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6197.- Israele ritira le truppe da Gaza, ma ancora non è pace.

Israele ritira le truppe da Gaza. Dalle pressioni Usa al rischio di un conflitto con l’Iran, inizia la terza fase della guerra

Un’operazione su Rafah non è ancora esclusa. Ma ora il faro è sugli ayatollah

Da Il Messaggero, di Marco Ventura, 8 aprile 2024

Israele ritira le truppe da Gaza, cosa è successo? Dalle pressioni Usa al rischio di un conflitto con l'Iran

Una mossa che vuol essere astuta, sia politicamente che militarmente. Il ritiro della 98a Divisione dalla zona di Khan Yunis nella parte meridionale di Gaza, stando a fonti dell’esercito israeliano segna la fine della seconda fase della guerra e l’inizio della terza, quella dei raid mirati, e perciò non esclude ma potrebbe preparare l’attacco annunciato da Netanyahu a Rafah, l’estremità sud della Striscia in cui si sono rifugiati un milione di sfollati. Restano a nord e al centro la Brigata Nahal e parte della 401, per tenere sotto controllo il corridoio Netzarim che attraversa Gaza dall’area di Beeri, sud di Israele, alla costa dell’enclave palestinese. E permettere alle forze israeliane di tornare a colpire, impedire il rientro degli sfollati nella zona settentrionale (dove sono rimasti in 300mila) e consentire il passaggio a nord delle organizzazioni umanitarie. Dopo l’uccisione di sette volontari coi droni la scorsa settimana, l’esercito ha anche riaperto il valico di Erez e il porto di Ashdod. Il rimescolamento delle carte sul terreno è attribuito dal portavoce sulla Sicurezza nazionale Usa, John Kirby, «probabilmente a un periodo di riposo per le truppe che si trovano lì da 4 mesi e sono stanche», aggiungendo che è difficile dire che cosa questo parziale ritiro israeliano «significhi esattamente». 

LA STRATEGIA

Ma la mossa è anche utile a Netanyahu per allentare la pressione americana e internazionale sul suo governo, sotto accusa per il numero di vittime civili e i troppi “errori” che hanno portato all’uccisione di operatori umanitari. La scelta è stata guidata anche dalle proteste popolari in piazza: circa 100mila persone hanno manifestato a Tel Aviv hanno manifestato contro il governo e per un accordo che riporti a casa gli ostaggi. Tra gli slogan campeggiano quelli che chiedono «elezioni subito» e «Liberate gli ostaggi subito». Intanto il ministro della Difesa, Yoav Gallant, avverte che l’esercito è pronto a qualsiasi scenario si possa presentare contro l’Iran, che minaccia ritorsioni dopo l’eliminazione a Damasco dei vertici delle forze Al Quds dei pasdaran. Per Edward Luttwak, illustre politologo e stratega militare, l’Iran «non ha la capacità militare» per una rappresaglia su Israele, né contro le ambasciate israeliane. Quanto al ritiro da Gaza, gli israeliani «hanno avuto abbastanza tempo per “entrare” nel sistema di Hamas a Rafah, e contano ora di fare singole azioni su target precisi». L’esercito israeliano, spiega Luttwak, «non può funzionare tra i profughi, perché la tattica normale di Hamas è quella di mischiarsi con la folla e sparare alle spalle dei civili, avendoli davanti come scudi umani, mentre dall’altra parte non rispondono i cecchini, ma soldati che per ogni miliziano dovrebbero uccidere 5 civili e Israele sta già pagando un prezzo politico troppo alto per queste vittime collaterali». 

I PIANI

Si discute adesso se basti avere eliminato l’80 per cento del personale di Hamas «o se si debba distruggerlo tutto, per installare nella Striscia un governo retto dall’Autorità palestinese, da Fatah, per quanto debole moralmente e politicamente, e dai vecchi clan che riprenderebbero forza, mentre Hamas è screditato perché ha lanciato un attacco il 7 ottobre senza aver prima provveduto a mettere in protezione la propria gente dalla inevitabile risposta di Israele». A volere il riassetto politico della Striscia c’è pure l’Egitto, «che non ha alcun interesse all’anarchia a Gaza». In Israele, invece, il tempo che resta a Netanyahu per governare è contato. «Appena la guerra sarà finita, verrà istituita una commissione che non dovrà cercare le responsabilità nell’Intelligence, perché i capi di quella militare e dello Shin Bet, quella interna, le hanno già ammesse e si presenteranno coi dossier pronti, mentre non sono coinvolti l’esercito, che dipende dalla security, né il Mossad che opera all’estero». La commissione affronterà le responsabilità di Netanyahu come premier e lo costringerà a dimettersi, al massimo in 90 giorni. «La sua uscita di scena è inevitabile», conclude il politologo americano-romeno, ma non risolverà il problema. «Prima di tornare alle urne, gli israeliani dovranno cambiare questa legge elettorale proporzionale che consente ai micro-partiti e agli estremisti di ipotecare il governo, se c’è un premier come Netanyahu che pur di restare al potere è pronto ad allearsi con chiunque».

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6196.- Tregua a Gaza per evitare il caos? Cosa succede tra Israele e Iran

Biden attende le elezioni sedendo sui carboni accesi da Netanyahu. L’Iran si mostra saggio perché la guerra totale non la vuole nessuno. Se Israele lascia spazio alla diplomazia finiscono insieme le guerre e Netanyahu. Intanto, l’Israele di Netanyahu può fare il terrorista … perché la guerra totale non la vuole nessuno; non la vuole il Libano, non la vuole Hezbollah e, pur profittandone, non la vogliono gli Houthi. L’Italia, fra l’India e il Mediterraneo allargato, aspetta che Netanyahu se ne vada.

Da Formiche.net un punto acuto sul Medio Oriente di Emanuele Rossi. 08/04/2024

Israele a un bivio: le pressioni interne, regionali e internazionali; il raid model e la crisi umanitaria; gli ostaggi e l’idea dell’Iran. Cosa potrebbe succedere nei prossimi giorni

L’Iran non attaccherà Israele per rappresaglia del colpo subito a Damasco se si riuscirà a trovare la via per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Gli Stati Uniti stanno conducendo le trattative — insieme a Qatar ed Egitto — per trovare un “deal” sugli ostaggi trattenuti ancora da Hamas e fermare le armi dopo sei mesi di guerra, oltre trentamila morti, una crisi umanitaria in divenire. Israele vede uscire una pioggia di indiscrezioni sulla situazione (ne parla Al-Qahera News, Tv statale egiziana, l’iraniana Jadeh e lo Yediot Ahronot) e sente il peso di una pressione su diversi fronti.

Innanzitutto c’è quello interno, di doppio valore. I cittadini israeliani vogliono il ritorno a casa delle persone rapite brutalmente nel bestiale attacco del 7 ottobre — con cui Hamas ha dato inizio alla stagione di guerra in corso. Protestano contro il governo perché non fa abbastanza per liberare quelle 140 persone, pesantemente maltrattate, e per questo sono disposti ad accettare anche compromessi. Contemporaneamente vogliono evitare l’allargamento del conflitto che un attacco iraniano su Israele potrebbe significare, con potenziali ulteriori vittime.

Punto comune della situazione è il destino di Benjamin Netanyahu. Molti israeliani lo vorrebbero fuori dal potere, e le manifestazioni in strada per gli ostaggi diventano sempre occasione per critiche pesanti e generali al governo. E sanno che la continuazione della guerra, o l’allargamento, sono per Netanyahu l’unica occasione di sopravvivenza, come ricordava Giuseppe Dentice (CeSi). Differentemente, con le armi in pausa, potrebbe esserci la possibilità di un ricambio, magari convocando nuove elezioni come proposto da Benny Gantz, uno dei leader dell’opposizione attualmente rientrato nel cosiddetto “gabinetto di guerra” per spirito di responsabilità e unità nazionale.

Ma le pressioni su Israele arrivano anche dall’esterno, innanzitutto sul piano internazionale. Se dall’Europa sono arrivate critiche per l’attacco a Damasco (bombardamento non rivendicato da Israele che ha portato all’uccisione di alcuni alti funzionari iraniani nel cortile antistante la sede consolare dell’ambasciata della Repubblica islamica in Siria), per gli Stati Uniti c’è un coinvolgimento anche maggiore. Washington sente su di sé le pressioni internazionali per aver sempre difeso l’alleato (e il suo diritto di autodifesa) e per questo da tempo sta cercando di deviare la situazione verso una rotta negoziale. Gli Usa hanno anche consapevolezza che se l’Iran dovesse attaccare, allora il loro coinvolgimento aumenterebbe (sia per difendere Israele, sia per difendere le proprie postazioni militari mediorientali). E l’amministrazione Biden vuole evitare questa situazione a pochi mesi dal voto.

Gli Stati Uniti, dopo la fase di pressione diplomatica per affrontare la crisi umanitaria, hanno ottenuto un maggiore flusso di aiuti nella Striscia (domenica sono entrati 332camion, mai così tanti dal 7 ottobre scorso). Contemporaneamente qualcosa potrebbe muoversi anche sul campo militare: le forze israeliane si sono parzialmente ritirate dall’area sud dell’enclave palestinese, tenendo però la presenza nel corridoio di Netzarim (che taglia trasversalmente la Striscia, permette ingressi rapidi per operazioni spot e garantisce un punto di slancio per un’eventuale azione su Rafah). Ad oggi, Israele è presente con circa un quarto delle forze che avevano condotto l’invasione su larga scala, e forse potrebbe essere l’effettivo inizio del “raid model” chiesto dagli Stati Uniti per minimizzare le vittime civili — attraverso attacchi più chirurgici contro Hamas.

Infine ci sono le pressioni regionali. Israele non ha abbandonato l’idea di normalizzare i rapporti con l’Arabia Saudita, passaggio che è un presupposto strategico per la stabilità della regione immaginata anche da Washington, e per progetti globali come l’Imec (la nuova rotta geostrategica indo-mediterranea che connetterà Europa e Asia). Riad vive con difficoltà la situazione: per interessi strategici vuole continuare le discussioni con Israele (anche via Usa) per avviare una nuova fase in Medio Oriente, ma per ragioni di equilibri interni non può abbandonare la causa palestinese (il regno protegge i luoghi sacri dell’Islam, d’altronde, è la questione palestinese è una delle grandi incomplete per i credenti mussulmani in tutto il mondo).

Di più: i sauditi — insieme agli altri leader della regione del Golfo, gli emiratini — hanno da tempo intrapreso un processo di détente con l’Iran. Lo hanno fatto dopo aver rotto le relazioni con il Qatar perché troppo aperto nei confronti di Teheran e dopo aver recuperato i rapporti anche con Doha (ora player centrale negli equilibri regionali internazionali). Uno scontro aperto tra Israele e Iran sarebbe problematico, perché altererebbe il processo nella regione e potrebbe intaccare dossier delicatissimo come quello in Yemen, dove gli Houthi — in fase di cessate il fuoco con i sauditi dopo anni di guerra — hanno già dimostrato di essere interessati a sfruttare il contesto a proprio vantaggio.

Inoltre, con la proposta che filtra sui media (tregua in cambio di non escalation),  l’Iran cerca di dimostrarsi potenza regionale responsabile. Nella narrazione generale questo serve anche a dimostrarsi migliore di Israele, che bombarda un edificio consolare — anche se l’intento si scontra col sostegno armato fornito al network terroristico che va da Hamas a Hezbollah fino alle milizie in Iraq e Siria e gli Houthi. Teheran vuole controllare la reazione tutelando interessi strategici senza perdere aliquote di propaganda, come spiegava Francesco Salesio Schiavi?

6195.- Siamo stati ingannati sul genocidio di Gaza. Al Jazeera ci ha mostrato come

A un certo punto, è quasi sembrato che gli interessi di Israele e di Hamas, ai danni dei palestinesi, convergessero. Al Jazeera ha tirato le somme, ma non è proprio lecito accusare di atrocità o di genocidio questi popoli così a lungo abbandonati in un bagno di sangue.

Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu looks on as he chairs the weekly cabinet meeting on July 6, 2014 at his Jerusalem office. Violence which rocked east Jerusalem for three days following the kidnap and murder on July 2 of a Palestinian teenager, spread to half a dozen Arab towns in Israel. AFP PHOTO / POOL /GALI TIBBON

Di Sabino Paciolla|Aprile 5th, 2024

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Jonathan Cook e pubblicato su AntiWar. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. https://www.youtube-nocookie.com/embed/_0atzea-mPY?si=8LIwDPAMZ2eU3SGf

Per settimane, mentre Gaza veniva bombardata e la conta dei morti nella piccola enclave aumentava inesorabilmente, l’opinione pubblica occidentale ha avuto poca scelta se non quella di affidarsi alla parola di Israele su quanto accaduto il 7 ottobre. Circa 1.150 israeliani sono stati uccisi durante un attacco senza precedenti alle comunità israeliane e alle postazioni militari vicino a Gaza.

Neonati decapitati, una donna incinta con l’utero aperto e il feto accoltellato, bambini messi nei forni, centinaia di persone bruciate vive, mutilazioni di cadaveri, una campagna sistematica di stupri di indescrivibile ferocia e atti di necrofilia.

I politici e i media occidentali si sono bevuti tutto questo, ripetendo acriticamente le accuse e ignorando la retorica genocida di Israele e le operazioni militari sempre più genocide che queste affermazioni sostenevano.

Poi, mentre la montagna di cadaveri a Gaza aumentava ancora, le presunte prove sono state condivise con pochi, selezionati giornalisti e influencer occidentali. Sono stati invitati a proiezioni private di filmati accuratamente curati da funzionari israeliani per dipingere il peggior quadro possibile dell’operazione di Hamas.

Questi nuovi iniziati hanno offerto pochi dettagli, ma hanno lasciato intendere che i filmati confermassero molti degli orrori. Hanno prontamente ripetuto le affermazioni israeliane secondo cui Hamas sarebbe “peggiore dell’Isis”, il gruppo dello Stato Islamico.

L’impressione di una depravazione senza pari da parte di Hamas è stata rafforzata dalla volontà dei media occidentali di permettere ai portavoce israeliani, ai sostenitori di Israele e ai politici occidentali di continuare a diffondere incontrastati l’affermazione che Hamas avesse commesso atrocità indicibili e sadiche – dalla decapitazione e dal rogo di bambini alla realizzazione di una campagna di stupri.

L’unico giornalista dei media mainstream britannici a dissentire è stato Owen Jones. Concordando sul fatto che il video di Israele mostrasse crimini terribili commessi contro i civili, ha notato che nessuno degli atti barbari sopra elencati era incluso.

