Archivio mensile:gennaio 2020

2904.- L’ESERCITO ARABO-SIRIANO È ALLA PERIFERIA DI ALEPPO

I soldati siriani sono sempre più vicini alla città di Aleppo, dove i jihadisti hanno giustiziato diversi soldati fatti prigionieri.

2020-01-310

I soldati dell’esercito siriano catturati furono costretti a sdraiarsi e furono sommariamente giustiziati dai combattenti della FSA e di Jabhat Al-Nusra: quelli che il turco memkbro NATO ci sta portando in Libia.

L’esercito siriano si sta rapidamente avvicinando alla città di Khan Al-Assal dopo aver occupato diverse aree tenute dai ribelli jihadisti nel sud-ovest di Aleppo.

Secondo una fonte proveniente da un campo, ad Aleppo, la Guardia repubblicana siriana e gli elementi dell’esercito sono a poche centinaia di metri dalla periferia orientale di Khan Al-Assal.

Per i militari siriani, riconquistare Khan Al-Assal non è solo importante militarmente, ma anche perché è stato il luogo di uno dei primi massacri commessi dal cosiddetto Esercito siriano libero (FSA) e Jabhat Al-Nusra ad Aleppo.

Dopo le esecuzioni, i terroristi militanti hanno continuato la loro offensiva a Sud di Aleppo, dove alla fine hanno conquistato un pò più terreno vicino alla capitale della provincia.

Mercenari terroristi sostenuti dalla Turchia si dirigono verso Aleppo occidentale per rafforzare i jihadisti. Un paese NATO ha addestrato, gestito, armato e sta gestendo questi terroristi.

2020-01-31

Membri del cosiddetto Esercito siriano libero vicino alla città di Bizaah, a nord-est della città di al-Bab, a circa 30 chilometri dalla città siriana di Aleppo, il 4 febbraio 2017. (Foto di AFP)

I mercenari terroristi militanti sostenuti dalla Turchia del cosiddetto “Esercito nazionale siriano” (SNA) hanno inviato rinforzi nelle campagne occidentali del Governatorato di Aleppo per aiutare le forze jihadiste contro l’esercito arabo siriano (SAA). Se qualcuno ancora dubitava, i terroristi hanno un padre e una madre fra noi. A chi tiene bordone la Turchia?

Secondo gli attivisti dell’opposizione, i rinforzi dell’SNA sono stati ridistribuiti in quest’area per impedire all’esercito arabo-siriano di avanzare nei loro territori a ovest della capitale della provincia.

Questa notizia arriva appena un giorno dopo che Harakat Nouriddeen Al-Zinki ha inviato rinforzi nella stessa area per aiutare i jihadisti, che, in precedenza, avevano espulso le loro forze da diverse parti di Aleppo.

L’esercito arabo-siriano ha iniziato la sua offensiva su larga scala nel Sud e a Ovest di Aleppo domenica, segnando la prima volta da quando i terroristi hanno catturato la parte orientale del capoluogo di provincia che hanno subito un’offensiva in questo governatorato.

Carro armato dell’esercito siriano, T-90A, colpito con un missile, continua a muoversi: video

2020-01-31

I mercenari militanti sostenuti dalla Turchia hanno lanciato un missile guidato anticarro (ATGM) contro un carro armato T-90A dell’Esercito arabo-siriano (SAA), mentre si muoveva nell’area di Rashiddeen, ad Aleppo.

In un video pubblicato questo venerdì, il missile può essere visto colpire il carro armato T-90, ma non riesce a fermarne il movimento.

شاهد|| تدمير دبابة T90 لعصابات الأسد على محور الراشدين غربي حلب إثر استهدافها بصاروخ مضاد درو

Non molto tempo dopo che le Forze Armate russe iniziarono il loro intervento in Siria, avvenne la consegna dei loro carri armati T-90 all’esercito arabo- siriano. Questi carri armati T-90 si sono dimostrati incredibilmente efficaci sul campo di battaglia, specialmente durante le offensive dell’esercito arabo-siriano, dove si sono trovati ad affrontare un nemico equipaggiato di diversi missili guidati anticarro americani.

2903.- MES: cos’è il fondo salva-Stati e perché è così importante per l’Italia

Mario Donnini

CONTE DOVRÀ ESSERE GIUDICATO

ILVA

Sul MES, l’Eurogruppo sostiene che il fondo salva-Stati o salva-banche (della Germania?), così com’è, è definitivo. Conte, Di Maio, Gualtieri mentono ancora una volta? Raccontano di modifiche, ma, ancora una volta, a chiacchiere. Ma, prima, mi preme una domanda: Perché gli Stati che hanno adottato l’euro come moneta unica si trovano in difficoltà e perché dovranno essere salvati? E, poi, perché il destino dei popoli europei e del popolo italiano ha natura “confidenziale”. Abbiamo dato già 14 miliardi, ma “nessun verbale né trascrizione verrà reso pubblico”; nessun referendum dove gli italiani possano decidere se pagare altri miliardi del loro sangue per un fondo dove non potranno accedere, se non vendendo il loro futuro. Ci stanno portando via l’apparato produttivo, la sicurezza, lo Stato Sociale, quello che siamo, la nostra identità! Sperperando, elemosinando, regalando pensioni agli stranieri, svendendo il patrimonio (ILVA, WHIRPOOL…), ci costringeranno ad andare a carità dei 14 miliardi che abbiamo dato al fondo salva-Stati che imporrebbe i suoi requisiti strettissimi per poter ricevere il suo aiuto, rendendo di fatto (quasi) impossibile agli italiani beneficiarvi senza commissariamento. Si sta istaurando un meccanismo perverso che porterà i titoli del nostro debito pubblico a valere quanto la carta straccia; ma costituiscono gran parte del patrimonio delle nostre banche, che soffocheranno e faranno Bail In (altra porcata!), metteranno le mani nei nostri risparmi, depositi, stipendi versati. Tutto questo in segreto!!! Cosa ha firmato Conte? Perché Conte, Di Maio, Gualtieri mentono? per conto di chi? Merkel, Macron, Conte chi sono? Sono i kapò di qualcuno o i nostri premier? L’Europa era il nostro futuro. Da Maastritch in poi ho sentito solo il vento mortifero della crisi. E Lei, Mattarella? Presidente, personalmente, non l’avrei votata, ma, se ancora contiamo qualcosa, ci dica Lei. 

 E, ora, Cristiana Gagliarducci

MES: cos’è il Meccanismo Europeo di Stabilità e come funziona il fondo salva-Stati? Ecco perché con la nuova riforma l’Italia sarebbe svantaggiata

MES: cos'è il fondo salva-Stati e perché è così importante per l'Italia

Cos’è il MES, Meccanismo Europeo di Stabilità altresì noto come fondo salva-Stati, come funziona e perché l’Italia ne risulterebbe una vittima in vista della recente riforma attualmente in discussione in Europa?

Domande più lecite che mai alla luce del dibattito attuale e delle odierne audizioni di Giuseppe Conte alla Camera e al Senato (qui la diretta streaming).

Nato nel 2012, a sostituzione del Fondo europeo di stabilità finanziaria e del Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria, il MES è di fatto il fondo monetario del Vecchio Continente, avente l’obiettivo di dare sostegno ai Paesi componenti in caso di crisi e di probabile default.

Ad oggi il Meccanismo Europeo di Stabilità ha “salvato” Cipro, Spagna e Grecia. L’Italia, dal canto suo, è una delle maggiori sostenitrici del fondo salva-Stati con 14 miliardi di euro versati. Più di noi, in base ai risultati del PIL del 2010, hanno dato solo Germania e Francia. Anche per questo è oggi più che mai utile capire cos’è il MES, come funziona questo Meccanismo Europeo di Stabilità e perché la sua riforma potrebbe danneggiare proprio il Belpaese.

Cos’è il MES, il fondo salva-Stati? Le origini

Il Meccanismo Europeo di Stabilità è stato istituito grazie alle modifiche apportate al Trattato di Lisbona, ratificate dal Consiglio UE nel marzo del 2011. L’entrata in vigore del fondo salva-Stati, prevista inizialmente per il 2013 è stata anticipata al luglio del 2012 a causa di una crisi del debito sempre più pressante.

A chi si chiede cos’è il MES potremmo dunque rispondere definendolo un meccanismo volto a mantenere la stabilità finanziaria della zona euro. Esso è regolato dalla legislazione internazionale e, come organizzazione, ha una propria sede a Lussemburgo. 

Per garantire la tenuta del Vecchio Continente il fondo salva-Stati emette prestiti sulla base di condizioni piuttosto rigide e, in alcuni casi che verranno specificati nelle righe seguenti, può anche adottare atti sanzionatori.

Come funziona il MES?

Una volta capito, almeno in linea di massima, cos’è il MES occorre comprendere al meglio come funziona il fondo salva-Stati. Per dirla in altre parole: come agisce il Meccanismo Europeo di Stabilità e in che modo riesce a mantenere finanziariamente salutare l’Eurozona? Le modalità d’azione del fondo sono state definite dall’articolo 3 del suo trattato istitutivo.

L’organizzazione raccoglie fondi volti a sostenere i membri che ne fanno parte, ossia gli Stati che prima o dopo hanno adottato l’euro come moneta unica e che in un determinato periodo di tempo si trovano in forte difficoltà. Per capire come funziona il MES possiamo suddividere la sua azione in tre fasi distinte:

  1. Lo Stato in difficoltà avanza al Presidente del Consiglio dei governatori del fondo salva-Stati richiesta di assistenza.
  2. Il MES chiede alla Commissione UE di valutare lo stato di salute del Paese che ha chiesto aiuto e di definire il suo fabbisogno finanziario. In questa fase l’esecutivo comunitario e la BCE (e se necessario il FMI) analizzano se la crisi di quello Stato può contagiare il resto dell’Eurozona.
  3. Dopo la valutazione, l’organo plenario del MES decide di agire e aiutare il Paese in difficoltà (il tutto più o meno nell’arco di 7 giorni dalla data di presentazione della richiesta formale di assistenza) con prestiti.

    Le decisioni del Consiglio vengono prese a maggioranza semplice o qualificata e godono di immunità giudiziaria. I diritti di voto sono proporzionali rispetto alla quota versata da ogni Stato.

Chi gestisce il fondo salva-Stati?

Il Meccanismo di Stabilità Europea viene gestito da un Consiglio dei Governatori costituito dai ministri delle finanze dell’Eurozona oltre che da un Consiglio di Amministrazione (nominato proprio dai Governatori).

Fanno parte del MES anche un Direttore Generale (che ha diritti di voto), il commissario europeo agli Affari economico-monetari e il Presidente della BCE, questi ultimi due come osservatori.

Perché si parla così tanto di MES

Il Meccanismo Europeo di Stabilità è tornato nel ciclone mediatico dopo le dichiarazioni di Matteo Salvini, che ha accusato Giuseppe Conte di aver firmato di nascosto un accordo con l’Europa volto a riformare il MES con novità che finirebbero per svantaggiare l’Italia.

Una volta modificato, il fondo salva-Stati imporrebbe dei requisiti strettissimiper poter ricevere il suo aiuto, rendendo di fatto (quasi) impossibile al Belpaese beneficiarvi in caso di necessità, in parte recuperando il contributo di 14 miliardi di euro versati in fase di costituzione del MES. Previsti, inoltre, dei piani di riforma ben definiti in cambio dell’accesso ai fondi.

Il tutto “senza autorizzazione del Parlamento e della Lega”. Al tempo della firma sull’accordo per una modifica del MES, infatti, al Governo vi era ancora il partito di Salvini insieme al Movimento 5 Stelle.

“Stop MES significa una enorme fregatura per i risparmiatori italiani, i titoli di Stato italiani rischiano di valere sempre meno, di valere zero, e gli Stati potranno essere obbligati a mettere sul tavolo il risparmio di milioni di cittadini senza che nessuno li autorizzi”.

Anche Luigi Di Maio si è scagliato contro la riforma, cosa che ha lasciato ipotizzare una nuova crisi di Governo.

Cosa prevede la riforma del MES?

Dal 2017 l’Europa ha aperto all’ipotesi di rivedere il trattato istitutivo ed è proprio questa eventualità che ha aperto le porte ad un profondo dibattito in Italia. La riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità dovrà ricevere l’approvazione dei governi oltre che la ratifica parlamentare di ciascuno Stato.

Le nuove condizioni per accedere al fondo salva-Stati previste dalla riforma, non ancora ufficializzata, non farebbero altro che inasprirsi ulteriormente, rendendo assai difficile poter accedere al programma di aiuti.

Ad essere riviste in maniera più stringente sarebbero le condizioni per poter attivare la PCCL (Precautionary Conditioned Credit Line), un sistema di aiuto finanziario in caso di turbolenze all’interno del mercato del debito di un Paese appartenente all’Eurozona.

Le condizioni, se la riforma del MES dovesse essere confermata, sarebbero le seguenti:

  • non essere in procedura d’infrazione; 
  • vantare un deficit inferiore al 3% da almeno due anni;
  • avere un rapporto debito/PIL sotto il 60% (o, almeno, aver sperimentato una riduzione di quest’ultimo di almeno 1/20 negli ultimi due anni, insieme ad un’altra serie di paletti non facilmente giudicabili a livello oggettivo.

Le critiche

Per comprendere al meglio cos’è il MES non si può prescindere da una disamina delle critiche che sono state rivolte al fondo salva-Stati. Uno dei punti più dibattuti riguarda il rinnovato potere della Banca Centrale Europea e, per conseguenza, le limitazioni imposte al settore bancario e ai governi nazionali.

Non sono mancate inoltre critiche dalla Grecia: Varoufakis, ex ministro greco delle finanze, nel libro «Il Minotauro Globale» ha criticato aspramente i meccanismi che fanno parte del Fondo.

La somma a garanzia fornita agli Stati in difficoltà viene suddivisa e composta dalle partecipazioni di ciascun stato membro non in difficoltà. In poche parole, parte dei soldi concessi alla Grecia sono corrisposti a capitali messi a disposizione in parte dalla Germania, in parte dall’Italia, dalla Francia e così via. Ma, dato che ogni Paese riesce a garantire uno status di affidabilità, alla quota versata da ciascuno viene riconosciuto un interesse diverso. 

Ed è qui il pericolo: se uno degli Stati più «affidabili» dovesse trovarsi in difficoltà e aver bisogno del Meccanismo, la quantità dei fondi che non può più garantire si riverserebbe necessariamente sugli Stati più piccoli.

LEGGI ANCHE: Riforma MES: tutte le criticità per l’Italia

Quote di partecipazione

Stato% di contributo
Germania26,96%
Francia20,24%
Italia17,79%
Spagna11,82%
Paesi Bassi5,67%
Belgio3,45%
Grecia2,79%
Austria2,76%
Portogallo2,49%
Finlandia1,78%
Irlanda1,58%
Slovacchia0,81%
Slovenia0,42%
Lituania0,40%
Lettonia0,27%
Lussemburgo0,24%
Cipro0,19%
Estonia0,18%
Malta0,07%

Ecco, insomma, cos’è il MES e come funziona il fondo salva-Stati che sta tenendo l’Italia con il fiato sospeso. Ora bisognerà soltanto capire se la riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità entrerà ufficialmente in vigore.

