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6185.- Il gioco psicologico di Macron per tenere a galla il pallone bucato di una “UE geopolitica”.

E di nuovo mi chiedo cosa andremo a votare

Di Sabino Paciolla, 27 Marzo 2024

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Alastair Crooke e pubblicato su Strategic Culture Foundation. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. 

Macron-Biden-Sholtz
Macron-Biden-Sholtz

Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ha invitato l’Europa a passare a una “economia di guerra”. Egli giustifica questa richiesta in parte come un urgente sostegno all’Ucraina, ma soprattutto come la necessità di rilanciare l’economia europea (che si è arenata) concentrandosi sull’industria della difesa.

Gli appelli risuonano in tutta Europa: “Siamo in un’epoca prebellica”, afferma il premier polacco Donald Tusk. Macron, dopo aver ventilato più volte l’ipotesi in modo ambiguo, afferma: “Forse a un certo punto – non lo voglio – dovremo avere operazioni [truppe francesi in Ucraina], sul terreno, per contrastare le forze russe”.

Cosa ha spaventato così tanto gli europei? Sappiamo che il briefing dei servizi segreti francesi che ha raggiunto Macron nei giorni scorsi è stato disastroso; sembra che abbia innescato il suo iniziale tentativo di intervento militare diretto della Francia in Ucraina. I servizi segreti francesi hanno avvertito che il crollo della linea di contatto e la disintegrazione dell’AFU come forza militare funzionante potrebbero essere imminenti.

Macron ha giocato d’astuzia: Potrebbe inviare truppe? In un primo momento sembrava “sì”; ma poi, in modo frustrante, la prospettiva era incerta, ma ancora forse sul tavolo. La confusione regnava. Nessuno lo sapeva con certezza, perché il Presidente è una persona volubile e il generale De Gaulle ha lasciato in eredità ai suoi successori poteri quasi regali. Quindi sì, costituzionalmente poteva farlo.

L’opinione generale in Europa era che Macron stesse giocando a complessi giochi mentali, in primo luogo con il popolo francese e in secondo luogo con la Russia. Tuttavia, sembra che la sciabolata di Macron possa avere una certa consistenza: Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito francese ha dichiarato di avere 20.000 truppe pronte per essere inserite in 30 giorni. E il capo dell’agenzia di intelligence russa SVR, Naryshkin, ha valutato più modestamente che la Francia sembra stia preparando un contingente militare da inviare in Ucraina, che nella fase iniziale sarà di circa duemila persone.

Per essere chiari, però, anche una divisione di 20.000 uomini, secondo gli standard della teoria militare classica, dovrebbe essere in grado di tenere al massimo un fronte di 10 km. Un inserimento di due o ventimila soldati francesi non cambierebbe nulla dal punto di vista strategico; non fermerebbe il rullo compressore russo, molto più grande, che avanza verso ovest. A cosa sta giocando Macron?

Si tratta allora di un bluff?

È probabile che si tratti di una parte di “ostentazione” da parte di Macron, preoccupato di presentarsi come “Mr Strongman Europe”, in particolare nei confronti del suo elettorato francese.

Il suo atteggiamento si inserisce tuttavia in una congiunzione di eventi più significativa per la cosiddetta “UE geopolitica”:

La chiarezza: La luce ha attraversato e illuminato uno spazio finora occupato dalle ombre. Dopo la schiacciante vittoria di Putin alle elezioni con un’affluenza record, è ormai chiaro che il Presidente Putin è qui per restare. Tutti i giochi di ombre occidentali sul “cambio di regime” a Mosca si sono semplicemente ridotti a un nulla di fatto alla luce degli eventi.

Da alcune parti in Europa si sentono sbuffi di rabbia. Ma si placheranno. Non c’è scelta. La realtà, come scrive il quotidiano Marianne, citando un alto ufficiale francese, è che la postura di Macron nei confronti dell’Ucraina è stata derisoria: “Non dobbiamo commettere errori, di fronte ai russi; siamo un esercito di cheerleader” e l’invio di truppe francesi sul fronte ucraino sarebbe semplicemente “non ragionevole”.

All’Eliseo, un consigliere senza nome ha sostenuto che Macron “voleva mandare un segnale forte… (con) parole millimetriche e calibrate”.

Ciò che più addolora i “neocon sempre speranzosi” dell’UE è che la chiara vittoria elettorale di Putin coincide, quasi precisamente, con l’umiliazione dell’UE (e della NATO) in Ucraina. Non è solo che l’AFU sembra essere in una implosione a cascata, ma che la ritirata sta accelerando, mentre l’Ucraina cerca di ritirarsi in un terreno impreparato e quasi indifendibile.

In questa cupa prospettiva dell’UE si inserisce il secondo raggio di luce chiarificatore: Gli Stati Uniti stanno lentamente ma inesorabilmente voltando le spalle al finanziamento e all’armamento di Kiev, lasciando l’impotenza dell’Europa esposta a tutto il mondo.

L’UE non può sostituirsi al perno statunitense. Ma la cosa più dolorosa per alcuni è che un ritiro degli Stati Uniti rappresenta un “pugno nello stomaco” per gran parte della leadership di Bruxelles, che si era abbattuta sull’amministrazione Biden con una gioia quasi indecente, al momento dell’abbandono dell’incarico da parte di Trump. Hanno sfruttato il momento per proclamare il consolidamento di un’UE filo-atlantica e filo-NATO.

Ora, come definisce perfettamente l’ex diplomatico indiano MK Bhadrakumar, “la Francia [è] tutta agghindata – senza un posto dove andare”:

Sin dalla sua ignominiosa sconfitta nelle guerre napoleoniche, la Francia è intrappolata nella situazione dei Paesi che si trovano tra le grandi potenze. Dopo la Seconda guerra mondiale, la Francia ha affrontato questa situazione formando un asse con la Germania in Europa.

Incappata in una situazione simile, la Gran Bretagna si è adattata a un ruolo subalterno, attingendo al potere americano a livello globale, ma la Francia non ha mai rinunciato alla sua ricerca di riconquistare la gloria di potenza globale. E continua a essere un lavoro in corso.

L’angoscia nella mente dei francesi è comprensibile, poiché i cinque secoli di dominio occidentale dell’ordine mondiale stanno per finire. Questa situazione condanna la Francia a una diplomazia in costante stato di animazione sospesa, intervallata da improvvisi scatti di attivismo.

I problemi per l’esaltata aspirazione dell’UE come potenza globale sono tre: In primo luogo, l’asse franco-tedesco si è dissolto, in quanto la Germania si è orientata verso gli Stati Uniti come nuovo dogma di politica estera. In secondo luogo, il peso della Francia è ulteriormente diminuito negli affari europei, dal momento che Scholtz ha abbracciato la Polonia (e non la Francia) come suo “migliore amico per sempre”; in terzo luogo, le relazioni personali di Macron con il Cancelliere Scholz sono in picchiata.

L’altro problema del progetto geopolitico dell’UE è che l’adesione alle guerre finanziarie di Washington contro la Russia e la Cina ha fatto sì che “negli ultimi 15 anni gli Stati Uniti abbiano superato drasticamente l’UE e il Regno Unito messi insieme”. Nel 2008, l’economia dell’UE era un po’ più grande di quella americana… L’economia americana è ora più grande di quasi un terzo. [Ed è più del 50% più grande dell’UE senza il Regno Unito”.

In altre parole, essere l’alleato dell’America, nella sua sconsiderata guerra per procura in Ucraina, è costato – e sta costando – caro all’Europa. Eurointelligence riferisce che un sondaggio condotto tra le piccole e medie imprese tedesche ha registrato un cambiamento estremo nel sentimento contro l’UE. Su un campione di 1.000 piccole e medie imprese, il 90% si è dichiarato in varia misura insoddisfatto dell’UE, spingendo molte di esse a trasferirsi dall’Europa agli Stati Uniti.

In parole povere, lo sforzo di gonfiare e tenere in piedi la nozione di “Europa geopolitica” si sta risolvendo in una débacle. Il tenore di vita si sta abbassando e la promiscuità normativa di Bruxelles e gli alti costi energetici stanno portando alla deindustrializzazione e all’impoverimento dell’Europa.