Ciò che è stato mostrato è stato invece il tipo di crimini terribili contro i civili che sono fin troppo comuni nelle guerre e nelle rivolte.

Coprire il genocidio

Jones ha dovuto affrontare una raffica di attacchi da parte dei colleghi che lo accusavano di essere un apologeta delle atrocità. Il suo stesso giornale, il Guardian, sembra avergli impedito di scrivere di Gaza sulle sue pagine.

Ora, dopo quasi sei mesi, la morsa narrativa esclusiva su quegli eventi da parte di Israele e dei suoi accoliti mediatici è stata finalmente spezzata.

La scorsa settimana, Al Jazeera ha trasmesso un documentario di un’ora, intitolato semplicemente “7 ottobre”, che permette al pubblico occidentale di vedere con i propri occhi ciò che è avvenuto. Sembra che il racconto di Jones fosse il più vicino alla verità.

Tuttavia, il filmato di Al Jazeera si spinge ancora più in là, divulgando per la prima volta a un pubblico più vasto fatti che per mesi hanno occupato i media israeliani, ma che sono stati accuratamente esclusi dalla copertura occidentale. Il motivo è chiaro: questi fatti coinvolgerebbero Israele in alcune delle atrocità che per mesi ha attribuito ad Hamas.

Middle East Eye ha messo in evidenza questi clamorosi buchi nella narrazione mediatica occidentale già a dicembre. Da allora non è stato fatto nulla per correggere il record.

L’establishment mediatico ha dimostrato di non potersi fidare. Per mesi hanno recitato con fede la propaganda israeliana a sostegno di un genocidio.

Ma questa è solo una parte dell’accusa nei suoi confronti. Il suo continuo rifiuto di riferire le prove sempre più evidenti dei crimini perpetrati da Israele contro i suoi stessi civili e soldati il 7 ottobre suggerisce che ha intenzionalmente coperto il massacro di Israele a Gaza.

L’unità investigativa di Al Jazeera ha raccolto molte centinaia di ore di filmati dalle bodycam indossate dai combattenti di Hamas e dai soldati israeliani, dalle dashcam e dalle telecamere a circuito chiuso per compilare il suo documentario che sfata i miti.

Il documentario dimostra cinque cose che mettono in discussione la narrazione dominante imposta da Israele e dai media occidentali.

In primo luogo, i crimini commessi da Hamas contro i civili in Israele il 7 ottobre – e quelli che non ha commesso – sono stati utilizzati per mettere in ombra il fatto che il 7 ottobre Hamas ha condotto una spettacolare e sofisticata operazione militare per uscire da una Gaza assediata da tempo.

Il gruppo ha messo fuori uso i sistemi di sorveglianza di punta di Israele che avevano tenuto imprigionati per decenni i 2,3 milioni di abitanti dell’enclave. Ha fatto breccia nella barriera altamente fortificata di Israele che circonda Gaza in almeno 10 punti. E ha colto alla sprovvista i numerosi campi militari israeliani vicini all’enclave, che avevano fatto rispettare l’occupazione a distanza.

Quel giorno sono stati uccisi più di 350 soldati israeliani, poliziotti e guardie armate.

Un’arroganza coloniale

In secondo luogo, il documentario mina la teoria della cospirazione secondo cui i leader israeliani avrebbero permesso l’attacco di Hamas per giustificare la pulizia etnica di Gaza – un piano a cui Israele sta lavorando attivamente almeno dal 2007, quando sembra aver ricevuto l’approvazione degli Stati Uniti.

È vero, i funzionari dell’intelligence israeliana coinvolti nella sorveglianza di Gaza avevano avvertito che Hamas stava preparando una grande operazione. Ma questi avvertimenti sono stati ignorati non a causa di una cospirazione. Dopotutto, nessuno dei vertici israeliani ha tratto vantaggio da ciò che è accaduto il 7 ottobre.

Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu è politicamente finito a causa dell’attacco di Hamas e probabilmente finirà in prigione dopo la fine dell’attuale carneficina a Gaza.

La risposta genocida di Israele al 7 ottobre ha reso il marchio di Israele così tossico a livello internazionale, e ancora di più presso le opinioni pubbliche arabe della regione, che l’Arabia Saudita ha dovuto interrompere i piani per un accordo di normalizzazione, che era stata la speranza finale di Israele e Washington.

L’operazione di Hamas ha distrutto la reputazione mondiale di invincibilità dell’esercito israeliano. Ha ispirato Ansar Allah (gli Houthi) dello Yemen ad attaccare navi nel Mar Rosso. Sta rafforzando l’arcinemico di Israele, Hezbollah, nel vicino Libano. Ha rinvigorito l’idea che la resistenza sia possibile in tutto il Medio Oriente, tanto oppresso.

Non è stata una cospirazione ad aprire la porta all’attacco di Hamas. È stata l’arroganza coloniale, basata su una visione disumanizzante condivisa dalla stragrande maggioranza degli israeliani, secondo cui essi erano i padroni e i palestinesi – i loro schiavi – erano troppo primitivi per sferrare un colpo significativo.

Gli attentati del 7 ottobre avrebbero dovuto costringere gli israeliani a rivalutare il loro atteggiamento sprezzante nei confronti dei palestinesi e ad affrontare la questione se il regime pluridecennale di apartheid e di brutale asservimento di Israele potesse – e dovesse – continuare all’infinito.

Prevedibilmente, gli israeliani hanno ignorato il messaggio dell’attacco di Hamas e hanno scavato più a fondo nella loro mentalità coloniale.

Il presunto primitivismo che, si presumeva, rendesse i palestinesi un avversario troppo debole per affrontare la sofisticata macchina militare israeliana è stato ora riformulato come prova di una barbarie palestinese che rende l’intera popolazione di Gaza così pericolosa, così minacciosa, da dover essere spazzata via.

I palestinesi che, secondo la maggior parte degli israeliani, potrebbero essere ingabbiati come polli da batteria per un tempo indefinito e in recinti sempre più piccoli, sono ora visti come mostri che devono essere abbattuti. Questo impulso è stato la genesi dell’attuale piano genocida di Israele per Gaza.

Missione suicida

Il terzo punto che il documentario chiarisce è che l’evasione dalla prigione di Hamas, che ha avuto un successo strepitoso, ha vanificato l’operazione più ampia.

Il gruppo aveva lavorato così duramente sulla temibile logistica dell’evasione – e si era preparato a una risposta rapida e selvaggia da parte dell’oppressiva macchina militare israeliana – che non aveva un piano serio per affrontare una situazione che non poteva concepire: la libertà di perlustrare la periferia di Israele, spesso indisturbati per molte ore o giorni.

I combattenti di Hamas che entravano in Israele avevano dato per scontato che la maggior parte fosse in missione suicida. Secondo il documentario, i combattenti stessi ritenevano che tra l’80 e il 90% non sarebbero riusciti a tornare.

L’obiettivo non era quello di sferrare una sorta di colpo esistenziale contro Israele, come i funzionari israeliani hanno affermato da allora nella loro determinata razionalizzazione del genocidio. Si trattava di colpire la reputazione di invincibilità di Israele, attaccando le sue basi militari e le comunità vicine e trascinando a Gaza il maggior numero possibile di ostaggi.

Questi sarebbero poi stati scambiati con le migliaia di uomini, donne e bambini palestinesi detenuti nel sistema di incarcerazione militare di Israele – ostaggi etichettati come “prigionieri”.

Come ha spiegato il portavoce di Hamas, Bassem Naim, ad Al Jazeera, l’evasione aveva lo scopo di riportare sotto i riflettori la disperata situazione di Gaza, dopo anni in cui l’interesse internazionale per la fine dell’assedio israeliano era scemato.

A proposito delle discussioni in seno all’ufficio politico del gruppo, egli afferma che il consenso è stato: “Dobbiamo agire. Se non lo facciamo, la Palestina sarà dimenticata, completamente cancellata dalla mappa internazionale”.

Per 17 anni, Gaza è stata gradualmente strangolata a morte. La sua popolazione aveva tentato di protestare pacificamente contro la recinzione militarizzata che circondava la loro enclave ed era stata presa di mira dai cecchini israeliani. Il mondo si era talmente abituato alle sofferenze dei palestinesi che si era spento.

L’attacco del 7 ottobre aveva lo scopo di cambiare le cose, in particolare stimolando nuovamente la solidarietà con Gaza nel mondo arabo e rafforzando la posizione politica regionale di Hamas.

L’obiettivo era quello di rendere impossibile all’Arabia Saudita – il principale mediatore di potere arabo a Washington – la normalizzazione con Israele, completando la marginalizzazione della causa palestinese nel mondo arabo.

In base a questi criteri, l’attacco di Hamas è stato un successo.

Perdita di concentrazione

Ma per molte lunghe ore – con Israele colto completamente alla sprovvista e con i suoi sistemi di sorveglianza neutralizzati – Hamas non ha affrontato il contrattacco militare che si aspettava.

Tre fattori sembrano aver portato a una rapida erosione della disciplina e dello scopo.

Senza un nemico significativo da affrontare o che limitasse il margine di manovra di Hamas, i combattenti hanno perso la concentrazione. I filmati li mostrano mentre litigano su cosa fare dopo, mentre si aggirano liberamente per le comunità israeliane.

A ciò si è aggiunto l’afflusso di altri palestinesi armati che hanno approfittato del successo di Hamas e della mancanza di una risposta israeliana. Molti si sono improvvisamente ritrovati con la possibilità di saccheggiare o regolare i conti con Israele – uccidendo israeliani – per anni di sofferenza a Gaza.

Il terzo fattore è stato l’irruzione di Hamas nel festival musicale Nova, che era stato trasferito dagli organizzatori con breve preavviso vicino alla barriera di Gaza.

Il festival è diventato rapidamente la scena di alcune delle peggiori atrocità, sebbene non assomigli agli eccessi selvaggi descritti da Israele e dai media occidentali.

I filmati mostrano, ad esempio, combattenti palestinesi che lanciano granate contro i rifugi di cemento dove molte decine di partecipanti al festival si stavano riparando dall’attacco di Hamas. In un filmato, un uomo che scappa viene ucciso a colpi di pistola.

In quarto luogo, Al Jazeera ha potuto confermare che le atrocità più estreme, sadiche e depravate non hanno mai avuto luogo. Sono state inventate da soldati, funzionari e soccorritori israeliani.

Una figura centrale in questo inganno è stata Yossi Landau, leader dell’organizzazione religiosa ebraica di pronto intervento Zaka. Lui e il suo staff hanno inventato storie stravaganti che sono state prontamente amplificate non solo da una stampa occidentale credulona, ma anche da alti funzionari statunitensi.

Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha raccontato graficamente di una famiglia di quattro persone massacrata a colazione. Al padre è stato cavato un occhio davanti ai due figli, di otto e sei anni. Alla madre fu tagliato il seno. Alla ragazza fu amputato un piede e al ragazzo furono tagliate le dita, prima di essere giustiziati. I boia si sono poi seduti a mangiare accanto alle loro vittime.

Ma le prove dimostrano che nulla di tutto ciò è realmente accaduto.

Landau ha anche affermato che Hamas ha legato decine di bambini e li ha bruciati vivi nel Kibbutz Be’eri. Altrove, ha ricordato che una donna incinta è stata uccisa con un colpo di pistola, il suo ventre è stato aperto e il feto è stato accoltellato.

I funzionari del kibbutz negano qualsiasi prova di queste atrocità. I racconti di Landau non corrispondono a nessuno dei fatti noti. Il 7 ottobre morirono solo due bambini, entrambi uccisi involontariamente.

Quando viene interpellato, Landau si offre di mostrare ad Al Jazeera la foto del feto pugnalato sul suo cellulare, ma viene filmato mentre ammette di non essere in grado di farlo.

Inventare le atrocità

Allo stesso modo, la ricerca di Al Jazeera non trova prove di stupri sistematici o di massa il 7 ottobre. In realtà, è Israele che ha bloccato gli sforzi degli organismi internazionali per indagare sulle violenze sessuali di quel giorno.

Autorevoli organi di stampa come il New York Times, la BBC e il Guardian hanno ripetutamente dato credibilità alle affermazioni di stupri sistematici da parte di Hamas, ma solo ripetendo senza riserve la propaganda delle atrocità israeliane.

Madeleine Rees, segretario generale della Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà, ha dichiarato ad Al Jazeera: “Uno Stato ha strumentalizzato gli orribili attacchi alle donne per giustificare, crediamo, un attacco a Gaza, dove la maggior parte delle vittime sono altre donne”.

In altri casi, Israele ha incolpato Hamas di aver mutilato i corpi delle vittime israeliane, anche passandoci sopra con la macchina e spaccando loro il bacino. In diversi casi, l’inchiesta di Al Jazeera ha dimostrato che i corpi erano di combattenti di Hamas mutilati o investiti da soldati israeliani.

Il documentario osserva che i media israeliani – seguiti da quelli occidentali – “non si concentrano sui crimini che hanno commesso [Hamas], ma su quelli che non hanno commesso”.

La domanda è: perché, quando c’erano molte atrocità reali di Hamas da raccontare, Israele ha sentito il bisogno di fabbricarne di ancora peggiori? E perché, soprattutto dopo che è stata smentita l’invenzione iniziale dei bambini decapitati, i media occidentali hanno continuato a riciclare con credulità storie improbabili di efferatezze di Hamas?

La risposta alla prima domanda è che Israele aveva bisogno di creare un clima politico favorevole che giustificasse il suo genocidio a Gaza come necessario.

Netanyahu viene mostrato mentre si congratula con i leader di Zaka per il loro ruolo nell’influenzare l’opinione pubblica mondiale: “Abbiamo bisogno di guadagnare tempo, che guadagniamo rivolgendoci ai leader mondiali e all’opinione pubblica. Voi avete un ruolo importante nell’influenzare l’opinione pubblica, che influenza anche i leader”.

La risposta alla seconda domanda è che i preconcetti razzisti dei giornalisti occidentali hanno fatto sì che si convincessero facilmente che la gente di colore fosse capace di una tale barbarie.

Direttiva Hannibal

In quinto luogo, Al Jazeera documenta mesi di copertura mediatica israeliana che dimostra come alcune delle atrocità imputate ad Hamas – in particolare quelle relative al bruciare vivi gli israeliani – fossero in realtà responsabilità di Israele.

