Archivi categoria: Politica estera Gibuti

4103.- Per l’Europa, l’Africa è un complemento necessario, ma Washington è rimasta alla Guerra Fredda.

Lo stabilimento di una base navale cinese a Gibuti, di basi russe in Siria, a Khmeimim (aerea) appunto, a Tartus (navale) e in Africa, a Porto Sudan vanno contro gli interessi dell’Europa, né più né meno come quello della base navale turca a Misurata, che rappresenta più di un problema per l’Italia, per l’Europa e per la NATO. Vero che le basi d’oltremare devono essere mantenute e rifornite, ma sia la Cina in Africa e sia Russia e Cina alleate, anche nell’Artico, significano che la politica estera USA dovrà combattere su più fronti senza disporre delle necessarie risorse. Se, poi, si somma la competizione in atto nel Mare Cinese Meridionale, c’è di che dubitare dell’attuale guida dell’Occidente.

f4ba5c90-dc5e-11e5-ba33-b7a5a5ded6db_1280x720
La Cina ha accolto il piccolo Gibuti nella Nuova Via della Seta, ha stabilito lì una base navale con 10.000 uomini e coopera sui progetti infrastrutturali tra cui ferrovie, porti, approvvigionamento idrico, gasdotti, costruzione di un’area di libero scambio e cooperazione in agricoltura.

Il timore di non poter fare fronte alle potenze asiatiche e alla Russia sui mari condiziona la politica degli Stati Uniti d’America, ma sembra spingerla ad avvicinare sempre più la Russia alla Grande area di prosperità dell’Asia orientale, sintetizzata dal Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) sottoscritto da 15 Paesi, lo scorso novembre, nel summit regionale di Hanoi. Come dire che può essere più conveniente avere un Putin fra gli alleati del nemico, che averlo per amico.

Che l’US.Navy si sarebbe trovata a fare i conti con l’espansione della Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione Cinese si sapeva dall’inizio del secolo e nacque la richiesta agli alleati di sviluppare le loro flotte. Così, mentre è nato un fritto misto di portaerei occidentali o pseudo tali, vediamo il numero delle “carriers” coprire con difficoltà gli scenari tra Asia e Pacifico. Per esempio, notiamo che la VI Flotta non domina più il Mediterraneo, che deve fare affidamento sulla V Flotta dislocata fra il Mar Rosso e l’Oceano Indiano; ma c’è di mezzo il Canale di Suez e abbiamo visto con quali livelli di rischio. Le incursioni dei cacciatorpediniere americani e inglesi in Mar Nero poco possono contro l’insufficienza della politica di Washington. È di pochi giorni fa, l’invasione delle acque territoriali russe da parte dell’HMS Defender (D36), invitato a uscirne a colpi di cannone di avvertimento, ma di cannone. Da ricordare anche la recente dimostrazione di forza dell’aeronautica dell’Esercito Popolare Cinese di Liberazione verso la portaerei nucleare USS Ronald Reagan (CVN76) nel Mare Meridionale Cinese.

L’HMS Defender. La Russia avverte che non è mai successo di dover sganciate bombe e sparare per allontanare una nave da guerra britannica.
Lancio di Flare dall’elicottero Wildcat dell’HMS Defender. Il cacciatorpediniere lanciamissili fa parte del 21° Carrier Strike Group della Royal Navy che ha lasciato Portsmouth con 7 navi, diretto nell’Oceano Indiano attraverso Suez. L’HMS Defender è stato distaccato in Mar Nero per una missione di aperta provocazione.
Nella foto, il 7 giugno, durante l’attraversamento dello Stretto di Messina, il cacciatorpediniere lanciamissili italiano Andrea Doria (D553) ha scortato l’HMS Queen Elizabeth (R-08). L’addestramento congiunto tra la Marina Italiana e la Royal Navy, era iniziato già nelle acque dell’Atlantico, con la presenza di unità delle marine statunitensi ed olandesi ed è proseguito in Mediterraneo con la partecipazione del Gruppo Charles De Gaulle (R-91) in rientro dall’Oceano Indiano.

La Royal Navy ha aggiunto le sue nuove portaerei classe Queen Elizabeth (65.000 tsl), ci sono i giapponesi Izumo e un’altra portaerei vera scenderà in mare dai cantieri francesi, a sostituire il Charles De Gaulle, R-91 (42.500 tal, nucleare), mentre, guardando all’Italia, che ci interessa, l’ammiraglia Conte di Cavour (C550) , di dislocamento troppo inferiore (29.900 tsl) e con una singola squadriglia di F-35B, non può generare supporto a operazioni sostenute: può mostrare bandiera. La nuova Trieste è il doppio, ma sarà un pò di tutto e niente: portaelicotteri, nave ospedale (ipocrisia della doppia destinazione della nave, un pò per difesa e il resto per la protezione civile), nave d’assalto anfibio e il ponte dove atterra un elicottero non è detto che possa bastare a sostenere un F-35. Chissà il ristorante, ma, a proposito, la migliore paella ai frutti di mare fu quella del Principe de Asturias, R-11 (la cui bandiera onora il mio studio) e il miglior fegato alla veneziana lo trovai sulla USS Indipendence CVA 62 (“Indy“, per chi gli ha voluto bene) e non sul Garibaldi.

