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6221.- Proteggere Israele è il compito numero uno di Washington

Cui prodest confondere l’antisionismo con l’antisemitismo? Ai sionisti, naturalmente; quindi …. C’è stato un tempo in cui gli Stati Uniti erano un simbolo di libertà e opportunità. Ora sono diventati motivo di imbarazzo a livello internazionale.

Di Philip Giraldi, pubblicato da The Unz Review l’8 maggio 2024

La Casa Bianca e il Congresso sono una sola cosa attorno alla bandiera della Stella di David

Immagine da ISPI

Quando, come previsto, il presidente Joe Biden approverà l’Antisemitism Awareness Act, il Dipartimento dell’Istruzione avrà il potere di inviare i cosiddetti osservatori dell’antisemitismo per far rispettare la legge sui diritti civili nelle scuole pubbliche e nelle università per osservare e riferire sui livelli di ostilità. nei confronti degli ebrei. I rapporti degli osservatori alla fine finiranno al Congresso che potrà proporre i rimedi necessari, incluso il taglio dei finanziamenti e la raccomandazione di accuse sui diritti civili in casi estremi. Una delle caratteristiche più deplorevoli della legge è che accetta la definizione di antisemitismo dell’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto applicata allo stato di Israele, criticando ipso facto l’antisemitismo dello stato ebraico. Il suo testo include il “prendere di mira lo Stato di Israele, concepito come collettività ebraica” come atto antisemita. In realtà, tuttavia, l’antisemitismo vero e proprio non è così diffuso come sostengono i partigiani israeliani. La maggior parte di ciò che chiamano antisemitismo è semplicemente una critica allo “Stato ebraico” dell’apartheid, legalmente autoproclamato, e gran parte dell’animosità che Israele sperimenta è l’opposizione al trattamento brutale riservato ai palestinesi. Dare una sanzione legale a questa presunzione secondo cui Israele deve essere protetto dai bigotti significa che gli Stati Uniti sono sulla buona strada per vietare del tutto qualsiasi critica nei confronti di Israele. Gli americani possono criticare il proprio paese o le proprie nazioni in Europa, o almeno sono in grado di farlo attualmente, ma parlare male di Israele potrebbe presto costituire un reato penale.

L’Antisemitism Awareness Act è solo un aspetto di come il potere dei gruppi ebraici organizzati sul governo e sui media sta plasmando il tipo di società in cui vivranno gli americani nel prossimo futuro. Sarà una società privata di numerosi diritti costituzionali fondamentali, come la libertà di parola, a causa del rispetto delle preferenze di un piccolo gruppo demografico. E l’aspetto più interessante di quel potere è il modo in cui è riuscito a nascondere con successo il fatto di esistere, diffondendo allo stesso tempo il mito secondo cui gli ebrei e Israele meritano una considerazione speciale perché sono spesso o addirittura sempre percepiti come vittime, un’estensione della il mito dell’olocausto.

In effetti, negli ultimi tempi Israele è sempre presente nelle notizie e molto spesso completamente protetto dai media e dagli elementi parlanti, soprattutto se ci si limita a guardare Fox o leggere il Wall Street Journal, il New York Times o il Washington Post. Anche il ripugnante Benjamin Netanyahu ottiene spesso una buona stampa, mentre i manifestanti pacifisti studenteschi non violenti sono invariabilmente descritti come terroristi anti-israeliani o pro-Hamas anche quando vengono aggrediti da delinquenti sionisti guidati da un ufficiale delle operazioni speciali israeliane e finanziati e armati da miliardari ebrei, come è accaduto. recentemente a Los Angeles.

Tuttavia, a volte qualcosa sfugge alle difese e rivela fin troppo chiaramente cosa sta succedendo. Recentemente, rispondendo alla domanda di un giornalista, il Segretario di Stato Anthony Blinken ha fatto un’affermazione alla quale non crederà assolutamente nessuno che abbia trascorso del tempo a Washington. Il giornalista aveva chiesto se il governo federale, nelle sue decisioni di politica estera, tendesse a favorire e/o scusare il comportamento di alcuni paesi condannandone altri esattamente per le stesse azioni. Blinken ha risposto “Applichiamo lo stesso standard a tutti. E ciò non cambia se il Paese in questione sia un avversario, un concorrente, un amico o un alleato”.

Tutti nella stanza capivano molto chiaramente che Blinken non stava dicendo la verità e stava cercando di preservare la finzione secondo cui gli Stati Uniti vincolano alleati e clienti allo stesso standard di “ordine internazionale basato su regole” che usa per altri, in particolare le nazioni concorrenti. come Russia e Cina o avversari come l’Iran. Nessuno prende sul serio ciò che dice Blinken in ogni caso, e non aiuta la sua credibilità generale quando si sente obbligato a mentire senza alcun motivo.

Vorrei che qualcuno nella stanza avesse avuto l’ardire di citare uno dei commenti più vergognosamente partigiani di Blinken, il suo saluto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla pista dell’aeroporto Ben Gurion poco dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Ha detto: “Vengo davanti a voi come ebreo. Capisco a livello personale gli echi strazianti che i massacri di Hamas portano per gli ebrei israeliani – anzi, per gli ebrei di tutto il mondo”. Ciò ha spinto qualcuno a mormorare: “No Anthony, tu sei il Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America. Sei lì per rappresentare gli interessi americani volti ad evitare una grande guerra in Medio Oriente, non per rappresentare gli interessi della tua tribù dichiarandoti uno di loro”.

L’incontro di Blinken con Netanyahu è stato particolarmente significativo poiché pochi a Washington dubiterebbero che la Casa Bianca e il Congresso di Joe Biden si siano arresi totalmente agli interessi israeliani invece di servire i bisogni dei loro elettori negli Stati Uniti. Paul Craig Roberts lo descrive come “Il Congresso degli Stati Uniti è diventato un’estensione del governo israeliano”. Per rispondere onestamente alla domanda del giornalista, Blinken avrebbe dovuto ammettere che il governo Biden è pienamente impegnato a proteggere Israele e anche i suoi interessi percepiti quando sono in conflitto con la normale politica statunitense. Mercoledì l’amministrazione Biden ha dichiarato di aver ritardato indefinitamente un rapporto richiesto che indagava sui potenziali crimini di guerra israeliani a Gaza che avrebbe dovuto essere pubblicato dal Dipartimento di Stato americano. Se il rapporto avesse concluso, come avrebbe dovuto, che Israele ha violato il diritto internazionale umanitario, gli Stati Uniti avrebbero dovuto smettere di inviare aiuti esteri a causa della Legge Leahy, che rende illegale per il governo americano fornire aiuti a qualsiasi forza di sicurezza straniera trovata commettere “gravi violazioni dei diritti umani”. Così Joe Biden e Anthony Blinken hanno deciso di approfondire il rapporto invece di proteggere Israele infrangendo la legge statunitense, anche se secondo quanto riferito hanno ritardato una spedizione di bombe per paura che venissero usate sui civili a Rafah. Tuttavia, Biden intende chiaramente quello che dice quando ripetutamente inciampa nel confermare che le garanzie di sicurezza degli Stati Uniti nei confronti di Israele sono “corazzate”. In effetti, il legame con lo Stato ebraico va ben oltre ciò che generalmente è dovuto a chiunque venga descritto come un alleato, cosa che Israele, anche se non è una democrazia, non è in ogni caso, poiché un’alleanza richiede sia reciprocità che una precisa comprensione delle linee rosse nella relazione.

Niente illustra meglio la totale sottomissione di Washington a Israele di come gli Stati Uniti si stiano inutilmente coinvolgendo in una discussione che potrebbe rivelarsi un grave imbarazzo, oltre che un problema, nelle relazioni dell’America con molti stati stranieri. E, come spesso accade, si tratta di Israele. Ci sono notizie confermate secondo cui la Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aia si sta preparando a emettere mandati di arresto per Netanyahu e altri due alti funzionari israeliani in relazione a crimini di guerra legati al genocidio in corso contro gli abitanti di Gaza. Secondo quanto riferito, Netanyahu si sta rivolgendo selvaggiamente ai suoi numerosi “amici” per impedire un simile sviluppo. E, in linea con la convinzione di Washington e Gerusalemme secondo cui ogni buona crisi merita un uso eccessivo della forza o addirittura una soluzione militare, ci sono già rapporti secondo cui pressioni, comprese minacce, vengono esercitate sia da Israele che dagli Stati Uniti contro i giuristi del tribunale. e diretti anche contro le loro famiglie. Il governo israeliano ha avvertito l’amministrazione Biden che se la Corte penale internazionale emetterà mandati di arresto contro i leader israeliani, adotterà misure di ritorsione contro l’Autorità palestinese che potrebbero portare al suo collasso, destabilizzando ulteriormente la regione. Israele sta anche conducendo canali diplomatici paralleli in Europa per convincere i governi locali ad avvisare i loro rappresentanti in tribunale che sarebbe auspicabile sopprimere le sue indagini.

Netanyahu, che ha chiamato il presidente Joe Biden e chiesto aiuto, in risposta alle notizie ha twittato che Israele “non accetterà mai alcun tentativo da parte della Corte penale internazionale di minare il suo diritto intrinseco all’autodifesa. La minaccia di sequestrare i soldati e i funzionari dell’unica democrazia del Medio Oriente e dell’unico stato ebraico al mondo è scandalosa. Non ci piegheremo”. Netanyahu ha anche denunciato i possibili mandati come un “crimine di odio antisemita senza precedenti”. Dato che le deliberazioni della Corte penale internazionale sono segrete, sembrerebbe che un giurista americano o britannico debba aver fatto trapelare la storia per consentire a Netanyahu di organizzare una campagna contro di essa. La Casa Bianca e il Congresso si stanno già muovendo a tutta velocità per far sparire i mandati e stanno esplorando opzioni per affrontare direttamente e screditare la corte nel caso in cui gli israeliani venissero effettivamente puniti.