Privata di una sorveglianza funzionante, una macchina militare israeliana furiosa si è scagliata alla cieca. I filmati degli elicotteri Apache li mostrano mentre sparano all’impazzata su auto e persone che si dirigono verso Gaza, senza riuscire a capire se si tratta di combattenti di Hamas in fuga o di israeliani presi in ostaggio da Hamas.

In almeno un caso, un carro armato israeliano ha sparato una granata contro un edificio nel Kibbutz Be’eri, uccidendo i 12 ostaggi israeliani all’interno. Uno di essi, Liel Hetsroni, di 12 anni, i cui resti carbonizzati hanno reso impossibile l’identificazione per settimane, è diventato il manifesto della campagna israeliana per incolpare Hamas di essere dei barbari per averla bruciata viva.

Il comandante responsabile dei soccorsi a Be’eri, il colonnello Golan Vach, viene mostrato mentre inventa ai media una storia sulla casa che Israele stesso aveva bombardato. Ha affermato che Hamas aveva giustiziato e bruciato otto bambini nella casa. In realtà, nessun bambino è stato ucciso lì – e quelli che sono morti nella casa sono stati uccisi da Israele.

La devastazione diffusa nelle comunità dei kibbutz – ancora imputata ad Hamas – suggerisce che il bombardamento di questa casa in particolare da parte di Israele è stato tutt’altro che un caso isolato. È impossibile determinare quanti altri israeliani siano stati uccisi dal “fuoco amico”.

Queste morti sembrano essere legate alla frettolosa invocazione da parte di Israele, quel giorno, della cosiddetta “direttiva Hannibal” – un protocollo militare segreto che prevede l’uccisione di soldati israeliani per evitare che vengano presi in ostaggio e diventino merce di scambio per il rilascio di palestinesi tenuti in ostaggio nelle carceri israeliane.

In questo caso, la direttiva sembra essere stata riproposta e utilizzata anche contro i civili israeliani. Straordinariamente, nonostante il furioso dibattito in Israele sull’uso della direttiva Hannibal il 7 ottobre, i media occidentali sono rimasti completamente in silenzio sull’argomento.

Un triste squilibrio

L’unica questione ampiamente trascurata da Al Jazeera è la sorprendente incapacità dei media occidentali di coprire seriamente il 7 ottobre o di indagare sulle atrocità in modo indipendente dai resoconti auto-assolutori di Israele.

La domanda che incombe sul documentario di Al Jazeera è la seguente: come è possibile che nessuna organizzazione mediatica britannica o statunitense abbia intrapreso il compito che Al Jazeera si è assunta? E poi, perché nessuno di loro sembra pronto a utilizzare la copertura di Al Jazeera come un’opportunità per rivisitare gli eventi del 7 ottobre?

In parte, ciò è dovuto al fatto che essi stessi sarebbero incriminati da qualsiasi rivalutazione degli ultimi cinque mesi. La loro copertura è stata tristemente sbilanciata: accettazione a occhi aperti di qualsiasi rivendicazione israeliana di atrocità di Hamas e analoga accettazione a occhi aperti di qualsiasi scusa israeliana per il massacro e la mutilazione di decine di migliaia di bambini palestinesi a Gaza.

Ma il problema è più profondo.

Non è la prima volta che Al Jazeera svergogna la stampa occidentale su un argomento che ha dominato i titoli dei giornali per mesi o anni.

Nel 2017, un’inchiesta di Al Jazeera intitolata The Lobby ha mostrato che Israele era dietro una campagna per diffamare gli attivisti della solidarietà palestinese come antisemiti in Gran Bretagna, con Jeremy Corbyn come bersaglio finale.

Questa campagna diffamatoria ha continuato a riscuotere un enorme successo anche dopo la messa in onda della serie di Al Jazeera, anche perché l’inchiesta è stata uniformemente ignorata. I media britannici hanno ingoiato ogni pezzo di disinformazione diffuso dai lobbisti israeliani sulla questione dell’antisemitismo.

Il seguito di un’analoga campagna di disinformazione condotta dalla lobby pro-Israele negli Stati Uniti non è mai stato trasmesso, a quanto pare dopo le minacce diplomatiche di Washington al Qatar. La serie è stata infine divulgata dal sito web Electronic Intifada.

18 mesi fa, Al Jazeera ha trasmesso un’inchiesta intitolata The Labour Files, che mostrava come alti funzionari del Partito laburista britannico, assistiti dai media del Regno Unito, avessero ordito un complotto segreto per impedire a Corbyn di diventare primo ministro. Corbyn, leader democraticamente eletto dei laburisti, era un critico dichiarato di Israele e un sostenitore della giustizia per il popolo palestinese.

Ancora una volta, i media britannici, che avevano svolto un ruolo così critico nel contribuire a distruggere Corbyn, hanno ignorato l’inchiesta di Al Jazeera.

C’è uno schema che può essere ignorato solo per cecità intenzionale.

Israele e i suoi partigiani hanno libero accesso alle istituzioni occidentali, dove fabbricano affermazioni e calunnie che vengono prontamente amplificate da una stampa credulona.

Queste affermazioni vanno sempre e solo a vantaggio di Israele e danneggiano la causa di porre fine a decenni di brutale sottomissione del popolo palestinese da parte di un regime israeliano di apartheid che sta commettendo un genocidio.

Al Jazeera ha dimostrato ancora una volta che, sulle questioni che le istituzioni occidentali considerano più vitali per i loro interessi – come il sostegno a uno Stato cliente altamente militarizzato che promuove il controllo dell’Occidente sul Medio Oriente ricco di petrolio – la stampa occidentale non è un cane da guardia del potere, ma il braccio delle pubbliche relazioni dell’establishment.

L’inchiesta di Al Jazeera non ha solo rivelato le bugie che Israele ha diffuso sul 7 ottobre per giustificare il suo genocidio a Gaza. Rivela la totale complicità dei giornalisti occidentali in quel genocidio.

Jonathan Cook

6193.- Futuro e realtà

Con Netanyahu Israele ha gettato la maschera? O è semplicemente alle porte della scena finale?

La scena ci addolora perché Israele è uno di noi, è in Occidente, ma il suo diritto alla vita non vale meno di quello della Palestina; ed ecco riemergere dal Tamigi la genia di quell’impero che volle una spina nel fianco del mondo arabo. Così, come una spina, fu pensato, nei confronti dei palestinesi, questo Stato di Israele e, come tale, fu condotto e armato fino ad oggi, così, dai coloni d’assalto alle forze armate, fra le più efficienti del mondo. La controprova è lì, in quei due milioni di arabi integratisi perfettamente nel nuovo Stato e israeliani di diritto, a tutti gli effetti. E ancora, lo era in quella massa di lavoratori gazesi che ogni mattino varcava il confine d’Israele, per far ritorno alla sera. Poteva essere il motore che avrebbe sviluppato le migliori virtù dei popoli arabi. Non lo fu, non lo è e non lo sarà mai se questa tragica sceneggiata, per molti segni tale e architettata, andrà a compimento. É questo, senza dubbio, il fine ultimo del 7 ottobre: seminare l’odio, il più acerbo e duraturo e, non vorrei vederci un altro fine, costi quel che costi: scalzare il potere degli arabi dalle terre di mezzo fra India, Cina, da una parte e Mediterraneo, Europa, dall’altra e, poi, dalle fonti dell’energia.

Se il costi quel che costi, dovesse prendere forma, noi europei non ne usciremmo indenni. Come con le sanzioni alla Federazione Russa, pagheremmo. Il fuoco acceso in Ucraina è prodromico?

6192.- La tragedia dei cooperanti uccisi a Gaza, scandalo mondiale per Israele

Netanyahu ha sepolto l’olocausto? I sette cooperanti uccisi a Gaza seguono 32.016 Gazesi, per un terzo bambini e più di 70.000 feriti. In nessuna guerra i bambini sono stati ammazzati così, con tanto cinismo e lo stomaco si rifiuta di provare pietà per un popolo che non ne ha. Netanyahu deve essere giudicato!

Sette volontari dell’Ong  World Central Kitchen sono stati uccisi in un raid aereo israeliano, dopo che avevano portato aiuti alimentari a Gaza. La reazione internazionale non si è fatta attendere. Condanna unanime da parte di tutti i governi occidentali. Mentre a Gerusalemme l’esecutivo Netanyahu è in crisi.

Mai quanto noi, a tutti gli effetti suoi alleati.

Da La Nuova Bussola Quotidiana, di Nicola Scopelliti, 4 aprile 2024.

Uno dei tre veicoli della World Central Kitchen colpiti dagli israeliani (La Presse)

Erano sette volontari dell’organizzazione umanitaria World Central Kitchen: tre inglesi, un polacco, un australiano e un canadese. Con loro c’era anche un palestinese. Erano impegnati, insieme ad altri cooperanti, nella consegna di aiuti umanitari alla popolazione di Gaza. Viaggiavano a bordo di mezzi con l’iscrizione, ben in vista, della World Central Kitchen. A distanza di qualche minuto, le auto sono state colpite da un drone israeliano che per ben tre volte ha fatto fuoco centrandole in pieno.

Una strage. L’ennesima, assurda e inconcepibile strage contro dei volontari impegnati ad arginare la carestia che sta colpendo l’intera popolazione della Striscia di Gaza. Nei sei mesi di guerra, ben duecento lavoratori umanitari sono stati uccisi dai soldati o dai droni dell’esercito israeliano. Centosettantaquattro lavoravano per le Nazioni Unite, cinque per Medici senza Frontiere. Un bilancio drammatico, quasi tre volte il conteggio delle vittime registrato in un singolo conflitto, in un anno, in una qualsiasi altra guerra.

«Torno a rinnovare la mia ferma richiesta per un immediato cessate il fuoconella Striscia di Gaza. Esprimo il mio profondo rammarico per i volontari uccisi mentre erano impegnati nella distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza. Prego per loro e per le loro famiglie, rinnovo l’appello a che sia permesso a quella popolazione civile, stremata e sofferente, l’accesso agli aiuti umanitari e che siano subito rilasciati gli ostaggi”. Lo ha detto papa Francesco al termine dell’udienza generale di ieri.

L’Ong World Central Kitchen è stata fondata nel 2010 dallo chef José Andrés, con lo scopo di intervenire con la distribuzione di pasti in occasione di calamità naturali, ma non solo. Dopo la strage dei sette volontari, Andrés ha interrotto immediatamente la fornitura di generi di prima necessità alla popolazione di Gaza. Duro il suo commento su X«Il Governo israeliano deve smetterla con queste indiscriminate uccisioni. Deve smettere di ostacolare gli aiuti umanitari; deve smettere di uccidere civili e lavoratori umanitari. Smettere di usare il cibo come un’arma».

Il cibo come arma da guerra. Costringere alla fame un intero popolo è un crimine di guerra, vietato dal diritto internazionale dal 1977. Che Israele voglia applicare questo sistema è lo stesso ministro della Difesa, Yoav Gallant, ad affermarlo: «Si sta imponendo un assedio totale su Gaza. Niente elettricità, niente cibo, niente acqua, niente carburante». E il Ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha aggiunto che «l’unica cosa che può entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivi, non un grammo di aiuti umanitari».  

È sconvolto, per quanto accaduto, Xavier Joubert, direttore di Save the Children, organizzazione presente nei Territori Palestinesi Occupati: «La fame non deve mai essere usata come arma di guerra. Ventisette bambini – ha detto – sono già stati uccisi dalla fame e dalle malattie: se il mondo non agisce adesso, a quel numero se ne aggiungeranno innumerevoli altri. Così si rischia di cancellare un popolo intero». 

Unanime la condanna di Stati Uniti, Gran Bretagna, Spagna, Emirati Arabi, Italia e Polonia. A guidare la “rivolta” contro Israele, nell’Unione Europea, è il premier spagnolo, Pedro Sánchez, impegnato in un tour in Medio Oriente con tappe in Giordania, Arabia Saudita e Qatar. «L’attacco ai cooperatori umanitari è stato brutale. Disumano. Faccio un appello che si ponga fine alle ostilità e si liberino tutti gli ostaggi. È urgente che si esegua il cessate il fuoco che ha reclamato il Consiglio di Sicurezza dell’Onu la scorsa settimana con un mandato obbligatorio». Sánchez ha anche aggiunto che la Spagna riconoscerà lo Stato della Palestina entro la fine del prossimo mese di giugno.

«I vertici dell’esercito israeliano stanno conducendo un’indagine rapida e trasparente e renderemo pubblici i nostri risultati», ha scritto su X il premier israeliano Benjamin Netanyahu, rispondendo indirettamente a tutte le critiche che gli sono piovute addosso in seguito alla morte dei sette operatori umanitari della World Central Kitchen.

Nel 180º giorno dall’inizio della guerra contro Hamas le strade israeliane si sono riempite di migliaia di manifestanti che hanno chiesto, oltre alle dimissioni del Governo guidato da Natanyahu, nuove elezioni e un accordo che possa riportare a casa gli ostaggi ancora detenuti nella Striscia. Ieri sono stati superati tutti i cordoni di sicurezza e i manifestanti hanno raggiunto l’ingresso della casa del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ad Aza Road, a Gerusalemme. A chiedere nuove elezioni anticipate è anche Benny Gantz, leader centrista e componente del Gabinetto di Guerra. È la prima volta che l’esponente politico, in testa a tutti i sondaggi, chiede di ritornare alle urne.

Sia in Israele che nel resto del Medio Oriente la tensione e la paura che il conflitto possa espandersi sono molto concrete. Non va sottovalutato l’annuncio fatto ieri, mercoledì 3 aprile, dal ministro della Difesa russo che ha annunciato di aver dispiegato ulteriori forze militari nelle aree controllate dalla Siria sulle alture del Golan, dove Israele avrebbe colpito a un ritmo preoccupante, negli ultimi mesi, le postazioni militari siriane. Mosca ha invitato lo Stato ebraico a cessare tali azioni “del tutto inaccettabili” e ha chiesto un incontro urgente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

6187.- Israele costringerà il Libano a entrare in guerra. L’ONU non ferma l’escalation di Biden e Netanyahu.

Gli attacchi di Israele agli ospedali sono “inaccettabili, violano le leggi e le norme internazionali, in particolare la Convenzione di Ginevra, che sottolinea la neutralità dei centri sanitari e degli operatori sanitari”. Il Libano non vuole la guerra, ma Israele gliela fa. A Gaza si sta celebrando la catastrofe dell’umanità.

