Archivio mensile:giugno 2019

2433.- Affidamenti illeciti di minori, la manipolazione è devastante. Nessuno è pronto all’inferno

Maurizio Montanari ci porta il suo sdegno. Dinanzi alle fogne aperte nella magistratura e in difesa dello spirito democratico della mia generazione, mi pongo un quesito su un argomento controverso e dibattuto: È proprio vero che la pena di morte per gravi reati sia estranea al diritto penale? In quale recupero di questi serpenti possiamo sperare? Dinanzi alle fogne aperte nella magistratura, nel suo apice e fino a quella onoraria e in difesa dello spirito democratico della mia generazione, mi pongo un quesito su un argomento controverso e dibattuto: È proprio vero che la pena di morte per gravi reati contro la personalità dello Stato, contro la dignità della persona umana, come il cannibalismo, sia in contraddizione con il diritto penale? In quale recupero di questi serpenti alla società possiamo sperare con le pene umanitarie? La protezione dei diritti fondamentali dell’uomo può essere disparitaria quando si tratta di quella del minore? Occorrerebbe un’altra legge di revisione costituzionale sull’articolo 27.

dal blog di Maurizio Montanari

Se i fatti accaduti a Bibbiano dovessero essere anche solo in parte confermati, ci troveremmo di fronte al tentativo di realizzazione di una delle più subdole pratiche di manipolazione dell’essere umano: la distruzione artificiale del fresco passato di un bambinooperata attraverso l’innesto di ricordi artificiali finalizzati alla cancellazione sistematica delle figure genitoriali. Il tutto per preparare un terreno nel quale fare attecchire nuove figure di riferimento. Bisogna aspettare gli sviluppi. Tuttavia la rabbia e l’incredulità diffusa sono legate alla consapevolezza che agire sulle menti di bambini, la cui personalità è in abbozzo di formazione, significa avere un’elevatissima garanzia di riuscita dell’opera di azzeramento del tempo trascorso, pratica la cui validità sull’adulto è testimoniata da una solida letteratura.

Affidamenti illeciti di minori, 16 arresti a Reggio Emilia: “Lavaggio del cervello e impulsi elettrici ai bimbi”

Se provate, queste manipolazioni entrerebbero direttamente in una dimensione che esula dalle quasi incredibili testimonianze di malapratica riportate dai quotidiani (la pervicacia terrorizzante con la quale alcune frasi sarebbero state “imposte” ai bambini per demolire padre e madre, le presunte modifiche ai disegni, sono cose che provocano sgomento e smarrimento anche nel più cinico dei poliziotti o nel più indurito degli analisti) per avvicinarsi ai deliranti progetti di controllo generazionale partoriti nella storia dal ventre delle più cupe dittature. Mentre il regime argentino di Jorge Videla operava sul campo pratico, uccidendo i genitori ritenuti “sovversivi” per rendere i figli adottabili da parte degli aguzzini, la pratica di invalidamento di figure parentali ancora viventi che gli inquirenti ipotizzano avrebbe operato malignamente su un doppio livello: dapprima si lacerano i ricordi di un minore, il che dovrebbe poi generare un moto “spontaneo” di repulsione nel suddetto, obbligato a ripudiare un genitore che è stato costretto ad odiare.

I resoconti letti sui quotidiani portano alla mente l’azione dell’Anka di Pol Pot, in Cambogia. Nei campi di prigionia khmer, mirabilmente descritti nel film Urla del silenzio, il passato veniva eradicato eliminando fisicamente gli adulti, crescendo i bambini in una surreale condizione di “anno zero”, nella quale “nulla è successo prima d’ora”. Padri e madri erano sostituiti dall’onnipotente Anka, il Partito Cosa al quale questi nuovi figli erano di fatto assoggettati.

Se i fatti venissero provati, il rischio per le piccole vittime sarebbe quello di rendere reale e sedimentato quel passato che è stato loro sovrascritto, creando nei loro cuori e nelle loro menti un conflitto permanente. Tutto quel sistema simbolico e culturale di identificazioni progressive che il bambino, superate le figure genitoriali, deve acquisire e possedere per instradarsi verso la vita adulta, fatto di fiducia negli insegnanti, nei medici, nell’altro, sarebbe stato in questo caso minato gravemente. Chiunque siano i genitori suppletivi, laddove piantati artificialmente su un terreno bruciato col terrore e la paura, non potranno mai garantire un solido aggancio di questi bambini al mondo adulto.

Nei casi di manipolazione di ricordi operata su minori, solo affidandoli a mani espertissime è forse possibile aprire un varco nel quale cercare, quantomeno, di ripristinare un passato accettabile dopo che questo è stato violato. Solo un’opera fine e precisa può mettere le mani laddove le fondamenta sono state semidistrutteper ridisegnare e circoscrivere il posto di questi padri e madri, da lì espulsi col marchio dell’infamia.

La clinica insegna che i genitori privati dei figli in base ad accuse false, messi artatamente alla gogna con accusa di essere maneschio sessualmente violenti, vanno incontro a una devastazioneprogressiva dell’animo e un isolamento che, quand’anche la verità torni nel tempo a galla, lascia segni indelebili, anche sul corpo, come testimonia l’inchiesta “Veleno” (“Due vicende con tantissime analogie, finalmente i nodi stanno venendo al pettine”. Lorena Morselli, una delle madri, negli anni 90 si vide togliere quattro figli per un’inchiesta su presunti casi di violenza sessuale su minori e satanismo, la cosiddetta vicenda dei “pedofili della Bassa”).

Ci sono davvero tanti indagati in questa storia. Abito queste terre, e ho sobbalzato come tutti a leggere tali notizie. Pare impossibile che un mondo parallelo, fondato sul plagio, la soperchieria, la prevaricazione, si sia evoluto sino a soppiantare, in zone circoscritte, lo stato di diritto in una delle aree più pedagogicamente avanzate dell’Italia. Nessuno è pronto all’inferno.

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Maurizio Montanari
Psicoanalista

2432.- La fabbrica degli orfani di Reggio Emilia? Gli affidi sono uno sporco business (e ora la politica si deve svegliare)

Reggio Emilia, 29 giugno 2019 – Pressioni e amicizie della ‘zarina’ dei servizi sociali Federica Anghinolfi. L’ombra dei favori alle coppie omosessuali.  Obbligava gli assistenti sociali a redigere e firmare verbali dove si attestava il falso riguardo allo stato familiare o al contesto abitativo dei bambini. Che poi decideva a chi affidare (elargendo addirittura contributi doppi fino a 1.200 euro rispetto alle ‘rette’ previste), influenzata tra l’altro dal suo attivismo nel mondo gay, per la lotta in favore dell’adozione alle coppie omosessuali, ma anche dai suoi intrecci sentimentali. E stabiliva pure a quali psicoterapeuti bisognava mandare in cura i piccoli una volta strappati dalle famiglie naturali. Assume quasi il volto di una zarina dei servizi sociali Federica Anghinolfi, dirigente dell’Unione val d’Enza, finita ai “domiciliari” con numerose accuse tra cui falso in atto pubblico, abuso d’ufficio, violenza privata e lesioni personali gravissime, nelle carte dell’inchiesta ‘Angeli e Demoni.

Ci sono 1082 giudici“onorari”minorili fra i 29 tribunali e le Corti d’Appello minorili in Italia. 200 di loro dipendono o hanno interessi nelle case-famiglia o nei centri per la protezione dei minori, cui affidano i minori, anche a 400€/giorno! Sia posta una fine all’indipendenza della magistratura e sia la fine del C.S.M..

L’inchiesta “Angeli e Demoni” ha svelato un sofisticato sistema per sottrarre bambini alle loro famiglie sulla base di false accuse di violenze e manipolazioni. Ma è da anni che succedono queste cose: la differenza è che nessuno se ne è mai curato. Ora la politica prenda provvedimenti

La lobby gay dietro il rapimento dei bambini e l uso di ettroshock per darli in pasto i pedofili….il CSM che pilotava con il PD processi e nomine….parlamentari di sinistra che fanno scudo ai pirati. Il metodo dello shock elettrico faccio notare faceva parte di MK-Ultra. Photo by Katherine Chase on Unsplash

Solo dei perfetti ipocriti possono sobbalzare e rilasciare dichiarazioni scandalizzate davanti agli orrori della “fabbrica degli orfani” di Reggio Emilia, con i bambini strapazzati ai limiti della tortura psicologica per farne soggetti di affidamenti ben remunerati agli amici. Sono anni che la Rete è piena di implorazioni di madri e padri a cui sono stati sottratti i figli, senza possibilità di ricorso e appello, senza strumenti per rintracciarli. Le abbiamo viste in tv in decine di trasmissioni. Hanno mandato suppliche a ogni partito, gruppo, movimento, chiesa. Nessuno ha mai alzato un dito, nemmeno davanti all’enormità dei numeri che l’industria delle case famiglia e dei privati affidatari metteva insieme anno dopo anno: secondo i dati più attendibili (lo Stato non si è mai nemmeno preoccupato di fare un censimento ufficiale) sono 26meila i minori sottratti ai loro genitori, e sei su dieci restano sostanzialmente “sequestrati” dai pubblici poteri ben oltre il limite massimo di due anni fissato dalla legge, fino a un totale che può arrivare al decennio.

Già nel 2013 Panorama pubblicava un’inchiesta nella quale un operatore specializzato in questo tipo di cause, denunciava il caso limite di un centinaio di giudici minorili onorari, quasi tutti psicologi, che erano al tempo stesso associati o addirittura fondatori di case d’affido, dove un bambino può “rendere” fino a tremila euro al mese. Da allora in poi ne hanno scritto quasi tutti, talvolta sull’onda di casi di maltrattamento, sempre additando l’intreccio affaristico fra tribunali, servizi sociali, amministrazioni locali, talvolta con prove inoppugnabili. Nessuno ha mai ritenuto di vederci chiaro, né i ministri della Famiglia che si sono succeduti, né i Garanti per l’Infanzia e nemmeno i magistrati, almeno fino a questa inaspettata e clamorosa indagine sui Comuni della Val D’Enza.

L’idea di un ragazzino che aspetta un messaggio dai genitori per il suo compleanno o per Natale e resta a mani vuote per la crudeltà e l’avidità di un adulto è dickensiana, intollerabile, mostruosa

La cosa che turba di più è il racconto delle lettere e dei regali spediti dalle mamme e dai papà e buttati nei magazzini, mai consegnati ai piccoli ostaggi, probabilmente allo scopo di rompere ogni legame affettivo coi genitori. L’idea di un ragazzino che aspetta un messaggio dai genitori per il suo compleanno o per Natale e resta a mani vuote per la crudeltà e l’avidità di un adulto è dickensiana, intollerabile, mostruosa. Siamo oltre le categorie del codice penale, siamo alla barbarie, ed è incredibile che in una regione civilissima, con lo scudo di una Onlus che sembrava un modello, un gruppo di professionisti titolati si sia potuto rendere artefice o complice di raggiri così mostruosi.

L’inchiesta, battezzata Angeli e Demoni, ha portato a misure cautelari per diciotto persone, tra cui il sindaco Pd di Bibbiano Andrea Carletti, fra i quali politici, medici, assistenti sociali, liberi professionisti, psicologi e psicoterapeuti della Onlus Hansel e Gretel di Moncalieri, in provincia di Torino. Il sindaco è agli arresti domiciliari: è accusato di aver favorito la cordata affidando i servizi di psicoterapia senza un bando di evidenza pubblica. Ai domiciliari anche la responsabile del servizio sociale integrato dell’Unione di Comuni della Val d’Enza, una coordinatrice del medesimo servizio, un’assistente sociale e due psicoterapeuti. Otto interdizioni a esercitare attività professionali sono state consegnate ad altrettanti dirigenti comunali, operatori socio-sanitari, educatori. A muovere l’indagine è stata l’improvvisa escalation, nel 2018, delle denunce dei servizi sociali per casi di abusi sessuali e violenze su minori, che comportano quasi automaticamente l’allontanamento dei bambini dalla famiglia: segnalazioni che si sono rivelate palesemente infondate, avvalorando il sospetto di un’operazione a fini di lucro.