Gli Stati Uniti non hanno nulla da guadagnare e molto da perdere nel confronto con la Corte penale internazionale, poiché la Corte è generalmente molto rispettata. E altri potrebbero arrivare. Ci sono rapporti secondo cui i pubblici ministeri della Corte penale internazionale hanno intervistato il personale medico di due dei più grandi ospedali di Gaza nelle loro indagini su altri possibili crimini di guerra commessi da Israele in relazione alle fosse comuni recentemente scoperte. La Corte penale internazionale è stata fondata nel 2002 come tribunale di ultima istanza per affrontare i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità che non sarebbero stati altrimenti affrontabili. La Corte è stata istituita dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale (Statuto di Roma). Israele non è parte dello Statuto di Roma e non riconosce la giurisdizione della Corte penale internazionale. Tuttavia, se dovesse essere emesso un mandato a nome di Netanyahu, i suoi viaggi potrebbero essere limitati, poiché i 123 paesi che riconoscono la corte potrebbero considerarsi obbligati ad arrestarlo.

Nel marzo 2023 c’erano 123 Stati membri della Corte. Gli Stati Uniti non ne sono più membri perché il 6 maggio 2002 gli Stati Uniti, dopo aver firmato in precedenza lo Statuto di Roma, hanno formalmente ritirato la propria firma e hanno indicato che non intendevano ratificare l’accordo. Un altro stato che ha ritirato la propria firma è il Sudan, mentre tra gli stati che non sono mai diventati parti dello Statuto di Roma figurano l’India, l’Indonesia e la Cina. La politica degli Stati Uniti riguardo alla Corte penale internazionale è variata a seconda dell’amministrazione. L’amministrazione Clinton ha firmato lo Statuto di Roma nel 2000, ma non lo ha sottoposto alla ratifica del Senato. L’amministrazione George W. Bush, che era l’amministrazione statunitense al momento della fondazione della CPI, dichiarò che non avrebbe aderito alla CPI. L’amministrazione Obama ha successivamente ristabilito un rapporto di lavoro con la Corte in qualità di osservatore. Da quel momento non vi è stato alcun cambiamento nello status, ma la relazione è considerata inattiva.

Cosa faranno gli Stati Uniti per salvare ancora una volta Israele? Ha già reso nota la sua posizione. La portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha dichiarato: “Siamo stati molto chiari riguardo all’indagine della Corte penale internazionale. Non lo supportiamo. Non crediamo che abbiano la giurisdizione”. Il vice portavoce Vedant Patel ha ribadito la sua posizione dichiarando: “La nostra posizione è chiara. Continuiamo a credere che la Corte penale internazionale non abbia giurisdizione sulla situazione palestinese”. Alla Casa Bianca si unirono i principali repubblicani del Congresso. Il presidente sionista della Camera Mike Johnson ha fatto pressioni sulla Casa Bianca e sul Dipartimento di Stato affinché “usassero ogni strumento disponibile per prevenire un simile abominio”, spiegando come ammettere il punto alla CPI “minerebbe direttamente gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Se incontrastata dall’amministrazione Biden, la Corte penale internazionale potrebbe creare e assumere un potere senza precedenti per emettere mandati di arresto contro leader politici americani, diplomatici americani e personale militare americano”.

Esiste un precedente nell’azione degli Stati Uniti contro la Corte penale internazionale. Il 2 settembre 2020, il governo degli Stati Uniti ha imposto sanzioni al procuratore della CPI, Fatou Bensouda, in risposta a un’indagine della corte sui crimini di guerra statunitensi in Afghanistan, quindi c’è una certa sensibilità al fatto che, poiché gli Stati Uniti sono il paese più grande del mondo principale fonte di crimini di guerra, sarebbe saggio delegittimare le agenzie che esaminano troppo in profondità questo fatto. Ma la Corte penale internazionale a volte ha la sua utilità, come quando l’amministrazione Biden ha accolto pubblicamente con favore un’indagine sui crimini di guerra condotta dalla Corte penale internazionale contro il presidente russo Vladimir Putin sulla guerra in Ucraina. Alla domanda sul perché gli Stati Uniti abbiano sostenuto un’indagine della Corte penale internazionale sui funzionari russi, Patel ha dichiarato che “non esiste alcuna equivalenza morale tra il tipo di cose che vediamo [il presidente russo Vladimir Putin] e il Cremlino intraprendere rispetto al governo israeliano”. dimostrando ancora una volta che ciò che Blinken ha detto al giornalista non aveva senso.

Il Partito Repubblicano sta cercando di superare la Casa Bianca nel dimostrare il suo amore per Israele. Una lettera firmata da dodici senatori repubblicani è stata inviata a Karim Khan, procuratore capo della Corte penale internazionale. La lettera minaccia i membri della corte sulla possibile incriminazione di Netanyahu e soci. Il gruppo di 12 senatori repubblicani che mi piace chiamare la “sporca dozzina” a causa degli ampi contributi politici che ricevono da fonti filo-israeliane, ha inviato una lettera al procuratore capo della Corte penale internazionale (CPI) Karim Khan in cui affermava che minaccia “sanzioni severe” se la corte andrà avanti con il piano di emettere mandati di arresto per Netanyahu, il suo ministro della Difesa e un altro alto funzionario. La lettera, datata 24 aprile, faceva riferimento all’American Service-Members’ Protection Act, una legge che autorizza il presidente a utilizzare qualsiasi mezzo per liberare il personale statunitense detenuto dalla Corte penale internazionale, anche se non si applica a Israele. Dice, in modo ridicolo, che “Se emettete un mandato di arresto contro un israeliano, lo interpreteremo non solo come una minaccia alla sovranità di Israele ma come una minaccia alla sovranità degli Stati Uniti” e continua negando che il La CPI ha giurisdizione anche per emettere mandati poiché Israele non è un membro della corte. L’apparente redattore, il senatore Tom Cotton, apparentemente non era a conoscenza del fatto che la Palestina è un membro della Corte penale internazionale e che i mandati di arresto sarebbero basati su crimini di guerra commessi da Israele sul suo territorio nominale, Gaza e Cisgiordania.

La lettera si conclude con una minaccia pesante: “Gli Stati Uniti non tollereranno attacchi politicizzati da parte della Corte penale internazionale contro i nostri alleati. Prendi di mira Israele e noi prenderemo di mira te. Se andrai avanti con le misure indicate in questo rapporto, ci muoveremo per porre fine a tutto il sostegno americano alla CPI, sanzioneremo i tuoi dipendenti e associati e escluderai te e la tua famiglia dagli Stati Uniti. Sei stato avvertito.” Pochi giorni dopo, la Corte penale internazionale ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna le minacce rivolte alla corte e afferma che i tentativi di “impedire, intimidire o influenzare in modo improprio” i funzionari della Corte penale internazionale devono “cessare immediatamente”. I 12 senatori repubblicani che hanno firmato la lettera includono Mitch McConnell, Tom Cotton, Marsha Blackburn, Katie Boyd Britt, Ted Budd, Kevin Cramer, Ted Cruz, Bill Hagerty, Pete Ricketts, Marco Rubio, Rick Scott e Tim Scott. Mancava solo Lindsay Graham, probabilmente impegnato a raccogliere sostegno per il suo piano di “distruggere i nemici dello Stato di Israele”. Cotton, che ha raccomandato alle persone disturbate dai manifestanti di affrontarli e picchiarli, ha anche introdotto una legislazione che nega l’agevolazione del prestito universitario agli studenti che hanno dovuto affrontare accuse statali o federali mentre manifestavano contro le morti a Gaza. Alcuni altri deputati repubblicani a corto di cellule cerebrali ma forti nei confronti di Israele stanno cercando di far deportare i manifestanti “condannati per attività illegali nel campus di un’università americana dal 7 ottobre 2023” per svolgere sei mesi di servizio comunitario a Gaza, anche se ciò potrebbe essere implementato non è chiaro. Il deputato Randy Weber del Texas ha spiegato: “Se sostieni un’organizzazione terroristica e partecipi ad attività illegali nei campus, dovresti assaggiare la tua stessa medicina. Scommetto che questi sostenitori di Hamas non durerebbero un giorno, ma diamo loro l’opportunità”.

Quindi gli Stati Uniti si batteranno nuovamente per Israele e Israele ignorerà ciò che verrà fuori ed eviterà qualsiasi conseguenza. I veri perdenti in questo processo saranno il popolo americano, che più chiaramente che mai vedrà e, si spera, riconoscerà di avere un governo che spende moltissimo tempo e denaro per Israele e fa cose promosse da gruppi ebraici. Abbiamo un potere legislativo ed esecutivo che sono stati corrotti e compromessi da cima a fondo, facendo sempre ciò che è sbagliato per le ragioni più egoistiche, spesso per lealtà verso governi stranieri come Israele a cui potrebbe importare di meno. Gli Stati Uniti una volta erano un simbolo di libertà e opportunità. Ora è diventato motivo di imbarazzo a livello internazionale.

6220.- Alta Tensione. Ministro degli esteri russo convoca ambasciatori di Francia e Regno Unito, mentre lo Stato maggiore ha dichiarato l’inizio delle esercitazioni delle forze nucleari tattiche. – AFV

La domanda che da convinti europeisti ci poniamo è: A quale titolo il presidente Emmanuel Macron e il ministro David Cameron hanno impegnato l’Unione europea e la Nato con dichiarazioni bellicistiche e con forniture di missili superficie – superficie Storm Shadow/Scalp? La miglior difesa è l’attacco, ma la domanda vale anche per la Casa Bianca che ha confermato l’invio di missili a lunga gittata AtacMS a Kiev, per rispondere agli attacchi di Mosca. E, come leggeremo, l’Italia sembra non essere da meno.

