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6164.- Sudditanza e obbedienza dei politici europei ai voleri dei Democratici Usa, sorosiani

Un attacco sincronizzato di Usa e Ue all’Ungheria

Un discorso offensivo dell’ambasciatore americano a Budapest, contro Orban accusato di essere un dittatore. E il giorno stesso l’Ue blocca ancora i fondi di coesione. Dura e determinata la risposta di Orban.

Da La Nuova Bussola Quotidiana, di Luca Volontè, 16_03_2024Charles Michel (presidente del Consiglio europeo) e Viktor Orban (ImagoEconomica)

Orban e l’Ungheria sempre più nel mirino di Usa ed Europa, il tentativo di ingerenza negli affari di un paese democratico è palese e grave ma Orban risponde con fierezza. Non si era mai sentito che un Ambasciatore tenesse un comizio contro il governo che lo ospita, né mai si era avuta notizia di un contenzioso giudiziario tra Parlamento europeo e la Commissione solo perché la stessa Commissione ha deciso di pagare il proprio debito con Budapest, a seguito delle riforme concordate. L’azione di accerchiamento dell’Ungheria e di Orban, si è aggravata con la visita di Victor Orban a Donald Trump dello scorso 8 marzo.

Il rapporto di reciproca stima di Orban nei confronti degli ambienti repubblicaniamericani e di Donald Trump era noto da tempo, certo che la visita della scorsa settimana e l’auspicio di una vittoria del candidato repubblicano contro l’attuale presidente Joe Biden, ha scatenato la macchina da guerra Usa. Alle reazioni scomposte ed accuse inverosimili di Biden contro Orban e sul suo colloquio con Trump, il governo ungherese ha quindi chiesto dei chiarimenti all’ambasciatore degli Stati Uniti, David Pressman.

Il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó ha anche riferito che le relazioni bilaterali sono estremamente complicate dalla dichiarazione dell’ambasciatore americano, secondo cui la posizione ufficiale degli Stati Uniti è che «qui in Ungheria stiamo costruendo una dittatura», poiché questo non è un insulto al governo ma al paese. «Perché il primo ministro e il governo non stanno governando questo paese per sorteggio, ma per scelta del popolo. Abbiamo vinto quattro elezioni di fila e il popolo ha stabilito la direzione del governo, che stiamo attuando», ha spiegatoSzijjártó nei giorni scorsi.

Secondo Budapest, non è un mistero, l’Amministrazione Biden degli Stati Uniti sta esercitando una pressione costante sull’Ungheria, i finanziamenti per condizionarne l’esito elettorale e promuovere le proteste di piazza, sono note e dettagliate. Il 13 marzo ancora una volta il Ministro degli esteri di Budapest è dovuto intervenire per rispondere alle accuse del consigliere per la sicurezza dell’Amministrazione Biden Jake Sullivan che si era rifiutato di ritrattare le affermazioni infondate del presidente Joe Biden secondo cui il primo ministro ungherese «vuole una dittatura» nel suo paese, ricordando come l’Ungheria sia orgogliosamente il paese del «niente guerre, niente gender, niente migrazioni!». Il 14 marzo l’ulteriore colpo di scena, sincronizzato con la decisione del Parlamento europeo di denunciare la Commissione per la deliberazione di pagare i debiti, ovvero inviare i ritardati fondi post Covid all’Ungheria.

L’ambasciatore statunitense a Budapest David Pressman, già noto per il suo esplicito sostegno alle opposizioni politiche e alle lobby Lgbti ungheresi, ha pronunciato un lungo discorso in occasione del 25° anniversario dell’adesione dell’Ungheria alla Nato. Ha sottolineato più volte che gli Stati Uniti sono per il dialogo e la cooperazione ma, non riuscendo in questo dialogo con il governo Orban gli Stati Uniti «agiscono perché questo è tutto ciò che il governo Orban capisce». Agiscono autonomamente in un paese democratico? Il luogo scelto per il discorso è stato il segno e l’emblematica  risposta: era l’ex edificio della Ceu, università centro europea di George Soros a Budapest, trasferitasi a Vienna dopo il contenzioso con Orban. Messaggio chiarissimo ed indegno dell’ambasciatore Usa che ha accusato Orban ed il suo governo di sequestro dei mass-media, corruzione e di tentativi di smantellare lo Stato di diritto, e «retorica selvaggia…per incitare la passione o accendere una base elettorale, con messaggi anti-americani pericolosamente sgangherati». [Ndr. ieri 15 marzo il testo del discorso non era stranamente più disponibile sul sito della Ambasciata Usa a Budapest].

In un sincronismo perfetto, inquietante segno di sudditanza e obbedienza dei politici europei ai voleri dei Democratici Usa e della galassia di organizzazioni legate a Soros, la decisione della Presidente del Parlamento europeo, a seguito della riunione dei capigruppo di giovedì 14 marzo, di avviare un’azione legale davanti alla Corte di giustizia, contro le altre istituzioni europee dopo la decisione di sbloccare i 10,2 miliardi di euro di fondi di coesione per l’Ungheria.

La risposta di Orban alle minacce e alle interferenze? Ieri nel suo discorso in occasione della festa nazionale per commemorare la rivoluzione ungherese del 1848 contro il dominio asburgico, Orban ha ribadito la volontà di pace e si è scagliato contro l’Ue e ricordato che i «popoli d’Europa oggi temono che Bruxelles gli tolga la libertà… Se vogliamo difendere la libertà e la sovranità dell’Ungheria, non abbiamo altra scelta che occupare Bruxelles».

5743.- Immigrazione: e se i polacchi non avessero tutti i torti?

Al termine del Consiglio europeo, al Punto Stampa, il presidente Meloni ha riferito sulle conclusioni del Consiglio, sull’atteggiamento di Polonia e Ungheria, in merito all’immigrazione, in modo più chiaro:

“Non sono delusa dall’atteggiamento di Polonia e Ungheria. Io non sono mai delusa da chi difende i propri interessi nazionali. La scelta di Polonia e Ungheria non riguarda quella che è la mia priorità in tema di immigrazione, cioè la dimensione esterna, riguarda la dimensione interna e, cioè, il patto di immigrazione e asilo. Il punto è proprio questo, finché noi cerchiamo delle soluzioni su come gestire i migranti quando arrivano sul territorio europeo non troveremo mai l’unanimità perché la geografia è diversa, le necessità sono diverse, perché le situazioni sono diverse, perché la politica è diversa. L’unico modo per affrontare il problema tutti insieme è lavorare sulla dimensione esterna ed è su questo che noi siamo riusciti ad imprimere una svolta totale il punto è che quello su cui stiamo lavorando noi, dalla Tunisia in poi, coinvolge tutti i paesi del Consiglio. Su questo c’è un consenso unanime, a 27. … Aiutare l’africa ad avere un’alternativa… Tra l’altro abbiamo interessi convergenti, per esempio, sull’energia… .”

… e se i polacchi non avessero tutti i torti?


Da Scenari economici. Di Guido da Landriano, Pubblicato il 1° Luglio 2023

Ieri il vertice dei capi di governo UE sull’immigrazione non ha avuto il successo sperato. Nonostante la mediazione di Giorgia Meloni la nuova intesa, che prevede una sorta di obbligo alla redistribuzione dei richiedenti asilo, salvo il pagamento di 22 mila euro per ogni richiedente asilo non accettato.

La norma sembra scritta in favore di quei paesi come Italia e Grecia che si trovano, purtroppo, ad essere la frontiera dell’Europa, ma né Polonia né l’Ungheria sono state disposte ad accettare la proposta. L’Ungheria di Orban, in questo momento, ha una posizione eccentrica rispetto al resto della UE, ma la Polonia ha un governo che fa parte di ECR, il gruppo presieduto dalla Meloni, ed è visto un po’ come una guida per gli altri paesi centro europei. Perché non ha accettato la mediazione?

Il sito polacco RP.PL lo spiega con grande chiarezza:

1) Mateusz Morawiecki: la Polonia sostiene il consenso del 2018 sui rifugiati

 La Polonia ha aderito alla nostra posizione, che è stata definita come il consenso del Consiglio europeo nel 2018, confermata nel 2019 ed è ancora il canone vincolante delle decisioni politiche. Poiché il nostro punto di partenza è la sicurezza, e in Polonia la sicurezza è descritta dai polacchi come di alto livello, vogliamo mantenerla a questo livello, ha affermato.

Il 96 percento. dei polacchi ritiene che nel loro quartiere sia sicuro, si può facilmente uscire a fare una passeggiata, al ristorante o al cinema, anche dopo il tramonto. Gli abitanti delle città svedesi, o anche qui a Bruxelles, Parigi, Marsiglia, Lilla, possono dire lo stesso del loro quartiere? Perché i polacchi dovrebbero calare il loro livello di sicurezza?

