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2186.-Soros ha chiesto a Timmermans, vice di Juncker, di attivarsi per fare arrivare la Troika a Roma. Ma gli è andata ancora buca

La risposta, un secco no, ha avuto argomentazioni molto semplici: la bocciatura della manovra italiana avrebbe aperto una crisi finanziaria drammatica, con ripercussioni in tutta l’Europa, comprese Germania e Francia. Un rischio che nessun capo di governo intendeva correre, tanto meno Angela Merkel e Emmauel Macron.

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di Tino Oldani

 

In vista delle prossime elezioni europee, George Soros, 88 anni, attivissimo nonostante l’età anche sul fronte politico europeo, dove non ha mai nascosto la propria simpatia per i partiti socialdemocratici, è stato tra i primi a incontrare l’olandese Frans Timmermans, 57 anni, subito dopo che, in novembre, i partiti socialisti europei l’avevano designato quale spitzenkandidat, ovvero quale candidato alla presidenza della Commissione Ue in caso di vittoria del gruppo S&D (Socialisti e democratici) nelle elezioni per il Parlamento europeo. Timmermans, 57 anni, è uno degli attuali vice di Jean-Claude Juncker, è stato un diplomatico ed ex ministro degli Esteri dell’Olanda, parla diverse lingue compresa quella italiana (da ragazzo ha studiato a Roma), ed è stimato per le doti personali di abile tessitore politico ai più alti livelli, anche con i leader dei partiti europei diversi dal suo.Soros lo ha incontrato alla fine del novembre scorso a Bruxelles: un meeting riservato, che però non è sfuggito ad alcuni giornalisti, che ne hanno dato la notizia. Tra questi, il corrispondente del Corriere della sera, Ivo Caizzi, che il 3 dicembre segnalò l’incontro nella rubrica che tiene sul supplemento economico del Corrierone, con una nota intitolata «Imbarazzo a Bruxelles per la visita di Soros». Il motivo dell’imbarazzo? In quei giorni era in corso la trattativa tra il governo italiano e la Commissione Ue sulla manovra di bilancio 2019 del nostro paese, e alcuni corrispondenti da Bruxelles chiesero alla portavoce della Commissione Ue, Natasha Bertaud, se anche questo tema fosse stato affrontato nel colloquio tra Soros e lo spitzenkandidat socialista. «Non posso né confermare, né smentire», rispose imbarazzata la portavoce. Una frase diplomatica che, di solito, serve più a confermare che a smentire.

Grazie a una fonte confidenziale vicina a Timmermans, posso ora aggiungere che la manovra italiana è stata uno dei principali argomenti di quel colloquio. Senza tanti preamboli, Soros chiese a Timmermans di attivarsi perché la Commissione Ue bocciasse la manovra italiana, aprendo la strada alla Troika. Il terreno sui mercati, con il rialzo dello spread, era già stato preparato. Mancava solo il colpo finale. E in questo la componente socialdemocratica della Commissione Ue, insieme a quella del Parlamento europeo, poteva giocare un ruolo decisivo, vuoi per la propria collocazione antipopulista e antisovranista rispetto al governo di Roma, ma anche perché debitrice a Soros e alla sua Open Society Foundation di un sostegno generoso, quanto dichiarato: è noto infatti che in un recente bilancio della Open Society era compreso un elenco di 226 eurodeputati (sui 751 dell’attuale Parlamento europeo) definiti «alleati affidabili», per lo più facenti parte del gruppo S&D.

Per la verità, chiedere l’invio della Troika in Italia è da anni un pallino fisso di Soros. Ne sa qualcosa anche Mario Monti, che di recente, durante una puntata di Otto e mezzo, ha raccontato che nel 2012, quando era premier, Soros lo chiamò al telefono per complimentarsi e chiedergli di chiamare la Troika a Roma, cosa che Monti si rifiutò di fare, se non altro per non smentire il decreto «Salva Italia» da lui appena varato. La stessa risposta, un secco no, Soros l’ha ricevuta anche da Timmermans, con argomentazioni molto semplici: la bocciatura della manovra italiana avrebbe aperto una crisi finanziaria drammatica, con ripercussioni in tutta l’Europa, comprese Germania e Francia. Un rischio che nessun capo di governo intendeva correre, tanto meno Angela Merkel e Emmauel Macron, con i quali Timmermans si consulta regolarmente.

La Merkel, a inizio dicembre, aveva problemi molto seri non solo di politica interna (soprattutto la successione alla guida del suo partito), ma anche di tipo finanziario, con le due maggiori banche tedesche in gravi difficoltà. Un guaio, quest’ultimo, tutt’altro che superato. Quanto a Macron, era già iniziata la rivolta dei gilet gialli, e per cercare di sedarla stava meditando di andare ben oltre il 2,4% di deficit chiesto dall’Italia, arrivando al 3,5%. Due ragioni più che sufficienti, spiegò Timmermans a Soros, per trovare un compromesso con l’Italia volto a calmare i mercati, sia pure tenendo le briglie corte, con l’annuncio di controlli più severi dell’Ue sull’Italia nella prossima primavera.

Che questa fosse la linea della Commissione Ue, lo confermò dopo la visita di Soros anche Valdis Dombrovskis, leader dei commissari più duri con l’Italia, che giudicò ancora insufficiente l’apertura del premier Giuseppe Conte a ridurre il deficit, apertura tuttavia sui cui Merkel e Macron avevano espresso apprezzamento. Ancora pochi giorni di manfrina, e prima di Natale l’accordo sul 2,04% di deficit era cosa fatta. Per Soros, una sconfitta politica. Non solo. Poiché si tratta di un noto speculatore, che da tempo punta sulla Troika in Italia e sugli inevitabili effetti devastanti sul sistema bancario e finanziario, da cui trarre profitto, la sconfitta è stata duplice.

Notazione a margine. In base allo scenario appena descritto, potrebbe risultare più agevole la lettura dello scontro che si è verificato all’interno del Corriere della sera tra il corrispondente da Bruxelles, Ivo Caizzi, da una parte, e dall’altra l’editorialista Federico Fubini e il direttore Luciano Fontana, accusato da Caizzi di avere dato spazio soprattutto agli articoli di Fubini sull’imminenza di una procedura di infrazione contro l’Italia, rispetto a quelli provenienti da Bruxelles sul prevalere del dialogo. Fubini siede nell’European advisory board della Open Society di Soros, e fa parte della task force della Commissione Ue contro le fake news. Il sito della Open Foundation, nel tesserne le qualità, certamente gradite a Soros, lo definisce «un influente opinion maker nel suo paese». Resta però un fatto: i titoli del Corriere, che più volte hanno annunciato come imminente la procedura d’infrazione contro l’Italia, al dunque, si sono rivelati fake news.

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2171.-Magaldi: che delusione, l’esperienza gialloverde sta fallendo

Oggi una sondaggista autorevole ha dato il governo in discesa al 43%. Sarà l’effetto Bruxelles, ma tre settimane fa, Gioele Magaldi scriveva:

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«Diciamocelo: l’esperienza gialloverde sta fallendo. Lega e 5 Stelle rischiano grosso, di fronte alla cocente delusione degli elettori che avevano creduto nella loro scommessa». Parola di Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), che svela la natura supermassonica del vero potere, che in Europa si nasconde dietro la tecnocrazia di Bruxelles e le cancellerie che contano, Berlino e Parigi in primis. Spettacolo penoso, la retromarcia tattica del governo Conte di fronte alle minacce dell’euro-establishment, «come se il problema fosse davvero il deficit al 2,4%», che ora peraltro il governo si sta preparando a “sacrificare”. Linea perdente, dice Magaldi: guai, a cedere al ricatto. Perché siamo di fronte a una colossale farsa: tutti sanno benissimo che Bruxelles non ha affatto a cuore il benessere del sistema-Italia. L’unico vero obiettivo dei nostri censori – Moscovici e Juncker, Macron e Merkel – è stroncare sul nascere qualsiasi tentativo di rovesciare il paradigma neoliberista dell’austerity, propagandato e difeso “militarmente” a colpi di spread. Sul piano contabile non può far paura a nessuno, l’esiguo incremento del deficit inizialmente previsto dal Def per il 2019. Lo sanno Di Maio e Salvini, ma lo sanno anche i signori di Bruxelles. A inquietare gli oligarchi, semmai, è la bandiera della ribellione, sventolata dall’Italia per qualche settimana.

