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3583.- La polizia uccide ragazzo che ha infranto il coprifuoco Covid. Scontri e proteste a Tirana

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A 25 anni, ucciso dal delirio di onnipotenza di un agente idiota. Klodian Rreshja esce durante il coprifuoco covid per comprare le sigarette; scappa per non pagare la multa di 80€: assassinato!

La polizia dal grilletto facile.

Bisogna disarmare queste crisi di onnipotenza e sottoporre i poliziotti a controllo psichiatrico periodico della pericolosità sociale.

Si è dimesso il ministro dell’Interno.

Di Redazione -11 Dicembre 2020

Un ragazzo di 25 anni, Klodian Rreshja, è stato ucciso dalla polizia albanese a Tirana la notte dell’8 dicembre. Come riportato dalle agenzie, il giovane aveva violato nientemeno che il coprifuoco notturno in vigore per combattere la cosiddetta pandemia Covid.
Secondo quanto dichiarato dalla sorella a Euronews Albania, Klodjan non aveva armi con sé ed era uscito per comprare le sigarette. La causa dello sparo sarebbe stata il fatto che il ragazzo, per non dover pagare una multa di 80, non si è fermato all’alt degli agenti in servizio per far rispettare il coprifuoco ed è scappato.

La situazione è velocemente precipitata nella capitale e, in poche ore, si è scatenato il caos. Manifestazioni anche a Durazzo. Scontri a Tirana. I manifestanti hanno dato l’assalto a numerosi edifici statali che si trovano sul viale principale della capitale. Numerosi scontri e cariche tra i cittadini che si ribellano alla violenza e gli agenti, schierati a difendere i palazzi del governo circondati dai manifestanti. I poliziotti, bardati come marziani, hanno cominciato ad arrestare anche giovani minorenni o ventenni a passeggio, aggredendoli in strada e trascinandoli brutalmente. C’è un video che mostra un giovane che grida “Sto andando a casa!” ma viene ancora malmenato.

2227.- L’Albania non può diventare la nuova Siria. Urge l’aiuto dell’Europa

Sono trascorsi 20 anni da quando lasciai Tirana. Vi abitai per quasi due anni, in centro, davanti al Museo, lavorando per il governo di Fatos Nano, con una delegazione italiana. Voglio ricordare solo un episodio. L’Italia finanziò il progetto di ristrutturazione del porto di Durazzo, compresa l’illuminazione notturna della rada. Importante cerimonia di inaugurazione con tutto il governo, autorità italiane, bandiere e bande militari. Ma il contrabbando è la prima attività degli albanesi e la merce si scaricava al buio, di notte. Al mattino dopo, tutte le boe luminose e i cavi dell’impianto erano spariti. Mi disse sconsolato un ministro: “Mario, noi la notte dobbiamo lavorare!”

L’analisi sulla situazione in cui versa l’Albania a cura di Agron Gjekmarkaj docente nell’Università pubblica di Tirana per Agensir

Oggi in Albania esiste soltanto un potere quasi assoluto: quello del premier Edi Rama. Le istituzioni principali dello Stato sono nelle sue mani. Con la scusa della riforma giudiziaria, i Tribunali sono tali solo di nome: non c’è più differenza tra poliziotto, procuratore e giudice. Mi dispiace avere un atteggiamento critico verso il mio Paese soprattutto parlandone ad un’agenzia estera, ma la verità ci rende liberi… forse.

In sei anni di governo socialista, l’Albania è diventata la repubblica verde della cannabis, divenendo, di fatto, il Paese al centro dei vari narcotraffici, spesso legati a personaggi molto in vista.

LA MALAVITA E IL POTERE SONO SINONIMI

Noi siamo una popolazione di 4,2 milioni di abitanti, di questi, dagli anni Novanta, 1,5 milioni sono quelli emigrati in altri Paesi. Altri 300mila se ne sono andati dal 2015, portando così il numero degli espatriati a 1,8 milioni. Per un Paese così piccolo questo è un suicidio demografico. Gli ultimi sondaggi offrono una panoramica spaventosa, dove il 60% della popolazione rimasta vuole andare via.

La gente oggi soffre per la povertà, la disoccupazione, la criminalità, la corruzione diffusissima e, soprattutto, la mancanza di uno Stato di diritto.