2902.- PARLIAMO DI VOTO, DI GIUSTIZIA, DI COSTITUZIONE.

PERCHÈ NON DOBBIAMO VOTARE?

Il diritto di voto garantisce la rappresentatività del potere legislativo ed è stato ripetutamente considerato un principio supremo dell’ordinamento costituzionale. Principio supremo sapete cosa significa, sapete che questo principio non può essere intaccato, modificato neppure con il procedimento di revisione costituzionale, perché se fosse intaccato o modificato verrebbe a cadere in realtà l’intera Costituzione. È uno di quei principi essenziali, che proprio caratterizzano l’essenza della Costituzione repubblicana. E la Suprema Corte ha anche precisato che questo principio è strettamente correlato al principio democratico, caratterizza la democraticità di un ordinamento. Un ordinamento è veramente democratico non solo quando contiene un catalogo di diritti, un’elencazione, riconosce una serie di diritti, ma quando garantisce anche l’effettività di questi diritti o meglio predispone una serie di garanzie che sono tali da poter rendere effettivi i diritti, perché se quei diritti rimangono sulla carta siamo di fronte a una democrazia di facciata, non siamo di fronte a una democrazia reale. Abbiamo ribadito la parola garantisce, ma chi è il “garante” e a chi e come risponde ai cittadini nella realtà.

LA RESPONSABILITÀ DEL GIUDICE

«Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.», art. 24 della Costituzione, comma 1: I casi di eversione, corruzione e di errore dicono che il diritto di ricorrere alla giustizia per tutelare una propria posizione giuridica soggettiva sarà garantito soltanto quando i giudici dovranno rispondere degli errori gravi, o, peggio, appunto, di altro.Vale anche per i casi in cui siamo soggetti passivi. Invece, nessuna garanzia è sufficiente ad assisterci quando la corruzione è sistemica, come nel caso del C.S.M.,mio avviso, eversivo.

Firenze, 22 anni in carcere da innocente: chiede 66 milioni di euro di risarcimento

Giuseppe Gulotta, vittima di un errore giudiziario per l’omicidio di due giovani carabinieri della caserma di Alcamo Marina (Trapani) ha trascorso 22 anni in carcere da innocente. Il 13 febbraio 1976 venne prelevato dai carabinieri, portato in caserma, legato mani e piedi a una sedia, picchiato, minacciato di morte con una pistola che gli graffiava le guance. Botte e insulti. Così per dieci ore finché “sporco di sangue, lacrime, bava, pipì” si rassegnò a confessare quello che gli urlavano i carabinieri, pur di porre fine a quell’incubo. “È la prima volta in duecento anni di storia che l’Arma dei carabinieri viene citata per responsabilità penale – ha spiegato l’avvocato Lauria alla Nazione -. Ci sono due aspetti che sono contenuti nell’atto depositato: il primo riguarda la responsabilità dello Stato per non aver codificato negli anni il reato di tortura. Il secondo profilo è quello che attiene agli atti di tortura posti in essere in una sede istituzionale (la caserma dei carabinieri) da personale appartenente all’Arma che ha generato un gravissimo errore giudiziario”. Il legale ha ricordato che “è stata la stessa Cassazione a dire di rivolgerci all’Arma per il risarcimento del danno subìto per le torture, perché il giudice è stato indotto nell’errore dalla falsa confessione estorta”.

Giuseppe Gulotta

2901.- Maurizio Blondet: Salvini ha sacrificato alla sua slabbrata, miope ambizione personale un potenziale importante per l’Italia.

A forza di baciare il rosario, a Matteo Salvini è riuscito il miracolo: la moltiplicazione dei pesci. Sono stati i pesci infatti, le Sardine, che mobilitandosi hanno decretato la sua sconfitta in Emilia Romagna; e per questo rapido e cospicuo incremento ittico, il Capitano non può che ringraziare una sola persona: se stesso.

Paolo Barnard, 26 settembre 2018: SALVINI HA SBRACATO, E CI RIPORTERA’ IL PD.

Maurizio Blondet  30 Gennaio 2020  Matteo Salvini aveva un potenziale importante per l’Italia – fra cui le posizioni del no-euro e l’azione sul caos migranti –  ma l’ha sacrificato sull’altare della sua slabbrata e miope ambizione personale, trascinandosi con sé il Paese.L’atto finale e senza ritorno l’ha compiuto associandosi inequivocabilmente con Steve Bannon e Viktor Orban, un passo assai più compromettente della solita vicinanza col resto della truppa nazionalista europea. Adesso gli odierni Padroni del Vapore, da cui l’Italia dipende al 100% per aprir gli occhi al mattino,  non si possono più permettere di avere a che fare con un leader così schierato e col suo governo,  aprendo la strada al ritorno del Centrosinistra italiano con nel mezzo il PD. Le ragioni fanno parte di questo scritto. Antepongo però una breve specifica:Un tale scenario è, per ogni singolo cittadino italiano, una tragedia, e per due motivi:Primo motivo: il Populismo italiano, prima di Salvini e dei suoi inguardabili compari, aveva il potenziale di svilupparsi in una nuova frontiera della difesa dei nostri Diritti costituzionali macellati dalla UE, alla luce del disgustoso tradimento della sinistra Politically Correct svendutasi a puttana della rapina sociale che passa col nome di Eurozona. Ora Populismo, grazie alla fusione dei tre sopraccitati, è un’etichetta marcia, inavvicinabile e senza futuro. Secondo motivo: peggio del PD non esiste nulla in Italia, neppure Salvini, ma proprio lui ce li riporterà.Vanno affrontati dei fatti visibili da Marte, e chi non ne ha la capacità smetta di leggere ora.– La Lega nacque razzista, la sua dirigenza ha dovuto distanziarsene tirata per i capelli dal resto del mondo, ma nulla è mutato nel suo DNA né in quello della sua base elettorale.– L’isteria migranti, con cui vince manipolando le frustrazioni e/o sofferenze di masse inconsapevoli e quindi sospinte a prendersela col primo nero a tiro, è il problema N. 300 dell’Italia. Come scrissi  qui, chi falcia la nostra vita dei redditi, pensioni, aziende e lavoro è ben altro.– I probabili successi a breve termine della Lega fra i Populismi europei nel 2019, che ora ispirano tronfie certezze storiche nell’elettorato verde, non significano nulla. In politica chi non sa guardare almeno al medio termine dei 5-10 anni è meglio che cambi mestiere. Fra 5-10 anni la ‘Troika’ populista Bannon, Salvini, Orban sarà nell’angolo del dimenticatoio esattamente per i motivi che compongono questo articolo.– L’implacabile sobillare del padano nella direzione dell’ipertrofico allarme migranti  ha appiccicato a questo governo una colossale etichetta di razzismo-xenofobia populista agli occhi di tutto il mondo, e ora non ce la leva più nessuno.E qui arrivano i guai, un serpente di guai la cui coda fra solo pochi anni si chiamerà PD di nuovo a governarci. E’ obbligatorio, per capire cosa accadrà, iniziare da un punto che sembra distante da Roma.Assieme a me vi sono di certo alcuni italiani che, non del tutto fagocitati dal pollitalico pollaio, si sono resi conto di come sono mutati gli interessi del Potere oggi, e per Potere s’intendono ovviamente  gli Investitori internazionali. Come ho già scritto diverse volte, il Capitalismo che abbiamo sempre conosciuto, quello che viveva su un’umanità composta da un 20% di benestanti consumatori e da un 80% di schiavi che producono per loro, non esiste quasi più. E non solo.Quell’80% di schiavi si sono evoluti, e hanno cambiato nome: da poveracci neri, marron, o gialli, adesso si chiamano  Mercati Emergenti. E non solo.Mentre prima le loro economie, al netto delle loro materie prime, valevano solo il prezzo delle loro schiene rotte dal lavoro, oggi valgono cifre inimmaginabili. Ecco un quadro:Solamente Cina e India producono insieme 33 mila miliardi di dollari di beni e servizi, contro la rallentata UE con 21 mila miliardi e gli USA con 19,5. I sette  Mercati Emergenti principali, cioè Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Russia, e Turchia, hanno quasi raddoppiato il loro potere economico, mentre al contrario i Paesi del G7 stanno calando vistosamente nelle percentuali di PIL globale. Secondo uno studio della nota consultancy PwC Uk, nelle prime 32 economie dei prossimi quindici anni ben 20 saranno  Mercati Emergenti, con Cina e India che sorpassano gli USA, e l’Italia fanalino di coda umiliata persino da Vietnam, Filippine, Korea del Sud, Iran e Pakistan. Oltre tutto, è già stato ampiamente previsto che proprio l’odierna crisi degli Emergenti già cova in sé l’usuale rimbalzo sia speculativo che in termini di produzione, con profitti cosmici per gli investitori.Il punto: gli uomini con le scarpe da 5.000 dollari che stanno a Manhattan, Hong Kong, Davos, o a Francoforte sanno fare i loro conti coi soldi, e oggi, al contrario di solo pochi anni fa,  non si possono più permettere di ‘offendere’ quelli neri, marron o gialli. L’accusa, o anche solamente il sospetto, di simpatie o contiguità con la parola razzismo è fra le ultime cose che vogliono al mondo. Basta un titolo sul Wall Street Journal che insinui quella vicinanza e loro ci smenano miliardi in pochi minuti. No, non deve succedere. Ripeto che ” L’implacabile sobillare del padano nella direzione dell’ipertrofico allarme migranti ha appiccicato a questo governo una colossale etichetta di razzismo-xenofobia populista agli occhi di tutto il mondo, e ora non ce la leva più nessuno“. Unite i puntini e starete capendo cosa accadrà.L’Italia è un Paese ancora ricco, con un notevolissimo bottino in assets privati, che ispira grandi appetiti fra gli investitori internazionali. Si pensi solo che Assogestioni, che ha il polso del risparmio delle famiglie italiane, ha registrato a metà 2016 il suo record storico di patrimonio con 1.857 miliardi, più dell’intero PIL nazionale. E’ quindi ovvio che i Mercati non rinunceranno a operare in Italia. Ma fosse stato solo per gli sbraiti nazionali a tinteggiature razziste populiste di Matteo Salvini, e delle sue folle nelle piazze o sui Social, è anche possibile pensare che gli investitori internazionali avrebbero solo esercitato prudenza con Roma. In altre parole: far affari ma con un basso profilo. Invece, come detto,  tutto è cambiato per il peggio e senza rimedio dopo che Salvini si è associato inequivocabilmente, platealmente e sbracando del tutto con Steve Bannon e Viktor Orban. Un atto politico irresponsabile per il Paese.I Mercati pianificano il loro futuro in politica non a 8 stupidi mesi (le europee) come fa l’esaltato fan-club leghista, ma a 10 o 30 anni. Ora gli investitori internazionali, dopo l’irrimediabile svolta di cui sopra e, ricordo ancora, con ¾ di occhio puntato a tenersi buoni i Mercati Emergenti dei ‘neri, marron e gialli’,  stanno scegliendo l’unico loro possibile interlocutore rimastogli in Italia, quello che non rischia di finire sul Wall Steet Journal o Bloomberg come razzista populista:  il Centrosinistra, che peraltro fu sempre il loro favorito per il motivo detto a inizio articolo. Il 5 Stelle è per il momento fuori dai loro radar, perché incatenato (e sottomesso risibilmente) alla Lega. A cosa credete che stiano lavorando in quest’epoca i Romano Prodi, Mario Monti, Corrado Passera o i Giovanni Bazoli e naturalmente Mattarella e Draghi con la loro enorme rete di contatti in finanza e nelle Powerhouse del mondo?Per essere ancor più chiari: Big Business non potrà sposarsi con un trionfo a breve termine (2019) dei razzisti Bannon, Orban, Salvini e codazzo in UE. Starà calmo in superficie, mentre finanzierà sia la rapida caduta dei populisti che il ritorno dei soliti noti. Ancora dettagli.La storia delle spinte ai partiti da parte della lobbistica e dei Mercati, con finanziamenti, appoggi trasversali, lavori di persuasione mediatica, scolastica, accademica, e in particolare di terrorismo economico sugli elettori, l’ho lungamente descritta nella parte storica de  Il Più Grande Crimine, impossibile ripeterla qui.  Ne sarà beneficiario nei prossimi 5-10 anni il Centrosinistra, e tornerà a vincere. Basterebbero a questo fine anche solo le aste dei Titoli con cui si finanzia nostro Tesoro, perché sono loro a decidere chi governa o meno, e dunque se tu avrai una vita decente o invece una lunga miseria di fatiche. Quelle aste, di nuovo, le hanno totalmente in mano gli investitori internazionali di cui sopra, perché l’Italia, anche con Salvini e i suoi economisti in malafede, è incastonata nell’Eurozona senza che nessuno seriamente intenda togliervela.E’ desolante nella sua stupidità l’elettorato gradasso tinto di verde nella sua convinzione che nessuno più fermerà il Populismo. Balle,  loro stessi e per primi si squaglieranno al sole quando, per il motivo più che certo appena scritto nel paragrafo sopra, gli stolti Populismi europei  mancheranno miseramentedi ‘consegnargli il concreto’ nei portafogli. Avete presente i proverbiali topi che saltano dalla nave? Saranno nulla in confronto. Sappiamo bene di cosa è capace l’italiano medio nel suo genio supremo, il trasformismo.Ho descritto quella che sarà una catastrofe a tutto tondo, e per essa dovrete solo ringraziare Matteo Salvini nella sua smisurata e miope ambizione a divenire Leader dei Populismi dell’UE assieme a due appestati di fama mondiale, in quella che sarà una slabbrata avventuretta europea di pochi anni destinata agli sberleffi della Storia.Ma non è tutto. Ci sono i  FAANG.Sono ahimè pochissimi gli italiani che assieme a me si stanno rendendo conto che qualcosa di ancor più inaudito sta avvenendo alle spalle delle già epocali manovre post-Capitalismo sopra descritte. Please welcome i FAANG, cioè la dilagante conquista di ogni frammento di globo da parte delle tecnologie di Facebook ( F), Apple ( A), Amazon ( A), Netflix ( N), e Google ( G) – ma non ci si dimentichi di Alibaba, Tencent, Huawei, dall’altra parte del Pianeta, e di migliaia di altri simili al seguito in ogni dove. Come ho già scritto in due anni di lavoro, i colossi TECH vanno man mano acquisendo niente meno che  le Chiavi Private della vita sul Pianeta in ogni campo, dalla finanza alla Medicina alle comunicazioni; dai trasporti civili e commerciali all’energia alle materie prime; dagli alloggi alla Difesa al cibo stesso, e si potrebbe continuare all’infinito. Possono farlo perché sono loro, e non più il vecchio Capitalismo industriale, a brevettare quasi tutto ciò che di nuovo nasce sulla Terra da almeno 20 anni a questa parte. Ma di più:Il loro strapotere è balzato oltre l’atmosfera con il dilagare della loro Artificial Intelligence (Machine Learning in particolare), perché, come epicamente detto dal fondatore di Google-DeepMind Demis Hassabis ” Noi vogliamo padroneggiare l’intelligenza, e poi risolvere tutto il resto“. Questo fu geniale, perché davvero è solo l’intelligenza il motore dell’umanità e chi la controllerà con le TECH controllerà il mondo. Ma anche senza esplorare nei dettagli l’inimmaginabile nuovo potere dei FAANG e soci, chiunque oggi non viva nelle catacombe vede ogni giorno come la società e l’economia di ogni cm quadrato della Terra stiano vestendosi sempre più di FAANG.E rieccoci al punto: per motivi che ho per primo divulgato al pubblico di casa,  qui,qui e  qui, i nuovi padroni TECH del Pianeta  stanno correndo forsennatamente verso posizioni etiche sempre più avanzate, che piazzano in primo piano in ogni loro pubblica mossa, ricerca di laboratorio e prodotto. Fa parte del DNA della loro strategia di vendita globale. Occorrerebbe un saggio enorme per dare conto con esempi di questo, ma dovrebbe essere evidente a chiunque segua anche solo distrattamente il dibattito sulle TECH. Dunque se la parola ” Ethics” è spalmata dappertutto fra i padroni del futuro, le parole ” Racism” e la consociata ” Populism” sono per essi letteralmente virus di peste bubbonica, e anche solo sfiorassero l’immagine aziendale di questi colossi gli farebbero perdere tali volumi d’affari da impietrire i loro AD.Riapplicate su FAANG e soci quanto già detto sopra nel caso degli investitori internazionali, e ci risiamo: con un Salvini al governo che ora puzza internazionalmente del razzismo populista di Bannon-Orban, i padroni delle  Chiavi Private della vita sul Pianeta in ogni campo sterzeranno molto alla larga dalla Roma giallo-verde, e indovinate su chi punteranno? Vi rendete conto di che razza di spinta politica si tratta? Più che spinta, è una certezza.Concludo riprendendo il testimone da qui: “…  il Populismo italiano, prima di Salvini e dei suoi inguardabili compari, aveva il potenziale di svilupparsi in una nuova frontiera della difesa dei nostri Diritti costituzionali macellati dalla UE, alla luce del disgustoso tradimento della sinistra Politically Correct. Ora è un’etichetta marcia, inavvicinabile e senza futuro“. La colpa è ben ferma sulle spalle di Matteo Salvini, ” nella sua smisurata ambizione a divenire Leader dei Populismi dell’UE assieme a due appestati di fama mondiale, in quella che sarà una slabbrata avventuretta europea di pochi anni destinata agli sberleffi della Storia“. Mercati e FAANG  sono ora costretti a riportarci il Peggior ( P) Destino ( D) possibile, nella camera a gas chiamata Eurozona.Agli esagitati stupidi che ” il trionfo sarà fra 8 mesi” (le europee), ricordo ancora che oggi il loro futuro è pianificato a 10 o 30 anni a partire da questo minuto da chi gli finanzia il 100% dell’ossigeno di cui vivono. E con quest’arma in mano, quelli difficilmente perdono. Che il volere del popolo sia infermabile è la più sonora balla mai raccontata ai popoli. Da chi? Dai populisti alla Salvini.