L’orgogliosa rivendicazione post-keynesiana del governo Conte, sottolineata dal richiamo al New Deal rooseveltiano da parte di Paolo Savona, poteva innescare un benefico contagio europeo, basato sulla richiesta di sovranità democratica. Se invece ora l’Italia fa retromarcia e dice “abbiamo scherzato”, per Lega e 5 Stelle può essere l’inizio della fine, sostiene Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Una riflessione a tutto campo, quella del presidente del metapartitico Movimento Roosevelt, nato per rigenerare la politica italiana scuotendola dal torpore conformistico dell’equivoca Seconda Repubblica, durante la quale la finta alternanza dei partiti al potere – centrodestra e centrosinistra – ha costretto l’Italia a imboccare la via del declino, tra delocalizzazioni e privatizzazioni improntate alla “teologia” neoliberale che demonizza la spesa pubblica al solo scopo di trasferire potere e ricchezza ai grandi oligopoli privati. Magaldi è stato uno sponsor del governo Conte, che ha lungamente supportato e incoraggiato – a patto però che rompesse l’incantesimo che vieta all’Italia di riappropriarsi della sua sovranità, a cominciare da quella monetaria.

L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, invoca il ricorso a una moneta parallela. Proprio la gestione dell’euro – monopolizzata dal cartello finanziario che detiene il controllo della Bce – è uno dei punti strategici su cui farà leva il “partito che serve all’Italia”, cantiere politico roosveltiano che il prossimo 22 dicembre a Roma comincerà a costruire un’agenda concreta. Le delusione di fronte al cedimento all’Ue non impedisce a Magaldi di continuare a considerare Lega e 5 Stelle gli unici interlocutori potenzialmente credibili: certo, se si alza bandiera bianca sul deficit 2019, la partita è destinata a slittare al 2020, dopo le europee, traguardo al quale il governo intende presentarsi senza avere sulle spalle il peso dell’eventuale procedura d’infrazione per eccesso di debito. Ma così, obietta Magaldi, non si può sperare di andare lontano. Per un motivo essenziale: è perdente, sempre e comunque, piegarsi a un ricatto. E quello degli oligarchi Ue è un ricatto ipocrita, travestito da economicismo: il rigore viene spacciato per strada maestra, quando gli stessi ideologi dell’austerity sanno perfettamente che il taglio della spesa produce solo recessione e disoccupazione.

La stessa manovra gialloverde non è certo impeccabile, annota Magaldi: non c’è ancora la più pallida idea di come applicare l’eventuale reddito di cittadinanza sbandierato da Di Maio, mentre – sul fronte leghista – siamo lontani anni luce dal decisivo sgravio fiscale promesso alle elezioni. «E’ di quello che hanno bisogno come il pane gli ambienti imprenditoriali che avevano sostenuto Salvini: cosa importa, alle aziende, del “decreto sicurezza” appena approvato? Oltretutto, quel decreto – davvero pessimo – potrebbe anche configurare pesanti e inaccettabili limitazioni alle libertà personali». Neppure nella versione con il deficit al 2,4%, insiste Magaldi, la manovra mostrava sufficienti investimenti nei settori in grado di rilanciare l’economia: un impegno troppo esiguo, non certo adeguato a garantire quel “moltiplicatore economico” di cui il paese ha bisogno. Premessa: «Aumentare il deficit è doveroso, per rimettere in moto l’economia, purché però si investa nei settori che garantiscano la crescita dell’occupazione». Si corre il rischio di fare «la stessa figura di Tsipras, che ha tradito i greci per piegarsi all’Ue». Altro paragone increscioso, quello con Matteo Renzi: «Era andato a Bruxelles facendo il fanfarone, annunciando svolte epocali per uscire dall’austerity di Monti e Letta, ma poi ha ceduto su tutta la linea».

Tsipras e Renzi sappiamo che fine hanno fatto. A Salvini e Di Maio, un analogo scivolone  costerebbe l’osso del collo. Anche perché ormai l’opinione pubblica italiana ha preso le misure, ai padreterni di Bruxelles: oggi, a Mario Monti ed Elsa Fornero l’italiano medio non stenderebbe più il tappeto rosso. S’è messo in moto qualcosa di profondo, nel paese, anche grazie alla politica pre-elettorale della Lega e dei 5 Stelle, carica di aspettative. Ora, come dire, sarebbe folle rimangiarsi la parola data. Guai ad arretrare, di fronte alle minacce dei burattini di quella che resta una cupola finanziaria supermassonica, la stessa che ha insediato all’Eliseo il micro-oligarca Macron, contro il quale oggi la Francia stessa si sta sonoramente ribellando. E l’Italia che fa, resta a guardare? Si lascia intimidire da uno spaventapasseri come Juncker dopo aver promesso cataclismi epocali? Grave errore, sottolinea Magaldi, aver usato toni irridenti con l’Ue, se poi ci si prepara a genuflettersi a Bruexelles come Renzi e Gentiloni. Meglio un dialogo franco e leale, giusto per dire: cari amici, che ne direste di farla davvero, l’Europa?

Sottinteso: questo obbrobrio di Ue va cestinato, perché ha disastrato l’economia del continente seminando crisi su crisi. Da dove ripartire? Ovvio, dall’inizio: la parola chiave è antica, si chiama “democrazia”. E in questa pseudo-Europa, purtroppo, oggi è sinonimo di “rivoluzione”. Magaldi preferisce il termine “radicalismo”, ma il senso è quello: radere al suolo l’impalcatura (marcia dalle fondamenta) dell’attuale Disunione Europea, dove la Germania – come segnala l’imprenditore Fabio Zoffi – bacchetta l’Italia per il suo 130% di debito, mentre quello di Berlino (occulto) veleggia verso il 300% del Pil. Negli ultimi anni, a scuotere l’opinione pubblica hanno provveduto celebri “whistleblower” come Julian Assange (Wikileaks) e Edward Snowden (la disinvoltura della Nsa nella gestione dei Big Data, in termini di spionaggio di massa). Dal canto suo Magaldi – altro “insider”, se vogliamo, ma proveniente dal mondo delle Ur-Lodges – ha scoperchiato il vaso di Pandora delle quasi onnipotenti superlogge sovranazionali. Obiettivo: consentire al pubblico di aprire gli occhi, imparando a riconoscere la vera identità dei tanti oligarchi che si spacciano per guide illuminate.

L’Ue? Un loro prodotto. Movente: confiscare diritti, sovranità e democrazia, per organizzare il più grande trasferimento di ricchezza della storia, dal basso verso l’alto. Narrazione mainstream: è giusto tagliare lo Stato. Risultato scontato: sofferenze sociali. Parla da solo il caso italiano: 25 anni di decandenza ininterrotta, presentata come fisiologica. Una farsa colossale, abilmente inscenata da partiti “comprati” e disinformatori di corte. Poi è arrivato l’inciampo elettorale dei gialloverdi. E ora che fanno, tornano a casa con la coda tra le gambe? Sappiano, ribadisce Magadi, che non possono farlo: l’Italia non li perdonerebbe. Perché la vera sfida è solo all’inizio. E tutti i falsi dogmi del dominio – rigore, austerity, pareggio di bilancio – saranno spazzati via, il giorno che l’Europa nascerà davvero, con la sua Costituzione democratica e il suo governo federale, finalmente eletto dagli europarlamentari votati dai cittadini europei. Utopia? Non per Gioele Magaldi, intenzionato a incalzare «gli amici gialloverdi» senza fare sconti a nessuno, avendo chiaro «quello che serve davvero all’Italia». Non la diplomazia, con Bruxelles, ma il confronto (durissimo) che in tanti avevano sperato potesse essere inaugrato proprio da Salvini e Di Maio.

«Diciamocelo: l’esperienza gialloverde sta fallendo. Lega e 5 Stelle rischiano grosso, di fronte alla cocente delusione degli elettori che avevano creduto nella loro scommessa». Parola di Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), che svela la natura supermassonica del vero potere, che in Europa si nasconde dietro la tecnocrazia di Bruxelles e le cancellerie che contano, Berlino e Parigi in primis. Spettacolo penoso, la retromarcia tattica del governo Conte di fronte alle minacce dell’euro-establishment, «come se il problema fosse davvero il deficit al 2,4%», che ora peraltro il governo si sta preparando a “sacrificare”. Linea perdente, dice Magaldi: guai, a cedere al ricatto. Perché siamo di fronte a una colossale farsa: tutti sanno benissimo che Bruxelles non ha affatto a cuore il benessere del sistema-Italia. L’unico vero obiettivo dei nostri censori – Moscovici e Juncker, Macron e Merkel – è stroncare sul nascere qualsiasi tentativo di rovesciare il paradigma neoliberista dell’austerity, propagandato e difeso “militarmente” a colpi di spread. Sul piano contabile non può far paura a nessuno, l’esiguo incremento del deficit inizialmente previsto dal Def per il 2019. Lo sanno Di Maio e Salvini, ma lo sanno anche i signori di Bruxelles. A inquietare gli oligarchi, semmai, è la bandiera della ribellione, sventolata dall’Italia per qualche settimana.

