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6220.- Alta Tensione. Ministro degli esteri russo convoca ambasciatori di Francia e Regno Unito, mentre lo Stato maggiore ha dichiarato l’inizio delle esercitazioni delle forze nucleari tattiche. – AFV

La domanda che da convinti europeisti ci poniamo è: A quale titolo il presidente Emmanuel Macron e il ministro David Cameron hanno impegnato l’Unione europea e la Nato con dichiarazioni bellicistiche e con forniture di missili superficie – superficie Storm Shadow/Scalp? La miglior difesa è l’attacco, ma la domanda vale anche per la Casa Bianca che ha confermato l’invio di missili a lunga gittata AtacMS a Kiev, per rispondere agli attacchi di Mosca. E, come leggeremo, l’Italia sembra non essere da meno.

Da nova-project, di Micheli Fabrizio, 7 maggio 2024

Oggi pomeriggio sia l’ambasciatore britannico Nigel Casey (nella foto, non felicissimo) che l’ambasciatore francese Pierre Levy sono stati convocati al Ministero degli Esteri a Mosca, dove sono rimasti rispettivamente per trenta e quaranta minuti. Non hanno rilasciato dichiarazioni, ma ci ha pensato il Ministero degli Esteri russo. All’ambasciatore inglese è stato chiesto conto delle parole di David Cameron, secondo il quale l’Ucraina è autorizzata a usare armi britanniche per colpire il territorio russo, e gli è stato notificato che il governo russo le considera un’escalation molto seria: se dovesse verificarsi un’eventualità del genere, la Russia si riserva il diritto di colpire obiettivi militari inglesi “sia sul territorio dell’Ucraina che altrove”. Non sembra invece che all’ambasciatore francese siano stati fatti discorsi di obiettivi militari da colpire, ma poco dopo Macron ha dichiarato che la Francia sostiene l’Ucraina ma non è in guerra né con la Russia né col popolo russo, e non cerca un cambio di regime a Mosca.
Per dare un po’ più di sostanza al discorso fatto agli ambasciatori, ad ogni modo, poco prima del loro ingresso al Ministero lo Stato maggiore russo ha dichiarato che, su ordine di Putin, ha iniziato le preparazioni per esercitazioni delle forze nucleari non-strategiche (cioè tattiche) “nel prossimo futuro”, nel Distretto Militare Meridionale (che comprende Russia meridionale, territori annessi e Crimea) e con la partecipazione della flotta (ovvero, che le esercitazioni in questione saranno condotte nel Mar Nero). Le esercitazioni, continua lo Stato Maggiore, sono effettuate in risposta alle “affermazioni provocatorie e alle minacce di certi funzionari occidentali” nei confronti della Federazione Russa.
È chiaro che le esercitazioni non saranno condotte con missili nucleari, ma che verranno testati solo i meccanismi di dispiegamento, comando e controllo. Ad ogni modo è un’escalation seria, che viene in risposta a una serie di escalation altrettanto serie da parte di Francia e Gran Bretagla – da cui appunto la convocazione degli ambasciatori. Le dichiarazioni di Macron potrebbero lasciare intendere che il messaggio è stato recepito, considerando anche che, a quanto pare, i colloqui con Xi Jinping non hanno portato ai risultati da lui sperati (quanto queste speranze poi fossero fondate ognuno può immaginarlo): se nei prossimi giorni dalla Francia non si parlerà più di inviare le truppe, la collaudata (ma un po’ rischiosa) tattica “escalate to de-escalate” potrebbe essersi rivelata vincente.
Per quanto riguarda le testate tattiche, visto che se ne parla come fossero fuochi d’artificio solo un po’ più rumorosi: non si sa quante la Russia ne abbia, perché non sono regolate da nessun trattato. Sono certamente meno potenti delle armi nucleari strategiche, ma vanno comunque da un minimo di uno a un massimo di 50 chilotoni, che non è poi pochissimo – per mettere le cose in prospettiva, la bomba di Hiroshima era di 15 chilotoni. Sappiamo con certezza che nell’arsenale russo ci sono testate nucleari tattiche per gli Iskander, per i Kh-59M (lanciati dai Su-24M, Su-30, Su-34 e Su-35S), per i Kalibr (probabilmente), per le bombe a caduta libera (il cui impiego ormai non è più ipotizzabile)e anche proiettili per l’artiglieria da 1 a 3 chilotoni: i 3BV1 da 180 mm, i 3BV2 da 203 mm, i 3BV3 da 152 mm e i 3BV4 da 240 mm. Buona parte dei proiettili nucleari per l’artiglieria è stata deattivata e distrutta, ma sicuramente qualcosa è rimasto, e non è difficilissimo farne di nuovi.

PS – tanto per andare sul sicuro, Tajani ha detto che l’Italia non ha mandato armi che possono colpire il territorio russo.

Francesco Dall’Aglio

Ma sia i missili anglo-francesi sia quelli americani sia, infine, quelli eventualmente italiani non risolveranno la crisi di uomini combattenti di Kiev. Malgrado ciò, dal Il Fatto Quotidiano del 1° maggio si legge: …

“L’Italia invia a Kiev un Samp-T e anche i missili da crociera”

Samp/T e Storm Shadow. L’Italia supera due altre linee rosse negli aiuti – che mai avrebbe inviato, parola di ministri della Difesa e degli Esteri – a Kiev. Il sistema di difesa aerea richiesto dal premier Zelensky infatti sta per essere trasferito all’Ucraina nel nono pacchetto italiano che il ministro Guido Crosetto sta per firmare. Eppure lui stesso aveva negato questa possibilità all’alleato per non lasciare sguarnito il nostro Paese che di Samp/T ne ha solo 5. Di questi, dopo la distruzione a gennaio da parte di un raid russo della batteria inviata in Ucraina appena 7 mesi prima, l’Italia ne avrebbe solo uno nel nostro Paese: uno sarebbe in Kuwait, uno in Romania e uno in Slovacchia.

A “muoversi” verso Kiev sarebbe proprio la batteria slovacca, dislocata nel distretto di Bratislava, per il rafforzamento del fianco orientale della Nato nell’ambito della crisi ucraina, tanto che il premier di Praga se n’è già lamentato. A darne notizia il sito Aktuality che ha riportato l’indignazione di Robert Fico: “Ho ricevuto un messaggio dal governo italiano che il sistema di difesa sarà ritirato dalla Slovacchia perché ne hanno bisogno altrove”, ha dichiarato lasciando intendere che arriverebbe a Kiev e lanciando l’allarme sulla mancanza di protezione delle strutture strategiche del suo Paese nonché delle centrali nucleari. La Slovacchia, infatti, ha trasferito i suoi sistemi anti-aerei S-300 all’Ucraina.

Lamentele slovacche a parte, il Samp/T sarà fornito di non molti missili: pare sotto la decina. Questo perché, se di sistemi di difesa richiesti da Zelensky – frutto del programma franco-italiano Mamba1 sviluppato da Thales e Mbda Italia e Francia – non siamo molto forniti, dato anche il costo (si va dai 500 milioni a batteria), di munizioni in giro per l’Europa se ne trovano sempre meno. E i Samp/T montano i missili Aster30 che hanno un raggio d’azione di 100 km per l’intercettazione di aerei e 25 km per quella dei missili e che vanno da un minimo di 8 a un massimo di 48 a batteria per un costo medio di 1 milione di euro.

A proposito di collaborazione, il ministero della Difesa italiano persevera nel segreto sulle armi inviate a Kiev. Ma la conferma della partecipazione italiana alla produzione dei missili a lungo raggio Storm Shadow anglo-francese destinati a Kiev secondo il vanto del ministro inglese Grant Shapps in un’intervista al Times, arriva dalla relazione annuale dell’Unità di controllo sull’invio degli armamenti (Uama). Nel report 2023, infatti, tra i programmi di co-produzione internazionale approvati campeggia “Storm Shadow – Sistema di armamento aria/superficie”. Paesi produttori: Italia, Gran Bretagna, Francia. Imprese coinvolte: Mbda Italia-Leonardo. I missili da caccia in grado di raggiungere il suolo dai 250 ai 300 km hanno anche il marchio italiano, quindi, come dichiarato dal ministro britannico. “Penso che lo Storm Shadow sia un’arma straordinaria”, si è detto convinto Shapps mentre faceva da cicerone al sito di produzione della Mbda vicino Londra. “Sono il Regno Unito, la Francia e l’Italia che stanno posizionando queste armi per l’uso, in particolare in Crimea – ha detto – sottolineando come “queste stanno facendo la differenza”.

L’Italia non ha mandato armi che possono colpire il territorio russo; ma attenzione! Quando i piccoli giocano con i grandi rischiano sempre di farsi male.

Il programma congiunto a cui l’Italia si è aggiunta a giugno 2023, nella fase iniziale prevedeva un investimento di 100 milioni di euro con l’obiettivo proprio di svecchiare i primi Storm Shadow. Stando alla relazione dell’Uama, le aziende italiane avrebbero dedicato al programma 12 milioni. Ma scorrendo l’elenco di armamenti inviati, il nome del missile da crociera della Mbda compare più volte sotto forma di pezzi di ricambio, serbatoi o altre componenti, e anche di missili da addestramento. Il destinatario finale non è specificato. E la Difesa italiana non conferma che sia Kiev. L’Italia ha acquistato per la prima volta 200 Storm Shadow dalla Mbda nel 1999 e li ha utilizzati in Libia nel 2011. Ma le parole di Shapps – che puntavano a convincere la Germania a inviare a Kiev i Taurus – non paiono campate in aria. Sul suolo ucraino, infatti, Storm Shadow francesi ci sono già arrivati, colpendo la Crimea.

6218.- Presidente Meloni, Piano Mattei

Presidente, grazie.

Meloni in Libia, patto con Haftar: lotta senza tregua ai trafficanti di esseri umani

Da Il Secolo d’Italia del 7 Mag 2024 – di Redazione

Meloni Haftar


Una missione a tutto campo, quella della Meloni in Libia – accompagnata dai ministri dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini, della Salute, Orazio Schillaci, e per lo Sport e i Giovani,Andrea Abodi – sotto il profilo geo-politico e della cooperazione internazionale. Il Presidente del Consiglio, in visita oggi a Tripoli, ha incontrato il Presidente del Consiglio Presidenziale Al-Menfi e il Primo Ministro del Governo di Unità Nazionale libico, Dabaiba. Al termine dell’incontro sono state firmate delle dichiarazioni di intenti in materia di cooperazione universitaria e ricerca, salute, sport e giovani nella cornice del Piano Mattei per l’Africa.

Meloni in Libia: i bilaterali con Dabaiba e Haftar

Il Presidente Meloni, come rendono noto fonti di Palazzo Chigi, ha ribadito l’impegno a lavorare con la Libia in tutti gli ambiti di interesse comune, attraverso un partenariato su base paritaria fondato su progetti concreti. In particolare nel settore energetico e infrastrutturale. Al fine di approfondire ulteriormente le opportunità di investimenti, nel corso del colloquio – sottolineano le stesse fonti – il Presidente Meloni e il Primo Ministro Dabaiba hanno deciso di organizzare un business forum italo-libico entro la fine dell’anno.

La cooperazione tra Libia e Unione Europea

Non solo. Con i suoi interlocutori, il Presidente del Consiglio ha discusso anche dell’importanza di indire le elezioni libiche presidenziali e parlamentari, nel quadro della mediazione delle Nazioni Unite che va rilanciata. L’Italia, in tal senso, continuerà a lavorare per assicurare una maggiore unità di intenti della Comunità internazionale. E per promuovere la cooperazione tra Libia e Unione Europea.