Mateusz Morawiecki: se apriremo la porta, arriverà un’ondata di clandestini

Il presidente francese Emmanuel Macron, che ho visto questa mattina, ha dovuto lasciare presto il vertice per affrontare le enormi rivolte, auto in fiamme, pneumatici, vetri rotti, furti, rapine e molti crimini che si verificano in Francia. Negozi saccheggiati, ristoranti vandalizzati, auto della polizia incendiate. Barricate nelle strade. Perché la Polonia dovrebbe vedere lo stesso spettacolo? Dice  Morawiecki  “Penso che tutti i polacchi, compresi gli elettori dell’opposizione, risponderanno che questo non è il quadro che vogliamo”.

I confini segnano la vera differenza tra l’Europa come continente di libertà e sicurezza e le aree in cui regnano il caos, l’anarchia e talvolta la tirannia, ha dichiarato il primo ministro Mateusz Morawiecki in una conferenza stampa.

Morawiecki prosegue: “Apriremo la porta – entrerà un intero fiume di migranti illegali, quello con cui abbiamo a che fare, ad esempio, in Francia o in Svezia, lontano dal Mar Mediterraneo “

Morawiecki ha fatto riferimento alla dichiarazione del Commissario UE er gli affari interni, Ylva Johansson.

“Ha detto che tutto questo non significa trasferimento forzato. Se un paese deve pagare una multa di 22.000 euro per un immigrato non accettato, è di fatto una coercizione. E il secondo punto: ho chiesto che se questo è ciò che ha detto la signora Johansen, ho chiesto che, quindi, l’affermazione secondo cui non vi è alcun trasferimento forzato sia inclusa nelle conclusioni. Poiché non c’era consenso a questo, non siamo d’accordo con le conclusioni – penso che tutto sia logico, tutto sia chiaro, ha dichiarato il capo del governo”. 

Non abbiamo accettato di deviare da questo consenso, e quindi non abbiamo accettato di adottare una conclusione in una forma che implichi il nostro consenso tacito o implicito alla migrazione forzata, o a qualsiasi distribuzione, separazione degli immigrati clandestini“, ha aggiunto. “Spero che l’Europa torni in sé e torni in sé“.

Mateusz Morawiecki: periferia di Parigi in fiamme e tranquilli villaggi polacchi

La Polonia ha presentato il piano “L’Europa delle frontiere sicure”, che si compone di pochi semplici punti che hanno incontrato una scissione positiva. In primo luogo, aumentare gli investimenti nella protezione delle frontiere esterne dell’Unione, in secondo luogo, rafforzare Frontex, in terzo luogo, contrastare l’immigrazione di massa alla fonte. In paesi che soffrono anche oggi a causa della grande criminalità del colonialismo. Ne è responsabile la Polonia? 

La Polonia poi propone di ridurre fortemente i servizi sociali per coloro che sono clandestini e non provengano da aree di guerra, come l’Ucraina, di cui una grossa fetta dei rifugiati è ospitata proprio in Polonia. Accusarla di egoismo è scorretto.

Siamo sicuri che questa non sia la soluzione giusta anche per l’Italia?

Facciamoci una domanda: la maggioranza di Centrodestra ha ricevuto i voti per una soluzione all’immigrazione che lascia la UE come una sorta di colapasta penetrabile da qualunque parte, con solo la possibilità di un parziale ricollocamento degli sbarcarti, oppure per fermare in modo definitivo questo flusso irregolare ed estremamente problematico. Il Presidente Meloni è stato eletto per fare accordi con Macron, o per evitare che l’Italia faccia la fine della Francia?

Il problema è che cercare una soluzione europea, qualsiasi questa sia, sembra per lo meno illusorio, o porta il problema a un livello di complessità che neppure Cavour potrebbe gestire anche perché, francamente, la discussione avviene con parti politiche che spesso hanno interesse nel veder fallire l’Italia. Per quanto buono possa essere l’accordo superiore la situazione è tale per cui bisogna essere realisrti e consci che questo potrebbe non essere mai raggiunto, almeno ad un livello utile per l’Italia. Anche perché non possiamo andare avanti molto con 60 mila migranti irregolari ogni sei mesi, come è accaduto nella prima metà del 2023.

5561.- L’occasione d’oro dei porti italiani.

Report Cdp

Pure senza contare la sempre più vicina apertura delle rotte artiche, l’auspicato rafforzamento dei traffici nel bacino mediterraneo deve fare i conti con gli investimenti nelle infrastrutture, sopratutto, con la concorrenza della Cina e con le sue crescenti influenze. Dal 2016, la Cina, attraverso la statale COSCO Shipping, controlla il Pireo, il più grande porto greco. Il Pireo è fondamentale per la Belt and Road Initiative (BRI), che garantisce alla Cina una posizione di dominio nelle infrastrutture di trasporto europee, costruita attraverso gli investimenti nelle reti ferroviarie. Le società cinesi hanno fornito un ingente supporto tecnico e finanziario allo sviluppo delle ferrovie della Serbia, dell’Ungheria e della Turchia. L’argomento chiama alla riflessione sulla rilevanza delle politiche di penetrazione cinesi nei mercati euro mediterranei, che richiedono attenzione non solo dal punto di vista commerciale. C’è molto da riflettere sul rinnovo dell’accordo Italia-Cina. Per esempio, in Germania, alla fine del 2022, con una inversione inattesa di tendenza, è stato classificato “critico” l’ingresso della società statale cinese Cosco in un terminal container del porto di Amburgo, che, perciò, riceverà una protezione speciale. Ecco che la geopolitica ha fatto capolino nell’accordo fra Hamburger Hafen und Logistik e Cosco e, più in generale, nei rapporti commerciali e politici con Stati autoritari. Ragionamenti simili possono farsi per il porto di Salonicco, centrale per le dinamiche eurobalcaniche, il cui controllo è ora nell’orbita dell’uomo più ricco della Grecia, l’oligarca ellino-russo Ivan Savvidis, che rappresenta gli interessi della Federazione Russa. C’è una forte partecipazione cinese (33%) nel consorzio guidato da Ivan Savvidis. Salonicco potrebbe diventare una spina nel fianco dell’alleanza greco-americana in un’area sensibile, dal momento che vi transitano i gasdotti Tap e Tanap. Con una Salonicco russo- cinese anche gli auspici del ministro Urso sul futuro del porto di Trieste potrebbero venir meno.

Veduta aerea del porto di Salonicco

I porti italiani hanno subito in particolare la competizione del Pireo, degli scali spagnoli (Valencia e Algeciras) e di quelli nord-africani di Port Said e Tanger Med, che hanno sensibilmente migliorato il loro posizionamento all’interno del network del commercio internazionale.

Tuttavia, il riassetto degli equilibri commerciali e industriali apre a nuovi scenari rispetto ai quali la portualità italiana si trova ben posizionata.

La regionalizzazione degli scambi e delle filiere produttive, infatti, non potrà che riflettersi in un rafforzamento del traffico marittimo intra-mediterraneo. Ciò accentuerà la rilevanza del posizionamento strategico dell’Italia, candidata naturale al ruolo di hub logistico per i flussi commerciali tra Nord Africa ed Europa continentale.

L’ECCELLENZA ITALIANA NELLO SHORT SEA SHIPPING

In questa prospettiva assume grande rilievo la leadership che i porti italiani hanno saputo sviluppare nell’ambito del traffico marittimo a corto raggio (c.d. short sea shipping), una modalità di trasporto pienamente in linea con le esigenze del commercio regionale.

Si tratta di un settore nel quale l’Italia può far valere una posizione di eccellenza, essendo il primo Paese in Europa per volume di merci movimentate, con una quota di mercato pari al 14% del totale, davanti a Paesi Bassi 13,5%, Spagna 10% e Francia 7%.

IL RO-RO

Un segmento particolarmente rilevante nell’ambito dello short sea shipping è quello del Ro-Ro, nel quale l’Italia vanta un primato assoluto: 7 dei primi 10 porti Ro-Ro europei del Mediterraneo, sono ubicati in Italia.

Il Ro-Ro costituisce una leva importante per cogliere le opportunità legate alla rimodulazione dei flussi commerciali: la sua natura intrinsecamente intermodale, che permette di combinare trasporto marittimo e stradale/ferroviario, gli conferisce infatti un elevato grado di flessibilità rispetto all’evoluzione della domanda.

5413.- L’Impero dei bombardamenti di condotte non sa nemmeno bombardare una condotta correttamente

Questi gasdotti non possono rompersi. Possono essere minati, bombardati, ma bisogna saperlo fare. Il Nord Stream 2 è composto da due linee parallele di condutture e si aggiunge alle due già presenti di Nord Stream 1, che è lungo 1.224 chilometri. Si tratta di 200 mila tubi di acciaio spessi 4 cm, ricoperti da 6-10 pollici di cemento e rinforzati con un’armatura di ferro, ognuno della lunghezza di 12 metri e dal peso di 24 tonnellate. Era stata proprio la nostra Saipem a progettare e costruire il principale gasdotto Nord Stream fra il 2011 e il 2012. Nella progettazione si previde di dover intervenire per ripararlo, quindi, se, p. es., si dispone di gru da 3.000 tonn. di portata, è possibile portarlo in superficie. Con la pressione interna scesa a 10 bar, quanto quella esterna, si sono fermate le perdite. Pe le riparazioni, ci sono almeno quattro ipotesi allo studio, ma serve la cooperazione internazionale.

