continuamente le dichiarazioni del loro capo. Le Monde non ha esistato di recente ad affermare che i suddetti generali, vestiti sempre di nero, «vogliono essere una barriera di contenimento, un guardrail, attorno al primo ministro». A Netanyahu rimane da fidarsi solo del quinto e ultimo membro del Gabinetto, il suo “alter ego” Ron Dermer che l’accompagna dal 2000. Che non è certo una garanzia. Nato in Florida, Dermer è incaricato dei rapporti con l’amministrazione americana. Se non fosse che le sue simpatie vanno tutte al partito repubblicano e all’ex presidente Donald Trump, che aveva convinto a ritirarsi dall’accordo nucleare con l’Iran. Gli sbandamenti sono solo dietro l’angolo.

6070.- Nel Medio Oriente diviso su Israele, prevale la cautela saudita

Il presidente iraniano “Ibrāhīm Raisi al vertice islamico tenutosi in Arabia Saudita guida la linea oltranzista: «Armare i palestinesi fino alla vittoria». Ma gli arabi sono divisi sulle sanzioni allo Stato ebraico. Gli Accordi di Abramo con Israele hanno lasciato il segno.

Riad, lo show di Raisi al vertice islamico: “Bacio le mani ad Hamas, resiste a Israele”

“Ibrāhīm Raisi al vertice islamico: “Bacio le mani ad Hamas che resiste a Israele”

Da Affari Internazionali, di Eleonora Ardemagni, 13 Novembre 2023

Diviso, dunque impotente. Il super vertice arabo-islamico di Riyadh (Lega Araba e Organizzazione per la Cooperazione Islamica insieme) ha messo a nudo la frammentazione del Medio Oriente di fronte alla dura offensiva militare di Israele nella Striscia di Gaza. Un’offensiva seguita al 7 ottobre, ovvero all’attacco, con modalità terroristiche, di Hamas contro Israele. Dal summit d’emergenza organizzato dall’Arabia Saudita non è emersa alcuna azione concreta, né proposta nuova: soltanto un simbolico invito all’embargo sulla vendita di armi a Israele. Occorre ricordare però che le armi comprate da Israele provengono per tre quarti da Stati Uniti e Germania, dunque non da partner mediorientali. Chiedendo una risoluzione vincolante che blocchi le azioni militari israeliane, i paesi arabi e islamici ributtano poi, per mascherare le loro divisioni, la ´palla della politica` nel campo del Consiglio di Sicurezza Onu, anch’esso più che mai diviso e bloccato.

Di certo, l’offensiva israeliana su Gaza ha offuscato le divergenze arabe su Hamas, in particolare tra le monarchie del Golfo. La notizia, però, sta proprio in ciò che il vertice organizzato dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman Al Saud non ha deciso: nessuna rottura delle relazioni diplomatiche con Tel Aviv (per chi ha normalizzato i rapporti), né embarghi petroliferi. Insomma, i proclami del presidente iraniano Ebrahim Raisi, presente al summit, hanno ottenuto un palco mediatico ma nessun consenso politico sufficiente a orientare la politica delle principali istituzioni arabo-islamiche.

Per MbS, la prova di leadership regionale è riuscita solo a metà. Infatti, la linea prevalsa è quella saudita (oltreché degli Emirati Arabi) della cautela verso Israele, anche se emergono i limiti di una posizione faticosamente intermedia fra il tradizionale appoggio alla causa palestinese e le recenti aperture a Israele. Perché anche i sovrani del Golfo, al di là dei consueti richiami alla creazione di uno stato palestinese, sembrano non avere idea del ‘come fare’.

Il summit di Riyadh

Nel comunicato finale del vertice congiunto fra Lega Araba (22 paesi) e Organizzazione per la Cooperazione Islamica (57 paesi inclusi quelli arabi), svoltosi a Riyadh il 10-11 novembre, i partecipanti hanno chiesto il cessate il fuoco immediato a Gaza e al Consiglio di Sicurezza Onu di approvare una risoluzione “vincolante” per porre fine “all’aggressione israeliana”. Nel testo, in cui manca la condanna dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, si chiede a tutti gli stati di attuare un embargo sulla vendita di armi e munizioni a Israele, nonché alla Corte Penale Internazionale di indagare sui “crimini di guerra commessi da Israele ”.

La bozza precedente, della sola Lega Araba, non aveva raggiunto la maggioranza dei voti: il testo chiedeva, su iniziativa di Iran e Siria, l’interruzione completa delle relazioni diplomatiche con Israele ipotesi avversata da alcuni paesi. Anche per superare lo stallo, la presidenza saudita ha così riunito i due vertici in un’unica sessione.

MbS condanna Israele ma senza strappi

Il principe ereditario saudita ha dichiarato che “le autorità d’occupazione israeliane sono responsabili di crimini contro la popolazione palestinese” e ha invocato, durante il bilaterale con Raisi, “il rilascio degli ostaggi e dei detenuti”. Il ministro degli esteri saudita Faisal bin Farhan ha poi criticato l’inattività dell’Onu, sottolineando la “necessità di ristrutturare la struttura di sicurezza internazionale“.