Meloni e Haftar sulla ricostruzione di Derna, le iniziative sull’agricoltura e sulla sanità

Nel pomeriggio, poi, il Presidente Meloni si è quindi recata a Bengasi, dove ha incontrato il Maresciallo Khalifa Haftar, con cui ha discusso, tra l’altro, delle iniziative italiane nel settore dell’agricoltura e della salute che interessano anche l’area della Cirenaica. Oltre a ribadire la disponibilità dell’Italia a contribuire, anche attraverso le competenze specifiche del nostro settore privato, alla ricostruzione di Derna, colpita lo scorso anno da una drammatica alluvione, in linea con l’impegno a tutto campo che l’Italia aveva messo in campo subito dopo la tragedia. Aspetto, quello della ricostruzione, condiviso anche con il Presidente Al-Menfi che ha voluto ricordare il generoso impegno dell’Italia.

«Intensificare gli sforzi nella lotta al traffico di esseri umani»

Nel corso della missione, infine, il Presidente del Consiglio ha espresso apprezzamento per i risultati raggiunti dalla cooperazione tra le due Nazioni in ambito migratorio. In questa prospettiva, per il Presidente Meloni permane fondamentale intensificare gli sforzi in materia di contrasto al traffico di esseri umani, anche in un’ottica regionale. E in linea con l’attenzione specifica che l’Italia sta dedicando a questa sfida globale nell’ambito della sua Presidenza G7.

Libia e Piano Mattei, il binomio funziona. La visita di Meloni a Tripoli secondo Checchia

Da Formiche.net, di Francesco De Palo, 8 maggio 2024

L’ambasciatore Checchia: “L’Italia è punta di lancia d’Europa nel continente africano. Con il Piano Mattei sosterremo l’area del Sahel, dopo il passo indietro francese. La visita porta in grembo il ritrovato peso dell’Italia nello scacchiere mediterraneo, con iniziative di alta visibilità e ripetute missioni in Paesi per noi partner strategici, penso ad Algeria, Egitto, Tunisia, Libia, Libano e Marocco”

07/05/2024

Un altro tassello di quel puzzle geopolitico chiamato Piano Mattei è stato posizionato oggi in Libia dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha incontrato il primo ministro del Governo di Unità Nazionale libico, Abdul Hamid Mohammed Dabaiba, il presidente del Consiglio presidenziale libico Mohammed Yunis Ahmed Al-Menfi e il generale Khalifa Haftar. Un viaggio strutturato, come dimostra la presenza di tre ministri del governo che hanno plasticamente disteso la strategia italiana in loco, siglando accordi con gli omologhi libici in settori cardine delle istituzioni e della società. Nell’occasione è stato annunciato il Forum economico italo-libico a Tripoli per fine ottobre al fine di sostenere il settore privato di entrambi i Paesi. Non sfugge che il quadro libico, caratterizzato da un crollo delle partenze migratorie, si fonde con il contributo italiano alla normalizzazione istituzionale del Paese (che porti ad elezioni) e con il dossier energetico che vede l’Eni protagonista.

Dichiarazioni di intenti

Ricerca, università, sanità e sport sono le quattro macro aree protagoniste delle dichiarazioni di Intenti siglate in Libia, in occasione del viaggio del premier accompagnata da tre ministri del governo: Andrea Abodi (Sport), Orazio Schillaci (Salute), Anna Maria Bernini (Università e ricerca). Alla voce università si segnala la nascita di una cooperazione bilaterale tra istituzioni della formazione superiore dei due Paesi, per approfondire i principali programmi multilaterali, come ad esempio Erasmus+. In questo senso verranno facilitati gli scambi tra studenti, professori, ricercatori e personale tecnico amministrativo, ma anche i dottorati in co-tutela, e i corsi di studio finalizzati al rilascio di titoli congiunti o doppi.

Circa la ricerca scientifica la partnership sarà ad ampio spettro, abbracciando settori significativi come energie rinnovabili, mari e oceani, economia blu, sostenibile e produttiva, con particolare attinenza ai settori delle risorse ittiche e degli ecosistemi marini. Grande attenzione all’agri-food e alle biotecnologie nell’ambito dei cambiamenti climatici: tutte iniziative che saranno supportate da workshop e meeting di carattere scientifico.

Altro capitolo rilevante è dedicato alla salute, con una comune collaborazione tecnico-scientifica che permetta di favorire l’accesso alle terapie in ospedali italiani a cittadini libici, soprattutto in età pediatrica, ai quali non risulti possibile assicurare trattamenti adeguati in Libia. Anche lo spot rientra in questa formula di partenariato strutturato, con la riqualificazione delle infrastrutture sportive nelle comunità libiche e la costruzione di programmi di volontariato e servizio per promuovere l’inclusione sociale giovanile.

Italia punta di lancia dell’Ue

L’Italia è la punta di lancia dell’Ue in Africa, dice a Formiche.net Gabriele Checchia,già ambasciatore italiano in Libano, presso la Nato e presso le Organizzazioni Internazionali Ocse, Esa, Aie secondo cui questa visita strutturata del premier a Tripoli con tre ministri racconta di una narrativa più ampia. “In primo luogo è il ritrovato peso dell’Italia nello scacchiere mediterraneo, con iniziative di alta visibilità e ripetute missioni in Paesi per noi partner strategici, penso ad Algeria, Egitto, Tunisia, Angola, Libia, Libano e Marocco. È un dato geopolitico rilevante che con l’attuale governo abbiamo ritrovato, ovviamente costruendo anche sulle basi poste da precedenti esecutivi a cominciare dall’esecutivo Draghi. Non si è costruito tutto questo dal nulla, ma c’è stato decisamente un cambio di passo che ci pone come attore primario nello scacchiere mediterraneo, cosa che per alcuni anni non siamo stati, lasciando l’iniziativa piuttosto a Paesi amici come la Francia”.

Una tela più ampia

Il secondo elemento per il diplomatico italiano va ritrovato nella serietà con cui il Governo, a cominciare dal Presidente del Consiglio, sta affrontando la messa in atto del Piano Mattei, perché sono tutti tasselli di una tela più ampia della quale il piano costituisce, se vogliamo, la cornice complessiva. “Governo e premier si stanno muovendo sul piano multilaterale a mio avviso in maniera impeccabile. Cito a riguardo la Conferenza su sviluppo e migrazione tenutasi a Roma lo scorso luglio, con il lancio del processo di Roma per approfondire le radici e le ragioni di fondo dei fenomeni migratori dall’Africa subsahariana. E ancora con la Conferenza Italia-Africa dello scorso gennaio che ha costituito un grande successo: eventi che hanno anche portato ad accreditare un’Italia che si configura come riferimento di una strategia veramente europea”.

Il riferimento è al Team Europe quando la presidente del Consiglio Meloni, con la presidente della Commissione von der Leyen e il presidente del Consiglio Michel sono stati in visita in Paesi chiave come l’Egitto.

La prospettiva del Piano Mattei 

Uno dei motivi di fondo che ha portato al concepimento del Piano Mattei, secondo l’ambasciatore Checchia, è anche contenere le pressioni migratorie che giungono proprio dal Sahel, “un Sahel nel quale purtroppo al ritiro progressivo delle forze francesi non fa ancora riscontro una stabilizzazione politica”. I ripetuti colpi di Stato, che non depongono certo a favore della stabilità, necessitano di una risposta corale e quindi, con il Piano Mattei “noi dovremmo creare le condizioni di sviluppo nell’Africa, nel Nord Africa ma anche nei Paesi del Sahel che poco a poco consentano alle popolazioni di quell’area di avere, non solo come ha sottolineato la presidente Meloni, il diritto a emigrare che nessuno può contestare, ma anche il diritto a non emigrare, cioè restare e farsi una vita nei Paesi di origine”.

Il Sahel presenta una specificità particolare, è ancora covo di focolai jihadisti, come dimostrano i massacri di popolazioni da parte di gruppi armati che si ispirano a un islamismo militante. Ma è chiaro che Nord Africa, Libia, Tunisia, Egitto rappresentano dei punti di passaggio privilegiati verso l’Europa, aggiunge. “Quindi vedo il Piano Mattei come tassello di una più ampia strategia europea volta a contenere l’immigrazione illegale. Inoltre fa piacere constatare leggendo i nostri quotidiani che tra il maggio 2023 e il maggio 2024 c’è stato un calo consistente di afflussi dal Nord Africa: siamo passati da 40.000 a poco più di 17.000. Questo è un risultato che il governo Meloni può legittimamente portare a suo credito”.

Elezioni in Libia?

Infine, il contributo italiano alla normalizzazione istituzionale della Libia, che porti a elezioni libere e democratiche. In questo senso il ruolo di Roma quale può essere, oltre a quello di mettere insieme le esigenze di tutte le aree del Paese? “Certamente può essere quello di far arrivare ai nostri interlocutori libici la voce di un Paese autorevole e fondatore dell’Unione europea, membro importante dell’Alleanza atlantica, amico da sempre dei Paesi dell’area nordafricana che non ha agende nascoste, quindi che non persegue secondi fini o fini non dichiarati, ma è sinceramente e semplicemente interessato al benessere di quelle popolazioni, oltre che alla tutela degli interessi nazionali, per esempio in campo energetico”.

E aggiunge: “È chiaro che la visita di Meloni si colloca in un momento delicatissimo a poche settimane dalle dimissioni dell’inviato Onu per la Libia che ha gettato la spugna non essendo riuscito ad avere avallate, credo soprattutto da parte del generale Haftar, le sue proposte di modifica della legge costituzionale e delle leggi elettorali, né il progetto di nuova Costituzione. Siamo ancora purtroppo tornati al punto di partenza ma il premier si farà interprete di questo pressante appello europeo perché finalmente si superi lo stallo politico in Libia e si riesca a ritrovare quel percorso verso assetti istituzionali davvero unitari sulla base di una legge elettorale trasparente che porti a un Parlamento credibile e ad una elezione credibile del prossimo Presidente della Repubblica”.

Da Capri all’Unione Africana

Due i richiami conclusivi che secondo l’ambasciatore Checchia non possono mancare: ovvero il G7 a Capri che, alla presenza del ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha visto il tema del Piano Mattei rappresentare la principale novità programmatica dinanzi ai ministri intervenuti “e l’ulteriore successo della premier nel quadro della sua strategia nord-africana, rappresentato dal decisivo contributo fornito alla concretizzazione della proposta emersa al vertice G20 di Delhi dello scorso anno di avere l’Unione Africana ormai come membro a pieno titolo del G20, due passaggi che ritengo fondamentali per completare il quadro analitico”, conclude.

Meloni e Michel lavorano all’agenda strategica dell’Ue. Ecco come

Di Francesco De Palo

Il presidente del Consiglio europeo riconosce al governo italiano il ruolo di partner nelle delicate trattative con Paesi extra Ue: sul tavolo non solo la sfida del nuovo patto di migrazione e asilo, ma anche il Mediterraneo e il fronte sud

11/04/2024

“Con Giorgia Meloni e con l’Italia stiamo lavorando sodo per stringere rapporti con i Paesi terzi extra Ue per essere preparati anche nel campo della migrazione”. Questo uno dei passaggi più salienti della visita a palazzo Chigi del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, in vista del Consiglio europeo della prossima settimana a Bruxelles. Un’occasione sia per fare il punto sui dossier maggiormente urgenti sul tavolo europeo (Kyiv su tutti), sia per chiudere idealmente il cerchio del suo mandato alla luce delle proiezioni future, come Intelligenza artificiale, cooperazione allargata, Mediterraneo e fronte sud.

Ucraina a difesa Ue

Primo punto discusso, le decisioni dell’ultimo Consiglio europeo che ha avallato l’invio di più fondi e investimenti all’Ucraina, conseguenza di una decisione unitaria che mette al centro il costante supporto a Kyiv in un’ottica di allargamento. Michel sottolinea ancora una volta che l’Ue è determinata a sostenere l’Ucraina “più che possiamo, stanno combattendo per la loro terra, per la libertà, per il futuro e per i nostri valori democratici”.

