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5613.- Saied respinge le riforme e intanto la Tunisia affonda

Mentre il governo vagheggia di Piano Mattei, la visione corta dell’Unione europea non va oltre le partenze dei migranti per Italia.

Autocrazia Sud. Saied respinge le riforme e intanto la Tunisia affonda

Da Linkiesta del 9 maggio 2023, di Matteo Garavoglia

Il presidente governa con pieni poteri, rifiuta le condizioni chieste dal Fondo monetario internazionale per il prestito sponsorizzato da Italia e Ue. Il razzismo di Stato e il deterioramento delle condizioni economiche, politiche e sociali spiegano perché i flussi migratori dal Paese aumenteranno

Un manifestante tunisino tiene una bandiera del Paese in gabbia
Foto: Hassene Drid/AP

La crisi. Nel fitto vocabolario tunisino che ha riempito le agende della comunità internazionale in queste settimane, la crisi è il termine più appropriato per descrivere quello che sta succedendo nel piccolo Stato nordafricano.  Macchiata da più sfumature e da linee temporali diverse, oggi in Tunisia si sta assistendo a un progressivo deterioramento delle condizioni economiche, politiche e sociali.

Le casse del Paese e i mercati delle città. Si inizia da qui per arrivare alle ultime dichiarazioni razziste e xenofobe del presidente della Repubblica Kais Saied il 21 febbraio scorso contro la comunità subsahariana presente nel Paese:

«Esiste un piano criminale per cambiare la composizione demografica della Tunisia, ci sono alcuni individui che hanno ricevuto grosse somme di denaro per dare la residenza ai migranti subsahariani. La loro presenza è fonte di violenza, crimini e atti inaccettabili, è il momento di mettere la parola fine a tutto questo perché c’è la volontà di fare diventare la Tunisia solamente un Paese africano e non un membro del mondo arabo e islamico».

Elementi che se messi insieme dipingono un quadro frammentato. Dai numeri si può partire per capire il primo livello emergenziale: oggi l’inflazione ha toccato il 10,4 per cento; il tasso di disoccupazione viaggia stabile sopra il quindici per cento e il debito pubblico di Stato si attesta sull’ottanta per cento del Pil.

Questo si traduce in una progressiva perdita di potere di acquisto da parte dei tunisini. Una perdita che va avanti da anni e che ha colpito anche i beni di prima necessità. Oggi, per una famiglia, fare la spesa al mercato vuol dire far fronte a un aumento dei prezzi verticale: la carne costa quasi il trenta per cento in più dell’anno scorso; l’olio il 25; le uova il 32 e così via.

Un processo in corso dal 2011, anno della Rivoluzione nel Paese che ha deposto l’autoritario Zine El Abidine Ben Ali, ma che si ferma sugli elementi più visibili e non conta la frustrazione di una popolazione che se guarda avanti vede solo un futuro di incertezze.

I dati macroeconomici non sono da meno. Le grandi agenzie di rating hanno stimato la Tunisia a un passo dal default e lo Stato si trova con un buco di bilancio tale da non riuscire a coprire i costi di importazione (il Paese ha poche risorse interne e si trova particolarmente esposto). Per questo motivo è finito sotto la lente d’ingrandimento un prestito da 1,9 miliardi di dollari da parte del Fondo monetario internazionale (Fmi), considerato fondamentale per coprire parte del budget 2023.

L’Unione europea e l’Italia si sono dimostrate particolarmente interessate a questa nuova linea di credito – sarebbe la terza dal 2011 a oggi – spaventate anche dai recenti dati in aumento delle partenze dalla riva Sud del Mediterraneo.

Il presidente tunisino Kais Saied

Il presidente tunisino Kais Saied (Johanna Geron/ AP). Il presidente tunisino è contrario alle condizioni chieste dal Fondo monetario internazionale: “Portano a un aumento della povertà, sono inaccettabili”. Il presidente Saied non vuole tagliare i sussidi rischiando “una rivolta sociale”. L’ombra del default

Le trattative sono finite a ottobre 2022. Tuttavia il Fondo monetario internazionale ha sospeso la chiusura definitiva dell’accordo per la mancanza di garanzie che offre al momento la Tunisia. L’istituzione di Washington chiede ingenti tagli alla spesa pubblica, l’eliminazione del complesso sistema di sovvenzioni statali e una progressiva riduzione delle imprese di Stato.

