Archivio mensile:agosto 2019

2552.- L’azzurro intenso del lapislazzuli che fa dannare l’Afghanistan

Commercianti controllano dei lapislazzuli a Kabul, in Afghanistan, il 28 marzo 2016. (Rahmat Gul, Ap/Ansa)

AFGHANISTAN, Marina Forti, giornalista

Per secoli è stato il blu più ricercato nella pittura europea. Ha colorato il manto di infinite madonne rinascimentali e i drappeggi dell’età barocca. Era chiamato blu oltremare e nei trattati di pittura quattrocenteschi era definito “il più perfetto di tutti i colori”. Però era dannatamente costoso. Infatti è ottenuto dalla povere del lapislazzuli, pietra semipreziosa nota fin dall’antichità proprio per il suo azzurro intenso. 

Pare che per abbassare i costi molti pittori usassero pigmenti meno pregiati, con solo un piccolo strato di “oltremare” in superficie. Ma oltre alla mano del maestro conta la qualità del colore: si dice per esempio che Tiziano non si sia mai abbassato a usare altro che il colore puro, che del resto arrivava attraverso il porto della sua Venezia, un hub del commercio globale dell’epoca. 

Il lapislazzuli infatti veniva dall’Afghanistan. Era così fin dall’antichità, che fosse usato come pietra o come pigmento colorato, nelle decorazioni delle tombe reali nell’Egitto di cinquemila anni fa, la maschera funeraria di Tutankamon, o nei monili dei nobili. Dall’inizio dei tempi e almeno fino al diciottesimo secolo, ogni lapislazzuli in Egitto o in Europa arrivava dalle montagne del Badakhshan, in quello che oggi è l’Afghanistan nordorientale. 

Una guerra d’impresa

Solo là si trovava la pietra blu intenso, a volte con venature dorate di pirite. Anche se ora si conoscono giacimenti nella regione andina del Cile, e in quella del lago Baikal in Russia, gran parte delle pietre (le migliori) arriva sempre da quelle montagne, brulle e aspre. 

Ancora oggi dunque il lapislazzuli è la principale ricchezza del Badakhshan. Le miniere afgane sono gallerie scavate nella montagna per lo più con la dinamite, nulla di altamente tecnologico. Dalle miniere, i blocchi di pietra azzurra sono portati a valle, da uomini carichi come muli e poi in camion; prendono la via di Kabul e infine, in blocchi ancora grezzi, vanno per lo più in Cina, in parte anche in India. 

Solo che l’esportazione di lapislazzuli non ha contribuito a rendere la provincia né più ricca né più pacifica. Piuttosto ha arricchito alcuni “signori della guerra” che si contendono da decenni il controllo del territorio. E poi, un’indagine recente conferma che i lapislazzuli fruttano milioni di dollari anche ai ribelli taliban. Global witness, l’organizzazione che ha condotto questa ricerca, dice che i lapislazzuli sono un nuovo caso di “minerali di guerra”: proprio come i “diamanti insanguinati”, quelli estratti nelle zone dell’Africa teatro di guerre civili, che finiscono per finanziare le parti in conflitto. 

Nel gioco e nel Badakshan sono entrati i taliban che pretendono una parte del ricavato dalla vendita di lapislazzuli

Intendiamoci: qui parliamo di ribelli, “signori della guerra” e taliban, ma l’ideologia e le fedeltà politiche non c’entrano molto. “Questa è una guerra d’impresa”, una business war, spiega un commerciante ai ricercatori di Global witness (che per due anni ha studiato una delle maggiori miniere attive, intervistando autorità locali, imprenditori, commercianti, lavoratori, comandanti di milizie, “anziani” dei villaggi, operatori sociali e giornalisti). 

La “guerra d’impresa” ha opposto prima due comandanti locali, Abdul Malek e Zulmai Mujadidi, entrambi allineati con il governo di Kabul e perfino appartenenti allo stesso partito (Jamiat-e islami, il più antico partito islamista del subcontinente indiano). Dopo la caduta del regime taliban, nel 2001, il primo è divenuto capo della polizia, l’altro comandante delle forze di sicurezza del Badakhshan. 

La maledizione delle risorse

Per dodici anni la miniera è stata feudo personale di Mujadidi, anche se era in concessione a un’azienda privata. Poi nel 2014 il rivale Malek ha fatto un “golpe”, con i suoi miliziani. In zona, Mujadidi era malvisto: dicono che accumulava solo profitto personale. Di Malek invece molti intervistati dicono che fa lavorare la gente del luogo e aiuta tutti – anche se pare che tutto si limiti a un po’ di carità ai più poveri e qualche offerta alle moschee locali. In ogni caso, il padrone ora è lui. 

Una bottega dove si lavorano i lapislazzuli a Kabul, in Afghanistan, il 5 giugno 2016. - Mohammad Ismail, Reuters/Contrasto
Una bottega dove si lavorano i lapislazzuli a Kabul, in Afghanistan, il 5 giugno 2016.(Mohammad Ismail, Reuters/Contrasto)

Poi però nel gioco sono entrati i taliban. Dopo il ritiro delle truppe occidentali (all fine del 2012) il movimento ribelle ha aumentato la pressione, infiltrando anche il Badakhshan. E quando è arrivato a controllare la zona che dà accesso alla miniera, un anno fa, Malek ha dovuto scendere a patti. Secondo Global witness ci sono prove che di recente abbia accettato di versare ai taliban metà dei ricavi dei “suoi” lapislazzuli. 

L’indagine stima che nel solo 2014 i lapislazzuli di quella singola miniera abbiano fruttato oltre 18 milioni di dollari a Malek e circa un milione ciascuno alle milizie dei Mujadidi e ai taliban, che però in seguito hanno aumentato la loro parte. Questo significa anche che ogni anno lo stato centrale perde royalty e tasse su quei circa 20 milioni di dollari (ma questo era vero anche senza i taliban). 

In definitiva, “il più perfetto dei colori” finora ha portato a chi lo estrae solo violenza e corruzione. Si dice che sia la “maledizione delle risorse”. 

2551.- A CHE SERVE VOTARE SE, POI, FAN QUEL CHE GLI PARE?

x
mario donnini14:53 (6 ore fa)
Il re era il re e, tuttavia, proprio perciò, era un monarca rispettoso della Costituzione e costituzionale.