L’orgogliosa rivendicazione post-keynesiana del governo Conte, sottolineata dal richiamo al New Deal rooseveltiano da parte di Paolo Savona, poteva innescare un benefico contagio europeo, basato sulla richiesta di sovranità democratica. Se invece ora

l’Italia fa retromarcia e dice “abbiamo scherzato”, per Lega e 5 Stelle può essere l’inizio della fine, sostiene Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Una riflessione a tutto campo, quella del presidente del metapartitico Movimento Roosevelt, nato per rigenerare la politica italiana scuotendola dal torpore conformistico dell’equivoca Seconda Repubblica, durante la quale la finta alternanza dei partiti al potere – centrodestra e centrosinistra – ha costretto l’Italia a imboccare la via del declino, tra delocalizzazioni e privatizzazioni improntate alla “teologia” neoliberale che demonizza la spesa pubblica al solo scopo di trasferire potere e ricchezza ai grandi oligopoli privati. Magaldi è stato uno sponsor del governo Conte, che ha lungamente supportato e incoraggiato – a patto però che rompesse l’incantesimo che vieta all’Italia di riappropriarsi della sua sovranità, a cominciare da quella monetaria.

L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, invoca il ricorso a una moneta parallela. Proprio la gestione dell’euro – monopolizzata dal cartello finanziario che detiene il controllo della Bce – è uno dei punti strategici su cui farà leva il “partito che serve all’Italia”, cantiere politico roosveltiano che il prossimo 22 dicembre a Roma comincerà a costruire un’agenda concreta. Le delusione di fronte al cedimento all’Ue non impedisce a Magaldi di continuare a considerare Lega e 5 Stelle gli unici interlocutori potenzialmente credibili: certo, se si alza bandiera bianca sul deficit 2019, la partita è destinata a slittare al 2020, dopo le europee, traguardo al quale il governo intende presentarsi senza avere sulle spalle il peso dell’eventuale procedura d’infrazione per eccesso di debito. Ma così, obietta Magaldi, non si può sperare di andare lontano. Per un motivo essenziale: è perdente, sempre e comunque, piegarsi a un ricatto. E quello degli oligarchi Ue è un ricatto ipocrita,

travestito da economicismo: il rigore viene spacciato per strada maestra, quando gli stessi ideologi dell’austerity sanno perfettamente che il taglio della spesa produce solo recessione e disoccupazione.

La stessa manovra gialloverde non è certo impeccabile, annota Magaldi: non c’è ancora la più pallida idea di come applicare l’eventuale reddito di cittadinanza sbandierato da Di Maio, mentre – sul fronte leghista – siamo lontani anni luce dal decisivo sgravio fiscale promesso alle elezioni. «E’ di quello che hanno bisogno come il pane gli ambienti imprenditoriali che avevano sostenuto Salvini: cosa importa, alle aziende, del “decreto sicurezza” appena approvato? Oltretutto, quel decreto – davvero pessimo – potrebbe anche configurare pesanti e inaccettabili limitazioni alle libertà personali». Neppure nella versione con il deficit al 2,4%, insiste Magaldi, la manovra mostrava sufficienti investimenti nei settori in grado di rilanciare l’economia: un impegno troppo esiguo, non certo adeguato a garantire quel “moltiplicatore economico” di cui il paese ha bisogno. Premessa: «Aumentare il deficit è doveroso, per rimettere in moto l’economia, purché però si investa nei settori che garantiscano la crescita dell’occupazione». Si corre il rischio di fare «la stessa figura di Tsipras, che ha tradito i greci per piegarsi all’Ue». Altro paragone increscioso, quello con Matteo Renzi: «Era andato a Bruxelles facendo il fanfarone, annunciando svolte epocali per uscire dall’austerity di Monti e Letta, ma poi ha ceduto su tutta la linea».

Tsipras e Renzi sappiamo che fine hanno fatto. A Salvini e Di Maio, un analogo scivolone  costerebbe l’osso del collo. Anche perché ormai l’opinione pubblica italiana ha preso le misure, ai padreterni di Bruxelles: oggi, a Mario Monti ed Elsa Fornero l’italiano medio non stenderebbe più il tappeto rosso. S’è messo in moto qualcosa di profondo, nel paese, anche grazie alla politica pre-elettorale della Lega e dei 5 Stelle, carica di aspettative. Ora, come dire, sarebbe folle rimangiarsi la parola data. Guai ad arretrare, di fronte alle minacce dei burattini di quella che resta una cupola finanziaria supermassonica, la stessa che ha insediato all’Eliseo il micro-oligarca Macron, contro il quale oggi la Francia stessa si sta sonoramente ribellando. E l’Italia che fa, resta a guardare? Si lascia intimidire da uno spaventapasseri come Juncker dopo aver promesso cataclismi epocali?

Grave errore, sottolinea Magaldi, aver usato toni irridenti con l’Ue, se poi ci si prepara a genuflettersi a Bruxelles come Renzi e Gentiloni. Meglio un dialogo franco e leale, giusto per dire: cari amici, che ne direste di farla davvero, l’Europa?

Sottinteso: questo obbrobrio di Ue va cestinato, perché ha disastrato l’economia del continente seminando crisi su crisi. Da dove ripartire? Ovvio, dall’inizio: la parola chiave è antica, si chiama “democrazia”. E in questa pseudo-Europa, purtroppo, oggi è sinonimo di “rivoluzione”. Magaldi preferisce il termine “radicalismo”, ma il senso è quello: radere al suolo l’impalcatura (marcia dalle fondamenta) dell’attuale Disunione Europea, dove la Germania – come segnala l’imprenditore Fabio Zoffi – bacchetta l’Italia per il suo 130% di debito, mentre quello di Berlino (occulto) veleggia verso il 300% del Pil. Negli ultimi anni, a scuotere l’opinione pubblica hanno provveduto celebri “whistleblower” come Julian Assange (Wikileaks) e Edward Snowden (la disinvoltura della Nsa nella gestione dei Big Data, in termini di spionaggio di massa). Dal canto suo Magaldi – altro “insider”, se vogliamo, ma proveniente dal mondo delle Ur-

Lodges – ha scoperchiato il vaso di Pandora delle quasi onnipotenti superlogge sovranazionali. Obiettivo: consentire al pubblico di aprire gli occhi, imparando a riconoscere la vera identità dei tanti oligarchi che si spacciano per guide illuminate.

L’Ue? Un loro prodotto. Movente: confiscare diritti, sovranità e democrazia, per organizzare il più grande trasferimento di ricchezza della storia, dal basso verso l’alto. Narrazione mainstream: è giusto tagliare lo Stato. Risultato scontato: sofferenze sociali. Parla da solo il caso italiano: 25 anni di decadenza ininterrotta, presentata come fisiologica. Una farsa colossale, abilmente inscenata da partiti “comprati” e disinformatori di corte. Poi è arrivato l’inciampo elettorale dei gialloverdi. E ora che fanno, tornano a casa con la coda tra le gambe? Sappiano, ribadisce Magadi, che non possono farlo: l’Italia non li perdonerebbe. Perché la vera sfida è solo all’inizio. E tutti i falsi dogmi del dominio – rigore, austerity, pareggio di bilancio – saranno spazzati via, il giorno che l’Europa nascerà davvero, con la sua Costituzione democratica e il suo governo federale, finalmente eletto dagli europarlamentari votati dai cittadini europei. Utopia? Non per Gioele Magaldi, intenzionato a incalzare «gli amici gialloverdi» senza fare sconti a nessuno, avendo chiaro «quello che serve davvero all’Italia». Non la diplomazia, con Bruxelles, ma il confronto (durissimo) che in tanti avevano sperato potesse essere inaugurato proprio da Salvini e Di Maio.

Gioele-Magaldi7  Gioele Magaldi

 

2168.-Perché la manovra ritoccata è peggiore di quella originaria. Il commento di La Malfa

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di Giorgio La Malfa

 

Si sarebbe potuta salvare nella manovra la crescita del reddito riducendo le spese correnti ed aumentando le spese di investimento. Invece, si è scelto di aumentare le tasse e di tagliare ancora gli investimenti. Il commento di Giorgio La Malfa, economista ed ex ministro delle Politiche comunitarie.