Si dice certo che oggi l’Ue è diversa, più unita e più forte di prima, si tratta di “un effetto collaterale della guerra lanciata dalla Russia, un altro effetto è che la Nato è diventata più grande perché abbiamo preso decisioni”. Ed ecco il secondo punto, che si intreccia sia con l’Ucraina, perché mosso proprio dall’evoluzione del fronte bellico, sia con i progetti futuri legati alla difesa comune e al commissario europeo ad hoc. “Abbiamo compiuto enormi progressi nel settore della cooperazione nella difesa – aggiunge – . Si tratta di una cosa inedita e faremo di più anche in termini di investimenti: la Bei ad esempio, sta diventando uno strumento molto potente per facilitare più investimenti e più cooperazione del settore della difesa”.

Unità e futuro

Per Michel la chiave di volta per ragionare della nuova Ue si chiama unità, e il caso ucraino lo dimostra ampiamente. “Stiamo difendendo la nostra stessa sicurezza dando il nostro sostegno all’Ucraina e fornendo equipaggiamento militare. La Russia ha deciso di mettere il mondo a rischio, è in palese violazione del diritto internazionale e un’unica posizione è possibile: sostenere l’Ucraina più che possiamo ed è quello che stiamo facendo con il sostegno dei 27″.

Ulteriore dimostrazione di questa posizione è nei grandi progressi compiuti dagli Stati membri in uno spazio di tempo limitato in termini di munizioni ed equipaggiamento militare. Le politiche di aiuto all’Ucraina infatti rappresentano una primizia assoluta per l’Ue, dal momento che per la prima volta nella storia continentale “abbiamo deciso di fornire equipaggiamento militare, una decisione che abbiamo preso in pochi giorni dopo l’invasione”.

Qui Chigi

Secondo Meloni tra le future priorità d’azione dell’Unione Europea c’è il rafforzamento della competitività e della resilienza economica europea, la gestione comune del fenomeno migratorio, la collaborazione in ambito sicurezza e difesa nonché la politica di allargamento. Il Presidente Meloni ha inoltre sottolineato, quale precondizione per raggiungere questi obiettivi, la necessità di assicurare risorse comuni adeguate a sostegno dei relativi investimenti.

Una nota: Al “Grazie presidente Meloni!” Aggiungiamo una nota: Si sta conducendo l’Unione a rivestire il ruolo che “ci” spetta in ambito internazionale. Marciamo verso la sovranità? L’evoluzione dell’Ue verso uno Stato sovrano, membro attivo dello Nato, è possibile con l’impegno, anzitutto, dei suoi fondatori e chiama prodromicamente alla collaborazione in ambito sicurezza e difesa. La politica di allargamento ulteriore dell’Ue, per esempio, nei Balcani, presuppone ed ha per condizione necessaria l’avvenuta realizzazione della sovranità europea. Stiamo combattendo in questa presidenza italiana del G7, come a Sparta: “Con lo scudo o sullo scudo!” Questo Stato sovrano: l’Europa, rafforzerà la Nato quale soggetto euroatlantico, con due gambe e faciliterà una politica per l’area mediterranea, allargata, ispirata alla solidarietà attiva che distingue il Piano Mattei. ndr

Tra le risorse competitive dell’Unione su cui investire, il Presidente Meloni ha indicato il settore agricolo auspicando allo stesso tempo una rapida attuazione della revisione della Politica Agricola Comune e delle misure volte ad alleviare la pressione finanziaria sugli agricoltori concordate al Consiglio Europeo di marzo. Sono state inoltre discusse le ulteriori iniziative che l’Unione Europea potrà intraprendere a sostegno della stabilità del Libano, tema che il Consiglio Europeo della prossima settima affronterà su richiesta italiana.

Le nuove sfide

Tra le nuove sfide senza dubbio c’è la competitività, definita da Michel un capitolo importante della nostra agenda, ovvero il capital market unit, più investimenti in Ue: “Dobbiamo affrontare il cambiamento climatico e la rivoluzione digitale per sviluppare opportunità economiche. Ovviamente abbiamo parlato di temi internazionali che saranno in agenda, come la migrazione”. Ieri infatti il Parlamento europeo ha approvato il patto sui migranti (“Un passo avanti per essere in controllo della situazione”) e l’obiettivo per Michel è rafforzare i partenariati con i paesi terzi, “anche attraverso opportunità di migrazione legale”.

Sul punto va segnalata la visita che Giorgia Meloni effettuerà in Tunisia in chiave fronte sud la prossima settimana assieme alla ministra dell’Università e della ricerca Anna Maria Bernini e al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, per una missione legata al Piano Mattei. Verrà siglato un memorandum d’intesa per rafforzare la cooperazione accademica e scientifica tra i due Paesi, favorire lo scambio di know how tra le istituzioni e gli enti di ricerca, promuovere l’insegnamento di lingue e culture di entrambi i Paesi. La premier è attesa a Cartagine mercoledì 17 aprile.

6214.- 10 anni di NATO in Ucraina. Il declino della politica e della potenza USA nel mondo e l’inutilità dell’Ue in politica estera per noi.

Non è lui il capo!

L’Orso russo è meglio averlo per amico e le strategie per dominarlo avrebbero dovuto evitare il confronto militare. Stando alla situazione presente, chi detta gli indirizzi al polo angloamericano dovrà contentarsi di controllare i Paesi europei, ma avrebbe dovuto e farebbe sempre bene a evitare che la Federazione Russa sia schierata a fianco della Cina. Vieppiù oggi che gli Stati Uniti sembrano concentrarsi sul confronto con la Cina, anche se il viaggio di Blinken a Pechino, le minacce verso la collaborazione con la Federazione Russa e il loro fiasco confessano le preoccupazioni del Pentagono di fronte a un asse Mosca – Pechino. Non è tutto qui il futuro della geopolitica che apprezziamo.

Stiamo assistendo all’ingresso della Wagner nella, ancora per poco, base americana 201 di Niamey, nel Niger, con i russi, addirittura, nel palazzo a fianco del comando USA e ci vediamo, noi bravi italiani, con il nostro sacrosanto, ambizioso Piano Mattei, unico Paese occidentale a tenere un presidio gradito agli africani nel Sahel. L’Italia è consapevole di non essere una grande potenza e si deve domandare quanto una Unione europea sgradita agli africani, senza un’anima e senza una sovranità, potrà sostenere la politica di cooperazione e di solidarietà attiva di questo governo, confrontandosi e in competizione con i russi.

L’aver rotto i rapporti degli Stati europei con la Federazione Russa sarà sembrata una necessità per la Casa Bianca e avrà soddisfatto gli interessi di chi controlla il popolo americano, ma non i nostri e siamo del parere che Washington sta spendendo male le possibilità dell’Occidente. 

Dal punto di vista della politica, la realizzazione da parte della Casa Bianca, in segreto, di questa disgraziata guerra in Ucraina, con quasi un milione di morti, creata, dalla Victoria Jane Nuland insieme alla NATO, scatenata, infine, da Putin, fino al sabotaggio dei gasdotti North Stream, promesso e attuato da … e, infine la cessione degli USA a Kiev di 100 missili Atacms, americani, con una gittata di 300 km, una dichiarazione di guerra! – come tale, da sottoporre all’approvazione del Parlamento europeo -, ha confermato che ogni alleanza fra una grande potenza e un Paese di secondaria importanza, come sono, appunto, i nostri europei, si traduce in un dominio da parte della potenza. Ragione non ultima sia della necessità di giungere a uno Stato sovrano europeo, con una sua politica estera e un suo esercito sia del pericolo rappresentato dalla proposta di Giulio Tremonti, membro rappresentativo dell’Aspen, di allargare ulteriormente, a tutti i Paesi balcanici (quindi, anche la Turchia) l’Unione.

Dal punto di vista della finanza e dell’economia, aver privato i Paesi europei della risorsa energetica russa, a buon mercato e avergli venduto quella americana a un prezzo quattro volte maggiore, ha certamente risollevato le finanze USA, ma ha indebolito l’Unione e l’Occidente nel suo complesso. É noto che le sanzioni elevate alla Federazione Russa hanno nuociuto e nuocciono ai Paesi europei più che a Mosca, mentre lo sforzo bellico della Nato a favore dell’Ucraina si tradurrà o si sta già traducendo in un fallimento. Ben potrebbe essere vera la contrarietà della grande regina Elisabetta II alla guerra, e ci fermiamo qui.

Dal punto di vista strategico, siamo impegnati militarmente, di fatto, in:

Un conflitto europeo e in Mar Nero, un’altro in Medio Oriente, tra Mediterraneo Orientale e Mar Rosso e, dal Sahel al Corno d’Africa, Osservando l’evolversi del confronto fra Occidente, da una parte e Russia e Cina, dall’altra, preoccupa una strategia che prevede l’interconnessione fra l’Indo-Pacifico e il Mediterraneo Allargato. ma non sembra fare i conti con la vulnerabilità del Canale di Suez. In questo azzardato contesto, l’Us Navy ha appena ritirato dal Mediterraneo il Gruppo d’Attacco della super portaerei nucleare USS Gerald R. Ford (CVN-78), che imbarca il potente Carrier Air Wing 8 con 100 aeroplani combat ready, lasciando il testimone alle portaerei europee nel ruolo di bersagli: La bellissima mezza portaerei italiana ITS Cavour (CVH550) che, a marzo disponeva di appena 3 piloti qualificati Limited Combat Ready per l’F-35B STOVL, e, forse, oggi ne schiera 5, e alla anziana portaerei nucleare francese Charles de Gaulle (R91: due manciate di caccia di 4a generazione Rafale-M, circa 30) i cui sistemi di combattimento, in particolare contro missili antinave e droni, dovranno attendere il 2027 per essere adeguati alle odierne minacce.

La conclusione di questo rapido excursus è che ci avviciniamo alle elezioni europee, ma speriamo – chissà perché – in Donald Trump.

Mario Donnini

Il Regno Unito afferma che è pericoloso inviare truppe Nato in Ucraina

Sembra che lo sforzo di Londra di solleticare le aspirazioni espansionistiche dei polacchi e spingerli in guerra si sia esaurito davanti all’avanzata dei russi in Donbass. Vedremo cosa accadrà il 19 maggio, 60º anniversario del Giorno della Vittoria sul nazismo.

difesacivicaitalia

MAGGIO 4, 2024  

Gli stivali da combattimento occidentali sul terreno porterebbero a un’ulteriore escalation, ha affermato il ministro degli Esteri Davis Cameron.

Inviare soldati della NATO a combattere l’esercito russo in Ucraina sarebbe troppo pericoloso, ha detto venerdì il ministro degli Esteri britannico David Cameron. Ha espresso i suoi commenti mentre i leader europei hanno riacceso il dibattito sull’opportunità che l’alleanza guidata dagli Stati Uniti debba prendere in considerazione un coinvolgimento più diretto nel conflitto. 

Venerdì, parlando a Sky News, Cameron ha affermato che il Regno Unito deve continuare a fornire armi a Kiev e concentrarsi sulla ricostituzione delle proprie scorte. “come priorità nazionale”.

“Ma non vorrei avere soldati della NATO nel paese perché penso che potrebbe essere una pericolosa escalation”, ha aggiunto il primo ministro. “Abbiamo addestrato – credo – quasi 60.000 soldati ucraini”.

La dichiarazione del ministro degli Esteri è arrivata dopo che il presidente francese Emmanauel Macron ha rifiutato ancora una volta di escludere un potenziale dispiegamento di soldati della NATO in Ucraina. “Non dobbiamo escludere nulla perché il nostro obiettivo è che la Russia non possa mai vincere in Ucraina”, ha detto all’Economist in un’intervista pubblicata questa settimana. Macron ha sostenuto che potrebbe sorgere la questione delle forze NATO sul terreno “Se i russi riuscissero a sfondare la prima linea” e se Kiev chiedesse aiuto. 