In un’intervista rilasciata alla fine del 2019 alla rivista The Economist, Macron ha dichiarato che l’Europa si trovava “sull’orlo di un precipizio” e che doveva iniziare a pensare a se stessa come a una potenza geopolitica, per evitare di “non avere più il controllo del nostro destino”. (L’osservazione di Macron precede di 3 anni la guerra in Ucraina).

Oggi, i timori di Macron sono realtà.

Quindi, per passare a ciò che l’UE intende fare per questa crisi, il Presidente della CE Michel dice di voler acquistare il doppio delle armi dai produttori europei entro il 2030; di utilizzare i profitti dei beni congelati russi per finanziare l’acquisto di armi per l’Ucraina; di facilitare l’accesso finanziario per l’industria europea della difesa, anche emettendo un’obbligazione europea per la difesa e facendo in modo che la Banca europea per gli investimenti aggiunga gli scopi di difesa ai suoi criteri di prestito.

Michel lo vende all’opinione pubblica come un modo per creare posti di lavoro e crescita. In realtà, però, l’UE sta cercando di creare un nuovo fondo cassa per sostituire gli acquisti di titoli sovrani degli Stati dell’UE da parte della BCE, che l’impennata dei tassi di interesse negli Stati Uniti ha di fatto eliminato.

La manovra dell’industria della difesa è un mezzo per creare ulteriori flussi di cassa: Le varie “transizioni” ipotizzate dall’UE (clima, ecologia e tecnologia) richiedevano chiaramente una massiccia stampa di denaro. Questo era appena gestibile quando il progetto poteva essere finanziato a tassi di interesse a costo zero. Ora l’esplosione del debito degli Stati dell’UE per finanziare la pandemia e le “transizioni” minaccia di portare l’intera “rivoluzione” geopolitica alla crisi finanziaria. È in corso una crisi di finanziamento.

La difesa, spera Michael, può essere venduta al pubblico come la nuova “transizione” da finanziare con mezzi non ortodossi. Wolfgang Münchau di EuroIntellignce, tuttavia, scrive sulla “rosea economia di guerra di Michel” – che vuole un’Europa geopolitica, e conclude la sua lettera con il noto adagio della guerra fredda – che “se vuoi la pace devi prepararti alla guerra””.

Sono le armi dell’economia di guerra di Michel a parlare dei nostri fallimenti diplomatici? Qual è il nostro contributo storico a questo conflitto? Non dovremmo forse partire da lì?

Il linguaggio usato da Michel è drammatico e pericoloso. Alcuni dei nostri cittadini più anziani ricordano ancora cosa significa vivere in un’economia di guerra. Il linguaggio disinvolto di Michel è irrispettoso.

Eurointelligence non è sola nelle sue critiche. La mossa di Macron ha diviso l’Europa, con una maggioranza fermamente contraria all’inserimento di truppe in Ucraina – camminando nel sonno verso la guerra. Natacha Polony, redattrice di Marianne, ha scritto:

Non si tratta più di Emmanuel Macron o dei suoi atteggiamenti da piccolo leader virile. Non si tratta più nemmeno della Francia o del suo indebolimento a causa di élite cieche e irresponsabili. Si tratta di sapere se accetteremo collettivamente di camminare nel sonno verso la guerra. Una guerra che nessuno può affermare che sarà controllata o contenuta. Si tratta di capire se accetteremo di mandare i nostri figli a morire perché gli Stati Uniti hanno insistito per installare basi ai confini della Russia.

La questione più grande riguarda l’intera strategia geopolitica “Von der Leyen-Macron”, secondo cui l’UE deve pensare a se stessa come a una potenza geopolitica. È il perseguimento di questa “chimera” geopolitica (in buona parte, un progetto egoistico) che, paradossalmente, ha portato l’UE esattamente sull’orlo della crisi.

La maggioranza degli europei desidera davvero essere una potenza geopolitica, se ciò richiede la cessione di ciò che resta della sovranità e dell’autonomia nazionale (e del controllo parlamentare) al piano sovranazionale, ai tecnocrati di Bruxelles? Forse gli europei sono contenti che l’UE rimanga un blocco commerciale.

Allora perché Macron sta facendo questo? Nessuno lo sa con certezza, ma sembra che egli pensi di giocare una complicata partita di psicodeterrenza con Mosca, caratterizzata da una radicale ambiguità.

In altre parole, la sua è solo un’altra operazione psicologica.

È possibile, tuttavia, che egli pensi che la sua ambigua minaccia on/off di un dispiegamento europeo in Ucraina possa dare a Kiev una “leva” negoziale sufficiente per bluffare la Russia e indurla ad accettare che “l’Ucraina ridotta” rimanga nella sfera occidentale (e persino nella NATO), nel qual caso Macron affermerà di essere stato il “salvatore” dell’Ucraina.

Se questo è il caso, si tratta di una torta in cielo. Il Presidente Putin, forte della sua recente vittoria elettorale, ha semplicemente spazzato via l’operazione psicologica di Macron: “Qualsiasi inserimento di truppe francesi sarebbe un ‘invasore’ e un obiettivo legittimo per le nostre forze”, ha dichiarato Putin.

Alastair Crooke

Alastair Crooke è un ex diplomatico britannico, fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut.

6162.- Macron di fronte ai francesi: domani guerra?

Boulevard Voltaire, Georges Michel, 14 mars 2024. Traduzione libera.

Cari francesi, armarsi costa, prima, in soldi e, poi, in vite umane. Preparatevi, intanto a far sprofondare ulteriormente la Francia nella spirale viziosa del debito. È il risultato – per ora -dell’accordo bilaterale di sicurezza recentemente concluso. firmato tra Francia e Ucraina. Macron è un altro che affida la propria sopravvivenza politica alle armi. E la Nato che dice? Già, c’è la Nato.

“Il Presidente riferirà sulla situazione in modo educativo”, ha riferito la stampa giovedì mattina. I francesi non sono bambini, ma ehi… In ogni caso, era giunto il momento che Emmanuel Macron si rivolgesse direttamente ai francesi dopo i suoi scatti guerrafondai delle ultime settimane e dopo che il Parlamento ha discusso e parlato questa settimana sull’accordo bilaterale di sicurezza recentemente concluso. firmato tra Francia e Ucraina. Un bel momento, soprattutto perché due terzi (68%) dei nostri connazionali ritengono che il Capo dello Stato abbia sbagliato ad assumere posizioni percepite come falchi, secondo un sondaggio Odoxa-Backbone Consulting realizzato a fine febbraio per Le Figaro.

Commenti che “hanno creato una forma di paura”, ha sottolineato un deputato del Rinascimento, secondo La Nouvelle République, che ha aggiunto: “Dobbiamo rassicurare, dire che stiamo facendo di tutto per evitare la guerra, che la Francia utilizza sempre i canali diplomatici e che non dobbiamo mai abbandonare l’Ucraina. » Così, questo giovedì sera, intervistato da Anne-Sophie Lapix e Gilles Bouleau, Emmanuel Macron ha voluto fare un po’ di pedagogia. Almeno all’inizio della sua intervista. “Sei seduto di fronte a me. Stai in piedi? NO. Escludi di alzarti alla fine del colloquio? Sicuramente non lo escluderai. » Riferimento alle sue recenti dichiarazioni secondo le quali non escluderebbe l’invio di truppe di terra in Ucraina. Il paragone è un po’ noioso, ma il Presidente sembra contento della sua scoperta. Ha rassicurato i francesi? Probabilmente no. È convinto che la Francia utilizzi ancora i canali diplomatici? Anche meno. Che non dovremmo mai abbandonare l’Ucraina? Sì, su questo punto il messaggio era chiaro.

Macron non si è sentito rassicurato.

Innanzitutto sulla situazione tattica sul terreno, laggiù, in prima linea: “La situazione è difficile”, riconosce il presidente. “Un eufemismo”, risponde Gilles Bouleau. Traduciamo: la situazione tattica è negativa per gli ucraini. Ma Macron va oltre ricordando che “la guerra è sul suolo europeo”, che “non è una finzione lontana da noi”. È ovvio che i francesi lo sanno ma probabilmente non vogliono crederci, bisogna ammetterlo. E così Macron non ha voluto rassicurare affermando che lì è in gioco la sicurezza dell’Europa, della Francia e dei francesi. “Guerra esistenziale per la Francia e l’Europa”, ha detto senza mezzi termini. Ha rassicurato sull’invio di soldati francesi in Ucraina? Nessuno dei due. “Forse ho ragione a non essere specifico. » Questa è la famosa “ambiguità strategica”. Non ne sapremo di più. Tuttavia, Le Monde ha rivelato, il 14 marzo, che Macron, il 21 febbraio, in un salotto dell’Eliseo, ha dichiarato “con aria chiara”: “In ogni caso, il prossimo anno dovrò mandare dei ragazzi a Odessa . » Affermazione formalmente smentita dal Palazzo il 14 marzo. Ambiguità strategica.