Da Maurizio Blondet,  4 Ottobre 2022. Di Pepe Escobar

Gazprom PJSC ha detto ai clienti europei che è in grado spedire gas attraverso una delle linee non danneggiate e sta lavorando per rilevare e riparare i danni sulle altre linee

https://bloomberg.com/news/articles/2022-10-03/gazprom-ready -to-ship-gas-via-shelfed-nord-stream-2-oleodotto

confermato da Gazprom:

La linea B del Nord Stream 2 NON è stata danneggiata da Pipeline Terror la scorsa settimana.

Nord Stream è una meraviglia della tecnologia. Anche la linea A di NS2 ed entrambe le corde di Nord Stream sono state solo FORATE. I tubi sono tremendamente forti.

Tutto ciò fa parte della mia prossima rubrica.

“Gazprom sta lavorando per depressurizzare la linea B del gasdotto Nord Stream 2 per ridurre i potenziali rischi ambientali derivanti da possibili perdite di gas. Se viene presa la decisione di avviare le consegne di gas tramite il Nord Stream 2 stringa B, il gas naturale verrà pompato nel gasdotto”.

Questo apre un capitolo completamente nuovo. Tutto dipenderà dal fatto che il governo tedesco sarà costretto dal generale Winter a crescere una coppia, agire in base ai loro interessi nazionali e rovinare l’Impero.

è….

Le perdite finanziarie coinvolgeranno alcuni giocatori importanti. Gli azionisti di Nord Stream AG sono Gazprom (51%); Wintershall Dea AG (15,5%); PEG Infrastruktur AG, controllata di E.ON Beteiligungen (15,5%); NV Nederlandse Gasunie (9%) ed Engie (9%).

Quindi questo è un attacco non solo contro Russia e Germania, ma anche contro le principali compagnie energetiche europee.

NS2 è una meraviglia dell’ingegneria: oltre 200.000 segmenti di tubo rivestiti con 6 pollici di cemento, ciascuno del peso di 22 tonnellate, disposti sul fondo del Mar Baltico.

E proprio quando sembrava che tutto fosse perduto, beh, non proprio. Il tema della meraviglia ingegneristica è riemerso: i tubi sono così resistenti che non sono stati rotti, ma semplicemente forati. Gazprom ha rivelato che esiste una stringa intatta di NS2 che potrebbe essere “potenzialmente” utilizzata.

La conclusione è che la ricostruzione è possibile, come ha sottolineato il vice primo ministro russo Aleksandr Novak: “Ci sono possibilità tecniche per ripristinare le infrastrutture, richiede tempo e fondi adeguati. Sono sicuro che si troveranno opportunità adeguate”.

DPA:

Ungheria potrà pagare solo una parte del gas che acquista dalla Russia “in un secondo momento”

Il differimento degli importi parziali si estenderà inizialmente a sei mesi, ha affermato il ministro dello Sviluppo economico ungherese Marton Nagy in una discussione di fondo con i giornalisti. Il pagamento differito riguarda importi che superano un prezzo base non specificato a causa delle attualmente massicce fluttuazioni dei prezzi di mercato, ha proseguito Nagy.

Per il prossimo inverno, ciò significa che per il momento l’Ungheria non dovrà mettere a disposizione fondi aggiuntivi per le sue importazioni di gas dalla Russia, anche in caso di aumento dei prezzi. Nella discussione di fondo di lunedì, che è stata riportata dai media martedì, Nagy ha ammesso per la prima volta che l’Ungheria non riceve uno sconto sulle sue importazioni di gas russe, ma nel complesso paga il prezzo del mercato spot.

Il fatto che la Russia rinvii parzialmente il pagamento delle importazioni di gas a un paese dell’UE e della NATO è considerato insolito. Il primo ministro ungherese Viktor Orban intrattiene da anni buoni rapporti con il presidente russo Vladimir Putin. Mentre Mosca ha tagliato il gas a molti paesi occidentali, la scorsa estate ha promesso all’Ungheria forniture aggiuntive.

I commentatori a Budapest si stanno ora chiedendo che tipo di quid pro quo Mosca si aspetta da Orban per un trattamento preferenziale. Nell’UE, l’Ungheria ha finora sostenuto le decisioni sulle sanzioni contro la Russia, che devono essere prese all’unanimità. Dall’estate, tuttavia, Orban ha scatenato senza inibizioni sanzioni anti-UE. Questi danneggerebbero gli europei più della Russia.

Nelle prossime settimane il capo del governo ungherese vuole utilizzare un questionario per far prendere posizione alla popolazione contro le sanzioni. (Dpa)

La Cina vende gas russo all’Europa a caro prezzo

La Cina acquista gas liquefatto dalla Russia a prezzi estremamente bassi. I cinesi possono rivendere il GNL da altre fonti in Europa con un enorme profitto.

L’impianto di esportazione di Sakhalin-2 GNL nell’Estremo Oriente russo ha venduto diverse spedizioni in Cina in una gara conclusa all’inizio di questa settimana, la cui consegna è prevista entro dicembre a quasi la metà del prezzo spot attuale, secondo i commercianti coinvolti nella questione.

Poiché i prezzi globali del gas sono aumentati notevolmente quest’anno, il progetto russo può ancora generare profitti da queste vendite alla Cina, ben al di sotto dei prezzi di mercato.

Quindi il commercio è vantaggioso per entrambi i paesi. La Russia può continuare a vendere il carburante con profitto. La Cina blocca il gas a basso costo e rivende forniture da esportatori più costosi alle utility in Europa e in Asia.

Giappone e Corea del Sud, tradizionalmente i principali acquirenti di Sakhalin LNG, non hanno ricevuto forniture spot dall’impianto da quando la Russia ha invaso l’Ucraina a febbraio.

Esportazioni di GNL russo in Cina ai massimi livelli dal 2020

“L’offerta russa sta ancora trovando la sua strada nel mercato, solo con una ristrutturazione dei flussi commerciali da parte dei partecipanti al mercato che non hanno obiezioni ad accettare merci russe”, ha citato Saul Kavonic, analista energetico di Credit Suisse.

“Sembra che la Cina stia accettando felicemente i carichi di GNL russi a prezzi scontati, compensando forniture alternative che possono quindi essere convogliate in Europa a prezzi più elevati”.

Le importazioni cinesi di GNL dalla Russia sono salite al livello più alto in almeno due anni ad agosto, secondo i dati di tracciamento delle navi compilati da Bloomberg. Nel frattempo, le spedizioni dagli Stati Uniti sono diminuite poiché gli importatori cinesi dirottano i carichi verso l’Europa con alti profitti.

In risposta alle sanzioni occidentali, il 30 giugno il progetto Sakhalin-2 è stato trasferito a un operatore russo con decreto del presidente Vladimir Putin. Come il vecchio operatore, questo nuovo operatore è di proprietà di maggioranza di Gazprom PJSC. Tuttavia, il gruppo energetico britannico Shell ha perso la sua quota del 27,5% nel progetto come parte del cambio di operatore.

5036.- La nuova vittoria di Orban ha un significato tanto semplice, quanto evidente: Ci sono popoli che rifiutano di morire.

Julien Michel. La Lettre Patriote, 4 aprile 2022.

I francesi che tentano l’espatrio nei paesi dell’Europa centro-orientale non possono crederci: possiamo quindi vivere in Europa, non troppo lontano dalla Francia, in paesi pacifici, piacevoli, dove i rapporti tra la Chiesa e lo Stato sono normali, rispettosi, dove un uomo è un uomo e una donna una donna, dove i bambini non sono imbottiti di devianza elevati al rango di religione, ecc.

Sì, è possibile vivere in Europa come era in Francia fino al 10 maggio 1981.

Ci sono diversi modi per avvicinarsi a questo. Ci sono paesi come la Romania che pretendono di fare il gioco dell’Europa, apparentemente danno pegni, ma in realtà seguono molto poco i dettami di Bruxelles, per poter continuare tranquillamente la propria vita e le proprie pratiche…

E poi ci sono quelli, come l’Ungheria, che fanno il possibile, resistendo con forza alle percosse dei postmoderni, guidati dall’orribile Soros, lui stesso nato ungherese.

L’Ungheria ne sta pagando il prezzo: la stampa occidentale bene intenzionata (e sovvenzionata) ne vomita a lungo con articoli, e i commissari europei sognano solo sanzioni, umiliazioni, ecc. contro di essa. In che modo l’Ungheria rifiuta di accogliere “rifugiati” uomini single e musulmani? Come? ‘O’ cosa… ? eccetera

Vediamo persino le accuse di elezioni truccate spuntare qua e là, quando non è così.

