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2301.- Perché gli intrecci fra Italia e Qatar in Libia stupiscono il Vaticano


Il governo italiano, con il premier Conte che ieri ha parlato di “serio e concreto rischio, di una crisi umanitaria”, si muove per vie diplomatiche. È arrivato a Roma il vicepremier e ministro degli Esteri qatarino Mohammed Al Thani, influente membro della famiglia reale dell’emiro Tamim Al Thani. Conte lo incontrerà domani insieme al titolare della Farnesina Enzo Moavero Milanes e non è escluso che, lo stesso giorno, atterri nella capitale anche il vicepresidente del Consiglio presidenziale del governo di Tripoli, Ahmed Maitig, uno degli uomini forti del presidente al Sarraj, esponente di Misurata, la città libica più potente a livello militare.

Un posizionamento così netto dell’Italia fa a pugni tanto con l’asse tripartito tra sauditi, emiratini ed israeliani, su cui è ancora imperniato il delicato ordine mediorientale, quanto con la strategia di Trump di disarticolare sia il blocco Qatar-Turchia-Iran che il più ampio disegno eurasiatico cinese. L’analisi di Francesco Galietti, fondatore di Policy Sonar

L’Italia ha scelto il Qatar. Per questo Donald Trump, ma anche sauditi, emiratini e israeliani ce l’hanno giurata. E il Vaticano gioca una partita diversa dall’Italia. L’avanzata di Haftar su Tripoli ha incupito tutti coloro che ricollegano gli sviluppi di queste ore all’abbattimento di Gheddafi consumatosi otto anni or sono sotto lo sguardo di un impotente Silvio Berlusconi e di un benedicente Giorgio Napolitano.

Si rivela fallace il calcolo di chi, confidando sulla massiccia presenza di Eni nell’Egitto di Al Sisi, sugli ottimi uffici di Roma con Mosca e sulla perdurante presenza statunitense in Libia, ipotizzava un equilibrio dinamico, ancorché fragile, in cui l’Italia avrebbe saputo muoversi con agilità.

Nessuna di queste contro-assicurazioni geopolitiche si è rivelata efficace. Da sempre incapace di tirare linee dritte, l’Italia si dimostra incapace anche di operare secondo traiettorie ellittiche. L’intera sponda Sud del Mediterraneo, il nostro vicinato prossimo, si presenta oggi come un formidabile arco di instabilità, in cui si fatica a tenere il conto delle guerre per delega tra il blocco saudita e quello qatariota.

È indubbio che Roma abbia aderito al secondo, tralasciando il primo. Di questa scelta le cronache offrono numerosi indizi, dalle continue visite a Doha di ministri italiani passati e presenti, fino all’utilizzo di lussuosi alberghi di proprietà qatariota come uffici di rappresentanza di politici italiani di primissimo piano.

Anche le recenti polemiche in occasione della finale di Supercoppa italiana Juve-Milan disputata a Gedda, in Arabia Saudita, si inquadrano in questa scelta di campo. Un posizionamento così netto dell’Italia non stride solo con la Realpolitik della Prima repubblica nel Mediterraneo allargato. Essa fa a pugni tanto con l’asse tripartito tra sauditi, emiratini ed israeliani, su cui è ancora imperniato il delicato ordine mediorientale, quanto con la strategia di Trump di disarticolare sia il blocco Qatar-Turchia-Iran che il più ampio disegno eurasiatico cinese.

E il Vaticano? Papa Bergoglio è stato negli Emirati Arabi Uniti lo scorso febbraio, omaggiando simbolicamente (il defunto, ndr) lo Sceicco bin Zayed, mentre nel 2015 non fu tenero con Recep Tayyp Erdogan – principale partner del Qatar. In quell’occasione, infatti, il Vaticano richiamò espressamente il genocidio armeno.

C’è la Chiesa del Nuovo Ordine Mondiale. Alla Conferenza globale sulla fratellanza umana di Abu Dhabi, il 5 febbraio, davanti a 700 leader di differenti religioni, il Capo dello Stato della Chiesa ha dichiarato che gli Emirati Arabi Uniti rappresentano un esempio di tolleranza. Non solo, mirando a diventare il Papa di tutte le religioni, ha chiamato tutti all’impegno comune: “Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro per le religioni”. Tra i punti salienti del documento firmato ad Abu Dhabi tra papa Francesco e il grande imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb(nella foto): la libertà di credo (diritto di ogni persona), il secco rifiuto del terrorismo (non si uccide nel nome di Dio), la rinuncia a usare il termine discriminatorio “minoranze”, la modifica delle leggi che impediscono alle donne di godere pienamente dei propri diritti. Quindi, il Vaticano è con Israele e contro il blocco Qatar-Turchia-Iran. L’Italia, un pò qua, un pò là. Ne deduco: Se salta il Nuovo Ordine Mondiale, salterà anche laChiesa.


