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2549.- LA GUERRA FUTURA È GIÀ OGGI.

La prossima guerra avverrà nella cibersfera

Dalla guerra aerea dei droni alle operazioni di contrasto nello spazio cibernetico. Un cyberattacco statunitense ha paralizzato la capacità dell’Iran di colpire le petroliere. Lo afferma il rapporto ripreso dal New York Times, dove si afferma che l’attacco è avvenuto il 20 giugno in risposta all’abbattimento da parte dell’Iran del drone statunitense.

Per guerra cibernetica intendiamo l’uso di tecnologie elettroniche, informatiche e dei sistemi di telecomunicazione.nell’intercettazione, nell’alterazione e nella distruzione dell’informazione e dei sistemi di comunicazione nemici, facendo sì che nella competizione si mantenga un relativo equilibrio dell’informazione. Il principale terreno di scontro di un futuro conflitto sarà la cyber sfera. Avremo, quindi, le forze armate di un quinto dominio dopo quelle di terra, mare, cielo e dello spazio, non solo, ma l’intero apparato di una grande potenza potrà essere infiltrato e danneggiato nei suoi punti più vitali nonostante tutte le precauzioni.

Haaretz 

Stena Impero, a British-flagged vessel owned by Stena Bulk, is seen at undisclosed place off the coast of Bandar Abbas, Iran August 22, 2019.
La nave cisterna britannica Stena Impero, della società Stena Bulk, è stata vista ancorata in un luogo sconosciuto al largo della costa di Bandar Abbas, in Iran, il 22 agosto 2019. \ WANA NEWS AGENCY / REUTERS

Secondo il New York Times, che ha citato alti funzionari americani, lo scorso 20 giugno, gli Stati Uniti hanno effettuato un attacco informatico contro l’Iran al fine di abbattere un database utilizzato per interrompere il traffico marittimo nel Golfo Persico. Secondo il rapporto, gli iraniani stanno ancora lavorando per recuperare le informazioni critiche perse a causa dell’operazione. Secondo quanto riferito, il database consentiva a Teheran di localizzare e prendere di mira le navi nel Golfo.

L’attacco contro il gruppo di intelligence delle guardie rivoluzionarie iraniane era inteso come rappresaglia per l’abbattimento di un drone militare americano nello spazio aereo internazionale sullo Stretto di Hormuz da parte di un missile terra-aria iraniano a metà giugno, secondo quanto riferito da un funzionario americano ed è stato messo in atto dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump avrebbe ordinato e poi annullato una risposta militare contro Teheran, in ciò a causa delle pressioni effettuate dai governi di Russia, Cina e India.

Gli attacchi informatici sono facilmente percepiti come azioni meno aggressive della tradizionale guerra militare, in parte perché non causano danni visibili o vittime e in parte perché è difficile individuarne l’origine e spesso rimangono avvolti nel segreto.

Secondo il rapporto, l’attacco ha suscitato non poche contrarietà ed è sorto un dibattito all’interno dell’amministrazione Trump sul fatto che i suoi costi abbiano superato i suoi benefici: una vittoria di Pirro, insomma.
Infatti, l’azione ha rivelato agli iraniani il tipo di accesso che gli agenti americani avevano avuto nel sistema islamico del Corpo delle guardie rivoluzionarie e nelle loro reti di comunicazione, alcune delle quali sono state, ora, dismesse, com’era logico prevedere.

Al contrario e il rapporto non manca di rilevare che l’attacco non ha suscitato una risposta dall’Iran, la cui attività informatica contro gli Stati Uniti è rimasta alla sua consueta intensità. Gli Stati Uniti stanno anche attenti a mantenere l’attività informatica al di sotto della soglia di guerra, hanno detto al Times i funzionari, descrivendo l’attacco come parte di una battaglia in corso.

US News, Haaretz

Un esempio: Sventato grande attacco iraniano con droni esplosivi contro Israele

drone iraniano

il drone Yasser potentemente armato

Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno sventato un grande attacco iraniano contro Israele che sarebbe dovuto partire dal suolo siriano.

Lo ha reso noto ieri sera il Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che è anche Ministro della Difesa.

L’attacco iraniano contro Israele era stato organizzato dalla Forza Quds dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (IRGC oppure Pasdaran) e doveva avvenire per mezzo dell’uso di droni riempiti di esplosivo i quali si dovevano schiantare contro obiettivi in Israele.


Grazie al prezioso lavoro della intelligence israeliana, il comando dell’IDF è riuscito a conoscere in tempo i piani iraniani e con un attacco chirurgico su una base iraniana nei pressi di Damasco è riuscito a distruggere i droni che dovevano colpire Israele.

Secondo il portavoce delle IDF, il colonnello Jonathan Conricus, il piano iraniano ordito dalla Forza Quds era pronto per essere messo in pratica ed era imminente.

L’Intelligence monitorava da mesi le attività iraniane in Siria dopo che alcune fonti avevano riferito del piano iraniano.

Ieri sera il Premier Netanyahu ha riunito d’urgenza i vertici delle IDF presso il Ministero della Difesa a Tel Aviv per discutere delle contromisure da prendere contro questo tipo di attacchi che possono essere devastanti.

«Questo era un piano significativo e di altissimo livello» ha detto il portavoce delle IDF «organizzato nei minimi dettagli da diversi mesi e poteva essere davvero devastante».