Da nova-project, di Micheli Fabrizio, 7 maggio 2024

Oggi pomeriggio sia l’ambasciatore britannico Nigel Casey (nella foto, non felicissimo) che l’ambasciatore francese Pierre Levy sono stati convocati al Ministero degli Esteri a Mosca, dove sono rimasti rispettivamente per trenta e quaranta minuti. Non hanno rilasciato dichiarazioni, ma ci ha pensato il Ministero degli Esteri russo. All’ambasciatore inglese è stato chiesto conto delle parole di David Cameron, secondo il quale l’Ucraina è autorizzata a usare armi britanniche per colpire il territorio russo, e gli è stato notificato che il governo russo le considera un’escalation molto seria: se dovesse verificarsi un’eventualità del genere, la Russia si riserva il diritto di colpire obiettivi militari inglesi “sia sul territorio dell’Ucraina che altrove”. Non sembra invece che all’ambasciatore francese siano stati fatti discorsi di obiettivi militari da colpire, ma poco dopo Macron ha dichiarato che la Francia sostiene l’Ucraina ma non è in guerra né con la Russia né col popolo russo, e non cerca un cambio di regime a Mosca.
Per dare un po’ più di sostanza al discorso fatto agli ambasciatori, ad ogni modo, poco prima del loro ingresso al Ministero lo Stato maggiore russo ha dichiarato che, su ordine di Putin, ha iniziato le preparazioni per esercitazioni delle forze nucleari non-strategiche (cioè tattiche) “nel prossimo futuro”, nel Distretto Militare Meridionale (che comprende Russia meridionale, territori annessi e Crimea) e con la partecipazione della flotta (ovvero, che le esercitazioni in questione saranno condotte nel Mar Nero). Le esercitazioni, continua lo Stato Maggiore, sono effettuate in risposta alle “affermazioni provocatorie e alle minacce di certi funzionari occidentali” nei confronti della Federazione Russa.
È chiaro che le esercitazioni non saranno condotte con missili nucleari, ma che verranno testati solo i meccanismi di dispiegamento, comando e controllo. Ad ogni modo è un’escalation seria, che viene in risposta a una serie di escalation altrettanto serie da parte di Francia e Gran Bretagla – da cui appunto la convocazione degli ambasciatori. Le dichiarazioni di Macron potrebbero lasciare intendere che il messaggio è stato recepito, considerando anche che, a quanto pare, i colloqui con Xi Jinping non hanno portato ai risultati da lui sperati (quanto queste speranze poi fossero fondate ognuno può immaginarlo): se nei prossimi giorni dalla Francia non si parlerà più di inviare le truppe, la collaudata (ma un po’ rischiosa) tattica “escalate to de-escalate” potrebbe essersi rivelata vincente.
Per quanto riguarda le testate tattiche, visto che se ne parla come fossero fuochi d’artificio solo un po’ più rumorosi: non si sa quante la Russia ne abbia, perché non sono regolate da nessun trattato. Sono certamente meno potenti delle armi nucleari strategiche, ma vanno comunque da un minimo di uno a un massimo di 50 chilotoni, che non è poi pochissimo – per mettere le cose in prospettiva, la bomba di Hiroshima era di 15 chilotoni. Sappiamo con certezza che nell’arsenale russo ci sono testate nucleari tattiche per gli Iskander, per i Kh-59M (lanciati dai Su-24M, Su-30, Su-34 e Su-35S), per i Kalibr (probabilmente), per le bombe a caduta libera (il cui impiego ormai non è più ipotizzabile)e anche proiettili per l’artiglieria da 1 a 3 chilotoni: i 3BV1 da 180 mm, i 3BV2 da 203 mm, i 3BV3 da 152 mm e i 3BV4 da 240 mm. Buona parte dei proiettili nucleari per l’artiglieria è stata deattivata e distrutta, ma sicuramente qualcosa è rimasto, e non è difficilissimo farne di nuovi.

PS – tanto per andare sul sicuro, Tajani ha detto che l’Italia non ha mandato armi che possono colpire il territorio russo.

Francesco Dall’Aglio

Ma sia i missili anglo-francesi sia quelli americani sia, infine, quelli eventualmente italiani non risolveranno la crisi di uomini combattenti di Kiev. Malgrado ciò, dal Il Fatto Quotidiano del 1° maggio si legge: …

“L’Italia invia a Kiev un Samp-T e anche i missili da crociera”

Samp/T e Storm Shadow. L’Italia supera due altre linee rosse negli aiuti – che mai avrebbe inviato, parola di ministri della Difesa e degli Esteri – a Kiev. Il sistema di difesa aerea richiesto dal premier Zelensky infatti sta per essere trasferito all’Ucraina nel nono pacchetto italiano che il ministro Guido Crosetto sta per firmare. Eppure lui stesso aveva negato questa possibilità all’alleato per non lasciare sguarnito il nostro Paese che di Samp/T ne ha solo 5. Di questi, dopo la distruzione a gennaio da parte di un raid russo della batteria inviata in Ucraina appena 7 mesi prima, l’Italia ne avrebbe solo uno nel nostro Paese: uno sarebbe in Kuwait, uno in Romania e uno in Slovacchia.

A “muoversi” verso Kiev sarebbe proprio la batteria slovacca, dislocata nel distretto di Bratislava, per il rafforzamento del fianco orientale della Nato nell’ambito della crisi ucraina, tanto che il premier di Praga se n’è già lamentato. A darne notizia il sito Aktuality che ha riportato l’indignazione di Robert Fico: “Ho ricevuto un messaggio dal governo italiano che il sistema di difesa sarà ritirato dalla Slovacchia perché ne hanno bisogno altrove”, ha dichiarato lasciando intendere che arriverebbe a Kiev e lanciando l’allarme sulla mancanza di protezione delle strutture strategiche del suo Paese nonché delle centrali nucleari. La Slovacchia, infatti, ha trasferito i suoi sistemi anti-aerei S-300 all’Ucraina.

Lamentele slovacche a parte, il Samp/T sarà fornito di non molti missili: pare sotto la decina. Questo perché, se di sistemi di difesa richiesti da Zelensky – frutto del programma franco-italiano Mamba1 sviluppato da Thales e Mbda Italia e Francia – non siamo molto forniti, dato anche il costo (si va dai 500 milioni a batteria), di munizioni in giro per l’Europa se ne trovano sempre meno. E i Samp/T montano i missili Aster30 che hanno un raggio d’azione di 100 km per l’intercettazione di aerei e 25 km per quella dei missili e che vanno da un minimo di 8 a un massimo di 48 a batteria per un costo medio di 1 milione di euro.

A proposito di collaborazione, il ministero della Difesa italiano persevera nel segreto sulle armi inviate a Kiev. Ma la conferma della partecipazione italiana alla produzione dei missili a lungo raggio Storm Shadow anglo-francese destinati a Kiev secondo il vanto del ministro inglese Grant Shapps in un’intervista al Times, arriva dalla relazione annuale dell’Unità di controllo sull’invio degli armamenti (Uama). Nel report 2023, infatti, tra i programmi di co-produzione internazionale approvati campeggia “Storm Shadow – Sistema di armamento aria/superficie”. Paesi produttori: Italia, Gran Bretagna, Francia. Imprese coinvolte: Mbda Italia-Leonardo. I missili da caccia in grado di raggiungere il suolo dai 250 ai 300 km hanno anche il marchio italiano, quindi, come dichiarato dal ministro britannico. “Penso che lo Storm Shadow sia un’arma straordinaria”, si è detto convinto Shapps mentre faceva da cicerone al sito di produzione della Mbda vicino Londra. “Sono il Regno Unito, la Francia e l’Italia che stanno posizionando queste armi per l’uso, in particolare in Crimea – ha detto – sottolineando come “queste stanno facendo la differenza”.

L’Italia non ha mandato armi che possono colpire il territorio russo; ma attenzione! Quando i piccoli giocano con i grandi rischiano sempre di farsi male.

Il programma congiunto a cui l’Italia si è aggiunta a giugno 2023, nella fase iniziale prevedeva un investimento di 100 milioni di euro con l’obiettivo proprio di svecchiare i primi Storm Shadow. Stando alla relazione dell’Uama, le aziende italiane avrebbero dedicato al programma 12 milioni. Ma scorrendo l’elenco di armamenti inviati, il nome del missile da crociera della Mbda compare più volte sotto forma di pezzi di ricambio, serbatoi o altre componenti, e anche di missili da addestramento. Il destinatario finale non è specificato. E la Difesa italiana non conferma che sia Kiev. L’Italia ha acquistato per la prima volta 200 Storm Shadow dalla Mbda nel 1999 e li ha utilizzati in Libia nel 2011. Ma le parole di Shapps – che puntavano a convincere la Germania a inviare a Kiev i Taurus – non paiono campate in aria. Sul suolo ucraino, infatti, Storm Shadow francesi ci sono già arrivati, colpendo la Crimea.

6217.- Putin avvia esercitazioni nucleari vicino l’Ucraina: “Pronti a colpire dopo le minacce occidentali”

Mai quanto Macron, ma Joe Biden fa il gradasso. Ha inviato missili balistici AtacMS MGM-140 a Kiev, ma non doveva e non fermerà i russi con le armi. Putin avverte sempre. E vale per tutti. Biden ha perso anche in Ucraina, ma non può ammetterlo, come non vuole ammetterlo Londra che due anni fa fece saltare l’accordo già siglato da russį e ucrāini. Con Biden, non solo gli Stati Uniti hanno perso la faccia, ma anche noi membri di un’alleanza non più difensiva abbiamo perso. Quanto ancora dovremo perdere? Sui missili balistici, il ministero degli Esteri russo ha convocato l’ambasciatore britannico a Mosca. Convocherà anche l’ambasciatore USA o si limiterà ad abbattere i missili? Speriamo in Donald Trump.

Da Il Secolo d’Italia del 6 Mag 2024 13:28 – di Robert Perdicchi

Alta tensione tra Europa, Nato e Russia nel giorno in cui il presidente francese, Macron, autore dell’annuncio sul possibile invio di truppe europee in Ucraina, riceve il presidente cinese Xi. Mosca, per reazione a quelle che considera delle minacce, si prepara a compiere esercitazioni con armi nucleari al confine con l’Ucraina. Attraverso il ministero della Difesa, ha infatti annunciato i preparativi per le esercitazioni militari che includeranno l’uso di “armi nucleari non strategiche” a fronte di quelle che descrive come “dichiarazioni e minacce provocatorie” da parte di “funzionari occidentali”. Le esercitazioni coinvolgeranno “formazioni missilistiche del Distretto Militare Meridionale” ed è ipotizzabile quindi che le manovre avverranno non lontano dal confine con l’Ucraina.

La reazione di Putin alle dichiarazioni di Macron

In una dichiarazione pubblicata sul suo account Telegram, il ministero della Difesa russo ha affermato che l’esercitazione è stata ordinata dal presidente Vladimir Putin “al fine di aumentare la prontezza delle forze nucleari tattiche a svolgere missioni di combattimento”. “Su istruzioni del Comandante in Capo Supremo delle Forze Armate della Federazione Russa – si legge un comunicato del ministero della Difesa di Mosca – lo Stato Maggiore Generale ha iniziato i preparativi per lo svolgimento di esercitazioni nel prossimo futuro, con formazioni missilistiche del Distretto Militare Meridionale e con il coinvolgimento dell’aviazione e delle forze navali”.