Non è previsto un vero elenco dei motivi che possono portare alla sottrazione dei minori, le decisioni sono considerate “provvedimenti temporanei” quindi non sono appellabili né suscettibili di ricorso in tribunale

Le intercettazioni citate nelle ordinanze confermano le costanti pressioni degli indagati per manipolare i bambini e costruire falsi ricordi, addirittura con il ricorso a stimolazioni elettriche nell’imminenza dei colloqui giudiziari, per incardinare l’idea di aver subito maltrattamenti in casa. Non sarà facile dimostrare la fondatezza delle accuse né gli abusi commessi nel sottrarre bambini e ragazzi ai genitori: la legge italiana (molto antica: risale al ’34 ed era stata studiata per gestire la devianza) attribuisce ai servizi sociali un potere discrezionale quasi assoluto: non è previsto un vero elenco dei motivi che possono portare alla sottrazione dei minori, le decisioni sono considerate “provvedimenti temporanei” quindi non sono appellabili né suscettibili di ricorso in tribunale. Dunque sarà facile per gli indagati difendersi sostenendo di aver agito sulla base della loro convinzione professionale e dell’esperienza.

E tuttavia la speranza è che “Angeli e Demoni” muova la politica. Imponga un’indagine a livello nazionale su questo tipo di attività e servizi. Obblighi alla revisione delle norme, rendendole più precise. Spinga i sindaci a occuparsi delle associazioni a cui affidano questi servizi e a farsi delle domande sulla loro onestà e competenza. Sarebbe una bella battaglia anche per l’attuale ministro della Famiglia Lorenzo Fontana. Questa sì in difesa della maternità e della paternità, dei bambini, della vita, del legame indissolubile che lega genitori e figli.

Così, LINKIESTA, invece:

Nessuna revisione. La Costituzione ci dice che ogni lavoratore, quindi, il genitore in stato di bisogno sia sostenuto e non sostituito, salvi i casi di pericolo effettivo e documentato dalle Forze dell’Ordine. L’ingerenza di questo stato pseudo comunista nella vita privata dei cittadini ha trasformato la democrazia in un mostro. Gli indagati sono decine e quello ricostruito dagli investigatori è un giro d’affari di centinaia di migliaia di euro. Tra le contestazioni emergono ‘lavaggi del cervello’ ai minori in sedute di psicoterapia, anche con impulsi elettrici per “alterare lo stato della memoria”. Tra i reati contestati frode processuale, depistaggio, abuso d’ufficio, maltrattamento su minori, lesioni gravissime, falso in atto pubblico, violenza privata, tentata estorsione, peculato d’uso.

2431.- Decreto sicurezza bis: Salvini depenalizza reati e “parla” di arresti

Premetto a questo articolo impietoso di Stefano Alì una breve scansione delle norme violate da Carola Rackete e delle pene cui sono state assoggettate: È stato depenalizzato il “Rifiuto di obbedienza a nave da guerra”; anche la violazione del divieto di transito o accesso nelle acque territoriali è punita con una sanzione amministrativa. Ma il Decreto Sicurezza bis non ha depenalizzato il reato di “Resistenza o violenza contro nave da guerra” ex articolo 1100 del Codice della Navigazione:

Il comandante o l’ufficiale della nave, che commette atti di resistenza o di violenza contro una nave da guerra nazionale, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

La pena per coloro: Graziano Delrio, Matteo Orfini, Davide Faraone, Riccardo Magi e Nicola Fratoianni, che sono concorsi nel reato è ridotta da un terzo alla meta’.

È ancora un reato incluso nel capo “Dei delitti contro la personalità dello Stato”e, solo perciò e per la manovra criminale effettuata contro la vedetta, la pulzella è stata arrestata e rischia la reclusione da tre a dieci anni… Rischia; ma Salvini ha già firmato il decreto di espulsione.

26 giugno, la Seawatch3 è entrata alle 12,26Z, 14,26 Locali, nelle acque territoriali italiane. 

IL DECRETO SICUREZZA BIS È SCRITTO CON I PIEDI E DEPENALIZZA REATI. SE LA “CAPITANA” RACKETE NON AVESSE FATTO L’ULTIMA FOLLIA SE LA SAREBBE CAVATA CON NIENTE.

Di Stefano Alì

Decreto sicurezza bis - il bluff di Salvini

Si sarebbe potuto arrestare la Comandante Rackete quattro giorni fa, ma il Decreto Sicurezza bis ha depenalizzato il reato. Il bluff di Salvini e delle norme scritte con i piedi. Salvini le mandi un mazzo di fiori. Senza l’ultima pazzia, non sarebbe stata perseguibile.

Salvini ha fatto tutto da solo. Dov’era la Ministro Trenta?

Ho letto di gente che invocava le dimissioni della Ministro Trenta perché non avrebbe agito mentre si violavano i confini.

Cominciamo col chiarire una volta per tutte il ruolo del Ministero della Difesa di Elisabetta Trenta (e pure del Ministero delle Infrastrutture di Danilo Toninelli) così la smettiamo col mito del «se non ci fosse lui, signora mia!»

L’interdittiva è stata adottata dal Ministro dell’Interno con il concerto (le firme sul provvedimento) degli altri due.

Per questa ragione la Capitaneria di Porto ha negato l’accesso alle acque territoriali.

La Sea Watch 3 ha violato il diniego e sono arrivate le motovedette della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera a intimare l’ALT e inversione, ma in veste di Difesa.

L’imbarcazione viola anche questo ordine, ma non si può sparare su una nave con civili a bordo.

La Rackete avrebbe così commesso il reato di “rifiuto di obbedienza a nave da guerra” (art. 1099 del Codice della Navigazione).

Non fosse stato per il Decreto Sicurezza bis, la Rackete sarebbe stata arrestata all’intante.

Almeno, però, il Ministro degli Esteri può così fare (e ha fatto) formale protesta all’Olanda per “atto ostile” da parte di nave che batte bandiera di quel Paese.

La natura del Decreto Sicurezza bis

Per definizione, la norma è “generale e astratta”.

Questo significa che, in genere, una norma non si riferisce a casi o circostanze specifiche.

Può accadere che una norma vada a disciplinare una particolare casistica della norma generale. In questo caso siamo in presenza di una “Legge Speciale” (Lex Specialis).

Il Decreto Sicurezza bis porta modifiche al D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero).

Già questo elemento lo configura quale “Legge Speciale”

Le modifiche del D. Sicurezza bis

comma 1 ter DECRETO LEGISLATIVO 25 luglio 1998, n. 286

Le modifiche fondamentali apportate dal Decreto Sicurezza bis sono relative all’art. 11, cui viene aggiunto il comma 1 tere all’articolo 12 cui viene aggiunto il comma 6 bis

art. 12 comma 6 bis DECRETO LEGISLATIVO 25 luglio 1998, n. 286

Il nuovo articolo 11

La modifica al’articolo 11 prevede di poter impedire l’accesso o il transito nel mare territoriale mediante un apposito provvedimento.

Un “provvedimento” adottato dal Ministro dell’Interno “di concerto” con i Ministri della Difesa e delle Infrastrutture secondo le loro competenze.

L’articolo 11 del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nell’ambito dell’argomento specifico dell’immigrazione, riguarda i generici “controlli di frontiera”. Ricomprendendo, quindi, aria, terra e acqua. 

Questo significa che, nel particolare caso in cui l’immigrazione avvenga via mare si possono adottare le misure “speciali” adesso previste.

Rendendo, così, ancora più “speciale” la norma del Decreto Sicurezza bis.

Gli effetti

Siccome ciascun Ministero sottoscrive il provvedimento “secondo le sue competenze”, le unità utilizzate sono contemporaneamente unità di Difesa (quindi in assetto di guerra), di supporto infrastrutturale, di Polizia e Sicurezza Interna.

Se non ci fosse stata la modifica al successivo articolo 12, la Rackete sarebbe stata arrestata nell’istante in cui ha varcato il confine delle acque territoriali. Fra poco vediamo il perché.

Il nuovo articolo 12

Il nuovo articolo 12 prevede che le violazioni ai limiti e ai divieti previsti dal nuovo articolo 11 siano puniti con una “Sanzione Amministrativa“.

Anche l’eventuale sequestro nel natante è una sanzione amministrativa accessoria, solo in caso di “recidiva” e senza retroattività.

Gli effetti

Una violazione può essere penale, civile o amministrativa. Le violazioni penali non possono essere “oblate” con una sanzione amministrativa.

La frase “salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato” deve per forza riferirsi ad altro, perché la violazione del divieto di transito o accesso nelle acque territoriali è punita con una sanzione amministrativa.

Né si sarebbe potuto sequestrare il natante. Dalla lettura della norma, infatti, non si rileva alcuna retroattività.

Ovviamente, una norma penale non può essere retroattiva, ma qui si è in presenza di una violazione amministrativa.

Sarebbe bastato scrivere «In caso di reiterazione commessa nell’ultimo anno (o due, tre, cinque anni) con la medesima imbarcazione…» per poter sequestrare il natante.

Il Decreto Sicurezza bis ha depenalizzato il “Rifiuto di obbedienza a nave da guerra”.

Abbiamo già visto che le unità utilizzate sono contemporaneamente unità di Difesa (quindi in assetto di guerra), di supporto infrastrutturale, di Polizia e di Sicurezza Interna.

Violare un loro divieto è penalmente previsto all’art. 1099 del Codice della Navigazione (R.D. 30 marzo 1942, n. 327 e successive modifiche e integrazioni):

(Rifiuto di obbedienza a nave da guerra)

Il comandante della nave, che nei casi previsti nell’articolo 200 non obbedisce all’ordine di una nave da guerra nazionale, è punito con la reclusione fino a due anni.

Come non bastasse, l’articolo 1099 è nel Capo “Dei delitti contro la personalità dello Stato” che, in via generale, prevedono l’arresto immediato.

Siccome, però, nel caso in cui si tratti

  1. di immigrazione clandestina
  2. violazione degli specifici divieti previsti dal nuovo articolo 11 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero

è prevista solo una sanzione amministrativa, non si poteva arrestare la Rackete nell’attimo in cui ha violato il confine delle acque territoriali.

Non la si poteva arrestare perché il Decreto Sicurezza bis ha depenalizzato il reato previsto dall’articolo 1099 del Codice della Navigazione!

Carola Rackete nelle mani del pm anti-Salvini: niente carcere né processo per direttissima Entro 48 ore la Procura di Agrigento, Patronaggio, dovrà chiedere al gip la convalida.Non lo farà La pirata non verrà processata per direttissima. Sarà incoronata regina dei disubbidienti, tra gli applausi degli imbecilli

La Rackete è stata arrestata, però

Durante la notte fra il 28 e il 29 giugno, la Rackete ha diretto la Sea Watch 3 dentro il porto di Lampedusa.

Non avendola potuta arrestare quando ha varcato il limite delle acque territoriali, le unità navali (sempre in veste di Difesa dei Confini, quindi con la qualifica di Navi da Guerrahanno dovuto rischiare se stesse per impedirle l’ingresso.

Effettuando tutte le manovre da “protocollo” (le “Consegne”) hanno perfino rischiato di essere speronate e schiacciate sulla banchina.

Per “necessità” si può violare la legge? Per Graziano Delrio sì. Sea Watch 3 , con una manovra pirata, non ha esitato a “schiacciare” la motovedetta della Guardia di Finanza pur di attraccare nel porto di Lampedusa e far sbarcare i 40 migranti che aveva a bordo, che, in realtà, stavano tutti bene.
Carola Rackete ha messo a rischio la vita dei nostri militari della GdF mentre a bordo della nave c’erano parlamentari del Pd (che non hanno mosso un dito). Lo ha confessato Orfini.

Il reato che il Decreto Sicurezza bis non depenalizza

Così si configura il reato di “Resistenza o violenza contro nave da guerra” ex articolo 1100 del Codice della Navigazione:

Il comandante o l’ufficiale della nave, che commette atti di resistenza o di violenza contro una nave da guerra nazionale, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

La pena per coloro che sono concorsi nel reato è ridotta da un terzo alla meta’.

È ancora un reato incluso nel capo “Dei delitti contro la personalità dello Stato”e non è stato depenalizzato dal Decreto Sicurezza bis.

Ragione per cui la Rackete viene arrestata immediatamente.

Ed è pure la ragione per cui ho la sensazione che i parlamentari del PD e LeU a bordo stiano nutrendo qualche timore.

Specie quelli che improvvidamente hanno pure lanciato i tweet immediatamente precedenti all’avvio della manovra di attracco.

Rossi di vergogna: tutto l’inimmaginabile marcio che si nasconde dietro la tratta dei bambini del sistema ReggioEmilia, feudo dell’ex ministro piddino DelRio che ha preferito concedersi una vacanza sulla SeaWhatch3 piuttosto che affrontare lo scandalo.