Le forze di difesa israeliane hanno deciso di innalzare ulteriormente il livello di guardia in tutto il fronte nord.

Alcune batterie di Iron Dome nonché di missili Patriot sono state “riposizionate”. Il comando IDF non esclude infatti che il rischio sia ancora reale nonostante la distruzione dei droni iraniani che dovevano attaccare Israele.

Di Sarah G. Frankl, 25 agosto 2019. Rights Reporter

2421.- Cosa succede se gli hacker iraniani rispondono all’attacco Usa?

di Umberto Rapetto

L’Iran può contare su formazioni di hacker distribuiti capillarmente sulla superficie del pianeta, notoriamente aggressivi e pronti ad assalire qualunque obiettivo. L’approfondimento di Umberto Rapetto

Giovedì scorso il Cyber Command americano ha attaccato l’Iran. E’ scoppiata una guerra e nessuno, al momento, si è accorto di nulla.

La cyberwar, come i conflitti basati sull’uso di armi batteriologiche, mostra i suoi effetti sempre un po’ in ritardo e probabilmente è ancora presto per scoprire le controindicazioni della manovra militare ordinata da Donald Trump.

L’operazione cibernetica ha preso di mira i radar e le batterie di missili, mandando in tilt la contraerea iraniana così da rispondere all’abbattimento del drone e dimostrare che la superiorità tecnologica statunitense non può certo essere scalfita da un fortuito colpo andato a segno. Il bombardamento digitale, motivato anche dai sospetti che sia stata Teheran ad organizzare gli attacchi alle petroliere nelle scorse settimane, ha centrato i sistemi elettronici iraniani accecandone la sensoristica e facendo fallire ogni tentativo di lancio di razzi. L’aggressione informatica ha anche azzoppato le risorse hi-tech (e la conseguente capacità operativa) dell’intelligence “persiana”, ma il successo dell’azione tattica non deve entusiasmare.

L’Iran può contare su formazioni di hacker distribuiti capillarmente sulla superficie del pianeta, notoriamente aggressivi e pronti ad assalire qualunque obiettivo.
Il pigiare il pulsante rosso per scatenare il conflitto cyber dovrebbe essere preceduto dalla medesima esitazione dinanzi al bottone che innesca una guerra nucleare. Il contesto non si presta ad esibizioni muscolari e a poco servono ostentazioni di invulnerabilità. Ricordiamo tutti come si muoveva sul ring l’invincibile Muhammad Alì, che danzava sinuoso dinanzi al contendente facendo mille sberleffi nella certezza di non dover temere nulla. Il 31 marzo del 1973, però, sale sul quadrato lo sconosciuto Ken Norton. Quel marinaio di Jacksonville non aveva nessuna possibilità di farcela ma un suo pugno spezzò la mascella al grande campione, detronizzando una icona del pugilato e pregiudicandone la carriera.

Dovremmo tenere a mente i tanti episodi che la storia e le tradizioni hanno portato fino ai giorni nostri. Da Davide e Golia al “Balilla” dei carugi genovesi, dovremmo aver imparato da tempo che giganti imperiosi ed imponenti eserciti possono essere sconfitti da un minuscolo e insignificante avversario.

L’Iranian Cyber Army è operativo da quindici anni e il suo palmares è tristemente ricco. I lupi solitari non mancano certo e il bersaglio a stelle e strisce richiama l’attenzione di tanti pirati informatici ben predisposti a mostrare la propria solidarietà a chi è finito nel mirino di Trump.

La “dipendenza” dal regolare funzionamento dei sistemi informatici e delle reti fa degli Stati Uniti un obiettivo particolarmente appetibile. Gli attacchi lamentati dagli USA negli anni scorsi sono da considerare piccole scaramucce. La reazione iraniana (e il discorso vale per qualunque Paese o schieramento che debba trovarsi sotto scacco) può tradursi in qualcosa di ben più grave che può affondare le infrastrutture critiche delle grandi Nazioni.

Energia, telecomunicazioni, trasporti, finanza e sanità hanno un ciclo biologico condizionato dalla buona salute di computer e reti telematiche. Virus e malware possono infettare le procedure di funzionamento, i “denial-of-service” possono paralizzare ogni attività: prima di attaccare sarebbe fondamentale leggere il “bugiardino” che non manca mai nelle confezioni di medicinali, prima di procedere con la “cura” di qualunque emergenza sarebbe opportuno valutare le avvertenze di possibili risvolti negativi.

Occorre blindare la propria architettura tecnologica e mettere in sicurezza gli aspetti problematici del vivere quotidiano. Cosa non facile, ma mandatoria.

Il non pensarci – cardine dell’odierno atteggiamento politico italiano, ad esempio – è irresponsabile. La tecnica dello struzzo non paga.

Se davvero è scoppiata la guerra, gli alleati devono cominciare ad immaginare un loro coinvolgimento. Una Caporetto virtuale non si scongiura con quattro slide o magari con una partita a “Cybercity Chronicles”.

C’è da augurarsi che nessuno creda che il videogame realizzato dal Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza sia il primo passo verso la protezione cibernetica del nostro Paese. La cyberwar, qualora nessuno se ne sia ancora accorto, è una cosa seria. Drammaticamente seria.