Il vero problema è che le “carriers” dell’US.Navy hanno rappresentato e impersonato per decenni il potere marittimo USA in chiave di deterrente anti russi e, oggi, giocare tutto su una super portaerei nucleare da 100.000 tonnellate sembra un rischio eccessivo. Un conto sono le operazioni mordi e fuggi, come in Siria, un altro è tenere banco contro la Cina nel Mare Cinese Meridionale. Ecco che l’articolo di Gagliano ci pone alcuni problemi: Sono ancora le super portaerei il sistema d’arma giusto per affrontare, non un conflitto limitato, ma una grande potenza? e, poi: Sarà questo Occidente, amputato della Russia da una visione datata della politica USA, in grado di far fronte a Cina e Russia insieme sui mari del mondo, dal Pacifico al Mare Cinese, all’Artico, all’Oceano Indiano e al Mar Rosso. E, infine, come reagiremo a questa base navale russa a Porto Sudan, che fa il paio con quella cinese a Gibuti?

USS Donald Cook DDG 75 classe Arleigh Burke, è un cacciatorpediniere multi-missione di 8500 tono sl, progettato per difendersi e, se necessario, distruggere i suoi nemici sulla superficie dell’oceano, sulla terraferma, nel cielo, sotto le onde e persino nello spazio. Gli Arleigh Burke, i Defender (8.300 tonn.sl) e gli Andrea Doria (7.770 tonn.sl) possono essere considerati incrociatori.

Come e perché la Russia amoreggia con il Sudan

di Giuseppe Gagliano

Russia Sudan Sputnik

Mosca rafforza la presenza russa in Africa, contribuendo, insieme alla Cina, a contrastare fortemente sia la presenza francese sia quella americana

Il primo ministro della Federazione Russa, Mikhail Mishustin, ha firmato venerdì 25 giugno il decreto che consente la realizzazione dell’importantissima infrastruttura navale russa in Sudan.

Questo accordo naturalmente è stato possibile anche grazie all’intensificazione della sinergia in ambito militare tra Mosca e Khartoum.

Sotto il profilo strategico questo accordo consentirà alla Russia di realizzare un centro logistico nelle prossimità di Port Sudan di fronte al Mar Rosso e ciò darà la possibilità alla Russia di dispiegare unità militari.

Dal punto di vista finanziario le esportazioni russe in Sudan non potranno che rafforzarsi. Infatti la Russia avrà la possibilità di servirsi delle infrastrutture aeroportuali sudanesi per agevolare le proprie esportazioni e importazioni prive di dazi doganali, ma soprattutto consentirà alla marina militare russa di avere la prima base navale in Africa.

Complessivamente questo accordo rafforza la presenza russa in Africa ed, insieme a quella cinese, contribuisce a contrastare fortemente sia quella francese sia quella americana.

È evidente che la politica assertiva russa a livello globale sia profondamente osteggiata dagli Stati Uniti che applicano una strategia spesso indiretta per contrastare la Russia  per esempio attraverso l’Ucraina e attraverso l’Inghilterra.

Per quanto riguarda l’Ucraina questa ha imposto il 24 giugno una nuova serie di sanzioni che avranno durata triennale contro la Russia nei confronti di quelle banche che sono presenti nei territori delle cosiddette repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, nell’Ucraina Orientale. In particolare le sanzioni hanno colpito 55 banche russe, sanzioni queste che vanno ad aggiungersi a quelle nei confronti dei periodici russi quali Lenta, Gazeta e le agenzie di stampa come la TASS.

Per quanto riguarda la postura posta in essere dall’Inghilterra non si può non fare riferimento al recentissimo episodio avvenuto nelle acque di Capo Fiolent, in Crimea, da parte della nave da guerra inglese Defender, che sarebbe entrata nel territorio della Federazione Russa per ben 3 km.

Di fronte a questa provocazione la flotta del Mar Nero della federazione russa aperto il fuoco lungo la rotta della nave inglese come misura preventiva. Di estremo interesse e significato politico il fatto che proprio il ministro della difesa ucraino Dmytro Kuleba, abbia stigmatizzato l’episodio affermando come la reazione russa dimostri la politica provocatoria da aggressiva della federazione nel Mar Nero e nel Mare di Azov. Una reazione questa che costituisce lo specchio fedele della posizione americana.

Ebbene le continue e costanti esercitazioni della Nato, che per Mosca sono naturalmente delle provocazioni, sono finalizzate a contenere sia la Russia che la Cina. Per quanto riguarda l’Inghilterra non c’è dubbio che la sua rinnovata postura offensiva anche nell’indo Pacifico sia finalizzata a fare recuperare autorevolezza e credibilità alla politica estera inglese che per lungo tempo è rimasta congelata e schiacciata da quella dell’alleato americano.