2900.- Eni, ecco rischi e auspici sulla Libia.

L’Unione europea, senza una Costituzione, senza una politica estera e, quindi, senza sue Forze Armate, è soltanto un esattore per conto terzi. A Berlino, Merkel ha mostrato i suoi limiti, Erdogan la sua doppiezza e Conte la sua modestia. Conte ha dichiarato che il mini-summit tenuto a Berlino tra Germania, Francia, Regno Unito e Turchia, dopo la riunione fra i capi di Stato dei paesi della Nato aveva avuto come obiettivo quello di discutere della situazione in Siria e non in Libia. Credergli é impossibile dato che, comunque, avrebbe dovuto essere lui, sempre così mieloso e subalterno con la Merkel, a profittare dell’occasione per avanzare proposte più concrete riguardo al nostro interesse nazionale. Aggiungo, che è nostro interesse prioritario, non solamente, supportare l’ENI, ma, prima ancora, il popolo libico. Resta il dubbio che Conte non sia all’altezza del confronto con chi, alleato ipocrita, vorrebbe “farci fuori” dal settore dell’energia, nevralgico per il nostro Paese. Così, pochi giorni or sono, navi da guerra turche hanno scotyayo il trasporto Amazon che ha scaricato carri armati, blindati Kirpi per i terroristi di Salah Badi e mercenari terroristi a Tripoli. Di Maio si dichiara preoccupato! Vendiamole queste portaerei! Siamo al 12° giorno di blocco della produzione provocato dalle milizie fedeli a Khalifa Haftar. Il maresciallo ha capito bene come deve rispondere alle arpie straniere che bramano la preda. Il governo italiano non con lui e nemmeno è presente come si dovrebbe in Libia; semplicemente, sembra averla abbandonata o per sfiducia o, come è più probabile, per incapacità. Continua a dichiararsi sostenitore di al-Sarraj, che lo ha abbondantemente scaricato. Si propone amico del popolo libico con il solito ospedale da campo, come già in Vietnam, in Libano e come con l’ospedale militare da campo italiano nell’aeroporto di Herat. Al-Sarraj non controlla la Libia. Chi, in Italia, sta ostacolando il maresciallo Khalifa Haftar, sta rinviando sine die la rinascita della Libia e non vede più in là del proprio naso.

di Giusy Caretto

libia

Che cosa sta succedendo in Libia sul fronte energetico. I numeri della Noc. E le parole di Descalzi (Eni)

La produzione di petrolio, in Libia, è ancora ridotta. E rischia di bloccarsi del tutto nei prossimi giorni, secondo quanto annunciato dalla stessa Noc, la compagnia energetica statale libica. Le perdite superano oramai i 500 milioni di dollari. Per ora le conseguenze per Eni, che in Libia vanta una delle sue presenze maggiori, sono contenute, ma diversi rischi sono in agguato. Ed è per questo che Claudio Descalzi, nelle scorse ore, è intervenuto in modo netto sull’argomento.

L’INTERVENTO DI ENI

“La situazione si sta complicando e ora c’è più preoccupazione”, ha detto l’ad di Eni, Claudio Descalzi ai giornalisti, a margine del progetto Dtt.

“Con il blocco della produzione di petrolio è come togliere ossigeno alle persone. Siamo a 12 giorni di produzione bloccata, ma quello per la Libia è ossigeno. I nostri colleghi della compagnia libica hanno espresso una grande preoccupazione che va capita e amplificata”, ha dichiarato Descalzi, ricordando che ha contatti continui con il suo omologo della Noc Mustafa Senalla.

“Sono nostri colleghi e amici, che hanno difficoltà sempre maggiori. E in tutto questo il cessate-il-fuoco neanche è stato innescato e la diplomazia internazionale deve occuparsi costantemente di questo problema”, ha spiegato il capo azienda di Eni.

COSA SUCCEDE IN LIBIA

Facciamo un passo indietro. Dal 18 gennaio sono ferme tutte le esportazioni di petrolio dai porti di Brega, Ras Lanuf, Hariga, Zueitina e Sidra. Una milizia vicina ad Haftar ha bloccato l’oleodotto che trasporta il greggio dal giacimento alla raffineria di Zawiya, sulla costa del Mediterraneo, e la valvola di arrivo dell’oleodotto che rifornisce la raffineria di Melliath, gestita dalla “MOG”, Mellitah Oil & Gas, la società in joint venture fra Noc (compagnia petrolifera nazionale della Libia) e l’italiana Eni.

IL CALO DELLA PRODUZIONE

I 10 giorni di blocco hanno portato la produzione a scendere a 271 mila barili al giorno (da 1,2 milioni). Numero che si deve anche a un leggero aumento della produzione (9 mila barili) dal giacimento di Sharara allo scopo di rifornire l’impianto elettrico di Ubari per garantirne il continuo funzionamento.

LE PERDITE

Le perdite si sono attestate a 77 milioni di dollari giornalieri, e ad oggi, sempre secondo i numeri forniti dalla Noc, hanno superato i 500 milioni di dollari.

PRODUZIONE POTREBBE FERMARSI

Ma le perdite potrebbero salire in modo vertiginoso, dal momento che la produzione di petrolio della Libia potrebbe “fermarsi completamente tra alcuni giorni”, come spiegato da un funzionario libico a Bloomberg.

“Il paese sta attualmente pompando 262 mila barili al giorno e potrebbe scendere a 72 mila barili in pochi giorni”, ha aggiunto il funzionario.

ECONOMIA LIBICA A RISCHIO

L’eventuale blocco della produzione potrebbe mettere in ginocchio l’economia di Tripoli. Noc, la compagnia petrolifera libica, gestisce joint venture con partner stranieri (tra cui Eni) e le acquisizioni di prodotti raffinati per uso interno. I soldi di queste transazioni vanno alla Libyan Foreign Bank e quindi alla Banca centrale.

I RISCHI PER ENI

Ma torniamo ad Eni e ai rischi per la compagnia italiana. La produzione libica di Eni si aggira sulle 260 kboed (chilo barili di olio equivalente) su un totale di circa 1.9 milioni di kboed. Per ora la compagnia sta subendo perdite contenute, perché la produzione maggiore è nel gas, che, come spiega Il Sole 24 ore, “arriva in Italia dal terminal di Zwara attualmente sotto il controllo della milizia locale legata al presidente del Governo di accordo nazionale, Fayez al Serraj”.

LA PRESENZA DI ENI IN LIBIA

Le attività di Eni in Libia:

Area A, comprendente l’ex Concessione 82 (Eni 50%);
Area B, ex Concessione 100 (Bu-Attifel) e il Blocco NC 125 (Eni 50%);
Area E, con il giacimento El Feel (Eni 33,3%);
Area F, con il Blocco 118 (Eni 50%)
Area D, con il Blocco NC 169, nell’ambito del Western Libyan Gas Project (Eni 50%);
Area C, con il giacimento a olio di Bouri (Eni 50%);
Area D, con il Blocco NC 41, parte del Western Libyan Gas Project.

2899.-PRIMA L’AUSTERITÀ, POI, L’INVASIONE E, ORA, LA PESTE! IL TROPPO È TROPPO!

DA FACEBOOK

Il governo cinese ha messo in pericolo la vita di milioni di persone e i suoi laboratori militari di Wuhan hanno già innescato una pandemia mortale nel mondo. A che scopo le Forze Armate cinesi preparano questi virus? È vero che vi hanno collaborato scienziati francesi? 
L’Oms ammette d’aver sottovalutato l’epidemia di Coronavirus partita da Wuhan. Per Pechino, i morti sono saliti a 106 e i contagiati superano i 4.000. Una fonte da Wuhan, ieri, parlava, invece, di 9.000 morti su 170.000 casi. 
Ultima Ora, la Tass, Russia Today annunciano: La Russia ha chiuso i confini con la Cina a causa dell’epidemia di coronavirus. Il premier russo Mishustin ha firmato l’ordine che chiude la frontiera in estremo oriente per evitare il propagarsi del coronavirus. Noi abbiamo cinesi ovunque. La scorsa settimana un aereo da Wuhan ha sbarcato a Fiumicino 200 passeggeri: nessuna quarantena, soltanto termometro e analisi del sangue via! ma si sa che il virus non è visibile durante l’incubazione e che questa dura anche due settimane. Attendiamo, comunque, le misure del governo per il controllo degli arrivi dall’estero. Una quarantena di 15 giorni non ha mai ucciso nessuno, nemmeno i trafficanti delle ONG che fan servizio di traghetto per chi non si sa da dove venga. Solo oggi, la nave Ocean Viking ha sbarcato a Taranto 2 casi di TBC. 2 dei 403 migranti, traghettati dalla Libia che son stati fatti sbarcare a Taranto da Conte e dal ministro Lamorgese. 
Il rischio di una pandemia globale esiste ! Ricordo che la Cina ha in Africa migliaia di persone che curano gli interessi cinesi in quei paesi. 
Ponte aereo per i cittadini USA. Per i 66 italiani? Guardate il pilota del ponte aereo dalla Cina per i cittadini USA.

Mario Donnini

Secondo la Società Italiana di Terapia Antinfettiva la mortalità da corona virus è attorno al 2%, mentre per la Sars il dato era del 10% e per Mers del 30%. Gianni Rezza, direttore del Dipartimento Malattie infettive dell’Istituto superiore sanità, parla di “livelli di letalità forse leggermente maggiori dell’influenza” e avverte che i morti sono perlopiù anziani o affetti da malattie croniche. Matteo Bassetti, professore ordinario di Malattie infettive e direttore della clinica Malattie infettive, Ospedale San Martino di Genova, ricorda che la polmonite batterica provoca ogni anno 11.000 decessi solo in italia e che nel nostro paese ogni anno circa 5.000 persone muoiono a causa di complicanze respiratorie da influenza. A questo punto qualche interrogativo si pone…

Alberto Godena

2898.- Libia, colloquio Trump-Erdogan. «Mantenere il cessate il fuoco. No a interferenze straniere»

La Turchia non è, non potrà mai essere il leader del Mediterraneo. Erdogan, evidentemente, non ha il pieno controllo della Turchia e raccoglie consensi con le iniziative di un imperialismo fuori tempo e senza criterio. Ha invaso un altra concessione dell’ENI, contando sul silenzio del governicchio italiano, ma questa politica finirà per far saltare la NATO. Ecco, dunque, l’alt di Trump.

martedì 28 gennaio 18:54 – di Redazione

libia

Difendere il cessate il fuoco in Libia. Donald Trump e Erdogan hanno avuto un colloquio telefonico a poche ore dalla presentazione del piano di pace dell’amministrazione Usa per il Medio Oriente.PUBBLICITÀ

Telefonata tra Trump ed Erdogan sulla Libia

«I due leader hanno parlato della necessità di eliminare le interferenze straniere e mantenere il cessate il fuoco in Libia. Hanno convenuto sul fatto che devono finire le violenze a Idlib». Così il tweet di un portavoce della Casa Bianca.Secondo quanto riferito dalle agenzie di stampa turche, Trump ha anche espresso le sue condoglianze al presidente Erdogan per il terremoto che ha colpito la Turchia orientale, il 24 gennaio.Coronavirus: i retroscena di “Anonymous”, che cita anche il “Secolo”Trump svela il suo piano per il Medio Oriente: “Sovranità condizionata per i palestinesi”. Se ci riuscisse?

