Emanuele Cassano, redattore di East Journal, è uno studente di Scienze Internazionali con specializzazione in Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, si occupa dell’area del Caucaso, sia dal punto di vista politico che da quello storico e culturale. Prima di leggerlo, due parole sull’Armenia e i rapporti fra la repubblica caucasica e l’Unione europea.
l’Unione Europea ha firmato con l’Armenia un nuovo Accordo di partenariato globale e rafforzato (CEPA), che intende riallacciare quei rapporti incrinatisi nel 2013 in seguito alla decisione di Yerevan di aderire all’Unione euroasiatica. Secondo il testo dell’accordo, pubblicato a settembre, in cambio del sostegno e dei finanziamenti europei l’Armenia si impegna ad attuare una serie di riforme che se implementate dovrebbero portare concreti benefici per la repubblica caucasica. Tra i principali propositi vi è lo sviluppo del settore finanziario e delle istituzioni democratiche, al fine di allentare la dipendenza economica da Mosca e rafforzare lo stato di diritto nel paese.
L’accordo dà a Yerevan l’opportunità di bilanciare la propria politica estera, finora eccessivamente dipendente dalla Russia, nonché l’occasione di usare i consigli, gli strumenti e i finanziamenti dell’UE per modernizzarsi e riformarsi, al fine di diventare un vero e proprio paese europeo. Ambisce, anche, a rafforzare la tutela dei diritti umani, affermare il principio di legalità, riformare il sistema giudiziario e combattere la corruzione. È inoltre importante ricordare come nell’accordo siano stati inclusi una serie di programmi volti a sostenere l’economia armena attraverso ad esempio il sostegno alle piccole e medie imprese, lo sviluppo del settore turistico, l’aumento della cooperazione con l’UE nel settore del trasporto aereo e la ricostruzione delle fabbriche dismesse nelle zone rurali del paese. Ma soprattutto l’entrata in vigore del CEPA darà all’Armenia la possibilità di spezzare il monopolio russo in settori chiave come l’energia e i trasporti. Ora due osservazioni: L’Ue persegue una politica filo USA, di contrasto alla Russia; ma la nostra Europa, come l’abbiamo studiata sui libri di scuola e come la calcano i nostri imprenditori, va dalla costa Atlantica agli Urali. La nostra radice è cristiana, rispetta la vita, la donna, condanna la violenza domestica e il diritto all’aborto è secondo rispetto al diritto di poter essere madre. Un sondaggio condotto dall’OSCE nel 2011 rivela che almeno il 60% delle donne armene ha subito qualche forma di violenza domestica nella propria vita. Ci sono voluti oltre dieci anni di battaglie condotte dalle organizzazioni per i diritti delle donne, due proposte bocciate dal parlamento nel 2009 e 2013, e mesi di accesi dibattiti, affinché l’Armenia adottasse finalmente una legge sulla violenza domestica.
Nella versione finale approvata lo scorso dicembre, la tanto attesa legge ha però subito un totale stravolgimento che ne mette in dubbio l’efficacia e addirittura la vera finalità. Qual è il risultato e cosa ne pensano la società civile e le organizzazioni per i diritti delle donne?
Cambia il nome, cambia la sostanza
Il titolo parla da sé: quella approvata dall’Armenia è una legge “sulla prevenzione della violenza nella famiglia, sulla protezione delle vittime di violenza nella famiglia e sul ristabilimento dell’armonia familiare”. Per prima cosa, il termine “violenza domestica” è stato sostituito da violenza “nella famiglia”: una modifica che restringe il campo d’azione della legge. Come lo spiega l’attivista Artur Sakunts, direttore della Helsinki Citizens’ Assembly di Vanadzor, secondo la formulazione attuale la legge è applicabile solo nei casi di coppie ufficialmente sposate e che vivono sotto lo stesso tetto.