Il riferimento a vicende passate conteneva anche una indicazione ‘a nuora perché suocera intenda’, ossia un monito alla Turchia a non avallare persecuzioni di cristiani. A differenza di quanto avvenuto sul dossier Cina, dunque, l’allineamento di Roma con il Qatar appare in controtendenza rispetto alla geopolitica del Vaticano.

diFrancesco Galietti. Le sottolineature e le didascalie sono aggiunte.

2237.- Tre novità sulla Libia

Conquistando il Fezzan, Haftar ha favorito il percorso di stabilizzazione. è lui l’uomo capace di riunificare il Paese.

Va dato atto all’azione militare di Khalifa Haftar di avere sbloccato la transizione verso le elezioni, occupando il Fezzan e il campo petrolifero di Sharara. Il processo di stabilizzazione della Libia prosegue, tuttavia, privilegiando la linea politica, che è condizione per giungere alle elezioni e che ha ricevuto nuovo impulso da questa azione. Macron e la Total,  proseguendo, invece, nella loro politica del divide et impera, mirano allo smembramento della Libia e hanno tentato di profittare della rottura degli equilibri per ridare voce alla Francia; naturalmente, in danno del popolo libico e dell’Italia, che mira alla stabilità politica del Paese, prima che al suo petrolio. La linea politica del Governo italiano e della Farnesina è condivisa dall’ONU e dagli Emirati Arabi Uniti. Così, l’occupazione del grande campo petrolifero di Sharara ha attivato le compagnie petrolifere e la proposta di Macron di far incontrare a Parigi Fayez Al Sarraj e Khalifa Haftar, per rimescolare le carte, è  stata ridimensionata. I due leader si sono incontrati, ma negli Emirati Arabi Uniti. Ne ha tratto vantaggio la linea politica del Governo italiano, del presidente degli EAU Sheikh Mohammed bin Zaye e dell’ONU. Vedremo se ne trarrà vantaggio anche l’attività dell’ENI. Di seguito, le novità, come le hanno viste Gli Occhi della Guerra e da Start Magazine.

La prima novità

È nota la circostanza secondo cui Khalifa Haftar in prospettiva è l’unico a poter militarmente unificare la Libia, il problema per l’Italia soprattutto era capire in che modo il generale della Cirenaica intende muovere i passi verso Tripoli. Se sotto il profilo militare, con l’aiuto di Francia ed Egitto, oppure politico. E soltanto in quest’ultimo caso entra in gioco l’Italia, attiva dal vertice di Palermo in poi grazie alla politica di inclusione che porta al dialogo con la parte occidentale ed orientale della Libia. Ma con la conquista manu militari del Fezzan da parte di Haftar, tutte le carte si sono rimescolate. 

Libia, incontro tra Al Sarraj ed Haftar: la svolta è arrivata ad Abu Dhabi e non a Parigi, come era trapelato nei giorni scorsi: Fayez Al Sarraj e Khalifa Haftar non si sono incontrati in Francia, bensì negli Emirati Arabi Uniti, a dispetto delle molte indiscrezioni degli ultimi giorni. Il tutto sotto la regia dell’inviato delle Nazioni Unite, Ghassan Salamè. Ed infatti è proprio un Tweet della pagina di Unsmil, la missione Onu in Libia, ad annunciare ufficialmente la svolta all’interno dell’intricata matassa libica. 

Gli incontri ad Abu Dhabi

Per la verità degli importanti vertici riguardanti la Libia nella capitale emiratina si sono già tenuti nei giorni scorsi. Ed è questo che ha spinto diversi analisti a pensare che Al Sarraj ed Haftar potessero in qualche modo incontrarsi sulle sponde del Golfo Persico. Anche perché si tratta di un territorio assolutamente neutro: gli Emirati appoggiano Haftar, ma intrattengono buoni rapporti anche con Tripoli. Per di più, Abu Dhabi proprio in questi giorni invia il proprio ministro degli esteri a Roma, segno dell’ottima relazione oramai sviluppatasi con l’Italia specie in campo energetico, ed ha notoriamente legami importanti con Parigi. Haftar in effetti si troverebbe ad Abu Dhabi fino allo scorso 25 febbraio per incontri personali con alcuni leader emiratini, ma sarebbe in seguito tornato a Bengasi il giorno seguente proprio quando da Sharm El Sheick atterra Fayez Al Sarraj. 