Durissimo il giudizio del premier turco su Haftar definito un mercenario. «È un soldato pagato da altri. E non ha alcun riconoscimento ufficiale. Né in Libia, né da parte della comunità internazionale», ha detto Erdogan nel corso di una conferenza stampa in Senegal. Poi ha parlato di  «sostegno finanziario fornito dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Egitto»’al generale libico. Il  presidente turco ha ribadito il suo sostegno al primo ministro del governo di Tripoli Fayez al-Sarraj, dicendo che non può essere messo allo stesso livello di Haftar.

Abbattuto un drone delle forze di Haftar

Intanto un drone delle forze al comando del generale libico Haftar è stato abbattuto all’alba nella zona di Misurata. Lo riferisce il portale di notizie The Libya Observer senza fornire altri dettagli.  L’operazione Vulcano di rabbia delle forze fedeli al governo di Tripoli ha confermato che la difesa aerea ha abbattuto il drone a est di Misurata.  Come riportato da vari media, si tratterebbe di un drone emiratino.

Un netto rifiuto delle interferenze straniere in Libia è stato espresso dal Consiglio dei ministri dell’Arabia Saudita che si è tenuto a Riad sotto la guida di re Salman. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa ufficiale Spa, il governo di Riad ha ribadito il suo sostegno alla popolazione libica, condannando allo stesso tempo la violazione delle risoluzioni sulla Libia del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti e l’escalation delle operazioni militari nel Paese.

LA CONCLUSIONE DELL’ARTICOLO VUOLE, UNA NOSTRA NOTA: NON RIDETE, PER FAVORE! «L’Italia esprime preoccupazione per le violazioni della tregua in Libia . E ribadisce la sua contrarietà ad una soluzione militare della crisi». Così su  Facebook Luigi Di Maio. «Continueremo a  lavorare ogni giorno per una soluzione politica al conflitto libico. Siamo preoccupati per le violazioni della tregua registrate nelle ultime ore. L’unica strada, lo ribadisco, è quella del dialogo, a partire dal prossimo incontro del Comitato militare misto».

Così, il Secolo d’Italia. L’unico lavoro serio che poteva fare Di Maio era ed è levare il disturbo dalla Farnesina.

Intanto, in Libia, i combattimenti continuano ed è ragionevole pensare che cessare soltanto con la sconfitta sul campo di uno dei due contendenti. In questa ottica, la politica garantista, a chiacchiere, di Di Maio è semplicemente fallimentare. Khalifa Haftar è l’unico in grado di mantenere uniti i libici, che non si avvale di milizie di terroristi, come al-Sarraj e Erdogan e che può contenere l’opera nefasta dei mercanti di esseri umani, della banda Soros e dei suoi adepti prezzolati. L’LNA sta tentando diprendere il controllo delle ultime due roccaforti del GNA, Tripoli e Misurata, al fine di unificare la nazione nordafricana. è grottesco che lo Stato Maggiore turco e NATO sti prendendo parte ai combattimenti con i suoi mercenari, tagliatori di teste, come abbiamo documentato in Kurdistan.

Anche Macron ha accusato pubblicamente Erdogan di stare trasferendo in Libia i suoi mercenari terroristi, inquadrati nei reparti irregolari dell’esercito turco, mettendo a repentaglio la sicurezza del territorio europeo.

Macron lo ha dichiarato, durante una conferenza stampa con il Primo Ministro greco Kyriakos Mitsotakis a Parigi: “la Turchia ha violato gli impegni presi durante la conferenza di Berlino”, aggiungendo: “Negli ultimi giorni, abbiamo rilevato navi turche che trasportavano mercenari siriani che sono arrivati ​​in Libia “.
Ha, poi, continuato: “La Francia sostiene la Grecia e Cipro nella loro sovranità sui loro confini e sul mare e condanna il nuovo accordo tra la Turchia e il governo libico”.

È degno di nota il fatto che il presidente francese Emmanuel Macron abbia espresso grande preoccupazione per l’arrivo delle forze siriane e straniere in Libia e ha chiesto che ciò finisca immediatamente. Lo hanno chiesto Mattarella e Conte?

Il 19 gennaio, i leader dei paesi partecipanti alla conferenza di Berlino sulla crisi libica si erano impegnati a rispettare l’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite nel 2011 e a fermare qualsiasi interferenza esterna nel conflitto che esiste nel paese da anni. Alla conferenza di Berlino erano presenti: Stati Uniti, Russia, Francia, Gran Bretagna, Cina, Germania, Turchia, Italia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Algeria e Congo. Tutti hanno convenuto che non ci sarebbe stata una “soluzione militare” al conflitto che sta facendo a pezzi la Libia. I partecipanti hanno anche chiesto un cessate un fuoco permanente ed efficace.

Vi hanno partecipato anche quattro organizzazioni internazionali e regionali, vale a dire le Nazioni Unite, l’Unione Europea, l’Unione Africana e la Lega Araba. Queste valgono, praticamente, zero.

La settimana scorsa, le forze di difesa aerea del comando generale delle forze armate arabe libiche, LNA ha annunciato l’abbattimento di un drone turco vicino a Tripoli, dopo che era decollato dalla base aerea di Mitiga. Il drone era uno di quelli che le forze armate turche hanno fornito alle forze del governo di accordo nazionale (GNA) in Libia.

2897.- SULLA BATTAGLIA NAVALE DI LISSA

Oggi, siamo finiti a parlare dell’Unità d’Italia e, allora, …parliamo dell’ultima vittoria della Serenissima, magistralmente commentata dal Giornale de la Venetia.

LA BATTAGLIA NAVALE

“Uomini di ferro su navi di legno, hanno sconfitto uomini di legno su navi di ferro” … dal rapporto dell’ammiraglio Willelm von Tegetthoff “Brogliaccio” di bordo della “Ferdinand Maximilian”. La battaglia di Lissa fu teatro dell’ultima vittoria navale degli equipaggi della Serenissima.Il 20 luglio 1866 a Lissa, un’isola dalmata nell’Adriatico, si affrontarono la flotta italiana e la flotta Austriaca.
In realtà la flotta Austriaca era composta quasi completamente da equipaggi provenienti dalle terre una volta soggette alla Repubblica di Venezia: dal Veneto, dal Friuli, dall’Istria, dalla Dalmazia, oltre che da Trieste e da Oltremare, e TUTTI gli ufficiali avevano studiato presso la I.R. Scuola del Collegio Navale di Venezia.
Prima del 1797 non esisteva nemmeno una marina Austriaca ed è dopo quella data che nasce col nome di “OSTERREICH – VENEZIANISCHE MARINE” (Marina Austro-Veneta), composta da ufficiali e marinai provenienti dalle terre della ex Repubblica di Venezia, i quali avevano ben recepite le sue millenarie tradizioni marinare, militari, culturali e storiche.
Nel 1849, dopo la rivoluzione Veneta capitanata da Daniele Manin, vi era stata una “austriacizzazione” nella denominazione ufficiale e l’espressione “Veneta” venne tolta; inoltre fra gli ufficiali vi era stato un certo ricambio ed il tedesco era sì diventato la lingua primaria, ma non fra gli equipaggi. Infatti questo cambiamento non poteva essere fatto in così breve tempo. I nuovi marinai continuavano ad essere reclutati nelle terre Venete dell’impero asburgico, e non certamente nelle regioni Alpine o Austriache.
NOTA In realtà potevano anche essere arruolati nell’I.R. Marina coloro che abitavano in località situate sui fiumi che sfociano in mare; così potevano essere arruolati giovani di Trento e Merano, bagnate dall’Adige, ma non di Bolzano.”…

LO SCONTRO CON LA FLOTTA AUSTRIACA

Il comandante della flotta austriaca a Lissa, contrammiraglio Wilhelm von Tegetthoff.

… “La flotta austriaca, al comando dell’ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff, è partita da Pola, decisa a non perdere una simile occasione d’oro, quella di attaccare la scompaginata flotta italiana sparpagliata intorno a Lissa.
Tegetthoff ha sette corazzate di ferro, più vecchie e meno veloci di quelle italiane anche se bene armate.
In tutto dispone di ventisette navi e di 178 cannoni a canna liscia, contro i 252 cannoni italiani a canna rigata.
Si trova quindi in condizioni di inferiorità.
Divide le sue forze in tre squadre, prende il comando della prima e affida le altre due al capitano di vascello Petz e al capitano di fregata Eberle.
Egli è imbarcato sulla corazzata “Ferdinand Max”, l’ammiraglia che è al comando del capitano di fregata Sternack, e dirige verso Lissa.
Nella notte tra il 19 e il 20 luglio Persano è stato raggiunto dalla nave di trasporto “Piemonte” con altri cinquecento uomini di fanteria di marina, perché questo è il giorno in cui lo sbarco deve aver luogo a ogni costo.
Alle 7.50 del mattino del 20 luglio 1866 la nave “Esploratore” avvista la flotta austriaca in navigazione e avvisa l’ammiraglio italiano.
Alle 8.10 Persano ordina ad Albini di sospendere le operazioni di sbarco.
Non è più tempo di pensare all’occupazione dell’isola.
Ora si tratta di affrontare in battaglia gli austriaci.
Raduna frettolosamente le sue navi disperse per così contrastare in forze il nemico che sta avanzando in triplice formazione a cuneo.
Persano divide le navi in tre gruppi: in testa, la “Principe di Carignano”, la “Castelfidardo” e l”‘Ancona” al comando di Vacca; al centro la “Re d’Italia”, la “Palestro” e la “San Martino” ai suoi ordini; infine la “Re di Portogallo”, la “Terribile”, la “Varese” e la “Maria Pia” affidate al capitano di vascello Riboty.
Alle 11.15 la battaglia incomincia con il primo colpo di cannone, sparato dalla “Principe di Carignano”, al quale gli austriaci rispondono furiosamente.
Le prime navi di Tegetthoff passano arditamente nel varco tra L “Ancona” e la “Re d’Italia”.
Vacca accosta sulla sinistra, con il proposito di concentrare insieme con Riboty il fuoco delle sue corazzate sulle navi di legno austriache, ma le sue unità sono ormai distanziate tra loro.
Mentre Vacca ne ha abbastanza e si allontana, Tegetthoff punta alI’attacco della squadra italiana di centro, quella di Persano, con il grosso delle sue forze.
La “Ferdinand Max” piomba tra le navi di Persano, che nel frattempo era trasbordato sull “Affondatore”, e in questo preciso istante Tegetthoff si accorge che la “Re d’Italia” è ferma per un colpo che le ha bloccato il timone.
L’ammiraglia austriaca la sperona cogliendola in pieno al centro, sfasciandole la fiancata.
Mentre Albini resta inattivo, sotto costa, sulla “Maria Adelaide”, senza che le sue navi di legno sparino un solo colpo di cannone, e Vacca si allontana, una cannonata austriaca centra la “Palestro” che sta tentando di correre in soccorso della “Re d’Italia”.
Purtroppo il colpo di cannone va a finire sul deposito di carbone provocando l’esplosione della santabarbara e quindi l’affondamento della nave con duecentocinquanta fra ufficiali e marinai.
Resta ora per Tegetthoff il terzo gruppo di navi italiane e infatti la “Kaiser” di Petz muove all’attacco della “Re di Portogallo” di Riboty.
Questi accosta violentemente e le due navi strusciano l’una contro l’altra.
E la “Kaiser” a riportare i danni più gravi, sbandando in fiamme.
Persano se ne rende conto e vorrebbe finirla, speronandola con l’ariete del suo “Affondatore”.
Ma non sa bene come manovrare la nuovissima unità e va a finire che I “Affondatore” manca il bersaglio e la “Kaiser” può scamparla.
Vacca, vista colare a picco la “Re d’Italia, su cui crede imbarcato Persano, immagina che l’ammiraglio sia morto e che tocchi a lui prendere il comando.
Nessuno gli ha riferito che Persano si era invece trasferito sull’Affondatore.
Tenta allora di raccogliere intorno a sé quanto gli è possibile di corazzate italiane.
Ma Tegetthoff ha dato il segnale di radunata.
Sono le 11.45 e il combattimento è finito. GLI ESITI DELLA BATTAGLIA
Gli italiani hanno avuto due navi affondate e seicentoquaranta marinai annegati con esse, oltre a otto morti e quaranta feriti in combattimento.
Gli austriaci trentotto morti e centotrentotto feriti.
L’ammiraglio italiano, scombussolato e fuori di sé, esitò nell’inseguire il nemico, così gli austriaci se ne andarono indisturbati e Persano non approfittò delle otto ore di luce a sua disposizione prima del tramonto, per mettersi a caccia di Tegetthoff e attaccarlo.
L’infausta giornata si concluse con il ritorno, alle 22.30, di alcune navi italiane nelle acque della battaglia per raccogliere quei naufraghi di cui fosse stato possibile ancora il salvataggio.
Nella primavera del 1867 l’ammiraglio Persano venne messo sotto processo per la sconfitta di Lissa.
Guido Piovene, il grande scrittore ed intellettuale Veneto del ‘900, disse che “la battaglia di Lissa fu l’ultima grande vittoria della Marina Veneziana”.
In poco più di una sola ora l’abilità di Tegetthoff e il valore dei marinai Veneti ha consentito alla marina Austro-Veneta (come la chiamano ancora gli storici austriaci) di riportare una vittoria meritata.
Le perdite sono state complessivamente di 620 mori e 40 feriti fra gli equipaggi Italiani, e di 38 morti e 138 feriti fra quelli austro-veneti. CURIOSITA’
1) – L’ammiraglio comandante Willhelm von Tegettoff, benchè fosse in tutto e per tutto un Deutschosterreicher, era registrato a chiare lettere nell’apposito registro come Guglielmo Tegetthoff – e questo lo si può ancora vedere presso l’archivio dell’attuale Collegio Navale Francesco Morosini di Venezia.
2) – Tutti gli ufficiali erano a perfetta conoscenza della lingua Veneta, al punto che gli ordini venivano in lingua Veneta! NOTA. Nell’I.R. Marina Austro-Ungarica la lingua d’uso dagli ufficiali ai marinai fu sempre, fino al 1918, la lingua Veneta, nonostante i vani tentativi dell’ammiraglio Horty di introdurre la lingua ungherese.
3) – Il Nocchiero che era al timone della ammiraglia Austriaca, la “Ferdinand Maximilian”, e che speronò affondandola l’ammiraglia Sardo-Ligure-Siculo-Napoletana, la “Re d’Italia”, si chiamava Vincenzo Vianello, da Pellestrina, detto el Graton e fu decorato con la medaglia d’oro al valor militare da Francesco Giuseppe: fu una delle tre medaglie d’oro e delle cento quaranta d’argento elargite in quel giorno ai marinai Veneti ( su un totale di 14 d’oro e di 240 d’argento: le altre furono concesse agli ufficiali austriaci!)
4) – Al momento dello speronamento, Tegetthoff disse in Veneto al Vianello daghe dentro, Nino, che i butemo a fondi!
5) – Al momento dell’affondamento della nave Italiana, da quelle Austriache si levò un solo grido VIVA S. MARCO(tratto da: http://venicewiki.org/wiki/Battaglia_di_Lissa