È molto difficile per le infide “élite” di Bruxelles confrontarsi con una realtà che considerano antiquata e insopportabile: popoli che hanno un desiderio furioso di mantenere il loro modo di vivere, di preservare la pace civile, di continuare a camminare senza pericoli nel sera nelle loro città, e di lasciare soli i campanili – oi bulbi d’oro – per disegnare l’orizzonte del paesaggio nazionale, a perdita d’occhio.

È insopportabile per Bruxelles. E proprio per questo, questa nuova vittoria di Viktor Orban deve scaldarci il cuore.

4364.- Orban: la migrazione di massa fa parte del “piano globale” per creare un “nuovo proletariato.

Che si sia con o contro le tesi di Orban, è un fatto che le imponenti risorse profuse nell’immigrazione di massa devono far parte di un piano.

Blondet&Friends, Maurizio Blondet  28 Settembre 2021 

Parlando alla 4a Conferenza demografica di Budapest, organizzata come un forum sulle politiche a favore della famiglia e altre misure per invertire il declino della popolazione senza ricorrere all’immigrazione di massa, Orbán si è rivolto ai partecipanti – tra cui l’ex vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence , il presidente della Serbia , il presidente serbo di Bosnia, e i primi ministri della Slovacchia e della Slovenia – osservando che la causa del conservatorismo nazionale ha “sofferto sensibili perdite politiche” negli ultimi anni. “Il presidente Trump non è stato in grado di continuare il suo lavoro” negli Stati Uniti dopo il gennaio 2021, …- “e Dio sa cosa accadrà in Germania questa domenica” quando Angela Merkel è teoricamente il partito di centro-destra potrebbe essere sostituito da un governo di sinistra che includa possibilmente il partito comunista di sinistra marxista  nelle elezioni nazionali.

[…]

“È un problema che la popolazione sia in declino?” chiese.

“L’Occidente… semplicemente non vuole mantenersi. Non giriamoci intorno: certe civiltà sono in grado di riprodursi; la civiltà occidentale non è in grado di riprodursi, al punto che non sono in grado di decidere se questo sia un problema.

“Alcuni [ i miliardari del deep state e Forum di Davos, ndr. ] sono dell’opinione che questo non sia un problema e sostengono che aumentando la produttività e sviluppando la tecnologia meno persone saranno in grado di generare più beni, più beni pubblici. Produzione meccanizzata, intelligenza artificiale, economia automatizzata: il lavoro umano non conta più. Questa è la soluzione tecnocratica della Silicon Valley “, ha spiegato.

“E ci sono altri che avvertono il problema del declino demografico e per questo vogliono la migrazione. Credono che i popoli alieni da terre lontane dovrebbero essere trasferiti e questo fermerà il declino demografico. Ma la migrazione di massa… i milioni di persone che sono state attirate qui, sono fondamentalmente un piano globale di formazione di un nuovo proletariato”, ha accusato, aggiungendo che i promotori di questa visione del mondo “non tengono conto dell’aspetto culturale della democrazia”.

La migrazione, ha spiegato Orbán, “è una questione di identità” – e “un paese sarà vitale solo se i suoi cittadini condividono in gran parte gli stessi valori – in caso contrario, la nazione, il paese, cadrà a pezzi..”

Il piano dell’Ungheria per invertire il declino demografico rifiutando la migrazione di massa per mantenere la sua identità culturale e coesione sociale, ha detto Orbán alla conferenza, è costruito attorno al principio fondamentale che “lo stato deve proteggere la famiglia e lo stato deve eliminare tutte le ostacoli alla costituzione di famiglie” come elementi costitutivi della società.

Come risultato delle politiche, ha affermato Orbán, “abbiamo quasi raddoppiato i matrimoni” e goduto di un “calo del 41% dell’aborto” dal 2010 –

“Devo dirti onestamente, ci stiamo difendendo, l’Ungheria si sta difendendo, contro gli attacchi della sinistra occidentale; stanno attaccando il modello familiare tradizionale” ha avvertito.

Questi attacchi non sono arrivati ​​solo sotto forma di critiche dirette alle politiche economiche volte a consentire alle coppie di creare una famiglia – e salvare il paese in generale da una bomba demografica a orologeria – che sono spesso dipinte in modo piuttosto ingeneroso come un complotto retrogrado per trasformare le donne in “baby machine” – ma attraverso una parte di una più ampia spinta culturale a “relativizzare la nozione di famiglia”.

Lo “strumento” preferito per questo, ha affermato Orbán, è “l’Lgbtq e la lobby di genere”.

Il leader ungherese ha ricevuto dalla Kommissione UE attacchi feroci e autoritari per la legislazione approvata di recente volta ad affrontare questo problema rendendo illegale la promozione di contenuti LGBTQ su cose come il cambio di genere per i minori nelle scuole e nei media, ma crede che la posizione ungherese non sia così lontana da quello del pubblico dell’Europa occidentale, come suggerirebbe la protesta.

“Nell’Europa occidentale e a Bruxelles, nessuno ha mai chiesto alla gente della propaganda LGBTQ o della migrazione”, ha detto.

Di seguito il lucido commento di Cesare Sacchetti

Alla quarta conferenza demografica tenutasi a Budapest, Viktor Orban ha descritto molto chiaramente il vero scopo dell’immigrazione di massa. Le immigrazioni dai Paesi afro-asiatici non sono un fenomeno spontaneo. Sono un fenomeno orchestrato ed eterodiretto dalle ONG finanziate e dalle istituzioni più rappresentative del disegno mondialista, quali le Nazioni Unite. L’idea è quella di creare un ammasso di genti senza alcuna identità. Orban ha parlato a questo proposito della creazione di un “nuovo proprietariato”. È il disegno originario del conte Kalergi, il nobile austriaco che già negli anni’20 venne finanziato dai Rothschild e dai Warburg.

Kalergi auspicava la costruzione degli Stati Uniti d’Europa popolati non dai tradizionali popoli etnici europei ma piuttosto dalla fusione di africani, asiatici ed europei.

È il proletariato senza identità e cultura di cui parla Orban. È un piano di distruzione scientifica della vera Europa e del mondo Occidentale che attraverso la secolarizzazione e la scristianizzione ha accelerato e favorito questo processo di disgregazione etnica e culturale. L’ideologia liberalmarxista ha polverizzato l’idea della famiglia naturale, ovvero il pilastro sul quale ha sempre poggiato tutta l’Europa. Una volta rimosse le sue fondamenta, l’Europa ha iniziato il viaggio verso la sua autodistruzione. Il male dell’Occidente è proprio questo. Non si fanno figli perché la famiglia è stata minata attraverso un’aggressione culturale e un’altra economica che ha privato i popoli europei dei mezzi necessari per sostentare i figli. Per guarire, l’Occidente deve fare soltanto una cosa. Liberarsi di questi falsi valori imposti dal femminismo e dal marxismo. Per guarire, l’Occidente deve tornare ad essere ciò che è sempre stato per oltre duemila anni.

3596.- Ungheria: “I confini dell’Europa devono essere protetti”.

Orban. Il premier ungherese ha ripetuto l’affermazione che l’Ue sta eseguendo “il piano di George Soros”, quando intende sanzionare finanziariamente gli stati che rifiutano di accogliere i migranti. “L’Europa occidentale è ormai diventata un’entità di paesi di immigrati, ma l’Europa centrale saprà conservare i valori cristiani e nazionali, rifiutiamo la cultura multietnica.” 

by Soeren Kern, Senior Fellow presso il Gatestone Institute di New York,

“L’Ungheria sarà un paese ungherese solo finché i suoi confini rimarranno intatti. Pertanto, non solo la nostra sovranità millenaria ma anche il futuro dei nostri figli ci obbliga a proteggere i nostri confini”. – Judit Varga, Ministro della giustizia ungherese, 17 dicembre 2020.
“Sebbene il piano d’azione darebbe agli immigrati più diritti e diritti, non sembra prendere in considerazione i rischi per la sicurezza associati alla migrazione di massa”. – Zoltán Kovács, portavoce del primo ministro ungherese Viktor Orbán, 17 dicembre 2020.
“Se stai pensando che tutto questo suona familiare, non sei solo. Il piano d’azione è simile al piano di George Soros di far ammettere all’Europa” almeno un milione di richiedenti asilo all’anno per il prossimo futuro “… . Quei migranti che l’Europa dovrebbe ammettere, secondo il piano Soros, la loro distribuzione dovrebbe essere permanente e obbligatoria. Ha anche chiarito che il suo piano mira a proteggere gli immigrati e che i confini nazionali sono un ostacolo a questo. ” – Zoltán Kovács, 17 dicembre 2020.
“L’Unione, secondo il piano, darebbe più sostegno agli immigrati che ai propri cittadini sostenendo le imprese costituite e gestite dai primi. Inoltre, il piano, sostenendo l’occupazione dei migranti, metterebbe in pareggio i cittadini dell’UE disoccupati. posizione più difficile. ” – Zoltán Kovács, 17 dicembre 2020.
“Ma il piano d’azione della Commissione va anche oltre, cercando di portare circa 34 milioni di migranti a diventare cittadini dell’UE (quasi l’8% dell’attuale popolazione dell’UE). Cioè, a 34 milioni di migranti sarebbe concessa la cittadinanza e il diritto di voto .. .. Chi dice che questo è ciò che l’Europa vuole o di cui ha bisogno? Quando i cittadini europei hanno votato per questo? ” – Zoltán Kovács, 17 dicembre 2020.

