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4266.-La partita tra Italia ed Emirati Arabi Uniti.

I lunghi voli per portar via da Kabul (in ritardo) gli amici afghani, con scalo intermedio e cambio di aeroplano a Kuwait (dai C-130J ai KC-767) hanno messo in luce la fesseria di essersi fatti precludere dagli EAU la base aerea di al-Minhad. Il centinaio di militari dell’Aeronautica presenti ad al-Minhad aveva sgomberato la base il 2 luglio, giorno in cui era scaduto il termine imposto da Abu Dhabi all’Italia per lasciare la base situata vicino a Dubai.

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Il ministero degli Esteri, con i suoii vertici politici porta il fardello di responsabilità più grave per la crisi apertasi tra l’Italia e le principali potenze arabe: Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto. A Napoli, dicono: “A pucchiacca in mane a ‘e creature”.

Si dice che in politica debba darsi un colpo al cerchio e uno alla botte. Quale migliore opportunità di tenere fuori da questo embargo grillino un team sportivo come la pattuglia acrobatica figlia delle Frecce Tricolori? Diversamente, quale affidamento in una nazione che ti vende gli aeroplani acrobatici e ti nega le parti di ricambio? Di Maio e i grillini sono quello che sono, ma Mario Draghi?

I grillini sono politicamente falliti, ma sono stati imposti e ancora lo sono da Sergio Mattarella. È ancora possibile vedere fuori dei municipi amministrati da grillini gli striscioni anti egiziani “Giustizia per Regeni”: un bravo ragazzo gettato allo sbaraglio e, poi, tradito dai servizi inglesi. Dopo la campagna contro l’Egitto, ecco l’embargo/sgarbo contro gli Emirati Arabi Uniti, seguito dal divieto di sorvolo imposto agli aeroplani italiani, come ritorsione e dalla perdita di una base aerea internazionale, dal raddoppio delle tratte per portare da Kabul, in Italia i profughi afghani. Auspichiamo che Mario Draghi, visto il sostegno umanitario devoluto alle Nazioni Unite dagli Emirati per la popolazione yemenita e il ritiro delle forze armate di Abu Dhabi dal conflitto yemenita,  voglia porre rimedio a questo errore, sbloccando i contratti sottoscritti con gli Emirati Arabi Uniti.

La (vera) partita tra Italia ed Emirati

Inside Over, Lorenzo Vita

La pattuglia acrobatica Al Fursan (“I cavalieri”) degli Emirati Arabi Uniti vola su 6 MB.339-PAN e è stata addestrata a Rivolto con le FRECCE TRICOLORI da 5 cinque piloti-istruttori della nostra squadra acrobatica italiana guidati dal Colonnello Paolo Tarantino. Vola su 7 elementi, quanti sono gli emirati e “fuma” nel cielo arabeschi i colori della barandiera emiratina bianco, rosso, verde e nero.

Lo sgarbo degli Emirati Arabi Uniti per il volo italiano diretto in Afghanistan potrebbe essere solo uno dei sintomi di un problema molto più ampio. La “Sparta” del Golfo Persico non ha apprezzato le ultime mosse italiane nei suoi confronti. E nonostante la fredda (ma cordiale) accoglienza di Luigi di Maio nel paese per l’expo di Dubai, l’impressione è che quello tra Italia ed Emirati sia un rapporto che ha subito lacerazioni importanti.

Il problema per gli Emirati arriva soprattutto da due ordini di ragioni. Il primo riguarda il blocco all’esportazione di armi imposto dall’Italia per l’accusa di utilizzare quelle stesse munizioni contro civili nella guerra in Yemen. L’accusa, la stessa che aveva portato al bloccoda parte americana, ha rappresentato per Abu Dhabi un colpo durissimo sia a livello di immagine che a livello strategico. Gli EAU contavano sulle forniture dell’industria italiana, con cui era legata da molti decenni sia in campo bellico che in campo civile. E la scelta di fermare l’esportazione di armi, oltre a costringere gli Emirati a convertirsi ad altre aziende estere, ha dato un segnale di inaffidabilità nei rapporti che non è affatto piaciuta a Mohammed Bin Zayed.