“Durante le manovre saranno svolte una serie di attività per esercitarsi nella preparazione e nell’uso di armi nucleari non strategiche”, ha dichiarato, prima di sottolineare che l’obiettivo è quello di “mantenere la prontezza del personale e delle attrezzature” per “garantire incondizionatamente l’integrità territoriale e la sovranità dello Stato russo”.

La dotazione della Russia per le esercitazioni nucleari

Il presidente russo Vladimir Putin ha incaricato lo Stato Maggiore Generale di avviare esercitazioni sull’uso di armi nucleari non strategiche. Le esercitazioni saranno dedicate “ai preparativi e al dispiegamento” di armi nucleari tattiche e hanno come obiettivo quello di “garantire l’integrità territoriale e la sovranità dello Stato russo”, in risposta a “dichiarazioni provocatorie e minacce contro la Russia da parte di certe personalità occidentali”. Ma quante armi nucleari ha la Russia e chi le controlla? Ecco i punti chiave sull’arsenale nucleare russo.

Quante armi nucleari ha la Russia?

La Russia, che ha ereditato le armi nucleari dell’Unione Sovietica, possiede il più grande deposito di testate nucleari al mondo. Secondo la Federation of American Scientists, Putin controlla circa 5.580 testate nucleari.

Di queste, circa 1.200 sono state ritirate ma sono ancora in gran parte intatte attendono lo smantellamento, mentre sono circa 4.380 quelle immagazzinate per essere utilizzate da lanciatori strategici a lungo raggio e forze nucleari tattiche a corto raggio.

Delle testate accumulate, 1.710 sono quelle strategiche schierate: circa 870 su missili balistici terrestri, circa 640 su missili balisticilanciati da sottomarini e forse 200 su basi di bombardieri pesanti. Circa altre 1.112 testate strategiche sono immagazzinate, insieme a circa 1.558 testate non strategiche. “In futuro, tuttavia, il numero di testate assegnate alle forze strategiche russe potrebbe aumentare man mano che i missili a testata singola verranno sostituiti con missili dotati di testate multiple”, ha affermato la Fas.

I missili balistici intercontinentali (Icbm) in possesso della Russia hanno la capacità di raggiungere e distruggere le principali città del mondo come Londra o Washington. Tale missili possono raggiungere il Regno Unito in solo 20 minuti una volta lanciati dalla Russia.

In quali circostanze verrebbero utilizzate?

Con il decreto del 2 giugno 2020, Putin ha aggiornato le linee guida per l’impiego dell’arsenale atomico. Il documento, reso pubblico per la prima volta nella storia, stabilisce le condizioni per le quali un presidente russo prenderebbe in considerazione l’uso di un’arma nucleare: in generale come risposta a un attacco che utilizza armi nucleari o altre armi di distruzione di massa, o all’uso di armi convenzionali contro la Russia “quando l’esistenza dello Stato è messa in pericolo”.

La Russia effettuerà un test nucleare?

Putin ha detto che la Russia prenderebbe in considerazione la possibilità di testare un’arma nucleare se lo facessero gli Stati Uniti. L’anno scorso ha firmato una legge che revoca la ratifica da parte della Russia del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (CTBT).

Dal crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, secondo l’Arms Control Association, solo pochi paesi hanno testato armi nucleari: gli Stati Uniti l’ultima volta hanno effettuato test nel 1992, Cina e Francia nel 1996, India e Pakistan nel 1998 e Corea del Nord nel 2017. L’Unione Sovietica ha effettuato l’ultimo test nel 1990. Il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari è stato firmato dalla Russia nel 1996 e ratificato nel 2000. Gli Stati Uniti hanno firmato il trattato nel 1996 ma non lo hanno ancora ratificato.

Chi darebbe l’ordine di lancio russo?

Il presidente russo è l’ultimo a decidere sull’uso delle armi nucleari russe. La cosiddetta valigetta nucleare, o “Cheget” (dal nome del monte Cheget nelle montagne del Caucaso), è sempre con il presidente. Si ritiene che anche il ministro della Difesa russo, attualmente Sergei Shoigu, e il capo di stato maggiore delle forze armate, attualmente Valery Gerasimov, abbiano tali valigette. Essenzialmente, la valigetta è uno strumento di comunicazione che collega il presidente ai suoi vertici militari e quindi alle forze missilistiche attraverso la segretissima rete elettronica di comando e controllo “Kazbek”. Kazbek supporta un altro sistema noto come “Kavkaz”.

Filmato mostrato dalla televisione russa Zvezda nel 2019, ha mostrato quella che si diceva fosse una delle valigette con una serie di pulsanti. In una sezione chiamata “comando” sono presenti due pulsanti: un pulsante bianco “avvia” e un pulsante rosso “annulla”. La valigetta viene attivata da una flashcard speciale, secondo Zvezda.

Se la Russia pensasse di dover affrontare un attacco nucleare strategico, il presidente, tramite le valigette, invierebbe un ordine di lancio diretto alle unità di comando e di riserva dello stato maggiore che detengono codici nucleari. Tali ordini si riversano rapidamente attraverso diversi sistemi di comunicazione alle unità missilistiche strategiche, che poi lancerebbero i missili contro gli Stati Uniti e l’Europa.

Se fosse confermato un attacco nucleare, Putin potrebbe attivare la cosiddetta ‘Dead Hand’ o ‘Perimeter’, un sistema automatico per la rappresaglia termonucleare gestito da Intelligenza Artificiale di ultima istanza: essenzialmente i computer, dopo aver scansionato il territorio russo e valutato attraverso una moltitudine di fattori se è in corso un attacco nucleare, lancerebbero un missile di comando che ordinerebbe attacchi nucleari da tutto il vasto arsenale della Russia.

6216.- Missili anglo-americani sulla Russia? Putin avverte sempre. E vale per tutti

Da uno scritto di Laura Calosso, scrittore e giornalista

Nei giorni scorsi il ministro degli Esteri inglese, Cameron, ha dichiarato che l’Ucraįna può colpire il territorio rūsso con armi trasferite dalla Gran Bretagna.

La Russįa ha oggi ufficialmente minacciato la Gran Bretagna di attacchi sul suo territorio in caso di attacchi ucraįni sul territorio russo esiguiti con missili britannici. 

Il ministero degli Esteri russø ha ora voluto incontrare l’ambasciatore britannico.
Da sottolineare che fu l’ex premier britannico Johnson a far saltare (per conto del blocco Nāto) l’accordo già siglato 2 anni fa da russį e ucrāini.
È sempre più evidente che, se avremo un’escalation, sarà imputabile ai leader occidentali che ogni giorno alzano il tiro. 
È sensato reggere ancora questo gioco?

Un comunicato della Tass avverte che l’ambasciatore britannico a Mosca Nigel Casey è stato convocato presso il ministero degli Esteri russo.

ROMA, 06 maggio 2024, Redazione ANSA

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Gli Stati Uniti inviano missili a lungo raggio a Kiev, lo Stato Maggiore britannico: “Li useranno per colpire la Russia”.

Gli Stati Uniti inviano missili a lungo raggio a Kiev, l’esercito britannico: “Li useranno per colpire la Russia”di F. Q.

   26 APRILE 2024

Avevano promesso di spedirli nel pacchetto di aiuti appena approvato recentemente al Congresso e firmato dal presidente Biden, invece i missili a lungo raggio ATACMS, armi che gli Stati Uniti in oltre due anni di guerra avevano dichiarato di non voler inviare all’Ucraina per evitare che il conflitto si trasformasse da difensivo in offensivo, sono già nelle mani di Kiev, spediti segretamente da Washington. E da parte dell’ammiraglio Tony Radakin, capo di Stato Maggiore della Difesa britannica, emergono valutazioni sull’influenza che queste avranno sulla guerra che avevano spinto proprio gli Usa a collocare questo tipo di armi al di là di quella linea rossa tracciata inizialmente per evitare l’allargamento del conflittocon Mosca: “Mentre l’Ucraina acquisisce maggiori capacità per la lotta a lungo raggio, la sua capacità di continuare le operazioni in profondità diventerà sempre più una caratteristica” della sua offensiva, ha detto aggiungendo che così Kiev organizzerà “attacchi e raid di sabotaggio” utilizzando armi a lungo raggio all’interno della Russia.

Joe Biden ha perso anche in Ucraina, ma non può ammetterlo, come non vuole ammetterlo Londra che 2 anni fa fece saltare l’accordo già siglato da russį e ucrāini. Con Biden, non solo gli Stati Uniti hanno perso la faccia, ma anche noi membri di un’alleanza non più difensiva abbiamo perso. Quanto ancora dovremo perdere? Mosca convocherà l’ambasciatore USA o si limiterà ad abbattere i missili?

Il missile MGM-140 ATACMS (Army tactical missile system) in servizio dal 1991 presso l’esercito statunitense. La testata della prima versione contiene 950 submunizioni M-74 APAM (Anti-Personnel Anti-Material) in grado di saturare un’area di 33.000 m²: un aeroporto, per esempio. Qui, il missile è lanciato da un sistema MLRS, forse in Ucrāina, ma non sappiamo da chi. Sappiamo, però, che le sue vittime sarebbero russe.

Così, per alimentare ancora la resistenza ucraina, fiaccata dalla superiorità numerica sia di uomini che di armamenti a disposizione della Russia, Washington viene meno alle sue promesse e sceglie di fornire a Kiev anche armi a lungo raggio. Il timore iniziale era chiaro: in un conflitto causato da un’invasione territoriale da parte dell’armata di Vladimir Putin, fornire a Kiev armi come gli ATACMS capaci di colpire ben oltre il confine russo, dato che la loro gittata supera i 300 chilometri, voleva dire favorire raid ucraini sulle città di confine russe e, di conseguenza, dare a Putin un appiglio per giustificare un’intensificazione dello scontropermettendogli di mettere in campo armi ben più performanti e distruttive, se non addirittura bombe nucleari tattiche. Un po’ lo stesso ragionamento che aveva fatto escludere, salvo poi fare anche in questo caso passi indietro, l’invio di caccia F-16.