Altri funzionari europei di alto rango hanno ventilato l’idea dello spiegamento di truppe, e alcuni suggeriscono che la NATO potrebbe inviare squadre di sminamento e altro personale non combattente. “La presenza delle forze NATO in Ucraina non è impensabile”, Lo ha detto ai giornalisti il ​​ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski a marzo.

Tuttavia, alcuni paesi della NATO, tra cui Ungheria e Slovacchia, si sono espressi fermamente contro un’ulteriore escalation. “Se un membro della NATO impegna truppe di terra, sarà uno scontro diretto NATO-Russia e sarà quindi la terza guerra mondiale”, ha detto giovedì il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto all’emittente francese LCI.

Mosca ha più volte avvertito che sarebbe costretta ad attaccare le truppe occidentali se prendessero parte al conflitto. Lo ha scritto venerdì su Telegram la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova “non resterà nulla” delle forze NATO se inviate in prima linea in Ucraina.

Kiev ha lanciato l’allarme sui ritardi negli aiuti militari occidentali negli ultimi mesi, accusando la carenza di munizioni per le perdite sul campo di battaglia. In un’intervista pubblicata giovedì su The Economist, Vadim Skibitsky, vice capo dell’agenzia di intelligence militare ucraina GUR, ha affermato che le difese dell’Ucraina potrebbero crollare anche con i pacchetti di aiuti aggiuntivi recentemente approvati da Stati Uniti e Regno Unito.

6212.- Il fronte ucraino è collassato a Ocheretyne

È la dimostrazione che all’Ucraina servono più uomini, non bastano soltanto le armi e non li ha. Malgrado la pressione degli americani, gli europei non sembrano propensi a rischiare la loro pelle.

Da nova project, di Gianluca Napolitano.

Questo fine settimana, i droni e gli esploratori russi che sorvegliavano la linea del fronte appena ad ovest delle rovine di Avdiivka, nell’oblast di Donetsk, nell’Ucraina orientale, hanno osservato qualcosa di strano. Le trincee ucraine appena ad est del villaggio di Ocheretyne, precedentemente presidiate dai soldati della 47a Brigata Meccanizzata d’élite dell’esercito ucraino, erano vuote.

Il villaggio era indifeso.

Cogliendo l’occasione, la 30a Brigata di fucilieri a motore dell’esercito russo ha dilagato per diverse miglia lungo la ferrovia che passava a ovest di Avdiivka e catturò gran parte di Ocheretyne e potenzialmente anche Novobakhmutivka, il villaggio a sud di Ocheretyne.

Si tratta della penetrazione più rapida nel territorio ucraino da parte delle forze russe da mesi e minaccia di far crollare la linea difensiva ucraina a ovest di Avdiivka. Una linea che ha resistito per mesi, ma che ora presenta un divario profondo e crescente. “Il vaso di Pandora è aperto”, ha commentato il gruppo di analisi ucraino Deep State .

Per avere un’idea di quanto siano spaventati i comandanti ucraini in questo momento, consideriamo la brigata con cui si sono precipitati nella breccia a nord e a ovest di Ocheretyne: la 100a Brigata Meccanizzata. La brigata è una delle più nuove e meno equipaggiate dell’esercito ucraino, e apparentemente inadatta al tipo di triage di prima linea che i comandanti le chiedono.

Secondo quanto riferito, il crollo di Ocheretyne non è colpa della 47a Brigata Meccanizzata. Quella brigata, che è il principale utilizzatore di corazzati americani, stava eseguendo l’ordine di ritirarsi da Ocheretyne per ridistribuirsi nelle retrovie per un periodo di riposo tanto necessario dopo aver trascorso quasi un anno in prima linea.

La 115a Brigata Meccanizzata avrebbe dovuto prendere il posto della 47a riempiendo senza soluzione di continuità le stesse posizioni di combattimento con truppe sufficienti per mantenere l’integrità della linea difensiva a ovest di Avdiivka.

Ma qualcosa è andato storto.

Semplicemente la 115a si è rifiutata di andare in prima linea.

Secondo il famoso comandante di compagnia Mykola Melnyk della 47a brigata meccanizzata, che ha perso una gamba durante la controffensiva ucraina lo scorso anno, “quando glielo abbiamo ordinato alcune unità ci hanno semplicemente mandato affanculo”.

L’incapacità della 115a di mantenere la linea praticamente ha invitato la 30a Brigata di Fucilieri a Motore russa ad entrare a Ocheretyne e causato il panico nel quartier generale ucraino.

I comandanti hanno ordinato alla 47a già in ritirata, esausti della battaglia, di voltarsi e tornare in prima linea e anche alla 100a di contrattaccare.

La 100a brigata meccanizzata è un’ex brigata territoriale – l’equivalente di un’unità della Guardia nazionale dell’esercito americano – che il ministero della Difesa di Kiev ha trasformato in esercito attivo alla fine di marzo.

La 100a meccanizzata non è inesperta: i suoi circa 2.000 soldati hanno partecipato all’azione molte volte in questi 26 mesi. Ma non dispone dell’equipaggiamento pesante – carri armati, veicoli da combattimento e artiglieria occidentale – che sono quello che danno alleunità d’élite come la 47a gran parte del loro potere di combattimento.

La 100a Brigata ha combattuto comunque duramente, intercettando la 30a Brigata di fucili a motore russa e altre unità della 41a Armata russa ad armi combinate mentre tentavano di avanzare verso il villaggio di Prohres, altre sette miglia a ovest lungo la stessa ferrovia che collega Avdiivka a Ocheretina. “Il tentativo di avanzare verso Prohres è stato fermato da un contrattacco riuscito da parte della 100a Brigata Meccanizzata”, ha riferito Deep State.

Non è chiaro cosa potrebbe accadere adesso a Ocheretyne e dintorni. Per ora, le truppe ucraine “mantengono posizioni nella parte occidentale del villaggio e mantengono sotto tiro la sua parte meridionale”, ha osservato il Centro ucraino per le strategie di difesa .

In altre parole, il villaggio è andato. SI puà mantenere sotto il fuoco dei carrai armati anche da 5 km di distanza (30 con l’artiglieria). E’ una frase di circostanza.

Il fatto che gli ucraini abbiano dovuto lanciarsi in battaglia con una brigata debole dimostra tuttavia la scarsità delle riserve ucraine a ovest di Avdiivka.

I russi, dal canto loro, tengono in riserva un’intera divisione corazzata, la 90a, attorno ad Avdiivka.

Cioè circa 10 mila uomini e 500 mezzi corazzati.

Se la 90a divisione corazzata russa arrivasse a Ocheretyne prima che il comando orientale ucraino mobiliti ulteriori rinforzi, la penetrazione russa potrebbe ampliarsi fino a diventare una svolta a tutti gli effetti, che potrebbe costringere decine di migliaia di truppe ucraine a ritirarsi a ovest verso la successiva linea di difesa.

6208.- Balcani in Ue, la ricetta di Tremonti per l’Europa di domani

Grande mossa di Giulio Tremonti, che surclassa sia Joe Biden sia Jens Stoltenberg: Da un lato, come isolare la Federazione Russa con una semplice mossa geopolitica; da un altro, come usare il potenziale geopolitico europeo senza dover fondare uno Stato sovrano, anzi, rafforzandone con l’ulteriore allargamento la debolezza in politica estera. Infine, una mano non da poco all’Erdoğan balcanico. Rispetto alle dichiarazioni sul disarmo europeo a pro di Kiev di Stoltenberg possiamo esprimere differenti pareri. Mario Donnini

Da Formiche.net, articolo di Francesco De Palo

L’ex ministro dell’Economia, dal palco della convention pescarese di Fratelli d’Italia, sostiene che per evitare nuovi sconvolgimenti globali all’Europa occorre un’accelerazione sulle politiche di allargamento con il coinvolgimento dell’intero costone balcanico

26/04/2024

Tutti i Paesi del costone balcanico entrino domattina in Europa: solo in questo modo l’Ue farebbe una mossa geopolitica di lungo periodo. Lo ha detto il presidente della Commissione Esteri della Camera, Giulio Tremonti, dal palco della conferenza programmatica di FdI in corso a Pescara. L’occasione è una riflessione sulla difesa europea dinanzi ai fronti bellici in atto, ma non solo, visto il coinvolgimento oggettivo tanto della cybersicurezza, quanto delle frizioni sul Mar Rosso accanto ai fronti caldi di Kyiv e Gaza. Ma proprio le prospettive di reazione europea rappresentano, da un lato, il vero elemento di novità di questa fase di guerre e, dall’altro, il possibile terreno comune dove iniziare a costruire politiche europee davvero unitarie.

Riunificazione balcanica

Perché un’accelerazione europea nei Balcani significa sanare potenziali nuovi fronti di tensione? Secondo Tremonti quando finirà la guerra in Ucraina non inizierà al contempo la pace. Ovvero i problemi dell’Europa non saranno risolti semplicemente con il cessate il fuoco, dal momento che i luoghi di contrasto restano quelli fuori dai sicuri confini dell’Ue. E cita un nome su tutti, i Balcani, che secondo Churchill sono luoghi in cui si fabbrica più storia di quanta ce ne sia. “Un’ipotesi plausibile secondo me è che dobbiamo accettare tutti i Balcani ora nell’Ue, salvo l’obbligo di adempiere a tutti i criteri. Sarebbe una rivoluzione”, spiega l’ex ministro dell’economia. Ovviamente un attimo dopo bisognerà modificare i criteri di voto, “ma sarebbe una mossa lungimirante, non puoi cancellare la democrazia, ma cambiare le maggioranze di governo sì”.

Un passaggio, quello della riunificazione balcanica, da sempre oggetto delle riflessioni europee di Giorgia Meloni soprattutto in merito alle politiche di allargamento, in un settore dove l’Italia può agire da pivot.

E aggiunge che al netto delle difficoltà di questa scelta, difficile e dura, non vi sono alternative dato il progressivo spiazzamento che l’Europa ha rispetto al resto del mondo, “dopo 20 anni di gestione fatta da tecnici non eletti”. Ragionare sulle politiche per l’Europa, secondo Tremonti, è l’unica strada da seguire per evitare di dover affrontare emergenze dopo emergenze sempre con l’acqua alla gola.

Spese per la difesa

Ma come provvedere alla messa in sicurezza di politiche ad hoc se non con maggiori investimenti nella difesa? Lo sottolinea con veemenza il sottosegretario alla Difesa Isabella Rauti, intervenendo al dibattito “Forte, libera e sovrana” quando dice che occorre investire il 2% del Pil in difesa, “un impegno assunto da tutti i Paesi Nato”, dinanzi alla media attuale europea dell’1,5%: “Il ministro Crosetto ha insistito in Europa perché questo impegno venisse svincolato dal Patto di stabilità, si è persa un’occasione non da noi ma da Bruxelles. All’indomani del voto delle prossime elezioni europee mi auguro si delinei una maggioranza diversa che potrà assumere una nuova visione in questa direzione”.

Di cambio di passo ha parlato il presidente di Leonardo Stefano Pontecorvo con riferimento agli investimenti in difesa, panorama che nemmeno la guerra in Ucraina ha cambiato. E cita dei numeri significativi: nel 2023 l’Europa ha investito come acquisizioni di sistema 110 mld di euro, gli americani 250. I nostri 110 miliardi sono stati distribuiti su 30 diverse piattaforme, quelli americani su 12. Il risultato finale è che su ogni piattaforma gli americani investono 20 mld di ricerca, noi 4 mld. Quale sarà il prodotto migliore? Per cui la prospettiva è quella di lavorare tramite aggregazioni europee rispetto ai grandi giganti mondiali russi, cinesi e americani. “Si tratta di un problema di visione”.