Non possiamo soggiacere a capi dello Stato che si fanno eleggere due volte, che mandano al governo chi ha perso le elezioni, che servono la causa di un’anomalia istituzionale diretta da una banca centrale europea privata. La costituzione non sarebbe vecchia. I principi che informano la parte prima sono e saranno sempre moderni; ma vi sono delle carenze che riassumeremo brevemente, perché che ne hanno stravolto l’attuazione e perché hanno reso la forma dello Stato repubblicano, per certi aspetti, inferiore a quella della monarchia costituzionale, dove al vertice dello Stato stava un monarca non assoluto, il quale riassumeva in sé i poteri legislativo, esecutivo e al quale faceva capo l’ordine giudiziario o potere giudiziario, se non inteso meccanicamente. Il popolo della Costituzione repubblicana è sovrano in quanto costituisce la fonte di legittimazione di tutte le funzioni statuali, esercitate a suo nome. Ma fra il governo e i cittadini l’art. 38 Cost. ha posto i partiti, attraverso i quali è possibile ai cittadini di partecipare alla vita politica della Nazione. Ebbene, i costituenti, espressi dai partiti della resistenza, non vollero vincolare i partiti ad alcun principio, limitandosi a imporre un generico e insignificante “con metodo democratico”. Diciamo che Platone e Aristotele avevano idee molto più chiare sulla Democrazia. Per esempio, principi di onestà, trasparenza, alternanza. Ancora è insufficiente nell’attuazione differita – da chi e quando – di gran parte dei suoi principi, sopratutto nella parte economica e cito il principio fondante del Lavoro, che senza adeguati investimenti e con i vincoli dei trattati europei è inattuabile. È un vulnus perché il Lavoro è l’ascensore sociale che consente ai lavoratori di crescere nella società, realizzando quella eguaglianza sostanziale che è stata stravolta dalle masse ignoranti, dal traditore Grillo, in primis e non per caso, con il principio “uno vale uno” applicato elevando l’ignoranza a modello: la classe politica dell’ultimo decennio lo conferma. Infine, per dovere di sintesi, citerei l’impraticabilità della messa in stato d’accusa del Capo dello Stato e della Corte Costituzionale nei casi di mancato esercizio della funzione di garanti della Costituzione. A proposito, qualcuno vi ha riferito di come sia stato possibile l’”affare” del C.S.M.? Di questo parleremo per comprendere le ragioni di questi stupri della Costituzione e non dei chicchessia beneficati da questo tragico finale di un Italia risorta.

2550.- PRIMA LA SALUTE!

Ricordo che, un estate, passando nei pressi di un grande radar si rizzava la peluria delle braccia e provavo una strana sensazione di calore sulla pelle. Certamente la radiofrequenza qualche effetto ce l’ha.
  • Recenti studi del National Toxicology Program e dell’Istituto Ramazzini evidenziano un aumentato rischio sia per i tumori alla testa sia per gli schwannomi, il più pericoloso dei quali è il tumore cardiaco. 

    Tali risultati, basati sulla sperimentazione animale in entrambe le sponde dell’Atlantico, insieme agli ultimi studi epidemiologici sugli utilizzatori di cellulari dell’oncologo Lennart Hardell, fanno concludere agli studiosi che è tempo di aggiornare la classificazione IARC. 

    Al momento, infatti la IARC classifica la radiofrequenza come “Possibile Cancerogeno per l’Uomo”, perché si basava solo su risultati epidemiologici ma non su studi in vivo, che oggi fanno propendere per la classificazione “Probabile cancerogeno” di Classe 1A o, come suggerito da Hardell, “Cancerogeno Certo” di Classe 1». 

    E ancora: 

    Belpoggi, ricercatrice dell’Istituto Ramazzini, a capo del più grosso studio al mondo sugli effetti nocivi delle radiazioni da antenne di telefonia mobile, ha condotto per studiare l’impatto dell’esposizione umana ai livelli di radiazioni a radiofrequenza (RFR) prodotti da ripetitori e trasmettitori per la telefonia mobile. La ricerca è stata finanziata dai soci e dalle socie dell’Istituto Ramazzini, da Arpa, Regione Emilia-Romagna, Fondazione Carisbo, Inail, Protezione Elaborazioni Industriali (P.E.I.), Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Children With Cancer (UK), Environmental Health Trust (USA) Il problema centrale è che gli standard di sicurezza internazionali promossi dall’OMS, su indicazione di una associazione privata l’ICNIRP, fanno riferimento ai cosidetti “effetti termici”, cioè al riscaldamento indotto sul materiale biologico dall’ esposizione alle radiofrequenze, mentre esistono migliaia di evidenze scientifiche sugli “effetti non termici”, che avvengono per valori di esposizione nettamente inferiori a quelli italiani. 

    Questi effetti biologici non termici comprendono, per esempio, l’apertura della barriera ematoencefalica (con un aumento del rischio di malattie neurodegenerative), infertilità, disturbi neurocomportamentali, danni al feto, aumento dello stress ossidativo, aumento di danni al DNA, ecc, senza escludere quelli più gravi di natura oncologica. Gli attuali limiti di legge italiani, quindi, non sono sufficienti a tutelare la salute pubblica. La stessa Food and Drug Administration Americana (FDA) riconosce gli effetti non termici dell’ esposizione a radiofrequenza (nell’approvazione del dispositivo medico “Optune”). Già nel febbraio 2015 oltre un centinaio di scienziati italiani (medici, fisici, biologi e ricercatori), assieme ad altre 50 associazioni e comitati italiani, hanno chiesto al governo di abbassare significativamente i limiti di legge per le emissioni elettromagnetiche». I limiti «Stando a tali constatazioni i valori limite di campo andrebbero drasticamente ridotti (non certo aumentati): un primo semplice passo, che il Governo può intraprendere in questa direzione è cancellare immediatamente l’articolo 14 del Decreto Sviluppo “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” (DL n° 179 del 18/10/2012 pubblicato sulla G.U. n° del 19/10/2012), che impone una misurazione dei campi elettromagnetici su una media di 24 ore (valore arbitrario), anziché su 6 minuti (valore basato su motivazioni biologiche). 

    Per tutelare appieno la salute pubblica, si rende indispensabile attuare quanto indicato dalla Raccomandazione 1815 dell’Assemblea Plenaria del Consiglio d’Europa del 2011, volta ad un abbassamento dei limiti di legge a 0,6 V/m nell’immediato e a 0,2 V/m sul lungo termine». 


    A tal proposito quindi risulta indispensabile bloccare ogni sperimentazione del 5G come richiesto anche da oltre 170 scienziati indipendenti nell’ appello di pochi mesi fa: infatti prima di prevedere l’ utilizzo commerciale delle frequenze adoperate dal 5G è necessario attendere che vengano pubblicati studi INDIPENDENTI, cioé non finanziati dall’industria neanche attraverso sistemi di mascheramento, sugli effetti biologici (studi su animali, piante, studi biomolecolari e sui meccanismi d’azione), derivanti da tale esposizione, attivando quindi, “nell’interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione” adeguate misure, al fine di “escludere la pericolosità della tecnologia specifica anche a basse concentrazioni in alcuni soggetti”». 

    Per tutte queste ragioni i firmatari della petizione diretta al Ministero della salute e al Ministero dell’Ambiente CHIEDONO

    1) di stralciare immediatamente qualsivoglia bozza di decreto legge volto all’adeguamento degli attuali limiti di legge italiani alle raccomandazioni europee e di emendare l’Art. 14 del DL n° 179 del 18/10/2012 pubblicato sulla G.U. n° del 19/10/2012; 

    2) di recepire gli studi scientifici più recenti (molti dei quali prodotti da scienziati italiani)per abbassare i limiti di esposizione alla radiofrequenza per la popolazione italiana secondo la Raccomandazione dell’Assemblea Plenaria del Consiglio D’Europa N. 1815 del 2011 a 0,6 V/m nell’immediato; 3) di sospendere qualsiasi forma di sperimentazione tecnologica del 5G nelle città italiane in attesa della produzione di sufficienti evidenze scientifiche per giudicarne l’innocuità e in attesa della modifica rigorosamente precauzionale degli attuali limiti italiani per i campi elettromagnetici.
  • Trovate la petizione su FB.