“Siamo pronti”, afferma…

Rassicurare che “le cose si stanno muovendo” cercando di dimenticare il feroce diniego ricevuto dagli alleati dopo il suo intervento alla conferenza a sostegno dell’Ucraina del 27 febbraio. Lo vedremo dopo l’incontro con Scholz il 15 marzo. Macron voleva rassicurarci sulle nostre capacità militari. Abbiamo un “modello di esercito completo”, ama sottolineare. Un modello che le persone scontente definiscono “campione”… E il capo delle forze armate ha menzionato il nostro recente impegno nel Sahel per dimostrare la nostra capacità operativa. Anche se Bouleau ribatte che non si trattava esattamente dello stesso tipo di nemico e di guerra di quella condotta in Ucraina, Macron mette da parte l’argomentazione. “Siamo pronti”, afferma. La Francia produce meno di cento obici al giorno, quanto consumano gli ucraini in pochi minuti? Cercheremo munizioni in tutto il mondo e accelereremo il ritmo. Tutto questo è costoso. All’Ucraina sono già stati dati 4,8 miliardi. Ne sono previste altre 3. Dovremo contrarre prestiti sui mercati internazionali? Non escluderlo. E per ricordare cosa abbiamo fatto durante il Covid (“a qualunque costo”?) per tenere a galla il Paese. Quindi, preparatevi a far sprofondare la Francia un po’ più a fondo nella spirale infernale del debito.

E la diplomazia in tutto questo? “Sono disposto a guidare le discussioni”, afferma Macron. Probabilmente non sarà lui a condurre queste discussioni il giorno in cui arriveranno… “Ma faccia a faccia quando non diciamo la verità…” aggiunge. Chiaramente, il tempo in cui la Francia si posizionava come una grande nazione diplomatica è finito.

6157.- L’Europa come punto d’incontro tra gli assi. La visione di Gressani

… e il nostro commento.

Dobbiamo leggere questo dialogo di Lorenzo Piccioli perché in questa fase di interregno gli italiani devono essere protagonisti anche se il modello europeo di Angela Merkel non scomparirà.

Il traguardo e lo strumento nucleare della Germania resterà infatti la Force de Frappe della Francia, ma l’Europa e l’Africa, oggi, devono riscriversi e presto nel Mediterraneo, fra Nord e Sud, fra cristiani e musulmani e, qui, il Nuovo Piano Mattei, con la sua idea di solidarietà attiva, rappresenta un vangelo.

Gli europei continuino pure ad aspirare di diventare una gamba della politica NATO, ma dovranno poter garantire sia lo sviluppo delle economie africane sia l’equilibrio necessario a un Occidente che abbia per obiettivo di collegare l’Alaska all’Alaska.

Da Formiche.net, di Lorenzo Piccioli | 30/12/2023 – 

L’Europa come punto d’incontro tra gli assi. La visione di Gressani

“Viviamo in un interregno. Un ordine si è dislocato e assistiamo a una ricomposizione confusa, violenta e disorganizzata su scala planetaria”. Conversazione con il direttore del Grand Continent che vede l’Europa come un sistema in mezzo ai sistemi, e ne sottolinea l’importanza geopolitica come “punto d’incontro”, non solo tra Est e Ovest, ma anche tra Nord e Sud

Il mondo che siamo abituati a conoscere sta attraversando una congiuntura caratterizzata da profonde trasformazioni: trasformazioni che sono tanto naturali, come nel caso del cambiamento climatico, quanto politiche, con l’emergere di un sistema internazionale multipolare. Verso dove porta questo cambiamento? Gilles Gressani, direttore editoriale del Grand Continent, presidente del Groupes d’études géopolitiques dell’École e insegnante a Sciences Po, ha formulato alcune ipotesi dialogando con Formiche.net.

Come definirebbe l’attuale contesto storico-politico che stiamo attraversando in questo momento?

Viviamo in un interregno. Un ordine si è dislocato e assistiamo a una ricomposizione confusa, violenta e disorganizzata su scala planetaria. Alcune trasformazioni sono evidenti: la metamorfosi tecnologica e digitale, l’approfondimento della rivalità tellurica tra Cina e Stati Uniti, l’emergere di focolai attraverso l’intera superficie terrestre e in modo particolarmente impressionante attorno al continente europeo ormai chiaramente circondato da un arco di crisi che nella loro eterogeneità devono essere concepite in modo comune.

Un elemento inedito rende particolarmente difficile la lettura di questa fase. Non stanno cambiando solo le pedine e le regole del gioco — ma sta cambiando anche la scacchiera. La terra è diventata un vero e proprio attore geopolitico, non più soltanto il teatro dove si svolgono gli eventi ma un uno dei fattori di disordine. In questo il cambiamento climatico è un fattore da interpretare con gli occhiali del realismo politico.

Sul piano strettamente geopolitico, quali sono i fenomeni dominanti in questo riassestamento dell’ordine internazionale, almeno dal punto di vista di noi europei?

Il primo fenomeno ha una dimensione economica, sociale e finisce per sfociare sulla questione del riconoscimento. Branko Milanovic parla di una “grande convergenza”: con la mondializzazione, quelli che erano ricchi stanno diventando meno ricchi e quelli che erano più poveri stanno diventando meno poveri. Si tratta di una dinamica centrifuga per i sistemi occidentali fondati – soprattutto dopo la seconda guerra mondiale – su una classe media a cui si prometteva e si riusciva a dare una forma di abbondanza che permetteva di cementificare il sistema istituzionale democratico e politico, calmando le logiche egemoniche e imperiali. La maggior parte dei fenomeni politici più impressionanti a cui stiamo assistendo è probabilmente causato dalla rottura di questo meccanismo, che vedeva nella crescita e nel progresso una delle matrici-chiave dei nostri sistemi politici. Quello che resta è una frattura territoriale tra centri integrati e periferie arrabbiate, tra ineguaglianze e assenza di riconoscimento.

Il secondo fenomeno ha una dimensione più ambigua. Facendo un’analogia con la storia italiana direi che se la seconda parte del Novecento è stata il tempo dei grandi movimenti popolari, delle contestazioni – il tempo dei Comuni – nei nostri anni Venti assistiamo al ritorno del tempo delle Signorie. Il potere si concentra dalla piazza al palazzo, la sua gestione è affidata a tecniche sempre più sofisticate. Il ritorno di forme di potere westfaliano è però contraddittoriamente articolato alla concentrazione di potere nelle mani di tecno-oligarchi della Silicon Valley che ambiscono a ridefinire il modo stesso in cui l’essere umano viene concepito e definito. In questo il ruolo assunto dall’Arabia Saudita, un paese in cui il nome del sovrano coincide con quello dello Stato, è paradigmatico. In entrambi i casi la questione che si pone è quella della possibilità della politica. Con un paradosso inquietante: i mezzi del politico sembrano sempre più difficili per le democrazie.

Nel particolare, qual è l’impatto del conflitto in Ucraina sull’Unione Europea?

La guerra di Putin in Ucraina ha fatto due cose: una è unire l’Occidente, l’altra è disunire il mondo. Per l’Unione, almeno nella sua forma odierna, questo processo produce instabilità. Se la scelta è tra Occidente e il resto, è chiaro che l’Unione Euroepa sarà sempre meno rilevante della Nato. Come europei dobbiamo chiederci se possiamo limitarci a pensare sull’asse orizzontale che va da Washington a Pechino, passando per Kyiv, senza considerare l’asse verticale Sud-Nord e una delle principali sfide del nostro secolo: lo sviluppo dell’Africa. In questo sembra improbabile per l’Europa pensare al futuro, dimenticando il Mediterraneo.

Per l’Unione il 2024 sarà un anno elettorale. Le consultazioni europee potrebbero essere un punto di svolta?