Quelli competenti

Se il Decreto Sicurezza bis non avesse depenalizzato il “Rifiuto di obbedienza a nave da guerra” e la Rackete fosse stata arrestata alla violazione dei confini, le unità navali non sarebbero state costrette a rischiare se stesse e la loro vita.

Ma il Centro Destra tutto non è nuovo a queste manovre che mettono a repentaglio la vita dei nostri militari.

Per referenze, citofonare “Marò”: Il Decreto Legge 12 Luglio 2011 n° 107 venne convertito in Legge 2 Agosto 2011 n° 107 col voto unanime di quasi tutto il Parlamento. Dalla Lega a Fratelli d’Italia, Forza Italia e il PD.

Tutti tranne Italia dei Valori.

Il resoconto, lo trovate qui: Marò: Fulgido esempio di classe politica cialtrona.

Cialtroni erano e cialtroni restano.

La scelta della Rackete al momento dell’arresto: “Centro di accoglienza di Lampedusa come residenza per i domiciliari” e Salvini firma il decreto di espulsione. In questa storia abbiamo fatto ridere tutti.

2430.- Libia, Haftar perde terreno e Tripoli si allontana. Roma conferma il suo sostegno a Sarraj

Dalla lettura dei commentatori della guerra libica, combattuta per procura, si trae questa conclusione: L’Italia aspetta e spera, ma è sotto scacco.

La controffensiva delle milizie di Misurata scatenata domenica scorsa dalle forze fedeli al Governo di Accordo Nazionale (GNA) ha dato buoni frutti. Le milizie che supportano il premier Fayez al-Sarraj (incentrate, appunto, su una parte delle forze di Misurata) sono riuscite a riconquistare buona parte dell’aeroporto di Tripoli, chiuso, ormai, da anni al traffico aereo e, da quasi due mesi, in mano all’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar.

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Un successo che è stato trasformato in trionfo dopo la riconquista da parte delle forze misuratine di Gharyan, principale nodo strategico e base logistica dell’LNA per l’offensiva su Tripoli. “Gharyan è sotto il nostro controllo totale”, ha detto Mustafa al-Mejii, portavoce delle forze del GNA: decine di combattenti Haftar sonos tati uccisi e almeno 18 sono stati catturati”.

Nel supporto alla controffensiva del GNA avrebbero svolto un ruolo di rilievo i droni turchi  (nella foto sopra) Kale-Baykar Bayraktar (realizzati dalla joint venture tra Kale Group e Baykar Technologies), nella versione armata TB2, dotata di 2 missili anticarro Roketsan Umtas, forniti da Ankara e basati all’aeroporto di Mitiga, con consiglieri militari turchi.

Questi velivoli, uniti a una decina di giovani piloti misuratini che, secondo alcune fonti vicine alle milizie della “Sparta” libica”, sarebbero tornati dalla Russia dopo un corso di addestramento, avrebbero consentito di colpire pesantemente le forze di Haftar distruggendo artiglieria, mezzi terrestri, almeno un aereo da attacco Sukhoi Su-22 e 4 batterie da difesa aerea Pantsir S-1, con missili SA-22 (nella foto sotto) di costruzione russa, ma forniti all’LNA dagli Emirati Arabi Uniti.

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Il capo della Prima brigata di fanteria di Misurata assegnata alle forze del GNA, Mustafa al Mashi, sostiene di aver visto “militari francesi” fuggire da Gharyan quando i suoi uomini sono entrati nella città a 40 chilometri a sud di Tripol.

Intervistato dall’emittente televisiva libica “Libya al Hurra”, al Mashi ha affermato di “aver notato sei auto con a bordo militari francesi che si trovavano nel comando delle operazioni di Haftar a Gharyan. Noi abbiamo combattuto fino a giovedì mattina, quando tutti gli uomini di Haftar si sono ritirati da Gharian spostandosi a 10 chilometri dalla città verso sud”.

L’offensiva del Generale si indebolisce giorno dopo giorno. Roma non vuole “perdere” Sarraj.

  • Commentando – in neretto – l’ottimo lavoro di Umberto De Giovannangeli
Libia, Haftar perde terreno e Tripoli si allontana. Roma conferma il suo sostegno

Libia, il Generale perde terreno. E la conquista di Tripoli si allontana. Che quella iniziata il 4 aprile scorso non sarebbe stata una marcia trionfale per l’uomo forte della Cirenaica, il mareciallo-generale Khalifa Haftar, era chiaro, ormai, da tempo, ma è negli ultimi giorni che quella dell’ex ufficiale di Gheddafi sembra essersi trasformata in una “marcia indietro”. La cautela è d’obbligo quando ci si accosta al caos libico, e colui che per è stato indicato come il Vincitore non può essere, oggi, dipinto come il “Grande Sconfitto”.

Tuttavia, “gli ultimi giorni – ricostruisce Andrea Mottola in un documentato report per RID (Rivista Italiana Difesa) – hanno visto un sensibile indebolimento nell’offensiva di Haftar su Tripoli, nonché un arretramento complessivo del LNA (Libyan National Army), che ora si trova in gran difficoltà, dopo la conquista della strategica cittadina di Gharyan, centro di partenza dell’offensiva del Generale, da parte delle forze del GNA. Nei primi giorni di giugno, l’offensiva di Haftar è stata bloccata dalla decisa controffensiva del GNA contro le postazioni del LNA nell’area dell’ex Aeroporto Internazionale di Tripoli. Il controllo di tale zona, dove si sono verificati i combattimenti, è di grande importanza per il GNA che da lì può colpire il vicino quartiere di Qasr Ben Ghashir, da dove vengono lanciati i razzi contro Tripoli. Per quanto riguarda Gharyan, nelle ultime 48 ore, i velivoli d’attacco leggero L-39ZO delle forze governative hanno effettuato 4/5 raid tra Aziziyah e Gharyan, spianando la strada dall’avanzata delle truppe di terra, costringendo le forze del LNA ad arretrare, inizialmente fino al confine nord di Gharyan (villaggi di Abu Rashada, Abu Hashiba e Qawasim) e, successivamente, fino al centro della città, per poi abbandonarla completamente”. “Gharyan è sotto il nostro controllo totale” – ha detto Mustafa al-Mejii, portavoce delle forze del Governo di Accordo nazionale, guidato da Fayez al-Sarraj – decine di combattenti di Haftar sono stati uccisi e, almeno 18, sono stati catturati”.

Nel supporto alla controffensiva dello GNA – annota Gianandrea Gaiani su AnalisiDifesa, avrebbero (hanno) svolto un ruolo di primo piano i droni turchi.

Secondo il Libya Observer, inoltre, un attacco aereo sulla base di Al Watiya, condotto dai piloti di Misurata addestrati in Russia, ha distrutto quattro dei sistemi di difesa antiaerea (Pantsir S-1 di origine russa) usati dalle forze di Khalifa Haftar e tre veicoli porta munizioni. Fuori uso anche un jet da combattimento Sukhoi 22, in possesso all’Lna. Nel frattempo, un giornale russo, citando le foto di alcuni attivisti sui social media libici, ha svelato che i sistemi di difesa aerea russi Pantsir S-1 sono arrivati nella base aerea di Al-Jufra con un jet da trasporto degli Emirati Arabi Uniti. Il giornale ha voluto precisare che il sistema è stato trasportato su un camion prodotto in Germania, aggiungendo che solo gli Emirati Arabi Uniti hanno questa tipologia di sistema di difesa aerea: “Gli Emirati Arabi Uniti sostengono Haftar con veicoli militari, aerei da guerra e altri equipaggiamenti da combattimento”, ha aggiunto il quotidiano.

L’Italia aspetta e spera.

Da tempo, come documentato da HuffPost, il conflitto in Libia si è trasformato in una guerra per procura, nella quale un ruolo cruciale lo hanno avuto e continuano ad averlo attori esterni, potenze regionali e globali che hanno sostenuto, militarmente, economicamente e sul piano diplomatico, i vari attori interni impegnati sul campo di battaglia. Quella in Libia è anche una guerra intersunnita, con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti a sostegno di Haftar, mentre Turchia e Qatar sono schierate con al-Sarraj. Quest’ultimo, forte del rafforzamento militare, ha proposto una conferenza nazionale da tenersi sotto l’egida dell’Onu per mettere fine alla battaglia per Tripoli iniziata il 4 aprile scorso con l’offensiva finora infruttuosa del generale. Al-Sarraj ha spiegato che la conferenza dovrà tracciare una “road map” per arrivare a elezioni parlamentari e presidenziali entro l’anno. Al Sarraj si sente, ora, forte abbastanza da poter chiedere la conferenza di pace, ma senza la partecipazione di Haftar, che considera battuto.

Un “forum libico” aperto a “tutti i partiti e membri libici di ogni area che chiedono una soluzione pacifica e democratica”, ha detto. “Partendo dalla mia responsabilità nazionale e nonostante la brutale offensiva che continueremo a respingere, presento una iniziativa politica per uscire dalla crisi, che comprende elezioni sia presidenziali sia legislative prima della fine del 2019”, ha affermato al- Sarraj senza citare Haftar che però non è stato invitato al tavolo dei negoziati in quanto aggressore. Un piano sonoramente bocciato da Haftar. In una intervista alla testata a lui vicina Libyan Address Journal il Generale afferma che “l’iniziativa, oltre a mancare di qualunque serietà e di qualunque clausola che affronti le cause della crisi, in realtà non appartiene a Sarraj, ma è solo un’eco dei discorsi ripetitivi di Ghassan Salameh”, l’inviato Onu per la Libia. “Dopo la liberazione di Tripoli ci rivolgeremo direttamente al popolo libico… Metteremo le cose sulla strada giusta, una strada che serve gli interessi della Libia e dei libici”.  Quanto a Salamé, le dichiarazioni al Consiglio di sicurezza dell’Onu, “ci fanno ritenere che non porti beneficio collaborare con lui” ha detto Haftar. “Tuttavia nel nostro ultimo incontro ha smentito le notizie sui suoi discorsi e ha affermato che sono state prese fuori contesto e che lavorerà per chiarire la questione”. “Gli ho detto di sperare che la collaborazione tra di noi possa proseguire e che si evolva verso la soluzione della crisi”. Sul fronte opposto si schiera l’Italia. Il primo a commentare l’annuncio del premier di Tripoli, approvato dalla missione Onu in Libia (di cui ricalca ampiamente il programma), è stato il titolare della Farnesina, Enzo Moavero Milanesi, che in un tweet ha confermato il “convinto sostegno italiano all’ azione conciliatrice in Libia dell’Inviato Onu Ghassan Salameh, dichiaratosi anche lui entusiasta dall’iniziativa. Un entusiasmo che non va letto solo come la conferma, statica, di una posizione che la nostra diplomazia, sull’asse Conte-Moavero, ha portato avanti nel caos libico: pur in un’ottica inclusiva funzionale ad una soluzione politica, e dunque indirizzata anche al campo pro-Haftar, l’Italia non ha mai messo in discussione al-Sarraj come leader dell’unico governo libico riconosciuto internazionalmente”.

“Lo abbiamo fatto quando Sarraj sembrava sull’orlo del baratro, venire meno, proprio ora che sta riconquistando posizioni, sarebbe un clamoroso autogol da parte nostra”, si lascia andare con HuffPost una fonte molto addentro al dossier-Libia. La decisione di confermare il sostegno italiano alla Guardia costiera libica, oggetto di una vivace discussione parlamentare, va inquadrato in questo contesto e non limitato al pur scottante, e quanto mai attuale, problema-migranti. L’Italia rafforza il suo sostegno a Sarraj: è questo il messaggio che Roma ha lanciato a Tripoli. Un sostegno molto apprezzato dal premier libico, come ci confermano alcuni dei suoi più stretti collaboratori. Sempre dalla Libia arriva la notizia della decisione del Consiglio guidato da Sarraj di trasferire parte della banca centrale libica da Tripoli a Misurata (dove sopravvive la missione militare italiana Ippocrate), come riportano alcuni media tra cui Africa Intelligence. Una scelta che qualcuno vuole spacciare come una conferma di una rinnovata saldatura tra Roma e Tripoli, fronte Sarraj, perché, negli ultimi tempi, la nostra diplomazia e i servizi d’intelligence hanno consolidato i canali di comunicazione con le milizie misuratine, decisive nello sbarrare l’avanzata di Haftar e nella riconquista di Gharyan.