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6198.- Intervento militare e cornice costituzionale

Portiamo tuttora i segni di una monarchia infelice.

Nei limiti in cui si svolge la partecipazione dell’Italia alla politica estera dell’Occidente e nella variabilità delle situazioni che vedono le Forze Armate italiane partecipare, a loro volta, alle operazioni della Nato e dell’Ue in ambito internazionale, si apprezzano il valore della nostra sovranità, quello del principio di giustizia universale e di pace della Carta Costituzionale e quello residuale di tutte, proprio di tutte, le Istituzioni. Dal ripudio della guerra seguito alla sconfitta, ai lutti, come dalle amputazioni di popoli italianissimi conseguenti sia ad una cobelligeranza sia ad un trattato di pace entrambi senza condizioni, sorse l’impegno di condizionare le nostre future azioni ad obblighi che potessero essere assunti in ambito internazionale, ma insieme ad altri Stati. Con questo “insieme”, con questa modesta condizione dimentica degli altrui interessi, accompagnata – tuttora – da un’occupazione militare alleata, comunque straniera, l’Italia della Costituente, ancora in macerie, stretta fra due blocchi, divisa fra una politica d’ispirazione cattolica ed una comunista da disarmare, ritenne di poter contribuire con i suoi principi di giustizia universale e di pace a garantire una situazione di pace tra i popoli.

Di Redazione Blog di Sabino Paciolla. 8 Aprile 2024

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Mauro Ronco e pubblicato su Centro Studi Livatino. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. 

Guerra Ucraina_macerie_carroarmato (foto: afp)
Immagine di repertorio (foto: afp)

Riflessioni a margine del conflitto russo-ucraino, sui rapporti fra NATO, Unione Europea e istituzioni nazionali.

1. Si susseguono con sempre maggiore frequenza dichiarazioni di esponenti politici di vertice di alcuni paesi europei (in particolare, della Francia e della Polonia) circa l’eventualità, se non l’opportunità, di un intervento diretto delle forze militari della NATO, oppure, non si comprende bene, delle forze militari dell’Unione Europea in collaborazione militare con la NATO, nel conflitto attualmente in corso tra l’Ucraina e la Federazione russa. Nello stesso contesto, i media lanciano notizie in ordine a un sempre più massiccio dispiegamento di truppe terrestri, aeree e forze speciali sul fronte Est dell’Alleanza atlantica[1].

Da parte italiana, mentre il Ministro degli Esteri ha più volte pronunciato parole drastiche sul rifiuto dell’Italia di partecipare, direttamente o indirettamente (eventualmente tramite la NATO e l’Unione europea) al conflitto, il Capo di Stato Maggiore della Difesa Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, spostando il focus della questione, ha lamentato un sottodimensionamento  delle forze militari italiane, poiché i soldati sono insufficienti, le armi in gran parte obsolete, l’addestramento carente, tanto che egli sollecita un riarmo imponente con le seguenti parole: “Il confronto con la Russia secondo la Nato durerà un decennio, anche se la guerra in Ucraina finirà prima”[2]. Evocando un possibile futuro disimpegno americano, egli ha inoltre soggiunto: “proviamo a trasformare una crisi in opportunità”[3],  lasciando le sue parole nella indeterminatezza più assoluta.

2. A fronte di dichiarazioni inequivocabili del Ministro degli Esteri, molti commentatori – cui sembra conferire forza l’allarme del Capo di Stato Maggiore – avanzano giustificazioni circa il rifiuto dell’Italia di entrare nel conflitto che riecheggiano le sciagurate ‘scuse’ che Benito Mussolini presentava al Führer del Reich tedesco per evitare l’entrata in guerra dell’Italia, quando sosteneva che le forze armate nazionali non erano pronte in termini di mezzi e di risorse economiche e logistiche. Poiché giustificazioni di tipo siffatto mi sembrano inappropriate – è noto che le ‘scuse’ di Mussolini non bastarono: Hitler fornì mezzi e risorse e l’Italia entrò rovinosamente in guerra – ritengo necessario in questa condizione, assai fluida ed estremamente pericolosa, ricondurre la tematica dell’uso delle forze militari italiane al rigoroso metro del diritto costituzionale, che raramente ho visto evocare nell’imponente propaganda che i media, interessati a tutti i costi nella escalation del conflitto, continuano a propalare in modo confuso e sovrabbondante.

3. L’ancoraggio al diritto è essenziale. Il Centro Studi Rosario Livatino, per la sua natura istituzionale, non intende entrare nel dibattito storico-politico sulle cause, sulle modalità e sui possibili sviluppi del conflitto Russia c/ Ucraina e c/ Occidente a trazione politica e militare statunitense, britannica e francese.

Avverto comunque il dovere di stendere questa nota di carattere giuridico per richiamare il principio inderogabile che l’Italia rifiuta la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

4. Secondo una certa tesi, più tollerata nei fatti che formulata scientificamente, il sistema nord-atlantico di difesa apparterrebbe a quel sistema di organi e di fonti esterne cui lo Stato italiano, tramite l’art. 11 Cost., conferirebbe una corsia preferenziale diretta a creare “un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” (art. 11 ultima parte).

Così non è. Va rilevata anzitutto l’involuzione dell’Alleanza nord-atlantica a partire dalla fine della guerra fredda e la sua lenta trasformazione da strumento difensivo in un contesto storico ben determinato ad attore che si arroga compiti, al di fuori di qualsiasi mandato delle Nazioni Unite, di usare la forza armata contro altri paesi.

Questa trasformazione mai è stata oggetto di pattuizioni aggiuntive ai Trattati originari e mai è stata discussa approfonditamente dal Parlamento nazionale.

Alla luce di queste considerazioni, è certamente scorretta proprio la tesi prima accennata, che, cioè, sia consentita all’Italia una cooperazione così intensa con la Nato e con Stati stranieri, tale da implicare limitazioni all’esercizio della nostra sovranità.

Si dice che la sovranità dello Stato sia in crisi. E’ vero, piuttosto – come ha scritto l’insigne studiosa internazionalista Laura Picchio Forlati – che la sovranità non è più “dicibile”[4]. Tuttavia, la sovranità pesa ancora, soprattutto in relazione alle sue eventuali limitazioni nel settore delle azioni militari.

5. La sovranità italiana è limitata nel settore delle azioni militari dagli obblighi che discendono dalla partecipazione alle Nazioni Unite e all’Unione europea, nei limiti previsti, per quest’ultima, dagli artt. 42-46 TUE e 222 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune dell’UE.

Come noto, infatti, le misure di sicurezza possono essere autorizzate dalle Nazioni Unite anche a livello regionale, secondo l’ipotesi regolata dall’art. 53 della Carta delle Nazioni Unite.

L’art. 11 della Costituzione ammette esclusivamente le limitazioni di sovranità necessarie “ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Quindi, anche le iniziative dell’Unione europea ai sensi degli artt. 42-46 TUE e 222 TFUE nell’ambito della politica di difesa e di sicurezza dell’UE non possono sfuggire a un controllo da parte del Parlamento circa la loro puntuale corrispondenza ai fini di realizzare la pace e la giustizia tra le Nazioni.

Le limitazioni di sovranità a favore dell’UE, nell’ambito dei fini sopra visti, sono giustificate dal cosiddetto primato del diritto dell’Unione ai sensi dell’art. 117 Cost., secondo l’interpretazione, tuttavia, che ne ha dato la Corte costituzionale, che esse sarebbero prive di valore ove trattati o istituti dell’Unione o singole misure di essa, che prevedessero, per esempio, l’uso della forza contro altri Stati, violassero i diritti e le libertà della persona o fuoriuscissero dal perimetro rigorosamente regolamentato dell’art. 11 della Costituzione[5].

6. Discorso del tutto diverso riguarda il rapporto tra il Trattato Nato e la Costituzione italiana. Va detto con chiarezza che dal Trattato non scaturisce alcuna limitazione di sovranità nei confronti di alcuno Stato e, dunque, neppure dell’Italia. Pertanto “[…] nessun organo internazionale ivi previsto può decidere obbligatoriamente per l’Italia l’intervento delle truppe o il ricorso al dispositivo militare di questa; tanto meno, può legittimare con le sue delibere tale intervento dal punto di vista costituzionale. Sono gli organi dello Stato a dovere, se del caso, provvedere assumendosi le proprie responsabilità”[6].

A eventuali limitazioni di sovranità, che si volessero far derivare da impegni internazionali eventualmente collegati al Trattato Nato va opposta la prescrizione proibitiva dell’art. 11.

7. Se, come visto, il Trattato nordatlantico non prevede limitazioni di sovranità per gli Stati membri, tanto meno si potrebbero ipotizzare limitazioni di sovranità che, non previste dal Trattato, si volessero ipotizzare tramite le misure, internazionali e interne, di attuazione[7].

La verifica circa l’esistenza attuale di tali limitazioni di sovranità non è semplice a causa della segretezza delle intese bilaterali con i Quartieri interalleati e, soprattutto, con il governo degli Stati Uniti.

In ogni caso, eventuali accordi che consentissero limitazioni di sovranità ad organizzazioni internazionali, anche allo scopo circoscritto di favorire “un ordinamento che assicuri la pace, la giustizia tra le nazioni”, sarebbero proibiti dal nostro sistema costituzionale, per essere completamente estranei alle uniche fonti – la Carta delle Nazioni Unite e i Trattati dell’Unione europea – che consentono all’Italia interventi diretti ad assicurare la giustizia tra le nazioni.  

8. Qualsiasi decisione, di conseguenza, diretta ad autorizzare una partecipazione militare italiana all’esercizio di misure di carattere militare rientra nella sfera della piena sovranità italiana, con le sole limitazioni previste a favore delle Nazioni Unite e, a certe ancora più rigorose condizioni, all’Unione europea per gli scopi definiti con precisione dall’art. 11.

Pertanto, eventuali autorizzazioni di tipo interventistico-militare debbono necessariamente passare attraverso il vaglio del Parlamento, la sua approvazione con legge formale, promulgata dal Capo dello Stato e sottoposta al vaglio della Corte costituzionale.

Mauro Ronco


[1] Cfr. La Stampa, 28 marzo 2024, 3, che riferisce di un dispositivo militare al cui centro starebbe un gruppo tattico multinazionale guidato da Londra e da forze militari che “si addestrano e si spostano a ridosso della zona calda”.

[2] Cfr. La Stampa, 27 marzo 2024, 2.

[3] Ibidem.

[4] L. Picchio Forlati, La politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea tra Carta delle Nazioni Unite e impegni NATO, in Aa.Vv., Diritto e Forze Armate. Nuovi impegni S. Riondato, (a cura di), Padova, 2001, 150.

[5] Cfr. Corte Costituzionale, sentenza 10 aprile 2018, n. 115 che statuisce: “L’autorità competente a svolgere il controllo sollecitato dalla Corte di giustizia è la Corte costituzionale, cui spetta in via esclusiva il compito di accertare se il diritto dell’Unione è in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale e in particolare con i diritti inalienabili della persona”.

[6] L. Picchio Forlati, cit., 150.

[7] Così L. Picchio Forlati, Rapporti Nato-Nazioni Unite e Costituzione italiana: profili giuridici, in L’alleanza occidentaleNascita e sviluppi di un sistema di sicurezza collettivo, O. Barié (a cura di), Bologna, 1988, 522.

6194.- Le crescenti spaccature nell’unità della NATO

Questi dissensi si notano per quanto concerne i governi, ma molto di più nell’opinione dei cittadini, che gradirebbero una politica estera meno bellicista senz’altro.