Ci sono due risposte a questa domanda. La prima è che se oggi guardiamo i flussi elettorali non sembra che ci sarà un discostamento radicale, forse uno spostamento verso la destra, ma il baricentro politico dell’Unione Europea dovrebbe rimanere sostanzialmente invariato. A livello di policy i cambiamenti potrebbero essere più conseguenti, in particolare sulla questione del Green deal. Ma attenzione, le elezioni europee si terranno a giugno, mentre quelle americane si terranno a novembre. E questa quasi simultaneità è significativa. Milioni di elettori europei rischiano di essere appesi alla scelta di qualche centinaio di migliaia di elettori del Michigan per definire il futuro sui principali fronti che li riguardano. E questo per le dinamiche di una democrazia che ambisce a giocare un ruolo di guida è un rischio molto profondo.

Ma l’Europa non è solo composta dall’aspetto comunitario. Quanto contano oggi le relazioni bilaterali, in particolare nel triangolo Francia-Germania-Italia?

Il legame che c’è tra la Germania e la Francia anche in ottica comunitaria è un legame strutturante, difficile da comparare con altre relazioni bilaterali. Ma ad oggi questo legame sta vivendo un momento di difficoltà. Non che Parigi e Berlino abbiano sempre avuto interessi condivisi, sia chiaro. Diciamo che ad oggi la leadership tedesca sembra molto meno interessata a trovare dei compromessi con la controparte francese, per via della crisi strutturale di quattro dei suoi pilastri: dall’energia economica alla Cina “fabbrica” del mondo bisognosa di importare, dal basso costo del lavoro alla globalizzazione costante. Con il venire meno di queste caratteristiche, il modello merkeliano smette di funzionare. Con contraccolpi pesanti sul rapporto tra Parigi e Berlino. In questa situazione l’Italia potrebbe avere un ruolo molto più attivo, e il Trattato del Quirinale è un quadro che può permettere di promuovere un’azione molto più proattiva, su alcuni dossier fondamentali come quello del riorientamento geopolitico del progetto europeo attorno al Mediterraneo.

6110.- L’Africa più lontana dall’Occidente? Le valutazioni di Carbone pensando al Piano Mattei

La Nota di Mario Donnini

Certamente il Nuovo Piano Mattei con la sua “solidarietà attiva” è vitale per l’Italia, per l’Africa e per l’Europa. I Paesi africani ai quali ci rivolgiamo sono musulmani e il 7 ottobre, la nostra repentina e incondizionata adesione alla causa israeliana non ha tenuto o non ha potuto tenere nel debito conto questo aspetto. Fra l’altro e come notammo, sulla sorpresa patita da Israele gravano troppe ombre. Sembra che il fattore emotivo, la simpatia per Israele e la nostra sudditanza a Washington abbiano lasciato i nostri interessi in secondo piano. Sono dell’opinione che, se vogliamo creare una Unione Mediterranea e non portarci appresso il fardello del colonialismo francese, dobbiamo mostrarci meno occidentali e restare fuori dal conflitto di Gaza, in parte religioso, anche se, in realtà è un conflitto di potere per il potere in un’area dove convergono interessi e ambizioni di troppi Stati, ben noti. Questa politica, per certi versi avveniristica, che il presidente Meloni sta portando avanti con determinazione, rivaluterà anche il ruolo dell’Europa e, perciò, deve e dovrà fare i conti con l’indirizzo della politica americana, sopratutto con quello che scaturirà dalle prossime elezioni.

Da Formiche.net, di Emanuele Rossi, 04/12/2023 

L’Africa più lontana dall’Occidente? Le valutazioni di Carbone pensando al Piano Mattei

Per Giovanni Carbone, professore di Scienza Politica all’Università degli Studi di Milano e Head del Programma Africa dell’Ispi, l’Italia trova un contesto complicato in Africa, dove il risentimento e il malessere nei confronti dell’Occidente sono cresciuti ultimamente anche perché è aumentata la percezione di ingiustizie subite. Da questo partono le sfide del Piano Mattei, ma anche le opportunità

L’idea originale dello studio che l’Ispi ha dedicato al rapporto tra Africa e Occidente – titolo perentorio: “L’Africa si sta rivoltando contro l’Occidente?” – è stata affrontare in maniera articolata una serie di dinamiche che si sono sviluppate soprattutto negli ultimi anni, diventate maggiormente visibili con la crisi in Ucraina, che ha esposto anche a livello mainstream i risentimenti africani. Risentimenti che però stavano già lavorando, erodendo sotto traccia il rapporto tra Africa e Occidente, conseguenze di elementi di disapprovazione e sfiducia di lungo periodo nei confronti di un un’indipendenza che non è mai stata completata del tutto, con i Paesi occidentali che vengono tuttora percepiti come ingerenti dagli africani.

Formiche.net conversa con Giovanni Carbone, professore di Scienza Politica all’Università degli Studi di Milano, Head del Programma Africa dell’Ispi, nonché curatore con Lucia Ragazzi dello studio a cui su queste colonne è stata dedicata particolare attenzione – vista la centralità del tema, anche per la strategia dell’Italia – con focus riguardo al non allineamento del continente africano, al come la regione del Global South segue la competizione tra Usa e Cina, o allo scontro di narrazioni nell’infosfera africana. In generale, il continente sente forme di vessazioni e pressioni, ingerenze e ingiustizie che si sintetizzano in questioni macro, a cominciare dal sistema della Nazioni Unite, dove i Paesi africani sono stanzialmente marginalizzati. E questo ha dei costi per i Paesi africani. Ed è una generale tendenza che riguarda le dinamiche internazionali, che siano politiche oppure economiche.

Mal(essere) d’Africa

“È da qui che nasce il risentimento nei confronti dell’Occidente – o gli Occidentali, termini ampiamente e variamente usati che raggruppano in un tutt’uno Europa e America – sempre più spesso sotto accusa per i valori, le istituzioni e le relazioni di cui è portatore, con aspetti, come il supporto e il sostegno alla democrazia, che finiscono per essere duramente contestati in aree diverse dell’Africa subsahariana (e ce lo dicono anche i sondaggi di opinione, dunque non solo da parte delle leadership africane che sviluppano determinate narrazioni magari volte a distrarre l’attenzione dalle proprie responsabilità)”, spiega Carbone. E questo è completamente diverso rispetto ad anni fa, quando le riforme e gli esperimenti democratiche all’occidentale erano ancora freschi e il continente riponeva fiducia in essi.

Vediamo tutto nei social media, basta osservare i profili di utenti africani che siano essi più o meno influenti. Ma lo abbiamo visto anche quando parte degli stati africani ha deciso di non allinearsi con l’Occidente sull’Ucraina. “Quello è stato un momento fondamentale – aggiunge l’esperto dell’Ispi – perché i Paesi africani hanno mostrato che si fa strada una certa tendenza al disallineamento. E risulta ancora più importante considerando che, in questa fase storica, da parte dell’Occidente emerge invece una volontà di riallacciare e ridisegnare i rapporti dal punto di vista strategico, ma anche narrativo”. E invece sul campo, i Paesi africani stanno dicendo che potrebbero anche non essere interessati a ciò che gli viene offerto, o almeno a parte di ciò che gli viene offerto, perché hanno oggi modo di accedere a qualcosa di simile messo sul piatto da altri partner stranieri, non Occidentali. “Esattamente, anche se in parte non è così, perché le relazioni con l’Occidente restano profonde e ampie, e sebbene possano esserci Paesi che si smarcano in maniera più lanciata e manifesta, altri si muovono differentemente. Ma i rapporti tra Africa e Europa sono a 360 gradi, e dunque, realisticamente, non possono essere troncati del tutto ma solo gradualmente o parzialmente modificati”.

Semplificando, realtà come l’’Ue, o i vari Paesi europei singolarmente, stanno spingendo per andare verso l’Africa, consapevoli che quella dimensione ha un valore strategico enorme per il presente e per il futuro: l’Africa invece, almeno in parte, si allontana dall’Occidente. “È almeno dal 2006 che diversi Paesi occidentali hanno adottato politiche strategiche specifiche per l’Africa, tra questi anche l’Italia, che prima ancora delle riflessioni attuali, nel 2020 adottò il ‘Partenariato con l’Africa’.  È evidente che c’è un interesse, una riscoperta europea del continente africano. La stessa Commissione Von der Leyen lo aveva rimarcato palesemente con la prima missione oltre i confini europei, che era stata proprio ad Addis Abeba, in Etiopia, per incontrare la controparte dell’Unione Africana – ma “anche in quell’occasione, gli africani avevano risposto in modo freddo alle evoluzioni successive, facendo capire che non avevano affatto apprezzato di non essere stati consultati per delineare la bozza di partnership che Bruxelles proponeva”, fa notare Carbone.

