I lunghi voli per portar via da Kabul (in ritardo) gli amici afghani, con scalo intermedio e cambio di aeroplano a Kuwait (dai C-130J ai KC-767) hanno messo in luce la fesseria di essersi fatti precludere dagli EAU la base aerea di al-Minhad. Il centinaio di militari dell’Aeronautica presenti ad al-Minhad aveva sgomberato la base il 2 luglio, giorno in cui era scaduto il termine imposto da Abu Dhabi all’Italia per lasciare la base situata vicino a Dubai.
Si dice che in politica debba darsi un colpo al cerchio e uno alla botte. Quale migliore opportunità di tenere fuori da questo embargo grillino un team sportivo come la pattuglia acrobatica figlia delle Frecce Tricolori? Diversamente, quale affidamento in una nazione che ti vende gli aeroplani acrobatici e ti nega le parti di ricambio? Di Maio e i grillini sono quello che sono, ma Mario Draghi?
I grillini sono politicamente falliti, ma sono stati imposti e ancora lo sono da Sergio Mattarella. È ancora possibile vedere fuori dei municipi amministrati da grillini gli striscioni anti egiziani “Giustizia per Regeni”: un bravo ragazzo gettato allo sbaraglio e, poi, tradito dai servizi inglesi. Dopo la campagna contro l’Egitto, ecco l’embargo/sgarbo contro gli Emirati Arabi Uniti, seguito dal divieto di sorvolo imposto agli aeroplani italiani, come ritorsione e dalla perdita di una base aerea internazionale, dal raddoppio delle tratte per portare da Kabul, in Italia i profughi afghani. Auspichiamo che Mario Draghi, visto il sostegno umanitario devoluto alle Nazioni Unite dagli Emirati per la popolazione yemenita e il ritiro delle forze armate di Abu Dhabi dal conflitto yemenita, voglia porre rimedio a questo errore, sbloccando i contratti sottoscritti con gli Emirati Arabi Uniti.
La (vera) partita tra Italia ed Emirati
Inside Over, Lorenzo Vita
Lo sgarbo degli Emirati Arabi Uniti per il volo italiano diretto in Afghanistan potrebbe essere solo uno dei sintomi di un problema molto più ampio. La “Sparta” del Golfo Persico non ha apprezzato le ultime mosse italiane nei suoi confronti. E nonostante la fredda (ma cordiale) accoglienza di Luigi di Maio nel paese per l’expo di Dubai, l’impressione è che quello tra Italia ed Emirati sia un rapporto che ha subito lacerazioni importanti.
Il problema per gli Emirati arriva soprattutto da due ordini di ragioni. Il primo riguarda il blocco all’esportazione di armi imposto dall’Italia per l’accusa di utilizzare quelle stesse munizioni contro civili nella guerra in Yemen. L’accusa, la stessa che aveva portato al bloccoda parte americana, ha rappresentato per Abu Dhabi un colpo durissimo sia a livello di immagine che a livello strategico. Gli EAU contavano sulle forniture dell’industria italiana, con cui era legata da molti decenni sia in campo bellico che in campo civile. E la scelta di fermare l’esportazione di armi, oltre a costringere gli Emirati a convertirsi ad altre aziende estere, ha dato un segnale di inaffidabilità nei rapporti che non è affatto piaciuta a Mohammed Bin Zayed.
Vincenzo Camporini, già capo di Stato Maggiore della Difesa, ha spiegato in questi termini ad Aki – Adnkronos International la decisione emiratina di bloccare il Boeing dell’Aeronautica italiana. “Si dovrebbero rivedere le decisioni prese dal ministro degli Esteri” ha detto Camporini, visto che sono state fermate “tutte le forniture militari agli Emirati, comprese alcune cose che francamente lasciano basiti”. Il riferimento è ad esempio ai pezzi di ricambio per la pattuglia acrobatica di Abu Dhabi. “Gli Emirati hanno la pattuglia acrobatica che vola con aeroplani italiani e gli abbiamo bloccato i pezzi di ricambio. Si tratta di velivoli di addestramento. Nessuno può pensare vengano usati per motivi bellici al di là della valutazione unilaterale su quello che sta accadendo nel Medio Oriente. Quindi il governo emiratino è chiaramente molto irritato ed essendo molto irritato ha reagito come probabilmente avrebbe reagito chiunque”. Camporini, oggi a capo del settore Sicurezza per Azione, ha poi incalzato: “Noi dovremmo riflettere sulla nostra politica dell’esportazione di materiale d’armamento perché attualmente le cose non stanno andando bene”. E l’accusa riguarda anche la modalità di scelta di questo blocco di vendita degli armamenti. Perché mentre la legge 185 del 1990 aveva messo in piedi un comitato interministeriale su queste decisioni, in modo di dare “una visione collegiale” del governo, dopo tre anni quello stesso comitato è stato abolito per affidare tutto “a un ufficio del ministero degli Esteri” che opera “senza un coinvolgimento del governo, con valutazioni che in questo momento particolare io trovo abbastanza discutibili”.