La decisione Usa
Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza Nazionale, spiega che la decisione del presidente Joe Biden di cambiare la propria posizione rispetto al passato è stata influenzata in parte dai crescenti attacchi della Russia alle infrastrutture civiliucraine, oltre all’uso da parte del Cremlino di missili balistici nordcoreani. Gli ATACMS, secondo quanto appreso dal Financial Times, sono arrivati in Ucraina già la settimana scorsa e sono stati usati per attaccare un aeroporto in Crimea e una posizione di truppe russe. “Ne abbiamo già inviati alcuni, ne invieremo altri ora che abbiamo ulteriore autorità e denaro”, ha detto Sullivan citando il nuovo pacchetto di aiuti militari da 61 miliardi di dollari firmato mercoledì da Biden.

Artiglieri ucraini al pezzo. È un 155 mm.

Ucrāini in fuga da Ocheretyne, Mosca abbatte 4 missili Atacms

Attacco a Kharkiv

Nel Donetsk, le forze russe hanno guadagnato terreno a Ocheretyne. Mosca ha poi fatto sapere di aver abbattuto quattro missili Atacms lanciati sulla Crimea.

Prosegue incessante l’offensiva russa nell’est dell’Ucraina. Attacchi anche a Kharkiv, dove le forze di Mosca hanno preso di mira le centrali elettriche. Il ministero della Difesa di Mosca ha poi fatto sapere di aver abbattuto quattro missili Atacms lanciati dall’Ucraina.

Combattimenti nel Donetsk: cittadini in fuga

Il villaggio di Ocheretyne è stato martoriato dai combattimenti,  lo mostrano i filmati ottenuti da un drone dell’Associated Press. Il villaggio è stato uno degli ultimi obiettivi delle forze russe nella regione di Donetsk.

Le truppe russe stanno avanzando nell’area, colpendo le forze di Kiev, esaurite e prive di munizioni, con artiglieria, droni e bombe. L’esercito ucraino ha riconosciuto che i russi hanno conquistato un “punto d’appoggio” a Ocheretyne, che prima della guerra contava circa tremila abitanti, ma afferma che i combattimenti continuano.

6215.- Il Niger è la chiave di volta del Sahel

Vi rimando al n° 6127, che titolava: “Il Niger “caccia” la UE, disfatta europea nel Sahel.”

É preoccupante assistere all’incapacità dell’Unione di reggere il confronto con la Federazione Russa in Africa e lo è perché non c’è futuro per l’Europa senza l’Africa e non c’è per l’Africa senza l’Europa. Vedemmo bene il Vertice Italia-Africa, a Roma, tenuto da Giorgia Meloni e la nutrita partecipazione dei numeri uno africani. Il Vertice ha ribadito la centralità e la rilevanza che l’Italia attribuisce al rapporto con le Nazioni africane, ma non è da meno quella che gli attribuisce la Federazione Russa. Osserviamo che, con l’attuale Ue e con il conflitto creatosi, non casualmente, con Mosca, la strada per il Nuovo Piano Mattei sarà in salita. Per nostra scelta o no, da 108 anni, stiamo sempre con l’alleato o contro il nemico sbagliato; ma, da soli, dove andiamo?

L’aver rotto i rapporti degli Stati europei con la Federazione Russa avrà soddisfatto gli interessi americani, ma non i nostri. Prima, abbiamo visto sventolare le bandiere russe nel Niger, ora vediamo i soldati russi acquartierati accanto agli americani, appena sfrattati e in attesa di decisioni. Gli italiani, per ora, restano in Niger a ristrutturare la moschea. Mali, Burkina Faso e Niger hanno dato vita alla ”Alleanza degli Stati del Sahel”, la NATO africana e il paragone è azzeccato.

Fino a che le basi USA e italiana in Niger resteranno, sarà importante chiarire i nostri obiettivi nel Sahel. La politica del Governo italiano della solidarietà attiva nel Magreb, nel Sahel e in Libia dovrà confrontarsi con le ambizioni di Mosca e con quelle di Ankara. Certamente, sapremo come, se saremo sostenuti. 

Due articoli tratti da Europatoday

Perché l’Europa teme l’espansione dell’influenza russa nel Sahel

Bruxelles cerca una nuova strategia dopo il golpe in Niger. Il gruppo Wagner dovrebbe restare operativo nell’area nonostante la morte di Prigozhin

Sostenitori dei soldati ammutinati tengono una bandiera russa mentre manifestano a Niamey, in Niger. Foto Sam Mednick / Associated Press/LaPresse

Un’Europa colta nuovamente di sorpresa, nonostante la presenza diplomatica e di intelligence nell’area del Sahel. È quanto sarebbe emerso dai documenti preparativi diffusi in vista del prossimo vertice dei ministri della Difesa degli Stati membri dell’Unione europea. Dopo l’aggressione dell’Ucraina, anche il colpo di Stato in Niger avvenuto a fine luglio ha trovato impreparati i Paesi europei. Il vasto Stato africano veniva considerato un partner fondamentale dell’Ue, soprattutto in materia di gestione dei migranti ed esternalizzazione delle frontiere. L’arresto del presidente Mohamed Bazoum e l’ascesa al potere della giunta militare non mette in crisi solamente i rapporti con il Paese nel cuore del Sahel, ma starebbe spingendo a ripensare più in generale il ruolo della diplomazia europea. Di fronte all’espansione dell’influenza di Russia e Cina nella regione, Bruxelles non intende però arretrare ulteriormente. Al contempo però l’idea dell’uso della forza, che la Francia gradirebbe, non risulta essere l’opzione più gettonata in un contesto già fortemente critico nei confronti della presenza europea e dove le bandiere russe vengono sventolate in strada dalla popolazione.

Dalla visita di Borrel al golpe

Un colpo di stato che “ha sorpreso inizialmente molti osservatori”. Questa la dichiarazione contenuta in una nota interna preparata dal servizio diplomatico dell’Ue e svelata dal portale Euractiv. A sorprendere, in particolare, la circostanza che “il Niger si trovava su una traiettoria politica, economica e sociale relativamente lineare, nonostante la significativa pressione sulla sicurezza su tutti i suoi confini”, si legge nella nota interna distribuita ai Paesi membri in vista delle riunioni informali dei ministri della Difesa che si terranno in Spagna. Non a caso proprio ad inizio luglio il capo della diplomazia europea Josep Borrell si era recato in Niger, definendo il Paese come un partner essenziale dell’Ue nella regione del Sahel, quella vasta area semiarida che tocca in vari punti il deserto del Sahara.

Ambasciatore espulso

Solo poche settimane dopo quello stesso Paese è diventato il teatro di un colpo di Stato, aggiungendosi alla lista dei Paesi guidati da giunte militari, insieme al Burkina Faso e al Mali. Furiosa la Francia, il cui ambasciatore è stato “invitato” dai militare al potere a lasciare il Paese. “La decisione dei golpisti di espellere l’ambasciatore francese è una nuova provocazione che non può in alcun modo aiutare a trovare una soluzione diplomatica alla crisi attuale”, ha dichiarato in conferenza stampa Nabila Massrali, la portavoce dell’Ue per gli affari esteri. L’alta funzionaria ha aggiunto che il blocco “non riconosce” le autorità che hanno preso il potere in Niger. Sostegno unanime da parte dei diplomatici europei all’omologo transalpino, ma al tempo stesso scarsa coesione sui prossimi passi da adottare. Secondo gli esperti, nonostante le pressioni di Parigi, il coinvolgimento dell’Ue rimarrà probabilmente limitato al sostegno politico alla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), a sua volta diviso sul come affrontare la questione. L’intervento militare figura solo come una minaccia, ma senza il sostegno dell’Unione africana all’uso della forza difficile si muoveranno i cingolati. C’è chi, come il Togo, ha già avviato colloqui col nuovo potere in Niger. Borrell, prevede la nota diffusa tra i ministri, dovrebbe chiedere agli Stati membri e a Bruxelles di “adattare il suo approccio al Niger” e, a seconda di come si evolve la situazione, valutare “quale posizione l’Ue sarebbe disposta a prendere in considerazione in termini di aiuti allo sviluppo, sicurezza migratoria e gestione delle frontiere”.

L’ombra di Wagner

Restare nella regione del Sahel resta prioritario per proseguire nel piano di esternalizzare le frontiere e affidare ai Paesi africani, come Libia e Tunisia, la gestione dei migranti. Una presenza, quella europea, che deve fare fronte però a relazioni sempre meno solide, ad una fiducia deteriorata da parte delle popolazioni e a governi militari inaffidabili. Nonostante risulti ormai accertata la morte di Evgenij Prigožin, gli Stati Uniti sostengono che le attività del gruppo mercenario russo Wagner non si fermeranno. Rapporti della Associated Press e di France 24 sostengono che uno dei leader del colpo di stato, il generale Salifou Mody, abbia visitato il Mali poco dopo il golpe e avrebbe preso contatto con esponenti della Wagner per chiedere il loro supporto. Sebbene manchino le prove di una presenza dei militari del gruppo in Niger, nulla esclude che possano affacciarsi su questo fronte per garantire un supporto militare e strategico, come stanno continuando a fare in Mali e in Repubblica Centrafricana. Secondo il ministro degli Esteri Sergej Lavrov i contratti della Wagner in Africa dipendono interamente dagli Stati africani, anche se il gruppo di mercenari risulta “interamente finanziato” dalla Russia come ammesso dallo stesso Putin. I cori ostili alla Francia e la presenza di bandiere russe sventolate durante le manifestazione dai sostenitori dei golpisti di Niamey è l’indice però che la propaganda di Mosca non si limita esclusivamente ad un supporto militare ma intende attrarre gli africani della regione in un nuovo ordine anti-europeista.