Sulla Libia, quindi, il governo italiano continua a sostenere al-Sarraj, ma il GNA sta vincendo grazie a Turchia e Qatar. Conte è stato spiazzato da Erdogan. l’Italia è sotto scacco e, con o senza l’ospedale da campo di Ippocrate, prende ordini dai Fratelli Musulmani e dal loro principale sponsor, il Qatar.

Il ridicolo: Mentre i governi impegnati in Libia sostengono con cospicui rifornimenti di armi la battaglia del GNA, il ministro degli Esteri Moavero chioccia, avallando la richiesta del suo omologo di Doha, Mohammed Al Thani, circa l’imposizione di un embargo sulle armi nei confronti di Haftar, durante un vertice alla Farnesina. In realtà, formalmente, la Libia è già tutta sotto embargo, come stabilito da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Ciò, tuttavia, non ha mai impedito agli emiri del Qatar e all’alleata Turchia di Erdogan di provvedere con costanti forniture al fabbisogno di armamenti delle numerose milizie dei Fratelli Musulmani, quelle che Haftar aveva già fatto sloggiare da Bengasi e che oggi costituiscono l’ultima linea di difesa per Al Sarraj a Tripoli. “Esercito” le chiama e fa chiamare Al Sarraj, per nascondere che si tratta delle stesse milizie che hanno costretto il legittimo parlamento libico a riparare a Tobruk nel giugno 2014, dopo la sconfitta alle elezioni dei Fratelli Musulmani. È in quel momento che ha origine la divisione in due del paese, divenuta sempre più profonda fino all’attuale resa dei conti con il generale Haftar, stanco dell’inconcludente processo negoziale promosso dalle Nazioni Unite, che ha consentito ai Fratelli Musulmani di tenere in ostaggio impunemente Tripoli negli ultimi 5 anni. L’ora della liberazione è arrivata, ma l’Italia si ritrova incatenata nel campo islamista, sotto la minaccia di attacchi terroristici e dell’invasione di migranti da parte del governo internazionalmente riconosciuto, che continua a indossare i panni della vittima, ma è un lupo travestito da agnello.

2429.-DENUNCIA PER LA MESSA IN STATO DI ACCUSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, CONCERNENTE IL REATO DI ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA

I fatti eversivi recentemente venuti alla luce all’interno della magistratura e del Consiglio Superiore della Magistratura, C.S.M., in particolare, presieduto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nonché i reati a carico delle famiglie bisognose e dei minori loro sottratti e, inoltre, gli atteggiamenti e i contrasti con cui taluni magistrati di associazioni di categoria, che è difficile non giudicare politicizzate, si pongono nei confronti della legge e del governo, hanno riportato alla memoria la denuncia per attentato alla Costituzione nei confronti del presidente emerito Giorgio Napolitano. Cosa è l’attentato  alla costituzione e cosa è l’alto tradimento.

All’interno della nostra costituzione gli articoli che riguardano il presidente della repubblica vanno dall’83 all’91. In maniera particolare quello sulla messa in stato d’accusa è il numero 90.

Secondo l’art. 90 cost. alto tradimento è uno dei due reati (l’altro è l’attentato  alla costituzione), per i quali, se commessi nell’esercizio delle funzioni, è riconosciuta la responsabilità penale del Presidente della Repubblica.

La riferibilità della nozione di alto tradimento a quella contenuta nell’art. 77 codice penale militare di pace è da escludersi: basta al riguardo rilevare come questa norma consideri alto tradimento anche l’attentato contro la costituzione dello Stato. Se fosse puntuale tale riferimento, non si spiegherebbe come l’art. 90 cost. preveda come fattispecie criminose distinte l’alto tradimento e l’attentato alla Costituzione. Occorre conseguentemente identificarne gli elementi costitutivi.

Secondo una tesi l’art. 90 avrebbe il contenuto di una norma principio: il delitto di alto tradimento sarebbe indicato come un reato di principio, da cui derivano, perché in esso già contenute, le fattispecie particolari penali, regolanti le situazioni specifiche dell’attività illecita presidenziale. La norma conterrebbe solo la rubrica del reato, al quale sarebbero riferibili, come in esso contenute, varie fattispecie criminose specificamente previste dalla legge penale. Secondo altra tesi invece, il precetto, pur nella sua generalità, sarebbe direttamente enucleabile dall’art. 90, come in esso contenuto: se il Presidente della Repubblica è responsabile di alto tradimento, il precetto consisterebbe nell’obbligo di non tenere quel comportamento sanzionato. Il reato previsto dall’art. 90 cost. sarebbe quindi un reato proprio o esclusivo, che può essere commesso, in tale previsione, solo da una determinata persona.

Per assicurare una piena autonomia di azione, libera da pressioni e influenze esterne, il capo dello stato non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni. A questa regola generale però esistono due eccezioni, che possono dare il via all’iter per la messa in stato d’accusa del presidente della repubblica, quello che mediaticamente viene definito impeachment.

L’iter è molto lungo, e coinvolge numerosi attori, ed è stato stabilito a giugno del 1989, con l’approvazione da parte di entrambi i rami del “Regolamento parlamentare per i procedimenti d’accusa“. Le denunce di alto tradimento o attentato alla costituzione nei confronti del presidente della repubblica vengono presentate al presidente della camera, che le trasmette ad un apposito comitato formato dai componenti della giunta delle elezioni e delle immunità parlamentare del senato, e da quelli della giunta per le autorizzazioni a procedere della camera. Una volta esaminata la documentazione il comitato vota a maggioranza una relazione, che poi viene presentata al parlamento in seduta comune. Oltre alla relazione approvata, è possibile presentare all’aula anche una relazione di minoranza.

La deliberazione di messa in stato di accusa è adottata a maggioranza assoluta dei componenti del parlamento. La competenza a giudicare il reato di alto tradimento commesso dal Capo dello Stato spetta alla Corte costituzionale, quindi, In caso di approvazione l’atto viene trasmesso alla Corte costituzionale, non prima dell’elezione di uno o più commissari per sostenere l’accusa. Nonostante, in varie occasioni, sia stato invocato l’utilizzo dello strumento, nessun presidente è stato mai “destituito”. 

Articolo 90. – Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri


SENATO DELLA REPUBBLICA – CAMERA DEI DEPUTATI

Il Presidente della Repubblica, On. Giorgio Napolitano, nell’esercizio delle sue funzioni, ha violato – sotto il profilo oggettivo e soggettivo, e con modalità formali ed informali – i valori, i principi e le supreme norme della Costituzione repubblicana.

Il compimento e l’omissione di atti e di fatti idonei ad impedire e a turbare l’attività degli organi costituzionali, imputabili ed ascrivibili all’operato del Presidente della Repubblica in carica, ha determinato una modifica sostanziale della forma di stato e di governo della Repubblica italiana, delineata nella Carta costituzionale vigente.

Si rilevano segnatamente, a seguire, i principali atti e fatti volti a configurare il reato di attentato alla Costituzione, di cui all’articolo 90 Cost..

1.ESPROPRIAZIONEDELLAFUNZIONELEGISLATIVADELPARLAMENTOE ABUSODELLADECRETAZIONED’URGENZA

La nostra Carta costituzionale disegna una forma di governo parlamentare che si sostanzia in un saldo rapporto tra Camere rappresentative e Governo. La prevaricazione governativa assoluta, caratterizzata da decretazione d’urgenza, fiducie parlamentari e maxiememendamenti configura, piuttosto, un ordinamento altro e diverso che non conosce più il principio supremo della separazione dei poteri.

Il predominio legislativo da parte del Governo, attraverso decreti legge, promulgati dal Presidente della Repubblica, viola palesemente sia gli articoli 70 e 77 della Costituzione, sia le norme di primaria rilevanza ordinamentale (quale la Legge n. 400 del 1988), sia numerose sentenze della Corte costituzionale (tra tutte: sentenza n. 29 del 1995, n. 22 del 2012 e n. 220 del 2013).

Ma al di là del pur impressionante aspetto quantitativo che, comunque, sotto il profilo del rapporto costituzionale tra Parlamento e Governo assume fortissima rilevanza, è necessario rimarcare, parallelamente, una preoccupante espansione della loro portata, insita nei contenuti normativi e, soprattutto, nella loro eterogeneità.

Aspetto ulteriormente grave è la reiterazione, attraverso decreto- legge, di norme contenute in altro decreto-legge, non convertito in legge. La promulgazione, da parte del Presidente della Repubblica, di simili provvedimenti è risultata in palese contrasto con la nota sentenza della Corte costituzionale n. 360 del 1996, che ha rilevato come «il decreto- legge reiterato – per il fatto di riprodurre (nel suo complesso o in singole disposizioni), il contenuto di un decreto-legge non convertito, senza introdurre variazioni sostanziali – lede la previsione costituzionale sotto più profili».

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La forma di governo parlamentare, alla luce dell’attività normativa del Governo, pienamente avallata dalla connessa promulgazione da parte del Presidente della Repubblica, si è sostanzialmente trasformata in «presidenziale» o «direttoriale», in cui il ruolo costituzionale del Parlamento è annientato in nome dell’attività normativa derivante dal combinato Governo-Presidenza della Repubblica.

2.RIFORMADELLACOSTITUZIONEEDELSISTEMAELETTORALE

Il Presidente della Repubblica ha formalmente e informalmente incalzato e sollecitato il Parlamento all’approvazione di un disegno di legge costituzionale volto a configurare una procedura straordinaria e derogatoria del Testo fondamentale, sia sotto il profilo procedimentale che sotto quello degli organi deputati a modificare la Costituzione repubblicana.

In particolare, il disegno di legge costituzionale governativo presentato alle Camere il 10 giugno 2013, sulla base dell’autorizzazione da parte del Capo dello Stato, istituiva una procedura di revisione costituzionale in esplicita antitesi sia rispetto all’art. 138 Cost., sia rispetto all’art. 72, quarto comma, della Costituzione che dispone: «La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale».

Il Capo dello Stato ha, dunque, promosso l’approvazione di una legge costituzionale derogatoria, tra le altre, della norma di chiusura della Costituzione – ovvero l’art. 138 Cost. – minando uno dei principi cardine del nostro ordinamento costituzionale: la sua rigidità. Egli ha tentato di trasformare la nostra Carta in una Costituzione di tipo flessibile. Flessibilità che, transitivamente, si sarebbe potuta ritenere espandibile, direttamente ed indirettamente, alla Prima Parte della Costituzione repubblicana, in cui sono sanciti i principi fondamentali della convivenza civile del nostro ordinamento democratico.Il Presidente della Repubblica ha, inoltre, in data 24 ottobre 2013, nel corso dell’esame parlamentare riferito alla riforma della legge elettorale, impropriamente convocato alcuni soggetti, umiliando istituzionalmente il luogo naturalmente deputato alla formazione delle
leggi. Si tratta, segnatamente, del Ministro per le Riforme Costituzionali, del Ministro per i Rapporti con il Parlamento e Coordinamento delle Attività di Governo, dei Presidenti dei Gruppi Parlamentari “Partito Democratico”, “Popolo della Libertà” e “Scelta Civica per l’Italia” del Senato della Repubblica, e del Presidente della Commissione Permanente Affari Costituzionali del Senato.

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3.MANCATOESERCIZIODELPOTEREDIRINVIOPRESIDENZIALE

Il Presidente della Repubblica, recita l’articolo 74 della Costituzione,prima di promulgare un progetto approvato dalle due Camere, può rinviarlo al mittente, chiedendo una nuova deliberazione. Il rinvio presidenziale costituisce una funzione di controllo preventivo, posto a garanzia della complessiva coerenza del sistema costituzionale.

Spiccano, con evidenza, alcuni mancati e doverosi interventi di rinvio presidenziale, connessi a norme viziate da incostituzionalità manifesta.

Possono, in particolare, evidenziarsi sia con riferimento alla legge n. 124 del 2008 (c.d. «Lodo Alfano»), sia con riguardo alla legge n. 51 del 2010 (c.d. «Legittimo impedimento»). Nel primo caso, le violazioni di carattere costituzionale commesse ad opera della Presidenza della Repubblica sono risultate duplici, stante sia l’autorizzazione alla presentazione alle Camere del disegno di legge governativo, sia la sua relativa promulgazione; norma, questa, dichiarata integralmente incostituzionale dalla Consulta con sentenza n. 262 del 2009. Nel secondo caso, la legge promulgata è stata dichiarata parzialmente illegittima dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 23 del 2011 ed integralmente abrogata con referendum popolare del giugno 2011.