In secondo luogo, il titolo della legge racchiude in sé il cosiddetto “principio della riconciliazione”, che ha suscitato l’ira delle associazioni per i diritti delle donne. In pratica, la legge prevede che le forze di polizia (e lo stato stesso) possano intromettersi nella vita privata delle coppie per proporre una mediazione. Gli abusanti potranno “riconciliarsi” con le vittime attraverso un organo indipendente (la cui composizione e nomina non sono ancora state chiarite) al fine di risolvere la questione senza ricorrere al tribunale. Secondo Lara Aharonian, co-direttrice del Women’s Resource Center, questo tipo di mediazione, già rivelatosi inefficace in altri paesi, presenta dei rischi per le vittime di violenza domestica: può essere usato come forma di pressione ed è inoltre assolutamente inappropriato quando il rischio che la violenza si ripeta è alto. Nella maggioranza dei casi di uxoricidio, le indagini sono condotte in modo superficiale, i colpevoli vengono addirittura giustificati di fronte al tribunale e ricevono pene minime (9 anni di carcere in media). Sembra evidente, che dovrà trascorrere qualche generazione prima che l’Armenia possa integrarsi nell’Europa e che l’accordo segue il consueto filone dei diritti, ma è mirato, soprattutto nell’immediato, ad accrescere la capacità di stringere di assedio la Russia.
Entriamo, così, nel tema svolto da Cassano.
L’Armenia è il secondo paese al mondo per tasso di aborti selettivi, a causa dell’ossessiva ricerca di figli maschi. Un approfondimento
nav-logoMariam, 31 anni, è madre di due bambine ed è originaria della regione di Armavir, Armenia occidentale. Anche dopo la nascita della seconda figlia, ha continuato a inseguire il suo sogno, avere un maschio, affidandosi ad un calcolo di probabilità. Ma non appena saputo di essere rimasta incinta e che si sarebbe trattato di un’altra femmina ha scelto di ricorrere all’aborto. “Mi sento colpevole di aver preso questa decisione, ma continuo a sperare di avere un figlio maschio un giorno. Non voglio scoprire ancora una volta che si tratta di una femmina e abortire di nuovo, non posso… Continuo a ripetermi che la prossima volta sarà quella buona”.
Spesso, in Armenia, molte donne come Mariam ricorrono alla pratica dell’aborto selettivo – spesso spinte in questo dal marito o dalla famiglia – per assicurarsi figli maschi, mettendo però a serio rischio la loro salute e lo stesso equilibrio demografico del paese.
Tra i primi al mondo per tasso di aborti selettivi
Secondo il 2016 Global Gender Gap Report, l’Armenia è il secondo paese al mondo per tasso di aborti selettivi, dietro solo alla Cina. Come ricorda Garik Hayrapetyan, rappresentante di UNFPA Armenia – agenzia Onu che si occupa di politiche famigliari – il sesso del feto è alla base del 10% di tutti gli aborti indotti effettuati nel paese caucasico, dove ogni anno circa 1.400 nascite femminili vengono interrotte. Il problema degli aborti selettivi è emerso in seguito all’indipendenza del paese, negli anni Novanta, sebbene in Armenia l’aborto venisse largamente praticato come metodo contraccettivo fin dall’epoca dell’Unione Sovietica (il primo paese a legalizzare l’aborto, nel 1920).
Questo problema non riguarda solo l’Armenia, ma è comune a tutto il Caucaso, come conferma la presenza nelle prime dieci posizioni della classifica dei paesi con il più alto tasso di aborti selettivi dell’Azerbaijan (al 5° posto) e della Georgia (all’8°).
Secondo un rapporto di UNFPA Armenia del 2013, il paese ha inoltre il terzo più alto livello di mascolinità alla nascita osservato nel mondo, e una sex ratio tale per cui per ogni 114-115 maschi nascono solo 100 femmine (la media mondiale è di 105 maschi per 100 femmine). Questa stessa ricerca dimostra come il divario aumenti progressivamente a seconda dell’ordine di nascita: mentre il rapporto tra sessi è relativamente equilibrato per la prima nascita, esso aumenta a 173 maschi per 100 femmine al terzo figlio.
Quali sono le cause di questo fenomeno?