 

Per misurare la portata della disfatta del Governo nel primo confronto ravvicinato con l’Europa è sufficiente rileggere qualche punto del Documento di Economia e Finanza presentato al Parlamento il 27 settembre scorso.

«L’obiettivo primario della politica economica del Governo – si leggeva nel documento – è di promuovere una ripresa vigorosa dell’economia italiana, puntando su un incremento adeguato della produttività del sistema paese e del suo potenziale di crescita e, allo stesso tempo, di conseguire una maggiore resilienza rispetto alla congiuntura e al peggioramento del quadro economico internazionale».

In particolare il Governo si poneva «l’obiettivo di ridurre sensibilmente entro i primi due anni della legislatura il divario di crescita rispetto all’eurozona e in tal modo assicurare la diminuzione costante del rapporto debito/PIL in direzione dell’obiettivo stabilito dai trattati europei» e si spiegava che «il rilancio degli investimenti è uno strumento essenziale per perseguire obiettivi di sviluppo economico sostenibile e socialmente inclusivo».

In numeri questo si concretizzava in una previsione di crescita per il 2019 non inferiore all’1,5% rispetto all’1,1% senza la manovra e in un deficit del 2,4%.

Era una strategia possibile se fosse stata spiegata all’Europa e la si fosse sostanziata di investimenti. Invece le scorse settimane sono trascorse fra dichiarazioni bellicose dei due vicepremier contro l’Europa. Poi, con la stessa subitaneità con cui erano andati all’assalto, è venuta la capitolazione. Così si è tornati a quel 2 per cento che da settembre si sapeva la Commissione poteva accettare. Ma qui i due partiti di maggioranza hanno imposto il secondo errore.

Si sarebbe potuta salvare la crescita del reddito riducendo le spese correnti ed aumentando le spese di investimento. Invece, si è scelto di aumentare le tasse e di tagliare ancora gli investimenti. Il governo stesso riconosce che l’esito è disastroso: una crescita nel 2019 addirittura inferiore a quella che si sarebbe avuta se il governo non avesse fatto nulla. Ma i due partiti proclamano che hanno rispettato gli impegni elettorali.

In realtà anche questo bilancio è destinato ad essere rivisto perché l’Italia è avviata a una crisi di finanza pubblica. Forse ai due leader converrebbe una riflessione politica prima di procedere ulteriormente.

Giorgio La Malfa

 

 

2168.- GOVERNO LADRO!

Perché la manovra ritoccata è peggiore di quella originaria. Il commento di La Malfa

di Giorgio La Malfa

 

Si sarebbe potuta salvare nella manovra la crescita del reddito riducendo le spese correnti ed aumentando le spese di investimento. Invece, si è scelto di aumentare le tasse e di tagliare ancora gli investimenti. Il commento di Giorgio La Malfa, economista ed ex ministro delle Politiche comunitarie

 

Per misurare la portata della disfatta del Governo nel primo confronto ravvicinato con l’Europa è sufficiente rileggere qualche punto del Documento di Economia e Finanza presentato al Parlamento il 27 settembre scorso.

«L’obiettivo primario della politica economica del Governo – si leggeva nel documento – è di promuovere una ripresa vigorosa dell’economia italiana, puntando su un incremento adeguato della produttività del sistema paese e del suo potenziale di crescita e, allo stesso tempo, di conseguire una maggiore resilienza rispetto alla congiuntura e al peggioramento del quadro economico internazionale».

In particolare il Governo si poneva «l’obiettivo di ridurre sensibilmente entro i primi due anni della legislatura il divario di crescita rispetto all’eurozona e in tal modo assicurare la diminuzione costante del rapporto debito/PIL in direzione dell’obiettivo stabilito dai trattati europei» e si spiegava che «il rilancio degli investimenti è uno strumento essenziale per perseguire obiettivi di sviluppo economico sostenibile e socialmente inclusivo».

In numeri questo si concretizzava in una previsione di crescita per il 2019 non inferiore all’1,5% rispetto all’1,1% senza la manovra e in un deficit del 2,4%.

Era una strategia possibile se fosse stata spiegata all’Europa e la si fosse sostanziata di investimenti. Invece le scorse settimane sono trascorse fra dichiarazioni bellicose dei due vicepremier contro l’Europa. Poi, con la stessa subitaneità con cui erano andati all’assalto, è venuta la capitolazione. Così si è tornati a quel 2 per cento che da settembre si sapeva la Commissione poteva accettare. Ma qui i due partiti di maggioranza hanno imposto il secondo errore.

Si sarebbe potuta salvare la crescita del reddito riducendo le spese correnti ed aumentando le spese di investimento. Invece, si è scelto di aumentare le tasse e di tagliare ancora gli investimenti. Il governo stesso riconosce che l’esito è disastroso: una crescita nel 2019 addirittura inferiore a quella che si sarebbe avuta se il governo non avesse fatto nulla. Ma i due partiti proclamano che hanno rispettato gli impegni elettorali.

In realtà anche questo bilancio è destinato ad essere rivisto perché l’Italia è avviata a una crisi di finanza pubblica. Forse ai due leader converrebbe una riflessione politica prima di procedere ulteriormente.

Giorgio La Malfa

 

2164.- L’articolo del ministro Savona: Vi dico che cosa penso della manovra modificata.

Paolo Savona: “compito dell’Italia e della UE è ripristinare la supremazia della politica”. L’imbarazzo di Savona è imbarazzante. “Scopriamo” che la realtà della politica ha fatto premio sulle esigenze del Paese, che nell’Unione europea non c’è sensibilità e che la parola crescita vi appare solo nel dato statistico. Dice:

“Non è un mistero che la divergenza tra le diverse concezioni dell’UE è nei contenuti da dare all’incompletezza da rimuovere. Perciò ho chiesto a nome del Governo di discuterne nell’ambito europeo di un Gruppo ad alto livello che analizzi la problematica; salvo eccezioni, si è finora fatto finta di non capire che l’invito rivolto era quello di interrompere la stretta relazione, indegna della convivenza democratica, tra la componente speculativa del mercato finanziario e le politiche scelte dai Governi e Parlamenti; l’Unione utilizza questa relazione per costringere i paesi membri a seguire riforme che considera “risolutive” delle divergenze, che la realtà ancor prima della logica economica non ha asseverato, come dimostra il peggioramento della distribuzione del reddito intraeuropeo che mina l’intera costruzione comunitaria.”

L’Unione europea è diretta da una banca privata e d è impostata sulla relazione fra la componente speculativa del mercato finanziario e le politiche che la sua leva finanziaria impone ai Governi e ai Parlamenti. Sappiamo bene che non è mirata a risolvere, ma ad accentuare le divergenze fra i suoi stati e che mina l’intera costruzione comunitaria. Purtroppo e grazie a un folto stuolo di miserabili concittadini, ha minato le basi della nostra economia. Il voto del 4 marzo ha significato che vogliamo essere cittadini di un’Europa libera e non sudditi di una banca. Come ha detto e bene Mike Pompeo, sicuramente per bocca di Trump, i popoli devono essere guidati da stati-nazione e non da burocrati: L’ONU, il FMI, la banca mondiale, l’Unione europea sono stati degli errori. Tradotto, significa: “Ci siamo sbagliati e, ora, vi diremo cosa fare”. Di quale Unione parla il professore?Rileggo i programmi elettorali e domando: “Dica, professore, cosa vi siete candidati a fare?”

 

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Ripristinare la supremazia della politica sulle soluzioni tecniche è il compito che ci attende in Italia e in Europa. Se si accetta l’opposto, la situazione può sfuggire di mano”. L’articolo del ministro degli Affari europei, Paolo Savona

Articolo pubblicato da Milano Finanza)

La politica si nutre di realismo e l’accordo raggiunto con la Commissione europea porta chiara questa impronta; ma una politica che non sia ispirata da una politeia, una forma condivisa di organizzazione del bene comune, non ha lunga vita. In assenza di una istituzione monetaria dotata di poteri e volontà di svolgere le funzioni di lender of last resort contro la speculazione – protezione che in questi mesi ho insistentemente cercato – (in neretto. ndr) la realtà ha fatto premio sulle esigenze del Paese, che erano e restano quelle di garantire una crescita capace di ridurre la disoccupazione e la povertà e impedire il regresso del benessere dei cittadini.