Israele attacca centro medico in Libano e uccide 7 persone. La risposta di Hezbollah causa una vittima

Da Pagine Esteri, di Eliana Riva, 27 marzo 2024

Israele attacca centro medico in Libano e uccide 7 persone. La risposta di Hezbollah causa una vittima

di Eliana Riva – 

Il confronto armato tra Israele e Hezbollah, in Libano, subisce una nuova, pericolosa accelerazione. Martedì Israele ha colpito la zona più settentrionale del Libano dall’inizio della guerra. A 100 chilometri dal confine, nella città di Zaboud, nella zona orientale della Valle della Beqaa. L’esercito israeliano afferma di aver colpito un complesso militare contenente diverse piattaforme per il lancio dei droni.

Lo stesso giorno Hezbollah aveva attaccato la base aerea sul monte Meron, poco all’interno del confine israeliano. Si tratta di un presidio utilizzato dall’esercito per monitorare lo spazio aereo che, sempre secondo le forze armate, non ha subito danni significativi.

Durante la notte tra martedì e mercoledì, Israele ha compiuto un raid aereo sul villaggio di al-Habbariyeh, attaccando un centro medico e uccidendo 7 persone. Tel Aviv ha dichiarato che l’operazione militare mirava all’uccisione di un combattente dell’organizzazione Al-Jama’a Al-Islamiyya. Il Centro islamico di Emergenza e Soccorso è stato distrutto nell’attacco, che secondo fonti libanesi ha causato vittime civili: le autorità hanno dichiarato che nell’edificio c’erano paramedici, volontari e studenti universitari. Il Ministero della Salute libanese ha condannato il raid: “Questi attacchi inaccettabili violano le leggi e le norme internazionali, in particolare la Convenzione di Ginevra, che sottolinea la neutralità dei centri sanitari e degli operatori sanitari”.

Hezbollah ha immediatamente dichiarato che avrebbe risposto con forza a quello che ha definito un massacro compiuto da Israele. Alle 8 di mercoledì il gruppo islamico ha lanciato un attacco massiccio contro Kiryat Shmona, la città della punta settentrionale si Israele, vicinissima al confine, tra il Libano e le Alture del Golan occupate da Tel Aviv nel 1967. Almeno 3 dei circa 30 missili esplosi dal Libano hanno raggiunto la città, colpendo un edificio industriale e uccidendo un uomo di 25 anni.

Il Consiglio nazionale libanese per la ricerca scientifica (CNRS) ha denunciato il massiccio utilizzo di Fosforo bianco da parte di Israele nella zona meridionale, quantificato in circa 117 bombe fosforiche lanciate dall’inizio delle ostilità con Hezbollah, l’8 ottobre 2023, fino al 6 marzo 2024.

In Cisgiordania, intanto, sono stati uccisi 3 palestinesi nella zona di Jenin tra i quali due ragazzi di 19 anni. Il primo durante un’incursione dell’esercito israeliano nella città, all’esterno del campo profughi. Poche ora più tardi i militari hanno guidato un drone sull’area che ha ucciso altri 2 giovani palestinesi nelle prime ore dell’alba. L’utilizzo dei droni per uccidere i palestinesi in Cisgiordania è sempre più diffuso. All’inizio dell’anno, il 7 gennaio, proprio a Jenin un drone ha ucciso 7 persone tra le quali 4 fratelli della famiglia Darwish, che aspettavano di cominciare il lavoro quotidiano nei campi.

A Gaza si intensificano gli attacchi israeliani a Rafah, nonostante la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite abbia chiesto un cessate il fuoco immediato. Nella notte sono state uccise almeno 9 persone in un attacco aereo che ha distrutto l’abitazione della famiglia Chahir, nel nord di Rafah, al confine con l’Egitto. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver attaccato altri 5 edifici durante la notte. Sono stati distrutti anche numerosi terreni agricoli. Continua, intanto, l’assedio all’ospedale Shifa, dove gli israeliani hanno dichiarato di aver ucciso decine di persone.

Nella Striscia almeno 27 persone, tra le quali 23 bambini, sono morte di fame. Secondo la United Nations Population Fund, 1 su 3 bambini sotto i due anni a Gaza soffre una grave malnutrizione. Metà della popolazione ha esaurito le proprie scorte di cibo e deve far fronte a una “fame catastrofica”. Martedì almeno 12 palestinesi, tra cui bambini, sono annegati nel tentativo disperato di recuperare gli aiuti umanitari lanciati dagli aerei e finiti in mare. Decine di persone affamate hanno rincorso i paracadute con le scatole di aiuti alimentari fino alla spiaggia di Beit Lahia, dove il forte vento li ha spinti in mare. Pagine Esteri.

Raid nel sud del Libano, colpita auto con osservatori Onu. Idf smentisce: nessun attacco. Come credergli?

Feriti 3 membri Unifil di nazionalità australiana, cilena e norvegese, e un libanese, non in pericolo di vita. Ancora non chiara la dinamica dell’accaduto. Morti sulla distribuzione di aiuti, a Jenin ucciso un 13enne dopo un blitz dell’esercito.

6186.- Gli USA inviano altre armi a Israele: più di 2.000 bombe da sganciare su Gaza

GAZA. Armi dagli Stati uniti per l’attacco più violento

Così Biden & Co. festeggeranno la Pasqua cristiana con i Palestinesi. Come Bernie Sanders ha commentato la notizia criticando l’amministrazione Biden: “Non possiamo dire a Netanyahu di smetterla di bombardare civili e il giorno dopo mandargli migliaia di bombe.

Gli USA inviano altre armi a Israele: più di 2.000 bombe da sganciare su Gaza

Da Pagine Esteri, di Eliana Riva | 30 Mar 2024

Fonti di sicurezza americane hanno rivelato al Washington Post che negli ultimi giorni l’amministrazione Biden ha segretamente autorizzato il trasferimento a Israele di oltre 2.000 bombe e 25 aerei da guerra per miliardi di dollari.

Ipocriti! Chi nasce tondo, non muore quadro.

Nonostante gli Stati Uniti critichino il modo in cui Netanyahu sta gestendo la guerra a Gaza e si dicano preoccupati per un attacco su larga scala a Rafah, dove la maggior parte della popolazione palestinese è rifugiata, il sostegno armato non viene assolutamente messo in discussione. Secondo rivelazioni pubblicate a marzo, dal 7 ottobre gli USA hanno inviato 100 carichi di armi a Tel Aviv.

Su richiesta di Biden, alcuni funzionari di sicurezza israeliani avrebbero dovuto recarsi alla Casa Bianca ad ascoltare le proposte americane per limitare il numero dei morti civili. Ma Netanyahu ha annullato la visita in seguito alla decisione degli Stati Uniti di astenersi e non porre il veto sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiede un cessate il fuocotemporaneo a Gaza e il rilascio di ostaggi, senza subordinare la prima istanza alla seconda.

Washington consegnerà 1.800 bombe MK84 da 900 chilogrammi, e 500 bombe MK82 da 225 chilogrammi. Si tratta di armi con una potenza tale da demolire interi isolati e che non vengono più, di norma, utilizzate dagli eserciti su strutture civili o in contesti densamente abitati. Tuttavia, Israele ne ha fatto largo uso sulla Striscia, come nel caso dell’attacco al campo profughi di Jabalya, lo scorso 31 ottobre, che uccise circa 100 persone. Gli Stati Uniti hanno sganciato numerose MK84 durante la guerra del Vietnam e durante l’attacco all’Iraq del 1991, nell’operazione da loro denominata “Desert Storm”. Si tratta di ordigni utilizzati quando gli obiettivi principali richiedono forza e vastità della deflagrazione, piuttosto che precisione, nel colpire il bersaglio. 

Non sanno fare altro. Ecco la foto aerea d’una bomba M84 sganciata in Vietnam nel 1972

Dal 7 ottobre l’esercito israeliano ha sganciato 70.000 tonnellate di esplosivo su Gaza, utilizzando armi fornite principalmente da Stati Uniti e Germania.

25 caccia F-35A che Washington ha trasferito la scorsa settimana a Tel Aviv hanno un valore di 2,5 miliardi di dollari.

Lo scorso ottobre, l’F-35A è stato omologato al trasporto delle bombe nucleari B-61-12.

L’IRAN dovrà guardarsi da questo wing. La cessione potrebbe essere il risultato di un “do ut des”.

La risposta ufficiale dell’amministrazione USA è che l’accordo di fornitura era stato approvato prima della guerra e che per questo non richiedeva notifica pubblica. Lo stesso varrebbe per il nuovo pacchetto di 2.300 bombe.

Ma non sono i democratici, compresi alcuni alleati del presidente Biden, che ritengono che il governo degli Stati Uniti abbia la responsabilità di non consegnare armi fin quando Israele non si impegnerà seriamente a limitare le vittime civili e a far entrare aiuti a Gaza assediata sull’orlo della carestia? Quelli che chiedono maggiore trasparenza e condivisione nelle decisioni sul sostegno militare a Tel Aviv?

Il senatore statunitense Bernie Sanders ha commentato la notizia criticando l’amministrazione Biden: “Non possiamo dire a Netanyahu di smetterla di bombardare civili e il giorno dopo mandargli migliaia di bombe”.

La notizia dell’invio segue una visita a Washington del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, durante la quale ha chiesto all’amministrazione Biden di accelerare la consegna di armi.

In 175 giorni nella Striscia di Gaza sono state uccise 32.600 persone, di cui 8.850 donne e 13.800 bambini.

Questa mattina a Rmeish, nel sud del Libano, è stato colpito un veicolo delle Nazioni Unite appartenente all’UNIFIL, la forza di interposizione ONU. L’esplosione ha causato almeno quattro feriti. Israele nega di aver effettuato il raid. All’inizio del mese, tuttavia, un drone israeliano ha colpito e distrutto un veicolo proprio nell’area di Naqoura, non lontano da Rmeish, uccidendo 3 persone.

Forze di interposizione ONU presenti in Libano

Sempre a Naqoura, alla fine di ottobre un missile aveva colpito la base militare dell’UNIFIL, senza causare vittime, come nel mese di novembre, quando i colpi di Israele hanno raggiunto invece una delle pattuglie ONU. All’inizio di marzo l’UNIFIL ha presentato la relazione finale dell’inchiesta sull’uccisione in Libano, nell’ottobre 2023, del giornalista di Reuters Issa Abdallah. Il report denuncia la volontà israeliana di colpire deliberatamente i civili presenti lungo il confine, chiaramente identificabili come giornalisti. L’Italia è presente in Libano con un contingente di circa 1.000 soldati. L’UNIFIL è composta da circa 10.000 militari provenienti da 49 diversi Paesi. Pagine Esteri

6183.- A Gaza c’è da ricostruire una società civile. Sono passati solo 6 mesi. Hamas ha liberato tutto l’odio di Israele

Abbiamo condiviso il dolore di Israele, ma siamo sicuri di voler parteggiare per tanta crudeltà?

Voci di Gaza – “Non è rimasto in piedi nemmeno un edificio, tutto è stato spazzato via. Serviranno anni per tornare a una vita normale”. Livelli di distruzione inimmaginabili, indescrivibili. A Gaza si muore di fame. Fare della fame un’arma di guerra è un crimine di guerra dal diritto internazionale. Cosa rimane di Gaza. Non è rimasta una sola strada percorribile, non è rimasto un ospedale, non c’è più nemmeno una scuola. Intere generazioni sono state private dell’educazione, 14.000 bambini sono stati uccisi, i mutilati non si contano e, ora, muoiono per fame perché i valichi sono stati chiusi e nonn siamo capaci di farli riaprire. Il genocidio guarda lontano, al futuro e non ci saranno nuove generazioni di gazesi.

Imminente carestia a Gaza, bambini muoiono per fame

Da Sky, marzo 2024

“I corpi deboli ed emaciati, la pelle secca e sottile, le gambe eccessivamente magre. Sono molti i bambini ricoverati nell’ospedale di Alauda, nel nord della Striscia di Gaza, che portano su di sé i segni evidenti della malnutrizione. Non tutti riescono a sopravvivere. Amvar piange stesa sul corpo senza vita della sua bambina. Per Mila, come si chiamava, non c’è stato nulla da fare. Come lei almeno altri 20. Di molti altri non sapremo mai. Conosciamo, invece, il destino di Yazan, un bambino di dieci anni già affetto da una paralisi cerebrale, che in condizioni spaventose è stato portato all’ospedale al-Najar di Rafah. Neanche Yazan è sopravvissuto. È morto a causa delle complicazioni causate dalla malnutrizione. Se negli ospedali la situazione è questa, per le strade non è meno drammatica, con centinaia di persone in fila per un po’ di cibo, la ressa per un piatto di zuppa. Procurarsi dell’acqua è, se possibile, ancora più complicato. Mohamed ha nove anni, ma compiti che non sono da bambino. Percorre un chilometro e mezzo ogni giorno trascinandosi dietro una sedia rotelle carica di taniche per portare dell’acqua alla sua famiglia. Un altro bambino spezzato da questi mesi di inaudita violenza.”

Il racconto che segue fa parte di una serie di testimonianze raccolte dagli operatori e dai manager di Oxfam a Gaza che ilfattoquotidiano.it ha deciso di pubblicare. L’obiettivo è avere un racconto in prima persona da parte dei civili a Gaza, coloro che in questo momento stanno pagando il prezzo più alto del conflitto.

“Siamo al sesto mese di guerra e non ci stiamo abituando. Non sta diventando più facile”. In questa testimonianza audio proveniente da Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, un’operatrice Oxfam che da mesi è sfollata con la sua famiglia riflette sul futuro e sulle conseguenze, non solo psicologiche, di questi mesi di guerra. “Anche se ci fosse un cessate il fuoco domani, le conseguenze rimarrebbero con noi per molto tempo. Ci vorranno anni per tornare a una parvenza di normalità, non solo dal punto di vista psicologico e di quello che abbiamo sopportato, ma anche a livello di vita quotidiana. Il livello di distruzione è enorme, difficilmente si trova un edificio rimasto in piedi o una strada percorribile”. Servirà molto tempo e molti fondi dedicati solo alla ricostruzione. “Andrà ripensato anche il senso di comunità, che ora si è completamente perso. L’abbandono della propria casa e della propria vita costruita in anni e anni ci ha sradicato da tutto”.