Eppure, dopo oltre un mese di guerra, il ministro degli investimenti saudita Khalid Al Falih ha affermato che l’ipotesi di normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Israele è “ancora sul tavolo, seppur “dipendente da una risoluzione pacifica della questione palestinese”. Le parole di MbS verso il governo israeliano sono state fin qui dure -non aspre però come quelle di Qatar e Turchia –  ma senza strappi.

Il Bahrein, firmatario degli Accordi di Abramo nel 2020, si è spinto un passo più in là, ma anche qui senza arrivare alla rottura: la Camera bassa (Majlis al Shura, senza potere legislativo) ha approvato il ritiro dell’ambasciatore e la cessazione delle relazioni economiche con Israele. Non sono però arrivate conferme né annunci dal governo di Manama.

Anche i media del Golfo riflettono le divergenze fra governi

Le differenti vedute dei governi arabi del Golfo sulla guerra Hamas-Israele e il contesto regionale si riflettono anche sulla stampa araba. Così, la qatarina Al Jazeera sottolinea che i leader arabi e islamici “non hanno un meccanismo per spingere il cessate il fuoco ”, criticando le “parole vaghe” del comunicato finale, utili solo “per il pubblico interno”. Invece, l’emiratino The National si sofferma sulla bocciatura della bozza  in cui si chiedeva lo stop alle relazioni diplomatiche con Israele.

Il vertice invoca l’embargo alla vendita di armi a Israele: è interessante notare però che i paesi firmatari degli Accordi di Abramo sono stati i destinatari, nel 2022, del 24% dell’export di armi israeliane (era il 7% nel 2021). Secondo i dati diffusi dal ministero della difesa di Tel Aviv, i partner arabi hanno comprato da Israele soprattutto droni, ma anche missili, razzi e sistemi di difesa aerea. Ciò che nel Golfo serve, insomma, a difendersi dagli attacchi delle milizie filo-Teheran.

Il gioco dell’Iran

Il bilaterale di Riyadh fra MbS e Raisi conferma che i sauditi e le monarchie non hanno interesse all’escalation regionale.Razionalmente non ce l’ha neppure l’Iran che sa di non poter vincere una guerra convenzionale. Ma non solo per questo. Infatti, più l’offensiva di Israele a Gaza continua, più gli Accordi di Abramo rischiano di logorarsi: questo sarebbe un punto in favore di Teheran, ostile alle normalizzazioni e a un equilibrio mediorientale di cui gli Stati Uniti sono il regista.

Se però le milizie filo-iraniane aprissero altri fronti di guerra (Libano, Yemen), le monarchie del Golfo percepirebbero una minaccia diretta più forte e ciò accrescerebbe la convergenza con Israele, a discapito così degli obiettivi di Teheran. In fondo, quando si tratta degli attacchi degli houthi dallo Yemen, sauditi, emiratini e israeliani devono già difendersi, di fatto, da missili e droni provenienti dallo stesso nemico. Anche questo fattore ha un peso nella perdurante cautela saudita su Israele.

6069.- Tutte le guerre del gas dietro al conflitto Israele-Hamas

Come volevasi dimostrare… C’è anche la Turchia in questa partita.

La guerra tra Israele e Hamas non è un conflitto isolato, ma una tessera di un puzzle più grande che riguarda gli equilibri energetici del Mediterraneo. L’articolo di Giuseppe Gagliano.

Da STARTMAG, di Giuseppe Gagliano, 12 Novembre 20

Israele

Come sappiamo Israele si sta posizionando come un attore chiave nel settore energetico del Mediterraneo orientale, grazie alla scoperta e allo sfruttamento di importanti giacimenti di gas naturale come Leviathan e Tamar. Questi giacimenti hanno trasformato la nazione da un importatore di gas a un esportatore emergente, con significative implicazioni economiche e politiche.

IL RUOLO DEI GIACIMENTI LEVIATHAN E TAMAR

Fino al 2008, Israele dipendeva fortemente dalle importazioni di gas dall’Egitto, ma la situazione è cambiata con il ritrovamento dei suddetti giacimenti. In particolare, Leviathan, con riserve stimate in circa 450 miliardi di metri cubi di gas, ha iniziato la produzione alla fine del 2019. Tamar, che è più piccolo ma comunque significativo, è operativo da alcuni anni prima. Questi giacimenti non solo promettono di soddisfare il fabbisogno interno israeliano ma hanno anche il potenziale di esportazione, cambiando la dinamica energetica nella regione.

LA SFIDA ENERGETICA TRA ISRAELE E LIBANO

La transizione energetica di Israele ha trovato una sfida nel suo rapporto con il Libano, a causa di una disputa marittima per i diritti di sfruttamento delle risorse naturali. Il Libano ha delineato la propria zona economica esclusiva, suddividendola in blocchi e assegnando le licenze per l’esplorazione di idrocarburi. Tuttavia, il blocco numero 9 è oggetto di contesa con Israele. Tel Aviv ha rivendicato una porzione di questo blocco basandosi su un accordo marittimo con Cipro, mentre Beirut ha seguito le proprie demarcazioni, dando origine a una questione aperta di diritti di esplorazione.