Il governo ha retto nel difendere il minimo necessario per riaprire l’offerta di lavoro, soprattutto ai giovani, e combattere la povertà, mentre l’Unione europea non ha mostrato d’essere sensibile al primo anello di questa ineludibile catena di relazioni; la parola crescita appare solo nel dato statistico che indica una diminuzione del Pil preventivato dall’1,5 all’1%, fermo sui valori del 2018. Dati i vincoli, con la trattativa nulla di più si poteva ottenere, ma già questo dato richiede che l’azione di governo si concentri sul duplice obiettivo di riavviare gli investimenti, che restano lo strumento indispensabile per ostacolare la congiuntura negativa e non aggravare i ritardi di crescita accumulati, e di definire una politeia che restituisca prospettive di crescita all’Italia e di stabilità all’Unione europea.

I due obiettivi sono complementari ed è perciò che gli investimenti aggiuntivi non possono se non essere privati, salvo raggiungere uno specifico accordo europeo che escluda quelli pubblici dai parametri fiscali o rilanci la domanda aggregata a livello comunitario, mobilitando gli ingenti surplus di bilancia estera esistenti.

Una valutazione cautelativa suggerisce che nel corso del 2019 gli investimenti in Italia non possano essere inferiori all’1% del Pil, se si vuole raggiungere la crescita reale prevista; meglio se si raggiunge il 2%, se si vuole mettere il Paese in sicurezza dagli attacchi speculativi. Infatti la crescita del primo semestre sarà prossima a zero e gli effetti provenienti dai maggiori investimenti potrebbero ragionevolmente esplicarsi solo nel secondo semestre. Così facendo il rapporto debito pubblico/Pil, quello che maggiormente preoccupa i mercati e la stessa Commissione europea, riuscirebbe a mantenersi sia pure lievemente su una linea discendente nella prima ipotesi e ridursi ancor più nella seconda; se non accadesse, il quadro di riferimento della politica economica del Governo cambierebbe, per giunta in un contesto europeo di difficoltà decisionali (dalle elezioni al rinnovo dei principali incarichi).

La riunione tenutasi a Palazzo Chigi poche settimane orsono con le principali aziende partecipate dallo Stato e le informazioni di seguito raccolte consentono di affermare che esistono programmi di investimento di importo superiore a quello indispensabile per mettere in sicurezza dalle circostanze avverse la nostra crescita e la finanza pubblica. Il nuovo vertice della Cassa Depositi e Prestiti ha annunciato che le previsioni riguardanti le sue partecipate e i suoi stessi investimenti indicano possibile raggiungere i 200 miliardi di euro per il triennio 2019-2021. Queste iniziative, tuttavia, richiedono che vengano sbloccati piccoli o grandi intoppi che si frappongono alla loro realizzazione che, per alcuni aspetti, sono comuni agli investimenti pubblici ma, per altri, presentano specificità che vanno tenute in prioritaria considerazione nelle scelte del governo e del Parlamento. A tal fine si avverte la necessità di un Commissario ad acta.

La cintura di sicurezza che l’Italia sarà in condizione di attuare con le sue forze non basterà per portare il Paese fuori dalla crisi iniziata nel 2008. L’Ue deve sbloccare i vincoli che pone all’uso degli strumenti di politica economica ampliando i contenuti della sua funzione di utilità basata sulla stabilità, assegnando un peso anche alla crescita, dotandola di strumenti adeguati. Questa esigenza non è solo frutto di una visione positiva del futuro dell’Unione, ma delle divergenze di benessere socio-economico ereditate e di quelle frutto delle sue stesse istituzioni e delle politiche seguite. La necessità di una siffatta integrazione è attualmente molto sentita, tanto da indurre leader politici e opinionisti a chiedere con sempre maggiore insistenza non solo le riforme per i paesi membri, ma per la stessa Unione. Il presidente della Bce Draghi, nel discorso pronunciato recentemente a Pisa, ha dichiarato che l’Unione Monetaria è “incompleta”.

Non è un mistero che la divergenza tra le diverse concezioni dell’UE è nei contenuti da dare all’incompletezza da rimuovere. Perciò ho chiesto a nome del Governo di discuterne nell’ambito europeo di un Gruppo ad alto livello che analizzi la problematica; salvo eccezioni, si è finora fatto finta di non capire che l’invito rivolto era quello di interrompere la stretta relazione, indegna della convivenza democratica, tra la componente speculativa del mercato finanziario e le politiche scelte dai Governi e Parlamenti; l’Unione utilizza questa relazione per costringere i paesi membri a seguire riforme che considera “risolutive” delle divergenze, che la realtà ancor prima della logica economica non ha asseverato, come dimostra il peggioramento della distribuzione del reddito intraeuropeo che mina l’intera costruzione comunitaria.

La messa in sicurezza dalla speculazione dei debiti sovrani da parte delle autorità europee rientra tra i doveri di sussidiarietà nascenti dai Trattati. Essa richiede una collaborazione con gli Stati membri che patiscono questa situazione, rinunciando tuttavia all’idea che questa sicurezza possa essere raggiunta perseguendo per decenni politiche deflazionistiche. Si possono individuare tecniche che consentono di farlo, evitando che i debiti di un Paese vengano messi a carico degli altri.

La soluzione del problema investe anche il tema continuamente invocato della protezione del risparmio che non si ottiene solo con norme adatte, ma diffondendo fiducia in chi possiede obbligazioni. A furia di insistere a livello ufficiale che esiste un problema di debito pubblico invece di indicare una soluzione – un cattivo vizio che si è molto diffuso – si è minata questa fiducia. Per chi ha investito i risparmi in titoli di Stato, questi sono ricchezza e la fondatezza di questo convincimento dipende anche dalla qualità della politica; ripristinare la supremazia della politica sulle soluzioni tecniche è il compito che ci attende in Italia e in Europa. Se si accetta l’opposto, la situazione può sfuggire di mano.

 

Alberta Sbragia, politologa di Pittsburgh, ha osservato che gli stati europei sono ormai divenuti stati membri dell’Ue, cioè entità così intrecciate le une con le altre (sul piano legislativo, economico, amministrativo, culturale, sociale), fino a svuotare nei fatti l’opzione della “separazione dall’interdipendenza”. Ciò vale ancora di più per gli stati membri dell’Eurozona. Così, la vecchia divisione (Ue: sì o no?) è stata sostituita da una nuova divisione sul cosa fare dell’Ue? Per gli italiani, la divisione è fra chi ha interesse al permanere degli attuali squilibri e chi vuole restituire agli europei una politica democratica. I primi hanno nel duo Napolitano – Mattarella i loro rappresentanti, i secondi avevano votato i partiti populisti, finora, invano.

2139.- LO SCONTRO CON LA UE HA PORTATO IL GOVERNO ITALIANO IN UN VICOLO CIECO. ECCO PERCHE’; MA SOPRATTUTTO: COME SE NE ESCE?

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Anche il più sfegatato fan di questo esecutivo ha, oggi, la sensazione che il governo si sia cacciato in un vicolo cieco e che sarà molto difficile uscirne senza danni, per l’attuale maggioranza o per il Paese.

Ormai si è capito, infatti, che la Commissione Europea – su mandato di Germania, Francia e degli altri paesi “amici” che vogliono l’Italia sotto scacco – non mollerà mai perché vuole far pagare al governo Lega-M5S le sue posizioni anti UE, per dare una lezione a tutti i “sovranisti” (colpirne uno per educarne cento), anche in vista delle prossime elezioni europee.

La Commissione europea ha in mano la corda (fornitale da chi, nei decenni scorsi, ha ceduto gran parte della nostra sovranità a Bruxelles), mentre il governo italiano ha il nodo scorsoio al collo (per la pesantissima eredità dei governi passati).

Dunque: o il governo cederà ai diktat della UE – e così farà una figura barbina e subirà una sconfitta grave che ne minerà la stabilità – o terrà duro, ma facendo subire al Paese la procedura d’infrazione e la guerra dei mercati contro di noi.

In entrambi i casi l’attuale maggioranza sarà in pericolo. Il tentativo penoso che il governo sta facendo in queste ore è quello di ammorbidire i toni, di mostrarsi dialogante e cedere solo un pochino(uno 0,2 del famoso 2,4 per cento di deficit per il 2019), in modo da poter dire di aver pareggiato la partita e aver comunque portato a casa l’obiettivo.

Ma è un’illusione, perché alla Commissione europea non importa un fico secco quella promessa dello 0,2 per cento in meno nel deficit. Ciò che vogliono è la capitolazione e l’umiliazione politica del governo italiano. Come accadde con Tsipras in Grecia. E tutto fa pensare che otterranno una resa sostanziale.