2549.- LA GUERRA FUTURA È GIÀ OGGI.

La prossima guerra avverrà nella cibersfera

Dalla guerra aerea dei droni alle operazioni di contrasto nello spazio cibernetico. Un cyberattacco statunitense ha paralizzato la capacità dell’Iran di colpire le petroliere. Lo afferma il rapporto ripreso dal New York Times, dove si afferma che l’attacco è avvenuto il 20 giugno in risposta all’abbattimento da parte dell’Iran del drone statunitense.

Per guerra cibernetica intendiamo l’uso di tecnologie elettroniche, informatiche e dei sistemi di telecomunicazione.nell’intercettazione, nell’alterazione e nella distruzione dell’informazione e dei sistemi di comunicazione nemici, facendo sì che nella competizione si mantenga un relativo equilibrio dell’informazione. Il principale terreno di scontro di un futuro conflitto sarà la cyber sfera. Avremo, quindi, le forze armate di un quinto dominio dopo quelle di terra, mare, cielo e dello spazio, non solo, ma l’intero apparato di una grande potenza potrà essere infiltrato e danneggiato nei suoi punti più vitali nonostante tutte le precauzioni.

Haaretz 

Stena Impero, a British-flagged vessel owned by Stena Bulk, is seen at undisclosed place off the coast of Bandar Abbas, Iran August 22, 2019.
La nave cisterna britannica Stena Impero, della società Stena Bulk, è stata vista ancorata in un luogo sconosciuto al largo della costa di Bandar Abbas, in Iran, il 22 agosto 2019. \ WANA NEWS AGENCY / REUTERS

Secondo il New York Times, che ha citato alti funzionari americani, lo scorso 20 giugno, gli Stati Uniti hanno effettuato un attacco informatico contro l’Iran al fine di abbattere un database utilizzato per interrompere il traffico marittimo nel Golfo Persico. Secondo il rapporto, gli iraniani stanno ancora lavorando per recuperare le informazioni critiche perse a causa dell’operazione. Secondo quanto riferito, il database consentiva a Teheran di localizzare e prendere di mira le navi nel Golfo.

L’attacco contro il gruppo di intelligence delle guardie rivoluzionarie iraniane era inteso come rappresaglia per l’abbattimento di un drone militare americano nello spazio aereo internazionale sullo Stretto di Hormuz da parte di un missile terra-aria iraniano a metà giugno, secondo quanto riferito da un funzionario americano ed è stato messo in atto dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump avrebbe ordinato e poi annullato una risposta militare contro Teheran, in ciò a causa delle pressioni effettuate dai governi di Russia, Cina e India.

Gli attacchi informatici sono facilmente percepiti come azioni meno aggressive della tradizionale guerra militare, in parte perché non causano danni visibili o vittime e in parte perché è difficile individuarne l’origine e spesso rimangono avvolti nel segreto.

Secondo il rapporto, l’attacco ha suscitato non poche contrarietà ed è sorto un dibattito all’interno dell’amministrazione Trump sul fatto che i suoi costi abbiano superato i suoi benefici: una vittoria di Pirro, insomma.
Infatti, l’azione ha rivelato agli iraniani il tipo di accesso che gli agenti americani avevano avuto nel sistema islamico del Corpo delle guardie rivoluzionarie e nelle loro reti di comunicazione, alcune delle quali sono state, ora, dismesse, com’era logico prevedere.

Al contrario e il rapporto non manca di rilevare che l’attacco non ha suscitato una risposta dall’Iran, la cui attività informatica contro gli Stati Uniti è rimasta alla sua consueta intensità. Gli Stati Uniti stanno anche attenti a mantenere l’attività informatica al di sotto della soglia di guerra, hanno detto al Times i funzionari, descrivendo l’attacco come parte di una battaglia in corso.

US News, Haaretz

Un esempio: Sventato grande attacco iraniano con droni esplosivi contro Israele

drone iraniano

il drone Yasser potentemente armato

Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno sventato un grande attacco iraniano contro Israele che sarebbe dovuto partire dal suolo siriano.

Lo ha reso noto ieri sera il Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che è anche Ministro della Difesa.

L’attacco iraniano contro Israele era stato organizzato dalla Forza Quds dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (IRGC oppure Pasdaran) e doveva avvenire per mezzo dell’uso di droni riempiti di esplosivo i quali si dovevano schiantare contro obiettivi in Israele.


Grazie al prezioso lavoro della intelligence israeliana, il comando dell’IDF è riuscito a conoscere in tempo i piani iraniani e con un attacco chirurgico su una base iraniana nei pressi di Damasco è riuscito a distruggere i droni che dovevano colpire Israele.

Secondo il portavoce delle IDF, il colonnello Jonathan Conricus, il piano iraniano ordito dalla Forza Quds era pronto per essere messo in pratica ed era imminente.

L’Intelligence monitorava da mesi le attività iraniane in Siria dopo che alcune fonti avevano riferito del piano iraniano.

Ieri sera il Premier Netanyahu ha riunito d’urgenza i vertici delle IDF presso il Ministero della Difesa a Tel Aviv per discutere delle contromisure da prendere contro questo tipo di attacchi che possono essere devastanti.

«Questo era un piano significativo e di altissimo livello» ha detto il portavoce delle IDF «organizzato nei minimi dettagli da diversi mesi e poteva essere davvero devastante».

Le forze di difesa israeliane hanno deciso di innalzare ulteriormente il livello di guardia in tutto il fronte nord.

Alcune batterie di Iron Dome nonché di missili Patriot sono state “riposizionate”. Il comando IDF non esclude infatti che il rischio sia ancora reale nonostante la distruzione dei droni iraniani che dovevano attaccare Israele.

Di Sarah G. Frankl, 25 agosto 2019. Rights Reporter

2548.- NON C’É PACE PER IL MEDIO ORIENTE E NON CI SARÀ FINCHÉ ISRAELE NON AVRÀ PACE.

L’esercito libanese ha aperto il fuoco contro due droni israeliani che avevano sconfinato.

L’esercito libanese ha aperto il fuoco contro un drone israeliano nel sud del paese, ha riferito Reuters, citando fonti di sicurezza libanesi.

Secondo la fonte, i soldati hanno sparato colpi di fucili d’assalto M16.

La National News Agency ha riferito che l’incidente è avvenuto nel villaggio di Odeisseh, vicino a Marjayoun, vicino al confine con Israele. L’esercito libanese ha dichiarato di aver costretto i due droni a tornare indietro, sparando contro di loro.

Nel frattempo, una portavoce militare israeliano ha dichiarato che stanno “controllando il rapporto”.

Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno pubblicato un’immagine con un elenco di ciò che il movimento Hezbollah sta “facendo per il Libano” e di ciò che il paese “sta facendo per fermarli”.

Il 25 agosto, due droni israeliani si sono schiantati vicino al quartier generale di Hezbollah nella periferia sud di Beirut. Uno dei due è esploso in aria, ferendo tre persone e causando danni significativi al quartier generale.