4.SECONDAELEZIONEDELPRESIDENTEDELLAREPUBBLICA

Ai sensi dell’articolo 85, primo comma, della Costituzione «Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni». É, dunque, evidente che il testo costituzionale non contempla la possibilità dello svolgimento del doppio mandato da parte del Capo dello Stato.A tal riguardo, il Presidente Ciampi ebbe a dichiarare che: «Il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato».In definitiva, anche in occasione della sua rielezione, il Presidente della Repubblica – accettando il nuovo e doppio incarico – ha violato la forma e la sostanza del testo costituzionale, connesso ai suoi principi fondamentali.
5. IMPROPRIOESERCIZIO DELPOTERE DIGRAZIAL’articolo 87 della Costituzione assegna al Presidente della Repubblica la possibilità di concedere la grazia e di commutare le pene. La Corte costituzionale ha sancito, a tal riguardo, con sentenza n. 200 del

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2006, che tale istituto trova supporto costituzionale esclusivamente al fine di «mitigare o elidere il trattamento sanzionatorio per eccezionali ragioni umanitarie».Viceversa, in data 21 dicembre 2012, il Capo dello Stato ha firmato il decreto con cui è stata concessa al direttore del quotidiano “Il Giornale”, dott. Sallusti, la commutazione della pena detentiva ancora da espiare nella corrispondente pena pecuniaria. A sostegno di tale provvedimento presidenziale, il Quirinale ha «valutato che la volontà politica bipartisan espressa in disegni di legge e sostenuta dal governo, non si è ancora tradotta in norme legislative».Analogamente, il Presidente della Repubblica, in data 5 aprile 2013 ha concesso la grazia al colonnello Joseph L. Romano, in relazione alla
condanna alla pena della reclusione e alle pene accessorie inflitta con sentenza della Corte d’Appello di Milano del 15 dicembre 2010. La Presidenza della Repubblica ha reso noto che, nel caso concreto, «l’esercizio del potere di clemenza ha così ovviato a una situazione di evidente delicatezza sotto il profilo delle relazioni bilaterali con un Paese amico».Con nota del 13 agosto 2013, inoltre, il Presidente della Repubblica ha impropriamente indicato le modalità dell’esercizio del potere di grazia, con riferimento alla condanna definitiva del dottor Berlusconi, a seguito di sentenza penale irrevocabile relativa a gravissimi reati.Dunque, anche con riguardo agli istituti di clemenza, il potere nelle mani del Capo dello Stato ha subito una palese distorsione, ai fini risolutivi di controversie relative alla politica estera ed interna del Paese.6. RAPPORTO CONLAMAGISTRATURA:PROCESSO STATO -MAFIAAnche nell’ambito dei rapporti con l’ordine giudiziario i comportamenti commissivi del Presidente della Repubblica si sono contraddistinti per manifeste violazioni di principi fondamentali della nostra Carta costituzionale, con riferimento all’autonomia e all’indipendenza della magistratura da ogni altro potere statuale.La Presidenza della Repubblica, attraverso il suo Segretario
generale, in data 4 aprile 2012, ha inviato al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione una lettera nella quale si chiedevano chiarimenti sulla configurabilità penale della condotta di taluni esponenti politici coinvolti nell’indagine concernente la trattativa Stato-mafia e, addirittura,segnalando l’opportunità di raggiungere una visione giuridicamenteunivoca tra le procure di Palermo, Firenze e Caltanissetta.

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Inoltre, il Presidente della Repubblica ha sollevato Conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo, in merito ad alcune intercettazioni telefoniche indirette riguardanti lo stesso Capo dello Stato. Tale iniziativa presidenziale, fortemente stigmatizzata anche da un presidente emerito della Corte costituzionale, ha mostrato un grave atteggiamento intimidatorio nei confronti della magistratura, oltretutto nell’ambito di un delicatissimo procedimento penale concernente la presunta trattativa tra le istituzioni statali e la criminalità organizzata.Sempre con riferimento al suddetto procedimento penale, il Presidente della Repubblica ha inviato al Presidente della Corte di Assise di Palermo una missiva, al fine di sottrarsi alla prova testimoniale. In particolare egli ha auspicato che la Corte potesse valutare «nel corso del
dibattimento a norma dell’art. 495, comma 4, c.p.p. il reale contributo che le mie dichiarazioni, sulle circostanze in relazione alle quali è stata ammessa la testimonianza, potrebbero effettivamente arrecare all’accertamento processuale in corso».

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Il Presidente della Repubblica in carica non sta svolgendo, dunque, il suo mandato, in armonia con i compiti e le funzioni assegnatigli dalla Costituzione e rinvenibili nei suoi supremi principi.

Gli atti e i fatti summenzionati svelano la commissione di comportamenti sanzionabili, di natura dolosa, attraverso cui il Capo dello Stato ha non solo abusato dei suoi poteri e violato i suoi doveri ma, nei fatti, ha radicalmente alterato il sistema costituzionale repubblicano.

Pertanto, ai sensi della Legge 5 giugno 1989, n. 219, è quanto mai opportuna la presente denuncia, volta alla messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica per il reato di attentato alla Costituzione.

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2428.-Sea watch. Ong: “Basta aspettare”. Salvini: “Equipaggio va arrestato”.

Il ridicolo e la beffa. 27 giugno: L’ONG sporge denuncia contro le autorità alla Procura di Agrigento. Voti Salvini e trovi Patronaggio.

ITALIA. Ieri, a poche miglia da Lampedusa, la Guardia di Finanza ha intimato di spengere i motori, è salita a bordo e ha acquisito dati, documenti, le generalità del comandante Carola Rackete e dell’equipaggi. Toninelli: “Intervengano i Paesi interessati”. Avramopoulos: “Senza Unione non si può andare avanti” –

Matteo Salvini ✔ @matteosalvinimi  · Chi forza un posto di blocco in macchina, viene fermato. Spero che in queste ore ci sarà un giudice ad affermare che all’interno di quella nave ci sono dei fuorilegge, prima fra tutti la comandante.

Matteo Salvini ✔ @matteosalvinimi Se la nave verrà sequestrata e l’equipaggio arrestato non potrò che essere contento. 2.284 09:29 – 27 giu 2019 – S

Salvini: “Equipaggio va arrestato” Ieri la Guardia di Finanza è salita a bordo e ha acquisito dei documenti, preso le generalità della comandante Carola Rackete e dell’equipaggio, e acquisito dei dati ma al momento le Fiamme gialle non hanno ancora contestato nulla alla ‘Capitana’ tedesca. Toninelli: “Intervengano i Paesi interessati”. Avramopoulos: “Senza Unione non si può andare avanti” Tweet Sea Watch davanti al porto di Lampedusa, stallo sullo sbarco Sea Watch davanti al porto di Lampedusa, attracco previsto in serata ​Sea Watch, Corte europea dei Diritti dell’uomo non chiede sbarco migranti Migranti, appello dei naufraghi sulla Sea Watch: “Siamo esausti, fateci scendere”.

27 giugno 2019 La nave  Sea Watch ha provato ad entrare nel porto di Lampedusa ma è stata bloccata dalle autorità italiane, che le hanno intimato di spegnere i motori.  Gli uomini della Guardia di finanza si trovano ancora sulla nave per eseguire i controlli dopo di forzare l’ingresso al porto. L’imbarcazione è ora ferma ad un miglio dall’isola. “Questa mattina, intorno alle 10, la nave ha mandato una comunicazione alle autorità, informandole del fatto che siano ormai trascorse 24 ore dalla dichiarazione dello stato di necessità che ha costretto l’ingresso nelle acque territoriali. Alle 14.16, non avendo avuto ricevuto alcuna comunicazione e assistenza, ha dichiarato di procedere verso il porto. A circa un miglio dall’ingresso del porto le è stato intimato di spegnere i motori e la nave si trova ora ferma a un miglio dall’ingresso del porto di Lampedusa”. Lo comunica la portavoce di Sea Watch Italy, Giogia Linardi, in un video pubblicato sui social network della ong, dando un aggiornamento sulla visita della Guardia di Finanza a bordo dell’imbarcazione. Deputati e giornalisti a bordo Una delegazione di deputati del Partito democratico è appena salita a bordo della nave Sea Watch. Si tratta dei parlamentari Matteo Orfini, Graziano Delrio, Davide Faraone. Presenti anche il deputato di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni e di +Europa Riccardo Magi.  Saliti anche giornalisti, cameramen e fotografi. I parlamentari hanno spiegato di volere “esercitare” le loro “prerogative ispettive”.  La ong ha presentato un esposto alla procura di Agrigento “Buongiorno Ue. Ieri, a causa di un’emergenza, siamo entrati nelle acque italiane. La guardia costiera e la Guardia di finanza sono stati a bordo. Abbiamo aspettato una notte, non possiamo più aspettare. La disperazione delle persone non è qualcosa con cui giocare”, aveva scritto in precedenza la ong tedesca Sea Watch in un tweet, mentre la nave è ferma da ieri appena fuori dal porto di Lampedusa col divieto di sbarcare. In queste ore la Ong ha presentato un esposto alla Procura di Agrigento.  “Vogliamo portare all’attenzione dei magistrati – spiegano gli avvocati della Organizzazione non governativa – i tratti essenziali della vicenda, relativa alla presenza, davanti al porto di Lampedusa, della nave ‘Sea Watch 3′”, con a bordo, oltre all’equipaggio, 42 persone, tra le quali tre minori non accompagnati, soccorsi il 12 giugno in acque internazionali, a circa 47 miglia dalle coste libiche.   I difensori chiedono di valutare la “sussistenza di eventuali condotte di rilevanza penale, poste in essere dalle autorità marittime e portuali preposte alla gestione delle attività di soccorso, nonchè demandare alla valutazione dell’autorità giudiziaria l’adozione di tutte le misure necessarie a porre fine alla situazione di gravissimo disagio a cui sono attualmente esposte le persone a bordo della nave”.  

Prosegue dunque lo stallo dell’imbarcazione a poche miglia dall’isola. Attesa la svolta sull’eventuale sbarco. Ieri la Guardia di Finanza è salita a bordo della nave e ha acquisito dei documenti, preso le generalità della comandante Carola Rackete e dell’equipaggio, e acquisito dei dati ma al momento le Fiamme gialle non hanno ancora contestato nulla alla ‘Capitana’ tedesca. Non appena la Guardia di Finanza avrà l’ok per lo sbarco dei 42 migranti, potrà essere contestato il reato alla comandante tedesca che ieri ha forzato il blocco. Carola Rackete rischia una sanzione che varia da 10.000 a 50.000 euro (già raccolti 65.000 €. ndr). A emettere le multe è il prefetto territorialmente competente, quindi, nel caso della Sea-Watch 3, quello di Agrigento. Salvini: “L’equipaggio va arrestato” Non si placa intanto l’ira del ministro dell’Interno, nonché vicepremier, Matteo Salvini che ancora questa mattina – intervenendo ad una trasmissione radiofonica – ha ribadito:  “La legge prevede che bisogna essere autorizzati per poter attraccare, non possiamo far arrivare in Italia chiunque, le regole di un Paese sono una cosa seria. Le persone sulla Sea Watch non sono naufraghi, ma uomini e donne che pagano 3.000 dollari per  andar via dal proprio Paese. In Italia stanno arrivando, in aereo, migliaia di migranti certificate che scappano dalla guerra. Spero che nelle ultime ore ci sia un Giudice che affermi che all’interno di quella nave ci sono dei fuorilegge, prima fra tutti la Capitana. Se la nave viene sequestrata e l’equipaggio arrestato io sono contento”.

Conte: “Condotta inaudita. Bisogna rispettare regole” Sul caso della Sea Watch “mi sembra che le cose siano molto chiare: c’è una comandante che si è assunta una grave responsabilità e si è posta volontariamente in una situazione di grave necessità”. Lo sottolinea il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, incontrando la stampa al suo arrivo in Giappone ricordando che da parte Italiana è stato “emesso un provvedimento che vieta l’ingresso, la sosta e l’approdo nelle nostre acque”. Eppure, aggiunge il premier, “dopo questo divieto la comandante ha continuato a insistere ritenendo che solo l’Italia sarebbe un approdo . Una condotta che ritengo di una gravità inaudita”. Ora, ricorda, “la questione non è tanto nelle mani del governo ma della magistratura italiana , fermo restando che abbiamo già assunto iniziative formali sul piano diplomatico”. Moavero: “Su Sea Watch dovrà essere applicata legge” Sulla vicenda è intervenuto anche il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi: “La legge dovrà essere applicata”, anche se “non è con soluzioni episodiche che si potranno affrontare fenomeni di questa portata”. Per trovare un soluzione alla vicenda Sea Watch “dobbiamo continuare a parlare con il governo del Paesi Bassi e a lavorare a collaborazione bilaterale, ed eventualmente trilaterale dato che l’equipaggio è tedesco, perchè una soluzione europea non esiste – prosegue il ministro – Se si creano le condizioni ci sarà una soluzione bilaterale o trilaterale, altrimenti la soluzione dovrà essere trovata dal governo italiano”.