WILHELM VON TEGETTHOFF

Tegetthoff-lithographie

Wilhelm von Tegetthoff, a volte citato anche come Guglielmo di Tegetthoff (Marburgo, 23 dicembre 1827 – Trieste, 7 aprile 1871), è stato un ammiraglio austriaco.
Artefice della vittoria della flotta austriaca nella battaglia di Lissa.
Secondo di cinque figli, Wilhelm von Tegetthoff nacque nell’allora Impero austriaco il 23 dicembre 1827 a Marburgo, in Stiria (attualmente Maribor, in Slovenia), da una nobile famiglia originaria della Vestfalia.
Suo bisnonno servì il Sacro Romano Impero come capitano di cavalleria durante la guerra dei sette anni (1756-1763) ed elevato alla nobiltà ereditaria da Maria Teresa, un suo prozio, Joseph von Tegetthoff, fu cavaliere dell’Ordine militare di Maria Teresa.
Suo padre, Karl von Tegetthoff, entrò nell’Esercito imperiale nel 1805, l’anno prima che Napoleone Bonaparte dichiarasse di non riconoscere più l’esistenza del S.R.I. della nazione germanica, la cui terra governata dalla Casa d’Asburgo divenne quindi nota come Impero austriaco.
Karl von Tegethoff combatté la guerra di liberazione contro Napoleone (1813-1815) ed in seguito trasferito alla guarnigione di Marburgo.
Sua madre invece era figlia di un impiegato civile di Praga.
Il 28 novembre 1840, allora tredicenne, Guglielmo di Tegetthoff entrò nella Imperial e regia scuola dei cadetti di marina alloggiato negli stabili dell’antico monastero di Sant’Anna, a Castello, Venezia.
All’epoca l’Imperial Regia marina austriaca subiva ancora l’influenza della componente veneta, la base navale e l’arsenale erano anch’essi basati nella città del leone di San Marco e Tegetthoff venne preparato alla carriera imparando il veneto, lingua di comando della Marina.
Il 21 luglio 1845 Tegetthoff completò il ciclo di studi, di tredici membri della sua classe solo due completarono il corso.
Alla campagna del 1848 non prese parte in mare, ma come aiutante di campo del viceammiraglio Anton Stephan Ritter von Martini e del feldmaresciallo-luogotenente Ferencz Gyulai; nel 1849 fu sull’ Adria al blocco di Venezia.
L’anno 1854 ebbe il primo comando, quello della scuna Elisabetta, d’onde passò sul Taurus.
Le stazioni del Levante e del Mar Nero gli procacciarono distinzione e presto anche il favore dell’arciduca Massimiliano.
Una campagna scientifica nel Mar Rosso, ed il comando del Friedrich al Marocco, una campagna al Brasile in qualità di aiutante dell’arciduca riempiono il periodo 1857-1860; l’autunno del quale ultimo anno fu comandante il Radetsky nei mari di Siria.
Si distinse durante la guerra dei Ducati affrontando, il 9 maggio 1864, al comando di una formazione austro-prussiana al largo di Helgoland, forze navali danesi.
Conquistò fama quale artefice della clamorosa e bruciante sconfitta italiana nella battaglia di Lissa del 20 luglio 1866, quando la flotta austro-veneta, formata in prevalenza da vascelli obsoleti, sbaragliò quella italiana, affondando due corazzate e causando la perdita di 640 uomini.
Va ricordato che la flotta italiana contava un numero superiore di navi, per giunta di fattura moderna.
Una, l’Affondatore, era stata costruita addirittura in Inghilterra e dotata di un rostro di otto metri.
All’ammiraglio Tegetthoff viene anche attribuita una celebre frase di scherno nei confronti dei nemici: «Navi di legno comandate da uomini con la testa di ferro hanno sconfitto navi di ferro comandate da uomini con la testa di legno», con la quale voleva forse attribuire la responsabilità della sconfitta ai comandi italiani, in particolare a Carlo Pellion di Persano.
Il 25 febbraio 1868 Francesco Giuseppe I nominò infine Tegetthoff comandante della marina e capo della Marinesektion.
Negli anni successivi venne dato avvio al programma di sviluppo della marina concepito dall’ammiraglio, con l’istituzione di scuole di addestramento e corsi di formazione, nonché con l’inizio di spedizioni all’estero per temprare gli equipaggi, allacciare rapporti commerciali e diffondere il prestigio della k.u.k. Kriegsmarine.
Quando l’ammiraglio Tegetthoff morì a Trieste di polmonite, il 7 aprile 1871, all’eroe di Lissa vennero tributati grandi onori militari a Vienna.
Alla morte di Tegetthoff, monumenti in suo onore vennero innalzati a Vienna, Marburgo e Pola, porto militare principale dell’impero. ONORIFICENZE MILITARI 

Commendatore dell'ordine militare di Maria Teresa
Cavaliere di III classe dell'Ordine della corona ferrea

PATRIOTI VENETI CADUTI NELLA BATTAGLIA NAVALE DI LISSA

PATRIOTI VENETI CADUTI PER LA PATRIA NELLA BATTAGLIA NAVALE DI LISSA CONTRO L’ITALIARiprendiamo il bell’articolo apparso oggi su “La Voce di Venezia” firmato da Ettore Beggiato, in cui si ricorda ancora una volta, e mai ci stancheremo di farlo, la battaglia di Lissa, che vide la vittoria della Marina Austro/Veneta (per ovvie ragioni formata da vascelli ed equipaggi totalmente Veneti) sulla ben più numerosa e avanzata, in termini di mezzi, ma assoutamente sgangherata nell’ammiragliato (nonché finanziata dai francesi) marina italiana.

In quella che viene ricordata come l’ultima vittoria della Serenissima, dopo la precedente disfatta italiana a Custoza, particolarmente significativa perché combattuta sul campo di battaglia preferito di Venezia, il mare, molti Veneti persero la vita forse con la consapevolezza che l’italia non avrebbe portato nulla di quanto promesso, come libertà e uguaglianza, ma solo miseria e sottomissione.
Si dice che la storia è scritta dai vincitori, ma non lo fu in questo caso, con gli italiani battuti su entrambi i fronti, tanto da far sbottare l’allora imperatore francese, Napoleone III, con la celebre frase “Un’altra sconfitta e mi chiederanno Parigi”, indirizzata alle questuanti armate italiane, scevre di successi, ma provvide di richieste.
Altrettanto ignobile fu il comportamento dell’italia alla fine delle ostilità, per legittimare infatti quel vero e proprio genocidio perpetrato contro i Veneti, contro la loro storia e cultura, l’italia semplicemente cancellò con un colpo di spugna tutto ciò che esisteva prima di quel famigerato 1866.
Dai libri di “storia” spariscono allora Lissa e Custoza e soprattutto viene negato ai valorosi eroi Veneti che combatterono contro l’invasione delle nostre terre, probabilmente considerati nemici da parte del regime italiano e soprattutto pericolosi, in quanto alle generazioni future avrebbero instillato il dubbio, la curiosità di scoprire da che motivazioni furono spinti quegli uomini di ferro su navi di legno, che sconfissero gli uomini di legno su navi di ferro, che ora indottrinano e mercificano i nostri giovani.
Riportiamo quindi, col capo chino in segno di rispetto, alcuni nomi di valorosi che caddero quel giorno, in cuor loro convinti di aver difeso la propria Patria, ultimi vittoriosi caduti per Venezia.

Medaglie d’oro:
PENSO TOMMASO Chioggia
VIANELLO VINCENZO detto GRATAN Pellestrina – Venezia

Medaglie d’argento di prima classe:
ANDREATINI ANTONIO Venezia
PENZO TOMMASO detto OCCHIAI Chioggia
MODERASSO ANTONIO Padova
PREGNOLATO PAOLO Loreo – Rovigo
GHEZZO PIETRO Malamocco – Venezia
DALPRA’ MARCO Venezia
FILIPUTTI ANGELO Palmanova – Udine
DINON GIROLAMO Maniago – Udine
VARAGNOLO ROMA PIETRO FERDINANDO Chioggia
FILIPPO GIUSEPPE Palmanova – Udine
VIDAL BORTOLO detto STROZZA Burano – Venezia

Medaglie d’argento di seconda classe:
GAMBA FRANCESCO Chioggia
ROSSINELLI FEDERICO Venezia
CAVENAGO GIOACCHINO Padova
SCARPA ANGELO ZEMELLO Pellestrina – Venezia
BOUTZEK IGNAZIO Venezia
BUSETTO GIOVANNI ANTONIO Pellestrina – Venezia
PITTERI LUIGI Venezia
GIANNI GIUSEPPE Chioggia
CEROLDI LUIGI GIOVANNI Venezia
MOLIN LUIGI Burano – Venezia
RAVAGNAN GAETANO Donada – Rovigo
SCARPA TOMMASO Chioggia
BORTOLUZZI FERDINANDO Venezia
PREGNOLATTO DOMENICO Contarina – Rovigo
GALLO EUGENIO PAOLO Adria – Rovigo
BOSCOLO LUDOVICO Chioggia
FERLE REDENTORE Venezia
GRASSO LUIGI ANTONIO Chioggia
MARELLA LUIGI ANTONIO Chioggia
NARDETTO DOMENICO Padova
LAZZARI FRANCESCO Venezia
GARBISSI PIETRO Venezia
AMBROSIO ANSELMO Latisana – Udine
FANUTO DOMENICO Venezia
SALVAZZAN ANTONIO Padova
ALLEGRETTO LUIGI Burano – Venezia
VIDALI MASSIMILIANO Maniago – Udine
MARCOLINA ANTONIO Maniago – Udine
VARISCO FRANCESCO Chioggia
BENETTI PASQUALE Padova
BUSETTO CARLO Pellestrina – Venezia
PENSO LUIGI detto MUNEGA Chioggia
NOVELLO RINALDO Venezia
SCOLZ PASQUALE Palmanova – Udine
BOSCOLO CASIMIRO Chioggia
VENTURINI ANGELO detto CIOCOLIN Chioggia
DONAGGIO FRANCESCO Chioggia
NORDIO LUIGI Venezia
MELOCCO detto MEOCCO GIOVANNI Venezia
BOSCOLO VINCENZO Chioggia
SFRIZO AUGUSTO Chioggia
ALLEGRETTO (NEGRETTO) AUGUSTO Burano-Venezia
GALIMBERTI GIOVANN Chioggia
L’articolo originale (QUI)

2896.- SULL’ABBRIVIO DELLA CAMPAGNA ELETTORALE, SI RIPARTE.


I consensi raccolti dalla campagna elettorale, a tre voci, del centro-destra mostrano che noi, italiani consapevoli, guardiamo ai fatti e alla coerenza di chi cerca il nostro bene sopra ogni totem della sinistra di ieri, della sua gestione del potere e del globalismo europeo di oggi. Le tre anime del centro-destra devono ora compattarsi meglio, portando ciascuna il suo contributo, accettando e tramutando in ricchezza il limite postogli dalle altre. La propaganda di ognuno può avere successo da questo piedistallo, se estemporanea e se non si tramuta in eccessiva sintesi, fino a nascondere i contenuti. Così gli slogan sono acclamati sopratutto dai militanti; sono fanfare e bandiere che accendono le masse, ma sono sterili e, più velocemente, si spengono. Alla fine, se i risultati tardano, suonano come un disco rotto e lasciano incredulo chi cerca concretezza. Il Popolo italiano non crede più nei partiti chiusi. Siamo come una buona terra, in gran parte incolta e da qui, come il bravo contadino che vanga la terra, deve ripartire il centro-destra, con un impegno educativo su tre fronti, uno più impegnativo dell’altro: la voce della leadership, la consapevolezza e la qualità dei militanti, ambasciatori e non acclamatori, la coesione dei cittadini intorno ai temi comuni, quelli, cioè, sacramentati nei Principi fondanti della Costituzione. Ma nello Stato c’è un più grande problema e sono la rappresentatività del Parlamento e i rapporti fra il Presidente della Repubblica, la Costituzione e il Popolo Sovrano. Mario Donnini

È noto che il partito degli acclamatori sia presente a destra come a sinistra dello schieramento politico e che nel centro-destra gli slogan siano costume nella Lega. Gli acclamatori e le consorterie rappresentano il limite della nostra cosiddetta democrazia. La Costituzione porta in sé una pecca nell’articolo 49, dove il ruolo fondamentale che affida ai partiti politici nell’assicurare la partecipazione dei cittadini alla vita politica non è accompagnato dalla loro disciplina, da principi guida, ma da una banalità: “…con metodo democratico.”

Il risultato è che con qualche varietà, in tutti i partiti, si ritrovano le stesse forme e gli stessi modi di articolarsi come sistema associativo. A livello organizzativo, sull’Alternanza, principio che condiziona la democrazia, prevalgono, localmente, le consorterie fra quanti, da un lato, ne vitalizzano gli assetti e, dall’altro, ne rappresentano il limite. Fu questo il tema della prima conferenza sulla Costituzione della nostra associazione VENETO UNICO e porto la convinzione che questa pecca sia stata voluta dai partiti, cosiddetti vincitori della Resistenza e, quindi, dai Padri Fondatori. Fra la libertà di partecipazione dei cittadini e l’autonomia regolamentare dei partiti, si scelse, evidentemente l’autonomia e la libertà dei partiti da vincoli alla forma associativa. In un tale assetto, i partiti si caratterizzano per i leader e per il valore dei militanti, accade, perciò, che prevalgano i partiti più numerosi, cioè, i numeri e, poiché la maggioranza è dei più ignoranti, prevalgono gli adulatori e gli acclamatori. Questi esprimono i leader, ne accompagnano il “verbo”, ma non direi che li aiutino a diffonderlo al di fuori di loro militanti. Anzi, possono creare un diaframma con il restante corpo elettorale. Stavo cercando di non additare la militanza leghista o certe sdolcinature delle elettrici di Forza Italia perché, fino ad oggi, questi partiti hanno dato i loro risultati; ma è da oggi che bisogna ingranare una marcia superiore e l’impegno è grande. I partiti devono aprire le porte ai contributi, più che alle tessere. Matteo Salvini ha scritto a Giorgia Meloni: “Prepariamoci a vincere”. Ecco, più che alla vittoria della mia parte, di una parte, ambirei alla vittoria di tutti gli italiani nella nuova “Prima elezione” della Repubblica del Lavoro. Prossimamente parleremo della possibile disciplina dei partiti politici.