Il leader di Hezbollah Sayyed Hassan Nasrallah ha respinto le accuse sul gruppo che ha abbattuto i due droni precipitati, ma ha minacciato Israele di una risposta “adeguata”. Beirut, a sua volta, ha descritto ciò che è accaduto con i “droni da ricognizione” israeliani come “un’aggressione” e come un attacco alla sua sovranità.

Il Libano ha ripetutamente protestato contro le operazioni israeliane anti-Hezbollah nel suo spazio aereo, insistendo sul fatto che violano la sovranità del Paese e la Risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, del 2006, che aveva lo scopo di risolvere il conflitto Israele-Libano. Israele, a sua volta, considera Hezbollah, con sede in Libano, uno dei suoi principali avversari nella regione e conduce regolarmente raid aerei contro di esso.

Hezbollah sta preparando uno “strike calcolato” contro Israele.

Da un rapporto di News Desk

È così che l’Hezbollah libanese si sta preparando a effettuare uno “strike calcolato” contro Israele, in rappresaglia per l’attacco contro uno dei loro compound vicino alla capitale siriana sabato, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters.
Citando una fonte vicina a Hezbollah, Reuters ha affermato che Hezbollah stava preparando una reazione “organizzata in un modo che non farebbe scatenare una guerra”.
“L’indirizzo, per ora, è per uno strike calcolato, ma come si svilupperanno le cose, questa è un’altra cosa”, hanno aggiunto.
Oltre ai suoi attacchi a Damasco, l’esercito israeliano ha anche effettuato attacchi nella periferia meridionale di Beirut e nella regione orientale del Libano.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha avvertito Hezbollah, Siria, Iran e Libano, minacciandoli nel caso dovessero prendere qualsiasi misura di ritorsione contro le forze della sua nazione.
Bisogna sottolineare, tuttavia, che Hezbollah non discute pubblicamente delle sue operazioni, quindi non sono disponibili molte informazioni su tale operazione.
Inoltre, è ragionevole supporre che, se un attacco verrà eseguito da Hezbollah, probabilmente, prenderebbe di mira le forze israeliane sulle alture del Golan occupato, nelle Sheba’a Farms occupate o nella regione dell’Alta Galilea.

2547.- Trump e Rouhani: Attendiamo che si incontrino per risolvere la crisi USA-Iran. È un grande passo per tutto il Medio Oriente.

Non solo si riscriverà il trattato di Obama, ma, in Medio Oriente, si riparte da zero. L’Iran è, dunque, la pedina di Donald Trump per superare la vittoria siriana di Putin? Occhi aperti il 17 settembre, all’ONU.

La traduzione libera dell’analisi del Corrispondente internazionale Borzou Daragahi:

I leader hanno molto da guadagnare dai dialoghi amichevoli: l’economia di Teheran sta “subendo gravemente” le sanzioni statunitensi mentre il repubblicano Trump potrebbe servirsi della vittoria nella politica estera per vincere la rielezione

Donald Trump e il presidente iraniano Hassan Rouhani hanno lasciato intendere che sarebbero disposti a sedersi per appianare le dispute fra i loro paesi.
I due leader potrebbero incontrarsi alla sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il prossimo mese e potrebbero, così, raffreddare i timori di un escalation della guerra in Medio Oriente.
“Credo che dobbiamo usare tutti gli strumenti possibili per promuovere gli interessi nazionali del nostro Paese”, ha affermato Rouhani durante un discorso trasmesso dalla televisione di stato. “Se sono sicuro che la partecipazione a una sessione o l’incontro con qualcuno aiuteranno a sviluppare il mio paese e risolvere i problemi delle persone, non esiterò a farlo.”
Ore dopo, Trump, rispondendo alla domanda di un giornalista, ha dichiarato di poter ipotizzare colloqui con i funzionari iraniani entro poche settimane. “Non conosco questo signore”, ha detto di Mr Rouhani. “Ti dico una cosa, è un grande negoziatore. Penso che vorrà incontrarsi. Penso che l’Iran voglia chiarire questa situazione ”.

Il leader supremo dell’Iran Ali Khamenei, un critico severo degli Stati Uniti, che è stato a lungo scettico su qualsiasi negoziato tra Teheran e Washington, rappresenta il potere supremo in Iran. Spetterrebbe a lui la parola finale sul fatto che Rouhani possa incontrare Trump, il quale ha ripetutamente chiarito di esservi disposto. L’apparente volontà di incontrarsi giunge nel mezzo di una raffica di attività diplomatiche, tutte volte a salvare il Piano d’azione congiunto globale 2015 (JCPOA) , l’accordo nucleare negoziato dall’Iran con le potenze mondiali.
La potenziale apertura diplomatica è arrivata il giorno dopo che il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha fatto una visita a sorpresa ai leader mondiali al vertice del G7 a Biarritz su invito del suo ospite, il presidente francese Emmanuel Macron.
Sia Rouhani che Trump saranno a New York per la riunione annuale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che inizia il 17 settembre.
I diplomatici occidentali lo vedono come un’opportunità per colloqui tra i due paesi, secondo gli analisti.
Il sig. Rouhani ha precedentemente rifiutato di incontrare il successore del sig. Trump, Barack Obama, ma il suo discorso ha segnato un raro momento in cui ha affermato che sarebbe disposto a incontrare il più grande avversario dell’Iran senza citare alcuna condizione preliminare.

Un accordo o almeno una sorta di modus vivendi informale tra Iran e Stati Uniti potrebbe anche fermare quella che molti considerano una pericolosa escalation di manovre e posture militari in tutto il Medio Oriente. In tempi recenti, il Medio Oriente e il Golfo Persico sono stati i migliori con attacchi aerei, sabotaggio e presa di petroliere e attacchi di droni da parte di Iran e Stati Uniti e dei loro vari delegati e alleati.
“È un segno che la diplomazia ha più potere e influenza di questa escalation e provocatoria dinamica minacciosa”, ha detto Sanam Vakil, un esperto iraniano di Chatham House che sta preparando un documento sulla diplomazia dietro le quinte che circonda l’Iran. “Indica che c’è una volontà da tutte le parti di tornare al tavolo delle trattative. Dietro le quinte, stanno ballando l’uno attorno all’altro cercando di determinare quali saranno i negoziati e quando potrebbero accadere “.
A Biarritz, il sig. Zarif ha incontrato alti funzionari britannici, francesi e tedeschi che tentavano di salvare il JCPOA, ma non ha incontrato il sig. Trump.
Il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato in seguito di aver accettato l’arrivo di Zarif, insistendo sul fatto che tutti i leader mondiali fossero sulla stessa pagina per quanto riguarda il programma nucleare dell’Iran.
Ma gli incontri tra i leader europei e il sig. Zarif, che gli Stati Uniti hanno recentemente sanzionato per volere degli hardliner di Washington, hanno fortemente suggerito il contrario. Le foto mostravano il sig. Zarif e i migliori funzionari europei, giacche aperte, che parlavano per ore a due passi dal signor Trump all’Hotel du Palais da $ 600 a notte.