Il Piano Mattei e l’impegno italiano

Mettendo il focus specifico sull’Italia, anche con l’ottica di quanto esce dallo studio del think tank milanese, l’esperto dell’Ispi fa notare che c’è stata una fase molto chiara, avviata nel 2013, durante la quale vengono lanciate alcune iniziative che poi vengono implementate negli anni successivi, con l’organizzazione di due conferenze Italia-Africa, l’apertura di nuove ambasciate, un certo aumento degli aiuti allo sviluppo, la creazione di un fondo speciale per l’Africa, nonché varie visite governative: tutto culminato nella sintesi di quel Partenariato del 2020. “La spinta attuale dunque non nasce dal nulla, si inserisce sulla scia di una riscoperta dell’Africa sviluppatasi nell’ultimo decennio. Ora il governo Meloni si propone di mettere ancora più al centro i rapporti con i Paesi africani, soprattutto perché la stessa Presidente del Consiglio si è spesa direttamente sugli annunci riguardo al Piano Mattei”, spiega Carbone. Secondo cui, l’impegno personale di Giorgia Meloni è un aspetto importante, perché “metterci la faccia significa fare un investimento politico, e dunque poi si deve andare fino in fondo, e la Presidente del Consiglio, che seguirà personalmente la cabina di regia del Piano, sembra tenere a questa iniziativa”.

E però, del Piano Mattei non sappiamo ancora granché: sappiamo per esempio che dovrebbe essere una cooperazione che avrà nei processi migratori e negli approvvigionamenti energetici gli interessi diretti per l’attuale governo, ma anche che dovrebbe essere una forma più inclusiva e moderna di partnership, con condivisione di impegni per stabilità e sicurezza (anche quelle di carattere specifico, come quella alimentare o sanitaria). Il recentemente approvato decreto legge sul “Piano strategico Italia-Africa: Piano Mattei”, emanato dal Consiglio dei ministri, consta di sette articoli delineanti la governance, le scadenze, gli obiettivi e, in generale, degli accenni tematici. Tuttavia, numerosi dettagli rimangono da definire e probabilmente saranno oggetto di chiarimento nell’ambito di una nuova conferenza Italia-Africa (o comunque nell’arco dei 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto, tempo in cui i ministri interessati potranno trasmettere una relazione sulle iniziative; oppure nei tre mesi successivi che la cabina di regia avrà per completare la definizione del Piano e trasmetterlo al Consiglio dei ministri per la sua deliberazione, o almeno al 30 giugno, quando dovrà essere trasmesso alle Camere il primo rapporto di questo piano quadriennale).

“Un punto da tenere in considerazione, per ora, in attesa dei contenuti, è che l’iniziativa italiana si inserisce in qualcosa che è già in movimento da tempo, con gli stati africani che sono sempre più abituati a ricevere proposte di riallaccio delle relazioni e di nuove cooperazioni, e sono dunque abituati ormai a guardare bene cosa c’è dentro il pacchetto offerto”, sottolinea Carbone, “e magari pronti a storcere il naso o fare obiezioni”. Secondo l’esperto, attualmente è difficile proporre grandi investimenti economici e pure portarsi dietro l’Ue: “L’idea di mettere nuove importanti risorse a disposizione per favorire lo sviluppo dell’Africa è già stata lanciata dall’Ue con il Global Gateway, cercando di dare nuovo impulso alla crescita del continente. Il rischio per il Piano Mattei di Roma è dunque quello di non trovare il seguito sperato a Bruxelles, di dover procedere da soli, e di finire per mettere in piedi iniziative e promesse che, come altri simili in passato, siano poi nei fatti disattese, contribuendo ad alimentare ulteriori forme di malcontento nelle controparti africane”.

6091.- Americani imbufaliti per lo stop di Meloni e Crosetto alla francese Safran sull’ex Microtecnica?

In Europa, se non ci fossero i francesi, bisognerebbe inventarli per avere un minimo di autonomia rispetto agli americani. La vicenda che presentiamo ricorda il Regno d’Italia di Napoleone, che scrisse e volle che non vi nascessero industrie che avrebbero sottratto mercato, mano d’opera e materie prime all’industria francese e, con tutto il nostro europeismo, siamo ancora lì e, perciò, assieme ai tedeschi.

Caro direttore, amici americani mi dicono che il Pentagono aveva dato il via libera alla vendita dell’italiana Microtecnica del colosso americano Collins Aerospace alla francese Safran. Ma il no del governo Meloni li avrebbe spiazzati, mentre i francesi stanno dando di matto. D’altronde… La lettera di Francis Walsingham

Da Startmag, 24 Novembre 2023

Americani imbufaliti per lo stop di Meloni e Crosetto alla francese Safran sull’ex Microtecnica?

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Caro direttore,

dammi retta, insisto: lascia perdere quella storia della reputazione dei manager e dei finti giornali web creati appositamente per pomparla. C’è una notizia molto più interessante da seguire.

Mi riferisco all’opposizione del governo italiano alla vendita dell’ex-Microtecnica, azienda di meccanica di precisione con sede in Italia ma controllata interamente dagli americani, alla società francese Safran. Vedo che su Startmag avete pubblicato un ottimo articolo di cronaca e approfondimento (i miei complimenti, caro direttore, vanno ovviamente all’autrice del pezzo, Chiara Rossi, non certo a te); permettetemi di aggiungere un po’ di sale e pepe, perché diversi indizi mi suggeriscono che gli americani si sono infastiditi parecchio per la mossa dell’esecutivo con il golden power. Anche se forse un po’ meno dei francesi che stanno dando di matto, con preannuncio di ricorsi e dichiarazioni esagitate: poverini, hanno ricevuto un colpo esiziale per la loro grandeur.

Ma procediamo per gradi anziché saltare subito alle conclusioni. Come avete scritto, l’ex-Microtecnica realizza apparecchiature per l’aeronautica civile e militare, rifornendo clienti di grandissima rilevanza come Airbus e Leonardo: per esempio – leggo stamattina sul Sole 24 Ore – il C-27J utilizza componenti di Microtecnica. Stiamo parlando di un aereo da trasporto tattico utilizzato dalle forze armate italiane, statunitensi e di tanti altri paesi; Leonardo lo costruisce a Caselle.

Se ci sono in ballo gli Stati Uniti e Leonardo, ho pensato, allora è utile leggere Formiche sulla vicenda Microtecnica perché così si possono intuire le posture degli Stati Uniti sulla questione. Formiche, per chi non lo sapesse (e non mi riferisco ovviamente a te che sei stato direttore del sito di Formiche), è stata fondata ed è edita da Paolo Messa, che lavora in Leonardo con la carica di responsabile delle relazioni geo-strategiche con gli Usa. Ho spulciato un po’ sul web e sono incappato in questo pezzo di Starmag di un paio d’anni fa – i miei complimenti vanno ai curatori della Seo, caro direttore: non esaltarti -, che cito:

Messa si occupa di curare le relazioni geostrategiche con gli Stati Uniti d’America”, ha scritto sul Riformista la lobbista Mariella Palazzolo, blogger di Formiche, che ha pubblicato su Youtube nell’ambito della rubrica “Lobby non olet” un video dal titolo: “Paolo Messa di Leonardo per Lobby Non Olet. La lobby non solo “non olet”, addirittura profuma.

Paolo Messa non è solo un raffinato e apprezzato lobbista per Leonardo – con la carica precisa di Executive Vice President di Leonardo, non so se mi spiego -; è stato direttore del Centro studi americani (Csa), che ha robusti agganci con l’ambasciata degli States in Italia, ed è fondatore/editore di Formiche: è anche editore di Airpress, rivista specializzata in aerospazio e difesa.

Sulla vicenda Microtecnica-Safran-golden powerFormiche scrive questo: “Il blocco da parte di Roma di un’acquisizione da parte di una società di un Paese alleato europeo o della Nato è un fatto relativamente raro” perché “se finora la maggior parte degli interventi in questo senso hanno rappresentato il blocco di acquisizioni da parte di aziende cinesi verso realtà italiane in settori strategici, Difesa in primis (ma anche energia e comunicazioni)”.