In questi giorni Oxfam ha rinnovato l’appello al governo perché sblocchi i fondi del 2022 all’Unrwa e chieda a Israele l’apertura di nuovi valichi per l’ingresso degli aiuti umanitari. “Le conclusioni del Consiglio europeo del 21 marzo – ha dichiarato Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia – rappresentano un deciso passo in avanti delle posizioni europee su alcuni aspetti decisivi per il futuro di oltre 2 milioni di persone allo stremo a Gaza, superando di gran lunga le ‘timide’ posizioni italiane. Due sono i concetti chiave : il primo è che i servizi forniti dall’Unrwa a Gaza e in tutta la regione sono essenziali. Il secondo è che la Commissione europea, così come altri paesi, hanno già ricominciato a garantire il loro sostegno finanziario alla crisi. Del resto alti funzionari europei, responsabili per gli aiuti umanitari, hanno dichiarato recentemente che non hanno ricevuto prove da parte di Israele circa le accuse rivolte ai dipendenti dell’agenzia Onu. A questo punto cosa aspetta il nostro Governo non solo a sbloccare i soldi promessi nel 2022, ma anche a prevederne per l’immediato uso nella crisi attuale?”

I

6165.- La strategia delle atrocità nella guerra di Gaza

Michael Hochberg e Leonard Hochberg, in questo articolo pubblicato da Gatestone institute e da noi tradotto liberamente, sostengono che l’umanità che distingue il combattente cristiano dalla bestia feroce, avrebbe lasciato il campo all’atrocità. Preferirei una nuova Nurnberg. Riflettiamo.

Da Gatestone Institute, di Michael Hochberg e Leonard Hochberg, 18

Hamas è forse il primo regime nella storia a combattere una guerra progettata per massimizzare le vittime tra la propria popolazione.

Il fallimento nel distruggere rapidamente Hamas e nel punire direttamente i suoi sostenitori in Iran e Qatar insegnerà ai simpatizzanti di altre parti del mondo musulmano che le strategie di atrocità dovrebbero essere aggiunte al programma dei regimi che sfidano gli alleati degli Stati Uniti in tutto il mondo. Ancora peggio sarebbe che Hamas ottenesse effettivamente una vittoria strategica e ottenesse uno stato palestinese; un simile risultato garantirebbe che l’atrocità diventi una strategia standard e ampiamente utilizzata per almeno una generazione a venire.

Le leggi di guerra – principalmente un’innovazione occidentale – vengono utilizzate come armi dai nemici dell’Occidente, che non aderiscono alla cultura occidentale… Oggi, gli Stati Uniti e i nostri alleati si trovano in guerra con stati e non -entità statali che non sottoscrivono le leggi di guerra.

“[I] terroristi di Hamas uccisi da Israele nella guerra che ne seguì, e civili non combattenti uccisi nella Striscia di Gaza mentre venivano usati come scudi umani da Hamas. Sono tutti considerati” Martiri “le cui famiglie hanno diritto a ricevere uno stipendio di 1.400 -12.000 shekel [$375-$3200] al mese per tutta la vita.” — Itamar Marco; Fondatore, Palestine Media Watch, palwatch.org, 10 gennaio 2024.

L’accusa popolare di sproporzionalità è, in realtà, mirata a impedire alle nazioni allineate all’Occidente di ottenere vittorie decisive. Anche quando gli alleati degli Stati Uniti avranno la capacità militare di spezzare la volontà del nemico, imponendo così la pace agli sconfitti, saranno costretti a ricorrere a guerre eterne.

Perché gli israeliani dovrebbero essere costretti a concedere aiuti a Gaza, quando Hamas continua a tenere in ostaggio non solo gli israeliani ma anche gli americani? Con il pretesto di benevolenza e generosità, le organizzazioni internazionali promuovono guerre eterne.

Se si permette al tipo di guerra che abbiamo visto da parte di Hamas di avere successo, e non viene accolta con violenza schiacciante e sconfitta totale, diventerà l’approccio standard per coloro che sfidano il dominio occidentale. Se, tuttavia, vogliamo vivere in un mondo in cui le leggi di guerra significano qualcosa, allora le sanzioni per chi le viola deliberatamente devono essere terribili. Altrimenti più regimi saranno tentati di trarre vantaggio attraverso strategie di atrocità.

  • Gli Stati Uniti dovrebbero smettere di imporre ai nostri alleati la dottrina della sconfitta.
  • Infine, il giorno dopo la fine delle ostilità, gli israeliani devono proteggere il nuovo governo di Gaza dall’essere indebolito dai rinnovati sforzi per sostenere il terrorismo e la rimilitarizzazione.
  • L’unica via verso la pace, oltre alla distruzione di Israele, passa attraverso una vittoria globale di Israele e una resa incondizionata di Hamas a Gaza, e un accordo postbellico che garantisca che gli abitanti di Gaza non saranno più in grado di commettere tali atrocità in Israele.
Hamas è forse il primo regime nella storia a combattere una guerra progettata per massimizzare le vittime tra la propria popolazione. Nella foto: il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen mostra una foto di un soldato israeliano in posa accanto a un deposito di armi di Hamas trovato all’ospedale Rantisi di Gaza, in una conferenza stampa presso l’Ufficio europeo delle Nazioni Unite a Ginevra, il 14 novembre 2023 (Foto di Pierre Albouy/AFP tramite Getty Images)

Le persone dovrebbero essere accarezzate o schiacciate. Se fai loro un danno minore, si vendicheranno; ma se li paralizzi non possono fare nulla. Se devi ferire qualcuno, fallo in modo tale da non dover temere la sua vendetta.” — Niccolò Machiavelli.

Immagina per un momento la seguente storia apparsa sul New York Times:

12 ottobre 2023, Gaza City. In un impeto di rabbia, la popolazione di Gaza è scesa in piazza per protestare contro gli attentati del 7 ottobre, che hanno provocato il crollo del governo di Hamas. I resoconti locali sono confusi, ma sembra che diverse centinaia di funzionari di Hamas siano stati uccisi da folle inferocite di cittadini palestinesi. Si dice che i leader sopravvissuti di Hamas stiano fuggendo da Gaza. Sui social media sono stati pubblicati video non verificati di quella che sembra essere la morte raccapricciante di diversi alti funzionari di Hamas.

Ma non è questa la realtà in cui viviamo.

LEZIONI APPRESE DAL 7 OTTOBRE

A parte la distruzione di Israele, non ci sarà nessuno stato palestinese sovrano a Gaza nel prossimo futuro. Ciò non è dovuto a ciò che Hamas ha fatto il 7 ottobre. Questo perché tali azioni sono avvenute con il sostegno e la collaborazione della popolazione di Gaza, migliaia della quale si è riversata oltre confine per saccheggiare, stuprare e prendere ostaggi al seguito dei terroristi.

Sfortunatamente, parlare di Hamas come di un’entità separata dalla popolazione di Gaza è falso e fuorviante. Ogni indicazione, dai sondaggi d’opinione alle azioni tangibili di gran parte della popolazione di Gaza, indica che le azioni di Hamas sono viste in una luce positiva da molti abitanti di Gaza. Per gli Stati Uniti ricompensare queste azioni con statualità, autonomia o fondi per la ricostruzione sarebbe una totale follia.

Ci sono solo due strade verso una pace duratura tra il popolo palestinese e Israele:

La prima è che i palestinesi ottengano una vittoria militare complessiva, che comporterebbe l’immediato stupro, tortura e omicidio di tutti gli israeliani che non riescono a fuggire.

La seconda è che Israele ottenga una vittoria decisiva e la resa incondizionata di Hamas, a quel punto potrà iniziare il lungo processo di ricostruzione della società di Gaza.

La terza alternativa, e l’opzione predefinita – probabilmente sostenuta dal Qatar, il principale negoziatore per il rilascio degli ostaggi ma anche il principale sostenitore di Hamas e di altri gruppi terroristici (qui e qui) – è una guerra eterna in cui nessuna delle due parti può ottenere la vittoria. Hamas continuerà a impiegare mezzi militari asimmetrici, come attacchi terroristici e lancio di missili contro obiettivi civili, per garantire diversi obiettivi:

In primo luogo, ricordare a tutti i palestinesi che Hamas sta assumendo la guida della distruzione di Israele; secondo, sopravvivere come forza militare; terzo, riaccendere il conflitto con Israele quando, in futuro, si presenterà un’apertura strategica; e, quarto, generare conflitti continui e quindi sofferenze per gli abitanti di Gaza, la cui responsabilità può essere trasferita su Israele nei media internazionali e attraverso organismi internazionali, comprese le Nazioni Unite.

UNA GUERRA DI ATROCITÀ

A Gaza stiamo assistendo a un nuovo e innovativo tipo di guerra combattuta: Hamas è forse il primo regime nella storia a combattere una guerra progettata per massimizzare le vittime tra la propria popolazione. Hamas ha creato una circostanza, attraverso il dispiegamento strategico di atrocità, in cui Israele si è trovato di fronte alla scelta di non rispondere o di rispondere con una forza schiacciante. Il primo comporterebbe il collasso del governo israeliano e gli avversari di Israele lo percepirebbero (correttamente) come devastantemente debole, a causa della riluttanza o dell’incapacità di difendersi. Quest’ultima si tradurrebbe inevitabilmente in una condanna internazionale per gli effetti sui non combattenti di Gaza, con false accuse di “sproporzionalità” e presunte violazioni delle leggi di guerra. La strategia atroce di Hamas è allo stesso tempo brillante e malvagia.

Inizialmente, commentatori e politici israeliani hanno notato una somiglianza con le tattiche di atrocità attuate dall’ISIS (lo Stato islamico in Iraq e Siria). Tuttavia, il legame tra Isis e Hamas è molto più profondo di quanto molti credano. Secondo Ofira Seliktar, studiosa dei fallimenti dell’intelligence, l’Isis e Hamas hanno imparato la strategia dagli stessi manuali. Seliktar ha sostenuto che Hamas

“… sviluppò[ndr] una strategia jihadista basata su due famosi libri jihadisti: Uno, Issues in the Jurisprudence of Jihad … noto anche come Jurisprudence of Blood, o la “bibbia jihadista”, forniva una giustificazione teologica per aver inflitto violenza estrema ai nemici, nonché un elenco di tattiche come decapitare, torturare o bruciare vivi i prigionieri. Il secondo libro, Management of Savagery, esortava [gli jihadisti] a commettere atrocità che attiravano l’attenzione per attirare reclute e seminare paura nei cuori del nemico.”

Inoltre, il fatto che Hamas “incorpori” i suoi combattenti tra i civili residenti a Gaza, utilizzando di fatto i palestinesi come scudi umani – un’altra atrocità – è giustificato dai principi della guerra asimmetrica. Secondo Seliktar, la descrizione fornita dai media del rapporto tra Hamas e i residenti è sbagliata

“… si limitava principalmente alla descrizione delle sofferenze…. La dottrina dell’IRGC-QF [Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica Iranica – Forza Quds] dell’uso di scudi umani era basata sul principio coranico della guerra del generale di brigata S. K. Malik. Adattato ai conflitti asimmetrici, stabiliva che l’inserimento tra i non combattenti potesse livellare il campo di gioco quando si affrontavano eserciti occidentali obbligati a seguire le leggi umanitarie della guerra.

GUERRA ASIMMETRICA E LEGGI DI GUERRA

Le leggi di guerra – principalmente un’innovazione occidentale – vengono utilizzate come armi dai nemici dell’Occidente, che non aderiscono alla cultura occidentale. Le leggi di guerra hanno un certo senso quando esiste un consenso culturale tra i potenziali combattenti sull’esistenza di un insieme minimo di standard per la condotta della guerra. Ma senza un terzo sovrano indipendente che possa far rispettare le regole sulle potenze combattenti, tali leggi di guerra saranno valide solo nella misura in cui i leader scelgono di obbedirle e garantire che i loro stessi soldati le rispettino. Quando uno Stato che sottoscrive il concetto di diritti umani e restrizioni militari è in guerra con un’organizzazione che non riconosce tali restrizioni, la bilancia dei vantaggi va alla parte che non riconosce limiti, a meno che non vi sia qualche beneficio esogeno associato all’adesione al concetto di diritti umani e restrizioni militari. leggi di guerra e norme accettate in materia di diritti umani.

Oggi gli Stati Uniti e i nostri alleati si trovano in guerra con stati ed entità non statali che non sottoscrivono le leggi di guerra. Anche se alcuni hanno firmato i relativi trattati, la loro leadership ha dimostrato una profonda mancanza di interesse nel far rispettare le leggi pertinenti riguardanti i propri soldati. Ad esempio, la Russia, durante l’invasione dell’Ucraina, ha commesso una serie infinita di atrocità e crimini di guerra e ha deliberatamente preso di mira i civili. Gli obiettivi russi sembrano includere il terrore della popolazione civile per sottometterla e la cancellazione dell’identità ucraina nelle aree occupate.

Ciò che è ancora peggio è che, in alcuni casi, il nucleo della legittimità dei regimi avversari si fonda su un’agenda che contravviene ai presupposti su cui si fondano le leggi di guerra. L’obiettivo esplicito e dichiarato di Hamas è la distruzione di Israele e la morte di tutti gli ebrei in tutto il mondo (qui, qui e qui).

Hamas, l’ISIS e persino l’Autorità Palestinese (AP) non riconoscono alcuna distinzione significativa tra civili e combattenti, né tra i loro nemici, né all’interno delle loro stesse popolazioni. Come sottolinea Itamar Marcus, fondatore di Palestine Media Watch:

“Ciò che risulta chiaro sia dai nuovi annunci dell’Autorità Palestinese che dalla politica passata è che l’Autorità Palestinese non fa differenza tra i terroristi di Hamas che hanno commesso atrocità dopo aver invaso Israele il 7 ottobre, i terroristi di Hamas uccisi da Israele nella guerra che ne seguì, e i civili non combattenti. uccisi nella Striscia di Gaza mentre venivano usati come scudi umani da Hamas. Sono tutti considerati “martiri” le cui famiglie hanno diritto a ricevere uno stipendio di 1.400-12.000 shekel [$ 375 – $ 3.215] al mese per tutta la vita.”

Questa distinzione tra combattenti e civili è un concetto chiave nella moderna comprensione di ciò che costituisce uno stato-nazione. Quale moderazione è giustificata in una guerra, provocata da un attacco terroristico contro una società liberal-democratica e pluralistica, verso un regime che celebra l’omicidio, lo stupro di massa, il rapimento e ogni immaginabile sapore di ferocia e terrore? La risposta è tragicamente semplice: le leggi di guerra sono state progettate per affrontare i conflitti tra stati che riconoscono una chiara distinzione tra combattenti e civili.