Tre elementi che rappresentano l’ossatura economica e finanziaria pluridecennale del Paese. Ieri, in un discorso pubblico, il presidente della Repubblica Kais Saied si è detto titubante rispetto a possibili scossoni sociali che queste misure potrebbero provocare: «Non ho intenzione di ascoltare diktat. La pace sociale non è un gioco e i tunisini devono contare su loro stessi».

Detto che lo sblocco di un prestito del Fondo monetario internazionale aprirebbe la porta anche ad altri tipi di finanziamenti internazionali, dalle parole del responsabile di Cartagine si denotano importanti elementi politici e, di conseguenza, il secondo livello emergenziale.

Kais Saied è stato eletto presidente della Repubblica nell’ottobre 2019 dopo una campagna elettorale densa di invettive contro i protagonisti del «decennio nero» (così viene chiamato il periodo di transizione democratica iniziato nel 2011). Ha poi governato due anni in coabitazione con Ennahda, il partito di ispirazione islamica del leader Rached Ghannouchi, prima di mettere in moto il suo piano per la Tunisia.

Sulla scia di una lunga crisi politica e sanitaria da Covid-19, il 25 luglio 2021 ha congelato il Parlamento, sciolto il governo e ha cominciato di fatto a governare con pieni poteri, nonostante la nomina a premier di Najla Bouden Romdhane. Ha poi smantellato il Consiglio superiore della magistratura, indetto un referendum costituzionale per sostituire il testo del 2014, considerato uno dei migliori al mondo, e organizzato nuove elezioni parlamentari che hanno visto il novanta per cento di astensionismo e un’assemblea drasticamente ridotta nelle sue funzioni.

Il presidente Kais Saied è un politico, ma, sopratutto, un costituzionalista populista, è un giurista tunisino, professore di diritto costituzionale e sa bene di cosa ha bisogno la Tunisia e i tunisini lo sanno. Per il suo ex collega dell’Università di Tunisi, il costituzionalista Ben Achour,  la sua è una deriva autoritaria. Giorgia Meloni sta facendo molto a favore della Tunisia. Gli USA, il Fmi e anche l’Unione europea chiedono il rispetto del pluralismo politico. Dagli inizi di febbraio sono in manette almeno una ventina di oppositori del presidente Saied. Agli arresti il direttore di Mosaïque Fm, la popolarissima radio tunisina e anche il leader del partito islamista moderato Ennahdha, Rached Ghannouchi, già presidente del Parlamento tunisino. Aveva dicharato che il paese sarebbe “minacciato di colpo di Stato” se il suo partito e le formazioni di sinistra fossero eliminati. ndr.

Una foto di febbraio di Rached Ghannouchi 
Una foto di febbraio di Rached Ghannouchi  (ansa)

Alla progressiva distruzione istituzionale della Tunisia è stata accompagnata una nuova fase dalle tinte fortemente autoritarie con una campagna di arresti di attivisti, direttori di giornali e oppositori con l’accusa di complottare contro lo Stato (a oggi sarebbero almeno trenta le persone in carcere per motivi politici) e una serie di discorsi nazionalisti. Come quello di ieri, quando ha posto fine a possibili accordi con agenzie internazionali per timore di possibili ingerenze straniere. O quello pronunciato il 21 febbraio scorso contro i cittadini di origine subsahariana per tutelare gli interessi di Stato.

Nel complesso gioco di azioni e controreazioni, i motivi dell’attacco alla comunità proveniente da Paesi come Costa d’Avorio, Guinea, Camerun e Sierra Leone non sono chiari. Sono chiari invece gli effetti. L’ondata di razzismo nei confronti dei subsahariani, già presente nel Paese da anni, è ulteriormente aumentata con arresti arbitrari, rastrellamenti casa per casa e violenze di ogni tipo. Questo ha portato molte persone ad accelerare il proprio percorso migratorio.