Mi pare un aspetto interessante, anche perché appunto viene evidenziato dal giornale di Messa, inseritissimo nell’establishment americano. Un conto, infatti – suggerisce Formiche -, è l’utilizzo dei poteri speciali a tutela di quegli asset critici che rischiano di finire sotto il controllo della Cina, o comunque di paesi che non appartengono al nostro sistema di alleanze internazionali. Un altro conto è bloccare un’operazione che coinvolge due soggetti – Collins Aerospace, gruppo statunitense che ha il 100% dell’ex-Microtecnica, e Safran, francese, che vuole comprare l’ex-Microtecnica – pienamente e indubbiamente alleati dell’Italia.

Ma con la Francia, poi, non avevano firmato un Trattato del Quirinale che si prefiggeva proprio di promuovere la cooperazione nella difesa, sia a livello operativo che industriale?

Sul Trattato del Quirinale è tuttavia importante precisare – cito per l’ennesima volta Startmag, caro direttore, ma solo per dare credito ai tuoi giovani redattori – che Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia erano (lo sono ancora?) scettici, se non completamente ostili, all’accordo; e che anche il Copasir – al tempo guidato da Adolfo Urso, oggi ministro delle Imprese – aveva criticato il patto con la Francia invitando a predisporre “un’adeguata tutela degli asset strategici in ambito finanziario e industriale italiani”. Microtecnica è italiana di residenza, certo, ma straniera di proprietà. E non di uno straniero qualsiasi: è statunitense, di un colosso Usa.

Insomma, fatte tutte le necessarie premesse, vengo ad aggiungere i miei granelli di sale e pepe. Microtecnica lavora con il complesso industriale-militare degli Stati Uniti; e quando c’è di mezzo il complesso industriale-militare nulla si muove e nulla accade senza che il Pentagono sia stato consultato e abbia dato il suo assenso. È praticamente certo che il dipartimento della Difesa sapesse dell’operazione con Safran per l’ex-Microtecnica, e dagli indizi che ho raccolto attraverso le mie fonti (come sai, ho bazzicato molto quel mondo e ho ancora agganci di un certo peso) posso dirti che i funzionari americani si sono… inalberati, diciamo così, per l’ostruzione del golden power. O diciamo stupiti, per carità di patria.

Concludo con una cosa marginale (ma nemmeno tanto: magari ci scappa in futuro un pezzo ad hoc). Leggevo dal Financial Times che la Germania aveva espresso all’Italia le sue preoccupazioni per l’operazione con Safran su Microtecnica, parlando di possibili ripercussioni sulla catena di fornitura dei componenti per i programmi dei caccia Eurofighter e Tornado. Aggiungo io che esistono da tempo delle tensioni franco-tedesche sulla condivisione di tecnologie e competenze militari: Berlino accusa Parigi di essere un po’ troppo gelosa del suo know-how e di restringerne l’accesso anche agli alleati europei. Insomma, i tedeschi hanno usato gli italiani per danneggiare i francesi…

Basta così, ché già mi sono dilungato troppo e non vorrei aver involontariamente pompato la reputazione di qualche dirigente da Reputation Manager. Ma esiste anche la classifica dei top lobbyists? Sto scherzando, direttore, resisti all’impulso di cercare su Google. Non vorrei che ti impegolassi in una faccenda come quella che sai bene.

Un caro saluto,

Francis Walsingham

6076.- Le Sea Watch 5 lanciata «contro la politica migratoria razzista» d’Italia

L’immigrazione è diventata un’arma da cui difendersi e sappiamo da chi.

Da Boulevard Voltaire, di Marie d’Armagnac, 16 novembre 2023. Traduzione libera.

«Noi siamo politici e religiosi indipendenti e siamo finanziati da noi», è scritto sul sito di Sea Watch, una ONG qui, per il conto di United4Rescue, una ONG che noleggia imbarcazioni per esplorare il Mediterraneo centrale, dicono, e soprattutto per stazionarsi al largo delle coste della Tunisia e della Libia per recuperare i migranti imbarcati dai trafficanti su imbarcazioni poco galleggianti e portarli al “porto sicuro” più vicino. Che, per loro, è sempre italiano e non tunisino.

Avendo con me Stephen Born, coordinatore del lavoro, responsabile per una ragione puramente politica della nave Sea-Watch 5, un grande bastimento che può accogliere 500 migranti, cambiando bandiera, sostituendo il cielo di Gibilterra con la bandiera alemanna che «ha il vantaggio di avere un po’ più di influenza politica se venissi effettivamente arrestato», riferisce Il Giornale.

Si tratta di un finanziamento di due milioni di euro deciso dal Bundestag e dalla coalizione governativa rossa nella legge finanziaria 2022, che alimenta in parte l’ONG, un finanziamento pubblico, molto politico.

Quindi, il commento è stato trasmesso dal messaggio eminentemente politico lanciato il 15 novembre dalla ONG Sea Watch-Italia nell’ambito del partenariato Sea-Watch 5 con il Mediterraneo Centrale. “Mentre l’Europa ignora il dramma della morte in mare, ma gli Stati europei si lanciano sul fronte dei manicomi e hanno occhi per i diritti umani, la Sea-Watch 5 prende le cose in grande. […] Lo facciamo, consapevoli della campagna di criminalizzazione del salvataggio in mare e di tutte le norme che rendono più difficile salvare chi rischia la vita. […] nonostante le politiche razziste, nonostante gli attacchi, nonostante tutto. “Non hanno ancora esplorato i 2.400 morti in mare, ma non sai che queste campagne mediatiche sono un formidabile avvallo per i migranti? Infatti in questo momento e all’inizio dell’inverno, riporta il Corriere della Sera, lanciano i saldi: “Per mille euro siete in Europa! »

“Lo facciamo contro le politiche razziste sull’immigrazione dell’estrema destra italiana”, aggiunge l’account X di Sea Watch International.

E infatti è contro il governo Meloni e le misure adottate per regolamentare rigorosamente l’attività di queste ONG ultrapoliticizzate che viene lanciata questa campagna marittima. Infatti, si chiede Il Giornale, perché navigare su un’imbarcazione di tali proporzioni quando sappiamo che, a partire dal decreto Sicurezza di Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno italiano, le navi delle ONG devono sistematicamente dirigersi, senza deviare, verso i porti loro assegnati dal porto? autorità dal primo salvataggio effettuato? Sono previste sanzioni, prima pecuniarie, poi il sequestro in caso di violazioni ripetute. La ONG ha pianificato, volontariamente, di scontrarsi con il governo italiano?

Il 15 novembre l’aviazione civile italiana ha inviato un avvertimento alla ONG che fa decollare i propri aerei da ricognizione dall’isola di Lampedusa (dopo che Malta ha deciso di vietarli), perché aeroporto di competenza esclusiva dello Stato italiano.

In breve, come possiamo meglio dimostrare le ripetute violazioni della sovranità compiute di fatto da queste ONG?

L’ultimo tentativo del governo italiano di intimidirci è molto preoccupante. Qualche giorno fa abbiamo ricevuto un avvertimento dall’autorità dell’aviazione civile italiana in merito al nostro lavoro di monitoraggio aereo nel Mediterraneo centrale. (Thread… 1/4 )

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6037.- Uno sguardo all’Armenia: in silenzio. Non solo Ucraina, Israele o Palestina.

L’informazione è muta sull’ennesima tragedia del popolo armeno, aggredito dall’Azerbaijan. Tace l’Ue, che riceve dagli azeri il gas che rifiuta dai russi; tace Israele che ha interessi energetici e vende armi a Baku; tace la Nato che non vuol vedere e accetta il tradimento di Erdoğan, scudo armato degli azeri, come lo è Israele, tace anche Putin e tace il falso Padre dei cristiani, quali sono gli armeni. L’ONU? Non pervenuto. Gli armeni vivono il loro secondo genocidio. Soltanto in Francia si alza una voce, ma parla da sola.

L’inferno vissuto dagli armeni, cosa ci raccontano e cosa dovrebbe fare la Francia. Lo spiega Marion Maréchal.

Da  Boulevard Voltaire del 2 novembre 2023. Marc Baudriller Intervista Marion Maréchal sull’Armenia.