Vincenzo Camporini, già capo di Stato Maggiore della Difesa, ha spiegato in questi termini ad Aki – Adnkronos International la decisione emiratina di bloccare il Boeing dell’Aeronautica italiana. “Si dovrebbero rivedere le decisioni prese dal ministro degli Esteri” ha detto Camporini, visto che sono state fermate “tutte le forniture militari agli Emirati, comprese alcune cose che francamente lasciano basiti”. Il riferimento è ad esempio ai pezzi di ricambio per la pattuglia acrobatica di Abu Dhabi. “Gli Emirati hanno la pattuglia acrobatica che vola con aeroplani italiani e gli abbiamo bloccato i pezzi di ricambio. Si tratta di velivoli di addestramento. Nessuno può pensare vengano usati per motivi bellici al di là della valutazione unilaterale su quello che sta accadendo nel Medio Oriente. Quindi il governo emiratino è chiaramente molto irritato ed essendo molto irritato ha reagito come probabilmente avrebbe reagito chiunque”. Camporini, oggi a capo del settore Sicurezza per Azione, ha poi incalzato: “Noi dovremmo riflettere sulla nostra politica dell’esportazione di materiale d’armamento perché attualmente le cose non stanno andando bene”. E l’accusa riguarda anche la modalità di scelta di questo blocco di vendita degli armamenti. Perché mentre la legge 185 del 1990 aveva messo in piedi un comitato interministeriale su queste decisioni, in modo di dare “una visione collegiale” del governo, dopo tre anni quello stesso comitato è stato abolito per affidare tutto “a un ufficio del ministero degli Esteri” che opera “senza un coinvolgimento del governo, con valutazioni che in questo momento particolare io trovo abbastanza discutibili”.

La decisione di fermare l’export di armi si inserisce inoltre in un quadro di rapporti delicato, in cui Italia ed Emirati si sono trovate molto spesso dall’altra parte della barricata sia per quanto riguarda il Medio Oriente che per quanto concerne il Nord Africa. Roma ha blindato in questi anni il rapporto con il Qatar, acerrimo nemico di Abu Dhabi, intessendo una fitta trama di interessi convergenti che vanno dalla Libia all’Africa fino ai rapporti con la stessa industria militare. Agli Emirati non va giù che mentre è stata bloccata la vendita di armi nei confronti di Abu Dhabi, l’Italia continua rifornire le forze armate di Doha, in particolare la flotta. La Marina qatariota ha nell’Italia uno dei principali partner internazionali. Soltanto a giugno c’è stato il varo del Sheraouh, pattugliatore della classe Musherib, nei cantieri di Muggiano, l’inaugurazione del centro di addestramento Halul 1 in coordinamento con la Marina militare italiana, e negli stabilimenti di Riva Trigoso sono iniziati i lavori per la futura nave ammiraglia della flotta del Qatar. Scelte importanti che confermano la convergenza di interessi tra un nemico sistemico per gli Emirati e l’Italia.

A questi nodi mediorientali, in cui l’Italia di fatto sta rafforzando un avversario degli Emirati mentre ha bloccato la vendita di armi proprio ad Abu Dhabi, si aggiunge il nodo strategico regionale. In Libia i rapporti tra Italia ed EAU sono diventati molto difficili nel momento in cui Roma ha virato in modo più netto al supporto di Tripoli mentre Abu Dhabi ha sostenuto sia a livello politico che a livello militare le forze legate a Khalifa Haftar. Un problema che investe anche i rapporti tra Italia e Turchia, altro nemico emiratino, e che riguardano anche il coinvolgimento italiano in Sahel e nel Corno d’Africa, dove gli EAU tentano da molti anni di inserirsi nella partita sfruttando anche le pieghe dei rapporti tra Italia e Francia, con quest’ultima che ha impresso una decisa sterzata anti-turca in tutta l’area del cosiddetto Mediterraneo allargato.

La questione emiratina diventa poi particolarmente importante se si pensa alle ripercussioni globali di questo scontro per l’Italia. Roma ha sempre mantenuto una posizione privilegiata nel Golfo Persico proprio per la capacità di muoversi su diversi fronti senza entrare troppo nelle diatribe regionali. Questo ha permesso per decenni alle aziende italiane e alle nostre forze armate di essere praticamente di casa in un’area così complessa come quella mediorientale.