Dal blog di Sabino Paciolla, d i admin|Aprile 6th, 2024

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Ted Snider e pubblicato su AntiWar. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. 

Macron-Biden-Sholtz
Macron-Biden-Sholtz

Nonostante i danni subiti in Ucraina e l’apparente incapacità della NATO di sostenere con sufficiente forza la difesa dell’Ucraina contro la Russia, una voce nella colonna della vittoria occidentale è l’affermazione che la NATO è più unita dopo i danni causati da Donald Trump. Anche a prescindere dal fatto che la NATO si stia preparando alle possibili conseguenze di un secondo mandato di Trump, questa vittoria potrebbe non essere così inequivocabile.

Vladimir Putin “pensava che la NATO si sarebbe frammentata e divisa. Invece, la NATO è più unita e più solidale che mai – come mai prima d’ora”, ha detto il presidente Joe Biden il 21 febbraio 2023 e di nuovo in Europa il 13 luglio. “Direi che la NATO è più forte di quanto sia mai stata”, ha detto. “La guerra del Presidente Putin continua ad essere un fallimento strategico”, ha dichiarato il Segretario di Stato Antony Blinken l’8 febbraio 2023. “In realtà, l’alleanza – la NATO – è più forte e più unita che mai”.

Ma sono apparse delle spaccature. Le piccole potenze della NATO sono arrabbiate con quelle più grandi, così come le medie potenze, e le grandi potenze della NATO sono arrabbiate tra loro.

I Paesi più piccoli e più recenti della NATO hanno recentemente sollevato la questione divisiva “se nella NATO ci siano Paesi di primo e di secondo rango”. “Siamo uguali o non siamo uguali?”, ha chiesto il primo ministro estone Kaja Kallas.

I membri dell’Europa orientale della NATO si sentono ignorati in due modi. Il primo è la loro mancanza di rappresentanza ai vertici della NATO. Il secondo è il disconoscimento della loro posizione più aggressiva nei confronti della Russia e il rifiuto delle linee rosse della Russia e della NATO.

Gli alti funzionari delle piccole nazioni baltiche di Lituania, Lettonia ed Estonia, che un tempo facevano tutte parte dell’Unione Sovietica, sostengono che le grandi potenze della NATO in Europa occidentale li mettono in disparte a causa della loro posizione più aggressiva a sostegno dell’Ucraina contro la Russia. Si lamentano che le grandi potenze occidentali “fanno politica sulla Russia senza consultare persone che ne sanno molto più di loro”.

I membri dell’Europa orientale della NATO si sono sempre visti trascinare una NATO riluttante e centrata sull’Occidente nella battaglia contro la Russia in difesa dell’Ucraina. L’Est, guidato da Polonia e Repubblica Ceca, ha spinto in modo molto più aggressivo per armare al massimo l’Ucraina e per respingere il rischio di un’escalation della guerra. La Polonia ha guidato la campagna per l’invio di carri armati e jet da combattimento in Ucraina. La Repubblica Ceca ha recentemente annunciato di essere in procinto di acquistare 300.000 proiettili di artiglieria da Paesi extraeuropei per compensare le carenze dell’Unione Europea e ha dichiarato che l’UE potrebbe ottenerne mezzo milione in più. In termini di percentuale del PIL, l’Estonia è il principale donatore dell’Ucraina, con la Lituania al terzo posto, la Lettonia al quinto e la Polonia all’ottavo. Si tratta di una percentuale superiore a quella di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania.

La Lituania ha chiesto un cambio di regime a Mosca. Il ministro degli Esteri Gabrielius Landsbergis ha dichiarato: “Dal nostro punto di vista, fino a quando l’attuale regime non sarà più al potere, i Paesi che lo circondano saranno, in qualche misura, in pericolo”.

Come i Paesi baltici, anche le medie potenze, come la Polonia e la Repubblica Ceca, sono arrabbiate con le grandi potenze occidentali. “L’Ucraina deve essere in grado di difendersi perché difende l’intera Europa”, ha insistito il ministro degli Esteri ceco. “Non è l’Ucraina a perdere, è l’intera civiltà occidentale, i principi che sono ora in gioco e che sono messi in discussione dall’imperialismo russo”. Il ministro degli Esteri polacco ha lamentato che “il successo dell’Ucraina è ora una questione di credibilità degli Stati Uniti”.

L’Ungheria non è stata solidale con la NATO. A differenza di molte altre nazioni dell’Europa orientale, l’Ungheria è stata meno aggressiva delle potenze occidentali della NATO, non di più. L’Ungheria si è rifiutata di inviare armi all’Ucraina, ha preferito i colloqui di pace a una soluzione militare e ha criticato le sanzioni alla Russia.

Anche il presidente croato Zoran Milanovic si è opposto alle sanzioni contro la Russia e ha accusato “Washington e la NATO” di “condurre una guerra per procura contro la Russia con l’aiuto dell’Ucraina”. Anche la Serbia è stata relativamente meno falco.

La Turchia non è stata lontana dall’essere al passo con la NATO. Ha cercato di mediare una soluzione negoziata alla guerra e ha rifiutato il regime di sanzioni contro la Russia, aumentando drasticamente gli scambi commerciali.

La Slovacchia ha smesso di inviare munizioni all’Ucraina e ha auspicato colloqui di pace per porre fine alla guerra. Le spaccature all’interno della NATO sono state visibili nelle relazioni tra Slovacchia e Repubblica Ceca. Il 6 marzo, il primo ministro ceco Petr Fiala ha annunciato che le consultazioni intergovernative ceco-slovacche erano sospese a causa di “differenze significative”. Tali differenze, secondo il primo ministro slovacco Robert Fico, riguardano l’Ucraina. “Il governo ceco ha deciso di mettere a repentaglio le relazioni solo perché è interessato a sostenere la guerra in Ucraina, mentre il governo slovacco sostiene apertamente la pace”.

Le divisioni non sono state solo tra i membri orientali della NATO e quelli occidentali, né solo tra le piccole e le grandi potenze. L’unità della NATO è stata messa a dura prova dal blocco delle potenze occidentali.

Quando il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che il dispiegamento di truppe occidentali in Ucraina è un’”opzione che non dovrebbe essere scartata”, Estonia, Lituania e Lettonia lo hanno appoggiato, ma la Germania ha insistito “sul fatto che non ci saranno truppe di terra, né soldati sul suolo ucraino inviati dagli Stati europei o dagli Stati della NATO”. Rivelando l’ampiezza della spaccatura, Macron ha risposto che è giunto il momento di un’”Europa in cui sarà opportuno non essere codardi”. Il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, ha affermato che “parlare di stivali sul terreno o di avere più coraggio o meno coraggio… non aiuta davvero a risolvere i problemi che abbiamo quando si tratta di aiutare l’Ucraina”. Un alto funzionario statunitense afferma che i commenti di Macron hanno irritato anche Washington.

Quando il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha rivelato la presenza di truppe francesi e britanniche sul terreno in Ucraina, Francia e Regno Unito si sono infuriate e hanno reso pubblico lo scontro. L’ex ministro della Difesa britannico Ben Wallace ha dichiarato che “il comportamento di Scholz ha dimostrato che per quanto riguarda la sicurezza dell’Europa è l’uomo sbagliato, nel lavoro sbagliato al momento sbagliato”. Alicia Kearns, presidente della commissione affari esteri del Parlamento britannico, ha definito il commento di Scholz “irresponsabile e uno schiaffo agli alleati”.

Secondo un diplomatico di Berlino, “Macron e Scholz non si parlano nemmeno”. Il New York Times riporta che “i funzionari francesi e tedeschi riconoscono privatamente che c’è un serio scontro tra i due leader”. Si sono incontrati a Berlino il 15 marzo “per appianare le loro divergenze”, ma l’incontro “ha offerto poco in termini di sostanza sulle questioni su cui Berlino e Parigi sono in disaccordo”.

Anche se per certi versi l’invasione russa dell’Ucraina può aver rafforzato l’unità della NATO, non è chiaro se la NATO sia più unita che mai. Esistono profonde differenze nei gradi di aggressività e nella disponibilità a superare le linee rosse. Negli Stati baltici c’è risentimento per i Paesi di primo e secondo rango nella NATO. Le piccole e medie potenze sono arrabbiate con le grandi potenze e in Germania, Francia e Regno Unito le grandi potenze sono apertamente arrabbiate tra loro.

Ted Snider

6188.- La pista dell’attentato al Teatro Corcus punta decisamente in Ucraina. Troppo.

Un commento

Sul perché gli investigatori non hanno voluto identificare i mandanti con il governo ucraino si possono fare tante ipotesi. La prima è che farebbe scattare il rullo compressore dell’Armata russa, che dobbiamo ancora vedere. Travolgerebbe l’Ucraina e, inevitabilmente, entrerebbe in contatto con la Nato, che, forse, era un obiettivo, sbaragliandola, fino almeno a invadere la Francia. Vedremmo l’impiego delle armi nucleari, prima tattiche e poi… . Putin è tutt’altro che sciocco e non cadrà nel tranello, ma neanche si lascia volare la mosca al naso e ha denunciato chiaro e subito che la matrice è ucraina. Ma ucraina di chi? Vedrei – non so perché – Londra e Washington e la corsa finale del burattino Zelensky per la vendetta santa e inevitabile e per la condizione di un’apertura seria di trattative di pace, necessaria per affrontare ben altri teatri. Tralascio le aspettative di un crollo di consensi intorno a Vladimir Putin. Qui, in Ucraina, l’Europa ha perso, andrei cauto sulla vittoria di Putin, ma la Casa Bianca non ha vinto.

Sposo tutte le considerazioni di Gianluca Napolitano sugli attentatori.

Muhammad, sarebbe la mente o, comunque, uno dei possibili leader della stragedell’attentato a Mosc

Chi c'è dietro Muhammad, la mente dell'attentato a Mosca: gli scritti, i disegni e le incitazioni che lo legano all'Islam

Vi sembra uno capace di battere tutti i livelli di intelligence della Federazione Russa? 

Strage a Mosca, uno dei presunti terroristi seduto in tribunale col volto tumefatto: "Non parla russo"

E questo, con quella faccia innocente? Sarebbero questi i sicari, giunti a Mosca con la cicogna dall’Ucraina, pardon, dal Tagikistan, che, senza destare sospetti, si sono mossi, come fossero nel giardino di casa loro, nel Crocus City Hall, vi hanno depositato armi, bombe, tute e munizioni; che hanno stabilito contatti per la fuga tutti insieme da Mosca in Ucraina, senza saper parlare una parola di russo.

Da nova-project un Post di Gianluca Napolitano. L’articolo.

Più passano le ore più risultano evidenti le tracce che portano univocamente ad esecutori tagiki, ma ingaggiati e pagati da qualcuno in Ucraina.

Qualcuno che però gli investigatori non hanno voluto identificare con il governo ucraino ma con elementi non meglio identificati.

Ci sono intercettazioni telefoniche e il tracciato del percorso dei pagamenti a quelli che dovevano essere dei martiri islamici, ma che in realtà erano killer prezzolati ben intenzionati a salvare la pelle (anche se con le idee poco chiare su come riuscirci).

Sono troppe le cose che non tornano.

Il fatto che gli attentatori si dirigessero verso l’Ucraina – chiaramente verso un punto di estrazione del commando – è il primo indizio che c’è qualcosa che non quadra.

È chiaro che agivano secondo istruzioni precise che qualcuno gli ha dato.

Così come altrettanto chiaro che erano istruzioni destinate a mandarli al massacro, perché se vuoi salvare la pelle dopo una strage del genere, l’ultima cosa che puoi farti venire in mente è di rimanere tutti insieme e tutti insieme – senza neppure cambiarsi d’abito – intrupparsi su una singola vettura (comprata, neppure noleggiata) e dirigersi dritti dritti a massima velocita su una autostrada che porta verso uka frontiera fra due paesi in guerra.