I dati lo confermano: la rotta tunisina è diventata la prima per importanza e, da inizio anno, sono trentamila le persone arrivate a Lampedusa o Pantelleria. Senza contare al momento le partenze dei tunisini, duramente colpiti dal degrado delle condizioni economiche personali e senza possibilità di chiedere visti per l’Europa, in deciso aumento da qualche anno (soprattutto nei mesi più caldi).

Unire la crisi economica, politica e sociale in corsa in questi anni permette quindi di capire il perché oggi dalla Tunisia si decida di partire e quali siano i veri timori di attori internazionali come l’Unione europea, preoccupata soprattutto di diminuire gli arrivi in Italia.

5590.- Nell’indifferenza degli europei e del Fmi, la Tunisia sta andando al fallimento

La Tunisia è l’unico paese dell’area mediterranea, a religione islamica, in cui tradizione religiosa islamica e modernismo hanno trovato un compromesso istituzionale. Versa in una emergenza finanziaria. Corruzione e riciclaggio di matrice catarina hanno portato il presidente Saied ad assumere pieni poteri e a sospendere il parlamento. Francesi, tedeschi, olandesi sanno bene cosa rappresenterebbe per l’Italia il fallimento dello Stato tunisino, cosa ci costerebbe. Sicuramente, tanto. Anche il Fmi, che fa capo a Washington, lo sa. Meglio di tutti lo ha compreso il presidente Meloni e, con Lei, grazie a Lei, lo ha sicuramente compreso il presidente Sunak. Per noi, reputeremmo conveniente lanciare un piano nazionale di investimenti in quel paese, per esempio, offrendo una possibile remunerazione al risparmio privato degli italiani. Come dire: “Noi ci siamo”.

Aggiornato 30 aprile 2023

La Tunisia dipende oggi, sopratutto dalle importazioni estere; ha un importante deficit commerciale; non ha diversificato a sufficienza la propria economia, l’inflazione è al 10 per cento; il debito pubblico attorno al 90 per cento del Prodotto interno lordo e la disoccupazione è al 15 per cento. Questo il riassunto del professore Umberto Triulzi, ordinario di Politica Economica all’Università di Roma “La Sapienza”. Di pari passo con l’aggravarsi della crisi economica, avanza quella politica. Giornalisti, attivisti e politici di spicco sono accusati di avere attentato alla sicurezza dello Stato. Diversi analisti accusano Kais Saied di utilizzare i metodi del despota Zine El-Abidine Ben Ali.

La Tunisia riveste un ruolo strategico in Mediterraneo, per l’Italia e per l’Ue. E, qui, il problema. Qualsiasi accordo dell’UE sull’assistenza macrofinanziaria per la Tunisia sarebbe condizionato alla conclusione da parte della nazione di un accordo sulle riforme costituzionali con il Fondo monetario internazionale, come ha affermato giovedì la Commissione europea. Quindi, l’assistenza macrofinanziaria dell’UE alla Tunisia è stata condizionata ai programmi del Fondo monetario internazionale (FMI). La conferma viene dal massimo funzionario dell’UE in materia di migrazione, Ylva Johansson, che è stato in visita giovedì in Tunisia. Proprio un portavoce della Commissione europea ha detto giovedì ai giornalisti: “Ci sono discussioni tra la Tunisia e il Fondo monetario internazionale, e un accordo tra loro o su un programma di riforme consentirebbe alla Commissione di vedere potenzialmente un’assistenza macrofinanziaria per sostenere il Paese”.

Il presidente Saied ha affrontato la crisi non soltanto economica con una nuova costituzione e ha sciolto il Parlamento. Ha deciso di prendere provvedimenti urgenti per contrastare l’invasione destabilizzante dei 21.000 migranti neri subsahariani e anche per questo è amato dal suo popolo. Al Fmi, alla Commissione europea si parla soltanto di riforme per i diritti civili, per la democrazia. Amnesty International, al servizio di chi? ha sollecitato le autorità tunisine a mettere subito fine all’ondata di attacchi contro i migranti. Fra ciechi e sordi, l’Unione africana ha invitato la Tunisia ad astenersi dai discorsi di odio di carattere razzista, che possano nuocere alle persone: “Condanniamo fermamente le dichiarazioni scioccanti fatte dalle autorità tunisine contro i compatrioti africani, le quali vanno contro lo spirito della nostra organizzazione e i nostri principi fondatori”». La reazione del ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar è stata secca e immediata: “Sono delle accuse che rifiutiamo. La migrazione illegale pone dei problemi in tutti i paesi. Il fatto di riconoscere che sia un problema non vuole che si tratti un discorso di odio”.