La mossa del precedente governo Conte di bloccare la vendita di armi – insieme ai problemi legati alle inchieste su Alitalia-Etihad e al nodo Piaggio – ha di fatto interrotto un rapporto che andava avanti da molti anni e che permetteva all’Italia di non essere considerata appartenente a un blocco. Ora invece Roma si trova nella posizione di non essere considerata né super partes né alleata, ma semplicemente inaffidabile. E lo dimostra il fatto che mentre si blocca l’export di armi agli EAU, si è anche propensi a scontrarsi con l’altro avversario di Abu Dhabi, ovvero Ankara. Gli effetti però possono essere pericolosi. Gianluca di Feo, su Repubblica, ha parlato per esempio della possibilità che gli Emirati possano escludere l’utilizzo italiano della base di Al Minhad a Dubai. La base, utilizzata anche da australiani, britannici e americani, è considerata un hub di fondamentale importanza nella strategia italiana non solo nel Golfo, ma anche per l’Asia centrale, ed è oggi il ponte per il ritiro dall’Afghanistan. Un pericolo che l’Italia (a giugno, DOVEVA e oggi deve. ndr) da evitare a ogni costo.

2107.-Eni sbarca negli Emirati Arabi Uniti E l’Italia beffa la Francia sulla Libia

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Ultimissime dagli occhi della guerra:

L’Eni strappa con gli Emirati Arabi Uniti uno dei più importanti accordi degli ultimi anni. E con questo accordo, l’Italia non strappa soltanto un accordo fondamentale per gli idrocarburi del Golfo Persico, ma anche un accordo di fondamentale importanza nei rapporti con uno dei principali attori del Golfo Persico. E che per Roma è fondamentale anche, se non soprattutto, per ciò che riguarda la Libia.

Cosa prevede l’accordo

L’accordo sul gas fra Eni e governo emiratino è un tassello estremamente importante. Il patto, concluso fra Eni e Adnoc, il colosso mondiale del gas e del petrolio con sede ad Abu Dhabi, prevede l’acquisizioni del 25% di un’enorme concessioni off-shore nel Golfo Persico. Come scritto nel comunicato dell’azienda di San Donato, “la concessione, che ha una durata di 40 anni, consiste nei giacimenti Hail, Ghasha, Dalma e in altri campi offshore situati nella regione di Al Dhafra”.

“Il progetto produrrà più di 1,5 miliardi di piedi cubi di gas al giorno con avvio previsto verso la metà del prossimo decennio. Il gas prodotto dai giacimenti di Hail, Ghasha e Dalma potrebbe soddisfare oltre il 20% della domanda di gas degli Emirati Arabi Uniti”. Ed è questo che interessa particolarmente agli emiratini, poiché il loro primo punto in agenda è quello di scrollarsi di dosso la dipendenza dal gas del Qatar.

Un accordo fondamentale per la Libia.

Ma se il patto serve agli Emirati, serve soprattutto al governo italiano per strappare quote di mercato a britannici e francesi e per aprire un canale diretto con gli Emirati. Lo sbarco di Eni ad Abu Dhabi rappresenta una svolta fondamentale nei nostri rapporti, dal momento che gli Emirati rappresentano una potenza in ascesa in tutta la Penisola Arabica e un attore fondamentale per il presente e il futuro della Libia.

Il ragionamento è semplice. L’Italia ha bisogno di consolidare la propria posizione in Libia riuscendo a interloquire in maniera sempre più stabile con Khalifa Haftar. Ma soprattutto deve fare in modo che la Francia conti sempre di meno nel Paese nordafricano. Gli Emirati sono fra i maggiori sostenitori di Haftar insieme all’Egitto. Egitto ed Emirati, con l’ascesa di Abdel Fattah Al Sisi, sono diventati alleati. E quindi, a Roma serve avere al proprio fianco sia Abu Dhabi che Il Cairo.

Una partita difficilissima

Il governo italiano sta riuscendo a vincere questa difficilissima partita, che si gioca su un equilibrio estremamente complesso. Nel cambiamento di strategia italiana in Libia, è fondamentale questo nuovo triangolo politico fra Italia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Ed Eni è la nostra arma principale per intessere relazioni sempre migliori con questi due attori imprescindibili per il Paese nordafricano.