“È un’accelerazione della diplomazia della navetta con cui il presidente francese è stato coinvolto tra DC e Teheran”, ha affermato Ellie Geranmayeh, specialista iraniana al Consiglio europeo per le relazioni estere. “La visita a sorpresa di Zarif indica la serietà dei negoziati e dei colloqui di backchannel che stanno avvenendo in questo momento attraverso la Francia.”
Secondo quanto riferito, Macron stava tentando di mediare un accordo tra Teheran e Washington che avrebbe mantenuto l’Iran nel JCPOA, l’accordo sul nucleare, in cambio di una riduzione delle restrizioni sulle vendite di petrolio iraniano. Da quando ha ritirato unilateralmente l’accordo l’anno scorso, gli Stati Uniti hanno promesso di punire qualsiasi entità che acquisti petrolio iraniano, la linfa vitale della sua economia.
L’Iran ha risposto allentando lentamente alcuni dei suoi impegni con l’accordo nucleare e minacciando di ripristinare ulteriormente la conformità. Ha anche minacciato il traffico petrolifero del Golfo Persico, scuotendo il business dell’energia globale.
Pochi credono che l’irregolare Trump accetterebbe rapidamente un accordo globale che potrebbe convincere gli iraniani a cedere alle condizioni americane. Questi includono un severo ridimensionamento del programma nucleare iraniano, una riduzione del suo sviluppo missilistico e l’interruzione del suo sostegno agli alleati armati in tutto il Medio Oriente.
Ma la mossa di Macron sembrava essere un tentativo di usare un tocco di spettacolo da spettacolo per sedurre l’ex star della reality TV nella diplomazia e convincerlo che un accordo di alto profilo con l’Iran era a portata di mano.
“Tutto ciò che deve accadere è che l’amministrazione Trump risponda positivamente alla proposta francese”, ha affermato Esfandyar Batmanghelidj, ricercatore e consulente regolarmente in contatto con funzionari iraniani e diplomatici europei.
“Non si tratta di escogitare un nuovo meccanismo per consentire le vendite di petrolio iraniano, ma di utilizzare il capitale politico europeo per spingere Trump per allentare la campagna di massima pressione specificatamente ripristinando alcune delle rinunce al petrolio, in cambio della costruzione di un po ‘di fiducia da entrambe le parti e farci uscire da questo ciclo di escalation “, ha detto.
I legislatori iraniani hanno chiesto al sig. Zarif di informarli sul suo ritorno a Teheran. Qualsiasi potenziale accordo potrebbe morire in breve tempo nel fuoco incrociato della politica interna iraniana.
La visita di Zarif ha anche fatto arrabbiare ideologicamente gli hardliner di Washington che hanno l’orecchio del presidente sulla politica iraniana e hanno spinto la Casa Bianca a proseguire una politica di “massima pressione” contro Teheran.
Mark Dubowitz, capo dell’influente Fondazione per la difesa delle democrazie, ha fatto esplodere la Francia per aver “sfregato” il sig. Zarif un giorno dopo che Teheran aveva inserito lui e il suo think tank in un elenco di sanzioni.
Dubowitz ha insistito sul fatto che ora potrebbe essere nel mirino degli agenti di sicurezza iraniani che hanno regolarmente preso di mira dissidenti e oppositori all’estero.
I massimi funzionari della sicurezza dell’amministrazione Trump, tra cui il segretario di stato Mike Pompeo e il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, hanno anche ripetutamente definito un duro insieme di condizioni per revocare sanzioni all’Iran che stanno paralizzando la sua economia.
“Stanno davvero facendo molto male”, ha dichiarato Trump lunedì. “La loro inflazione è alle stelle. La loro economia si è completamente esaurita. Le sanzioni li stanno assolutamente ferendo in modo orribile. Non voglio vederlo. Sono persone fantastiche “.
Ma Trump è anche motivato a fare un accordo. Con la sua guerra commerciale contro la Cina dannosa per l’economia mondiale e i suoi amici internazionali come il principe ereditario saudita Mohamed bin Salman e il presidente brasiliano Jair Bolsonaro sotto condanna in tutto il mondo, così come i negoziati con la Corea del Nord sui suoi programmi di armamenti impantanati, Trump ha potuto usare una vittoria di politica estera prima delle elezioni del 2020.
“Entrambe le parti sono ansiose di trovare il modo di declassare”, ha affermato Geranmayeh.
Teheran sembra rilevare la vulnerabilità di Trump.
“Abbiamo sconfitto un presidente americano in passato”, il consigliere per la politica estera di Rouhani, Hesameddin Ashena, ha twittato il mese scorso in riferimento alla diffusa convinzione che l’assunzione di ostaggi statunitensi nel 1979 ha distrutto le possibilità del presidente Jimmy Carter per un secondo mandato. “Possiamo rifarlo.”
Trump ha dichiarato di temere che una guerra con l’Iran sarebbe impopolare tra gli elettori. “Gli iraniani credono di poter usare un’escalation misurata per creare problemi politici per Trump”, ha dichiarato Batmanghelidj.

27 AGOSTO, (ANSA) – ISTANBUL, – Gli Stati Uniti devono “fare il primo passo togliendo tutte le sanzioni” all’Iran per poter avviare un dialogo. Lo ha detto il presidente iraniano Hassan Rohani in un discorso trasmesso dalla tv di stato di Teheran, all’indomani dell’apertura di Donald Trump al termine del G7 di Biarritz a un incontro con lui.

epa07758751 A handout photo made available by the presidential office shows Iranian President Hassan Rouhani speaking during a meeting at the Iranian foreign ministry office in Tehran, Iran, 06 August 2019. According to reports, Rouhani said Iran welcomes talks with the US, however Washington needs to remove all sanctions against his country and officials before starting negotiations. The US Department of the Treasury’s Office of Foreign Assets Control (OFAC) announced on 31 July 2019 that the United States imposed sanctions against Iranian Foreign Minister Mohammad Javad Zarif. EPA/PRESIDENTIAL OFFICE HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

2546.-Traffico di esseri umani: Onu propone sei sanzioni in Libia

L’Oim ha annunciato oggi un nuovo naufragio al largo delle coste libiche. Non è ancora chiaro il numero delle vittime. La Guardia costiera libica: “Abbiamo trovato 5 corpi e salvato 65 migranti”. Nella foto, la Guardia Costiera libica in azione.

L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione considera illegittimi gli accordi di cooperazione tra Italia e Libia e tra Italia e Niger per ridurre i flussi migratori. Sono diversi i procedimenti in corso: uno alla Corte europea per i diritti dell’uomo, uno al Tar del Lazio e uno alla Corte costituzionale

Per la prima volta, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite propone di sanzionare sei famosi trafficanti di uomini in Libia, riportano le agenzie Reuters e Afp. I nomi sono importanti: compare un eritreo, sotto processo in Italia in quanto tra i sospettati come responsabile della strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013. E ci sono due importanti capi delle milizie libiche con le quali l’Italia ha stretto accordi attraverso il governo di Tripoli firmatario del Memorandum of Understanding Italia-Libia

I personaggi che dovrebbero essere inseriti nella lista nera sono stati, almeno dal 2014 al 2017, i signori del traffico di esseri umani in Tripolitania, la regione occidentale della Libia. Controllavano i flussi dei migranti dal Corno d’Africa fino alla striscia costiera che da Tripoli arriva fino al confine con la Tunisia. La maggior parte dei migranti sbarcati sulle coste italiane in questi ultimi anni ha probabilmente pagato l’organizzazione di almeno uno di questi trafficanti. 