Una cattedrale distrutta vicino a Stepanakert, capitale del Nagorno Karabakh, durante i bombardamenti tra l’esercito armeno e quello azero, ottobre 2020. (Aris Messinis, Afp)

Marion Maréchal in Armenia: “Sono rimasta colpita dal loro sguardo vuoto”



Giunta sabato 28 ottobre in Armenia, Marion Maréchal ha trascorso diversi giorni con i funzionari e le popolazioni colpite dalla guerra. Visibilmente commossa, racconta a BV il contesto, gli scambi e gli incontri che più l’hanno segnata durante questo viaggio.

Marc Baudriller. La Francia sembra relativamente indifferente al destino dell’Armenia, a differenza di quello dell’Ucraina e di Israele. Come lo spieghi?

Marion Maréchal. Ci sono diverse spiegazioni. Il primo è che Ursula von der Leyen [presidente della Commissione europea, ndr] ha raddoppiato l’importazione di gas azero per compensare la rottura dei legami energetici con la Russia. Parte di questo gas proveniente dall’Azerbaigian è in realtà gas russo che transita attraverso l’Azerbaigian. In secondo luogo, c’è timore nei confronti della Turchia che sostiene l’Azerbaigian nel contesto del conflitto dell’Artsakh. Oggi, come da anni, la Turchia ricatta l’immigrazione: minaccia di aprire molto ampiamente le sue frontiere e di far entrare potenzialmente milioni di persone. Inoltre, si registra anche un indebolimento della voce della Francia all’interno della stessa Unione Europea. Conosciamo infine i rapporti privilegiati della Germania con la Turchia, dovuti alla numerosissima comunità turca in Germania. E poi, nel contesto del conflitto russo-ucraino, le tensioni con la parte russa si riversano in questo conflitto, perché in questo caso i russi sono da tempo alleati degli armeni di fronte alle minacce dell’Azerbaigian. Tutte queste contingenze portano al silenzio e all’assenza di condanna.

M. B. Se fossi al potere, cosa chiederesti all’Azerbaigian e alla Turchia?

M. M. Ci dovrebbe essere una condanna da parte dell’Unione Europea e della Francia nei confronti dell’Azerbaigian e della Turchia. Non ce n’era. Piuttosto, c’erano segni di amicizia e rapporti cortesi. Si dovrebbe chiedere una sanzione per l’Azerbaigian, come è avvenuto per la Russia, a causa di una violazione del diritto internazionale. L’Azerbaigian ha commesso crimini di guerra e pulizia etnica; ciò meriterebbe almeno una sospensione da parte del Consiglio d’Europa e un certo numero di misure, anche economiche.
Per quanto riguarda la Turchia, di fronte alle ultime dichiarazioni estremamente aggressive di Erdoğan nei confronti dell’Europa – che sembra voler unire tutti i paesi che sostengono Hamas e supervisionare questo famoso conflitto di civiltà tra quelle che lui chiama “la croce e la mezzaluna” – dobbiamo porre definitivamente fine porre fine al processo di preadesione che finora è costato ai contribuenti europei più di 15 miliardi di euro.
Dovremmo anche mettere sul tavolo la discussione sull’adesione della Turchia all’organizzazione militare della NATO che dovrebbe garantire la sicurezza dell’Europa. La Francia non dovrebbe cedere tutta la sua sicurezza e indipendenza, in materia diplomatica e di difesa, a questa organizzazione. Dovrebbe prendere la traiettoria della massima indipendenza, a livello diplomatico, militare e operativo.

M.B. Quali testimonianze ti hanno toccato di più tra gli armeni che hai incontrato?

M. M. Abbiamo visto diverse famiglie di rifugiati, nonché funzionari eletti che hanno assicurato la loro accoglienza e integrazione. Ricordo questa studentessa che è rimasta dalla parte armena e che ha ritrovato i suoi genitori e i suoi fratellini. Avevano lasciato il territorio dell’Artsakh al termine della pulizia etnica. I suoi genitori erano denutriti, come molti rifugiati, a causa del blocco di cibo e medicinali. Ho incontrato una coppia di agricoltori che ci hanno raccontato che dovevano mangiare cibo animale per nutrirsi. Non potevano nemmeno riscaldarsi a causa dei tagli di gas ed elettricità. Mi ha colpito anche la testimonianza particolarmente toccante di una vecchia con i suoi figli. Aveva visto la grande croce del suo villaggio abbattuta dagli azeri. Ha pianto, ha avuto molta difficoltà a lasciare il monumento ai caduti del suo villaggio che sarebbe stato profanato. Era sconvolta.
Altra testimonianza atroce: i genitori, i cui due figli piccoli di otto e dieci anni furono decapitati, dovettero partire con i corpi in macchina durante l’esodo perché non potevano più accedere al cimitero e temevano la profanazione che ne sarebbe seguita.
Mi ha colpito molto il loro sguardo vuoto, come se una parte di loro fosse rimasta lì. Non si lamentano.

6031.- Netanyahu umilia la Francia : meschina, ma non sbaglia, purtroppo

Quanto incidono le religioni sulla Guerra di Gaza e quanto è auspicabile una reciproca tolleranza fra le tre religioni monoteiste. L’articolo 19 della Costituzione italiana riconosce il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa e praticarne il culto, tranne ‘riti contrari al buon costume’, e vieta limitazioni normative nei confronti degli enti ecclesiastici, che possono organizzarsi secondo propri statuti. Netanyahu parla delle periferie di Parigi e delle enclavi terroristiche, e lancia un avvertimento alla Francia: “Hamas non si trova a migliaia di chilometri dalla Francia”.. e gli attentatori passano più o meno tutti da Lampedusa. Gli italiani temono un Natale di sangue? La questione è politica. Possiamo dire che sono più tranquilli i parigini a Parigi dei romani a Roma.

Da Boulevard Voltaire, di Arnaud Florac, 25 octobre 2023

Si è discusso molto, anche nelle colonne di BV, su quanto poco ci fosse da aspettarsi dal viaggio di Macron in Israele. Autoproclamato pacificatore, grande prestigiatore, il Presidente della Repubblica è stato probabilmente l’unico a credere nelle sue capacità negoziali e l’unico a pensare che potesse esserci qualcuno diverso dal capo del protocollo per l’accoglienza in fondo alla la rampa del Falcon. Abbiamo parlato molto, ma alla fine forse ci siamo sbagliati, perché la conferenza stampa di Emmanuel Macron e Benyamin Netanyahu ha riservato una grande sorpresa.

Infatti, quando Netanyahu ha parlato della pericolosità di Hamas, aveva bisogno di qualcosa di concreto affinché il messaggio potesse arrivare fino alla Francia. Anche se i media francesi sono tutti dalla parte di Israele, anche se cominciamo ad avere una comprensione corretta delle atrocità commesse da Hamas (per coloro che ancora dubitavano del suo status di gruppo terroristico), ciò non bastava. Questo è, in ogni caso, ciò che deve aver stimato il primo ministro israeliano. Così, dopo aver ricordato che anche la Francia è stata segnata nella carne dagli attentati, a Nizza in particolare, “Bibi” ha detto la verità. Una verità che stupirà solo i nostri concittadini più ciechi. “Hamas non è a migliaia di chilometri in Europa, Hamas è come Daesh nella periferia di Parigi. A Parigi guidi per venti minuti e arrivi in ​​una periferia ritenuta Daesh. Non possiamo vivere così. »
Netanyahu parla delle periferie di Parigi e delle enclavi terroristiche, e lancia un avvertimento alla Francia: “Hamas non si trova a migliaia di chilometri dalla Francia. Hamas è Daesh nella periferia di Parigi”.
L’ennesimo schiaffo somministrato senza slancio al presidente francese, questa volta dal leader di questo “popolo d’élite, sicuro di sé e dominante”, come ha detto il generale de Gaulle. “Non possiamo vivere così”, ha detto Netanyahu. Certamente. Lo capiamo. Fategli sapere – ma probabilmente lo sa – che anche noi non possiamo, non possiamo più vivere così, ma che alle autorità pubbliche non interessa affatto. Michel Onfray ha parlato di “guerra civile tranquilla” sul suolo francese: forse sarebbe più preciso parlare di una guerra civile nascosta, come gli scioperi della SNCF. Non è una guerra tutti i giorni, ma è regolare. È un 7 ottobre sparso: qui, lo stupro di una giovane donna francese da parte di un immigrato clandestino sotto OQTF; poi l’omicidio di un professore francese da parte di un dossier Singouche; poi ancora uno stupro di due novantenni francesi da parte di un lavoratore illegale ai sensi dell’OQTF; all’inizio dell’anno, stupro e omicidio di una ragazzina di 12 anni da parte di una donna algerina sotto l’OQTF; omicidio di un uomo coraggioso alle feste di Bayonne da parte di un uomo già condannato al carcere per stupro, rilasciato dopo due anni; un pensionato picchiato a morte da tre minatori stranieri… e parliamo solo dei fatti più pubblicizzati. Quindi no, non capita tutti i giorni, e non è sempre in nome dell’Islam, ma è sempre una guerra di stranieri contro i francesi, su una terra che ci appartiene e sulla quale chiediamo solo il diritto di restare in vita. Uccidere qualcuno per quello che è è la definizione di genocidio. In questo senso, il termine “francocidio” inventato da Éric Zemmour è lungi dall’essere scandaloso.