SOTTOMISSIONE

Certo, è una vicenda assurda e ingiusta. Sappiamo infatti che la UE ha sempre chiuso tutti e due gli occhi per le trasgressioni degli altri paesi (in primis Francia e Germania) e sappiamo benissimo che il 2,4 per cento di deficit (che è peraltro sotto il limite del 3 per cento di Maastricht) è tutt’altro che un’enormità, giacché è la soglia su cui si sono attestati anche i precedenti governi italiani (peraltro la procedura d’infrazione per debito eccessivo, di per sé, chiama in causa più i governi del passato, che il debito l’hanno aumentato, che l’attuale).

Ma questa non è una controversia fra ragionieri, né è una partita alla pari. È una dura guerra politica fra la UE e l’Italia. La UE – a guida tedesca e francese – vuole che il governo italiano soccomba perché l’Italia rimanga sottomessa (e sempre più asservita agli interessi altrui), mentre il governo italiano vorrebbe riprendersi pezzi di sovranità in politica economica.

A questo punto – siccome pare che sia la UE a vincere questa battaglia (salvo imprevisti) – si tratta di chiedersi dove ha sbagliato l’esecutivo Lega-M5S.

L’ERRORE

Certamente non ha sbagliato a darsi l’obiettivo di tornare ad essere padroni in casa propria, perché – di questo passo – l’Italia si ridurrà ad essere totalmente asservita ed economicamente collassata.

Il governo non ha sbagliato nemmeno nella diagnosi, perché è ormai evidente a tutti che la politica di austerità, imposta in questi anni dalla UE, ha dato risultati disastrosi, massacrando la nostra economia nazionale e la nostra gente, oltretutto facendo aumentare pure il nostro debito pubblico (anziché diminuirlo).

L’altroieri lo ha detto anche l’Institute of International Finance: “L’austerità di bilancio è un errore”. La controprova è data dagli Stati Uniti che – adottando una politica espansiva – hanno visto aumentare il loro Pil molto più dell’Europa e oggi con Trump hanno risultati eccezionali, anche sul lato dell’occupazione.

Ma allora dove ha sbagliato il governo? E’ stato fatto, all’inizio, un errore puerile. L’esecutivo si è presentato così: “in campagna elettorale abbiamo promesso a, b e c, dunque gli italiani devono avere tutto e subito e noi lo daremo perché manteniamo la parola data”.

Ma questo è un ragionamento dilettantesco, che non tiene conto delle compatibilità, della complessità dei problemi di questi anni, del contesto internazionale, dei vincoli a cui siamo sottoposti e dei tempi che l’economia e la politica esigono.

Gli italiani non sono stupidi. La maggior parte di loro avrebbe compreso benissimo un altro leale ragionamento di verità.

Il governo avrebbe dovuto dire: “cari italiani, i governi che ci hanno preceduto ci lasciano un’eredità pesantissima, sia per il debito pubblico, sia per le condizioni della nostra economia (siamo ultimi per la crescita in Europa). Noi governeremo cinque anni e, in questo lasso di tempo, realizzeremo quello che vi abbiamo promesso. Ma prima occorre che ripartano la crescita economica e l’occupazione perché se i soldi non ci sono, non si possono nemmeno distribuire. Oltretutto – da quando l’Italia ha ceduto la sovranità monetaria – tutto per noi è più arduo e faticoso”.

SUICIDIO

Con una manovra economica simile a quella di Trump, basata su detassazione e investimenti in infrastrutture e in settori produttivi che attivano occupazione e reddito, anche un eventuale deficit previsto al 2,4 per cento sarebbe passato in Europa, perché sarebbe stato possibile dimostrare che quella politica economica generava crescita e faceva diminuire il debito pubblico.

Invece hanno varato una manovra – per così dire – “distributiva” quando non c’è nulla da distribuire.

Una manovra centrata specialmente sul reddito di cittadinanza che al momento non ha nemmeno strutture che possano farlo funzionare, ma soprattutto un reddito di cittadinanza che in questa situazione non ci possiamo permettere e che non genera sviluppo, deprimendo ancor di più l’economia (e deprimendo l’Italia produttiva già troppo tartassata).

Così hanno consegnato in mano alla Commissione UE la corda e quelli la stanno usando. A questo punto resta da capire un altro mistero.

Perché il governo – conoscendo questa situazione – fin dall’inizio ha fatto la voce grossa, sfidando la Commissione europea?

Era logico pensare che avessero una carta riservata da giocare per vincere. Invece si scopre adesso che non hanno nulla. Dunque hanno dichiarato guerra e un nemico più forte sapendo di non avere né le armate per combattere, né un piano di fuga. E’ un errore enorme.

USCITA DI SICUREZZA

Peraltro quand’anche accadesse il miracolo di un “via libera” dall’Europa, per qualche 0,2 per cento in meno di deficit, il tracollo sarebbe solo rimandato, perché il dato Istat del terzo trimestre 2018 parla già di economia stagnante e porta il tasso di crescita tendenziale (annuo) del Pil dall’1,2 per cento allo 0,8. Se consideriamo che a dicembre si dissolverà pure lo scudo rappresentato dal “quantitative easing” (l’acquisto di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea) c’è da tremare.

Va detto che questo vicolo cieco è anzitutto responsabilità del M5S, che è il socio di maggioranza del governo e che si è impuntato sul “reddito di cittadinanza”.
La Lega, in soli cinque mesi, ha realizzato obiettivi politici molto importanti. Anzitutto sull’immigrazione perché, col ministro Salvini, è riuscita non solo a far crollare gli sbarchi, ma anche a far accettare, nella UE, l’idea che l’Italia non è il campo profughi dell’Europa e dell’Africa e che non si può più subire l’emigrazione incontrollata del passato. Anche sull’ordine pubblico i risultati – in soli cinque mesi – sono più che positivi.

E’ evidente che – sebbene socio di minoranza – la Lega esprime una capacità di governo largamente superiore al M5S (i sondaggi mostrano che gli italiani se ne sono accorti). Inoltre il partito di Salvini ha le idee che – anche in economia (e sulla UE) – sarebbero quelle giuste da realizzare (dispone pure di uomini competenti).

Perciò a questo punto solo la Lega e il suo leader possono escogitare una “mossa del cavallo” che ci porti fuori dal vicolo cieco. E’ urgente. Qualunque essa sia.

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Antonio Socci. Da “Libero”, 3 dicembre 2018

2101.-Blockchain, fondo ad hoc con 45 milioni in tre anni

Una legge ad hoc per Casaleggio

Altro che le leggi ad hoc di Renzi e Gentiloni! La manovra (art. 19) prevede la nascita del “Fondo Blockchain e Internet of things”, dotato di 45 milioni in tre anni, che, tramite la piattaforma Rousseau, è in stretti rapporti con Davide Casaleggio. Il Fondo, che sarà gestito al Mise di Di Maio, è stato creato con il DEF per finanziare interventi in nuove tecnologie e applicazioni di intelligenza artificiale ed ha ricevuto una dotazione notevole, stante la crisi: 15 milioni di euro all’anno per il triennio 2019-2021, per un totale, appunto, di 45 milioni.
Spingere la blockchain in Italia è la grande battaglia della Casaleggio associati, che, oggi, riunisce vari attori del settore. Siamo a un bel conflitto di interessi, che coinvolgerebbe tutta la pubblica amministrazione… al confronto quello delle televisioni è una bazzecola… Non siamo soltanto agli investimenti pubblici per profitti privati perché Casaleggio e Di Maio potranno far finanziare un nuovo sistema di protezione dati per per coprire le defaillance della loro piattaforma Rosseau; ma c’è molto di più perché, come finora hanno gestito le elezioni dei 5 Stelle, potrebbero, per esempio, o, certamente, potranno gestire, a loro insindacabile giudizio, i Centri per l’Impiego e, tramite loro, l’assunzione di ogni lavoratore disoccupato italiano. … E questo è il Governo del Popolo! Dopo l’intervista shock di Casaleggio, presidente di Rousseau, alla “Verità”: “Le Camere non saranno più necessarie”, tutto è possibile. Le ambizioni di Casaleggio sono solo un esempio degli scenari che si aprono se non si mette sotto controllo il progresso scientifico: scenari che superano i diritti dell’uomo, come vuole il Nuovo Ordine Mondiale e, presto, molto presto, ci renderemo conto che, al confronto, l’epoca della dittatura di Mussolini era una burletta.