Migranti: un nuovo servizio per i “naufraghi” del deserto del Sahara
Alarme Phone Sahara è un nuovo servizio gestito da attivisti africani ed europei per rintracciare i migranti persi nel deserto o respinti alle frontiere del Niger con Libia e Algeria. Nasce dall’esperienza di Alarm Phone, numero di telefono per migranti a rischio naufragio. Un modo anche per denunciare l’esternalizzazione della gestione delle frontiere

Traffico di esseri umani in Africa, Italia, Nord Europa

Tra i sei che rischiano sanzioni da parte dell’Onu c’è Ermias Ghermay, etiope, secondo i magistrati di Palermo al vertice, insieme a Medhanie Yehdego Mered, del gruppo di trafficanti responsabili della strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013. È latitante dal 2015, quando il Tribunale di Palermo aveva emesso nei suoi confronti un’ordinanza di custodia cautelare. L’operazione che ha portato alla sua identificazione si chiama Glauco, sviluppata poi in tre complessi filoni: è il primo maxiprocesso sui trafficanti di uomini in Italia. 

Nell’ambito della stessa indagine è stato arrestato un uomo, Medhanie Tesfamariam Behre, che gli inquirenti ritengono essere un altro nome del trafficante Medhanie Yehdego Mered. È forte il sospetto che ci sia stato, però, uno scambio di persona, almeno dai dati che riportano testate internazionali come il Guardian.

traffico di esseri umani

Operazioni di salvataggio dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa. Foto: Guardia Costiera (via Flickr)

Gli investigatori italiani hanno scoperto che Ghermay stava, almeno fino al momento in cui ne è stato ordinato l’arresto, a Zuwara, in Libia. Aveva una fitta rete di collaboratorisia “a terra”, sia in Sicilia. Infatti, a ogni migrante che trafficava dava il numero del fratello Ashgedom, classe 1975, arrestato a Catania nel 2015. Da qui, Ashgedom organizzava la seconda parte del viaggio, fino ai Paesi del Nord Europa. Era in contatto sia con il fratello, sia con Mered, sia con altri trafficanti. 

Caduto lui, l’intero gruppo di trafficanti è apparso in difficoltà, per quanto sembra resti ancora attivo. Ogni singolo trasferimento nell’odissea dei migranti aveva un prezzo che variava dai 250 ai mille euro. Da quando è finito nel mirino dei magistrati, Ermias comunque ricopre un ruolo minore nel panorama dei trafficanti libici.

Traffico di migranti: l’identikit di altri due accusati

La lista presentata alle Nazioni Unite continua con Fitwi Abdulrazek, eritreo, personaggio non di primissimo piano nell’inchiesta Glauco. Era perennemente in contatto con i Ghermay, con cui organizzava i viaggi, soprattutto all’interno della Libia. 

La blacklist continua con Ahmed al Dabbashi, soprannominato Alamu (o Al-Ammu), almeno fino alla scorsa estate uno dei padroni di Sabratha, tra le principali città di partenza dei migranti. Riportano i report delle Nazioni Unite sulla Libia che Alamu è il leader dellebrigate Anas al Dabbashi, intitolata a un jihadista appartenente alla sua famiglia, fino al 2016 alleate dell’Isis (poi hanno cambiato fronte). 

Almeno fino all’anno scorso, la milizia era titolare della sicurezza esterna al compound della Mellitah Oil&Gas, società italo-libica di cui Eni è partner al 50 per cento. Il cugino Ibrahim ha avuto una carriera da diplomatico all’Onu tra il 2013 e il 2016, mentre Mostafa è stato ministro in Libia nel 2015. Una famiglia potente. 

Traffici da Sudan e Niger e prigione per migranti in Libia

Mussab Abu Ghrein, alias Musab Abu-Qarin, anche noto come Doctor Mussab, è il quarto nome ad essere finito nella blacklist delle Nazioni Unite. Libico che traffica i migranti provenienti dal Sudan e dal Niger e li “passa” ai Dabbashi. È considerato anche lui attivo a Sabratha. Non si hanno più sue notizie da qualche anno.

Nel mirino dell’Onu è finito anche Mohammed Koshlaf, personaggio di enorme importanza in particolare nella città di Zawiya, come risulta da informazioni raccolte da Osservatorio Diritti. La sua milizia, la Brigata al-Nasr, è stata assoldata dalla raffineria locale per curare la sicurezza dell’impianto. Nello stessa area dell’impianto industriale, Koshlaf ha anche aperto una prigione per migranti, ormai riconosciuta dal ministero dell’Interno di Tripoli. 

Tra i sei indicati dalle Nazioni Unite, infine, c’è Abd al Rahman al-Milad, noto con il soprannome di al-Bija, è (per altre fonti era) a capo della Guardia costiera di Zawiya, addestrata e munita di motovedette a seguito degli accordi di cooperazione con l’Unione europea. Rapporti Onu lo indicano come un luogotenente di Mohammed Koshlaf, da cui è legato anche da una stessa appartenenza tribale. 

Sanzioni Onu ai trafficanti: le posizioni di Usa e Russia

A proporre al Consiglio di sicurezza Onu la blacklist sono stati i Paesi Bassi. L’effetto immediato per chi compare nella lista sarebbe il divieto assoluto di viaggiare e il congelamento dei beni all’estero. Molti di questi trafficanti, infatti, hanno conti corrente nei Paesi del Golfo, Dubai soprattutto. A quanto trapela dai primi commenti del Consiglio di sicurezza, qualcuno avrebbe beni anche negli Usa. 

traffico di esseri umani

Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno votato a favore della proposta olandese. Non la Russia

2545.- Siria, 27 agosto. Conclusa con un fiasco la nuova offensiva jihadista a Sud di Idlib. L’esercito siriano intensifica le operazioni contro i ribelli jihadisti nel nord-est della Latakia: video.

Martedì scorso, i ribelli jihadisti sono tornati all’attacco delle posizioni dell’esercito siriano, per la prima volta da quando hanno perso Khan Sheikhoun. La manovra si è svolta a Sud di Idlib, vicino alla città di “Atshan” e di diverse città a nord di Hama.

Secondo una fonte militare di prima linea, i ribelli jihadisti hanno perso più di dieci uomini durante l’attacco fallito di martedì.

Guidati da Rouse the Believers, i ribelli jihadisti svilupparono il loro attacco prendendo d’assalto le posizioni dell’Esercito arabo siriano sull’asse Tal Maraq. Si scatenò un violento incendio che, però, sarebbe stato domato in poco tempo. Nonostante l’intensità degli scontri, i ribelli jihadisti non furono in grado di spezzare la resistenza dell’esercito arabo siriano a Tal Maraq, finendo, alla fine, per abbandonare l’area.

L’esercito siriano si è impossessato di 3 mezzi corazzati appartenenti ai jihadisti dopo il loro fallito attacco: video

L’esercito arabo siriano (SAA) ha recentemente intensificato le operazioni sul campo contro i ribelli jihadisti nella Latakia nord-orientale, dopo che diversi rinforzi sono arrivati nell’area.

Con diverse unità della 4a divisione corazzata, recentemente ridislocate nella campagna nord-orientale di Latakia, si prevede che l’esercito siriano inizierà un’altra grande offensiva per eliminare definitivamente i ribelli jihadist dalla città chiave di Kabani.