Sul perché la crescita di Fratelli d’Italia al Nord e al Sud e quella di Forza Italia al Sud non è stata accompagnata da una ulteriore crescita della Lega, propongo questo articolo impietoso da L’INCHIESTA, intitolato pessimisticamente “Il naufragio del Capitano”.

linkiesta

Dal Papeete all’Emilia, la parabola discendente di Salvini frame by frame

Dalle elezioni anticipate mancate, al referendum elettorale, passando per la strigliata di Conte e le questioni in tema di giustizia. Le grane sono molte. E la colpa è anche di quel mojito a Milano Marittima

«Il Pilastro è il secondo Papeete di Salvini». Così Virginio Merola, sindaco di Bologna, chiude e racchiude in una sintesi finale una campagna elettorale, quella del golden boy leghista, capace di portarlo in cielo e poi inabissarlo nel giro di pochi mesi. Ebbene sì, anche Salvini è fallibile: lo è dove la politica ha ancora un valore predominante nella vita dei cittadini, lo è perché in fondo la dialettica delle scorciatoie propagandistiche non può durare in eterno, lo è da quel mojito di troppo sulle spiagge di Milano Marittima.
Tutto, infatti, ha inizio lì e fine nella risposta non pervenuta ai citofoni dell’Emilia Romagna.
Il Matteo Salvini del tutto e subito, dai consensi quasi renziani e una leadership di ferro sul centrodestra, adesso deve fare i conti con una coscienza, ora della maggioranza, ora degli alleati, che rispettivamente auspicano, dopo lo stop alle ultime regionali, un’inversione di tendenza a livello nazionale, e uno spazio di manovra dove riprendere fiato ed elettori.
«Rifarei tutto, anche quello», ha assicurato il leghista riferendosi al fatto del citofono. Refrattario alla realtà dei risultati o forse appositamente sornione, Salvini non può fare a meno di incassare la voce emessa a Pilastroil quartiere alla periferia di Bologna nel quale aveva improvvisato il blitz al citofono della famiglia d’origine tunisina, dove hanno votato in massa a sinistra. Bonaccini ha preso il 65%, il Pd il 41%, mentre la Lega si è fermata al 19% e Borgonzoni al 29. Idem a Bibbiano, eletta dal leghista come “capitale della campagna elettorale”, dove i 5.300 cittadini hanno preferito votare Stefano Bonaccini e il centrosinistra.
Insomma, l’incessante attività di Salvini tra una piazza e un selfie si è rivelata figlia di slogan scorretti e di una tattica sui social troppo provocatrice. Il risultato, oltre a quello elettorale? Il video in cui citofona alla famiglia tunisina è stato addirittura rimosso da Facebook perché in contrasto con le norme in materia di «incitamento all’odio» (nel frattempo la famiglia sta procedendo per vie legali nei confronti dell’ex ministro dell’Interno), mentre la semplificazione dei problemi, tra cui sicurezza e lavoro, non ha fatto breccia in una regione che, per senso pratico innato, ha bisogno di più contenuti e meno racconti del terrore.
Vittoriosa ma meno brillante è stata anche la partecipazione alle altre regionali, quelle in Calabria: le percentuali della Lega a confronto con i risultati raggiunti nella stessa regione per le europee, parlano di un consenso quasi dimezzato (22,61 per cento contro il 12,3 per cento di domenica).

Proprio da quest’ultimo scalino scivoloso, emerge pertanto il cammino, precario già da tempo, del capo leghista. I dolori del non più troppo giovane Salvini iniziano proprio al Papeete, quando la priorità era quella di far cadere il governo e andare a elezioni anticipate, dopo aver stracciato un contratto che lo vedeva subissare il partner in lungo e largo; uno scatto in solitaria che per molti resta ancora incomprensibile. Ad oggi: il governo è vivo e vegeto. Il flop di un accordo che per tanti era già concluso con l’altro Matteo, le suppliche verso l’allora leader pentastellato, e l’umiliazione in pubblica piazza per bocca del premier Conte sono soltanto il riscaldamento per un girone di ritorno a dir poco glaciale.

Poco importa la vittoria in Umbria, avvenuta più per merito dell’autolesionismo applicato dal Pd, causa le dimissioni del presidente Catiuscia Marini a seguito di una serie di inchieste e arresti riguardanti il sistema sanitario della Regione, che per virtù leghiste. La sensazione è quella di un’architettura senza fondamenta, senza alcuna prospettiva, costruita per affrontare le battaglie sbagliate: la Lega di Salvini ricorda l’infante disinteressato ma pronto, perché incapace di frenare gli istinti, a praticare intolleranza verso qualsiasi mossa che sfugge al suo controllo. Vedi la forzatura del referendum elettorale, bocciato dalla Corte di Cassazione.
C’è poi l’altro referendum, quello confermativo sul taglio dei parlamentari. Salvini lo ha votato e fatto votare, ricordandolo anche durante un comizio in Calabria: il voto costerà circa 300 milioni agli italiani e, salvo sorprese, dovrebbe avere un esito già stabilito, in opposizione a quanto espresso da Salvini stesso.
È poi la volta della coltellata inflitta dagli ex alleati in terreno europeo dove, solo qualche giorno fa, hanno votato il Global compact in aula a Strasburgo. L’emendamento, presentato dall’eurodeputato del Pd Pierfrancesco Majoirino e co-firmato dai dem Andrea Cozzolino e Giuliano Pisapia, dice sì al piano delle Nazioni Unite per una “immigrazione ordinata”. Lo stesso Movimento Cinque Stelle, nel 2018, sulla spinta leghista, portò l’allora governo Conte a non partecipare alla conferenza di Marrakesh per firmare lo stesso accordo.

L’Emilia Romagna, anche per questo, era una sorta di ultima chance per dimostrare a tutti chi comanda e magari spostare vecchie amicizie diventate inimicizie a livello parlamentare, di nuovo, dalla parte dei sostenitori. Un appuntameto regionale trasformato nell’ennesimo referendum nazionale (finito male), per poi dire “ehi, stavo scherzando, abbiamo perso ma non conta”, ha di fatto messo Salvini in una posizione di crisi.

Gli errori del capo, in grado di perdere e mai sopra legge, che sia questa di carattere politico o giuridico, e gli schianti nei luoghi simbolo – dal Papeete in poi – mostrano le lacune di una strategia troppo incline a coltivare l’idea di un nemico. È bene infatti ricordare che il 17 febbraio la richiesta di processare Salvini sarà discussa dall’aula intera del Senato. Un boomerang che il leghista potrebbe aver sottovalutato, sia il Pd sia il Movimento Cinque Stelle sia la Lega si sono espressi a favore del processo, a fronte del risultato deludente in Emilia-Romagna. La Lega potrebbe decidere di cambiare posizione e votare contro, certamente, così come potrebbe fare il Movimento Cinque Stelle per evitare guai più grossi, ma se anche il Senato dovesse approvare definitivamente l’autorizzazione, il Capitano avrebbe un’altra grana da sbrogliare nel suo carnet. Alla quale, per giunta, si aggiungono le elezioni in Toscana, Puglia, Campania e Marche, nelle quali il centrodestra, da una parte l’emergete Meloni e dall’altra il redivivo Berlusconi, potrebbero dettare liste e gerarchie. Detto ciò, non può essere tutto qui, in quanto, come descrive la voce narrante all’inizio del film L’odio, per Salvini il vero problema non è la caduta, ma l’atterraggio.

2895.-Relazione del Ministro della giustizia sull’amministrazione della giustizia e conseguente discussione. Intervento sen. Alberto Balboni.

SENATO DELLA REPUBBLICA
—— XVIII LEGISLATURA ——

184aSEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO STENOGRAFICO

MARTEDÌ 28 GENNAIO 2020

Relazione del Ministro della giustizia sull’amministrazione della giustizia e conseguente discussione (ore 16,07)

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca: «Relazione del Ministro della giustizia sull’amministrazione della giustizia».

Dopo l’intervento del Ministro avrà luogo il dibattito, i cui tempi sono stati stabiliti dalla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari.

Ha facoltà di parlare il ministro della giustizia, onorevole Bonafede.

BONAFEDEministro della giustizia.Signor Presidente, è davvero motivo di orgoglio per me essere nuovamente in quest’Aula e poter rappresentare quello che è stato il percorso intrapreso e portato avanti dal Ministero della giustizia nell’anno appena trascorso.

L’anno scorso, in questa stessa occasione, mi sono trovato a rappresentare un quadro delicato, nel quale i tratti della fiducia, del prestigio, del rispetto e dell’autorevolezza del sistema giustizia perdevano costantemente colore, sbiadendo a fronte delle lungaggini processuali e della diffidenza sempre più diffusa da parte del cittadino. È stato ed è ancora opportuno non tanto rivoluzionare il sistema, ma ricostruirlo, iniziando proprio dalle fondamenta, per garantire quella solidità, che è necessaria, per riportare ad un progressivo senso di ritrovata fiducia dei cittadini verso le istituzioni e verso la giustizia. Porre solide basi ha una sola traduzione: investimenti nella giustizia. Senza investimenti, ogni riforma per far fronte alle difficoltà e criticità che attraversano questo settore sarebbe destinata a fallire.

Si tratta di un settore cruciale. in cui la qualità delle risorse umane – consentitemi di ricordarlo – è elevatissima: magistrati, avvocati, personale amministrativo, tutti addetti ai lavori, che per decenni, praticamente da soli, hanno portato avanti la macchina della giustizia. È arrivato finalmente il momento di consegnare loro una infrastruttura che sia idonea a supportare così elevate qualità professionali.

Nel bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 sono stati previsti, per il Ministero della giustizia, stanziamenti per oltre 8,5 miliardi di euro e per questo 2020 l’ultima legge di bilancio ne ha previsti per quasi 9 miliardi di euro. Sono state previste ancora più risorse, dunque, rispetto al 2018 e ciò ha permesso di porre in essere uno sforzo senza precedenti, in termini di assunzioni della magistratura e del personale amministrativo. A maggio 2019 è stato pubblicato il primo decreto attuativo per la revisione delle piante organiche della Corte di Cassazione, aumentate di 70 magistrati. Contemporaneamente, gli uffici del Ministero hanno lavorato per la rideterminazione delle piante organiche degli uffici giudiziari di merito, la cui proposta è stata inviata già al Consiglio superiore della magistratura per i seguiti di competenza nel dicembre scorso. Tale intervento, che prevede la complessiva distribuzione di 600 nuovi magistrati, costituisce certamente il più incisivo degli ultimi decenni e si caratterizza per essere già interamente coperto finanziariamente.

Il potenziamento degli organici della magistratura troverà la sua continuità anche nel prossimo anno, considerando che nella legge di bilancio per il 2020 sono state previste modifiche alla legge n. 48 del 2001, finalizzate, tra l’altro, all’introduzione di piante organiche flessibili distrettuali.

La mole degli investimenti in questione dimostra concretamente che la giustizia non è più una voce ordinaria di bilancio, ma una vera e propria priorità dell’ordinamento nazionale.

Medesime considerazioni valgono con riferimento al personale amministrativo, rispetto al quale la legge di bilancio per il 2019 ha stabilito che il Ministero della giustizia, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente e soprattutto in deroga al turn over, è autorizzato ad assumere 2.903 unità nel triennio 2019-2021. Tali assunzioni in deroga vanno ad aggiungersi a quelle già consentite da novembre 2019, nell’ambito di una pianificazione complessiva dei reclutamenti di personale non dirigenziale per il triennio per la copertura di 8.756 vacanze.

Questa spinta finanziaria ha permesso nel corso dell’anno lo scorrimento di ulteriori idonei della graduatoria di assistente giudiziario, con l’assunzione di 635 unità, alle quali si aggiungeranno ulteriori 489 idonei, già convocati per la scelta della sede. È stata inoltre avviata la procedura relativa alla selezione per l’assunzione di 616 operatori giudiziari.

Con il decreto ministeriale del 18 aprile 2019 sono stati istituiti i profili delle figure professionali di funzionario tecnico e di assistente tecnico presso gli Uffici centrali e periferici dell’amministrazione giudiziaria. Le dotazioni di dette figure sono state determinate rispettivamente in 63 e 137 unità, in funzione del conseguimento di un più razionale assetto organizzativo del Ministero.

Un ulteriore risultato raggiunto lo si rinviene nel concorso pubblico per la copertura di 2.329 posti di funzionario, avviato con bando del 26 agosto 2019, che ad oggi ha già visto il sollecito e regolare espletamento delle preselezioni nel mese di novembre 2019.

Per quanto riguarda l’edilizia giudiziaria, con il trasferimento dai Comuni al Ministero della giustizia delle relative competenze, l’Amministrazione centrale ha assunto la gestione diretta di circa 926 immobili, in parte demaniali, in parte comunali e in parte in locazione da privati o altri enti. Questo passaggio è avvenuto probabilmente senza che fosse implementata sostanzialmente un’infrastruttura idonea a sostenerlo. Sono dunque necessari un’attenzione massima e un impegno costante al fine di soddisfare le richieste d’intervento nel più breve tempo possibile, con riferimento a tutte le attività che devono essere poste in essere direttamente dal Ministero. Si è dato corso ad un’attività d’interlocuzione con i provveditorati alle opere pubbliche, al fine di poter definire modalità operative e d’interazione necessarie ad una programmazione basata sull’esigibilità dei pagamenti. Il confronto ha evidenziato la necessità di approdare alla predisposizione di rapporti su base convenzionale tra le due Amministrazioni, quella della giustizia e quella delle infrastrutture e dei trasporti.

Per progetti d’investimento di medio e lungo periodo, il Ministero – individuando come proprio interlocutore istituzionale l’Agenzia del demanio – ha promosso la realizzazione in alcune città di poli della giustizia (le cosiddette cittadelle giudiziarie), attraverso la rifunzionalizzazione di immobili demaniali dismessi o in cattivo stato di manutenzione. In alcuni casi, come per la città di Lecce, il polo della giustizia interesserà beni immobili sequestrati alla criminalità organizzata, che verranno quindi asserviti all’esercizio delle funzioni giudiziarie. Proseguono allora i progetti relativi alle cittadelle giudiziarie di Roma, Bari, Perugia, Lecce, Vercelli, Trani, Messina, Catania, Milano, Velletri, Venezia, Bologna, Catanzaro, Sassari e Udine; prossimi alla sottoscrizione dei protocolli sono anche Taranto e Foggia.

La forte accelerazione al percorso già avviato sull’innovazione tecnologica ha gettato le fondamenta di una politica legislativa di sostanziale velocizzazione dei processi civili e penali e del sistema amministrativo generale.

Per favorire uno standard qualitativo elevato del sistema giustizia attraverso il corrente uso delle tecnologie si è passati attraverso una reingegnerizzazione dei sistemi che consentano la comunicazione tra sistemi operativi differenti, garantendo contestualmente lo scambio corretto di informazioni e la sicurezza dei dati.