Le tensioni tra i due paesi sono state una costante, con il Libano che ha accusato Israele di compiere azioni unilaterali e di espansionismo. Tuttavia, sotto l’amministrazione di Biden, è stato raggiunto un accordo nel 2021 che potrebbe mitigare queste tensioni. L’accordo prevede un mediamento che offre a Israele una sicurezza economica tramite la possibilità di sfruttare il giacimento di Leviathan, mentre al Libano è concesso di esplorare e sviluppare il controverso blocco 9, in cambio di una compensazione per il gas estratto all’interno della propria area marittima.

Nonostante questo passo avanti, la questione della “linea blu”, il confine terrestre temporaneamente tracciato dalle Nazioni Unite, resta un punto aperto. Questo mostra come le dispute territoriali e le risorse naturali continuino ad essere fattori critici nelle relazioni internazionali nel Mediterraneo orientale. La situazione rimane fluida, con il potenziale economico del gas che potrebbe sia fungere da catalizzatore per la cooperazione regionale sia accentuare le tensioni esistenti tra i paesi confinanti.

COME LA GUERRA ISRAELE-HAMAS CAMBIERÀ L’ENERGIA NEL MEDITERRANEO ORIENTALE

Ora, il conflitto in corso tra Israele e Palestina ha il potenziale di alterare significativamente l’equilibrio geopolitico in Medio Oriente, con particolare riferimento alle dinamiche energetiche che coinvolgono Israele e il Libano. La contesa degli idrocarburi nel Mediterraneo orientale, soprattutto per il giacimento gasifero conosciuto come Leviathan e le dispute sui diritti esplorativi del blocco 9, potrebbe essere influenzata in diversi modi dal protrarsi delle ostilità israelo-palestinesi.

In primo luogo, l’instabilità crescente potrebbe minare la sicurezza delle infrastrutture energetiche in Israele, ponendo un rischio per la produzione e l’esportazione di gas naturale. Ciò potrebbe portare a una riduzione della fiducia degli investitori e a un conseguente impatto economico per Israele, il che potrebbe indebolire la sua posizione negoziale con il Libano.

D’altra parte, l’intensificarsi del conflitto israelo-palestinese potrebbe portare a un consolidamento delle alleanze regionali. Il Libano, affrontando le proprie sfide interne, potrebbe essere incentivato a cercare una rapida risoluzione della disputa energetica con Israele, soprattutto se ciò comportasse benefici economici immediati per alleviare le sue tensioni finanziarie.

Tuttavia, un’escalation potrebbe anche avere l’effetto opposto, intensificando il nazionalismo e la retorica anti-israeliana, che complicherebbe ulteriormente i colloqui. Le fazioni contrarie a Israele all’interno del Libano potrebbero utilizzare la guerra come pretesto per interrompere i negoziati o per fare pressioni affinché vengano prese posizioni più dure.

È anche plausibile che la guerra israelo-palestinese distolga l’attenzione internazionale dalla disputa energetica tra Israele e Libano, ritardando una risoluzione mentre le potenze mondiali si concentrano sul conflitto più immediato e sulle sue ramificazioni.

Infine, una maggiore instabilità potrebbe portare a un intervento internazionale più deciso, con attori globali come gli Stati Uniti che potrebbero assumere un ruolo più attivo per stabilizzare la regione attraverso accordi energetici che promuovono la cooperazione economica, che potrebbero essere visti come un antidoto alle tensioni crescenti.

UNA QUESTIONE PIÙ AMPIA

In conclusione, la guerra israelo-palestinese non è un isolato conflitto ma un tassello di una tessera molto più ampia che comprende la sicurezza energetica, la diplomazia e la stabilità regionale in Medio Oriente. Le sue onde d’urto si fanno sentire oltre i confini nazionali, e la disputa sul gas tra Israele e Libano è solo una delle molte questioni che potrebbero essere plasmate dall’esito di questo conflitto.

6021.- USA rivogliono gli ostaggi: No all’invasione di Gaza; ma Israele non vivrà con l’incubo di Hamas e Gaza muore. Occhi sulla Cina.

Massiccia raffica di razzi sul centro Israele. Colpita la rete elettrica nei pressi di Tel Aviv. Esercito Idf: “Nuove incursioni di terra a Gaza” Nuovo raid israeliano nella Striscia di Gaza. Almeno 18 persone sono morte e 40 sono rimaste ferite per l’attacco aereo mirato a Khan Yunis contro la famiglia di Yunis Al Astal, membro di Hamas. Netanyahu: “Stiamo facendo piovere il fuoco dell’inferno su Hamas!” e il presidente israeliano Isaac Herzog auspica un Medio Oriente di pace, ma quale pace?

Occhi sulla Cina e sull’India, non su Mosca né su Teheran né su Ankara. La nuova «via del Cotone» benedetta al G20 da Biden congiunge India, Arabia Saudita, Israele ed Europa. Se l’obiettivo terroristico è Israele, quello economico mira a rallentare se non a eliminare il contrasto proprio con la «via della Seta». Perciò, occhi sulla Cina.