“La linea di fondo è negare l’assistenza macrofinanziaria perché la Tunisia non ha fatto le riforme che gli erano state richieste e non fornisce sufficienti garanzie, ma non tiene conto del ruolo che la Tunisia riveste in Mediterraneo; essa è tutta basata sulla precondizione che la Tunisia dovrebbe prima concludere un accordo con il FMI su un pacchetto di riforme globali” , solo poi, le verrebbe concesso un prestito per 1,9 miliardi di euro. Non vediamo come il presidente Kais Saied potrebbe implementare riforme democratiche e sostenere l’imponente migrazione dall’Africa Centrale senza le necessarie risorse economiche. Correttamente ha parlato di minaccia demografica per il suo paese e ha paventato il risultato che quel 1,9 miliardi di euro dell’Fmi farebbe più ricchi i ricchi e più poveri i poveri.

C’è molto di più. La soluzione del problema libico, del Sahel e il raggiungimento di una stabile cooperazione nel Mediterraneo orientale dipendono anche da come ci faremo carico – a questo punto, noi italiani e forse gli inglesi – della questione tunisina. Sappiamo che per i piani di sostegno all’Africa del Governo italiano, per gli interessi globali dell’Unione europea, questa questione rappresenta un passaggio obbligato e prodromico. Giova ripetere, infatti, che la Tunisia e la sua società rappresentano un ponte fra Mediterraneo occidentale e orientale, fra Europa e Africa, fra la cultura cristiana e quella arabo-islamica.

Da Tunisi, passa, in buona parte, anche il problema di dare soluzione all’immigrazione clandestina. Consentite un inciso: Perché non si parla della crescita demografica della Nigeria? A Bruxelles, totalmente a rimorchio del Fmi, quindi, di Washington, si filosofeggia di un partenariato operativo contro il traffico di esseri umani; si parla di riforme, ma sono le stesse proposte dal Fmi, mentre i tunisini sono sempre più poveri, le banche sono in difficoltà, cresce anche la rabbia e crescono le aggressioni contro i migranti irregolari (vengono cacciati dalle proprie abitazioni, minacciati, aggrediti con armi da taglio e, poi, licenziati in tronco, arrestati arbitrariamente ) e cresce in questi la voglia di fuggire e affrontare il mare. Di là dal mare ci siamo noi! I tunisini si sentono membri del mondo arabo e islamico, guardano all’Italia, all’Europa e non vogliono diventare un paese africano. Anche se alle ultime elezioni parlamentari ha partecipato soltanto l’11% della popolazione, possiamo dire che, allo stato, l’unica risorsa per i tunisini è la loro fiducia nel presidente Saied. Bruxelles si appella a lui. Dovrebbe essere il contrario.

Accennavamo che giovedì 27 aprile, la commissaria per gli affari interni Ylva Johansson,  il massimo funzionario dell’UE in materia di migrazione, si è recato in Tunisia per discutere non della crisi finanziaria, ma di “partenariato strategico e rafforzamento nella cooperazione” – parole care alla politica USA – nella lotta congiunta contro il traffico di migranti e l’immigrazione clandestina. “

Per cominciare, “le autorità tunisine hanno fatto sapere che l’obitorio centrale di Sfax, città tunisina da cui sono partiti centinaia di migranti dall’inizio dell’anno, è stracolmo di cadaveri, vittime di naufragi”. “Martedì abbiamo contato più di 200 corpi, ben oltre la capacità dell’ospedale Habib Bourguiba di Sfax, il che crea anche un problema sanitario”, ha detto all’Afp Faouzi Masmoudi, portavoce del tribunale di Sfax, seconda città del paese con quasi un milione di abitanti. “Non sappiamo chi siano o da quale naufragio provengano e il numero sta crescendo”, ha aggiunto, precisando che “quasi ogni giorno ci sono funerali”. Solo il 20aprile sono state seppellite almeno 30 persone”.