Sono stati indirizzati lì appositamente. E sicuramente qualcuno ha anche avvisato le autorità russe di quale fosse la vettura.

Questo può trovare una giustificazione nel desiderio da parte dei committenti dell’attentato di eliminare gli esecutori in modo che non lasciassero tracce, ma il fatto stesso che si dirigessero verso la frontiera Ucraina è già una traccia di per sé.

Nessuno può essere così ingenuo da non rendersi conto di questa cosa banale.

Quindi i mandanti dell’attentato volevano che la prima traccia portasse verso l’Ucraina. Una volta messi gli investigatori in quella direzione, hanno trovato rapidamente tutta una serie di molliche di pane lasciate dal misterioso Pollicino e che portano tutte sempre più all’interno dell’Ucraina e delle sue ramificazioni sotterranee.

Troppe molliche lasciate sul percorso per non essere un percorso guidato e voluto.

A questo punto dobbiamo fare due considerazioni semplici semplici.

Chi è che viene favorito da questo attentato di risonanza mondiale?

  • Gli americani sicuramente no perché hanno fatto una pessima figura partendo troppo d’anticipo con la attribuzione delle responsabilità. 

6178.- L’UE indossa l’elmetto da guerra e ci conduce nell’abisso

Nessuno sano di mente può credere che la Russia stia per attaccare un paese della Nato. È la Nato che, per sopravvivere, ha bisogno di un nemico. La difesa Necesse Est ma la miglior difesa degli europei è la costituzione di uno Stato europeo sovrano, alleato degli Stati Uniti, cooperativo con i russi e con l’Africa, con una “sua” politica estera e, soltanto allora, con un esercito … svizzero. A maggio, cosa andremo a votare?

L’Ambasciatore russo Sergej Razov ospite della trasmissione Porta a Porta
Roma, 06 ottobre 2022 ANSA/FABIO CIMAGLIA

I venti di guerra scuotono l’Europa con forza crescente.

In vendita. Armiamoci e Partite

Da Occhi per la pace, di Maestro  Angeles ( traduzione google )

Dopo la più che prevedibile sconfitta della NATO in Ucraina per mano della Russia, le dichiarazioni vengono riproposte sia dal segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltemberg, sia da ciascuno dei governi vassalli dell’UE. Come pappagalli, ribadiscono che la sconfitta della Russia è essenziale per la sicurezza e la stabilità dell’Europa, che la guerra con la Russia è inevitabile e che è necessario prepararsi a breve termine. La propaganda di guerra più volgare ripete con insistenza sui principali media, di proprietà delle grandi multinazionali, che la Russia, guidata dal malvagio Putin, invaderà l’Europa.

La realtà è che l’imperialismo sionista anglosassone (una struttura di potere politico, economico, militare, mediatico e culturale che rappresenta gli interessi dell’oligarchia composta da grandi fondi di investimento, banche e multinazionali) con la complicità dei governi dell’UE, si prepara ad intraprendere, sul suolo europeo, il suo obiettivo strategico da più di un secolo: smembrare e dominare la Russia, per poi impadronirsi della Cina. È arrivato il tempo, ed è giunto il momento, in cui la crisi capitalista colpisce in modo particolarmente duro gli Stati Uniti e l’Unione europea, che vedono i loro interessi, basati sulla politica delle cannoniere, confrontarsi con altri tipi di alleanze dirette proprio da un paese con enormi risorse. e la tecnologia delle armi avanzate, come la Russia, e un altro che combina risorse e un potente sviluppo industriale e commerciale, la Cina.

La preparazione dell’attacco che la NATO progetta contro la Russia, vero filo conduttore della creazione dell’Alleanza 75 anni fa, si è sviluppata da parte degli Stati Uniti dopo la scomparsa dell’URSS, attorno a tre processi:

— l’incorporazione dei paesi nell’orbita dell’URSS nell’Alleanza, avviata con decisione del presidente Clinton, in violazione degli accordi ufficiali con la Russia (1)

— il colpo di stato di Maidan, la violazione degli accordi di Minsk, la provocazione di Mosca a entrare in guerra in Ucraina e il blocco dei colloqui di pace in Turchia nell’aprile 2022.

– e, soprattutto, la cancellazione delle storiche e profonde relazioni economiche e commerciali dei paesi dell’UE, in particolare della Germania, con la Russia.

Quest’ultima questione è la grande vittoria che l’imperialismo anglosassone, rappresentante dell’oligarchia occidentale, può rivendicare. La distruzione di aziende provocata deliberatamente dalla pandemia di Covid, attraverso un’ingiustificabile – dal punto di vista epidemiologico – chiusura dell’economia, è stata portata avanti attraverso decisioni politiche, evidentemente intenzionali, come: — aumentare i tassi di interesse per combattere l’inflazione che è in gran parte creata artificialmente

— il brutale aumento dei prezzi dell’energia, conseguenza diretta del sabotaggio dei gasdotti che fornivano gas russo a buon mercato e di qualità, perpetrato dallo stesso imperialismo anglosassone e sul quale l’UE si è rifiutata di indagare

— le politiche “verdi” dell’UE che sovvenzionano le grandi multinazionali con i Next Generation Funds per la transizione energetica e multano chi non riesce a incorporare la tecnologia controllata da quelle stesse multinazionali

Il risultato è stata la deindustrializzazione dell’UE, soprattutto della Germania, accelerata anche dal trasferimento delle grandi aziende europee negli Stati Uniti alla ricerca di minori costi finanziari ed energetici e incoraggiata dai sussidi forniti da Washington alle aziende che vi si stabiliscono attraverso l’Inflation Reduction Act ( IRA) (2). A ciò si aggiunge la massiccia distruzione delle piccole e medie imprese con la corrispondente centralizzazione e concentrazione di capitale, diretta e pianificata dall’UE e pedissequamente eseguita dai governi, trasferendo al tempo stesso fondi pubblici alle masse, la Next Generation, al grandi multinazionali.

Sono proprio queste le politiche contro cui legittimamente protestano agricoltori, allevatori e pescatori e che sono le stesse che, con la complicità attiva dei governi e dei grandi sindacati, hanno distrutto gran parte dell’industria pesante, mineraria, dei cantieri navali, dell’agricoltura e dell’allevamento, durante la “ riconversione” degli anni 80 e 90. Il grande sarcasmo usato allora come giustificazione era che tutto questo, insieme all’incorporazione della Spagna nella NATO, era il tributo necessario per entrare in “Europa”, il paradiso dei diritti sociali e del lavoro. Una volta dimostrato in cosa consista realmente quell’Eden, il mantra utilizzato oggi per giustificare politiche il cui obiettivo è aumentare i profitti delle grandi multinazionali distruggendo le condizioni di vita della stragrande maggioranza degli esseri umani, è “la protezione della natura”. che quelle stesse multinazionali distruggono.

L’ECONOMIA DI GUERRA: TAGLI SOCIALI, GRANDI IMPRESE E CORRUZIONE

Su questa Europa in fase accelerata di autodistruzione e ancora una volta venduta dai suoi governi agli interessi delle potenze straniere (prima si è resa vassallata a Hitler e ora all’imperialismo anglosassone), incombe nuovamente la minaccia della guerra mondiale. Senza poter addurre alcuna giustificazione credibile – nessuno sano di mente può credere che la Russia stia per attaccare un paese della NATO – i leader europei, competendo tra loro in servilismo e stupidità, invitano le persone a “prepararsi alla guerra. “

Mentre la povertà dilaga nei quartieri popolari, gli sfratti continuano ad essere effettuati dalle stesse banche che sono state salvate con decine di miliardi di soldi pubblici, e i suicidi mostrano il volto più terribile della sofferenza umana, i governi dell’UE, tra cui soprattutto quello del PSOE – Sumar, dichiarano l’economia di guerra.

Ma cos’è l’economia di guerra? L’economia di guerra fa sì che la priorità assoluta dell’intera società sia quella di destinare risorse all’industria militare, tutto questo quando nel 2023 la spesa militare è aumentata di un 25% senza precedenti, raggiungendo i 28 miliardi di euro, ovvero più di un terzo della spesa sanitaria pubblica. spesa. Ciò significa che taglieranno ancora di più la spesa sociale per pensioni, disoccupazione, sanità, istruzione, servizi sociali, ecc., per destinarla all’acquisto di armi e forniture militari. Significa preparare grandi eserciti e ritornare al servizio militare obbligatorio, la cui istituzione è apertamente dibattuta nei diversi paesi dell’UE (3). Vuol dire che il complesso militare-industriale, i produttori di armi e di ogni tipo di tecnologia militare, compresa l’industria farmaceutica, aziende interamente private e partecipate in maggioranza dalle grandi multinazionali anglosassoni del settore, moltiplicheranno i loro già favolosi profitti. . Allo stesso tempo, i potenti gruppi di pressione dell’industria degli armamenti, che controllano i punti chiave del potere, avranno un’influenza decisiva affinché la guerra, la loro gallina dalle uova d’oro, rimanga ben nutrita, mentre ci conducono alla precipizio.

Uno scontro aperto e diretto tra la NATO e la Russia, al quale probabilmente non potrebbe resistere da sola, significherebbe che in caso di minaccia diretta alla sua esistenza – come ha già annunciato il Cremlino – utilizzerebbe le sue armi nucleari. Queste armi nucleari tattiche raggiungerebbero i paesi europei, che a loro volta risponderebbero, dando luogo all’uso di armi nucleari strategiche in grado di causare la morte di centinaia di milioni di persone. Questo è il gioco sinistro che questi governi lacchè, apprendisti stregoni con elmetti da guerra, intendono giocare.

Tutto questo si annida in un enorme conglomerato di corruzione politica che serve allo stesso tempo ad incrementare gli affari e a instaurare meccanismi di controllo sociale che assomigliano sempre più al fascismo.

Per esempio:

— La coercizione della vaccinazione con farmaci sperimentali è stata preceduta nell’Ue dall’acquisto di miliardi di dosi dalla Pfizer e da altre multinazionali, deciso attraverso contratti fino ad ora segreti, da parte della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen. Questa donna, formalmente accusata di corruzione per l’acquisto di vaccini, è sposata con un alto funzionario della Pfizer e suo figlio era anche direttore della società McKinsey che ha progettato la propaganda globale per imporre la vaccinazione.

— La stessa Von der Leyen, prima di diventare presidente della Commissione Europea, è stata ministra della Difesa in Germania ed è tuttora indagata per corruzione. Dopo le elezioni europee, intende restare in carica altri cinque anni per, tra l’altro, rafforzare l’industria militare, nominare un commissario europeo alla Difesa e far eseguire all’UE, con i fondi russi depositati nelle banche europee e bloccati dalle sanzioni , acquista forze armate congiunte, poiché “dobbiamo spendere di più e spendere meglio”. Le ripetute accuse di corruzione nei suoi confronti non sembrano rappresentare alcun ostacolo.

— A livello locale, il governo PSOE – Podemos, ora con Sumar al Ministero della Salute e i governi delle Comunità Autonome sostenuti dalla sinistra istituzionale ed extraparlamentare, ha imposto mascherine obbligatorie, senza una relazione tecnica che ne supporti l’utilità, mentre una rete mafiosa che comprende diversi ministeri e amministrazioni regionali, ha fatto fortuna con la sua vendita, con la corrispondente catena di tangenti.

L’ESCLUSIONE DELLA CENSURA E IL RAFFORZAMENTO DEL CONTROLLO SOCIALE

Come la storia ci insegna, il ricorso del capitalismo alla distruzione e alla guerra per governare le sue crisi genera situazioni di destabilizzazione sociale che potrebbero mettere a rischio i poteri costituiti.