Se a organizzazioni come Hamas fosse permesso di nascondersi “tra la gente” e di ottenere la vittoria violando le regole accettate della guerra civile, allora le regole della guerra civile diventerebbero niente più che un’arma intellettuale schierata contro l’Occidente, impedendo a quest’ultimo di agire. difendendo le sue istituzioni e la sua cultura e, infine, portandolo alla sconfitta.

LA DOTTRINA DELLA PROPORZIONALITÀ

La proporzionalità – uno dei principi chiave delle leggi di guerra – è un termine ampiamente frainteso. Esiste un’intesa popolare e una tecnica, giuridica. Secondo un annuncio disponibile su un sito web di West Point:

“La proporzionalità gioca un ruolo chiave nel diritto internazionale umanitario (DIU). È essenziale per regolare la condotta delle ostilità, richiedendo che il danno accidentale atteso non sia eccessivo rispetto al vantaggio militare previsto….”

Lord Guglielmo Verdirame, in the UK House of Lords, articulated the legal doctrine of proportionality clearly and succinctly:

“Proporzionalità non significa che la forza difensiva debba essere uguale all’attacco. Significa che è possibile usare la forza in modo proporzionato all’obiettivo difensivo: fermare, respingere e prevenire ulteriori attacchi. Gli obiettivi di guerra di Israele sono coerenti con la proporzionalità prevista dalla legge dell’autodeterminazione. -difesa.”

Verdirame suggerisce che la legittimità del vantaggio militare che uno stato cerca di assicurarsi dipende dai suoi obiettivi di guerra mentre si impegna nell’autodifesa. Quali sono gli obiettivi di guerra ufficiali di Israele?

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato, in una recente intervista, che gli obiettivi di guerra di Israele sono: “Uno, distruggere Hamas. Due, liberare gli ostaggi… Tre, garantire che Gaza non costituisca mai più una minaccia per Israele”. Dato che la leadership di Hamas sta già minacciando una serie di ulteriori attacchi (qui e qui), è chiaro che la forza dispiegata finora da Israele non ha ancora consentito loro di raggiungere i loro obiettivi di guerra.

Tuttavia, nell’immaginazione popolare, la dottrina della proporzionalità ha lo scopo di impedire agli Stati di usare una forza schiacciante e di arrecare danni eccessivi ai non combattenti. I media mainstream hanno alimentato l’idea che Israele abbia commesso crimini di guerra uccidendo presumibilmente 30.000 abitanti di Gaza, mentre solo 1.300 persone – israeliane, francesi, americane e cittadini di altri paesi – sono state uccise il 7 ottobre. è fornito da un’agenzia del governo di Gaza gestita da Hamas; e il numero non fa distinzione tra terroristi di Hamas e non combattenti. La stampa popolare sostiene che il numero “sproporzionato” di morti significa che i crimini di guerra devono essere stati commessi da Israele.

Consideriamo il Giappone e la Germania alla fine della seconda guerra mondiale: circa il 6-12% della loro popolazione totale era stata uccisa, e molte di più ferite, prima che fosse raggiunta la resa incondizionata. Al contrario, solo lo 0,32% della popolazione americana è stata uccisa. Una campagna simile oggi comporterebbe un numero di vittime dieci volte superiore a quello riportato a Gaza, forse 300.000 o più.

Questi confronti sollevano il problema della proporzionalità dei risultati, ma c’è un altro problema: la proporzionalità date le diverse capacità militari. Alcuni sostengono che Israele, a causa della sua forza comparativa, ha la responsabilità di attaccare solo Hamas ed evitare danni alla popolazione civile che Hamas usa come scudi umani. Tali affermazioni popolari equivalgono alla dottrina secondo cui una parte lesa in un conflitto, essendo stata accecata da un occhio da un nemico, può cercare solo un danno uguale, “occhio per occhio”. Tale logica non ha alcun fondamento nel diritto internazionale o nel diritto di guerra e produrrebbe risultati assurdi: un omicidio per un omicidio, una mutilazione per una mutilazione, una decapitazione per una decapitazione, uno stupro per uno stupro.

L’effetto immediato di questa dottrina colloquiale della “proporzionalità” definita in modo confuso è quello di delegittimare la guerra di Israele contro Hamas. Ma l’effetto a lungo termine è qualcosa di completamente diverso: l’accusa popolare di sproporzionalità è, in realtà, mirata a impedire alle nazioni allineate all’Occidente di ottenere vittorie decisive. Anche quando gli alleati degli Stati Uniti avranno la capacità militare di spezzare la volontà del nemico, imponendo così la pace agli sconfitti, saranno costretti a ricorrere a guerre eterne.

L’accusa di sproporzionalità non è che una delle accuse di crimini di guerra mosse contro Israele e le Forze di Difesa Israeliane. La Corte internazionale di giustizia dell’Aia, le organizzazioni non governative (ONG) e persino il governo degli Stati Uniti, alleato di Israele, stanno indagando sulle accuse di crimini di guerra israeliani, quando, secondo quanto riferito, Israele ha fatto più di qualsiasi altro esercito per ridurre al minimo i danni ai civili . Queste accuse tuttavia includono, tra le altre: genocidio contro i palestinesi, pulizia etnica, punizione collettiva, negazione degli aiuti umanitari, uccisione indiscriminata di civili e incapacità di fornire un adeguato avvertimento di un attacco imminente. Israele risponderà senza dubbio sia alle accuse formali che alle accuse dei media.

La portata dell’indiscussa distruzione e della tragedia umana a Gaza ha suscitato un’attenzione drammatica e incessante da parte dei media, che ha conseguenze strategiche significative e immediate sia per Israele che per Hamas. L’uso diffuso dei social media si traduce nella trasmissione rapida e di vasta portata di notizie e propaganda, con testi, immagini e video, progettati e ottimizzati per promuovere indignazione e polarizzazione, trasmessi a miliardi di persone in tutto il mondo. Allo stesso modo, la scelta di Israele di limitare la copertura mediatica e la pubblicazione delle immagini e dei video delle atrocità di Hamas del 7 ottobre e delle loro conseguenze ha avuto effetti significativi sulla percezione di Israele e degli attacchi stessi (qui, qui e qui).

Il primo incidente ad attirare l’ampia attenzione dei media è stato quando un giornalista della British Broadcasting Company (BBC) ha indicato che un’esplosione fuori da un ospedale nel nord di Gaza il 18 ottobre 2023 era stata il risultato di un attacco israeliano:

“L’esercito israeliano… ha detto che sta indagando, ma è difficile vedere cos’altro potrebbe essere, in realtà, data la dimensione dell’esplosione, oltre a un attacco aereo israeliano, o diversi attacchi aerei.”

Entro un’ora dall’attacco, il ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas, ha stimato il bilancio delle vittime a 500; la BBC ha fatto eco a questa affermazione indicando che il numero dei morti era di centinaia. Il 19 ottobre 2023, la BBC ha ritirato le sue accuse. Nel commentare questi avvenimenti, il Signore Guglielmo Verdirami ha affermato:

“Quando viene fatta un’accusa seria, in particolare quella che potrebbe costituire un crimine di guerra, la risposta immediata del belligerante rispettoso della legge sarà quella di dire: ‘Stiamo indagando.'”

Il belligerante che non rispetta la legge, al contrario, incolperà immediatamente l’altra parte e fornirà anche cifre sorprendentemente precise sulle vittime. Il dovere di indagare è uno dei compiti più importanti nei conflitti armati. Quello che è successo nel modo in cui è stato riportato lo sciopero all’ospedale è che la parte che non ha mostrato alcun interesse a rispettare le leggi sui conflitti armati è stata premiata con i titoli dei giornali che cercava.

Il resoconto irresponsabile della BBC, accompagnato dalle immagini del luogo dell’esplosione, è stato indagato, smentito e ripudiato da Israele e dai governi occidentali. Hanno stabilito che l’esplosione è stata causata da un razzo lanciato dall’interno di Gaza dalla Jihad islamica palestinese.

Amnesty International ha insistito il 20 ottobre 2023 sul fatto che la sua ricerca ha rivelato che le Forze di difesa israeliane (IDF) non sono riuscite a notificare ai civili la sua intenzione di attaccare le abitazioni nella densamente popolata Gaza, provocando la morte di famiglie palestinesi. Il titolo del post catturava l’intento dell’organizzazione: “Prove schiaccianti di crimini di guerra mentre gli attacchi israeliani sterminano intere famiglie a Gaza”. Inoltre, Amnesty International ha affermato che Israele non aveva permesso loro di entrare a Gaza per missioni conoscitive, suggerendo così che Israele stava nascondendo qualcosa piuttosto che che Amnesty potesse non agire in buona fede.

Prima di accettare acriticamente tali accuse, ciò che dovremmo apprezzare sono i dati comparativi che collocano la distruzione di Gaza da parte di Israele nel perseguimento dei suoi obiettivi di guerra nel contesto storico. Secondo John Spencer, titolare della cattedra di studi sulla guerra urbana presso il Modern War Institute dell’Accademia militare degli Stati Uniti (West Point), la guerra a Gaza non è paragonabile a nessun altro conflitto della storia moderna, in particolare per l’inclusione sistemica dei guerrieri di Hamas e del materiale bellico all’interno e al di sotto di case private, ospedali, scuole, moschee e strutture dell’UNWRA. Tale inclusione è, di per sé, un crimine di guerra.

“La verità”, sostiene Spencer, “è che Israele ha seguito scrupolosamente le leggi dei conflitti armati e ha implementato molte misure per prevenire vittime civili….” Egli paragona il numero di vittime a Gaza con il numero devastante e schiacciante di vite umane persi in altre battaglie urbane moderne – a Mariupol, in Cecenia, in Siria, a Dresda, a Tokyo, a Manila e a Mosul.

Un’implicazione inequivocabile dell’analisi di Spencer è che Israele è tenuto a uno standard di comportamento diverso e più esigente rispetto a Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti – tre potenze che avevano deciso nel 1945 di evitare guerre per sempre cercando la vittoria, anche se devastante. costo per i loro avversari.

HAMAS E LA FINE DELLE GUERRE PER SEMPRE

Hamas fornisce un eccellente esempio di guerra eterna: ha funzionato per quasi 20 anni come governo a Gaza, esercitando il monopolio locale sulla violenza in un territorio specifico. Dal 2006, ogni periodo di relativa pace a Gaza è stato utilizzato da Hamas come un’opportunità per riarmarsi e prepararsi per la successiva serie di attacchi. Nei mesi precedenti il 7 ottobre, Hamas è rimasta relativamente tranquilla, per infondere agli israeliani un senso di sicurezza, mentre si preparavano a lanciare un attacco devastante. Molte élite politiche e leadership militari in Israele credevano in quella che si rivelò una speranza ingiustificata: che attraverso l’impegno economico (qui, qui e qui), Gaza sarebbe diventata più prospera, gli abitanti di Gaza avrebbero abbandonato la loro bellicosità a favore di una crescita verso l’alto. mobilità e che Hamas si stava dedicando completamente al governo. Altri avrebbero potuto sperare che la retorica genocida di Hamas fosse una forma di atteggiamento politico. Purtroppo, non avrebbero potuto sbagliarsi di più.

La leadership di Hamas capisce chiaramente di non avere la forza delle armi o il sostegno esterno necessari per sconfiggere Israele in qualsiasi conflitto intrapreso nell’ambito delle leggi di guerra. Invece, Hamas si impegna in attacchi terroristici che sembrano intenzionati a esigere risposte che provocheranno dispiacere e divisione tra i sostenitori occidentali di Israele. Ciò rafforza la posizione di Hamas all’interno del mondo musulmano, sottoponendo al tempo stesso i cittadini di Gaza alle terribili conseguenze di una guerra che Hamas non può vincere, ma che a volte sembra che l’Occidente non voglia che Hamas perda.

La popolazione palestinese è stata sostenuta da un’agenzia delle Nazioni Unite, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA). I palestinesi, a differenza di altre nazioni, popoli o gruppi etnici, hanno un’agenzia esclusiva delle Nazioni Unite dedicata al loro benessere, ma ad accompagnare questo privilegio ci sono delle restrizioni: ai palestinesi non è consentito reinsediarsi come cittadini nelle popolazioni dei paesi ospitanti. I palestinesi che vivono in Giordania, Libano e Siria da tre generazioni vengono trattati come non cittadini apolidi e non possono per legge lavorare o integrarsi nei loro nuovi paesi d’origine. Ancora oggi, l’Egitto tiene le porte chiuse (in assenza di massicce tangenti o influenza politica) ai palestinesi che cercano di fuggire dalla zona di guerra.

Fornire assistenza sociale a questi rifugiati mantiene una popolazione scoraggiata, piena di odio e in espansione mobilitata allo scopo di terrorizzare contro Israele. Dato che la leadership dei campi profughi, Hamas, Jihad islamica e persino Fatah (qui, qui e qui) sono tutti impegnati nella distruzione di Israele, la domanda profonda è questa: perché le popolazioni che hanno sostenuto tali organizzazioni dovrebbero , e che rifiutandosi di rispettare le leggi di guerra, ricevono benefici dalle Nazioni Unite e dalle istituzioni occidentali? Perché gli israeliani dovrebbero essere costretti a concedere aiuti a Gaza, quando Hamas continua a tenere in ostaggio non solo gli israeliani ma anche gli americani? Con il pretesto di benevolenza e generosità, queste organizzazioni internazionali promuovono guerre eterne.

Al contrario, dopo la seconda guerra mondiale, gli Alleati erano temuti in gran parte perché dimostravano la volontà di usare una forza schiacciante per ottenere la vittoria. Anche se non hanno preso di mira deliberatamente i civili, non hanno esitato a intraprendere azioni che avrebbero senza dubbio provocato un gran numero di vittime civili, al fine di distruggere obiettivi militari legittimi e minare la volontà dei loro avversari di continuare a combattere. Tali azioni sono state una parte necessaria per ottenere la vittoria nella maggior parte delle guerre nel corso della storia umana.

I regimi liberal-democratici del mondo non possono accettare di essere ostacolati dal concetto popolare di proporzionalità, applicato in modo asimmetrico agli avversari che non riconoscono tale limitazione. L’uso di una forza schiacciante per ottenere la vittoria porta a guerre che effettivamente finiscono, anziché trascinarsi all’infinito. I regimi che sostengono il terrorismo, che hanno programmi esplicitamente genocidi e che non riescono a riconoscere la distinzione tra civili e combattenti, devono essere attaccati e distrutti con tutta la forza delle armi occidentali. Qualsiasi appello da parte loro alla moderazione o alle leggi di guerra dovrebbe essere basato sul loro esplicito disconoscimento e applicazione sia degli obiettivi genocidi che dei mezzi terroristici per raggiungere tali fini.