La situazione vista attraverso le notizie di RAI news 24 di LaPresse di ieri 26 ottobre e i commenti.

Il ruolo della Cina nella guerra che colpisce tutti

Immagine di Gaza da Nicola Porro, vicedirettore de il Giornale

(LaPresse) L’aumento degli attacchi aerei israeliani continua a devastare parti della Striscia di Gaza, mettendo a repentaglio le operazioni di soccorso e lasciando i quartieri nel caos. Gli ultimi bombardamenti hanno distrutto case e attività commerciali. Le immagini satellitari rilasciate da Maxar Technologies mostrano l’entità dei danni causati dai bombardamenti quotidiani nel nord di Gaza.

Gaza com’è oggi.  Le testimonianze: “Qui si rischia la morte sotto le bombe anche in fila per comprare il pane”

Si muove la diplomazia di Putin

Delegazione Hamas a Mosca: “Apprezziamo sforzi Putin”. Mosca: “Con Hamas discussa liberazione ostaggi”. Israele: “Russia cacci subito i terroristi”. Ucciso il vice capo dell’intelligence di Hamas. Esercito: “Blitz mirati nel nord della Striscia”.

Mosca: “Discusso con Hamas di liberazione degli ostaggi”

Secondo quanto riportato dalla Tass, che cita una dichiarazione di Hamas, la delegazione del gruppo palestinese ha incontrato a Mosca Mikhail Bogdanov, viceministro degli Esteri e inviato speciale presidenziale della Russia per il Medio Oriente e l’Africa. Nell’incontro è stato discusso “il rilascio immediato degli ostaggi stranieri che si trovano nella Striscia di Gaza, e le questioni relative alla garanzia della evacuazione dei cittadini russi e di altri cittadini stranieri dal territorio dell’enclave palestinese”, ha riferito il ministero degli Esteri russo. “È stata confermata la posizione immutabile della Russia a favore dell’attuazione delle decisioni ben note della comunità internazionale, comprese le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che prevedono la creazione di uno Stato palestinese sovrano entro i confini del 1967 con capitale a Gerusalemme Est e la convivenza in pace e sicurezza con Israele”, ha aggiunto. 

Secondo l’agenzia di stampa russa Ria, Hamas ha rilasciato una propria dichiarazione in cui elogia gli sforzi del presidente russo Vladimir Putin e del ministro degli Esteri per porre fine a quelli che definisce “i crimini di Israele sostenuti dall’Occidente”.

Anche il viceministro degli Esteri dell’Iran è a Mosca, nello stesso giorno della visita della delegazione di Hamas

Il ministero degli Esteri russo ha confermato che una delegazione di Hamas è arrivata oggi a Mosca per parlare con “gli attori chiave, per risolvere la crisi il più presto possibile”. Hamas non è considerato un gruppo terroristico dalla Russia. La testata russa RIA Novosti, rilanciata dalla Bbc, ha detto che la delegazione era guidata dalla figura di spicco Moussa Abu Marzouk, che si pensa viva a Doha, in Qatar. Una foto pubblicata sui social media lo mostra mentre incontra il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov. Il ministero degli Esteri russo ha inoltre rivelato che nella capitale moscovita si trova anche il viceministro degli Esteri iraniano. L’Iran è l’arcinemico di Israele e da lungo tempo sostiene Hamas, ma ha sviluppato stretti legami anche con la Russia. Il Cremlino afferma inoltre che è imminente la visita del Presidente palestinese Mahmoud Abbas.

Ministro Esteri Iran: Hamas pronto a rilascio civili

Il ministro degli Esteri iraniano, Hussein Amirabdollahian, ha fatto sapere che Hamas è pronto a liberare gli ostaggi civili. Il mondo, ha aggiunto, dovrebbe sostenere la liberazione di 6 mila prigionieri palestinesi. Lo riferisce Reuters.

Israele: invito delegazione Hamas a Mosca è osceno

“Israele vede l’invito di alti funzionari di Hamas a Mosca come un passo osceno che dà sostegno al terrorismo e legittima le atrocità dei terroristi di Hamas”. Lo afferma il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Lior Haiat in un post pubblicato su X. “Le mani degli alti funzionari di Hamas sono macchiate del sangue di oltre 1.400 israeliani che sono stati massacrati, assassinati, giustiziati e bruciati e sono responsabili del rapimento di oltre 220 israeliani tra cui neonati, bambini, donne e anziani”, si legge nel post. Una delegazione di Hamas è stata ospite oggi a Mosca dove ha incontrato il viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov.

Iran all’Onu: se a Gaza continuano, Usa non risparmiati

Il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, ha avvertito gli Stati Uniti che se la ritorsione di Israele contro Gaza non finirà, gli Stati Uniti “non saranno risparmiati da questo fuoco”. Il ministro ha affermato che Hamas è pronto a rilasciare i suoi ostaggi civili, ma il mondo dovrebbe sollecitare il rilascio di migliaia di palestinesi nelle carceri israeliane. “Non accogliamo con favore l’espansione della guerra nella regione. Ma se il genocidio a Gaza continua, non saranno risparmiati da questo fuoco”, ha detto Amir-Abdollahian, rivolgendosi ai leader americani. La minaccia vale quanto vale l’Iran, la cui economia, sotto embargo, dipende da sei miliardi di proventi del petrolio, quindi, da Washingtona che può bloccarlo quando utile e neceessario. 