L’esercito arabo siriano (SAA) ha ricevuto un nuovo reparto di carri armati sbarcati da una nave della 197a Brigata anfibia russa a Tartous.

Finora, l’esercito arabo siriano è riuscito a occupare la maggior parte dei punti a Sud di Kabani; tuttavia, per conquistare la città, dovranno prendere le ultime colline sotto il controllo di Hay’at Tahrir Al-Sham e del Partito islamico del Turkestan.

Lunedì, la 4a divisione dell’esercito arabo siriano e la Guardia repubblicana, hanno tentato di avanzare lungo l’asse meridionale di Kabani, ma non sono state in grado di sfondare le difese jihadiste.

Nel video che segue, l’esercito siriano può essere visto attaccare le difese jihadiste intorno a Kabani con armi pesanti e mortai. Il video è diventato virale negli ultimi giorni.

2544.- G7, ultima giornata: Trump apre a incontro in l’Iran.

L’Iran sta valutando la proposta francese.

Trump? Poche idee chiare.

Il G7 è soltanto un club informale, ma anche se Emmanuel Macron smentisce le voci sul presunto ruolo conferitogli per mediare tra Teheran e gli Stati Uniti, tuttavia, è evidente che l’occasione era coerente con la politica del bastone e della carota di Donald Trump e, allora, chi meglio del paese ospitante poteva aprire la porta alla trattativa con Teheran, ora che lo spazio di manovra dell’Iran appare ridotto, come non avrebbe potuto mai con il trattato stipulato da Obama? Coerente con questa nuova pagina è l’auspicio, già invito, per Vladimir Putin al prossimo incontro del 2020. Possiamo cominciare a pensare che avremo ancora un’America grande e, grazie al suo presidente, un Occidente dall’Alaska all’Alaska: “Sognare fa vincere!”

Mohammad Javad Zarif says they could work with new French proposals, to save nuclear deal.

Il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif è giunto a sorpresa a Biarritz, in Francia dove è in corso vertice del G7. Lo rende noto la presidenza francese che ha anche specificato che non sono previsti incontri con la delegazione degli Stati Uniti guidata dal presidente Donald Trump.

Il presidente francese Emmanuel Macron alla vigilia del vertice aveva incontrato Zarif a Parigi. Un colloquio, quello con il ministro, definito «costruttivo e produttivo» dall’agenzia iraniana Irna.

Photo by Nicholas Kamm / AFP

Zarif, dopo aver visto Macron a margine del G7, ha scritto su Twitter: «La strada davanti a noi è difficile, ma vale la pena provare», con riferimento al dossier sul nucleare e all’intesa da cui Trump ha fatto uscire gli Stati Uniti

E Trump sta valutando di invitare Putin al vertice dei sette grandi che si terrà in Usa nel 2020

Donald Trump ed Emmanuel Macron © AP
Donald e Vladimir sono la giusta guida per l’Occidente. Donald Trump ed Emmanuel Macron © ANSA/AP

Redazione ANSA BIARRITZ 26 agosto 2019

‘Abbiamo creato le condizioni di un incontro’ nelle prossime settimane tra il presidente iraniano Rohani e il presidente Trump e “quindi di un accordo’. Lo ha annunciato il presidente francese Macron, in conferenza stampa con il presidente Trump al termine del G7, aggiungendo che ‘l’Iran deve rispettare i suoi obblighi nucleari’. All’inizio del vertice, ‘c’era molta tensione, molto nervosismo, invece lo spirito poi è stato molto positivo’, ha sottolineato Macron. Per Trump, che ha annunciato a breve ‘negoziati seri’ sul commercio con la Cina, nel vertice ‘c’è stata grande unità, è stato un successo’.

L’ultima giornata di lavori al G7 di Biarritz si chiude con una inedita conferenza stampa a due del padrone di casa Emmanuel Macron insieme al presidente Usa Donald Trump. Preceduta da una serie di bilaterali. 

 “Abbiamo trovato un ottimo accordo” con gli Usa “sull’imposta digitale – ha detto Macron – . Nelle nostre economie ci sono situazioni molto ingiuste, alcuni soggetti non pagano le imposte e creano cambiamenti brutali, modificando anche gli equilibri”. 

Donald Trump ha annunciato che il presidente russo Vladimir Putin potrebbe essere invitato al G7 del 2020 che si terrà negli Stati Uniti. “C’è stata grande unità – ha aggiunto – ed è stato un grande successo, saremmo rimasti a parlare ancora un’ora.”Se si creano le circostanze giuste sarei d’accordo” ad un incontro con il presidente iraniano Rohani, “ma nel frattempo devono giocare bene le loro carte e non possono fare ciò che hanno detto di voler fare, altrimenti ci sarà una reazione piuttosto violenta, quindi credo faranno i bravi”. E Macron ha precisato che “Nulla è stato ancora risolto ma abbiamo fatto progressi veri, le discussioni sul piano tecnico sono cominciate. Il presidente Rohani è pronto ad incontrare tutti i responsabili politici nell’interesse del suo Paese”

2543.- 26.08.2019. La superpetroliera iraniana e il suo carico venduti a un armatore sconosciuto.

L’Adrian Darya 1, che è stato registrato nuovamente nel Registro Navale dell’Iran, dopo essere stato cancellato da Panama il 29 maggio, è a pieno carico e trasporta circa 2,1 milioni di barili di petrolio, come mostrano i dati di Refinitiv. Il carico è stato valutato in decine di milioni di dollari.
Il presidente Donald Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo nucleare del 2015 con l’Iran, a maggio dell’anno scorso, mentre l’Unione europea è ancora parte di quell’accordo, che consente a Teheran di vendere il suo petrolio.
Washington vuole ridurre a zero le esportazioni di petrolio dell’Iran e ha reintrodotto le sanzioni statunitensi, che impongono pesanti sanzioni su eventuali violazioni anche per i cittadini e le società non statunitensi, compresi il congelamento dei beni e l’esclusione dal sistema finanziario statunitense.
Fonti finanziarie fanno sapere, che, mentre i regolamenti dell’UE consentono ancora alle società e ai cittadini del blocco di commerciare con l’Iran, la violazione delle sanzioni statunitensi ha fatto sì che la maggior parte delle banche non siano disposte a trattare anche transazioni autorizzate come per il cibo e le medicine.
Se la nave fosse entrata nelle acque territoriali greche, sarebbe stato, probabilmente, il primo importante test di politica estera per il nuovo primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, da quando è entrato in carica a luglio.
Il ministro Zarif ha affermato che a causa delle sanzioni statunitensi, l’Iran non ha potuto rivelare dove sarebbe andato il petrolio.

Iranian oil tanker Adrian Darya 1, previously named Grace 1, sits anchored after the Supreme Court of the British territory lifted its detention order, in the Strait of Gibraltar, Spain, August 18, 2019.
Adrian Darya 1, già Grace 1, qui, ancora all’ancora nello stretto di Gibilterra, in Spagna, dopo che la Corte Suprema del territorio britannico, il 18 agosto 2019, ha revocato il suo ordine di sequestro.