In queste situazioni che comportano oggettivamente un inasprimento della lotta di classe, la preparazione alla guerra implica un rafforzamento eccezionale dei meccanismi di controllo sociale. Questo obiettivo deve essere raggiunto, se nel maggio di quest’anno riusciranno ad approvare il Trattato sulla pandemia e gli emendamenti al Regolamento sanitario internazionale dell’OMS, che in sostanza mira a fare del suo direttore un’autorità sanitaria globale con il potere di imporre le misure attuate durante la pandemia come standard obbligatori su scala globale.

Oltre alla legge sui servizi digitali, si prepara una nuova svolta per rafforzare la censura e la manipolazione dell’informazione in vista delle elezioni europee del 9 giugno. Nel “paradiso delle libertà” ormai da tempo, oltre alla dittatura del denaro – solo la borghesia dispone di grandi mezzi di comunicazione – si è passati alla limitazione dei diritti fondamentali come il diritto all’informazione e alla libertà di espressione mediante meccanismi di censura coordinata tra i principali media – già attuati durante la pandemia – e rafforzati con la guerra in Ucraina. Per dare un’idea della sottomissione delle forze politiche, basti citare la decisione di censurare Russia Today e Sputnik nell’UE, o la creazione nel 2022 da parte del governo PSOE – Podemos di un Forum contro la disinformazione diretto da Il generale Ballesteros, non ha provocato alcuna reazione politica.

Quest’anno, nel 2024, si terranno tre elezioni prima delle quali, anche se può sembrare che l’oligarchia abbia tutto sotto controllo, si comincia a parlare di adottare misure eccezionali.

In Gran Bretagna, in data da destinarsi, si terranno le elezioni generali e negli Usa, nel mese di novembre, le elezioni presidenziali. La crescente probabilità che Trump possa vincerle, lo sconvolgimento delle alleanze e degli obiettivi che ciò potrebbe causare, soprattutto nei confronti della Russia, alimentano le voci secondo cui le elezioni potrebbero essere sospese, un fatto senza precedenti nella storia degli Stati Uniti, sotto il pretesto dell’“ingerenza russa”.

Prima delle elezioni europee, tra le élites governative, impegnano a far crescere la paura, così e come stanno succedendo agli agricoltori (di Bruxelles) che stanno imbattendo con i loro trattori nelle valli di protezione durante una riunione del Consiglio dei Ministri dell’UE e Macron è stato duramente rimproverato in una fiera agricola), dai disordini sociali si rafforzano le organizzazioni politiche che rifiutano la NATO e l’aumento delle spese militari. Di fronte a questo rischio, l’Europa apparentemente democratica si strappa un’altra maschera. Una società americana della Silicon Valley, Meta, proprietaria di Facebook, Instagram e Threads, si prepara a esercitare controllo e censura sulle elezioni del Parlamento europeo, apparentemente motu proprio, ma ovviamente con l’acquiescenza della Commissione europea. Senza la minima vergogna, a volto scoperto, Meta racconta come si prepara (4).

Questo è quello che dice dei suoi preparativi:

“Con l’avvicinarsi delle elezioni, attiveremo un Centro operativo elettorale per identificare potenziali minacce e contrastarle in tempo reale […] Abbiamo firmato un accordo tecnologico per combattere la diffusione di contenuti ingannevoli di intelligenza artificiale durante le elezioni. Dopo essere intervenuti in 200 elezioni in tutto il mondo, dicono. Dal 2016, abbiamo investito più di 20 miliardi di dollari in sicurezza e protezione e abbiamo quadruplicato le dimensioni del nostro team globale che lavora in questo settore, portandolo a circa 40.000 persone. Ciò include 15.000 revisori di contenuti che esaminano i contenuti su Facebook, Instagram e Threads in più di 70 lingue, comprese le 24 lingue ufficiali dell’UE”. In caso ci fossero dubbi, raccontano come funzionano: “Non consentiamo annunci che includono contenuti screditati. Inoltre, non consentiamo annunci mirati all’UE che scoraggiano le persone dal votare alle elezioni; mettere in dubbio la legittimità delle elezioni; contenere pretese premature di vittoria elettorale; e mettere in dubbio la legittimità dei metodi e dei processi elettorali, nonché dei loro risultati. Il nostro processo di revisione degli annunci prevede più livelli di analisi e rilevamento, sia prima che dopo la pubblicazione di un annuncio.”

Nel caso qualcuno lo dimenticasse, i social network sono aziende private, non sono indipendenti, non sono nostri. Ciò che è relativamente nuovo, ciò che dimostra come i presunti diritti fondamentali siano calpestati, è che, come è successo con il Covid, poi con la guerra in Ucraina e ora con le elezioni europee, i governi incorporano un emporio americano come Meta, ai compiti di censura e informazione manipolazione sui social network che aziende come, nello Stato spagnolo, stavano già realizzando in modo specializzato damda.es e newtral.-Ana Pastor – La Sexta.

Questi meccanismi, che di solito sono portati avanti dai servizi segreti, sono ora appaltati a società private straniere. In verità i fenomeni, nel loro svolgersi, mostrano la propria essenza. L’UE esprime sempre più la sua natura di burocrazia oligarchica contraria agli interessi popolari e che, al servizio di una potenza straniera, è determinata a provocare una guerra mondiale. Il popolo, quasi a tentoni, comincia a intravedere l’abisso verso cui lo sta conducendo l’oligarchia borghese, in attesa che emerga con la forza necessaria un’organizzazione politica che rappresenti un’alternativa socialista al capitalismo imperialista, che in ogni caso deve partire dall’uscita dal l’UE e la NATO. Questo compito può essere svolto solo da una classe operaia – oggi offuscata e ammanettata dalla NATO, dal riformismo politico e sindacale – che sia consapevole della sua missione storica di porre fine al sistema capitalista che, nella sua agonia, è più criminale che mai. . Le nostre vite dipendono dal suo successo.

—E non credi che la verità, se è tale, prevalga anche senza di noi? — G. Galilei: No, no e no. Tanta verità viene imposta nella misura in cui noi la imponiamo. La vittoria della ragione non può essere che la vittoria di chi ragiona. (Galileo Galilei. Bertolt Brecht)

6166.- Dal ripudio della guerra al trasporto di bombe nucleari per conto terzi.

C’era una volta l’art. 11… Vogliono suscitare in noi un moto di orgoglio perché, nei QRA delle solite basi della Guerra Fredda, i nostri F-35 potranno montare d’allarme con appese le bombe nucleari B-61-12 di proprietà americana, evidentemente, per sganciarle sui russi. Ecco, senza fare il filo a Putin, a noi di far la guerra al popolo russo non passa neanche per l’anticamera del cervello. Vorremmo che la guerra nucleare la faceste con il vostro … Meglio e più chiaro ancora, con la vostra incapacità di instaurare una nuova politica occidentale, ci avete rotto gli zibidei.

F-35 Bombe Nucleari
  • Da Startmag.it, di Chiara Rossi, 18 Marzo 2024

Difesa, il caccia F-35A trasporterà anche bombe nucleari

Il caccia multiruolo F-35 prodotto dall’americana Lockheed Martin ha ottenuto la certificazione per il trasporto di bombe nucleari. Nello specifico, la bomba a gravità termonucleare B61-12. Tutti i dettagli.

Che bello!

L’F-35 Lightning II è ora in grado di sferrare attacchi nucleari.

Il caccia di quinta generazione, prodotto dal gruppo aerospaziale statunitense Lockheed Martin, ha ottenuto a ottobre del 2023 la certificazione per il trasporto di bombe nucleari.

È quanto ha dichiarato un portavoce dell’F-35 Joint Program Office (JPO) a Breaking Defense lo scorso 8 marzo. In caso di guerra, gli F-35 dovranno trasportare le bombe atomiche sul bersaglio nel quadro della “condivisione nucleare” della Nato. La designazione segna la prima volta che un caccia stealth può trasportare un’arma nucleare, in questo caso la bomba a gravità termonucleare B61-12.

Tutti i dettagli.

DOPPIA CAPACITÀ PER L’F-35A

In una dichiarazione alla testata americana, il portavoce della JPO Russ Goemaere ha affermato che l’F-35A ha ottenuto la certificazione il 12 ottobre 2023, mesi prima della promessa agli alleati Nato di concludere il processo entro gennaio 2024. Alcuni F-35A saranno ora in grado di trasportare ufficialmente i B61-12, rendendo il caccia stealth un aereo a “doppia capacità” in grado di trasportare sia armi convenzionali che nucleari.

“L’F-35A è il primo velivolo con capacità nucleare di quinta generazione di sempre e la prima nuova piattaforma a raggiungere questo status dall’inizio degli anni ’90″, ha spiegato Goemaere. “L’F-35A ha ottenuto la certificazione nucleare prima del previsto, fornendo agli Stati Uniti e alla Nato una capacità critica che supporta gli impegni di deterrenza estesi degli Stati Uniti prima del previsto.”

LA TIPOLOGIA ARMI NUCLEARI

In particolare, l’F-35 è certificato come vettore di bombe termonucleari B61-12. Secondo un’analisi della Federazione statunitense degli scienziati, circa 100 esemplari del precedente modello B61 sono immagazzinati in Belgio, Germania, Italia (a Ghedi e Aviano), Paesi Bassi e Turchia.

Il B61-12 è un programma di estensione della vita utile che ha avuto origine durante l’amministrazione Obama e sta sostituendo i vecchi modelli -3, -4, -7 e -10. La prima unità di produzione del B61-12 risale al novembre 2021, con la produzione prevista fino alla fine dell’anno fiscale 2025. Si stima che il programma costerà 9,6 miliardi di dollari nell’anno fiscale 22 nel corso della sua durata, sebbene gran parte di tale costo sia già stata spesa, rileva ancora Breaking Defense.

Lo scorso ottobre l’amministrazione Biden ha annunciato che avrebbe sviluppato una nuova variante dell’arma denominata B61-13. Si prevede che il nuovo -13 avrà una resa simile al -7, hanno detto i funzionari, che corrisponderebbe approssimativamente a un’esplosione equivalente a 360 kilotoni, spiega la testata americana.  Tecnicamente, né le B61-12 né le -13 sono “nuove” armi nucleari che aumentano le scorte, poiché prendono le testate delle bombe più vecchie e le collocano in nuovi alloggiamenti.

LA CERTIFICAZIONE NON RIGUARDA LE ALTRE VARIANTI

Infine, non va dimenticato che la certificazione non si estende alle varianti gemelle del jet stealth: ovvero la variante a decollo corto/atterraggio verticale F-35B e la variante per portaerei F-35C. Il jet a decollo e atterraggio convenzionale F-35A è l’unico certificato per trasportare bombe nucleari.

L’aeronautica americana non ha ancora rivelato se qualche altro paese o i suoi F-35A abbiano ricevuto la certificazione per schierare il B61-12. Nell’ottobre 2021 l’Air Force degli Stati Uniti ha concluso i test di volo necessari per garantire che il design della bomba nucleare tattica B61-12 sia compatibile con l’F-35A Lightning II, completando il processo di certificazione. Tuttavia, non tutti gli F-35A saranno dotati di capacità nucleare.

NON TUTTI GLI F-35A SARANNO DOTATI DI CAPACITÀ NUCLEARE

“Non tutti gli aerei diventeranno abilitati al nucleare dopo la certificazione completa”, ha dichiarato in quell’occasione l’Air Force. “Solo le unità con una missione nucleare riceveranno l’hardware e la manodopera necessari per configurare e mantenere gli F-35 con capacità nucleare” sottolineava Ares Difesa. “Ciò potrebbe includere la RAF Lakenheath in Inghilterra e la base aerea di Aviano in Italia”, aveva affermato a Airforcetimes Hans Kristensen, direttore del Nuclear Information Project presso la Federazione statunitense degli scienziati.