Secondo Zoltán Kovács, portavoce del primo ministro ungherese Viktor Orbán, il piano d’azione della Commissione europea cerca di “portare circa 34 milioni di migranti a diventare cittadini dell’UE (quasi l’8% dell’attuale popolazione dell’UE). Cioè, 34 milioni di migranti sarebbero concessa la cittadinanza e il diritto di voto …. “Nella foto: il confine ungherese con la Serbia, fuori Szeged, Ungheria. (Foto di Chris McGrath / Getty Images)

La Corte di giustizia dell’Unione europea, la corte suprema dell’UE, ha stabilito che l’Ungheria ha violato il diritto dell’UE quando ha impedito agli immigrati illegali di chiedere asilo. La sentenza apre la strada alla Commissione europea, il potente braccio amministrativo dell’UE, per imporre sanzioni finanziarie per le politiche restrittive in materia di immigrazione dell’Ungheria. Il governo ungherese ha promesso che non si piegherà alle pressioni per saltare a bordo del carrozzone multiculturale dell’UE.

Nella sentenza del 17 dicembre, la corte, informalmente nota come Corte di giustizia europea (CGE), ha accusato il governo ungherese di rinchiudere i migranti nelle cosiddette zone di transito e di limitare la loro capacità di presentare domanda di asilo. La corte ha anche riscontrato che l’Ungheria non ha permesso ai richiedenti asilo di lasciare la detenzione mentre i loro casi venivano presi in considerazione e non ha offerto alcuna protezione speciale ai bambini e ai più vulnerabili.

Il caso nasce da una causa intentata dalla Commissione europea per una decisione del 2015 dell’Ungheria di stabilire due zone di transito al confine meridionale con la Serbia per fermare un afflusso massiccio di migranti dall’Africa, dall’Asia e dal Medio Oriente. L’azione ha impedito ai migranti di entrare in Ungheria o di transitare nel paese per raggiungere altre parti dell’UE.

Nel maggio 2020, la Corte di giustizia ha stabilito che le zone di transito erano illegali ai sensi del diritto dell’UE. Per ottemperare alla sentenza, l’Ungheria ha da allora chiuso le zone di transito. I richiedenti asilo che desiderano entrare in Ungheria ora devono presentare domanda di asilo presso le ambasciate o i consolati ungheresi nei paesi terzi limitrofi. “La protezione delle frontiere esterne è una questione che l’Ungheria non può, non vuole e non ammetterà”, ha detto Gergely Gulyás, dell’ufficio del Primo Ministro.

La Corte di giustizia europea, nella sua ultima sentenza, ha riconosciuto che l’Ungheria aveva chiuso le zone di transito, ma che era ancora colpevole di violare il diritto dell’UE. La sentenza afferma:

  1. “In primo luogo, la Corte dichiara che l’Ungheria non ha adempiuto al suo obbligo di garantire un accesso effettivo alla procedura per la concessione della protezione internazionale, nella misura in cui i cittadini di paesi terzi che desiderano accedere, dal confine serbo-ungherese, a tale procedura si sono trovati in pratica confrontati con la virtuale impossibilità di fare la loro applicazione. “
  2. “La Corte ricorda che la presentazione di una domanda di protezione internazionale, prima della sua registrazione, presentazione ed esame, è una fase essenziale della procedura per la concessione di tale protezione e che gli Stati membri non possono ritardarla in modo ingiustificato. Al contrario, gli Stati membri devono garantire che le persone interessate possano presentare una domanda, anche alle frontiere, non appena dichiarano che desiderano farlo. “
  3. “La Corte conferma … che l’obbligo per i richiedenti protezione internazionale di rimanere in una delle zone di transito per la durata della procedura di esame della loro domanda costituisce trattenimento”.
  4. “La Corte sottolinea che le procedure e le direttive sull’accoglienza richiedono, tra l’altro, che la detenzione sia ordinata per iscritto motivando, che si tenga conto delle esigenze specifiche dei richiedenti identificati come vulnerabili e bisognosi di garanzie procedurali speciali, al fine di ricevere “sostegno adeguato” e che i minori siano posti in detenzione solo come ultima risorsa. A causa, in particolare, della sua natura sistematica e automatica, tuttavia, il regime di detenzione previsto dalla legislazione ungherese nelle zone di transito, che riguarda tutti i ricorrenti diverso dai minori non accompagnati di età inferiore a 14 anni, non consente ai richiedenti di godere di tali garanzie “.
  5. “Inoltre, la Corte respinge l’argomento dell’Ungheria secondo cui la crisi migratoria giustificava la deroga a determinate regole nelle direttive sulle procedure e sull’accoglienza, al fine di mantenere l’ordine pubblico e preservare la sicurezza interna”.
  6. “La Corte dichiara che l’Ungheria non ha adempiuto ai propri obblighi ai sensi della direttiva rimpatri, nella misura in cui la legislazione ungherese consente l’allontanamento di cittadini di paesi terzi che soggiornano illegalmente nel territorio senza il previo rispetto delle procedure e delle garanzie previste in quella direttiva. “
  7. “La Corte ricorda che un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare che rientra nel campo di applicazione della direttiva rimpatri deve essere oggetto di una procedura di rimpatrio, nel rispetto delle garanzie sostanziali e procedurali stabilite da tale direttiva, prima del suo allontanamento, se del caso , viene effettuato, fermo restando che l’allontanamento forzato deve avvenire solo come ultima risorsa. “
  8. “La Corte ritiene che l’Ungheria non abbia rispettato il diritto, conferito, in linea di principio, dalla direttiva procedure a qualsiasi richiedente protezione internazionale, di rimanere nel territorio dello Stato membro interessato dopo il rigetto della sua domanda, fino al momento limite entro il quale proporre ricorso contro tale rigetto o, in caso di ricorso, fino a quando non sia stata adottata una decisione in merito. “
  9. “La Corte rileva che, quando è stata dichiarata una ‘situazione di crisi causata dall’immigrazione di massa’, la legislazione ungherese subordina l’esercizio di tale diritto a norme dettagliate non conformi al diritto dell’UE, in particolare l’obbligo di rimanere nelle zone di transito , che assomiglia a una detenzione contraria alle direttive sulle procedure e sull’accoglienza. D’altra parte, quando una tale situazione non è stata dichiarata, l’esercizio di tale diritto è subordinato a condizioni che, sebbene non necessariamente contrarie al diritto dell’UE, non sono definite in un modo sufficientemente chiaro e preciso per consentire alle persone interessate di accertare l’esatta portata del loro diritto “.

In una “nota” posta alla fine della sentenza, la Corte di giustizia ha rivelato lo scopo apparente della sua sentenza contro l’Ungheria:

  1. “Un ricorso per inadempimento nei confronti di uno Stato membro che non ha ottemperato ai propri obblighi ai sensi del diritto dell’Unione europea può essere proposto dalla Commissione o da un altro Stato membro. Se la Corte di giustizia rileva che vi è stata adempiere agli obblighi, lo Stato membro interessato deve conformarsi senza indugio alla sentenza della Corte. “
  2. “Qualora la Commissione ritenga che lo Stato membro non si sia conformato alla sentenza, può intentare un’azione per ottenere sanzioni pecuniarie. Tuttavia, se le misure di recepimento di una direttiva non sono state notificate alla Commissione, la Corte di giustizia può, su proposta dalla Commissione, irrogare sanzioni nella fase della sentenza iniziale “.

Il ministro della giustizia ungherese Judit Varga ha promesso di continuare a proteggere la sovranità ungherese. In un post su Facebook del 17 dicembre, ha scritto:

“La decisione odierna della Corte di giustizia dell’Unione europea è diventata priva di oggetto, poiché le circostanze in questione nel presente procedimento non esistono più. Le zone di transito sono state chiuse ma è stato mantenuto un rigoroso controllo delle frontiere.

“Continueremo a proteggere i confini dell’Ungheria e dell’Europa e faremo tutto il possibile per prevenire la formazione di corridoi internazionali per i migranti.

“L’Ungheria sarà un paese ungherese solo finché i suoi confini rimarranno intatti. Pertanto, non solo la nostra sovranità millenaria ma anche il futuro dei nostri figli ci obbliga a proteggere i nostri confini”.

La sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee arriva meno di un mese dopo che la Commissione europea ha presentato un controverso “Piano d’azione sull’integrazione e l’inclusione” che mira a semplificare il processo di migrazione e asilo con uno screening più rapido e a fare in modo che gli Stati membri dell’UE contribuiscano con la loro “giusta quota” in base alla loro PIL e popolazione.