Libano: incontro tra il capo Hezbollah e i dirigenti di Hamas e della Jihad islamica

Al centro del vertice i modi per sostenere questi movimenti palestinesi nelle loro guerre contro Israele. Lo ha riferito la formazione pro-iraniana.

“Hamas e Hezbollah, secondo alcune fonti vicine a Hezbollah, hanno costituito, molto prima dell’attacco del 7 ottobre, un centro di “operazioni comuni” con la Jihad islamica e la forza Al-Qods, l’unità che sta ai vertici delle Guardie della Rivoluzione in Iran.

I tre gruppi fanno parte dell’”asse della resistenza” a favore degli iraniani contro Israele e coordinano le loro azioni con fazioni palestinesi, siriane, irachene e altre. L’incontro ha anche menzionato “il confronto in corso sulle frontiere libanesi”.

Queste azioni hanno fatto 52 morti dal lato libanese di cui quattro civili, 39 combattenti di Hezbollah e nove altri militanti delle organizzazioni correlate, secondo il nuovo calcolo condotto da Afp, considerando l’annuncio degli Hezbollah della morte di altri suoi membri. Quattro persone sono state uccise dal lato israeliano della frontiera. Per ora gli scontri restano limitati, così come i bombardamenti israeliani sui villaggi al confine nel Sud del Libano.”

Hamas ha chiesto a Hezbollah un maggior impegno nella lotta a Israele.

Washington ha ordinato di non invadere Gaza e anche il fronte interno in Israele è diviso. Familiari ostaggi a Netanyahu: nostra pazienza è finita

Le famiglie degli ostaggi nelle mani di Hamas hanno affermato in una dichiarazione che la loro pazienza “è esaurita” chiedendo al governo di agire immediatamente. Lo riporta la Cnn. L’accusa al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è quella di “tacere” sulla sorte dei loro cari. “Sono lì da 20 giorni, 20 giorni in cui non abbiamo idea delle loro condizioni, se vengono curati, se respirano, 20 giorni in cui ci viene chiesto di essere pazienti”, ha detto Meirav Leshem Gonen, la cui figlia Romi Gonen è stata rapita dal festival musicale Nova , si legge nel comunicato.
Ditza Or, la madre di Avinatan Or, anche lui rapito dal festival musicale Nova, ha detto: “Se gli ostaggi non ritornano, abbiamo un problema esistenziale. Mi rivolgo a tutti i governanti di questo Paese: non li chiamo leader perché non ci guidano. Questo non è di destra o di sinistra”.

Casa Bianca: “Sosterremo pause umanitarie a Gaza”

US sends military officers to Israel to advise on operations ...

John Kirby

C’e’ un onere aggiuntivo per Israele: assicurarsi che stiano facendo tutto il possibile per ridurre al minimo le vittime civili, e siamo in costante comunicazione con loro al riguardo”.

La Casa Bianca sosterrà ”pause umanitarie” nella guerra tra Israele e Hamas per Gaza. Secondo il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, si tratta di ”pause sul campo di battaglia localizzate, temporanee e specifiche in modo che l’assistenza umanitaria arrivi alla popolazione che ne ha bisogno o che le persone possano lasciare la zona in relativa sicurezza”.Kirby sottolinea che ”pensiamo che sia un’idea da esplorare” e che le pause potrebbero durare ”ore” o ”giorni”. Kirby ha spiegato che non si riferisce al ”cessate il fuoco” chiesto dal Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres e da diversi governi.

Usa inviano altri 900 soldati in Medioriente

Il gruppo da battaglia della portaerei Eisenhower

@ US Navy. Il gruppo d’attacco della portaerei nucleare USS Eisenhower (CVA69) è in Mar Rosso dal 10 ottobre.

Il Pentagono afferma che altri 900 soldati americani saranno inviati in Medioriente come parte “degli “sforzi per scoraggiare un conflitto più ampio e rafforzare ulteriormente le capacità di protezione delle nostre forze”, ha spiegato il portavoce il generale di brigata Patrick Ryder. Non è stato specificato dove le truppe saranno dislocate ma non in Israele.

La USS Carney intercetta missili dallo Yemen: «Puntavano verso Israele»

Il cacciatorpediniere lanciamissili USS Carney (DDG 64), in navigazione nel Mar Rosso settentrionale ha intercettato 3 missili e alcuni droni diretti verso Israele e provenienti dallo Yemen. Jet militari americani bombardano gli iraniani in Siria

Mentre parla di ”pause umanitarie’’, la Casa bianca ordina un raid in Siria sui gruppi sostenuti dall’Iran. Sarebbe una risposta ai droni iraniani. È l’Iran l’obiettivo di Washington. Austin però, ha assicurato che gli Usa non cercano il conflitto. Né hanno «l’intenzione o il desiderio di partecipare ad ulteriori ostilità». Ma «se gli attacchi iraniani contro le forze statunitensi continueranno, non esiteremo a prendere le misure necessarie per proteggere il nostro popolo». Ha anche detto che gli attacchi non sono legati alla guerra tra Israele e Hamas. Mentre le bombe USA colpiscono in Siria, Austin ha chiesto a tutti i paesi di evitare di adottare misure che potrebbero contribuire alla diffusione della guerra in altre regioni.