La base militare che ospita i soldati di Usa e Russia

Le forze di Mosca sono sbarcate in Niger e hanno occupato un edificio al fianco di quello dove si trovano le truppe statunitensi. Le quali potrebbero presto lasciare il Paese

La base 101 a Niamey 

Uno è il Paese che ha invaso l’Ucraina. L’altro è quello che più sta sostenendo l’esercito di Kiev. Ma il fronte orientale europeo non è l’unico palcoscenico internazionale in cui Russia e Stati Uniti si stanno affrontando a distanza. C’è, per esempio, il Niger, Stato africano chiave per la stabilità di un’intera regione, il Sahel. Ed è proprio qui, vicino l’aeroporto della capitale Niamey, che le truppe americane e quelle russe si sono ritrovate a condividere la stessa base aerea. Un caso che fotografa la situazione del Paese, in rotta di collisione con l’Occidente e sempre più propenso a rafforzare i legali con Mosca.

In Niger, nel luglio dello scorso anno, un colpo di stato guidato dai vertici della guardia presidenziale ha rovesciato il presidente eletto Mohamed Bazoum, alleato di Washington e dei Paesi europei. La nuova giunta militare ha subito preso di mira i contingenti occidentali, a partire da quello francese (il Niger è un’ex colonia di Parigi) e ha messo in discussione l’accordo di cooperazione militare in vigore con gli Stati Uniti, ritenendo che fosse stato “imposto unilateralmente” da Washington e che la presenza americana fosse ormai “illegale”. A metà aprile gli Stati Uniti hanno accettato di ritirare gli oltre mille soldati dal Paese, ma le modalità del ritiro sono ancora oggetti di trattativa.

Per il momento, un contingente dell’aeronautica statunitense è rimasto a presidio dell’area e delle attrezzature militari, come la base di droni vicino ad Agadez, costruita per circa 100 milioni di dollari. I militari Usa occupano una base vicino l’aeroporto di Niamey, la base aerea 101. Ed è qui che nei giorni scorsi sono arrivate le forze russe. A rivelarlo è stato il segretario alla Difesa Lloyd Austin, secondo cui le truppe di Mosca non pongono un “problema significativo (…) in termini di protezione delle nostre forze”. I russi, ha spiegato Austin, “si trovano in un edificio separato e non hanno accesso alle forze statunitensi o alle nostre attrezzature”. Interrogato in una conferenza stampa a Mosca, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov non ha né confermato né smentito la presenza russa nella base, indicando semplicemente che Mosca sta sviluppando le sue relazioni con i Paesi africani in tutti i settori, compreso quello militare.

Il Niger, infatti, è solo l’ultimo di una serie di Paesi del Sahel, come Mali e Burkina Faso, che si stanno allontanando dall’Occidente per avvicinarsi alla Russia e alla Cina. Negli ultimi giorni le truppe Usa hanno lasciato anche il Ciad. Tolta la Mauritania, il resto del Sahel è sempre più lontano da Stati Uniti e Ue. Una regione strategica sotto vari profili, cinghia di trasmissione tra l’Africa subsahariana e il Nord mediterraneo, anche delle rotte dei migranti. Per questo, l’Italia ha da tempo mosso le sue pedine diplomatiche nell’area, Niger compreso. Per il momento, Roma mantiene il suo contingente a Niamey. E spera di potere continuare a farlo.

6214.- 10 anni di NATO in Ucraina. Il declino della politica e della potenza USA nel mondo e l’inutilità dell’Ue in politica estera per noi.

Non è lui il capo!

L’Orso russo è meglio averlo per amico e le strategie per dominarlo avrebbero dovuto evitare il confronto militare. Stando alla situazione presente, chi detta gli indirizzi al polo angloamericano dovrà contentarsi di controllare i Paesi europei, ma avrebbe dovuto e farebbe sempre bene a evitare che la Federazione Russa sia schierata a fianco della Cina. Vieppiù oggi che gli Stati Uniti sembrano concentrarsi sul confronto con la Cina, anche se il viaggio di Blinken a Pechino, le minacce verso la collaborazione con la Federazione Russa e il loro fiasco confessano le preoccupazioni del Pentagono di fronte a un asse Mosca – Pechino. Non è tutto qui il futuro della geopolitica che apprezziamo.

Stiamo assistendo all’ingresso della Wagner nella, ancora per poco, base americana 201 di Niamey, nel Niger, con i russi, addirittura, nel palazzo a fianco del comando USA e ci vediamo, noi bravi italiani, con il nostro sacrosanto, ambizioso Piano Mattei, unico Paese occidentale a tenere un presidio gradito agli africani nel Sahel. L’Italia è consapevole di non essere una grande potenza e si deve domandare quanto una Unione europea sgradita agli africani, senza un’anima e senza una sovranità, potrà sostenere la politica di cooperazione e di solidarietà attiva di questo governo, confrontandosi e in competizione con i russi.

L’aver rotto i rapporti degli Stati europei con la Federazione Russa sarà sembrata una necessità per la Casa Bianca e avrà soddisfatto gli interessi di chi controlla il popolo americano, ma non i nostri e siamo del parere che Washington sta spendendo male le possibilità dell’Occidente. 

Dal punto di vista della politica, la realizzazione da parte della Casa Bianca, in segreto, di questa disgraziata guerra in Ucraina, con quasi un milione di morti, creata, dalla Victoria Jane Nuland insieme alla NATO, scatenata, infine, da Putin, fino al sabotaggio dei gasdotti North Stream, promesso e attuato da … e, infine la cessione degli USA a Kiev di 100 missili Atacms, americani, con una gittata di 300 km, una dichiarazione di guerra! – come tale, da sottoporre all’approvazione del Parlamento europeo -, ha confermato che ogni alleanza fra una grande potenza e un Paese di secondaria importanza, come sono, appunto, i nostri europei, si traduce in un dominio da parte della potenza. Ragione non ultima sia della necessità di giungere a uno Stato sovrano europeo, con una sua politica estera e un suo esercito sia del pericolo rappresentato dalla proposta di Giulio Tremonti, membro rappresentativo dell’Aspen, di allargare ulteriormente, a tutti i Paesi balcanici (quindi, anche la Turchia) l’Unione.

Dal punto di vista della finanza e dell’economia, aver privato i Paesi europei della risorsa energetica russa, a buon mercato e avergli venduto quella americana a un prezzo quattro volte maggiore, ha certamente risollevato le finanze USA, ma ha indebolito l’Unione e l’Occidente nel suo complesso. É noto che le sanzioni elevate alla Federazione Russa hanno nuociuto e nuocciono ai Paesi europei più che a Mosca, mentre lo sforzo bellico della Nato a favore dell’Ucraina si tradurrà o si sta già traducendo in un fallimento. Ben potrebbe essere vera la contrarietà della grande regina Elisabetta II alla guerra, e ci fermiamo qui.

Dal punto di vista strategico, siamo impegnati militarmente, di fatto, in:

Un conflitto europeo e in Mar Nero, un’altro in Medio Oriente, tra Mediterraneo Orientale e Mar Rosso e, dal Sahel al Corno d’Africa, Osservando l’evolversi del confronto fra Occidente, da una parte e Russia e Cina, dall’altra, preoccupa una strategia che prevede l’interconnessione fra l’Indo-Pacifico e il Mediterraneo Allargato. ma non sembra fare i conti con la vulnerabilità del Canale di Suez. In questo azzardato contesto, l’Us Navy ha appena ritirato dal Mediterraneo il Gruppo d’Attacco della super portaerei nucleare USS Gerald R. Ford (CVN-78), che imbarca il potente Carrier Air Wing 8 con 100 aeroplani combat ready, lasciando il testimone alle portaerei europee nel ruolo di bersagli: La bellissima mezza portaerei italiana ITS Cavour (CVH550) che, a marzo disponeva di appena 3 piloti qualificati Limited Combat Ready per l’F-35B STOVL, e, forse, oggi ne schiera 5, e alla anziana portaerei nucleare francese Charles de Gaulle (R91: due manciate di caccia di 4a generazione Rafale-M, circa 30) i cui sistemi di combattimento, in particolare contro missili antinave e droni, dovranno attendere il 2027 per essere adeguati alle odierne minacce.

La conclusione di questo rapido excursus è che ci avviciniamo alle elezioni europee, ma speriamo – chissà perché – in Donald Trump.

Mario Donnini

Il Regno Unito afferma che è pericoloso inviare truppe Nato in Ucraina

Sembra che lo sforzo di Londra di solleticare le aspirazioni espansionistiche dei polacchi e spingerli in guerra si sia esaurito davanti all’avanzata dei russi in Donbass. Vedremo cosa accadrà il 19 maggio, 60º anniversario del Giorno della Vittoria sul nazismo.

difesacivicaitalia

MAGGIO 4, 2024  

Gli stivali da combattimento occidentali sul terreno porterebbero a un’ulteriore escalation, ha affermato il ministro degli Esteri Davis Cameron.

Inviare soldati della NATO a combattere l’esercito russo in Ucraina sarebbe troppo pericoloso, ha detto venerdì il ministro degli Esteri britannico David Cameron. Ha espresso i suoi commenti mentre i leader europei hanno riacceso il dibattito sull’opportunità che l’alleanza guidata dagli Stati Uniti debba prendere in considerazione un coinvolgimento più diretto nel conflitto. 

Venerdì, parlando a Sky News, Cameron ha affermato che il Regno Unito deve continuare a fornire armi a Kiev e concentrarsi sulla ricostituzione delle proprie scorte. “come priorità nazionale”.

“Ma non vorrei avere soldati della NATO nel paese perché penso che potrebbe essere una pericolosa escalation”, ha aggiunto il primo ministro. “Abbiamo addestrato – credo – quasi 60.000 soldati ucraini”.

La dichiarazione del ministro degli Esteri è arrivata dopo che il presidente francese Emmanauel Macron ha rifiutato ancora una volta di escludere un potenziale dispiegamento di soldati della NATO in Ucraina. “Non dobbiamo escludere nulla perché il nostro obiettivo è che la Russia non possa mai vincere in Ucraina”, ha detto all’Economist in un’intervista pubblicata questa settimana. Macron ha sostenuto che potrebbe sorgere la questione delle forze NATO sul terreno “Se i russi riuscissero a sfondare la prima linea” e se Kiev chiedesse aiuto. 

Altri funzionari europei di alto rango hanno ventilato l’idea dello spiegamento di truppe, e alcuni suggeriscono che la NATO potrebbe inviare squadre di sminamento e altro personale non combattente. “La presenza delle forze NATO in Ucraina non è impensabile”, Lo ha detto ai giornalisti il ​​ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski a marzo.