Netanyahu è un ex tenente del Sayeret Matkal, le forze speciali dell’IDF. Ha perso suo fratello in guerra. Sa quanto costa la lotta per la sopravvivenza del suo popolo. La sua frase, probabilmente pensata a lungo, è ingiuriosa, meschina, che dir si voglia… ma tragicamente vera. E non faremo nulla.

Parigi: la polizia ferisce gravemente una donna minacciosa e completamente velata

Velo islámico: diferencias entre hiyab, burka, niqab y chador

31 ottobre

Martedì mattina, a Parigi, si è svolto un episodio di intolleranza religiosa che ha visto protagonista una donna musulmana. Secondo CNews, la polizia di Parigi ha aperto il fuoco su una donna completamente velata che faceva commenti minacciosi sui trasporti pubblici, alla stazione della RER Biblioteca François Mitterrand. Questa donna sarebbe gravemente ferita.

L’episodio è avvenuto su un treno della RER C. Secondo l’accusa, i testimoni hanno riportato che la donna avrebbe gridato al loro indirizzi minacce di morte inframmezzandole al grido di “Allah Akbar”. Le chiamate di soccorso dei passeggeri menzionavano una donna “completamente velata” che “pronunciava minacce” ad alta voce. La polizia è riuscita a isolarla, ma lei “ha rifiutato di obbedire agli ordini della polizia”, ha detto a CNews una fonte che si è trovata vicina al caso. Secondo l’accusa la donna avrebbe minacciato di farsi esplodere. A questo punto, “temendo per la propria incolumità”, la polizia “ha usato la propria arma”, ha aggiunto questa fonte.

6013.- Quanto gli immigrati dividono l’Europa..

I francesi condannati a sperare, tra un’opposizione islamico-sinistra ormai totalmente rivendicata, un giovane immigrato che odia il Paese e un esecutivo completamente strambo. Quanto gli immigrati dividono l’Europa… ma anche quanto il sionismo e l’Islam dividono il Mediterraneo. Dove mai andrà l’Unione europea?

Macron part pour Israël au lendemain d’une manifestation… pro-palestinienne

Da Boulevard Voltaire, 23 octobre 2023, di Arnaud Florac

Macron sarà in Israele questo martedì, 24 ottobre. Molto tardi. È probabile, purtroppo, che al mondo intero non interessi… ma è comunque possibile che il Presidente della Repubblica ci deluda comunque. Jordan Bardella ha ricordato domenica su Europe 1 e CNews (in “Le Grand Rendez-vous”) che il Presidente Macron è riuscito nell’impresa di alienare sia il Marocco che l’Algeria, cosa che nessun capo di Stato francese prima di lui era riuscito a fare. . È una scommessa sicura che abbia il talento per litigare sia con il mondo arabo che con il governo israeliano. Al tempo stesso vibrante e totalmente inutile, in una versione rinnovata della mosca sul muro, probabilmente si farà qualche selfie e pubblicherà uno o due tweet in ebraico o arabo, e la Francia continuerà ad affondare. Anche se nulla è perduto, anche se siamo condannati a sperare, tra un’opposizione islamico-sinistra ormai totalmente rivendicata, un giovane immigrato che odia il nostro Paese e un esecutivo completamente strambo, c’è poco da rallegrarsi di iniziare la settimana, mentre il precedente finì male.

Manifestazione a Parigi: “Allah Akbar”, l’inno ufficiale della divisione

Per garantire il servizio post-vendita, un tweet di Mélenchon sarà sufficiente. Ci ha abituato all’oltraggioso, al grottesco, perfino al disgustoso. Anche questa volta non ha deluso: “Ecco la Francia. Nel frattempo, Madame Braun-Pivet si accampa a Tel Aviv per incoraggiare il massacro. Non in nome del popolo francese! “C’è tutto. “Ecco la Francia”, come didascalia davanti a un piccolo mare di bandiere palestinesi e, più che probabile, qualche centinaio di antisemiti disinibiti: impeccabili. “Madame Braun-Pivet”, che ha un nome ebraico, “accampamenti a Tel Aviv”: capiamo la finezza e il gusto squisito del verbo “accamparsi”, è buono, non c’è bisogno di sottotitoli. Quanto all'”incoraggiamento al massacro”, se è vero che l’IDF non si distingue per il suo umanesimo nei confronti dei civili di Gaza, non si può definire un “massacro” un’operazione di ritorsione, anche se ritenuta sproporzionata, rispetto a quanto avvenuto. un vero e proprio massacro, ovvero la barbarie di Hamas in territorio israeliano la mattina del 7 ottobre.

Clima deleterio

Nel frattempo, ovviamente, il clima nocivo mette le ali a tutti i piccoli idioti provenienti da ambienti sensibili. Tre studenti universitari parigini sono stati appena incriminati: stavano preparando un attentato contro l’ambasciata israeliana con l’obiettivo di “terrorizzare gli ebrei”. Ecco dove siamo, dopo decenni di lassismo, odio per noi stessi e immigrazione incontrollata. E questi casi, ovviamente, sono tutt’altro che isolati. Da prendere sul serio durante una visita in Israele, ne abbiamo viste di più convincenti.

5967.- Manifestazione pro-Palestina a Milano, ‘Israele terrorista’

Siamo in prima linea perché Gaza non è in Ucraina. Ci guardiamo attorno e vediamo guerre, genocidi: i curdi, gli ucraini, gli armeni, i palestinesi. La Francia è in allerta. Cominciamo anche noi a guardarci in casa.

“Israele terrorista, Palestina libera”. Qual’è il terrorista?

(ANSA) – MILANO, 10 OTT – “Israele terrorista, Palestina libera” è il grido che si alza da piazza dei Mercanti, a Milano, dove alcune centinaia di persone si sono radunate per manifestare solidarietà alla causa palestinese. Tra i cori anche “intifada fino alla vittoria “, scandito dai giovani di Cambiare rotta, che si sono uniti al presidio organizzato dai Giovani palestinesi in Italia.

In piazza, controllati a vista dalle forze dell’ordine, non solo palestinesi ma anche tanti italiani come Annalisa, insegnante di ginnastica che negli ultimi 12 anni ha organizzato summer camp per i ragazzi della West Bank e Gaza. “Sono testimone di quanto succede e non viene raccontato – dice – stanno attuando un genocidio da 75 anni”.

Non potrebbe essere più d’accordo Jamila dei giovani palestinesi italiani: “Sembra che la storia sia iniziata tre giorni fa ma la comunità internazionale si è distratta dal 1948: dopo 75 anni do colonialismo non ci si può sorprendere di quanto accade oggi se non ci si domanda da dove ha origine la violenza. Noi vogliamo invitare a guardare indietro per contestualizzare l’oggi perché in 75 anni la Palestina è stata smantellata e Gaza oggi è la prigione a cielo aperto più grande al mondo”.

“I partigiani ce l’hanno insegnato: difendere la patria non è un reato” è un altro dei cori scanditi in piazza Mercanti, dove i giovani palestinesi hanno sottolineato che il Comune di Milano ha negato piazza Scala per il presidio e ha affisso la bandiera israeliana e della pace ma non quella palestinese.

“Resistenza per la sopravvivenza” hanno poi scandito in coro i partecipanti, tra cui moltissimi italiani, che stanno continuando ad affluire davanti alla Loggia dei Mercanti. Tante le bandiere della Palestina e tanti i cartelli che inneggiano alla libertà per la Palestina. (ANSA).