L’Italia, con questo nuovo governo, ma forse anche perché travolta dagli eventi, ha cambiato strategia. Non può puntare soltanto su Fayez al-Sarraj: serve anche Haftar, il generale della Cirenaica. In questo cambiamento di posizione giocano diversi fattori, in primis il nostro riavvicinamento alla Russia e la decisione di contrastare l’ascesa della Francia nelle decisioni del maresciallo di Tobruk. Ma un ruolo fondamentale lo giocano anche i rapporti con Il Cairo (ristabilito anche grazie al giacimento Zohr in cui Eni è protagonista) e con Abu Dhabi.  Ed è anche per questo motivo che si spiega il viaggio di Giuseppe Conte nel Paese del Golfo. Ma il gioco, inutile dirlo, è estremamente pericoloso. E lo dimostra il fatto che, mentre Eni firmava lo storico accordo con gli emiri, un altro emiro, quello del Qatar, arrivava a Roma, accolto con tutti gli onori dallo stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Tra Abu Dhabi e Doha le relazioni sono a dir poco complicate. L’equilibrismo, in quella regione, è difficilissimo. Le potenze si odiano fra loro e lo scontro fra EAU e Qatar, che riguarda anche la Fratellanza Musulmana, incide sulla Libia al pari dei rapporti con la Turchia.

 

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Foto La Presse

Il viaggio di Conte negli Emirati

Messo agli atti il summit di Palermo, l’Italia con Giuseppe Conte si sta muovendo con tutte le sue armi diplomatiche nel difficile contesto della Penisola arabica. E in una regione così conflittuale è molto difficile muoversi senza avere conseguenze negative nelle relazioni con altri vicini. Qui pesa la risoluzione del contratto per l’Air Force Renzi, ma il governo avrebbe raggiunto con Etihad un accordo accettando, pur di risolvere il contratto, una penale tra i 20 e il 25 milioni di euro.

L’Italia fu il primo ed è uno dei principali partner economici europei degli Emirati, con un interscambio di circa 8 miliardi di euro nel solo 2017. Un volume d’affari che è destinato ad aumentare con il piano di investimenti di 150 miliardi in 7 anni, varato dal governo di Abu Dhabi. Grazie soprattutto alla presenza sul territorio di banche quali Unicredit, Intesa San Paolo e Sace, le imprese italiane hanno trovato un valido canale di comunicazione finanziario per i progetti industriali e commerciali con gli Emirati. E attualmente si parla di almeno due grandi progetti, la seconda tratta della ferrovia nazionale (Etihad Rail II) e l’Aeroporto Al Maktoum (Dubai), futuro primo hub al mondo (si stimano 220 milioni di passeggeri annui), in cui dovrebbero essere in vantaggio aziende del nostro Paese. A questo si aggiunge anche l’industria bellica.

C’è, soprattutto, il ruolo centrale dell’Eni, fondamentale strumento della diplomazia italiana, che ha siglato un nuovo accordo con gli Emirati per una concessione nel Golfo Persico, con la quale si “potrebbe ridurre del 20% circa l’import di gas degli Emirati dal Qatar in un momento in cui le relazioni diplomatiche tra i due Paesi sono piuttosto fredde e in cui Abu Dhabi sta rilanciando i suoi investimenti per sfruttare i giacimenti di gas e petrolio”. L’Eni in Africa non è solo Egitto e Libia. La sua rete di interessi congiunge tutto il continente africano e va dal Mediterraneo a Capo di Buona Speranza. E in questa rete, entra anche il Mozambico.

L’Italia gioca fra equilibri delicati

In Libia, gli Emirati giocano un ruolo molto più influente di quanto si possa credere. Fra i maggiori sostenitori di Khalifa Haftar insieme all’Egitto, il principe ereditario ha già avuto modo di sentire telefonicamente Conte prima della conferenza di Palermo per sostenere gli sforzi dell’Italia sul fronte libico, ma soprattutto per confermare la necessità di trovare una soluzione che coinvolgesse Haftar come attore imprescindibile. Il tutto, mentre Matteo Salvini poche settimane prima si recava in Qatar, attuale avversario politico di Abu Dhabi, e in attesa dell’arrivo dell’emiro di Doha a Roma. In questa difficile ma fondamentale partita dell’Italia fra le monarchie del Golfo Persico.

Infine, la competizione economica con Francia e Germania si gioca anche qui, in Africa e, se possiamo recuperare un goal da Palermo, non è senza significato avere ospitato un summit con tanti paesi africani.

contributi di Lorenzo Vita, tratti da occhi della guerra