Tuttavia, alcuni paesi della NATO, tra cui Ungheria e Slovacchia, si sono espressi fermamente contro un’ulteriore escalation. “Se un membro della NATO impegna truppe di terra, sarà uno scontro diretto NATO-Russia e sarà quindi la terza guerra mondiale”, ha detto giovedì il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto all’emittente francese LCI.

Mosca ha più volte avvertito che sarebbe costretta ad attaccare le truppe occidentali se prendessero parte al conflitto. Lo ha scritto venerdì su Telegram la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova “non resterà nulla” delle forze NATO se inviate in prima linea in Ucraina.

Kiev ha lanciato l’allarme sui ritardi negli aiuti militari occidentali negli ultimi mesi, accusando la carenza di munizioni per le perdite sul campo di battaglia. In un’intervista pubblicata giovedì su The Economist, Vadim Skibitsky, vice capo dell’agenzia di intelligence militare ucraina GUR, ha affermato che le difese dell’Ucraina potrebbero crollare anche con i pacchetti di aiuti aggiuntivi recentemente approvati da Stati Uniti e Regno Unito.

6213.- Joe Biden, sempre più pericoloso, ha lanciato il Segretario di Stato Antony Blinken a minacciare il Presidente Xi Jinping, ma è un altro fiasco.

Dal ministero degli Affari Esteri della Repubblica Popolare di Cina 2024-04-26 19:45

President Xi Jinping Meets with U.S. Secretary of State Antony Blinken

On the afternoon of April 26, President Xi Jinping met with U.S. Secretary of State Antony Blinken at the Great Hall of the People in Beijing.

President Xi Jinping noted that this year marks the 45th anniversary of diplomatic relations between China and the United States. Over the past 45 years, the relationship has gone through wind and rain, and the two sides can draw a few important lessons: China and the United States should be partners rather than rivals; help each other succeed rather than hurt each other; seek common ground and reserve differences rather than engage in vicious competition; and honor words with actions rather than say one thing but do another. He proposed mutual respect, peaceful coexistence and win-win cooperation as the three overarching principles for the relationship. They are both lessons learned from the past and a guide for the future.

President Xi Jinping emphasized that in his phone call with President Biden three weeks ago, he shared his thoughts on how to stabilize and develop China-U.S. relations in 2024, and underlined that the two sides should value peace, prioritize stability, and uphold credibility. “The finer details will fall into place when they are aligned with the bigger picture,” he once stressed. The world today is undergoing transformation not seen in a century. How to respond to it is a question of the times and of the world. President Xi’s answer is to build a community with a shared future for mankind, which has become a flag of China’s foreign policy and has been welcomed by many countries. Planet Earth is only this big, and humanity is faced with so many common challenges. As an old Chinese saying goes, “Passengers in the same boat should help each other.” Today, as he sees it, dwellers of the same planet should help each other. We live in an interdependent world and rise and fall together. With their interests deeply intertwined, all countries need to build maximum consensus for win-win and all-win outcomes. This is the basic starting point for China to view the world and the China-U.S. relationship. President Xi underlined his view that major countries should behave in a manner befitting their status and act with broad-mindedness and a sense of responsibility. China and the United States should set an example in this regard, undertake responsibilities for world peace, create opportunities for the development of all countries, provide the world with public goods, and play a positive role in promoting global unity.

President Xi Jinping underscored that in his meeting with President Biden in San Francisco, he proposed five pillars for China-U.S. relations, namely, jointly developing a right perception, jointly managing disagreements effectively, jointly advancing mutually beneficial cooperation, jointly shouldering responsibilities as major countries, and jointly promoting people-to-people exchanges. They should serve as the underpinning for the mansion of China-U.S relations. When the overarching principles are established, specific issues will become easier to address. China is willing to cooperate, but cooperation should be a two-way street. China is not afraid of competition, but competition should be about progressing together instead of playing a zero-sum game. China is committed to non-alliance, and the U.S. should not create small blocs. While each side can have its friends and partners, it should not target, oppose or harm the other. China welcomes a confident, open, prosperous and thriving United States, and hopes the United States will also look at China’s development in a positive light.

President Xi Jinping stressed that as a Chinese saying goes, “No progress means regress.” It also applies to China-U.S. relations. The stabilizing trend in China-U.S. relations did not come by easily. It is hoped that the two teams will continue working actively to follow through on the San Francisco vision he and President Biden reached, so as to truly stabilize, improve and move forward the bilateral relations.

Secretary Blinken conveyed President Biden’s greetings to President Xi. He noted that since President Biden and President Xi met in San Francisco, the U.S. and China have made good progress in their cooperation in such areas as bilateral interactions, counter-narcotics, artificial intelligence and people-to-people exchanges. The multiplicity and complexity of the challenges the world faces require the U.S. and China working together. The Americans from all walks of life that he met during the visit all expressed the hope to see U.S.-China relations improve. The U.S. does not seek a new Cold War, does not seek to change China’s system, does not seek to suppress China’s development, does not seek to revitalize its alliances against China, and has no intention to have a conflict with China. The U.S. adheres to the one-China policy. It hopes to maintain communication with the Chinese side, follow through on what the two presidents agreed in San Francisco, seek more cooperation, avoid misunderstandings and miscalculations, responsibly manage differences, and achieve stable development of U.S.-China relations.

President Xi asked Secretary Blinken to convey his regards to President Biden. 

Wang Yi participated in the meeting.

Il commento di Gianluca Napolitano

La folle sfida degli USA al percorso storico tipico di ogni impero: Ascesa, sviluppo e declino. O magari, caduta.

Dunque, scrive Gianluca Napolitano:

Anthony Blinken – segretario di stato del governo degli Stati Uniti – ha concluso ieri sera a sua visita ufficiale a Pechino.

“Sostanzialmente Blinken è andato fino a Pechino per minacciare la Cina se non interromperà il suo sostegno alla Russia.

Tradotto in parole povere, Blinken ha confessato che gli Stati Uniti e la Nato non saranno in grado di fermare l’avanzata russa in Europa e in Africa fino a che la Cina sosterrà lo sforzo militare della Federazione Russa. Gianluca Napolitano ci riporta le minacce di Blinken allo spaurito Presidente Xi e commenta (ndr):

“Gli Stati Uniti sono pronti ad adottare nuove misure e imporre sanzioni contro la Cina alla luce della situazione in Ucraina”. “La Cina è il principale fornitore di macchinari, microelettronica e nitrocellulosa. E la Russia utilizza prodotti cinesi per sviluppare la propria industria militare”.

Blinken ha informato i cinesi che “Pechino non sarà in grado di migliorare le relazioni con l’Europa se continua a sostenere la più grande minaccia che molti europei avvertono visceralmente che la Russia rappresenta per loro”.

(cioè, voi non lo sapevate, ma avete sempre “visceralmente” temuto la Russia e ci voleva un americano per illuminarvi in proposito, da quanto coglioni che siete)

Avvertite qualcosa di “viscerale” voi? Beh, io sì.

Ha aggiunto che “se Pechino non adotta misure per risolvere” il problema del il sostegno che sta dando all’industria della difesa russa e non solo per la situazione in Ucraina”, sarà costretta a farlo Washington”.

Per non lasciare troppi dubbi, il Segretario di Stato americano ha detto che gli Stati Uniti sono pronti a imporre ulteriori sanzioni a Pechino.

6212.- Il fronte ucraino è collassato a Ocheretyne

È la dimostrazione che all’Ucraina servono più uomini, non bastano soltanto le armi e non li ha. Malgrado la pressione degli americani, gli europei non sembrano propensi a rischiare la loro pelle.

Da nova project, di Gianluca Napolitano.

Questo fine settimana, i droni e gli esploratori russi che sorvegliavano la linea del fronte appena ad ovest delle rovine di Avdiivka, nell’oblast di Donetsk, nell’Ucraina orientale, hanno osservato qualcosa di strano. Le trincee ucraine appena ad est del villaggio di Ocheretyne, precedentemente presidiate dai soldati della 47a Brigata Meccanizzata d’élite dell’esercito ucraino, erano vuote.

Il villaggio era indifeso.

Cogliendo l’occasione, la 30a Brigata di fucilieri a motore dell’esercito russo ha dilagato per diverse miglia lungo la ferrovia che passava a ovest di Avdiivka e catturò gran parte di Ocheretyne e potenzialmente anche Novobakhmutivka, il villaggio a sud di Ocheretyne.

Si tratta della penetrazione più rapida nel territorio ucraino da parte delle forze russe da mesi e minaccia di far crollare la linea difensiva ucraina a ovest di Avdiivka. Una linea che ha resistito per mesi, ma che ora presenta un divario profondo e crescente. “Il vaso di Pandora è aperto”, ha commentato il gruppo di analisi ucraino Deep State .

Per avere un’idea di quanto siano spaventati i comandanti ucraini in questo momento, consideriamo la brigata con cui si sono precipitati nella breccia a nord e a ovest di Ocheretyne: la 100a Brigata Meccanizzata. La brigata è una delle più nuove e meno equipaggiate dell’esercito ucraino, e apparentemente inadatta al tipo di triage di prima linea che i comandanti le chiedono.

Secondo quanto riferito, il crollo di Ocheretyne non è colpa della 47a Brigata Meccanizzata. Quella brigata, che è il principale utilizzatore di corazzati americani, stava eseguendo l’ordine di ritirarsi da Ocheretyne per ridistribuirsi nelle retrovie per un periodo di riposo tanto necessario dopo aver trascorso quasi un anno in prima linea.

La 115a Brigata Meccanizzata avrebbe dovuto prendere il posto della 47a riempiendo senza soluzione di continuità le stesse posizioni di combattimento con truppe sufficienti per mantenere l’integrità della linea difensiva a ovest di Avdiivka.

Ma qualcosa è andato storto.

Semplicemente la 115a si è rifiutata di andare in prima linea.

Secondo il famoso comandante di compagnia Mykola Melnyk della 47a brigata meccanizzata, che ha perso una gamba durante la controffensiva ucraina lo scorso anno, “quando glielo abbiamo ordinato alcune unità ci hanno semplicemente mandato affanculo”.

L’incapacità della 115a di mantenere la linea praticamente ha invitato la 30a Brigata di Fucilieri a Motore russa ad entrare a Ocheretyne e causato il panico nel quartier generale ucraino.