Il tentativo dell’UE di riformare la sua politica in materia di migrazione è stato accolto con reazioni contrastanti da un certo numero di paesi dell’UE. L’Ungheria, la Polonia e la Repubblica Ceca hanno espresso la loro opposizione.

Zoltán Kovács, il portavoce del primo ministro ungherese Viktor Orbán, ha scritto su Twitter che la posizione dell’Ungheria sulla migrazione rimane invariata:

“1/5 Dal 2015, la posizione del governo HU sulla migrazione è stata chiara e immutata. Abbiamo presentato questa posizione e le nostre proposte in diverse occasioni.

Riteniamo che l’UE e i suoi Stati membri debbano cooperare per mantenere l’incombente pressione migratoria al di fuori dei nostri confini.

Dopo che la Corte di giustizia ha emesso la sua sentenza, Kovács ha ribadito l’opposizione dell’Ungheria al piano d’azione dell’UE sulla migrazione. In una dichiarazione del 17 dicembre pubblicata sul blog ufficiale di Orbán, ha scritto:

“Il 24 novembre 2020, la Commissione europea ha presentato il suo piano d’azione sulla migrazione sull’integrazione sociale e l’inclusione dei migranti. La Commissione ritiene che gli ostacoli alla partecipazione e all’inclusione degli immigrati nelle società europee debbano essere rimossi. Alla conferenza stampa di presentazione del documento, era chiaro dalle parole dei Commissari UE responsabili che la Commissione avrebbe continuato a incoraggiare l’accoglienza dei migranti, poiché ritengono che ciò sarà necessario in futuro per motivi economici.

“Sebbene il piano d’azione darebbe agli immigrati più diritti e diritti, non sembra prendere in considerazione i rischi per la sicurezza associati alla migrazione di massa”. Secondo i punti principali del piano d’azione, Bruxelles fornirebbe alloggi ai migranti e dare loro una maggiore, diciamo, partecipazione negli affari pubblici a tutti i livelli di governo.

In questo modo, più migranti e cittadini dell’UE con un background migratorio sarebbero coinvolti nelle consultazioni e nei processi decisionali a livello locale, regionale, nazionale ed europeo.

“L’Unione, secondo il piano, darebbe più sostegno agli immigrati che ai propri cittadini sostenendo le imprese create e gestite dai primi. Inoltre, il piano, sostenendo l’occupazione dei migranti, metterebbe in pare posizione più difficile.

“Come se non bastasse, Bruxelles ci costringerebbe anche ad adottare la mentalità degli eurocrati sulla questione, affermando chiaramente nel Piano d’azione che cerca di cambiare il modo in cui gli europei pensano alla migrazione e ai migranti: ‘L’inclusione riguarda anche affrontare i pregiudizi inconsci e ottenere un cambiamento nella mentalità e nel modo in cui le persone si percepiscono a vicenda e si avvicinano all’ignoto. ” Buono a sapersi.

“Se stai pensando che tutto questo suona familiare, non sei solo. Il piano d’azione è simile al piano di George Soros di far ammettere all’Europa” almeno un milione di richiedenti asilo all’anno per il prossimo futuro “. Lo speculatore finanziario promuove da anni le sue idee di una “società aperta” per cambiare l’Europa e la società europea. Quei migranti che l’Europa dovrebbe ammettere, secondo il piano Soros, la loro distribuzione dovrebbe essere permanente e obbligatoria. Ha anche chiarito che il suo piano mira a proteggere gli immigrati e che i confini nazionali sono un ostacolo a questo.

“Ma il piano d’azione della Commissione va anche oltre, cercando di portare circa 34 milioni di migranti a diventare cittadini dell’UE (quasi l’8% dell’attuale popolazione dell’UE). Cioè, a 34 milioni di migranti sarebbe garantita la cittadinanza e il diritto di voto”.

Chi dice che questo è ciò che l’Europa vuole o di cui ha bisogno? Quando hanno votato a favore i cittadini europei? Come ha affermato in Parlamento all’inizio di questa settimana il primo ministro Viktor Orbán, l’Ungheria si opporrà a questo piano con tutte le sue forze e non scenderà a compromessi “.

Soeren Kern

3377.- Viktor Orbán rilancia la sua guerra culturale all’Europa

Il futuro dell’Occidente sta negli elettori degli Stati Uniti. Si chiama Donald Trump. L’Europa, che non è l’Unione europea, deve scegliere il suo avvenire e il suo ruolo. E, proprio in Italia, secondo Orbán, si deciderà “l’avvenire dell’Europa, verso destra o verso sinistra”, dove per sinistra intendiamo le “élite globalizzate” e, per destra, possiamo solo sperare. 

Viktor Orbán a Budapest, 9 gennaio 2020. (Attila Kisbenedek, Afp)

UNGHERIA

Pierre Haski, L’Obs, Francia, da Internazionale, 3  ottobre 2020

Di sicuro non si può accusare Viktor Orbán di nascondere le sue carte. Il primo ministro ungherese ha appena pubblicato un testo simile a un manifesto, in cui rivendica con orgoglio il suo “illiberalismo”. Nonostante questo termine suoni molto male in Europa occidentale, il leader ungherese lo considera qualcosa di cui vantarsi e il simbolo di quella che considera una divergenza inconciliabile tra sé e le “élite globalizzate” che a suo parere controllano l’Unione europea. 

Il manifesto, passato piuttosto inosservato all’estero, è stato pubblicato a settembre sulla stampa ungherese e ha sostituito il tradizionale discorso che il primo ministro pronuncia in occasione del raduno annuale degli ungheresi di Romania, annullato quest’anno a causa del covid-19. Il testo ha il merito di essere preciso sugli impegni, sulle battaglie e sui valori sostenuti da un uomo che si trova più che mai in prima linea nella guerra culturale tra liberalismo e conservatorismo. Orbán indica due campi di battaglia decisivi in questa “guerra”: gli Stati Uniti, dove spera che Donald Trump vinca le elezioni presidenziali del 3 novembre “perché conosciamo bene la politica estera imperialista e moralista delle amministrazioni democratiche”, e l’Italia, dove secondo lui si deciderà “l’avvenire dell’Europa, verso destra o verso sinistra”. 

Alla vigilia delle elezioni europee del 2019, Orbán aveva sperato di ribaltare gli equilibri politici a favore di un’alleanza tra destra ed estrema destra, trainata dall’avanzata della Lega di Matteo Salvini in Italia e da quella del Rassemblement national di Marine Le Pen in Francia. Questo non è successo, e con grande disappunto di Orbán il centro di gravità dell’Unione è rimasto ancorato a un’alleanza destra-centro-sinistra a cui si sono aggiunti i liberali di Renew Europe. 

Oltre ogni limite
Comodamente rieletto in patria, Orbán continua ad aspettare il suo momento affermando che con Bruxelles non è possibile alcuna intesa. “Non possono imporci la loro volontà, e noi non abbiamo modo di influire sulle loro trame spirituali, intellettuali e politiche”. Per questo continua a minare le fondamenta dell’odiata Europa, simile alla Russia e sottomessa all’influenza di George Soros, alla “grande sostituzione”, all’istruzione “gender” e alla “propaganda arcobaleno”. Orbán fa di tutta l’erba un fascio, oltrepassando i limiti della caricatura, dell’esagerazione e della menzogna. Ma non menziona nemmeno il contributo netto del bilancio europeo alle finanze ungheresi, che secondo diverse inchieste della Commissione avrebbe arricchito gli amici personali del primo ministro. 

La sfida di Orbán, dunque, continua ad avvelenare l’Europa. Insieme ai suoi alleati del partito Diritto e giustizia, al governo in Polonia, il premier blocca la ratifica del piano di rilancio europeo da 750 miliardi di euro chiedendo di rimuovere la clausola che vincola la concessione degli aiuti al rispetto dello stato di diritto. 

È un atteggiamento irresponsabile di fronte alla crisi economica provocata dalla pandemia, ma soprattutto dimostra che ha paura di perdere i finanziamenti europei se lancerà un nuovo attacco alle libertà civili nel suo paese. Orbán continua a giocare sulle contraddizioni e le debolezze dell’Unione, non in nome del normale gioco democratico ma di una guerra culturale dichiarata. Non bisogna sopravvalutare questo avversario, ma nemmeno sottovalutarlo. 

(Traduzione di Andrea Sparacino)

3045.- ITALIA-UNGHERIA: “DITTATURE” A CONFRONTO

4  APRILE 2020

Cronaca di un decadimento (anche) logico.