Il premier libico, reduce dal vertice tra Lega Araba ed Unione europea, atterra negli Emirati Arabi Uniti con in agenda un importante vertice con il presidente della Noc, Mustafa Sanallah. Sul piatto la delicata questione del campo di estrazione di Sharara, il più importante del paese e che risulta essere gestito dalla Noc assieme ad alcune compagnie straniere, in primis la spagnola Repsol. Di recente il campo è stato conquistato da milizie fedeli all’autoproclamato esercito libico guidato da Haftar e ha interrotto la produzione per alcuni giorni. Ecco un altro dei motivi per i quali c’è stato negli Emirati un incontro faccia a faccia tra il generale ed Al Sarraj. A discutere delle sorti del giacimento sono per l’appunto il premier tripolino ed il numero uno della compagnia. Grazie ad un accordo, come aveva riportato l’AgenziaNova, è ripresa dell’estrazione del greggio da Sharara. A garantire la sicurezza deve essere la stessa Noc, il cui presidente Sanallah rivolge un appello agli uomini dell’autoproclamato esercito libico affinché “smantellino le milizie civili loro alleate“. 

La cronaca della svolta improvvisa

Come sempre capita poi nel contesto libico, i colpi di scena sono dietro l’angolo. Proprio quando sembra impossibile che Haftar da Bengasi prenda un altro aereo in direzione Abu Dhabi, ecco che arriva un comunicato della missione delle Nazioni Unite che al contrario ufficializza il bilaterale tra l’uomo forte della Cirenaica ed Al Sarraj. Qualcosa bolle in pentola in effetti quando mercoledì sera Ghassan Salamé risulta essere nella capitale emiratina. E proprio nella serata del 27 sarebbe atterrato anche l’areo con a bordo Haftar. Il vertice tra i due principali attori libici appare importante in primis sotto un profilo prettamente simbolico, visto che l’ultimo faccia a faccia risale al vertice di Palermo. Ma a livello politico le novità riguardano un’intesa definitiva sulle elezioni: queste ultime vengono individuate quale strumento per porre fine al caos ed all’attuale transitorietà della situazione libica. 

Non certo una novità, visto che le elezioni sono già previste nella road map predisposta dall’Onu alla vigilia del vertice di Palermo. Ma il fatto che i due convengano, a pochi giorni dalla conquista quasi integrale del Fezzan da parte di Haftar, sull’opportunità e necessità di unificare le istituzioni statali, potrebbe essere preludio ad una più assidua collaborazione tra entrambe le parti in causa. E tutto questo, almeno per il momento, allontana gli spettri di uno scontro diretto tra le forze di Haftar e quelle vicine ad Al Serraj. Di certo, l’improvviso vertice ad Abu Dhabi potrebbe avere sempre più importanti conseguenze pratiche e politiche nelle prossime settimane. 

Fonte: Gli Occhi della Guerra.

La seconda

Che cosa hanno deciso Haftar e Serraj sulla Libia

Il vertice tra i due principali attori libici appare anche la conseguenza del predominio militare di Haftar.

Il premier del governo libico di unità nazionale (Gna) Fayez al-Sarraj e il suo rivale Khalifa Haftar, uomo forte dell’est della Libia, hanno raggiunto mercoledì ad Abu Dhabi un accordo sotto l’egida delle Nazioni unite per organizzare delle elezioni in Libia e “porre fine al periodo di transizione”. Lo annuncia la missione di appoggio dell’Onu in Libia, Unsmil.

Il commento del vicepresidente del COPASIR. L’Italia perde terreno? Le rassicurazioni di Conte.


Antonio Urso

L’intesa di Abu Dhabi tra #Al-Sarraj e il gen. #Haftar è avvenuta con la regia della Francia. Una grave sconfitta per le ambizioni del governo Conte che rischia così di pregiudicare i nostri prioritari interessi nazionali. #Libia addio? @FratellidItaIia522:52 – 28 feb 2019

Gabriele Carrer‏ @GabrieleCarrerSeguiSegui @GabrieleCarrerAltro

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Cosa succede in #Libia tra #Haftar e #Serraj? Che ruolo hanno gli Emirati Arabi Uniti? Perché l’#Italia perde ancora terreno sulla #Francia di #Macron nonostante ci siano grossi interessi da difendere e che toccano @eni, @Leonardo_IT e #Saipem? Oggi su @LaVeritaWeb.