I comandanti hanno ordinato alla 47a già in ritirata, esausti della battaglia, di voltarsi e tornare in prima linea e anche alla 100a di contrattaccare.

La 100a brigata meccanizzata è un’ex brigata territoriale – l’equivalente di un’unità della Guardia nazionale dell’esercito americano – che il ministero della Difesa di Kiev ha trasformato in esercito attivo alla fine di marzo.

La 100a meccanizzata non è inesperta: i suoi circa 2.000 soldati hanno partecipato all’azione molte volte in questi 26 mesi. Ma non dispone dell’equipaggiamento pesante – carri armati, veicoli da combattimento e artiglieria occidentale – che sono quello che danno alleunità d’élite come la 47a gran parte del loro potere di combattimento.

La 100a Brigata ha combattuto comunque duramente, intercettando la 30a Brigata di fucili a motore russa e altre unità della 41a Armata russa ad armi combinate mentre tentavano di avanzare verso il villaggio di Prohres, altre sette miglia a ovest lungo la stessa ferrovia che collega Avdiivka a Ocheretina. “Il tentativo di avanzare verso Prohres è stato fermato da un contrattacco riuscito da parte della 100a Brigata Meccanizzata”, ha riferito Deep State.

Non è chiaro cosa potrebbe accadere adesso a Ocheretyne e dintorni. Per ora, le truppe ucraine “mantengono posizioni nella parte occidentale del villaggio e mantengono sotto tiro la sua parte meridionale”, ha osservato il Centro ucraino per le strategie di difesa .

In altre parole, il villaggio è andato. SI puà mantenere sotto il fuoco dei carrai armati anche da 5 km di distanza (30 con l’artiglieria). E’ una frase di circostanza.

Il fatto che gli ucraini abbiano dovuto lanciarsi in battaglia con una brigata debole dimostra tuttavia la scarsità delle riserve ucraine a ovest di Avdiivka.

I russi, dal canto loro, tengono in riserva un’intera divisione corazzata, la 90a, attorno ad Avdiivka.

Cioè circa 10 mila uomini e 500 mezzi corazzati.

Se la 90a divisione corazzata russa arrivasse a Ocheretyne prima che il comando orientale ucraino mobiliti ulteriori rinforzi, la penetrazione russa potrebbe ampliarsi fino a diventare una svolta a tutti gli effetti, che potrebbe costringere decine di migliaia di truppe ucraine a ritirarsi a ovest verso la successiva linea di difesa.

6210.- President Xi Jinping Meets with U.S. Secretary of State Antony Blinken

La Cina di Xi Jinping vuole il libero passaggio per la Via della Seta verso l’Europa attraverso la costa mediterranea orientale, quindi, stabilizzare quell’area e gli Stati Uniti, che sia Joe Biden o Donald Trump il presidente, non vogliono un asse russo – cinese e spingono alla loro collaborazione con l’India, competitor della Cina.

Da nova – project

Gianluca Napolitano, 28 aprile 2024

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La folle sfida degli USA al percorso storico tipico di ogni impero

Ascesa, sviluppo e declino. O magari, caduta. Anthony Blinken – segretario di stato del governo degli Stati Uniti – ha concluso ieri sera la sua visita ufficiale a Pechino. Sostanzialmente Blinken è andato fino a Pechino per minacciare la Cina. “Gli Stati Uniti sono pronti ad adottare nuove misure e imporre sanzioni contro la Cina alla luce della situazione in Ucraina”, ha detto ieri il Segretario di Stato statunitense a Pechino. “La Cina è il principale fornitore di macchinari, microelettronica e nitrocellulosa. E la Russia utilizza prodotti cinesi per sviluppare la propria industria militare”. Secondo Blinken la Cina deve interrompere il suo sostegno alla Russia. Infatti il segretario di stato americano ha informato i cinesi che “Pechino non sarà in grado di migliorare le relazioni con l’Europa se continua a sostenere la più grande minaccia che molti europei avvertono visceralmente che la Russia rappresenta per loro”. (cioè voi non lo sapevate, ma avete sempre “visceralmente” temuto la Russia e ci voleva un americano per illuminarvi in proposito, da quanto coglioni che siete) Avvertite qualcosa di “viscerale” voi? Beh, io sì. Ha aggiunto che “se Pechino non adotta misure per risolvere” il problema del sostegno che sta dando all’industria della difesa russa e non solo per la situazione in Ucraina”, sarà costretta a farlo Washington”. Per non lasciare troppi dubbi, il Segretario di Stato americano ha detto che gli Stati Uniti sono pronti a imporre ulteriori sanzioni a Pechino. Dopo l’incontro , in conferenza stampa, ha ricordato che gli Stati Uniti hanno già imposto sanzioni contro più di 100 enti e aziende cinesi e sono “pienamente preparati ad agire” e “adottare misure aggiuntive”. Infine, per stemperare gli animi e rilassare le tensioni ha detto che “la Cina sta cercando di interferire nelle elezioni USA”. No, decisamente non sembra essere andata benissimo.

https://novaproject.quora.com/la-folle-sfida-degli-usa-al-percorso-storico-di-ogni-impero

Da lì ha avuto un cordiale colloquio telefonico con il premier israeliano.

Questa volta, a differenza delle precedenti, Blinken non era affatto nella predisposizone d’animo di sentirsi trattare come una merda – come di solito fa Netanyahu con lui, da ebreo a ebreo – e sentirsi dire che al congresso americano conta più quello che dice Israele che quello che dice Biden

Il problema – come leggete nel post sopra – è che sostanzialmente i cinesi hanno mandato gentilissimamente ma indubitabilmente a fare in culo Blinken insieme alle sue minacce di sanzioni economiche e sfracelli tariffari se la Cina non si allinea alle decisioni – ordini – di Washington.

L’amministrazione Biden (ma anche con quella Trump sarebbe uguale) vuole che la Cina tagli praticamente i ponti con la Russia, “altrimenti ci arrabbiamo”.

Netanyahu non poteva scegliere un momento peggiore per annunciare che Israele – che lo segue compatto, almeno finora – ha deciso di attaccare ciò che rimane di Gaza e i suoi due milioni di sopravvissuti stipati nell’ultima città rimasta più o meno in piedi. Decisone irrevocabile, si comincia a maggio.

in-cre-di-bil-men-te Blinken gli ha risposto molto diplomaticamente “col cazzo!”.

Ok. La frase ufficiale è stata effettivamente più civile: “se solo ci provi ti tagliamo i fondi (12 miliardi) già stanziati”

Naturalmente la notizia è stata poi sottoposta ad un trattamento di bellezza e da cazzotto nei denti è diventata un applauso a Netanyahau, così gentile da “ascoltare” le raccomandazioni americane.

Trovarsi impegnati su tre fonti contemporaneamente per gli USA non è sostenibile, e persino i neocon lo sanno.

L’Ucraina è sull’orlo del collasso. E lo sanno (siete voi che non sapete mai niente).

Siccome un esito negativo di “Project Ukraine” non costerebbe solo la rielezione di Biden, ma probabilmente anche la libertà a tutti i protagonisti di questi 4 anni, ai quali verrebbe presentato sicuramente il conto per le tante malefatte e gli affari opachi (a partire dalla famiglia Biden) la proprità assoluta adesso è “evitare terremoti prima di novembre”.

Al momento “calmare le acque” è la priorità assoluta.

6206.- GAZA. Via libera degli USA all’offensiva israeliana su Rafah. Israele in cambio attuerà un attacco limitato contro l’Iran che, secondo funzionari americani, dovrebbe scattare dopo la Pasqua ebraica.

Dalla Casa Bianca un No all’ingresso della Palestina nell’ONU e un appoggio incondizionato alla “mietitura araba”. Infatti, Israele miete altri morti nel Nord della Striscia, a decine. Il genocidio impazza e l’Iran, il Libano e la Siria sono in pericolo; la Turchia è in travaglio.

من البيت الأبيض لا لدخول فلسطين إلى الأمم المتحدة ودعم غير مشروط لـ«الحصاد العربي». والحقيقة أن إسرائيل تحصد عشرات القتلى في القطاع، وإيران ولبنان وسوريا في خطر.

Dalla redazione di Pagine esteri, 18 Aprile 2024

GAZA. Via libera degli USA all’offensiva israeliana su Rafah

della redazione

Pagine Esteri, 18 aprile 2024 – Una fonte egiziana ha rivelato al quotidiano Al-Arabi Al-Jadid che l’Amministrazione Biden ha approvato il piano d’attacco del gabinetto di guerra israeliano contro Rafah, in cambio Israele non lancerà un attacco su larga scala all’Iran. Inoltre funzionari americani hanno detto alla rete ABC che Israele non attaccherà Teheran prima della fine della Pasqua ebraica (22-29 aprile).

Al Arabi Al Jadid aggiunge le forze egiziane nel Nord Sinai sono in piena allerta lungo il confine con la Striscia di Gaza per far fronte allo scenario di un’invasione di Rafah. Il Cairo è in allarme da lunedì scorso, da dopo i colloqui avuti con Israele relativi proprio ai preparativi per la nuova fase dell’offensiva militare nel sud di Gaza.

Il piano israeliano prevederebbe la suddivisione di Rafah in quadrati numerati che verranno presi di mira uno dopo l’altro, spingendo i civili palestinesi al loro interno a scappare, in particolare verso Khan Yunis e Al-Mawasi. La fonte egiziana ha affermato che, nell’ambito dei preparativi egiziani, la capacità di assorbimento dei campi per sfollati nella città di Khan Yunis, che sono supervisionati dalla Mezzaluna Rossa egiziana, è stata aumentata e la quantità di aiuti che vi entrano è cresciuta.

Intanto la tv Kan riferisce che il gabinetto di guerra israeliano avrà difficoltà ad attuare la risposta originale, pianificata e approvata inizialmente contro l’Iran. Una risposta ci sarà, ma molto probabilmente sarà diversa da quanto previsto nella notte tra sabato e domenica. Gli alleati occidentali, ha aggiunto la rete televisiva, sanno “che Israele risponderà ma che nessuno può garantire che la risposta non porti ad un’ampia escalation” con l’Iran. Pagine Esteri