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Quando si e’ al governo per fare soldi a palate tutto il resto (reddito di cittadinanza, microcredito, pensioni d’oro, taglio stipendio parlamentari…) è solo uno specchietto per le allodole. (foto ANSA/MASSIMO PERCOSSI)

 

Nell’ultima legge finanziaria, all’articolo 19, è passata quasi in silenzio una battaglia su uno dei temi più cari alla Casaleggio attuale: l’istituzione di un «Fondo Blockchain e Internet of things». Si tratta di un nuovo fondo destinato a «interventi in nuove tecnologie e applicazioni di intelligenza artificiale», dotato di risorse notevoli, in tempi di penuria: 15 milioni di euro all’anno per il triennio 2019-2021, per un totale di 45 milioni; ma quali interventi, quali progetti, di chi e per chi?

La strana storia dei 45 milioni per il Fondo Blockchain e il conflitto di Casaleggio

Blockchain è la buzzword del 2018 e forse anche per questo il governo del cambiamento ha sentito la necessità di finanziare lo sviluppo delle tecnologie Blockchain nella manovra finanziaria “del Popolo” al vaglio del Parlamento. Il contributo per la tecnologia più amata da Casaleggio è inserito al comma 20 dell’articolo 19 che istituisce un Fondo per favorire lo sviluppo delle tecnologie e delle applicazioni di Intelligenza Artificiale, Blockchain e Internet of Things, con una dotazione di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Uno stanziamento che ha lo scopo di finanziare progetti di ricerca e sfide competitive in questi campi.

L’attivismo di Di Maio sulla Blockchain

Quarantacinque milioni di euro in tre anni destinati ai progetti realizzati da soggetti pubblici e privati italiani ma anche esteri.  A sovrintendere sulla gestione del Fondo sarà il Ministero dello Sviluppo Economico, ovvero il dicastero retto da Luigi Di Maio, il Capo Politico di quel MoVimento che tramite la piattaforma Rousseau è in stretti rapporti con Davide Casaleggio. Che il governo, e soprattutto il ministro, siano molto impegnati sul fronte della Blockchain è noto ed è pubblico. Ad esempio il 27 settembre Di Maio annunciava che l’Italia era finalmente entrata nell’era della Blockchain aderendo alla Blockchain Partnership Initiative europea.
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Anche l’interesse di Casaleggio per questa tecnologia non è un mistero. Al punto che – come raccontano Stefano Feltri e Carlo Tecce sul Fatto Quotidiano di oggi – nel bilancio pubblicato ad aprile la la Casaleggio Associati fa sapere di «aver rilanciato le attività di consulenza “in aree in forte espansione” come l’intelligenza artificiale e la blockchain». Sempre ad ottobre scorso, scrive il Fatto, il Cipe, su proposta di Di Maio, ha sospeso la sperimentazione sul 5G (la nuova tecnologia di connessione per le reti cellulari) dirottando «95 milioni di euro per la diffusione dei servizi wi-fi e per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale e la blockchain». Proprio oggi infine, racconta La Stampa, si apre la terza edizione dell’evento dedicato alle imprese organizzato dalla Casaleggio Associati che quest’anno sarà dedicato proprio alle modalità con cui la Blockchain rivoluzionerà il modo di operare delle imprese. Anche se per la verità l’utilità della Blockchain (che Casaleggio Jr immagina verrà utilizzata anche per le operazioni di voto) è ancora tutta da chiarire.

L’interesse di Casaleggio per le “consulenze strategiche” alle aziende che vogliono investire nella Blockchain

L’evento, spiega Casaleggio in un video, non si concentra sulla parte tecnologica della Blockchain ma sul modo con cui si farà business con la Blockchain. Il ruolo della Casaleggio Associati nella diffusione della tecnologia è spiegato chiaramente nella ricerca – finanziata da Poste e Consulcesi Tech che hanno versato uno contributo da 30mila euro ciascuno – pubblicata in occasione dell’evento. Casaleggio non si occuperà di sviluppare l’infrastruttura tecnica o di produrre implementazioni della Blockchain. Si occuperà invece di fare da supporto alle aziende ottimizzando i processi e analizzando i modelli di business. Insomma come sempre la Casaleggio si occupa di fare consulenza ad altre società.

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2049.- MANOVRA: MOSCOVICI E OETTINGER DENUNCIATI IN PROCURA

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Spread alle stelle? La colpa è di Pierre Moscovici e Guentger Oettinger. È la testi dei giornalisti Francesco Palese e Lorenzo Lo Basso, che hanno denunciato i due dommissari europei per “manipolazione del mercato in relazione alle loro dichiarazioni sulla manovra del Governo italiano”.

 

(AGENPARL) – Mercoledì 24 ottobre 2018 – Una denuncia contro i commissari europei Pierre Moscovici e Guenther Oettinger per manipolazione del mercato in relazione alle loro dichiarazioni sulla manovra del Governo italiano. E’ stata presentata questa mattina presso la Procura della Repubblica di Roma da due giornalisti Francesco Palese e Lorenzo Lo Basso.

“Nelle ultime settimane – si legge nella denuncia – alcune dichiarazioni dei commissari europei Pierre Moscovici e Guenther Oettinger hanno pesantemente turbato i mercati italiani. Dichiarazioni rese alla stampa (non quindi comunicazioni ufficiali come il loro ruolo istituzionale imporrebbe) a mercati aperti che hanno manifestamente modificato l’andamento degli stessi, incidendo in modo significativo sulla fiducia e l’affidamento che il pubblico pone della stabilità patrimoniale di banche e gruppi bancari, alterando contestualmente il valore dello spread italiano.

Tali dichiarazioni sono state rese PRIMA che detti commissari ricevessero l’intera documentazione da parte del Governo italiano, avvenuta in data 16/10/2018 con il Documento programmatico di bilancio. In tal modo hanno diffuso notizie false e posto in essere operazioni simulate sulle conseguenze per l’Italia da tale manovra di bilancio provocando l’alterazione del prezzo di strumenti finanziari (violazione art. 185 TUF E ART. 501 C.P.) Lo Spread, che incide sui risparmiatori italiani, è infatti cominciato a salire. Si consideri che a fine Settembre era sul livello di 240 punti mentre è cominciato a salire vertiginosamente unitamente alle dichiarazioni dei due funzionari.

Nella denuncia vengono citate le dichiarazioni di Moscovici dello scorso 28 Settembre alla tv francese Bfm, riprese dalle agenzie di stampa italiane alle ore 10. “Fare rilancio economico – disse Moscovici – quando uno è indebitato si ritorce sempre contro chi lo fa, ed è sempre il popolo che paga alla fine”. Quel giorno lo spread, partito a 236, arrivò a toccare i 282 punti per poi chiudere a 267.

E ancora le dichiarazioni sempre di Moscovici del primo Ottobre parlando con i giornalisti in Lussemburgo. ‘Il 2,4% – affermò il commissario – una deviazione molto molto ampia”. Dopo queste affermazioni lo spread chiuse a 282 punti, partendo da 267.

E infine le dichiarazioni del 17 Ottobre di Oettinger allo Spiegel on line: “La commissione Ue rigetterà la manovra del bilancio italiano”. La lettera ufficiale della Commissione – si fa notare nella denuncia – sarà recapitata al Governo italiano in serata (a mercati chiusi) ma Oettinger avverte la necessità di anticiparne i contenuti nel primo pomeriggio ad un giornale tedesco on-line!” Lo spread passò da 292 a 308 punti”.

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2041.- Ecco la vera portata della lettera di Bruxelles che bistratta la legge di bilancio del governo Conte. Di Giorgio La Malfa

2039.- Svegliatevi tutti: stiamo diventando l’Argentina del Mediterraneo (nel vostro silenzio complice)

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La manovra del cambiamento? Uno scambio malefico tra sussidi parassitari e rivalsa nazionalista. Ma ciò che stupisce è la pavida acquiescenza delle classi imprenditoriali, che accettano misure devastanti per la nostra economia nel nome della rabbia sociale. Finirà molto male, se continua così

La comedia del Sior Intento, intitolata DEF 2019 e recitata quotidianamente dal nostro governo, sta rendendo evidente quale modello di paese questo governo abbia in mente di costruire attraverso il processo di “cambiamento” iniziato in maggio. Con il passare delle settimane e l’accumularsi sia delle dichiarazioni che degli atti concreti – decreto “dignità”, nazionalizzazione di Alitalia via FFSS, eliminazione dei meccanismi di valutazione nel sistema scolastico, presidenza RAI, (mal)gestione della tragedia genovese … sino ai provvedimenti economici che il DEF profila – l’iniziale foschia si dirada ed il quadro di fondo appare sempre più nitido.