La commissaria Johansson ha parlato di come prevenire le partenze pericolose e la perdita di vite umane in mare, di agevolare il rimpatrio e il reinserimento, garantendo la protezione dei migranti più vulnerabili – nonché della migrazione legale a vantaggio di settori occupazionali e di aree di attività che saranno individuate: É stata chiamata “Talent Partnership”. Durante la visita a Tunisi, la commissaria ha incontrato Kamel Feki, ministro dell’Interno, Malek Ezzah, ministro degli Affari sociali, e Nabil Ammar, ministro degli Affari esteri.

La visita della commissaria farebbe parte di un più ampio impegno politico dell’Unione europea e dei suoi Stati membri nei confronti della Tunisia nonché, appunto, del partenariato strategico tra l’UE e la Tunisia, di uno spirito di “Team Europa”. In particolare, nella visita è stato trattato il: “a) sostegno alla protezione delle frontiere marittime e delle frontiere meridionali della Tunisia, b) rafforzamento della cooperazione di polizia e giudiziaria, c) rafforzamento della cooperazione operativa con le pertinenti agenzie dell’UE quali Eurojust ed Europol (in tale contesto, le autorità tunisine competenti ed Europol lavoreranno per portare a termine i negoziati in vista della firma di un accordo di lavoro) e d) sensibilizzazione sui pericoli della migrazione irregolare, con campagne d’informazione finanziate dall’UE da lanciare a maggio e giugno”, così è scritto nel documento diffuso dalla Commissione . Chiacchiere, servono soldi!

Vedremo cosa nascerà il prossimo maggio dalla tavola rotonda con cui si tenterà di definire il quadro e il contenuto del partenariato, ma è inutile sperare in un sostegno finanziario. Sicuramente da evitare una violazione delle regole del commercio globale, se si portasse avanti il piano Ue di collegare gli accordi commerciali con la riammissione dei migranti nei loro Paesi di origine. Ma in tutti i paesi del Maghreb si è in allarme per questa deriva migratoria. Intanto, nell’indifferenza degli europei, la Tunisia continuerà a scivolare, rapidamente, in una crisi politica e economica sempre più profonda. Quando lo stato non riesce a far fronte ai suoi servizi, va al fallimento.

Pechino ha fatto già i suoi passi per accaparrarsi il mercato dei fosfati, vale a dire il petrolio tunisino. Lasciata sola, la Tunisia sarà facile preda di una Cina, forte e organizzata, che vuole acquisire porti e infrastrutture per incrementare il proprio commercio estero nel Mediterraneo”. Mai come oggi il Mediterraneo è stato al centro del mondo e né l’Unione europea né noi possiamo lasciare la sponda africana in mano alla Cina. Nemmeno possiamo sperare di affrontare il problema della sua stabilità attraverso il Fmi. 

C’è una novità: La Commissione Europea ha iniziato a lavorare ad un nuovo programma regionale per combattere il traffico di migranti… La delusione verso questa Unione europea è imbarazzante. Evidentemente, a Strasburgo e a Bruxelles, sopratutto Francia, Olanda e Germania, non vogliono o magari faticano a prendere atto di queste realtà. Bene ha fatto il presidente Meloni ad affrontare questi problemi con il presidente britannico Rishi Sunak. Roma e Londra possono, anche da sole, affrontare i nodi della politica europea.

5347.- Perché l’Ue ci porta a perdere la guerra economica contro la Russia, che gli USA e la Cina stanno vincendo?

Potremmo rispondere perché l’Ue non mette in prima fila gli interessi dei singoli paesi e li tiene in subordine alle organizzazioni sovranazionali di supporto agli Stati Uniti: Ue, appunto e Onu, Fmi e World Bank; perché l’Ue è al servizio di Washington.

L’Ue sta perdendo la guerra economica contro la Russia?

di Giuseppe Gagliano, Start Magazine, 30 agosto 2022.

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L’Ue sta perdendo la guerra economica contro la Russia?