Intanto truppe dell’esercito americano – sembra 15.000 – e dozzine di veicoli militari come i sistemi missilistici MIM-104 Patriot e THAAD sono stati rischierati in Medio Oriente. Ciò è stato confermato dalla dichiarazione di Lloyd J. Austin III, secondo cui gli Stati Uniti hanno inviato una serie di truppe aggiuntive in preparazione allo schieramento di ordini come parte di un’attenta pianificazione di emergenza, per aumentare la loro prontezza e capacità di rispondere rapidamente quando necessario. L’ipocrisia di Washington è costante quanto sarebbe superflua perché c’è un modo diverso e sincero di protestare le proprie ragioni e, come in Siria, questo modo sono le bombe.

Massiccia raffica di razzi sul centro di Israele, Tel Aviv compresa

Una massiccia raffica di razzi è stata lanciata da Hamas sul centro di Israele, compresa Tel Aviv. Lo riferisce il Times of Israel.
Le sirene dei raid aerei hanno suonato in tutto il centro di Israele, tra cui Tel Aviv, Bnei Brak, Petah Tikva, Lod, Rishon Lezion, Holon, Rehovot e molte altre città.Danni alla rete elettrica presso Tel Aviv.

Esercito Israele ribadisce: carburante non entrerà a Gaza

Il portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari, conferma che l’ingresso del carburante a Gaza non sarà consentito. Le sue affermazioni si riferiscono alle voci secondo cui il governo stava valutando l’ingresso del carburante nella Striscia  in cambio del rilascio di un’ampia quantità di prigionieri detenuti da Hamas. “Al momento le istruzioni sono che il carburante non entrerà – ha affermato – se ci saranno cambiamenti vi aggiorneremo. Hagari ha aggiunto che gran parte della capacità operativa di Hamas “si basa sul carburante”.

Israele all’Onu: guerra è con Hamas, non coi palestinesi

“Questa non è una guerra con i palestinesi, Israele è in guerra con l’organizzazione terroristica genocida e jihadista di Hamas”. É quanto ha affermato l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite Gilad Erdan intervenendo all’Assemblea generale dell’Onu. Lo riporta Haaretz. “Il massacro del 7 ottobre e ciò che ne è seguito non ha nulla a che fare con i palestinesi o con il conflitto arabo-israeliano o con la questione palestinese”, ha aggiunto.

Esercito Israele: “Nuove incursioni di terra a Gaza”. Almeno tre.

L’esercito israeliano sta continuando in incursioni di terra “locali” dentro la Striscia e proseguirà, aumentandole di intensità, anche nei prossimi giorni. Lo ha detto il portavoce militare Daniel Hagari. 

Sito britannico: piano israeliano prevede “gas nervino nei tunnel di Hamas”

Israele potrebbe “inondare i tunnel di Gaza con gas nervino e sostanze chimiche come parte di un attacco a sorpresa contro la Striscia”. Lo sostiene il sito britannico ‘Middle East Eye’ citando una ”fonte araba di alto profilo”, secondo cui il ritardo dell’invasione di terra israeliana di Gaza fa parte di una “campagna di disinformazione volta a ottenere l’elemento sorpresa in un attacco su più fronti”. L’articolo a firma del capo redattore David Hearst, ex giornalista del Guardian, ha attirato l’attenzione dei media arabi, compreso il canale satellitare Al Jazeera.
La fonte araba, secondo ‘Middle East Eye’, ha attribuito le sue informazioni a ”fughe di notizie provenienti dagli Usa”, la quale ha spiegato che il piano consiste, ”sotto la supervisione della Delta Force, nel pompaggio di grandi quantità di gas nervino nei tunnel di Hamas sufficiente per paralizzare i movimenti fisici per un periodo compreso tra le 6 e le 12 ore. Durante questo periodo, aggiunge la fonte, i tunnel verranno penetrati, gli ostaggi verranno liberati e migliaia di soldati delle Brigate Al-Qassam verranno uccisi”. Il sito web di ‘Middle East Eye’, considerato vicino all’autorità del Qatar, ha precisato, di non essere in grado di verificare in modo indipendente le informazioni contenute nella fuga di notizie, affermando di aver contattato la Casa Bianca e il dipartimento della Difesa per un commento, ma non ha ricevuto alcuna risposta al momento della pubblicazione.