L’obiettivo, sul piano economico-sociale, è quello di fare dell’Italia un’Argentina mediterranea, condendola con un’abbondante spruzzata di segregazione razziale in salsa messicana al fine di mantenere alto e coeso lo “spirito nazionale” per evitare, così, che il boomerang della delusione ritorni troppo rapidamente a colpire chi lo lanciò anni addietro promettendo la luna nel pozzo . A questa opera di “latin-americanizzazione” del paese i due vice-premier contribuiscono in equal modo, ognuno nell’area di propria competenza.

Il primo, Di Maio, promuove ogni tipo di provvedimento assistenziale sull’onda di un pietismo, tanto generico quanto ipocrita, verso la “povera gente” che lo stato avrebbe il dovere di “aiutare”. L’aiuto dello stato non consiste, nella visione di Di Maio e del suo movimento, nella paziente creazione di nuove opportunità di lavoro e di autorealizzazione, bensì nell’immediata distribuzione, attraverso pensioni ed assitenza, di reddito generato da altri o preso a prestito dallo stato. Ma per far questo occorre, appunto, o ben tassare chi quel reddito produce o prenderlo a prestito e nessuna delle due strade è oggi, a causa dell’abuso fattone in passato, ampia abbastanza da poter soddisfare le messianiche promesse pentastellate. È questa la principale ragione per cui, in queste settimane, il DEF ha cambiato contenuto e numeri svariate volte e, nell’ultima versione presentata lunedì, si è ridotto ad essere un documento tanto ridicolo ed internamente contraddittorio da risultare incommentabile. Fedele al principio che solo la narrazione conta e la realtà può essere ignorata, il nostro governo ha spedito a Bruxelles un testo che annuncia, in apertura, di non aver ottenuto la validazione dell’ufficio di bilancio di quel medesimo parlamento che dovrebber approvarlo! Fa già ridere così? È, appunto, la storia del Sior Intento che dura tanto tempo che mai no se destriga.

Matteo Salvini, dal canto suo, si dedica alla metodica alimentazione di un’atmosfera di rivalsa nazionalistica che serve a deviare verso un nemico immaginario l’attenzione dei gruppi sociali maggiormente danneggiati dalle politiche economiche del suo governo. Chi sono questi? Ovvio: sono i lavoratori e gli imprenditori del settore privato nel centro-nord. Questi ultimi, nella grande maggioranza dei casi, producono e consumano interamente nel campo d’azione dell’idrovora fiscale la quale, nei numeri nascosti o persino non scritti del DEF, questo governo di appresta a far aspirare ancora un po’ di più di quanto già non faccia. Al contempo, con una scelta tanto politicamente scaltra quando economicamente malefica, Salvini ed il suo partito hanno fatto inserire nel DEF sia l’ennesimo condono per la “piccola” (sic!) evasione fiscale di massa pregressa sia un’autorizzazione alla “piccola” (sicsic!) evasione fiscale futura. Chiunque abbia familiarità con la distribuzione regionale del gettito e dell’evasione fiscale per tipologia di azienda è ben cosciente che la “piccola” evasione si concentra da Roma verso il sud.

Come facciano le operose regioni del centro-nord a digerire l’ennesimo incremento della pressione fiscale per finanziare sprechi romani e sussidi meridionali in cambio di proclami nazionalistici e di vergognose azioni di persecuzione razziale, lo sanno solo i parroci presso cui si confessano la domenica quelli che ancora lo fanno.

Ecco quindi che, mentre si appresta a frodare chi lavorando ed esportando produce reddito per tutti, Salvini blatera quotidianamente di “riappropriazione della ricchezza nazionale da parte degli italiani” – con questo intende Alitalia ed i pasti/libri per gli alunni indigenti non di nazionalità italiana – e propaganda il disprezzo verso lo straniero, specialmente se “negro”, al grido di “prima gli italiani”. L’obiettivo di queste ciniche operazioni (a cui, sottolineiamolo, si presta l’intera dirigenza leghista con Zaia in prima fila) è sia di distogliere l’attenzione dei fiscalmente tartassati dai loro tartassatori romani, sia di dare ai medesimi tartassati (facendo leva sui peggiori aspetti della cultura nazionale) il miserabile contentino d’una effettiva marginalizzazione e ghettizzazione sociale di quegli immigranti di cui, alla fine, l’economia del centro-nord ha disperato bisogno. Ti tasso ancor di più per trasferire sussidi a Roma ed al sud, lascio peggiorare i servizi pubblici di cui hai disperatamente bisogno per competere e progredire ma, in compenso, ti permetto di scaricare rabbia e frustrazione sul tuo vicino negro o sul tuo dipendente straniero! Celebra il cambiamento elettore leghista!

In questa sistematica creazione di una realtà artificiale che risponde solo emotivamente alle “esigenze del popolo” – non con fatti, quindi, ma con narrazioni, simboli e promesse – un ruolo cruciale viene svolto dal sistema mediatico e dall’apparizione di pseudo-scienziati, finti economisti e filosofi da TV-spazzatura. Ma questi son temi delicati su cui sarà necessario ritornare con calma perché su di essi si gioca la partita decisiva per la costruzione di un’alternativa politica alla “latinamericanizzazione” del nostro paese.

La visione dell’Italia che questa legge finanziaria e le altre decisioni prese da questo governo disegnano è quella di un paese mediocre e straccione, dove si penalizzano i meritevoli ed i produttori per foraggiare i mediocri ed i parassiti. Un paese in preda alle correnti del declino e che sopravvive aggrappato ad una barca chiamata EU&Euro – da cui il terrore per il mitico spread, termometro dei fallimenti governativi – nei confronti della quale barca i nostri governanti alimentano invidia e risentimento per coprire i loro fallimenti magnificando, in questo, una tattica purtroppo introdotta dal governo Berlusconi del 2008-2011 e poi da tutti adottata sino all’apoteosi odierna.

Come facciano le operose regioni del centro-nord a digerire l’ennesimo incremento della pressione fiscale per finanziare sprechi romani e sussidi meridionali in cambio di proclami nazionalistici e di vergognose azioni di persecuzione razziale, lo sanno solo i parroci presso cui si confessano la domenica quelli che ancora lo fanno. Retorica a parte: davvero l’odio razziale è oggi così profondo nell’elettorato del centro-nord da giustificare un tale scambio infame? Davvero avere la libertà di poter discriminare alcune migliaia di ragazzini neri e di perseguitarne le famiglie compensa per una politica economica predatoria ed irresponsabile? Fino a quando potrà durare tale assurda storia del Sior Intento?

P.S. Mi si permetta un’aggiunta “tecnica” per il lettore interessato alla modellizzazione economica usata nel DEF. Niente simbolizza ed incarna maggiormente il fallimento nazionale che questo governo persegue della figura di Paolo Savona il quale non perde occasione, nelle sue tanto frequenti quanto insensate prolusioni economiche, di confermarcelo. Il massimo si è raggiunto nell’ultima settimana. Prima la reiterazione della ridicola proposta di “usare” il surplus della bilancia commerciale per “finanziare” debito pubblico addizionale, poi la scandalosa ammissione (per un ministro della repubblica, sia chiaro, che se fosse un privato cittadino nulla da eccepire) di avere sia una buona fetta dei propri risparmi al riparo in Svizzera sia un interesse economico attivo in un fondo che commercia anche titoli finanziari italiani (tutto questo nel silenzio colpevole di quella borghesia che a simili atti dovrebbe insorgere) ed infine l’imbarazzante dichiarazione che le ridicole previsioni di crescita (reale e nominale) su cui si regge il castello di panzane chiamato DEF sarebbero il prodotto dell’uso di nuovi e più sofisticati modelli econometrici! Nessuno ha notato come questa ultima boutade, degna d’un guitto dell’avanspettacolo, sostituisca la realtà con la fantasia incorrendo, inoltre in un banale errore logico. Evidenziamolo, perchè vi è una lezione importante nelle sciocchezze di Savona. Costui afferma: quelli di prima usavano un modello del tipo A per fare previsioni e sbagliavano, sottostimavano la crescita. Noi che siamo migliori, usiamo un modello di tipo B e per quello facciamo previsioni di crescita maggiori, perché son quelle corrette. Bene, se così fosse (che il modello A precedente sottostimava la crescita) avremmo dovuto osservare a consuntivo, in ognuno degli anni precedenti, una crescita maggiore di quella prevista. Invece è sempre, letteralmente sempre, successo il contrario. Il ministro Savona non solo mente, assieme all’intero governo, con le sue previsioni di crescita ma conferma d’essere persino incapace di farlo in modo coerente.