Per Ani Jilozian, attivista presso il Women’s Support Center di Yerevan, questo squilibrio è dovuto principalmente a tre fattori tra loro correlati. Il primo è la preferenza verso i figli maschi, che deriva da una struttura familiare in cui le ragazze e le donne hanno un ruolo sociale, economico e simbolico marginale, e di conseguenza godono di meno diritti. I figli maschi garantiscono inoltre una sicurezza per ogni famiglia, in quanto hanno il compito di prendersi cura dei propri genitori e assisterli nel corso della loro vecchiaia, poiché le donne, una volta sposate, vanno solitamente a vivere presso la famiglia del marito. Un secondo fattore è lo sviluppo tecnologico applicato alla diagnostica prenatale, che ha permesso ai genitori di conoscere il sesso del bambino ancor prima della nascita. L’ultimo fattore è la bassa fertilità (in media ogni donna armena partorisce 1,7 figli), che riduce la probabilità di avere un figlio maschio nelle famiglie più piccole aumentando di conseguenza la necessità di selezionare il sesso.
Sebbene una statistica di UNFPA Armenia (2012) stabilisca che nel 70% dei casi siano le donne a scegliere di abortire, non sempre esse sono messe in condizione di prendere questa decisione in piena autonomia. Secondo uno studio qualitativo condotto da Ani Jilozian, basato su una serie di interviste realizzate con alcune donne che hanno fatto ricorso all’aborto selettivo, la maggioranza delle intervistate, pur rivendicando inizialmente la decisione di abortire, ha successivamente ammesso che la scelta è stata di fatto indotta dalla forte volontà del marito o della sua famiglia di avere un figlio maschio. Talvolta sono gli stessi mariti a prendere la decisione per la moglie, ricorrendo in molti casi anche a pressioni psicologiche.
Una legislazione inefficace
Secondo la legge armena una donna può effettuare un aborto fino alla 12ma settimana di gravidanza, periodo nel quale il sesso del feto non può ancora essere determinato, il che dimostra come la maggior parte degli aborti selettivi siano illegali e rischiosi. Solo il 57% delle donne è però al corrente dell’illegalità di questo processo e dei rischi che esso comporta.
Recentemente il governo armeno ha introdotto una nuova legge per combattere il fenomeno degli aborti selettivi. Secondo la nuova norma, prima di poter effettuare un aborto, una donna deve partecipare a una sessione di consulenza con il proprio medico, e successivamente aspettare tre giorni prima di ricevere l’autorizzazione per l’intervento. Secondo il governo armeno questa legge dovrebbe aiutare a sensibilizzare le donne sui rischi che comporta l’aborto e a metterle nella condizione di riflettere meglio.
Come spiega però Ani Jilozian, questa legge è inadeguata, in quanto limita la libertà riproduttiva della donna e ne mette a rischio la stessa salute. Dichiarare illegali gli aborti selettivi non è una soluzione che può combattere efficacemente il problema, in quanto non elimina le cause principali di questa preferenza sessuale, le quali sono profondamente radicate nella società patriarcale armena. Il tentativo di limitare l’accesso all’aborto senza affrontare le principali cause della preferenza del sesso potrebbe quindi finire per provocare una maggiore domanda di aborti illegali o non sicuri, in particolare per le donne provenienti dalle comunità più emarginate.
Inoltre, seppure negli ultimi anni in Armenia il numero di aborti selettivi sia in leggera diminuzione, secondo alcune proiezioni, se nel lungo periodo questo fenomeno non verrà adeguatamente contrastato, entro il 2060 in un paese di soli tre milioni di abitanti verranno a mancare circa 93.000 donne, ovvero il 3% dell’attuale popolazione totale. Questo causerebbe un conseguente processo di emigrazione di una parte della popolazione maschile, destinata ad andare in cerca di una partner al di fuori del paese, mettendone a rischio l’equilibrio demografico.
Mariam, 31 anni, è madre di due bambine ed è originaria della regione di Armavir, Armenia occidentale. Anche dopo la nascita della seconda figlia, ha continuato a inseguire il suo sogno, avere un maschio, affidandosi ad un calcolo di probabilità. Ma non appena saputo di essere rimasta incinta e che si sarebbe trattato di un’altra femmina ha scelto di ricorrere all’aborto. “Mi sento colpevole di aver preso questa decisione, ma continuo a sperare di avere un figlio maschio un giorno. Non voglio scoprire ancora una volta che si tratta di una femmina e abortire di nuovo, non posso… Continuo a ripetermi che la prossima volta sarà quella buona”.