Secondo Conte, “Se non c’è un accordo Sarraj-Haftar non si va da nessuna parte” e “gli Emirati stanno dando una grande mano in questo senso”. Il premier rivendica il suo ruolo in tal senso: “Sono andato due volte ad Abu Dhabi e ho avuto due colloqui diretti con Sheikh Mohammed bin Zayed, oltre a quelli telefonici, che ci hanno permesso di costruire un rapporto di fiducia da cui è nata una strategia comune” condivisa anche con Sarraj con cui Conte ha avuto un colloquio a margine del summit con la Lega Araba: “È stato un lungo e serrato incontro alla presenza delle delegazioni e proseguito a tu per tu durante una pausa del vertice”, ha detto Conte in un’intervista alla Stampa (Dev’essere stato proprio così. ndr).

Conte assicura poi che “Parigi è informata. I nostri due Paesi hanno continuato a lavorare a tutti i livelli sul dossier libico, dall’intelligence in poi, non c’è divergenza sulla necessità di pervenire quanto prima alla stabilizzazione della Libia”.”Al momento, con Parigi c’è convergenza di obiettivi e un aggiornamento costante”, ha detto il presidente del Consiglio.

Che cosa si legge nella relazione del DIS sulla Libia

La Libia è un Paese “nodale” per gli interessi italiani ed afflitto da criticità ormai endemiche, con lo “strapotere delle milizie” e l’affermazione “dell’uso della forza per fini politici”, la “competizione per le risorse petrolifere e per il controllo delle istituzioni finanziarie centrali”, “la concorrenza intorno agli introiti dei traffici illeciti”. Lo ha rilevato ieri l’intelligence nella Relazione annuale del Dis presentata (con accenni sul razzismo che avrebbero stupito il Viminale), dove si ricorda che l’azione dell’Italia in quel Paese “si misura anche con l’operato di attori, locali e internazionali, che perseguono proprie agende e propri interessi”. E lo scontro in Libia non si esaurisce nella contrapposizione Tripoli-Tobruq, cioe’ tra il Governo di Fayez al Sarraj riconosciuto dall’Onu ed la fazione cirenaica del potente Khalifa Haftar. Ci sono infatti conflitti che coinvolgono altri schieramenti: ‘secolari’/islamisti, salafiti/Fratellanza Musulmana, gheddafisti/post-rivoluzionari. L’attenzione degli 007 e’ stata dedicata, tra l’altro, alla Mezzaluna petrolifera, in un’ottica di “tutela degli interessi energetici nazionali”. Senza trascurare il jihadismo, dai gruppi qaidisti all’Isis, che “si è distinto per un rinnovato attivismo”.

Michelangelo Colombo su Startmag.it. 

La terza non è una novità.

L’estrazione e la qualità del petrolio libico 

Il petrolio oramai sta raggiungendo i livelli ante guerra: quando ancora a Tripoli sventolava la bandiera verde della Jamahiriya, in media, si producevano 1.6 milioni di barili al giorno. Poi ovviamente l’instabilità e la guerra hanno iniziato a far scemare l’estrazione dell’oro nero. Tra giacimenti insicuri e società che hanno iniziato una repentina evacuazione dei propri dipendenti, dalla Libia è iniziato ad arrivare sempre meno petrolio. Adesso, con 1.3 milioni di barili al giorno, ci si avvicina ai livelli pre 2011 e non è un caso che le più importanti potenze inizino a premere per una ricomposizione del frastagliato mosaico del paese. 

Del resto sotto la sabbia del Sahara, ma anche sotto una parte dello specchio d’acqua dirimpettaio alle coste libiche, si nasconde una qualità di oro nero che fa gola soprattutto nel vecchio continente. Il petrolio della Libia è poco denso e con poco zolfo. Dunque è più facile da lavorare e questo implica costi di raffinazione notevolmente minori. Ma non solo: la Libia è a meno di 300 km dal primo lembo di terra d’Europa, il trasporto del greggio soprattutto nel vecchio continente è molto più semplice. Per fare un esempio, le navi petroliere dall’Arabia Saudita impiegano in media quasi 25 giorni per raggiungere i porti del nord Europa. Dalla Libia si risparmia più della metà del tempo. Pompare petrolio nel paese nordafricano è un guadagno per tutti, specie per quei paesi che hanno al loro interno alcune delle più importanti compagnie petrolifere. 

REUTERS/Hamid Khatib

Illustrazioni dal web. Veneto Unico