Il Parlamento ungherese ha recentemente approvato il “Coronavirus Protection Act” con voto favorevole dei due terzi del Parlamento. Apriti cielo! Chi denuncia il “golpe”, chi l’avvento di “una dittatura travestita da democrazia”! Critiche feroci della solita canea della stampa, della fauna delle Ong, degli “esperti di diritti umani”; reazioni scomposte dei soliti moralisti progressisti un po’ ovunque negli Stati membri dell’Ue, fino ad arrivare al richiamo della Commissione europea; in Italia particolarmente degni di nota per imbecillità manifesta diversi esponenti del Pd (ma non solo loro, purtroppo).
Ma vediamola bene questa “dittatura” in salsa magiara.
Si tratta di una nuova legge che «estende lo stato di emergenza e autorizza il governo a prendere ulteriori misure straordinarie per proteggere la popolazione dalla diffusione del coronavirus», nata per consentire «al governo di adottare tutte le misure di emergenza necessarie per prevenire e rispondere all’epidemia umana di COVID-19».
Vediamo anche i presunti “poteri illimitati” del premier ungherese e leader di Fidesz, Victor Orbán (verso cui non nutro particolare simpatia o antipatia).
«Il governo può esercitare questi poteri straordinari solo per prevenire, curare, sradicare e porre rimedio agli effetti dannosi dell’epidemia» ma deve anche continuare a rispondere al parlamento; inoltre, alcuni “dettagli” che i novelli inquisitori non citano nelle loro accuse campate in aria, «durante uno stato di pericolo, l’applicazione della Legge fondamentale non può essere sospesa, il funzionamento della Corte costituzionale non può essere limitato e il governo non può limitare i diritti fondamentali». 
Ora, chi scrive non è un grande appassionato di democrazia e costituzioni, però mi pare di rilevare che dalle parti di Budapest gli organi democratici rimangano in vigore, certo, con le limitazioni derivanti dallo stato di emergenza, non dissimilmente da quanto accade in altre nazioni europee.
La sfida al nemico invisibile Covid-19 è difficilissima in Ungheria tanto quanto altrove. Pare ovvio, ma in realtà non è così.
La cosa più paradossale (e tragicomica) però è che le critiche vengono da chi si riempie la bocca quotidianamente coi richiami all’unità di fronte al nemico comune, con gli inviti ad evitare le polemiche in questo grave momento; quegli stessi che di fronte al dramma incalzante di migliaia di famiglie europee hanno risposto con i tentennamenti, con le perdite di tempo, con le liti e le reciproche accuse, con prese di posizione irrispettose e comunicazioni schizofreniche!
Questi fenomeni da baraccone (perché questo è oggi in realtà la politica) screditano strumentalmente un premier di una nazione (da tempo ampiamente votato dalla sua gente, piaccia o non piaccia) per una legge che è passata attraverso il vaglio parlamentare, una discussione in Assemblea di due settimane, e la firma del presidente della Repubblica. Strana “dittatura” quella dell’Ungheria dove, nonostante questa tanto avversata (fuori dai confini magiari) nuova legge, permane l’obbligo che il Parlamento venga costantemente informato, con la Corte Costituzionale (simbolo del contrappeso giudiziario alle manovre politiche di qualunque leader, in qualità di organo che ha il compito di valutare la legittimità di ogni atto legislativo del governo compresi i decreti di emergenza), che continua ininterrottamente il proprio lavoro. Il Parlamento non è stato esautorato di alcuna funzione, e pur in periodo di emergenza non può essere sciolto neppure se in scadenza di mandato.
Credo che si faticherà oggi a trovare in Europa una nazione dove in difesa della salute pubblica e dell’ordine sociale non si sia scelta la via della quarantena generale, della privazione di diritti di libertà fondamentali e con metodi che in qualsiasi altro contesto sociale si sarebbero sicuramente definiti non troppo distanti da una svolta autoritaria. In tutti i Paesi i governanti hanno assunto di fatto pieni poteri, agendo con decretazione d’urgenza, evitando i passaggi parlamentari, evitando addirittura di informare le assemblee legislative, decidendo per l’invio delle forze armate nelle strade e per una svolta decisamente forte nel sistema giuridico, con l’inserimento di reati impensabili fino a poche settimane fa per qualsiasi Stato di matrice occidentale e liberale.
C’è qualche progressista che può negare questo?
Tutti i governi europei, a partire da quello italiano hanno assunto i pieni poteri e sospeso libertà costituzionali di fronte all’emergenza coronavirus.
Particolarmente curiose le critiche che si sono levate dall’Italia, in alcuni casi esternate da personaggi in cerca di pubblicità, di fronte al fatto che i poteri emergenziali ad Orbán sono stati conferiti dal Parlamento, mentre qui a Camere chiuse si è proceduto a colpi di Decreti d’urgenza; è in Italia, ricordiamolo, e non in Ungheria, che il Parlamento è stato convocato dopo (e non prima come chiesto da Orban) del varo dei Decreti, in seguito a vari appelli e alle proteste delle opposizioni.
Forse andrebbe evidenziato, come pochi hanno fatto (per esempio il giornalista Giampaolo Rossi), che La Costituzione ungherese prevede la promulgazione dello “stato di emergenza” (art. 53) in caso di guerra o di catastrofi naturali e industriali, ma non contempla le epidemie; queste sono comprese solo all’interno di una Legge del 2011 sulla “Gestione delle catastrofi” che al paragrafo 44/c definisce il caso di “epidemie umane e animali che generano malattie di massa”. È evidente quindi che le misure di emergenza anti-epidemiche non sono comprese nel rigido recinto della Costituzione ma solo in una legge aggiuntiva, e quindi ogni provvedimento preso, in teoria, esce fuori dal dettato costituzionale, pur rispettando la legge. Secondo la stessa Costituzione ungherese i decreti di emergenza hanno validità 15 giorni a meno che l’Assemblea nazionale (e non il Consiglio dei Ministri…) autorizzi il governo a prorogarli, come è avvenuto in pieno rispetto costituzionale.
Ritengo altrettanto giusto evidenziare quanto sostenuto da Csaba Tordai, uno dei maggiori costituzionalisti ungheresi: «Il rispetto della Costituzione non è fine a se stesso ma funzionale alla convivenza sociale e alla garanzia minima di sicurezza della vita e della proprietà».
Giustamente, alcuni giorni fa, il presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha dichiarato: «(…) mi corre l’obbligo di segnalare che in Italia quasi tutti i poteri sono stati dati al governo con un decreto-legge che il governo ha deciso di interpretare in modo molto estensivo. Se qualcuno non se ne fosse ancora accorto in Italia il governo ha dichiarato lo stato di emergenza, ha sospese le elezioni e sono stati rinviati il referendum e le elezioni regionali e locali. A colpi di decreti del presidente del Consiglio è stata limitata la libertà individuale dei cittadini, parlamentari e magistrati compresi, così come quella di impresa e di commercio e sono state introdotte misure speciali in ogni ambito. Il tutto, nella maggior parte dei casi, è stato comunicato con diretta Facebook direttamente dalla pagina personale di Giuseppe Conte.» Eh già…
Quali colpe deve scontare il liberal-conservatore Victor Orbán e la stragrande maggioranza degli ungheresi che lo hanno reiteratamente eletto.

Luca Zampini, Progetto Nazionale

2153.- UNGHERIA. Pro e contro il progetto di riforma di Orban: l’approvazione della “legge schiavitù” e l’istituzione di una Giustizia Amministrativa.

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La riforma del lavoro e l’introduzione delle “ Corti amministrative”, entrambe approvate dal parlamento ungherese, sembrerebbero aprire ad ulteriori iniziative che minacciano lo stato di diritto nel paese. Alle Corti amministrative è stata attribuita l’esclusività della competenza in materia di elezioni, corruzione e diritto di manifestare. Abbiamo detto “sembrerebbero”; cerchiamo di comprendere il perché, partendo dalla notizia, come è stata data da East Journal in questo articolo di David  Finotti, che titola:

Protest against the new labour law in Budapest

Notte di scontri a Budapest contro l’approvazione della legge schiavitù”

Lo scorso 12 dicembre è stata approvata una legge di riforma delle condizioni di lavoro in Ungheria, fortemente voluta dal premier Viktor Orbán che detiene la maggioranza in parlamento. In seguito all’approvazione, alcune centinaia di manifestanti si sono riversate in strada per protestare contro la legge, scontrandosi con le forze di polizia della capitale.

La “legge schiavitù”

La nuova legge prevede un aumento del limite massimo degli straordinari da 250 a 400 ore all’anno, che, per alcuni lavoratori, potrebbe significare fino a otto ore aggiuntive di straordinari a settimana, equivalenti a un’intera giornata in più di lavoro. Inoltre il pagamento degli straordinari potrà essere ritardato fino a tre anni, mentre in precedenza la scadenza era fissata a un anno.

Con 130 voti a favore e 52 contrari, la riforma è stata approvata e con largo margine di maggioranza in parlamento. Alcuni parlamentari, tuttavia, hanno contestato il leader di Fidesz armandosi di fischietti e hanno ritardato le operazioni di voto brandendo striscioni che recavano la scritta “anno della schiavitù”. Lo slogan è apparso come un chiaro, tagliente riferimento al 2018 – che Orbán aveva nominato “anno della famiglia”.