Solo poco tempo fa è stato reso pubblico un dossier di intercettazioni telefoniche tra gli esponenti politici vicini al premier Edi Rama e appartenenti alla criminalità organizzata: in queste telefonate si parlava apertamente di voti venduti o comprati durante l’ultimo processo elettorale colpendo così duramente la legittimità del governo. A questo si aggiunge la vicenda degli appalti stradali, gestiti da anni solo da persone vicine al premier, che suscita rabbia e scalpore nell’opinione pubblica.

Ultimamente proprio la reazione dei cittadini e dell’opposizione ha fatto annullare un appalto da 30 milioni di euro: era stato affidato a una ditta fantasma che contava su un capitale depositato di soli 80 centesimi.

Da due mesi gli studenti e i professori delle università pubbliche sono in stato di agitazione permanente: protestano per i vari problemi che pesano nella loro vita quotidiana. Edi Rama, sfruttando questo momento, e senza soddisfare le richieste del mondo dell’università, ha cambiato l’80% dei ministri, peggiorando ulteriormente la qualità del governo.

IN ATTESA DI UN SEGNALE FORTE DALL’EUROPA

Il 16 febbraio scorso l’opposizione ha chiamato in piazza i suoi sostenitori e la novità è che erano in tanti, più di 60mila in un’Albania dalla popolazione quasi dimezzata, scappata da un bel Paese cui hanno ucciso le speranze tra arroganza del potere e corruzione. Alla protesta ha fatto seguito la decisione del gruppo parlamentare del Partito democratico, principale formazione dell’opposizione albanese di centro destra guidata da Lulzim Basha, di non fare più parte dell’Assemblea nazionale. E già si guarda a giovedì prossimo, giorno in cui ci sarà una nuova protesta di piazza. Insomma, il quadro è alquanto complesso.

E se le democrazie europee non interverranno per garantire la libertà di scelta politica, per garantire il funzionamento dello stato di diritto, per garantire che la società albanese sconfigga la corruzione del governo, si creerà di nuovo il “caso Albania” alle porte dell’Italia e dell’Europa e saremo noi i prossimi profughi.

Ci serve l’aiuto vero dell’Europa per vivere in Albania da cittadini europei e non in Europa da emigranti, carne per le bocche elettorali dei nuovi populisti. Siamo europei, non i gatti neri d’Europa. Aiutateci a ottenere la libertà dagli ultimi Pascià ottomani che ci governano, rubano e deridono.

2047.- ALBANIA: Nella “città di Stalin” verrà aperta una base NATO. IO C’ERO.

Mig. 15

Kuçovë 1999. Io c’ero. I due giovani sulla sinistra sono i figli del comandante che ci fecero da scorta. Il mitico Mig-15 della Korea. Andammo in ispezione a Kuçovë come membri della Delegazione Italiana esperti presso il Governo di Fatos Nano e riuscii a convincere i piloti a non farsi fagocitare dall’esercito e a andare in volo con i loro Mig, per far sentire il rombo dei motori su Tirana. Fu lì che feci conoscenza con i Mig cinesi, Mig-15 e 17 e con il carro T-34/85. Trenta (?), il collega del demanio si dedicò, invece, allo studio per il ripristino della base, delle infrastrutture e del centro di manutenzione, ma risultò impossibile finanziarlo. Feci anche amicizia, a suon di cioccolate, con un orso incatenato. Portai quei piloti in Italia a visitare una base NATO di F-104S. Gli americani ci avevano tenuto in allerta per anni col Patto di Varsavia, ma, di là dalla cortina di Ferro, non c’era nulla di paragonabile alla NATO. Putin ha fatto miracoli e la Russia di oggi è un avversario potente e temibile.

Pietro Aleotti 

La North Atlantic Treaty Organization (NATO) avrà la sua prima base aerea nei Balcani occidentali, in Albania per la precisione, membro dell’organizzazione dal 2009. Sarebbero, infatti, iniziati in questi giorni i lavori di ammodernamento dell’aeroporto di Kuçovë, città a vocazione industriale di poco più di trenta mila persone nel cuore del paese, 80 chilometri a sud di Tirana. Nelle intenzioni la base dovrà fornire, soprattutto, supporto logistico e di rifornimento alle operazioni NATO al punto che, tra le novità previste, vi è anche la realizzazione di un deposito di carburante ex-novo.