Idf: uccisi 3 leader del battaglione di Hamas che partecipò all’assalto del 7 ottobre

Le Forze della difesa israeliane (Idf) hanno eliminato il comandante del battaglione Darj Tafah, Rafat Abbas, e il suo vice, Ibrahim Jadewa, che facevano parte della Brigata di Gaza City e avevano partecipato all’assalto del 7 ottobre contro Israele. Lo riporta l’emittente N12. Insieme a loro, nel raid aereo compiuto dalle Idf, è stato ucciso anche Tarek Maruf, che era comandante di supporto e si occupava dell’assistenza amministrativa al battaglione. Secondo l’Odf, il battaglione Darj Tafah, o Daraj-Tuffah come scrive il Times of Israel, fa parte della Brigata Gaza City di Hamas, che è “considerata la brigata più significativa dell’organizzazione terroristica di Hamas”.

Fonti spagnole: Ue deve lanciare messaggio chiaro su Gaza

Il capo del governo Pedro Sanchez ritiene che serva una voce chiara dell’Ue che aiuti il cammino verso una soluzione definitiva del conflitto, oltre che la consegna degli aiuti umanitari, ovvero la soluzione dei due Stati. Israele non può continuare a vivere così e la soluzione è dare alla Palestina una prospettiva: serve qualcosa di concreto e quindi mobilitare la comunità internazionale perché Israele e Palestina convivano in pace e sicurezza. Lo dice una fonte della delegazione spagnola a proposito della posizione di Madrid al Consiglio Europeo.

Washington Post: Qatar rivedrà rapporti con Hamas dopo crisi con ostaggi

Il Qatar rivedrà i suoi rapporti con Hamas dopo la crisi degli oltre 220 ostaggi seguita all’assalto sferrato contro Israele lo scorso 7 ottobre. Lo scrive il ‘Washington Post’ citando proprie fonti diplomatiche ben informate e a condizione di anonimato, secondo le quali il Qatar rivedrà i rapporti con Hamas dopo averne parlato con gli Stati Uniti. Durante un recente incontro a Doha tra il Segretario di Stato Usa Antony Blinken e l’emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad al-Thani, si è infatti giunti a un accordo, di cui non si era a conoscenza, per la gestione dei rapporti con Hamas. Ancora incerto, spiegano le fonti citate dal Washington Post, se la revisione porterà all’espulsione dei leader di Hamas dal Qatar, dove per molto tempo hanno gestito il loro ufficio politico a Doha.
L’accordo è un tentativo di bilanciare l’obiettivo a breve termine dell’Amministrazione Biden di salvare il maggior numero possibile di ostaggi con l’obiettivo a lungo termine di cercare di isolare Hamas dopo la furia del 7 ottobre in Israele, si legge. Il Qatar è stato determinante nell’aiutare gli Stati Uniti e Israele a garantire il rilascio degli ostaggi e a comunicare con Hamas su altre questioni urgenti, compreso il flusso di aiuti umanitari a Gaza e il passaggio sicuro di palestinesi-americani fuori dall’enclave palestinese. Ma la decisione del Qatar di fornire un rifugio ai leader politici di Hamas e di ospitare un loro ufficio a Doha, presa più di un decennio fa, è stata esaminata dai repubblicani al Congresso e da altri sostenitori della linea dura filo-israeliana.

Herzog incontra famiglie beduini presi in ostaggio da Hamas

Il presidente israeliano Isaac Herzog ha incontrato oggi le famiglie di alcuni beduini presi in ostaggio da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre. “Siamo qui per condividere il dolore della popolazione arabo israeliana, in particolare dei beduini”, ha detto Herzog durante l’incontro nella città meridionale di Rehat, “questa non è una guerra fra ebrei e musulmani, ma fra persone che cercano di portare la luce e altre che vogliono l’oscurità”. “E’ per me importante dire alla società araba in Israele quanto ho apprezzato la responsabilità dimostrata da questa comunità in questi giorni difficili. Questa non è una lotta politica. Si tratta della nostra capacità di vivere in un Medio Oriente di pace, contrapposto ad un Medio Oriente di guerra e spargimenti di sangue”, ha aggiunto, secondo quanto riferisce Times of Israel.

Meloni a Bruxelles: “Serve l’impegno di tutti per una de-escalation. Hamas non è la Palestina”

26 Ott 2023

“Credo che uno degli strumenti più efficaci per sconfiggere Hamas sia dare una concretezza e una tempistica alla soluzione della questione palestinese. Dare maggiore peso all’Autorità nazionale palestinese. Questo è un ruolo che l’Unione europea può giocare e sicuramente una delle grandi chiavi di volta nel medio periodo. Nell’immediato c’è il tema umanitario, il tema degli ostaggi, dei civili che devono uscire da Gaza”. 

5965.- Israele: Algeria, Tunisia, Qatar… sostengono Hamas. La Francia in trappola

Dopo l’Ucraina, il Mediterraneo è in guerra. Non soltanto Israele. Europa e Stati Uniti hanno sopravvalutato Israele e la guerra in corso sarà senza limiti e senza frontiere.

Da Boulevard Voltaire, Marc Baudriller, direttore aggiunto, 9 ottobre 2023

©shutterstock-2097847231.