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Bernadett Szel, del centro e altri parlamentari dell’opposizione hanno inferto un raro colpo a Mr. Orbàn, ritardando il voto parlamentare mercoledì (CreditAttila Kisbenedek / Agence France-Presse – Getty Images).

 

Il premier ha difeso il decreto dichiarando in un intervento che bisogna “rimuovere la burocrazia in modo che chi vuole lavorare e guadagnare di più lo possa fare” e sostenendo, perciò, che la riforma sia orientata proprio in favore delle famiglie.

La sua posizione non ha però convinto le circa duemila persone che hanno marciato nelle strade di Budapest poco dopo la conclusione del voto e si sono poi radunate davanti al parlamento, protetto da poliziotti in tenuta antisommossa. Alcuni manifestanti hanno lanciato oggetti contro le forze di polizia, che a loro volta hanno usato lo spray al peperoncino per respingere i contestatori.

 

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Il progetto di riforma di Orbán non si ferma al lavoro

Oggetto di contestazione è diventata anche una seconda legge approvata lo stesso giorno in parlamento. Questa prevede l’istituzione di “Corti Amministrative”, i cui giudici saranno nominati direttamente dal ministro della giustizia. Le nuove corti si sovrapporranno al sistema giudiziario già vigente e decideranno su materie altamente politiche – tra cui le elezioni, la corruzione e il diritto di manifestare.

L’opposizione parlamentare e un gran numero di eurodeputati, tra cui Guy Verhofstadt, criticano la riforma della giustizia e vedono in essa l’ennesima mossa di Orbán per rafforzare il proprio potere in Ungheria. Il Comitato Helsinki per i diritti umani ha inoltre dichiarato che “l’indipendenza giudiziaria in Ungheria è in pericolo”, aggiungendo che “le importanti modifiche all’organizzazione giurisdizionale si stanno trasformando in una reale e grave minaccia allo stato di diritto in un paese membro dell’Unione Europea”.

 

 

Il governo Orbán conduce, dal 2010, un programma cosiddetto nazionalistico da quanti sostengono la soggezione dell’Unione europea alla finanza sovranazionale, rappresentata da Soros. Orban sta conducendo una battaglia, che potrei definire “per le radici cristiane dell’Europa” e che ci riguarda. È anche la mia battaglia. Per fare un esempio, ha chiuso i corsi in studi di genere in tutta l’Ungheria, facendo un ulteriore passo in avanti nel suo progetto di realizzazione della democrazia “illiberale”.

Il governo ungherese ha sottoposto al parlamento un pacchetto legislativo che il partito di maggioranza Fidesz ha soprannominato “Stop Soros”.

Per inquadrare compiutamente la politica di Viktor Orbán, è necessaria una breve scansione dei passi che hanno caratterizzato il suo percorso; ma – ciò che a noi conta di più – hanno evidenziato l’influenza della finanza sovranazionale e lo stato di soggezione in cui operano le istituzioni europee rispetto ad essa: istituzioni a cui partecipano i capi di governo degli stati membri, molti in posizione sottomessa, come possiamo vedere.

L’esempio eclatante l’ha dato il leader più giovane del mondo, il trentunenne austriaco Sebastian Kurz, schieratosi a favore dello speculatore George Soros.

A ottobre 2017, Kurz aveva vietate in Austria le operazioni della Open Society Foundation di proprietà del finanziere americano Soros.
Merita commentare la notizia falsa, diffusa dal portale di informazione indipendente YourNewswire, sito noto per le fake news: Secondo il portale, l’alternativa imposta a Soros sarebbe stata di andare incontro ad un’azione legale per “tentata minaccia alla democrazia della nazione”. Si diceva che George Soros avesse donato $18 miliardi del suo patrimonio da $24 miliardi alla Open Society Foundation. Kurz avrebbe dichiarato:
«La situazione è diventata critica», «Soros sta versando tutto ciò che ha dietro alla sua spinta per (ottenere) il controllo mondiale. La disinformazione e la manipolazione dei media sono già aumentate esponenzialmente durante la notte. Non abbiamo spazio per la compiacenza»; «non esiste alcun modo per cui questo paese sarà la sua quinta vittima».
È stato detto: “Lo spettro di Soros è la sfida più grande che l’umanità affronta nel mondo nel 2017. È un grande calamaro vampiro avvolto attorno al volto dell’umanità, che inserisce inesorabilmente il suo imbuto di sangue in qualsiasi cosa che odori di denaro, usando questi soldi per corrompere politici, giornalisti e il settore pubblico, tentando di creare il mondo alla sua immagine.

 

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Ora, la Central European University, l’università fondata da Soros è stata costretta da Viktor Orbán a lasciare l’Ungheria e ha annunciato che, a partire dal prossimo anno accademico, gli studenti verranno trasferiti in un nuovo campus a Vienna. Kurz, che era assurto a una delle divinità del pantheon antieuropeista è stato molto duro con l’Italia e, parlando della Manovra, ha ricordato: Siamo una famiglia con delle regole e queste regole vanno rispettate, non saremo noi europei a pagare per le Basta così?

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Lo speculatore americano George Soros e Sebastian Kurz, schieratosi a favore di Soros. 

Torniamo a Budapest. Il pacchetto “Stop Soros” di Orbàn contiene norme volte a limitare la capacità delle ONG di assistere i migranti. In conseguenza, la Commissione Europea ha deciso di condurre l’Ungheria dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’UE per la violazione delle leggi comunitarie su immigrazione, asilo e soggiorno. L’attivazione dell’articolo 7 nei confronti dell’Ungheria è un passo storico per l’Unione Europea. Il voto del Parlamento europeo che aveva accusato l’Ungheria dell’indebolimento dello stato di diritto non ha impensierito troppo Orbàn, che ha proseguito nel suo progetto di riforma.

Parliamo del sistema giudiziario parallelo che prevede l’istituzione di “Corti Amministrative”, rafforzando il controllo esecutivo sul sistema giudiziario.

Una volta che il nuovo sistema inizierà ad operare, entro i prossimi 12 mesi, il ministro della Giustizia di Orban controllerà l’assunzione e la promozione di quei suoi giudici, che avranno giurisdizione sui casi relativi alla “pubblica amministrazione”, comprese questioni politicamente delicate come la legge elettorale, la corruzione e il diritto di protestare.

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Cosa dice l’opposizione:
Il sistema giudiziario esistente in Ungheria, che già subisce significative ingerenze da parte del governo di Orbàn, continuerà a funzionare – ma con un mandato ridotto, e senza avere la supervisione del sistema giudiziario parallelo, noto come tribunali o corti amministrative.

I garanti per i diritti civili, ma continuiamo a definirli gli oppositori, vedono la mossa di Orbàn come l’ultima erosione delle istituzioni democratiche, perché, da quando ha assunto la carica, nel 2010, ha creato un progetto di allontanamento dalla democrazia liberale, che ha preso piede nell’Europa orientale negli anni ’90. Il suo esempio è stato seguito da altre democrazie, come la Polonia, e ha conquistato sostenitori tra una generazione di personaggi populisti in Francia, Italia, Paesi Bassi e Stati Uniti.

Dicono gli oppositori che Orban ha già passato quasi otto anni a minare l’indipendenza dei tribunali e delle altre istituzioni ungheresi. A sostegno di questa affermazione, lo accusano di cose che in Italia rappresentano la regola:

Ha nominato un vecchio amico come capo del sistema giudiziario, ha accatastato la Corte costituzionale con i lealisti, ha modificato la legge elettorale per favorire il suo partito, ha portato la maggior parte dei media ungheresi sotto il controllo dei suoi più stretti alleati e ha nominato amici e colleghi di partito a capo delle istituzioni di controllo dello stato di piombo, compreso il servizio dell’accusa. Aggiungono che ha disatteso i regolamenti sulla concorrenza per consentire ai proprietari dei media fedeli di “donare” centinaia di giornali, canali televisivi, stazioni radio e siti web a un fondo centrale controllato da tre dei suoi più stretti sostenitori. Così, gli oppositori; ma, ecco, come si guadagnano la qualifica di sorosiani:
“Questo mese, ha costretto una importante università privata a lasciare l’Ungheria”.

Nella relazione al Parlamento, il governo ungherese ha giustificato il nuovo sistema giudiziario, sostenendo che era in linea con le norme europee e conforme alle raccomandazioni di organismi internazionali come la Commissione di Venezia, un comitato consultivo su questioni costituzionali.
I tribunali amministrativi saranno indipendenti e più efficienti del sistema civile esistente, secondo una dichiarazione separata di Zoltan Kovacs, il portavoce del governo ungherese.
“Nei tribunali amministrativi, le decisioni sarebbero prese da giudici che sono più esperti, meglio supportati e più informati sull’unico corpus normativo che regola la pubblica amministrazione”, ha scritto Kovacs. Aggiungo che, iàn n pratica, è stata istituita una Giustizia Amministrativa.