Toninelli (svicolando. ndr):: “Devono intervenire i Paesi interessati” “Devono intervenire i Paesi direttamente interessati” dice il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli sul caso Sea Watch. E aggiunge: “Devono prendere un impegno formale”.  Ue. Avramopoulus: “Senza Unione non si può andare avanti. Stati mostrino solidarietà” “Rivolgo un appello agli Stati membri a mostrare solidarietà. Continueremo a restare al fianco dell’Italia e a tutti gli Stati membri sotto pressione”.

Così il commissario europeo alla Migrazione Dimitris Avramopoulos intervenendo sulla vicenda della Sea Watch, che ribadisce: “E’ solo attraverso un approccio europeo congiunto, mano nella mano” con i Paesi Terzi, “che saremo capaci di trovare soluzioni reali”.   Una Portavoce dell’Unione Europea inoltre – dopo le parole pronunciate dal Ministro Salvini  – replica che senza registrare i migranti si rischia la procedura perché la legge prevede “che a tutti i nuovi arrivati su territorio europeo devono essere prese le impronte  digitali, non ci sono eccezioni.   Faraone: “La disumanità del ministro della paura non vincerà” Critici nei confronti della linea del governo, dettata da Salvini, le opposizioni. “Al porto di Lampedusa con Graziano Delrio e Giuditta Pini. Sea Whatch3 laggiù in fondo. Siamo qui da ieri sera, abbiamo espresso solidarietà a don Carmelo La Magra, siamo stati in capitaneria di porto, siamo in contatto con il prefetto. Naturalmente siamo in contatto con la capitana, daremo una mano per far sbarcare tutti, (e gonfiando il petto) costi quel che costi. La disumanità del ministro della paura non vincerà. Lo scrive su facebook Davide Faraone.  Forza Italia: “Migranti in sicurezza e sequestrare nave” “Nessuno è al di sopra delle leggi e del diritto internazionale. Nemmeno la Sea Watch e il suo equipaggio”. Così la presidente del gruppo Forza Italia alla Camera, Mariastella Gelmini. “I migranti – riprende – vengano messi prontamente in sicurezza, siano presi in carico quanto prima dai Paesi Ue e l’imbarcazione sia sequestrata dalle autorità italiane. La sicurezza dei confini non può essere messa a repentaglio da simili prove di forza che non fanno altro che aggravare una situazione gia’ estremamente delicata. Forza Italia su questo punto è molto chiara: bisogna sempre coniugare rigore, rispetto delle leggi e umanità”. Direttore Famiglia Cristiana: “Bisogna andare sui tavoli europei” “Bisogna andare sui tavoli europei e dire come stanno le cose, il nostro ministro dell’Interno ci è andato una volta. Le ong sono quelle che insieme alla Chiesa danno una mano ai Paesi africani a fare quello che viene detto: aiutarli a casa loro”. Su Facebook già raccolti 65 mila euro per spese legali In meno di 24 ore sono stati raccolti oltre 65mila euro di fondi per sostenere le spese legali della nave Sea Watch e del suo comandante Carola Rackete. L’iniziativa è stata lanciata su Facebook subito dopo la decisione di Rackete di entrare nelle acque territoriali italiane. A promuovere la raccolta fondi e’ stato un utente del social, Franco Matteotti (spero ne risponda) , e attraverso il  passaparola digitale e’ arrivata a coinvolgere finora 3.533 persone, coprendo ben piu’ della meta’ dei 100 mila euro che si era data come obiettivo. Secondo quanto previsto dal decreto sicurezza bis, in caso di violazione del divieto notificato al comandante (come accaduto nel caso della Sea Watch) “si applica a ciascuno di essi la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 50.000”. In caso di reiterazione, scatta “la sanzione accessoria della confisca della nave,  procedendo immediatamente a sequestro cautelare”. Qualora non fosse necessario usare i soldi donati, si legge sulla pagina Facebook della raccolta fondi, “questi rimarranno a disposizione della Sea Watch per la prossima missione”. 

da RAInews

Questa si chiama eversione, ma non è il solo caso.

2427.- L’Agenzia per la Sicurezza israeliana sostiene che la Russia sia responsabile per le interruzioni del GPS verificatesi nello spazio aereo. Ma «La vera minaccia sono i raid israeliani»

I missili cruise russi 9M729/SSC-8, nucleari, sono l’arma che sta garantendo la pace; ma, per il Medio Oriente, la vera minaccia sono i raid israeliani.

Alla fine, la politica del Medio Oriente e il futuro della Siria ruotano intorno ai due poli: da una parte l’asse Putin-Hassan Rohani e, dall’altra, Trump-Netanyahu. Putin continua a disinnescare le attività bellicistiche di Israele e tiene a bada gli Stati Uniti con i suoi missili cruise 9M729/SSC-8 nucleari. Ma «La vera minaccia sono i raid israeliani» e Mosca difende l’Iran e la Siria. Le analisi compiute dalle forze armate israeliane portano a ritenere che l’interferenza GPS faccia parte dei tentativi di Mosca di proteggere i suoi aerei nel nord-ovest della Siria.

di Yaniv Kubovich, traduzione di Mario Donnini

A Russian plane at Khmeimim Air Base in Syria, 2015.
Gli attacchi aerei israeliani contro la Siria non sono auspicabili, ha affermato il segretario del consiglio per la sicurezza russo Nikolai Patrushev. Qui, i controlli pre-volo per una coppia di Sukoi Su-24 russi sulla base aerea di Khmeimim in Syria, 2015.Reuters

La Russia è responsabile per le inspiegabili interruzioni GPS nello spazio aereo israeliano verificatesi nel mese scorso. I funzionari della sicurezza israeliani sono certi di poterle attribuire alle attività con cui Mosca tenta di proteggere i suoi aerei nel nord-ovest della Siria.
Non c’è altra spiegazione per queste interruzioni del segnale satellitare fdel Global Positioning System, GPS nello spazio aereo, verificatesi lo scorso mese, ma secondo le dichiarazioni rilasciate dal governo, mercoledì, “sono state prese adeguate contro misure per garantire che, nel principale aeroporto internazionale Ben Gurion, gli atterraggi e i decolli si svolgano in sicurezza”.
L’annuncio dell’Autorità Aeroportuale Israeliana (IAA) ha fatto seguito a un rapporto della Federazione Internazionale delle Associazioni dei Piloti della Linea Aerea (IFALPA), di martedì, secondo cui “molti” piloti avevano perso il segnale satellitare dal Global Positioning Syste, durante l’avvicinamento all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.

Anche una dichiarazione della IAA, confermando che ci sono state interruzioni del servizio GPS per circa le ultime tre settimane, ha precisato che queste hanno colpito solo gli equipaggiamenti per la navigazione aerea e non i sistemi di navigazione terrestre. Una fonte dell’aviazione ha riferito ad Haaretz che le interruzioni si verificano solo durante il giorno, ma che “non mettono a rischio piloti e passeggeri”.

Ben Gurion airport in Israel
L’aeroporto Ben Gurion di Israele. Meged Gozani

I piloti usano il sistema GPS per la navigazione all’interno dello spazio aereo israeliano e durante le procedure di decollo e di atterraggio. La fonte ha detto che i piloti dispongono, comunque, di sistemi di atterraggio e di navigazione alternativi che non dipendono dal funzionamento del GPS. Un’altra fonte ha detto che l’annuncio intendeva consigliare ai voli in arrivo di spegnere i sistemi GPS e utilizzare gli strumenti alternativi, nell’ipotesi che le interruzioni continuino.
Martedì, il primo incontro trilaterale si è tenuto tra il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti John Bolton, Nikolai Patrushev, il segretario del Consiglio di sicurezza russo e i consiglieri israeliani per la sicurezza nazionale a Gerusalemme.
Lunedì, durante una conferenza stampa congiunta con Patrushev, Netanyhau ha affermato che “la cooperazione di sicurezza tra Russia e Israele ha già contribuito molto alla sicurezza e alla stabilità della nostra regione e ha fatto una differenza fondamentale nella situazione nella regione”.
Netanyahu, che domenica ha incontrato Bolton, ha detto che l’incontro a tre avrà “a che fare con l’Iran, naturalmente, con la Siria e con altri ostacoli alla sicurezza e alla stabilità nella nostra regione, e sappiamo che la nostra regione ne ha grandemente bisogno, soprattutto ora”.
Il primo ministro ha aspirato a tenere questi colloqui trilaterali da quando la Russia ha rafforzato la sua presenza nella regione, alla ricerca di una cooperazione più stretta verso l’obiettivo di ridurre l’influenza iraniana in Siria.

Yaniv KubovichHaaretz Correspondent 

«La vera minaccia sono i raid israeliani». Mosca difende l’Iran

Michele Giorgio, 26.06.2019

Non se ne conoscono ancora gli esiti completi ma il vertice trilaterale di ieri a Gerusalemme tra i consiglieri per la sicurezza nazionale di Israele, Usa e Russia sull’Iran, la Siria e altre crisi aperte in Medio oriente, non è andato nella direzione desiderata da Benyamin Netanyahu. Il premier israeliano, già forte dell’appoggio degli Stati Uniti, credeva di poter ottenere maggiori garanzie dalla Russia (alleata di Damasco) riguardo la presenza iraniana in Siria, una «minaccia esistenziale» secondo lo Stato ebraico. Invece le dichiarazioni fatte dal consigliere russo per la sicurezza Nikolai Patrushev, indicano che Mosca resta schierata con Tehran, nonostante le differenze e le incomprensioni emerse di recente tra le due parti. Patrushev ha respinto la posizione di Stati Uniti e Israele secondo cui l’Iran sarebbe «la principale minaccia alla sicurezza regionale». Piuttosto, ha fatto capire, sono i raid aerei israeliani in Siria contro le forze iraniane a tenere alta la tensione. Commentando l’abbattimento di un drone americano da parte dell’Iran la scorsa settimana – Trump a sorpresa ha fermato la rappresaglia Usa – Patrushev ha detto che il ministero della difesa russo ha stabilito che l’aereo è entrato nello spazio aereo iraniano, come ha sempre sostenuto Tehran. «Non abbiamo visto altre prove», ha aggiunto. Infine il consigliere russo ha lodato la presenza dell’Iran in Siria spiegando che «sta contribuendo alla lotta contro i terroristi sul suolo siriano e sta stabilizzando la situazione».

Patrushev si è detto consapevole delle preoccupazioni di Israele e ha assicurato che la questione viene regolarmente affrontata durante i colloqui tra Mosca e Tehran. «Prestiamo particolare attenzione al tema della sicurezza di Israele», ha affermato. Pronta la replica del falco della politica estera americana, il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton giunto nei giorni scorsi in Israele. Bolton ha contestato la visione positiva delle truppe iraniane in Siria sostenendo che anche «I russi vorrebbero vedere le forze iraniane andarsene via». Secondo il consigliere di Trump, la Russia non è stata finora in grado di raggiungere questo obiettivo e che il risultato del vertice di Gerusalemme contribuirà a «trovare un modo per realizzarlo». Più defilata è stata la posizione di Meir Ben Shabbat, il consigliere israeliano per la sicurezza nazionale che ha preferito lasciare la scena a Netanyahu. «Abbiamo discusso di molte questioni – ha detto il premier – Noi siamo determinati a far uscire gli iraniani dalla Siria e vi è concordanza tra le due grandi potenze e Israele sulla necessità di accelerare uno scenario di uscita dal territorio siriano di tutte le forze straniere che sono entrate dopo il 2011». Infine Netanyahu ha ribadito che Israele non permetterà all’Iran di procurarsi armi nucleari.