La decisione di fermare l’export di armi si inserisce inoltre in un quadro di rapporti delicato, in cui Italia ed Emirati si sono trovate molto spesso dall’altra parte della barricata sia per quanto riguarda il Medio Oriente che per quanto concerne il Nord Africa. Roma ha blindato in questi anni il rapporto con il Qatar, acerrimo nemico di Abu Dhabi, intessendo una fitta trama di interessi convergenti che vanno dalla Libia all’Africa fino ai rapporti con la stessa industria militare. Agli Emirati non va giù che mentre è stata bloccata la vendita di armi nei confronti di Abu Dhabi, l’Italia continua rifornire le forze armate di Doha, in particolare la flotta. La Marina qatariota ha nell’Italia uno dei principali partner internazionali. Soltanto a giugno c’è stato il varo del Sheraouh, pattugliatore della classe Musherib, nei cantieri di Muggiano, l’inaugurazione del centro di addestramento Halul 1 in coordinamento con la Marina militare italiana, e negli stabilimenti di Riva Trigoso sono iniziati i lavori per la futura nave ammiraglia della flotta del Qatar. Scelte importanti che confermano la convergenza di interessi tra un nemico sistemico per gli Emirati e l’Italia.
A questi nodi mediorientali, in cui l’Italia di fatto sta rafforzando un avversario degli Emirati mentre ha bloccato la vendita di armi proprio ad Abu Dhabi, si aggiunge il nodo strategico regionale. In Libia i rapporti tra Italia ed EAU sono diventati molto difficili nel momento in cui Roma ha virato in modo più netto al supporto di Tripoli mentre Abu Dhabi ha sostenuto sia a livello politico che a livello militare le forze legate a Khalifa Haftar. Un problema che investe anche i rapporti tra Italia e Turchia, altro nemico emiratino, e che riguardano anche il coinvolgimento italiano in Sahel e nel Corno d’Africa, dove gli EAU tentano da molti anni di inserirsi nella partita sfruttando anche le pieghe dei rapporti tra Italia e Francia, con quest’ultima che ha impresso una decisa sterzata anti-turca in tutta l’area del cosiddetto Mediterraneo allargato.
La questione emiratina diventa poi particolarmente importante se si pensa alle ripercussioni globali di questo scontro per l’Italia. Roma ha sempre mantenuto una posizione privilegiata nel Golfo Persico proprio per la capacità di muoversi su diversi fronti senza entrare troppo nelle diatribe regionali. Questo ha permesso per decenni alle aziende italiane e alle nostre forze armate di essere praticamente di casa in un’area così complessa come quella mediorientale.
La mossa del precedente governo Conte di bloccare la vendita di armi – insieme ai problemi legati alle inchieste su Alitalia-Etihad e al nodo Piaggio – ha di fatto interrotto un rapporto che andava avanti da molti anni e che permetteva all’Italia di non essere considerata appartenente a un blocco. Ora invece Roma si trova nella posizione di non essere considerata né super partes né alleata, ma semplicemente inaffidabile. E lo dimostra il fatto che mentre si blocca l’export di armi agli EAU, si è anche propensi a scontrarsi con l’altro avversario di Abu Dhabi, ovvero Ankara. Gli effetti però possono essere pericolosi. Gianluca di Feo, su Repubblica, ha parlato per esempio della possibilità che gli Emirati possano escludere l’utilizzo italiano della base di Al Minhad a Dubai. La base, utilizzata anche da australiani, britannici e americani, è considerata un hub di fondamentale importanza nella strategia italiana non solo nel Golfo, ma anche per l’Asia centrale, ed è oggi il ponte per il ritiro dall’Afghanistan. Un pericolo che l’Italia (a giugno, DOVEVA e oggi deve. ndr) da evitare a ogni costo.