VITTORIA DECISIVA E RESA INCONDIZIONATA

Le distinzioni tra civili e combattenti sono esplicitamente un artefatto della cultura strategica occidentale. Gli avversari dell’Occidente oggi non condividono questa cultura strategica e hanno i propri modi di guerra, del tutto distinti. Nella misura in cui si conformano alle idee occidentali sulla guerra limitata, sui diritti umani o sulle distinzioni tra civile e militare, è perché temono le conseguenze di una risposta da parte degli Stati Uniti. Perfino l’egemonia americana si è rivelata insufficiente per fermare Srebrenica, Xinjiang, Darfur, Grozny o altri massacri troppo numerosi per essere menzionati.

Qual è il risultato di questi casi di atrocità avviate dal governo? Quando un regime che non riconosce una distinzione tra civili e combattenti si impegna nel terrorismo, quel governo, con ogni probabilità, utilizzerà il proprio popolo come scudi umani, ostaggi o sacrifici umani al fine di generare simpatia tra la popolazione dei suoi nemici. I non combattenti che hanno scelto e sostenuto un tale governo hanno creato una circostanza in cui, affinché l’ordine internazionale basato sulle regole sopravviva, il governo deve essere distrutto.

Se si permette al tipo di guerra che abbiamo visto da parte di Hamas di avere successo, e non viene accolta con violenza schiacciante e sconfitta totale, diventerà l’approccio standard per coloro che sfidano il dominio occidentale. Se, tuttavia, vogliamo vivere in un mondo in cui le leggi di guerra significano qualcosa, allora le sanzioni per chi le viola deliberatamente devono essere terribili. Altrimenti più regimi saranno tentati di trarre vantaggio attraverso strategie di atrocità.

Gli Stati Uniti dovrebbero smettere di imporre ai nostri alleati la dottrina della sconfitta. Anche se i civili non dovrebbero essere presi di mira deliberatamente, i nostri alleati dovrebbero essere incoraggiati a usare una forza schiacciante per ottenere vittorie rapide e decisive sui regimi che promuovono le atrocità. Le vittime civili, in una circostanza del genere, sono sia deplorevoli che inevitabili.

Gli Stati Uniti dovrebbero sostenere Israele per ottenere una vittoria decisiva a Gaza. Cosa significa una vittoria decisiva? La resa incondizionata di Hamas.

Chiunque abbia partecipato agli eventi del 7 ottobre, chiunque abbia trasmesso ordini e chiunque abbia fornito sostegno materiale deve essere ucciso, oppure catturato e processato. Lo stesso vale per chiunque sia coinvolto nella cattura, detenzione o abuso degli ostaggi. Chiunque sia stato impegnato con il regime di Hamas come amministratore, politico o esattore delle tasse deve essere detenuto, interrogato e chiamato a rispondere di qualsiasi azione abbia sostenuto l’invasione del 7 ottobre. Alla fine di questa guerra, i militari e i politici i leader responsabili di quegli attacchi avrebbero dovuto essere uccisi in battaglia, processati per la loro complicità in crimini di guerra, o dovrebbero fuggire per salvarsi la vita, come la leadership del partito nazista dopo la seconda guerra mondiale. Inoltre, tutte le organizzazioni internazionali complici di Hamas non dovrebbero più avere alcun ruolo nel governo o nel sostegno di Gaza, in particolare l’UNRWA.

In particolare, anche il governo del Qatar, che “sostiene tutte le organizzazioni terroristiche islamiste (ISIS, Al-Qaeda, Talebani, Hamas e Hezbollah)” (qui e qui) e fornisce un rifugio sicuro alla leadership di Hamas, dovrebbe essere ritenuto responsabile . L’Iran, che finanzia e dirige i gruppi terroristici in tutto il Medio Oriente e oltre, deve essere sanzionato, contenuto e minacciato con l’uso credibile di una forza devastante per il suo ruolo. Infine, il giorno dopo la fine delle ostilità, gli israeliani devono proteggere il nuovo governo di Gaza dall’essere indebolito dai rinnovati sforzi per sostenere il terrorismo e la rimilitarizzazione.

IL GIORNO DOPO LA RESA INCONDIZIONATA: “CONQUISTARE” LA PACE

Gli israeliani dovranno compiere uno sforzo significativo per deradicalizzare la popolazione di Gaza nelle prossime due generazioni. Dovranno istituire un regime che governi per loro conto, anche se gli abitanti di Gaza senza dubbio considereranno questi politici come dei Quisling. Imponendo un governo che tenti almeno di far rispettare i diritti civili fondamentali – accesso al controllo delle nascite, libertà di religione, libertà di parola, sicurezza della proprietà privata, equa giustizia secondo la legge – e un programma educativo inteso a deradicalizzare il popolazione, forse superiore a 50 anni o più – è possibile ottenere una sorta di sistemazione duratura. Nel frattempo, il meglio che si può sperare è sicurezza e stabilità. Nessun attore esterno può far sì che ciò accada. L’alternativa è una guerra eterna. L’unica via verso la pace, oltre alla distruzione di Israele, passa attraverso una vittoria globale di Israele e una resa incondizionata di Hamas a Gaza, e un accordo postbellico che garantisca che gli abitanti di Gaza non saranno più in grado di commettere tali atrocità in Israele.

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Michael Hochberg ha conseguito il dottorato in fisica applicata al Caltech ed è attualmente visiting fellow presso il Center for Geopolitics dell’Università di Cambridge. È il presidente di Periplous LLC, che fornisce servizi di consulenza su strategia, tecnologia e progettazione organizzativa.

6159.- Nave Duilio è stata mandata in una missione di guerra, non di pace. La favola è già finita


Italia in guerra nel Mar Rosso – Perché la favola della missione difensiva è già finita

Alta tensione con gli Houthi titolava a 6 colonne ieri Il Corriere in prima pagina; “La nave Duilio abbatte altri due droni nel Mar Rosso” e “i ribelli minacciano: l’Italia sta con i nemici”. Secondo Davide Frattini, “tutte le imbarcazioni che transitano al largo delle coste yemenite sono nel mirino del gruppo sciita” e “Così, nella volontà degli estremisti l’offensiva a Gaza contro Hamas diventa globale”; notare i termini: quello di Gaza non solo non è un massacro e, tantomeno, un genocidio, ma non è manco una guerra vera e propria. E’ un’offensiva: l’offensiva dei moderati ai quali si contrappongono gli estremisti che, ovviamente, non sono altro che un proxy di forze ancora più oscure perché chi mai, nel pieno possesso delle sue facoltà, deciderebbe di sua sponte di provare a ostacolare l’arrivo in Israele delle armi che usano per sterminare i bambini palestinesi? Queste forze oscure, ovviamente, in primo luogo sono l’Iran che, da dietro le quinte, “muove le sue armate per procura”, un tassello importante della propaganda suprematista che non sta né in cielo, né in terra e non è che lo diciamo noi: lo dice pure il Corriere stesso; basta girare pagina. “La milizia non ha vincoli” si legge “ed è autonoma dall’Iran”: a sottolinearlo non è esattamente un pasdaran del nuovo ordine multipolare, ma l’ultra atlantista Guido Olimpo che, sebbene ricordi – giustamente – che “è innegabile l’importanza del vincolo bellico con i pasdaran”, ha comunque un raro sprazzo di lucidità e sottolinea come “è opinione condivisa che il vertice Houthi abbia autonomia di scelta”.
Una lucidità che, evidentemente, manca al buon Davide Frattini che rilancia, perché – oltre all’Iran – c’è un’altra forza oscura dietro ai pupazzi yemeniti, la più oscura di tutte le forze oscure: il plurimorto dittatore sanguinario Vladimir Putin; “Il blocco di fatto dei traffici verso il canale di Suez”, sottolinea infatti Frattini l’irriducibile, “ha rilanciato i trasporti via terra lungo le ferrovie russe” che, essendo la Russia un sanguinario regime autarchico, ovviamente, sono “monopolio di proprietà dello Stato”. Ed ecco così che il cerchio si chiude e quegli estremisti degli Houthi, alla fine, commettono un crimine in prima persona e ne sostengono un altro indirettamente perché “Ogni vagone che passa sopra quei binari va a finanziare l’invasione dell’Ucraina”: come si fa a non prendere orgogliosamente parte a questo ennesimo capitolo della lunga guerra del Bene occidentale contro il Male del resto del mondo?
La notizia dell’aumento del traffico merci sui binari russi dall’inizio della crisi del Mar Rosso, riportata da Frattini, arriverà dal Financial Times: i vari operatori, scrive la testata britannica, avrebbero in effetti parlato di aumenti dal 30 al 40%. Ma c’è un piccolo dettaglio che a Frattini, evidentemente, è sfuggito: “I volumi mensili sulla rotta” riporta infatti il Financial Times “sono diminuiti dopo l’invasione e rappresentano ancora meno della quantità trasportata da una singola grande nave portacontainer moderna”; un altro capitolo della lunga saga dell’odio viscerale dei giornalisti di colonia Italia verso i numeri e la logica matematica. Secondo Frattini, la Russia spingerebbe verso un’escalation potenzialmente devastante per spostare il traffico di mezza nave container: quando si dice il giornalismo basato sui dati; la guerra del bene contro il male comunque, continua Frattini, potrebbe essere solo all’inizio perché “L’asse della resistenza, come si autodefinisce, adesso spera che il mese più sacro per i musulmani” e, cioè, il periodo di Ramadan iniziato domenica scorsa “spinga ad aprire altri fronti contro Israele”. Pensate, addirittura, che vorrebbero incitare “proteste violente a Gerusalemme e in Cisgiordania”: cosa c’avranno mai da protestare lo sanno solo loro e i loro cattivi maestri di Teheran e Mosca… Per fortuna che ci sono gli USA: guidati da spirito di sacrificio, infatti, “Gli americani continuano a negoziare un’intesa per la liberazione”, da un lato, di “un centinaio di ostaggi” sequestrati senza motivo dai crudeli “terroristi” e, dall’altro, di “detenuti palestinesi” ai quali, invece, vengono garantiti tutti i diritti e che, quasi quasi, stanno meglio in carcere che nei loro villaggetti di selvaggi, tant’è che ora nelle carceri israeliane ci vogliamo mandare anche i palestinesi residenti in Italia.

Italia in guerra nel Mar Rosso – Perché la favola della missione difensiva è già finita

Di Fabrizio Micheli

Alta tensione con gli Houthi titolava a 6 colonne ieri Il Corriere in prima pagina; “La nave Duilio abbatte altri due droni nel Mar Rosso” e “i ribelli minacciano: l’Italia sta con i nemici”. Secondo Davide Frattini, “tutte le imbarcazioni che transitano al largo delle coste yemenite sono nel mirino del gruppo sciita” e “Così, nella volontà degli estremisti l’offensiva a Gaza contro Hamas diventa globale”; notare i termini: quello di Gaza non solo non è un massacro e, tantomeno, un genocidio, ma non è manco una guerra vera e propria. E’ un’offensiva: l’offensiva dei moderati ai quali si contrappongono gli estremisti che, ovviamente, non sono altro che un proxy di forze ancora più oscure perché chi mai, nel pieno possesso delle sue facoltà, deciderebbe di sua sponte di provare a ostacolare l’arrivo in Israele delle armi che usano per sterminare i bambini palestinesi? Queste forze oscure, ovviamente, in primo luogo sono l’Iran che, da dietro le quinte, “muove le sue armate per procura”, un tassello importante della propaganda suprematista che non sta né in cielo, né in terra e non è che lo diciamo noi: lo dice pure il Corriere stesso; basta girare pagina. “La milizia non ha vincoli” si legge “ed è autonoma dall’Iran”: a sottolinearlo non è esattamente un pasdaran del nuovo ordine multipolare, ma l’ultra atlantista Guido Olimpo che, sebbene ricordi – giustamente – che “è innegabile l’importanza del vincolo bellico con i pasdaran”, ha comunque un raro sprazzo di lucidità e sottolinea come “è opinione condivisa che il vertice Houthi abbia autonomia di scelta”.
Una lucidità che, evidentemente, manca al buon Davide Frattini che rilancia, perché – oltre all’Iran – c’è un’altra forza oscura dietro ai pupazzi yemeniti, la più oscura di tutte le forze oscure: il plurimorto dittatore sangunario Vladimir Putin; “Il blocco di fatto dei traffici verso il canale di Suez” sottolinea infatti Frattini l’irriducibile “ha rilanciato i trasporti via terra lungo le ferrovie russe” che, essendo la Russia un sanguinario regime autarchico, ovviamente, sono “monopolio di proprietà dello Stato”. Ed ecco così che il cerchio si chiude e quegli estremisti degli Houthi, alla fine, commettono un crimine in prima persona e ne sostengono un altro indirettamente perché “Ogni vagone che passa sopra quei binari va a finanziare l’invasione dell’Ucraina”: come si fa a non prendere orgogliosamente parte a questo ennesimo capitolo della lunga guerra del Bene occidentale contro il Male del resto del mondo?
La notizia dell’aumento del traffico merci sui binari russi dall’inizio della crisi del Mar Rosso, riportata da Frattini, arriverà dal Financial Times: i vari operatori, scrive la testata britannica, avrebbero in effetti parlato di aumenti dal 30 al 40. Ma c’è un piccolo dettaglio che a Frattini, evidentemente, è sfuggito: “I volumi mensili sulla rotta” riporta infatti il Financial Times “sono diminuiti dopo l’invasione e rappresentano ancora meno della quantità trasportata da una singola grande nave portacontainer moderna”; un altro capitolo della lunga saga dell’odio viscerale dei giornalisti di colonia Italia verso i numeri e la logica matematica. Secondo Frattini, la Russia spingerebbe verso un’escalation potenzialmente devastante per spostare il traffico di mezza nave container: quando si dice il giornalismo basato sui dati; la guerra del bene contro il male comunque, continua Frattini, potrebbe essere solo all’inizio perché “L’asse della resistenza, come si autodefinisce, adesso spera che il mese più sacro per i musulmani” e, cioè, il periodo di Ramadan iniziato domenica scorsa “spinga ad aprire altri fronti contro Israele”. Pensate, addirittura, che vorrebbero incitare “proteste violente a Gerusalemme e in Cisgiordania”: cosa c’avranno mai da protestare lo sanno solo loro e i loro cattivi maestri di Teheran e Mosca… Per fortuna che ci sono gli USA: guidati da spirito di sacrificio, infatti, “Gli americani continuano a negoziare un’intesa per la liberazione”, da un lato, di “un centinaio di ostaggi” sequestrati senza motivo dai crudeli “terroristi” e, dall’altro, di “detenuti palestinesi” ai quali, invece, vengono garantiti tutti i diritti e che, quasi quasi, stanno meglio in carcere che nei loro villaggetti di selvaggi, tant’è che ora nelle carceri israeliane ci vogliamo mandare anche i palestinesi residenti in Italia.