Torna ad usare toni bellicosi contro Tehran anche Donald Trump, irritato dalle dichiarazioni del presidente iraniano Rohani secondo cui le nuove sanzioni contro la Repubblica islamica annunciate dalla Casa Bianca sono «un segno di ritardo mentale». Trump ha minacciato una reazione «schiacciante» ad un eventuale attacco iraniano alle forze Usa nel Golfo. «La dichiarazione iraniana di oggi, molto ignorante ed offensiva, dimostra solo che loro non capiscono la realtà», ha tuonato su twitter. Parole che non hanno intimorito gli iraniani. Il ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif ha risposto puntando il dito contro il cosiddetto “B-Team” – Bolton, (Bibi) Netanyahu, l’erede al trono saudita Mohammed bin Salman e il leader degli Emirati Khalifa bin Zayed Al Nahyan – colpevole a suo dire di spingere Usa e Iran verso la guerra. Intanto funzionari iraniani hanno ribadito che il paese si attende, dall’Europa in particolare, misure concrete per aggirare le sanzioni economiche statunitensi, altrimenti il 7 luglio la Repubblica islamica uscirà dall’accordo internazionale sul suo programma nucleare siglato nel 2015, anche con l’approvazione dell’ex presidente americano Barack Obama.

2426.- Sea Watch, esposto in procura “I migranti privati della libertà”

“Quella é il capitano della @SeaWatchItaly che pensa di forzare le acque territoriali meritando, se lo facesse, una reazione di forza. Quello accanto è un clandestino che soffre con barba e capelli curati occhiali da sole candido e profumato come una rosellina, “in condizioni di vulnerabilità a causa della sua età o delle sue condizioni di salute”

Sea Watch3, La Corte europea dei diritti umani, Cedu, ha respinto il ricorso: negato lo sbarco in Italia. “Dare comunque assistenza necessaria alle persone che si trovano a bordo della nave in condizioni di vulnerabilità a causa della loro età o delle loro condizioni di salute”. Immediatamente, il Garante nazionale per i diritti dei detenuti, nominato da… ha presentato un esposto alla Procura di Roma sul caso della Sea Watch

Angelo Scarano – Mar, 25/06/2019 commenta così:

Nemmeno un istante dopo il respingimento del ricorso alla Cedu, si apre un altro fronte sulla Sea Watch. Il garante, senza forse, ha un po’ confuso la situazione. Parla, a schiovere, di fare cessare molto eventuali violazioni della libertà personale da parte di chi? Al capitano era stato detto di non sbarcare a Lampedusa. E’ la signorina Carola Rackete, comandante, che li ha tenuti in ostaggio, sempre ammesso che lo siano e che a loro non piaccia così. Si fosse preoccupata delle persone, le avrebbe sbarcate a Malta, in Francia, in Tunisia o in Spagna. E invece no. ha navigato per 800 miglia, a lento moto: 4 nodi, intorno a Lampedusa. Ma quanti GARANTI ci sono in Italia!! Comandano e aprono bocca in troppi. La figura dei garanti nasce dalle divisioni della politica, che, infiltrando la Pubblica Amministrazione, vi si ripercuotono al punto da rendere opportuna l’istituzione di queste bis-figure istituzionali, figlie del partito al potere di turno, che, poi, rappresentano. ma già la loro istituzione è sintomo di inefficienza dello Stato. Non un di più, quindi, ma un minus.

A entrare sul campo di “battaglia” è il Garante dei detenuti, Mauro Palma. Il Garante, infatti, ha presentato un esposto alla Procura di Roma. Il Garante, di fatto, non interviene sulle scelte politiche in merito al “blocco” sullo sbarco imposto dal Viminale, però, punta il dito contro “la privazione della libertà personale”. Palma fa sapere che “non può nè intende intervenire su scelte politiche che esulano dalla propria stretta competenza. Tuttavia, è suo dovere agire per fare cessare eventuali violazioni della libertà personale, incompatibili con i diritti garantiti dalla nostra Carta, e che potrebbero fare incorrere il Paese in sanzioni in sede internazionale. In particolare, ribadisce che le persone e loro vite non possono mai divenire strumento di pressione in trattative e confronti tra Stati. Ritiene inoltre che la situazione in essere richieda la necessità di verificare se lo Stato italiano, attraverso le sue Autorità competenti, stia integrando una violazione dei diritti delle persone trattenute a bordo della nave”. Il Garante ha poi aggiunto: “L’esercizio della giurisdizione italiana sull’imbarcazione sembra, inoltre, confermato dalla valutazione delle vulnerabilità delle persone a bordo a cui è stato permesso lo sbarco: non può essere, però, questa la sola via d’uscita dalla situazione presente che, a parere del Garante, sta degenerando”.

Il Garante infine mette nel mirino il divieto imposto dal Viminale sull’ingrasso della Sea Watch nelle acque territoriali italiane. Su questo punto il Garante nazionale si interroga se “nel caso della Sea Watch 3, sia proprio il pur legittimo esercizio della sovranità da parte del nostro Paese a determinare giurisdizione e responsabilità nei confronti delle persone, incluso almeno un minore non accompagnato, bloccate in condizioni sempre più gravi al confine delle sue acque. Del resto, l’esercizio stesso del divieto e la sua attuazione implicano che il Paese garantisca l’effettività dei diritti derivanti dagli obblighi internazionali alle persone bloccate: di non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti; di non essere rinviati in Paesi dove ciò possa avvenire; di avere la possibilità di ricorrere contro l’attuale situazione di fatto di non libertà davanti all’autorità giudiziaria; di richiedere protezione internazionale”.

Oggi, 26 giugno, la Seawatch3 è entrata alle 12,26Z, 14,26 Locali, nelle acque territoriali italiane. Dalla nave, con tanto di videoappello di immigrato africano, è stata lanciata una raccolta fondi per pagare le multe, ma ha fruttato soltanto 899 $ da 37 fan dell’ONG. Il ministro dell’Interno Salvini ieri sera ha ribadito che se la nave decidera’ di violare il divieto di ingresso ed entrare in porto verra’ multata per 50.000 euro e confiscata e comandante ed equipaggio denunciati. A Lampedusa le motovedette italiane, pronte all’intervento da ieri, si sono accorte solo all’ultimo momento dell’ennesimo barchino che, beffando tutti persino in un momento di grande allerta, ha sbarcato altri otto migranti, tutti tunisini. Siamo al ridicolo più ridicolo che ci sia.

2425.- ISTITUTO DI SOROS AMMETTE: ITALIA ROVINATA DA RICETTE UE DI AUSTERITA’


di Maurizio Blondet

Amici di Facebook Gog&Magog  hanno scoperto e  segnalato questo studio  stupefacente di un isttiuto di ricerca economica finanziato da Soros: spiega che l’austerità imposta dalle regole europee  ha rovinato l’Italia, la quale è stata  la sola a obbedir loro fedelmente; s’è cacciata in un circolo vizioso di taglio dei salari – calo della domanda interna – crollo degli investimenti  e, alla fine, calo dei profitti –  Se lo status quo resta l’attuale, dicono, i populisti non faranno che cerscere . Rimedi? Qualcosa di simile al ritorno allo Stato imprenditore (qualcuno ha detto IRI?): ed ecco la critica: la Lega non lo vuol fare perché è neoliberista, i 5 Stelle nemmeno sanno concepirlo  – del resto anche nella UE ciò è  semplicemente impensabile.

 

Un paper dell’Inet di aprile 2019 è spietato con le politiche europee imposte al nostro Paese e gli effetti della strategia “al ribasso” sui salari intrapresa dalla nostra classe dirigente negli ultimi 30 anni.

E’  passata quasi inosservata in Italia l’uscita di un paper (PDF integrale qui), a firma dell’economista Servaas Storm, per conto dell’Institute of New Economic Thinking, un think tank newyorchese in cui George Soros ha raccolto, con un iniziale finanziamento a fondo perduto, una autentica seleçao di pensatori autorevoli ma potenzialmente “eretici” rispetto alla linea oggi dominante in materia economica.

Già dalla lettura del titolo, “Lost in Deflation: why Italy’s woes are a warning to the whole Eurozone” (“Persi nella deflazione: perché i guai dell’Italia sono un monito per l’intera Eurozona”) si comprende come mai i media italiani abbiano mantenuto un silenzio radio assoluto sullo studio (come su alcuni altri del medesimo istituto già usciti in precedenza), nonostante non arrivi certo da fonte tacciabile di simpatie “gialloverdi”.

Infatti, il documento, da un lato, traccia una analisi impietosa delle politiche economiche applicate al nostro Paese negli ultimi 30 anni, dall’altra fissa alcuni punti fermi sullo stato della nostra economia: tutti elementi che sono ben noti, ormai, a chi si informa su Internet, ma non sono ancora stati spiegati in modo compiuto al grande pubblico.

In particolare, si sottolinea che l’Italia è il paese che più di tutti si è adeguato alle ricette dell’Eurozona (p. 10):

Nessun’altra economia della zona euro è riuscita a trasformare la sua economia mista in modo così radicale come l’Italia, che per molti versi si è rivelata “più papista del Papa” (di Bruxelles). I governi italiani di diverso colore che si sono susseguiti hanno attuato una politica di deregolamentazione e riforme istituzionali, spesso con uno scarso sostegno parlamentare e senza consenso popolare, cercando di scaricare la colpa e la responsabilità su “impegni vincolanti”, oppure i “vincoli esterni” imposti dalla lontana “Bruxelles”.

L’andamento della spesa pro capite in welfare in Italia e Francia a confronto

Si affronta poi il tema (a tutt’oggi ancora radicatissimo e introiettato dalle nostre “classi dominanti”) della ideologia del “vincolo esterno”:

Questa strategia di slittamento della responsabilità a livello nazionale sul “vincolo esterno” ben si coniugava con la logica di il trattato di Maastricht, ossia che i mercati finanziari siano più efficaci nel disciplinare dei governi potenzialmente “irresponsabili” rispetto a trattati intergovernativi trattati o promesse dei politici (cfr. Costantini 2018). Con l’adesione alla Unione Monetaria Europea, le autorità degli Stati membri hanno limitatodi fatto la propria politica fiscale alla sola emissione di debiti in una valuta estera su cui non hanno alcun controllo. Hanno quindi accettato di sottoporsi alla loro disciplina (o, se uno vuole, ai capricci) dei mercati obbligazionari globali. Il debito pubblico, come scrisse O’Connor (1973), aumenta il potere del capitale sullo Stato: un governo che non persegue politiche favorevoli al mercato farà difficoltà a trovare un prestito. In questo modo, gli stati membri dell’Eurozona hanno rinunciato alla sovranità sulla propria politica fiscale in un modo molto più radicale di quanto suggerito dalle condizioni su deficit e debito del trattato di Maastricht (Halevi 2019).

Gli effetti di tutto ciò sono stati semplicemente disastrosi, si è cacciata l’Italia in un pantano da cui l’uscita appare un’operazione ardua e complessa.

I dati economici sugli anni precedenti l’ingresso nel sistema europeo mostrano come il Belpaese avesse, con alti e bassi, costantemente “rimontato” rispetto ai partner europei: mano a mano che le “riforme” di Bruxelles vengono introdotte, questa riduzione del divario si arresta all’improvviso e l’Italia non fa che perdere quota.

Si ricordano i dolorosi dati che purtroppo ben conosciamo, sui milioni di giovani disoccupati etc., nonché il trattamento riservato dalle autorità europee nel periodo 2010–2015:

“Il rapporto debito/PIL dell’Italia è fortemente aumentato nel periodo 2010–2015 (cfr. figura 2 sopra), principalmente a causa dei seguenti fattori: il suo governo ha dovuto pagare tassi d’interesse molto più elevati, prima che la Banca Centrale Europea intervenisse dopo un lungo ritardo. Secondo Zingales(2018), il ritardo era inteso a imporre una “disciplina dei mercati finanziari”, esercitando pressioni sul governo italiano affinché riforma. “E’ stata una forma di waterboarding economico, che ha lasciato l’economia italiana devastata e gli elettori italiani giustamente arrabbiati nei confronti delle istituzioni europee” sono le conclusioni di Zingales”. (p. 13)

Ed è altrettanto doloroso sentire, ancora una volta quanto il nostro paese sia stato ligio ai criminali dettami europei:

l’Italia ha mantenuto un significativo avanzo di bilancio primario oltre l’1,3% del PIL per l’intero periodo post-crisi 2008–2018 (ad eccezione del solo anno 2009), e, contrariamente ad ogni buon senso, il governo “tecnocratico” di Mario Monti ha fatto avanzi primari da circa 2% del PIL nel periodo 2012–2013. Per Monti, come ha ammesso in un’intervista con la CNN, la disciplina fiscale era la massima priorità, anche se questo significava che il suo governo stava “di fatto distruggendo la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale” (Monti 2012: sperava che la UE sarebbe accorsa a salvare l’Italia con un’impegno espansivo coordinato sulla domanda. Si sbagliava). La stessa linea di austerità è stata proseguita dai successivi governi italiani, tra cui quello del PD guidato da Matteo Renzi (2014–2016).”