Cina e Stati Uniti stanno beneficiando della guerra Russia-Ucraina al contrario dell’Unione europea? Il corsivo di Giuseppe Gagliano

Fino a questo momento è difficile negare che Cina e gli Stati Uniti stiano beneficiando della guerra Russia-Ucraina al contrario dell’Unione europea.

Il non-allineamento della Cina, dell’India, del Brasile, del Sudafrica e del mondo arabo consente a queste nazioni di non subire danni da questa guerra.

Ben lungi dall’essere peregrina, questa ipotesi è confermata dal fatto che le importazioni da parte dell’Unione europea dalla Russia – importazioni relative al petrolio e il gas – sono addirittura aumentate del 78% nonostante la politica delle sanzioni da parte di Bruxelles.

Nello specifico le importazioni di petrolio sono aumentate del 70% mentre quelle di gas sono lievitate del 240%, arrivando a toccare la cifra record in termini di profitti di 24 miliardi di euro.

Nonostante le previsioni ottimistiche di numerosi analisti – previsioni tuttavia in gran parte infondate -, la produzione di greggio russo sarà destinato ad aumentare durante il prossimo anno e le sanzioni occidentali avranno un impatto tutto sommato circoscritto e limitato grazie al fatto che i paesi asiatici hanno aumentato i loro acquisti dalla Russia nel settore del petrolio e del gas.

A dimostrazione dell’enorme impatto che questa guerra sta avendo, consideriamo che i prezzi della energia ha superato ormai la soglia dei 540 euro al MWh secondo i dati della Borsa europea dell’energia di Lipsia.

Superfluo rimarcare che allo stato attuale non solo la transizione ecologica sia sempre più lontana, ma ci sembra doveroso sottolineare anche che investire sulle fonti fossili da parte delle nazioni europee ed extra europee sia inevitabile proprio per compensare le carenze dovute alle scelte poste in essere dalla UE.

5148.- Oms, il “triplo miliardo” cela uno scenario preoccupante

Le organizzazioni internazionali del dopoguerra: ONU, FMI, OMS, NATO, Ue furono create per conquistare il dominio sull’umanità. Prosegue il cammino dell’OMS verso il Governo Sanitario Mondiale: Aborto, eutanasia, epidemie e guerre biologiche libereranno il pianeta da miliardi di quelli che i loro sostenitori hanno definito “mangiatori inutili”.

Di Paolo Gulisano, da La Nuova Bussola Quotidiana, di , 1° giugno 2022

All’ultimo vertice di Ginevra, Ghebreyesus ha insistito sugli obiettivi del “triplo miliardo”, che riguardano la copertura sanitaria universale, le emergenze e il benessere. Spazio, tra i temi, anche alla “salute digitale”. Ma l’Oms punta ad ampliare il suo potere e la salute rischia di divenire sempre più un pretesto per limitare la libertà.

I lavori a Ginevra dell’Assemblea generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) si sono conclusi con il varo di nuovi piani strategici, delineando gli obiettivi del “triplo miliardo”, che dovranno essere raggiunti in tempi brevissimi, entro il 2023. Di cosa si tratta? Un miliardo di persone in più dovranno beneficiare di copertura sanitaria universale; un miliardo di persone in più dovranno essere meglio tutelate dalle emergenze sanitarie; un miliardo di persone in più dovranno godere di una salute e di un benessere migliori.

Il rieletto direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato in chiusura ai delegati che con questa settantacinquesima assemblea “si apre un nuovo corso per l’organizzazione”. Ghebreyesus ha affermato che tutto ciò che l’Oms ha portato avanti sarà valutato alla luce degli obiettivi del “triplo miliardo”. Obiettivi che appaiono piuttosto utopistici, secondo una certa tradizione dell’Oms, famosa per aver lanciato alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso il celebre slogan “salute per tutti entro l’anno 2000”. Molto spesso questi obiettivi strategici rimangono un libro dei sogni, ma intanto bruciano ingenti risorse. Sogni come quelli di Albert Bourla, Ceo di Pfizer, che sogna, appunto, di ridurre del 50%, entro il 2023, il numero delle persone nel mondo che non possono permettersi i medicinali che produce.