Era stato il primo ministro albanese, Edi Rama, nell’agosto scorso, a paventare questa possibilità, scrivendo direttamente sulla sua pagina Facebook che il consiglio direttivo della NATO aveva deciso di stanziare, allo scopo, una cifra vicina ai 50 milioni di Euro per coprire le spese iniziali del progetto. Quell’annuncio, evidentemente, non rappresentava una boutade estiva “priva di ragioni oggettive” per il solo desiderio di ”piacere agli americani offrendo loro qualcosa”, come sostenuto non senza qualche ironia da alcuni osservatori nei giorni immediatamente successivi; quanto, piuttosto, il frutto di un processo iniziato già ad aprile di quest’anno, quando il ministro della Difesa albanese, Olta Xhacka, in visita al Pentagono, aveva esplicatamene offerto la disponibilità del proprio paese a fungere “da nazione di contatto nella regione”. In quell’occasione Xhacka aveva inoltre sottolineato che era “giunto il momento per gli Stati Uniti di stabilire la loro presenza in Albania”. Un’apertura alla NATO, dunque, o anche “solo” agli Stati Uniti, per “una base co-gestita da USA e Albania”.

I tempi

Difficile, allo stato, fare previsioni attendibili circa i tempi di finalizzazione del progetto; difficile anche pensare che la data indicata da Rama, aprile 2019, possa essere effettivamente rispettata. La struttura, risalente agli anni ’50, è stata, infatti, gravemente danneggiata nel corso dei violentissimi disordini che scossero l’Albania all’inizio del 1997, nel periodo consegnato alla storia con la definizione di “anarchia albanese”: in quei mesi il governo in carica di Sali Berisha perse, di fatto, il controllo del paese, squassato da una crisi finanziaria senza precedenti, lasciando campo libero all’azione di bande criminali che provocarono diffuse devastazioni e, secondo alcune stime, almeno duemila morti tra i civili. Se è vero che l’impianto è già stato oggetto d’importanti interventi di adeguamento agli standard NATO tra il 2002 e il 2004 con la realizzazione di una torre di controllo, di un impianto d’illuminazione e la sostituzione della pavimentazione, è altresì vero che esso appare, a oggi, parzialmente abbandonato e ingombro di relitti di velivoli inutilizzabili risalenti addirittura all’epoca del dittatore comunista Enver Hoxha e dell’alleanza con l’Unione Sovietica.

Tutti vincenti

Ciononostante, la riapertura dell’aeroporto di Kuçovë sembra essere la classica operazione in cui tutte le parti in causa hanno qualcosa da ricavare, perlomeno apparentemente. Ha le proprie buone ragioni Edi Rama, fiducioso che quest’operazione possa contribuire a rinnovare quel consenso popolare che, poco più di un anno fa, gli permise di vincere le elezioni, e che appare oggi offuscato anche in ragione degli scandali giudiziari che hanno coinvolto il proprio esecutivo con i conseguenti attacchi delle opposizioni, arrivate a chiederne le dimissioni. Più in generale ha da trarne profitto l’Albania: non solo perché l’indotto connesso a una struttura del genere sarebbe in grado di risollevare le sorti di un’area in piena crisi dopo il boom economico degli anni ’30 connesso allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi da parte dell’AIPA, una consociata dell’italiana AGIP (Kuçovë fu chiamata Petrolia durante il fascismo); ma anche perché le darebbe la possibilità di accreditarsi come paese affidabile e fedele in una zona strategicamente fondamentale come quella mediterranea.

Da ultima, ma non per ultima ovviamente, ha da guadagnarne la NATO, desiderosa di aumentare la propria presenza nell’area balcanica, se non altro per contrastare l’influenza russa, prevenendo possibili defezioni o esitazioni da parte di paesi storicamente allineati, quali l’Italia. Non è un caso, in tal senso, che quest’operazione potrebbe rappresentare solo un primo tassello di un più ampio piano di “espansione” che prevederebbe, anche, la riattivazione dell’aeroporto di Tuzla in Bosnia Erzegovina.

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Da Stalin alla NATO: ironia della storia

Al di là dagli aspetti geopolitici, la realizzazione di una base aerea NATO a Kuçovë assume, in modo ironicamente casuale, un significato simbolico oltremodo evocativo. Dopo la guerra Enver Hoxha, che governò il paese per quaranta anni fino alla sua morte nel 1985, decise di chiamare la città Qyteti Stalin, ovvero Città di Stalin, nome che resistette fino al 1990. Da Stalin alla NATO, dunque. Ma, si sa, la storia corre veloce e il quadro geopolitico attuale è totalmente mutato: l’Albania di oggi guarda decisamente a occidente e la base aerea NATO a Kuçovë ne rappresenta l’ennesima conferma.

 

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