Contributi di Jon Nazca/ REUTERS, HAARETZ

A lato, un anziano politico iraniano ha dichiarato che la crisi nei legami dell’Iran con la Gran Bretagna, che include il sequestro da parte di Teheran della nave cisterna battente bandiera britannica Stena Impero, il mese scorso, non sarebbe finita fino a quando la nave cisterna iraniana non fosse arrivata a destinazione.

A buon intenditor …


Le guardie rivoluzionarie iraniane il 19 luglio hanno sequestrato la Stena Impero nello stretto di Hormuz per presunte violazioni alle leggi della navigazione, due settimane dopo il sequestro del Grace 1.
“Fino a quando la petroliera iraniana non arriverà a destinazione, gli inglesi devono contribuire a porre fine alla crisi”, ha affermato l’Heshmatollah Falahatpisheh, della commissione parlamentare per la sicurezza nazionale e gli affari esteri, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ISNA.
“La crisi con la Gran Bretagna non è finita. La Gran Bretagna ha la responsabilità primaria di porre fine alla crisi della petroliera”, ha detto Falahatpisheh.
Mousavi ha lasciato aperta una porta, dicendo che Teheran è in attesa di una decisione giudiziaria sulle presunte violazioni del Codice della Navigazione da parte della Stena Impero e che sperava che le procedure sarebbero state completate il prima possibile.

Gli Stati Uniti hanno avvertito tutti i porti mediterranei: Assistere la petroliera iraniana sarebbe visto come un aiuto al terrorismo. In risposta alle minacce degli Stati Uniti, la Grecia ha rifiutato di accogliere la petroliera iraniana nei suoi porti.

Un portavoce del governo iraniano ha affermato che la superpetroliera, perseguitata dagli Stati Uniti, è stata venduta a un acquirente sconosciuto, insieme ai suoi 2,1 milioni di barili di petrolio greggio.

Ali Rabiei ha dato l’annuncio alla conferenza stampa di lunedì a Teheran. Dice che l’acquirente della nave deciderà sulla destinazione finale della nave cisterna.

La nave cisterna iraniana è al centro di uno scontro tra Washington e Teheran. Durante il fine settimana, la nave ha fatto rotta per la Turchia; ma dai dati dei tracciamenti di Refinitiv Eikon, mostrati lunedì, non si dirige più lì.

La nave, a pieno carico di petrolio, si era precedentemente diretta verso il porto di Kalamata, nel sud della Grecia, dove il suo arrivo era atteso per domenica prossima alle 0000 GMT; ma, un funzionario del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti aveva dichiarato che Washington aveva già trasmesso la sua “posizione forte” a tutti i paesi mediterranei. Per tutta risposta, il governo greco aveva fatto sapere che non avrebbe offerto alcun servizio alla nave cisterna.

Sabato, quindi, i dati sulla navigazione davano la nave come diretta verso il porto della Turchia meridionale, di Mersin e che vi era attesa per il 31 agosto.

Lunedì, i dati di tracciamento di Refinitiv Eikon non specificano più alcuna destinazione per l’Adrian Darya 1. La sua posizione è attualmente a Sud della Grecia continentale, a Ovest dell’isola di Creta.

Teheran dichiara che qualsiasi tentativo di Washington di impadronirsi della Adrian Darya 1, salpata da Gibilterra per la Grecia domenica, avrebbe “pesanti conseguenze”

L’Adrian Darya, ex Grace 1, è stata rilasciata a metà agosto dopo il sequestro avvenuto al largo di Gibilterra, cui ha fatto seguito un confronto-scontro durato cinque settimane, sul fatto che stesse trasportando petrolio iraniano in Siria in violazione delle sanzioni dell’Unione Europea. La nave è salpata da Gibilterra l’altra domenica, alle 21,00 GMT.

“È un peccato che sia successo”, ha dichiarato il segretario di Stato americano Mike Pompeo a Fox News Channel in merito al rilascio della nave.
Pompeo ha affermato che se l’Iran riuscisse a trarre profitto dal carico di petrolio della petroliera, le forze di elite dell’IRGC avrebbero “più denaro, più ricchezza, più risorse per continuare la loro campagna terroristica”.

Gli Stati Uniti, che affermano che la petroliera è controllata dalle Guardie rivoluzionarie iraniane, ritenute da Washington un gruppo terroristico, hanno invitato i paesi della regione a non prestargli assistenza, perché l’assistenza alla nave potrebbe essere considerata come un supporto a un’organizzazione terroristica. Dal canto suo, il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, sicuramente un moderato, è sembrato minimizzare la possibilità di un conflitto militare con Washington.

Zarif ha dichiarato in Finlandia: “Siamo felici che questo calvario sia terminato e spero che questo porterà a una minore escalation”.
Ha anche affermato che il mandato degli Stati Uniti non aveva basi legali e che era politicamente motivato a “fare più escalation”.
In un’intervista a “NBC Nightly News”, Zarif ha affermato che l’Iran non avrebbe intrapreso azioni militari per porre fine alla sua situazione di stallo con il suo avversario di lunga data.
“Non lo faremo. Non l’abbiamo mai fatto, negli ultimi 250 anni. Ci siamo soltanto difesi. E abbiamo dato buone lezioni a coloro che ci hanno invaso”, ha detto Zarif.
Nell’intervista, gettando acqua sul fuoco attizzato da Trump, ha voluto anche minimizzare la possibilità di un’azione militare degli Stati Uniti contro la Repubblica islamica, affermando che l’abitudine degli Stati Uniti di dire: “Nessuna opzione è fuori dal tavolo” nel suo approccio all’Iran, era una violazione della Carta delle Nazioni Unite.
Le autorità greche non hanno commentato immediatamente la situazione.
Alla domanda se gli Stati Uniti avrebbero potuto rinnovare la loro richiesta di sequestro dopo che la nave cisterna è salpata da Gibilterra, il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Abbas Mousavi aveva detto: “Tale azione, e persino il suo discorso … metterebbe a repentaglio la sicurezza marittima in mare aperto”.
“L’Iran ha emesso gli avvertimenti necessari attraverso i canali ufficiali, in particolare l’ambasciata svizzera, ai funzionari americani di non commettere un simile errore perché avrebbe gravi conseguenze”, ha detto Mousavi nelle sue osservazioni alla televisione di stato.
La Svizzera rappresenta gli interessi degli Stati Uniti in Iran, che non ha relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti.

in un’intervista alla televisione americana e ha, anche, indicato durante una visita in Finlandia che Washington sta tentando “l’escalation”.

30 agosto. Giovedì 29, la Adrian Darya 1 ha invertito nuovamente la rotta e dirige verso il porto turco sud-orientale di Iskenderun

La nave, giovedì, ha cambiato bruscamente rotta, facendo quasi un’inversione a U dalla costa turca. Lo ha mostrato il sito di monitoraggio Marine Traffic. Già Venerdì 23, mattina, a ovest di Cipro, aveva fatto una manovra simile, invertendo la rotta.
Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, tuttavia, ha affermato di aver parlato con dei giornalisti norvegesi e che la nave cisterna era diretta in Libano, non in Turchia.
Ad ogni modo, è la terza volta che la nave cambia destinazione in 10 giorni. Iskenderun si trova circa 200 km a nord della raffineria di Baniyas in Siria, la sospetta destinazione originale dell’autocisterna.