Anan Yaeesh

E’ l’incredibile caso di Anan YaeeshIl terrorista palestinese vezzeggiato da sinistra e 5scome titolano i paladini del garantismo del Giornanale – un garantismo che vale solo per la razza ariana e per i redditi da 100 mila euro in su; sulla testa di Yaeesh, infatti, incombe una richiesta di estradizione da parte del regime fondato sull’apartheid di Tel Aviv, che il procuratore ha deciso di fare sua: Yaeesh sarebbe accusato di aver collaborato con le Brigate Tulkarem in attività che avrebbero “finalità terroristiche” che, per gli israeliani, significa qualsiasi cosa che uno fa per resistere alla pulizia etnica. L’articolo 3 della CEDU, ovviamente, impedirebbe di consegnare una persona a un paese che pratica la tortura, ma siccome Israele è una l’unica democrazia del Medio Oriente, lì la tortura la chiamano metodi avanzati di interrogatorio e alla propaganda suprematista a sostegno del genocidio tanto basta. Tornando all’articolo di Frattini, bisogna concedergli che anche lui, a un certo punto, ammette che “La situazione per la popolazione di Gaza continua ad essere disastrosa”; peccato la colpa sia tutta di Hamas che non solo, con il suo pogrom ingiustificato del 7 ottobre, ha scatenato l’offensiva dei pacifici israeliani, ma ora ostacola anche l’arrivo degli aiuti a 2 stelle Michelin: grazie anche al supporto della sempre generosissima Unione Europea, infatti, è stato stabilito un corridoio marittimo che da Cipro sfocia direttamente in un nuovo molo in costruzione al nord di Gaza ed è qui che sbarcheranno gli aiuti della “World Central Kitchen, l’organizzazione creata dallo chef ispano – americano José Andrés”: volevano il pane; gli abbiamo dato la cucina molecolare (e si lamentano pure). In questo contesto, scrive il Giornanale, “essere sullalavagna nera delle milizie finanziate dall’Iran costituisce un motivo di orgoglio”.
Alcuni, infatti, si limitano a parlare di autodifesa della nostra Caio Duilio, ma – ovviamente – in ballo qui c’è molto di più: lo rivendica con orgoglio l’ammiraglio Luigi Mario Binelli Mantelli Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, già capo di stato maggiore della marina militare: “Finiamola di parlare di autodifesa” avrebbe affermato al Giornanale; “qui difendiamo gli interessi europei e nazionali” e per difenderli adeguatamente, le regole d’ingaggio, che prevedono una missione meramente difensiva, cominciano già a stare strette. “Le informazioni della Caio Duilio” sottolinea, infatti, Rinaldo Frignani sempre sul Corriere della Serva “comprendono la posizione di chi lancia e manovra i droni” e – indovina indovinello – “vengono comunicate agli alleati, come gli USA, che potrebbero usarle”; così, en passant, come se nulla fosse, Frignani ammette candidamente che la nostra Aspides non è ancora iniziata e già la favoletta della missione difensiva non regge più: la nostra presenza nel Mar Rosso è, a tutti gli effetti, parte della missione offensivadei padroni a stelle e strisce, che continua ad allargarsi.
All’alba di martedì, infatti, Ansar Allah avrebbe preso di mira il cargo americano Pinocchiocon una serie di missili: nel gioco delle tre carte che le portacontainer legate a Israele stanno cercando di fare dall’inizio delle operazioni di Ansar Allah per dissimulare i loro legami con il genocidio, la nave risultava battere bandiera liberiana e legata alla compagnia USA Oaktree Capital Management, ma c’era qualcosa che aveva insospettito l’intelligence yemenita; la nave infatti, riporta Al Akhbar, “portava sopra il logo della compagnia israeliana Zim, e tra i vecchi nomi dell’imbarcazione risultavano nomi come Zim San Francisco. Ad aumentare i sospetti – poi – il fatto che la nave, che era partita domenica dal porto di Gedda in direzione del canale di Suez, non avesse menzionato nelle sue dichiarazioni la destinazione finale”. “Le navi americane e britanniche dirette verso i porti della Palestina occupata” continua Al Akhbar “falsificano deliberatamente sistematicamente i loro dati nel tentativo di attraversare il Mar Rosso”. La reazione USA è stata feroce: oltre 20 raid aerei in cinque aree diverse e non tutte con chiari obiettivi militari, come l’attacco nel Governatorato di Saada che, sempre secondo Al Akhbar, sarebbe giustificato soltanto dal fatto che “è la roccaforte del leader di Ansar AllahAbdul Malik Al Houthi”. L’efficacia di questi attacchi rimane comunque piuttosto dubbia, ed ecco così che gli USA stanno cercando un’alternativa: secondo Al Akhbar, infatti, “Gli Stati Uniti hanno fornito imbarcazioni militari al Consiglio di Transizione Meridionale affiliato agli Emirati, nel tentativo di coinvolgerlo in una guerra per procura”; si tratta dell’organizzazione politica secessionista yemenita guidata dall’ex governatore di Aden, Aidarus al-Zoubaidi che, nata nel 2017 per rivendicare la separazione dello Yemen del Sud dal resto della nazione, è sostenuta da Abu Dhabi. “Aidarus al-Zoubaidi che, in precedenza, aveva espresso la volontà di normalizzare le relazioni con l’entità israeliana” scrive Al Akhbar “è apparso a bordo di una delle barche americane in una parata navale, e insieme a lui c’erano numerosi comandanti militari fedeli agli Emirati Arabi Uniti”: secondo Al Akhbar avrebbero ricevuto l’incarico dagli USA di accompagnare le navi legate a Israele mentre si avvicinano al porto di Aden e allo stretto di Bab el-Mandeb. A emettere un appello ad affiancare le forze USA e britanniche contro Ansar Allah sarebbe stato anche Abu Zara’a Al-Muharrami, comandante delle Forze dei giganti – le milizie fedeli ad Abu Dhabi – e vicepresidente del Consiglio di Transizione, una macchinazione che, però, avrebbe fatto infuriare la popolazione locale: contro l’appello, infatti, “Gli studiosi e i predicatori di Aden” riporta Al Akhbar “hanno emesso una fatwa, che riconosce che esiste una disputa con chi è al governo a Sanaa” e cioè, appunto, Ansar Allah, “ma che non è assolutamente consentito schierarsi dalla parte di Israele e dell’America”; “Questa fatwa” continua Al Akhbar “indica che esiste un diffuso rifiuto tra le milizie di transizione di qualsiasi escalation contro Sana’a, e che le opzioni di Washington per mobilitare queste fazioni sono diventate così più limitate”.

Hicham Safieddine

Fortunatamente però, dopo tante delusioni, per gli occidentali a sostegno del genocidio è arrivata anche una buona notizia; l’ha annunciata su Telegram Nasr El-Din Amer, il vice presidente dell’agenzia dei media di Ansar Allah: “La prima vittoria ottenuta da America e Gran Bretagna” ha annunciato “è la rimozione delle spunte blu dagli account Twitter dei leader statali di Sana’a. Per quanto riguarda invece le forze armate yemenite, dai razzi, ai droni a tutte le capacità militari, non sono state scalfite. Si scopre che l’America è una forza da non sottovalutare, fratelli”. Quella di bullizzare i colonialisti e gli aspiranti tali, in Yemen, effettivamente, è una vecchia tradizione: come ricorda su Middle East Eye lo storico canadese di origini libanesi Hicham Safieddine, nonostante i britannici abbiano mantenuto il controllo della città costiera di Aden per oltre 125 anni, non sono mai riusciti ad “espandere il loro dominio nell’entroterra” fino a quando “Nel 1963, il Fronte di Liberazione Nazionale (FNL) lanciò una lotta armata con il sostegno rurale della regione montuosa di Radfan. Gli inglesi designarono l’FNL come un’organizzazione terroristica e risposero bruciando villaggi e altri atti di violenza collettiva. Le campagne punitive britanniche, tuttavia, fecero ben poco per smorzare la resistenza yemenita”; “Le forze radicali della resistenza dello Yemen del Sud” continua Safieddine “adottarono un’ideologia marxista – leninista che prevedeva un futuro socialista per uno Yemen liberato. La loro posizione intransigente nei confronti dell’occupazione britannica portò a una vittoria spettacolare nel 1967. E i tentativi britannici di negoziare un ruolo economico o militare nello Yemen post indipendenza, simile a quello francese in Algeria, furono di breve durata e in gran parte infruttuosi, con gli inglesi che alla fine furono costretti a pagare oltre 15 milioni di dollari come indennità. Questo” sottolinea Safieddine “ha lasciato un ricordo doloroso tra i funzionari britannici che perdura ancora oggi”. A differenza di altre lotte di liberazione nazionale che hanno conquistato fama e riconoscimento internazionale – da quella algerina a quella cubana – la vicenda yemenita è stata sistematicamente snobbata dal pubblico occidentale, ma per alcuni storici, sottolinea Safieddine, “Lo Yemen è stato il Vietnam della Gran Bretagna”, una storia gloriosa che continua a ispirare Ansar Allah: in un recente discorso televisivo, riporta Safeiddine, “Abdel-Malik al-Houthi ha messo in guardia il Regno Unito da qualsiasi illusione nutrisse di ricolonizzare lo Yemen. Tali illusioni, ha detto, “sono i segni di una malattia mentale la cui cura è nelle nostre mani: missili balistici che bruciano le navi in mare”. Anche a questo giro, la tendenza è stata subito quella di minimizzare e descrivere un gruppo di terroristi scappati di casa che attentano, con la loro barbarie, il giardino ordinato salvo poi, nella provincia dell’impero, dedicare titoloni a 6 colonne all’eroismo e alla professionalità dei nostri uomini per aver tirato giù un drone da ricognizione con un cannoncino.
La verità, però, potrebbe essere un po’ meno confortevole: “Quanti marinai USA ci sono adesso nel Mar Rosso?” ha chiesto la giornalista Norah O’Donnell al vice ammiraglio Brad Cooper durante una puntata del celebre programma televisivo statunitense 60 minutes; “Ne abbiamo circa 7.000 in questo momento. Si tratta di un impegno imponente”. “Quando è stata l’ultima volta che la Marina americana ha operato a questo ritmo per un paio di mesi?” ha chiesto ancora la giornalista; “Credo dovremmo tornare alla Seconda Guerra Mondiale” ha risposto il vice ammiraglio, “quando ci sono state navi impegnate direttamente nei combattimento. E quando dico impegnate in combattimento, intendo che ci sparano e noi rispondiamo al fuoco”. Il vice ammiraglio Cooper ricorda anche come “Gli Houthi sono la prima entità nella storia a utilizzare missili balistici antinave per colpire delle navi. Nessuno li ha mai usati prima contro navi commerciali, e tantomeno contro navi della marina americana”; come sottolinea il vice ammiraglio, parliamo di missili che viaggiano a circa 3 mila miglia orarie e, dal momento dell’avvistamento, il capitano di una nave ha dai 9 ai 15 secondi per decidere il da farsi e visto che è sempre meglio aver paura che prenderle, la tendenza a reagire sempre con il massimo della forza è inaggirabile. Risultato – sottolinea il servizio di 60 minutes -: “La marina ha lanciato circa 100 dei suoi missili terra – aria Standard, che possono costare fino a 4 milioni di dollari ciascuno”; l’unica via di uscita sostenibile, quindi, è questi benedetti missili balistici riuscire a colpirli con attacchi aerei in territorio yemenita prima che partano. Ed ecco allora che l’intelligence che forniamo, anche con la missione difensiva degli alleati europei, diventa fondamentale e la trasforma automaticamente in qualcosa che non è difensivo per niente e che potrebbe, a breve, dover affrontare uno scenario ben più complesso di quello attuale.

Maritime Security Belt

Lunedì scorso, nel Golfo di Oman, è iniziata un’esercitazione marittima congiunta di Iran, Russia e Cina; si chiama Maritime Security Belt ed è arrivata alla sua quinta edizione, un traguardo che hanno deciso di festeggiare alla grande: nella prima edizione, infatti, la Cina aveva partecipato con una sola nave; la seconda l’aveva saltata tout court e alle successive due si era presentata, di nuovo, sempre con una sola imbarcazione. Quest’anno, invece, non si raddoppia: si triplica e, ad affiancare il solito cacciatorpediniere, ci saranno anche una fregata e una nave di rifornimento che, insieme, costituiscono la 45esima task force di scorta. La 45esima task force era stazionata nel Golfo di Aden sin dall’ottobre scorso e, da allora, ha portato a termine ben 43 missioni durante le quali ha garantito il transito di 72 navi; ora quel compito è stato affidato alla 46esima task force che ha effettuato la sua prima missione appena 3 giorni fa: ed ecco così che la presenza cinese nell’area raddoppia. A ottobre la Cina aveva già condotto un’esercitazione congiunta con la marina pakistana, “la più grande di sempre tra i due paesi” aveva sottolineato il South China Morning Post e dove erano state coinvolte altre 6 imbarcazioni del dragone, comprese una fregata, due cacciatorpedinieri e una nave di rifornimento: anche a questo giro i pakistani sono nuovamente coinvolti, ma solo come osservatori al fianco di kazaki, indiani e sudafricani, lo stesso ruolo ricoperto anche dall’Oman e dall’Azerbaijan.


La prospettiva della grande guerra globale per il controllo del mare nell’era del declino della pax americana si fa sempre più minacciosa: magari se l’Italia, ogni tanto, avesse un piccolo moto se non proprio di orgoglio, perlomeno di opportunismo, e approfittasse del caos che ci circonda per farsi un attimino licazzisua invece che fare sempre da cavalier servente della potenza in declino del momento, non sarebbe proprio malissimo, diciamo; perché gli italiani tornino a fare un po’ anche i loro interessi, serve che prima imparino a riconoscerli e, per riconoscerli, serve un media che, invece che da ripetitore dei dictat atlantisti, dia voce agli interessi concreti del 99%.