La complessità dell’opera di adeguamento strutturale ha necessitato di cospicui fondi stanziati (pari a circa 650 milioni di euro ripartiti nel triennio 2019-2021) al fine di rendere a tutti i livelli il sistema giustizia più rapido ed efficiente con l’impegno ad intervenire sulle criticità finora emerse, in particolare nella evoluzione del processo telematico in ambito civile e nell’avvio del processo penale telematico. A dicembre, è stato rilasciato il software per il deposito telematico degli atti da parte degli avvocati: è in corso di pianificazione la sperimentazione a Napoli, Catania e Perugia (attendono il tavolo tecnico convocato per febbraio) e da giugno 2020 sarà implementato in tutti gli uffici. Da settembre 2019, è stata avviata la sperimentazione a Napoli e Genova per l’accesso remoto, per gli avvocati, al sistema dei tribunali di sorveglianza. Anche questa innovazione sarà estesa a tutti gli uffici entro giugno 2020.

Circa l’edilizia penitenziaria, la finalità principale è quella di migliorare contemporaneamente, da un lato, le condizioni di lavoro della Polizia penitenziaria e di tutti coloro che operano all’interno delle strutture, dall’altro lato, le condizioni di vita dei detenuti.

Le risorse riconosciute per il finanziamento degli interventi a cura dell’Amministrazione, per gli anni dal 2018 al 2033, ammontano a poco meno di 350 milioni di euro per creare nuovi posti detentivi e per aumentare la sicurezza degli istituti penitenziari e ammodernare tutto il sistema impiantistico e la dotazione della Polizia penitenziaria. Mi piace ricordare che sono stati già consegnati i padiglioni di Lecce, Parma e Trani, per un totale di 592 nuovi posti detentivi e altri 400 deriveranno dalla consegna, quest’anno, dei nuovi padiglioni di Taranto e Sulmona.

Dal punto di vista del personale, la priorità è stata quella di incrementare la dotazione organica, sia sul versante del settore civile che su quello del Corpo di polizia penitenziaria. Nel novembre 2019, hanno assunto servizio 189 unità del profilo di funzionario contabile. È, inoltre, in fase di definizione il decreto interministeriale, concernente l’assunzione di 45 dirigenti di istituto penitenziario di livello dirigenziale non generale. Del pari saranno completate, entro il corrente anno, le graduatorie relative alle progressioni economiche per complessive 671 unità.

Nello specifico, tengo a sottolineare come, nell’anno 2019, abbiano frequentato e terminato il corso di formazione per l’immissione in ruolo 1.470 agenti e 971 vice ispettori del Corpo della polizia penitenziaria. Al tempo stesso, nei mesi di giugno e settembre 2019 sono stati attivati due nuovi corsi per l’assunzione di 1.300 allievi agenti ed è stato altresì pubblicato un nuovo concorso pubblico per il reclutamento di ulteriori 754 allievi agenti, la cui assunzione avverrà, presumibilmente, fra il mese di aprile e giugno 2020. Sempre nel mese di aprile 2020 vi dovrebbe essere la nomina di 2.851 vice sovrintendenti che attualmente frequentano i corsi formazione già iniziati a settembre.

Anche in questo settore, dunque, è stato fondamentale costruire le basi per l’efficientamento del Corpo in termini di quantità e qualità di risorse lavorative, per poter poi operare un decisivo cambio di passo verso il rilancio professionale della Polizia penitenziaria, grazie alla predisposizione del testo normativo per il riordino delle carriere del personale delle Forze dell’ordine. Tale regolamentazione mira, tra l’altro, a ottimizzare la funzionalità organizzativa del Corpo di polizia penitenziaria e ad allineare la progressione in carriera del relativo personale agli omologhi ruoli delle altre Forze di polizia, così da consentirle di compiere quel decisivo salto di qualità atteso da decenni. Si tratta di dare, finalmente, alla Polizia penitenziaria un riconoscimento della sua importante ed essenziale funzione all’interno del sistema giustizia.

Relativamente a una problematica molto delicata, quale quella delle detenute madri, nel 2019 è proseguita l’attività di impulso all’attuazione della legge n. 62 del 2011, che vede ancora in corso di esecuzione due progetti finalizzati all’apertura di nuove sedi ICAM, rispettivamente a Firenze e Roma. Uno degli aspetti più problematici risiede nella necessità, non tanto di nuovi posti presso le strutture in senso assoluto, quanto piuttosto nel prevedere una più capillare e delocalizzata collocazione degli stessi ICAM.

Nel perimetro della certezza della pena vi è stata l’implementazione dei contenuti dei singoli percorsi trattamentali, a cui è stata attribuita maggiore concretezza con lo scopo finale di realizzare un consapevole reinserimento sociale dei detenuti e, allo stesso tempo, garantire un aumento della sicurezza per la collettività, limitando il rischio di recidiva.

A tal fine, il Ministero ha investito la maggior parte delle proprie energie puntando sul lavoro dei detenuti, come forma privilegiata di rieducazione. Alla data del 30 giugno scorso risultano 16.850 detenuti lavoranti, frutto anche dei circa 70 protocolli con enti per lavori di pubblica utilità. Proprio al fine poi di potenziare ulteriormente l’attività lavorativa dei detenuti, sulla base dei risultati emersi dalla sperimentazione del programma Lavori di pubblica utilità, lo scorso mese di ottobre è stata istituita la sezione «Mi riscatto per il futuro – Ufficio centrale per il lavoro dei detenuti».

Segnalo che per favorire percorsi trattamentali dei detenuti adulti, si è investito nell’ultima legge di bilancio in assunzioni mirate di 50 tra funzionari giuridico-pedagogici e mediatori culturali, 100 funzionari della professionalità pedagogica e di servizio sociale nonché di 18 dirigenti per gli uffici di esecuzione penale esterna.

Il carattere rieducativo si accentua ancor di più con riferimento ai minori autori di reato, rispetto ai quali l’attenzione è massima, lungo la duplice direttrice della gestione dei minori che entrano nel circuito penale e della prevenzione della devianza attraverso azioni progettuali e di ricerca. Si è individuato, in particolare, un modello esecutivo penale che, pur non rinunciando alla detenzione, vi ricorre solo quando nessun altro tipo di trattamento possa consentire di contemperare le esigenze sanzionatorie e di sicurezza con le istanze pedagogiche di una personalità in evoluzione. (Brusio).

CASINI (Aut (SVP-PATT, UV)). Signor Presidente, c’è un rumore insopportabile, non è possibile.

PRESIDENTE. In effetti vi è un brusìo di fondo che impedisce anche alla Presidenza di ascoltare con la dovuta attenzione. Prego, Ministro.

BONAFEDE, ministro della giustizia. Grazie, Presidente.

Parlando degli investimenti, mi sono riferito più volte al termine “fondamenta”, perché è evidente che si tratta di consolidare alla base un sistema così nevralgico come quello della giustizia attraverso interventi che, già visibili adesso, lo saranno ancora di più da quest’anno.

Si tratta, come ho sempre ripetuto, di azioni esecutive che non hanno colore politico, ma che correttamente individuano la giustizia quale bene e interesse dei cittadini, che deve rimanere il più possibile fuori dalle contese ideologiche. Quest’approccio ha consentito al Paese di proseguire nei progetti infrastrutturali più importanti, senza che la crisi politica di quest’estate pregiudicasse il perseguimento di obiettivi ormai non più rinviabili.

D’altronde, è praticamente unanime la voce di tutti gli addetti ai lavori che chiedono prima gli investimenti e poi le riforme normative che, a quel punto, possono svilupparsi su una rete infrastrutturale solida e – consentitemi l’espressione – con le spalle larghe. Con questo approccio, una volta attivata l’implementazione degli investimenti, è stato possibile confrontarsi, all’interno della maggioranza, sulle riforme del processo civile e del processo penale, con l’obiettivo di intervenire in maniera chirurgica sui tempi morti e sulle disfunzioni del processo, senza dar vita all’ennesimo capitolo di una inutile e decennale stratificazione legislativa.

Ritengo sia stato e debba continuare ad essere proprio questo l’elemento di massima discontinuità di questa maggioranza con quella che l’ha preceduta: la capacità di sapere affrontare le grandi riforme che consegneranno ai cittadini una giustizia celere ed efficiente. Si tratta di una capacità già dimostrata, nei fatti, in occasione dell’approvazione del disegno di legge delega sul processo civile in Consiglio dei ministri. Un impianto normativo che è stato attentamente vagliato in un tavolo con gli operatori del processo (Associazione nazionale magistrati, Consiglio nazionale forense, Unione camere civili, Organismo congressuale forense e Associazione italiana giovani avvocati), nella consapevolezza che proprio il confronto e a volte anche il contrasto siano il vero stimolo per operare in termini migliorativi sul processo civile, anche qualora permangano, come in questo caso, alcuni spazi di divergenza.

Con il disegno di legge delega in questione, si è puntato su un unico rito ordinario per le controversie civili davanti al giudice monocratico, con regole fondamentali che si applicheranno anche ai procedimenti davanti al tribunale in composizione collegiale e davanti alla corte d’appello; si è puntato su un atto introduttivo unico per tutti i procedimenti civili, su una razionalizzazione dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie e sull’accelerazione della digitalizzazione. Soprattutto, si punta sulla consapevolezza che, in un processo fondato su un contraddittorio prevalentemente scritto, le udienze debbano sempre avere una precipua e concreta utilità.

La riduzione della durata dei processi, allora, non passerà più soltanto attraverso una diminuzione del contenzioso, rispetto al quale anche il 2019 ha visto confermare la tendenza alla diminuzione delle pendenze civili (al 30 settembre 2019 le pendenze complessive risultavano 3.329.436, cioè il 2,8 per cento in meno rispetto al medesimo periodo del 2018) con un dato che è senz’altro positivo. Rispetto al 2018, le sopravvenienze sono calate di un ulteriore 1,7 per cento, confermando il trend decrescente degli anni scorsi: negli ultimi 10 anni il calo è stato addirittura del 36 per cento.

La vera sfida è eliminare, per quanto possibile, anche solo il dubbio che, oltre al grandissimo sforzo della magistratura e degli addetti ai lavori, la diminuzione delle pendenze sia dovuta alla aumentata sfiducia del cittadino verso il sistema giudiziario.

Sempre nel settore civile, all’inizio del 2019 è stato approvato il decreto legislativo n. 14, che rappresenta il punto di approdo di un percorso di riforma organica e coerente delle procedure concorsuali. Un percorso che, addirittura, è iniziato nella precedente legislatura.

Le modifiche normative introdotte hanno permesso un allineamento con la normativa europea e l’eliminazione di quell’isolamento che ha caratterizzato il sistema italiano della crisi di impresa. (Brusio).

PRESIDENTE. Per cortesia, vi pregherei di prestare un attimo di attenzione, perché davvero stiamo affrontando uno dei temi più importanti che sono sul tappeto del dibattito politico. Chi vuole parlare può andare fuori, ma qui in Aula seguiamo quello che dice il Ministro. Prego, Ministro.

BONAFEDE, ministro della giustizia. La ringrazio, Presidente.

Dopo l’approvazione, inoltre, vi è stato un dialogo profondo con gli addetti ai lavori e con gli operatori economici, al fine di valutare l’impatto della nuova disciplina e la sua sostenibilità concreta in relazione al tessuto economico, giungendo, in sede di correttivi, a meglio calibrare le norme sulla fase di allerta sulla realtà imprenditoriale, prorogandone l’entrata in vigore per le piccole e medie imprese.

Per quanto concerne l’ambito penale, nell’anno appena trascorso sono state approvate alcune leggi particolarmente rilevanti.

Mi riferisco, innanzitutto, alla legge 9 gennaio 2019 n. 3 (cosiddetta spazzacorrotti) che è intervenuta, in materia di lotta alla corruzione, inserendo l’agente sotto copertura tra gli strumenti investigativi, il cosiddetto DASPO ai corrotti, le norme in materia di trasparenza dei finanziamenti ai partiti, l’irrigidimento del regime detentivo dopo la condanna definitiva nonché un nuovo regime di prescrizione entrato in vigore il 1° gennaio 2020. Combattere senza tentennamenti né cedimenti la corruzione è un dovere morale delle istituzioni, degli operatori economici, dei responsabili delle amministrazioni pubbliche, di tutti i cittadini, per incrementare le opportunità di crescita economica, sociale e culturale della nostra comunità nazionale.

La corruzione indebolisce lo Stato di diritto, anche considerando che l’azione criminale dei poteri mafiosi, come hanno dimostrato tante indagini, spesso è alimentata proprio attraverso il metodo corruttivo.

Molte delle novità introdotte hanno permesso al nostro Paese l’allineamento alle indicazioni degli organismi europei e alle raccomandazioni provenienti dalle sedi sovranazionali. Nell’ambito del Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) presso il Consiglio d’Europa, è stata rappresentata l’importanza della legge cosiddetta spazzacorrotti, che ha permesso di superare le problematiche rilevate nel corso del III ciclo di valutazione nei confronti del nostro Paese.

Il GRECO dunque si è congratulato con l’Italia per gli sforzi compiuti e il nostro Paese non sarà più sottoposto ad ulteriori verifiche dell’ottemperanza alle raccomandazioni sui temi del III ciclo, che è stato ritenuto positivamente concluso. In ambito OCSE il nostro Paese si prepara ad essere valutato, per la IV fase, nel 2020, dopo avere favorevolmente definito le verifiche delle fasi I, II e III con l’approvazione dei relativi rapporti.

La ricerca della legalità e il principio della certezza della pena sono alla base anche della recente riforma dei reati tributari, all’interno del decreto fiscale: lo Stato dimostra di essere, ancora una volta e sempre di più, dalla parte dei cittadini onesti che pagano le tasse.

Un’altra legge particolarmente rilevante è la n. 69 del 2019: il cosiddetto codice rosso. È proprio grazie al Parlamento che la struttura normativa originaria, finalizzata a garantire la tempestività dell’intervento dello Stato rispetto alla denuncia di una donna, si è arricchita di ulteriori profili fondamentali: penso, per esempio, alle norme sul revenge porn, sull’inasprimento delle pene per la violenza sessuale, sul deturpamento del viso, sull’inapplicabilità del bilanciamento delle attenuanti per garantire la certezza della pena, sull’induzione o costrizione al matrimonio.

Il cosiddetto codice rosso è stato ampiamente apprezzato in sede di valutazione dell’Italia davanti alle Nazioni Unite nel corso del IV ciclo di revisione periodica universale sul rispetto dei diritti umani nel nostro Paese. Chiaramente, essendo la violenza di genere una problematica estremamente complessa, che implica interventi non soltanto giuridici ma anche di carattere culturale e sociale, è importante chiarire che la legge in questione rappresenta un importante punto di partenza di un percorso che potrà arricchirsi di altri interventi normativi.

Il 2019 si è infine chiuso con l’approvazione del decreto-legge in materia di intercettazioni, con il quale si opera finalmente un contemperamento delle esigenze di indagine con quelle relative al diritto di riservatezza e di difesa.

Infine, mi sia permesso di cogliere l’occasione per menzionare l’intensa attività legislativa portata avanti proprio dal Parlamento in quest’ultimo anno, attività rispetto alla quale il Ministero della giustizia ha avuto l’onore di fornire la sua fattiva collaborazione. Penso all’introduzione della nuova disciplina sulla class action, la legge n. 31 del 2019 ma anche alla legge del 21 maggio 2019, n. 43, che ha varato una incisiva modifica dell’articolo 416-ter del codice penale in materia di voto di scambio politico mafioso.