Sembrano amici della Francia, grandi amici, cari amici. Algeria, Tunisia, Libano, Qatar, Kuwait, Oman, accompagnati da Siria, Iran e Yemen, hanno immediatamente sostenuto l’attacco di Hamas contro Israele. Un assalto che ha provocato più di 800 vittime alla data del 9 ottobre (alle 16) e 2.500 feriti. Tutti questi paesi hanno espresso molto rapidamente “la loro totale e incondizionata solidarietà al popolo palestinese”. Alcuni, come il Qatar, sembrano cambiare posizione.

Questa non è una sorpresa quando si tratta dell’Algeria. “L’Algeria ha sempre sostenuto la causa palestinese e il movimento palestinese”, ricorda Xavier Driencourt, ex ambasciatore francese in Algeria della BV. Non ha mai riconosciuto Israele, preferendo parlare regolarmente dell’entità sionista”.

La causa unificante palestinese

Questa posizione non ha impedito al presidente francese di compiere una sciropposa visita diplomatica in Algeria nell’agosto 2022, seguita in ottobre da una visita del suo primo ministro Élisabeth Borne, accompagnato per l’occasione da un’imponente delegazione di ministri e imprenditori. La posizione di lunga data dell’Algeria nei confronti di Israele non ha impedito allora i voli lirici e i proclami di amicizia dei macronie tornati dall’Algeria a mani vuote su tutte le questioni, a cominciare da quella dell’OQTF. In Nord Africa, anche la Tunisia non nasconde il suo sostegno ad Hamas durante gli eventi di questo fine settimana. Il Marocco, che ha firmato separatamente gli accordi di Abraham nel dicembre 2020 sotto l’egida degli Stati Uniti di Trump, non segue l’Algeria in questo conflitto. Ma gli accordi statali sono una cosa, l’opinione pubblica è un’altra. E “la causa palestinese è un elemento unificante in tutti questi paesi”, ricorda Xavier Driencourt. Come potrebbero alcuni dei loro connazionali in Francia non essere sensibili a questo?

Tanto più che la Francia dà il primo posto ad alcuni stati più che ambigui riguardo all’islamismo. Sostenendo Hamas, il Qatar ha da decenni un tavolo aperto in Francia. I suoi investimenti scorrono come latte e miele in Francia, con la sincera benedizione di tutti i governi. Stessa posizione, quindi, del Kuwait, dell’Oman o del Libano.

Quanti cittadini francesi partiranno per sostenere Hamas?

La Francia macroniana finora non ha utilizzato l’argomentazione morale contro i sostenitori di Hamas. Forse a causa della nostra politica di immigrazione cosiddetta “generosa”, cioè cieca, sorda e assente? Milioni di musulmani vivono in Francia con, per alcuni di loro, un odio verso gli ebrei vicino a quello che motiva i combattenti di Hamas. Parliamo di volontari francesi partiti per combattere al fianco di Israele, ma quanti lasceranno la Francia per sostenere i palestinesi? I Fratelli Musulmani, vicini ad Hamas, sono potenti nella terra delle cattedrali. Che ci piaccia o no, il conflitto israelo-palestinese tocca anche la nostra patria: Gérald Darmanin, in una conferenza stampa questo lunedì pomeriggio, 9 ottobre, ha denunciato una ventina di atti antisemiti dall’inizio delle ostilità. Per questo motivo “dieci persone sono state arrestate” in diversi dipartimenti, secondo il ministro dell’Interno. E non solo i nativi dell’Aveyron: due persone di nazionalità straniera nel sud della Francia saranno soggette a espulsione immediata. La Francia, che secondo il presidente del concistoro francese Elie Korchia ospita la terza comunità ebraica più grande del mondo, è costretta a mettere in atto misure di protezione immediate. “L’atmosfera è infiammabile”, osserva Elie Korchia. Darmanin promette: “La polizia sarà molto presente nei 400 luoghi di culto, scuole, aziende, asili nido”. La sorveglianza aumenta. Lo Stato ha ricevuto 700 segnalazioni sulla piattaforma Pharos, 44 saranno oggetto di azioni legali.

Divieto dei Fratelli Musulmani

Ancora una volta, come durante le rivolte, come con la tragedia di Lola e molte altre, la Francia si trova ad affrontare le conseguenze della sua follia migratoria. In questo caso importa i conflitti del Medio Oriente, qui alimentati da un’estrema sinistra cieca e clientelare. Éric Zemmour ha fatto il punto della sfida, chiedendo in un messaggio su X “che i paesi che sostengono il jihad smettano di beneficiare dei vantaggi sul suolo francese”. Chiede “la messa al bando dei Fratelli Musulmani da cui Hamas è emerso e lo scioglimento di tutte le associazioni ad essi collegate”, chiedendo infine “l’espulsione dei sostenitori stranieri di Hamas perché sostenitori del terrorismo, così come di tutti i gruppi S stranieri o con doppia nazionalità .

La Francia ha accolto sul suo territorio milioni di cittadini provenienti da paesi ufficialmente e radicalmente ostili a Israele mentre il paese era inebriato dalla lotta anti-Le Pen. Siamo intrappolati.