Del finanziamento delle attività dell’Oms si è parlato nel corso dell’Assemblea generale. In questo momento l’Oms può contare su governi “amici”, come gli Stati Uniti e la Cina, e sul supporto di oligarchi come Bill Gates. In particolare, per supportare le strategie per eradicare totalmente la Poliomielite (anche se a livello mondiale solo due Paesi, Afghanistan e Pakistan, hanno avuto nell’ultimo anno un totale di nove casi), il Rotary International, parlando a nome della Global Polio Eradication Initiative (che consiste in Oms, Rotary, Cdc, Unicef e Bill & Melinda Gates Foundation), ha rivolto un appello alla comunità globale per estinguere la malattia.

Uno dei temi che è stato oggetto di attenzione è stato quello della cosiddetta “salute digitale”Riconoscendo il potenziale delle tecnologie digitali nel migliorare la salute pubblica, i delegati hanno concordato una risoluzione sulla salute digitale. La risoluzione esorta gli Stati membri a dare priorità allo sviluppo e a un maggiore uso delle tecnologie digitali nella sanità come mezzo per promuovere la copertura sanitaria universale e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. La risoluzione chiede all’Oms di sviluppare una strategia globale per la salute digitale e sostiene l’aumento di tali tecnologie nei Paesi, fornendo assistenza tecnica e orientamenti normativi, monitorando le tendenze e promuovendo le migliori pratiche per migliorare l’accesso ai servizi sanitari. Chiede inoltre agli Stati membri di identificare i settori prioritari che trarrebbero vantaggio dall’assistenza dell’Oms, come l’attuazione, la valutazione e l’aumento di servizi e applicazioni digitali per la salute, la sicurezza dei dati, le questioni etiche e legali.

Esempi di tecnologie digitali per la salute includono sistemi che tracciano i focolai di malattie usando “crowdsourcing” o segnalazioni di comunità; e messaggi di testo sul cellulare per un cambiamento di comportamento positivo per la prevenzione e la gestione di malattie croniche.

Nel suo discorso conclusivo all’Assemblea generale, Ghebreyesus ha affermato che la salute deve essere un ponte per la pace. La salute – secondo il direttore generale dell’Oms – ha il potere di trasformare la vita di un individuo, ma ha anche il potere di trasformare famiglie, comunità e nazioni. In effetti, negli ultimi due anni si è potuto constatare in modo anche drammatico quanto sia vera questa affermazione. Ma la salute può costituire anche un’occasione per stabilire legislazioni emergenziali e di sicurezza con forti limitazioni della libertà. ‎”Abbiamo bisogno di un’Oms più forte e finanziata in modo sostenibile, al centro dell’architettura di sicurezza sanitaria globale”, ha detto il direttore generale.

L’Oms in questa prospettiva dovrà avere l’autorità di imporre in maniera esclusiva tutte le regole in caso di pandemia, ivi comprese quarantene, lockdown, vaccinazioni obbligatorie e passaporti vaccinali. Sarà il contributo determinante dato dall’Organizzazione alla realizzazione degli obiettivi dell’Agenda 2030, che in ambito sanitario punta sostanzialmente alla drastica riduzione dei servizi medici e ospedalieri, alla privatizzazione dei sistemi sanitari e alla prevenzione delle malattie tramite piani vaccinali di massa. Tutto ciò dovrà essere verificato alla prova dei fatti delle ratifiche da parte dei singoli Stati.

Alla vigilia dell’Assemblea, rivolgendosi ad ogni Stato sovrano, monsignor Carlo Maria Viganò ha ricordato che la governance sanitaria globale, come evidenziato da autorevolissimi esperti non compromessi con il sistema, rappresenta uno dei tasselli fondamentali del Nuovo Ordine Mondiale, e come tale va respinta e contrastata. “Alla logica del controllo, del profitto e della patologizzazione di massa, – ha detto il presule – occorre sostituire una sanità pubblica che abbia come primo scopo la salute dei cittadini e la tutela dei loro inalienabili diritti”. Alla luce di quanto discusso nell’Assemblea di Ginevra, questa minaccia è molto concreta. Il termine “Emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale”, utilizzato nei documenti, potrebbe includere non solo le epidemie virali, ma anche cambiamenti climatici e ogni problema correlato in qualche modo alla salute e al benessere. Uno scenario molto preoccupante.