Lo scopo di difendere i cittadini più esposti alla violenza e ai soprusi ha guidato anche la costituzione, all’interno del Ministero della giustizia, della squadra speciale per la protezione dei minori, che ha consentito di acquisire dati mai prima rilevati sugli affidi, consentendo la mappatura di una realtà che negli ultimi decenni è stata coinvolta in fatti gravissimi. In un anno e mezzo (cioè dal primo gennaio 2018 al trenta giugno 2019) i minori collocati in ambiente terzo sono stati 12.338: essendo il primo monitoraggio, mancano termini di confronto con il passato.

Dopo aver terminato la prima fase di raccolta e monitoraggio, l’attività della squadra speciale per la protezione dei minori proseguirà con l’elaborazione di proposte normative e con una interlocuzione con gli altri soggetti pubblici coinvolti, a partire dal Ministero per la famiglia e pari opportunità e dal Ministero della salute. L’obiettivo sarà anche quello di fornire un contributo al dibattito parlamentare, che già ha ad oggetto alcune proposte di legge sul tema.

Per quanto concerne il tema delle ingiuste detenzioni, su mio diretto impulso, nei primi mesi del 2019 è stato ampliato lo spettro degli accertamenti dell’Ispettorato generale sulla applicazione e gestione delle misure custodiali, estendendo la verifica a tutte le ipotesi di ingiusta detenzione e non soltanto alle cosiddette scarcerazioni tardive. È la prima volta – e sottolineo: la prima volta – che il Ministero della giustizia predispone, in modo strutturale, un simile capillare monitoraggio sulle ingiuste detenzioni.

L’Ispettorato generale, nei primi mesi dell’anno 2019, ha provveduto all’acquisizione dei dati di flusso relativi ai procedimenti iscritti nell’ultimo triennio (2016-2018) presso le corti d’appello, che permettono di valutare analiticamente l’incidenza delle domande indennitarie su base distrettuale, oltre che nazionale e aggregata per macroaree omogenee.

Sono in fase di riforma due ulteriori interventi normativi di particolare rilievo. Mi riferisco, in primo luogo, al disegno di legge recante «Nuove norme in materia di tutela penale degli alimenti», che recupera e aggiorna i lavori importanti della cosiddetta Commissione Caselli della scorsa legislatura. Il coordinamento e la collaborazione con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali hanno consentito di scrivere un testo fondamentale, che è già pronto per l’approvazione in una delle prossime sedute del Consiglio dei ministri. È stato invece già approvato, sempre in sede di Consiglio dei ministri, il disegno di legge recante «Disciplina del divieto di pubblicizzazione parassitaria (ambush marketing)», che sarà in grado di accreditare l’Italia quale Paese all’avanguardia nella garanzia del corretto svolgimento delle manifestazioni, anche attraverso la tutela degli interessi commerciali degli sponsor, degli operatori e delle federazioni che organizzano i predetti eventi.

È stato presentato in Parlamento (nello specifico, al Senato) il disegno di legge sulla magistratura onoraria, che valorizza il contributo fondamentale che la magistratura onoraria ha sempre fornito al sistema giustizia e che, come tale, è meritevole di un riconoscimento giuridico netto. Auspico che il percorso parlamentare rappresenti l’occasione per arricchire il testo di norme migliorative laddove il Parlamento lo riterrà opportuno.

Quando parliamo di protagonisti del sistema giustizia, parliamo ovviamente anche degli avvocati. Ecco perché ho inteso porre tra gli obiettivi del Ministero il rafforzamento del cosiddetto equo compenso, che riguarda la sfera non solo economica, ma – ancora prima – della dignità professionale dell’Avvocatura, elemento cardine del sistema di garanzia dei diritti dei cittadini. A tal fine, nel mese di luglio 2019, è stato stipulato un protocollo istitutivo di un nucleo centrale di monitoraggio della legge sull’equo compenso, che ha lo scopo di segnalare in concreto le violazioni dell’attuale disciplina.

È già stato depositato in Parlamento (al Senato) anche il disegno di legge costituzionale per l’inserimento, nell’articolo 111 della Costituzione, di principi in materia di funzione e ruolo dell’avvocato. Non mi permetto e non mi permetterei mai di invadere gli spazi parlamentari, soprattutto se si considera che stiamo parlando di una proposta di modifica di rango costituzionale. Mi sia soltanto consentito sottolineare che una norma di questo tipo consentirebbe di riconoscere e consacrare la fondamentale funzione sociale, prima ancora che giuridica, dell’avvocato.

È ormai noto, inoltre, che all’interno della maggioranza si è aperto un vero e proprio cantiere, oggi in corso, avente a oggetto due proposte di riforma: una relativa al processo penale e l’altra concernente il CSM e la magistratura. Per quanto riguarda quest’ultima, posso anticipare che la finalità è garantire l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, rafforzando anche, in tal senso, la separazione tra la politica e la magistratura stessa. La bozza in questione (perché di bozza si parla) affronta anche il tema del sistema elettorale per l’elezione dei componenti del Consiglio superiore della magistratura. Tra i principi sottesi a questa riforma c’è quello di escludere qualsiasi distorsione dovuta alle cosiddette degenerazioni del correntismo. Per quanto concerne, invece, il progetto di riforma del processo penale, lo scopo è quello di intervenire con una serie di misure che finalmente possano ridurre i tempi dei processi, garantendone la ragionevolezza, oltre che i diritti di tutte le parti coinvolte.

Tengo a dire che all’esito di questo tavolo, portato avanti tra le forze di maggioranza, ci sarà anche un tavolo con gli addetti ai lavori (in particolare tutti i soggetti che ho menzionato prima con riferimento al tavolo sul processo civile, soltanto che qui ci saranno anche le Camere penali), proprio per confrontarci sul testo che sarà emerso all’esito del confronto politico attualmente in corso.

Mi preme sottolineare come tutti i progetti di riforma vengano sottoposti a un confronto tra addetti ai lavori e che da quest’anno è stata istituita, presso il Dipartimento per gli affari di giustizia, una squadra di monitoraggio sull’applicazione delle leggi in materia di giustizia approvate in Parlamento in questa legislatura.

Mi avvio alla conclusione: sul settore internazionale segnalo l’attenzione altissima nei confronti dei rapporti internazionali in sede multi o bilaterale, soprattutto per quanto concerne la prevenzione del terrorismo, il rientro dei terroristi latitanti all’estero e l’espulsione dei detenuti affinché scontino la pena nel loro Paese d’origine.

Ho già avuto modo di individuare i passi avanti che il nostro ordinamento ha compiuto nella lotta alla corruzione e i relativi riconoscimenti ottenuti nei consessi degli organismi internazionali di monitoraggio e controllo.

Rimandando alla relazione depositata tutti gli approfondimenti specifici, in questa sede voglio ricordare che, alla Conferenza dei Paesi parte della Convenzione ONU contro la corruzione del dicembre 2019, il tema del recupero dei beni confiscati ha avuto un ruolo centrale ed è stata approvata una risoluzione che, proprio su proposta della delegazione italiana, prevede che gli Stati parte si impegnino a considerare anche l’uso sociale dei beni confiscati.

Il potenziamento della lotta alla criminalità organizzata transnazionale è un obiettivo sempre prioritario che trova nella Convenzione di Palermo un imprescindibile strumento per un efficace contrasto ai più gravi fenomeni criminali. Uno dei più importanti, se non il più importante appuntamento internazionale di quest’anno, è la Conferenza delle parti della Convenzione di Palermo, dal 12 al 16 ottobre: è il ventesimo anniversario di questa Convenzione che si basa su un’idea di Giovanni Falcone ed è certamente un’occasione di riflessione generale sugli strumenti da rafforzare e migliorare nella lotta alla criminalità a livello internazionale e transfrontaliero.

Concludo, Presidente, specificando che quella esposta è una sintesi della ben più completa relazione che è stata depositata, ma non poteva che essere altrimenti per rispetto dei tempi del dibattito parlamentare. (Applausi dal Gruppo M5S).

Presidenza del vice presidente LA RUSSA (ore 18)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Balboni. Ne ha facoltà.

BALBONI (FdI). Signor Presidente, signor Ministro, cari colleghi, senza il pilastro della magistratura onoraria, la giustizia italiana – tutti lo riconoscono – sarebbe al collasso.

Eppure lei, signor Ministro, si è limitato a un fugace accenno, richiamando solo il disegno di legge in esame presso la Commissione giustizia, e ciò nonostante i giudici onorari siano in agitazione da mesi e sia ancora in corso, in questi giorni, in queste ore, l’astensione dalle udienze dei giudici di pace.

Fratelli d’Italia ritiene assolutamente urgente riconoscere ai giudici onorari la dignità che meritano. I tempi per arrivare all’approvazione di un disegno di legge sono troppo dilatati; occorre, signor Ministro, cari colleghi, un decreto‑legge, che abroghi la riforma Orlando per attribuire ai giudici onorari il giusto trattamento retributivo, previdenziale e assistenziale che meritano, commisurato alla funzione giurisdizionale che svolgono, prima che l’Europa condanni l’Italia per il vergognoso trattamento che stiamo riservando a questo pilastro della giustizia italiana.

Lei ha annunciato, ancora oggi, la riforma del processo penale, signor Ministro, dimenticando di averla annunciata già un anno fa, subordinando ad essa l’entrata in vigore della riforma della prescrizione ‑ o, per meglio dire, dell’abrogazione della prescrizione ‑ dopo il giudizio di primo grado. La riforma del processo penale, per garantire tempi certi e rapidi al processo penale, come prevede la nostra Costituzione, avrebbe dovuto essere approvata entro il 31 dicembre dell’anno scorso e ancora, signor Ministro, non c’è nemmeno il disegno di legge. Lei parla al futuro, parla sempre al futuro, ma sarebbe il caso che cominciasse a ricordare che lei è Ministro dall’inizio di questa legislatura.

La prescrizione entra in vigore ma la riforma del processo penale ancora non c’è. Lei sa, signor Ministro, che riforma della prescrizione significa ergastolo processuale per decine, centinaia di migliaia di imputati che, secondo la nostra Costituzione (anche se per lei non è così), sono innocenti fino alla sentenza definitiva, come prevede l’articolo 27 della Costituzione.

Una giustizia ritardata è una giustizia negata. Lo sanno bene gli oltre 300.000 imputati che tra qualche tempo ormai potranno chiedere il risarcimento dovuto dallo Stato in base alla legge Pinto, la n. 89 del 2001, per la ritardata giustizia. Ebbene, anziché lavorare sull’organizzazione del processo, anziché lavorare sulle risorse personali e strumentali necessarie a velocizzare il processo, cosa fa lei, signor Ministro, insieme alla sua maggioranza (in realtà, anche alla maggioranza precedente)? Abolisce la prescrizione, quasi che non fosse un diritto sostanziale di ciascun cittadino a vedersi riconoscere in tempi rapidi e certi se è innocente o se è colpevole secondo lo Stato.

Non parlo soltanto degli imputati, ma anche delle persone offese, che già oggi devono attendere tempi infiniti per vedere riconosciuti i loro diritti come parte civile nel processo penale. Lei pensi che su un milione e mezzo di processi penali oggi pendenti, oltre 300.000, come dicevo prima, sono già a rischio di ricorso ai sensi della legge Pinto.

Lei dice che tanto gli innocenti non vanno in carcere, ma poi la formulazione emendata dice che non vanno in carcere i condannati, ma neanche questa formulazione emendata è vera, perché non parlo soltanto dei 1.000 casi all’anno di ingiusta detenzione che subiscono cittadini innocenti e per i quali lo Stato italiano paga ogni anno milioni di euro di risarcimento, ma mi riferisco soprattutto al terzo di detenuti in custodia cautelare, molti dei quali alla fine del processo, quando finalmente arriverà, verranno riconosciuti innocenti ed assolti. Signor Ministro, questi sono cittadini assolti che però la detenzione l’hanno già subita molte volte in carcere, a volte agli arresti domiciliari. La cosa più grave è che la custodia cautelare costringe in carcere persone che magari non hanno ancora raggiunto limiti insopportabili di capacità a delinquere e dove le mandiamo? Le mandiamo in carcere, mettendole insieme magari a condannati a pene definitive anche per reati gravissimi, mandiamo all’università del crimine persone che magari, alla fine, risulterà che non hanno commesso alcun reato. Credo che la vera emergenza, anche per risolvere il problema dell’affollamento carcerario, sia riformare il codice di procedura penale affinché la detenzione cautelare in carcere sia una misura assolutamente straordinaria ed eccezionale e non la regola, come purtroppo oggi avviene, dal momento che ancora troppi magistrati interpretano la custodia cautelare come una pressione a confessare o una pressione a collaborare nei confronti dell’indagato. (Applausi dal Gruppo FdI e del senatore Pagano). Questa è la vera emergenza: mandare in carcere soltanto in casi straordinari ed eccezionali coloro che non sono ancora condannati a una pena detentiva. Questa sarebbe una vera misura di civiltà giuridica, sulla quale lei, nella sua relazione di 750 pagine, non ha speso una sola parola, caro Ministro. (Applausi dai Gruppi FdI e FIBP-UDC). Certo che le condizioni delle nostre carceri sono insopportabili. Sono insopportabili soprattutto per i cittadini di cui ho appena parlato, anche perché dentro le carceri c’è il 36 per cento di detenuti stranieri. Lei parla al futuro, signor Ministro, ma parli un po’ anche al passato: cosa ha fatto in questi due anni per quei famosi accordi bilaterali di cui tante volte ci ha parlato, per mandare gli stranieri a scontare la pena a casa loro, senza più subordinare il loro rimpatrio al loro consenso? Si lamentano tanto delle nostre carceri, ma nessuno di loro acconsente a scontare la pena a casa, nella patrie galere del Paese da cui proviene. Chissà mai perché? Mettiamo in atto queste misure, questi accordi bilaterali nei confronti di tanti Paesi di provenienza. Abbiamo argomenti anche legati ai generosi contributi che versiamo per la cooperazione internazionale. In queste condizioni i veri detenuti a tempo indeterminato sono gli agenti di custodia penitenziaria, costretti a lavorare in condizioni incredibili; a loro, sì, andrebbe fatto un grande monumento, altro che la vigilanza dinamica. Trentasettemila agenti di Polizia penitenziaria devono sorvegliare 41.000 detenuti liberi di circolare per il carcere e di fare tutto quello che pare loro all’interno. Questa è la vera tortura a cui sono condannati gli agenti di Polizia penitenziaria, nei confronti dei quali lei ha speso, sì, qualche parola, ma ancora troppo insufficiente. (Applausi dal Gruppo FdI e del senatore Pagano. Congratulazioni).