Il bello è che questi danni sono stati pure stimati dallo stesso Ministero delle Finanze italiano:

“le politiche di austerità nel 2012-2015 hanno ridotto il PIL italiano di quasi il 5% e gli investimenti del 10% (come riportato da Fazi, 2018). Si noti che il consolidamento fiscale in Italia durante gli anni di recessione 2008–2018 è stato eccezionale rispetto alla Francia e all’Euro 4 (cfr. figure 3 e 4). Il governo francese ha registrato disavanzi primari (senza eccedenze!) durante tutti gli anni del decennio 2008- 18, ad una media del 2% del PIL all’anno. I paesi dell’Euro-4 (dominati dalla Germania), dopo aver registrato disavanzi primari consistenti nel periodo 2009–2011, hanno avuto avanzi primari piuttosto modesti durante il periodo 2013–2018; in effetti, il disavanzo primario totale dell’Euro-4 nel periodo 2008–2018 è stato intorno allo zeroIl totale dello stimolo fiscale fornito dallo Stato francese è stato pari a 461 mld euro [QUATTROCENTOSESSANTUNO MILIARDI DI EURO] nel decennio successivo al 2008, il che è si pone in discreto contrasto con la compressione della domanda interna che veniva compiuta nello stesso periodo in Italia (227 mld di euro [DUECENTOVENTISETTE MILIARDI DI EURO). Si noti che il differenziale così raggiunto di 668 miliardi di euro [SEICENTOSESSANTOTTO MILIARDI DI EURO] è superiore al PIL reale dei Paesi Bassi del 2010.”

Lo studio passa poi a rilevare gli effetti delle cosiddette “riforme del lavoro”: un boom dei lavoratori precari e sottopagati, con riduzione delle garanzie:

“il gap salariale fra Italia è Francia è più grande oggi di quanto lo fosse negli anni ‘60” (p.18)

Percentuale di lavoratori precari

Le classi dominanti italiane hanno infatti preferito imboccare la via della “corsa al ribasso” sui salari, ingolosite dal fatto che potevano così prendere “tre (nemmeno due) piccioni con una fava”, ossia:

  • tenere bassa l’inflazione (incubo di chi è creditore, ndr);
  • aumentare il “fattore lavoro” nella crescita del PIL (invece, per esempio, di comprare un macchinario nuovo o più efficiente, mi conviene prendere lavoratori sottopagati in più),
  • in tal modo si è anche ridotta — temporaneamente — la disoccupazione (riesplosa però con la crisi dell’Euro, ndr);

L’aver permesso di abbassare gli stipendi ha indotto molte imprese di competere (e vincere) in quel modo anche contro concorrenti più produttivi e meritevoli di rimanere sul mercato.

Si è però così innescato un circolo vizioso, che sta strangolando l’economia italiana in assenza di interventi di rottura: la riduzione degli stipendi, inizialmente una scelta per aumentare la quota in favore dei profitti(seppure limitata alle classi dominanti), è diventata una ineluttabilità per tutti.

Infatti, come detto, le imprese hanno iniziato a farsi concorrenza a colpi di manodopera sempre più a basso costo (facendo cioè lavorare di più e a meno, specialmente nei servizi), invece che su tecnologia e produttività: così facendo, da un lato è morta la domanda interna (che da noi è stata “il vero motore della crescita fra il 1960 e il 1992“, p.25), dall’altra sono calati gli investimenti e, infine, pure i profitti!

Le imprese si sono ritrovate a dipendere dal solo export verso l’estero, ma in una partita al ribasso…con la Cina, che però ha ben altre capacità, sia come costi ridotti sia, ormai, come capacità di investimento e di pianificazione tecnologica. Si è avuto pertanto un vero e proprio bagno di sangue.

“Abbiamo distrutto la domanda interna”

Tra l’altro, questa situazione è stata resa ancora più drammatica dal fatto che alla obliterazione della domanda interna si è aggiunto l’allentamento dei legami produttivi fra Italia del Nord e Germania: con l’allargamento UE, sempre più imprese tedesche si sono rivolte ai paesi dell’Est Europa (cfr. Celi, Ginzberg e Guarascio, 2018), facendo quindi calare anche questa voce positiva che ci poteva tenere a galla.

In sostanza si è verificato, per l’Inet, il seguente schema:

La diagnosi è quella cui sono già giunti molti economisti o semplici osservatori anche da noi:

“L’Italia soffre di una carenza cronica di domanda. Una situazione creata da un contesto di:

(a) perpetua austerità fiscale;

(b) contenimento permanente dei salari reali;

(c) mancanza di competitività tecnologica che, in combinazione con un tasso di cambio sfavorevole (euro), riduce la capacità delle imprese italiane di mantenere le loro quote di export a fronte di una maggiore concorrenza dei paesi a bassi salari (in particolare la Cina).

Questi tre fattori deprimono la domanda, e hanno però a catena altri effetti negativi:

  • riducono l’utilizzo della capacità produttiva;
  • abbassando la redditività delle imprese,
  • danneggiando investimenti e innovazione.

L’Italia finisce così “bloccato in uno stato di declino permanente”, caratterizzato da un progressivo deterioramento della matrice produttiva dell’economia italiana e della qualità della composizione dei suoi flussi commerciali (cfr. p. 32).

In tutto ciò, è stato tolto dal paese, con i surplus nel periodo 1992–2018, PIU’ DI UN TRILIONE DI EURO (1.000 miliardi, pari a circa i 2/3 del Pil italiano nel 2018). I francesi, nello stesso periodo, hanno invece immessonell’economia circa 475 miliardi. I paesi “austeri”, ossia Germania, Belgio e Olanda, hanno (nel loro insieme) fatto surplus per soli 510 miliardi, la META’ di quello italiano, nonostante condizioni economiche ben più positive.

Giustamente, l’economista di fronte a questi dati si chiede:

“se la Francia avesse fatto come l’Italia, cosa sarebbero ora le rivolte dei Gilet Gialli?”

Che fare?

In conclusione alla diagnosi di questa situazione sconfortante e più simile a una crisi esistenziale che solo economica, lo studioso fornisce un proprio abbozzo di prognosi, anche a fronte delle ricette proposte dal governo gialloverde.

E’ evidente che misure di immediato intervento sulla domanda interna siano necessarie, quali potrebbero essere quelle proposte sinora (flat tax, reddito di cittadinanza) ma, in sostanza si tratta di un aiuto “su una gamba sola”, dei pannicelli caldi che non vanno ad affrontare le radici strutturalidel dissesto come esposte sopra.

L’Inet, con chiaro influsso keynesiano, invoca quindi un “approccio a due gambe”: all’intervento di stimolo fiscale (che può essere variamente strutturato) si deve affiancare anche un ritorno dello Stato-imprenditore, che definisca e governi un processo di lungo termine per il rinnovo o riconversione delle strutture produttive e il rilancio degli investimenti tecnologici, in un quadro, pertanto, di relativa maggiore, e non minore, regolamentazione dell’economia e del mercato del lavoro.

Si tratta però di una prospettiva che il Governo attuale non appare in grado né di concepire né di implementare:

  • nel caso della Lega, perché resta di impianto neoliberista e quindi contraria a un rinnovato ruolo dello Stato;
  • nel caso dei M5S, perché privi di una linea progressista chiara.

A parziale discolpa del Governo gialloverde, tuttavia, pure il paper deve riconoscere che le “due gambe” dell’approccio proposto (=enormi investimenti a debito) sarebbero brutalmente azzoppate…dall’Unione Europea.

Qualsiasi strategia di sviluppo razionale “a due gambe” è incompatibile il rispetto delle regole macroeconomiche dell’Unione Monetaria e il mantenimento della calma dei mercati finanziari, che svolgono il loro compito di disciplinare i debiti dell’Eurozona (Costantini 2018; Halevi 2019). Questo è chiaro da quello che è successo quando il governo M5S-Lega ha proposto un piano di bilancio espansionistico per il 2019. L’impatto totale del piano di bilancio inizialmente ammontava, secondo le stime, all’1,2% del PIL nel 2019, 1,4% nel 2020 e 1,3% nel 2021 — e anche questa ridottissima espansione di bilancio ha scatenato forti risposte negative della Commissione Europea e aumenti per i rendimenti obbligazionari italiani. (p. 45)

Ma perché, qualcuno si potrebbe chiedere, l’istituto di Soros si rivela “più gialloverde dei gialloverdi”? Anzitutto perché è la lettura condivisa dagli economisti, ma nelle ultime righe del paper traspare, forse, la motivazione. Se le dinamiche sopra descritte appaiono risalenti, ormai croniche e implacabili e c’è poco da incolpare il Governo: non è possibile, nel sistema europeo attuale, fare partire alcun autentico piano di rilancio per l’economia italiana.

Il punto critico è, però, che questo status quo, mortale per il nostro paese, non è nemmeno stabile: si riporta in conclusione il timore di Blanchard, secondo cui il ciclo “meccanico” di aggravamento del debito in cui è stata costretta l’Italia, crea il potenziale per crisi fuori controllo, con un esito potenziale di una “uscita involontaria” , che sarebbe la morte dell’Eurozona (e, aggiungiamo noi, dell’intero progetto europeo).

Inoltre, anche nell’ipotesi in cui vi sia una mera prosecuzione dell’attuale status quo, ossia una stagnazione sempre più pronunciata, si assisterà ad un sempre maggiore rafforzamento delle forze anti-europee e anti-establishment.

In assenza quindi, di un radicale cambiamento delle politiche europee (che è stato più volte invocato dallo speculatore ungherese), il “mondo Soros” ha notevoli preoccupazioni:

  • se si prosegue così, avanzano i populisti (e non solo in Italia);
  • potrebbe andare pure peggio: se per accidente dovesse esplodere una crisi, potrebbe saltare l’intera costruzione europea, che sinora si è rivelata un ottimo strumento “centralizzato” per imporre progressivamente un certo tipo di politiche care alla Open Society.

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Gog Magog

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2424.- Qu Dongyu alla FAO? È la Cina che si sta prendendo l’Africa (nell’indifferenza dell’Occidente)

Mentre gli italiani si trastullano con gli affari loschi delle ONG…e l’Occidente investe nella cooperazione, la Cina costruisce strade e intere città in Africa. L’elezione di Qu Dongyu,braccio destro di Xi Jinping,a capo della Fao conferma il ruolo crescente della Cina nel mondo.

Pechino ce l’ha fatta. E con una maggioranza consistente Qu Dongyu è diventato direttore generale della Fao.  Sconfitta con 71 voti contro 108 la francese Catherine Geslain-Lanéelle indicata dall’Ue. Deslain-Lanéelle si era detta certa del sostegno compatto dei 28 ma non aveva fatto riferimenti a quanta breccia avesse fatto il suo approccio, anche politicamente multilaterale, che – nella missione a Washington del 15 maggio scorso – metteva l’accento sull’importanza di una prospettiva globale che non rispecchiasse solo il punto di vista europeo, o peggio solo francese, sulle scelte per un’agricoltura sostenibile e una lotta alla fame compatibile con le tematiche ambientali. Proprio sulla vocazione multilateralista di un organismo come la Fao, l’elezione di Qu Donyu apre qualche interrogativo. 

L’elezione del cinese Qu Dongyu, biologo ed ex viceministro dell’Agricoltura di Pechino, a nuovo direttore generale della FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa dell’alimentazione e dell’agricoltura, significa solo due cose: occhi puntati sul continente africano e la Belt and Road Initiative, la Via della Seta.

La FAO è la quinta agenzia delle Nazioni Unite a finire sotto la guida della Repubblica popolare (l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile, l’Unione internazionale delle telecomunicazioni, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale e il Dipartimento per gli affari economici e sociali sono tutti a guida cinese). Il colosso delle Nazioni Unite ha un mandato molto ampio che apre prospettive quantomeno inedite. Ora la Cina ha in mano il fascicolo della fame nel mondo, che colpisce 821 milioni di persone, e la cui eliminazione è uno degli obiettivi principali dell’Agenda 2030. Ma attenzione: non solo. Con la vittoria di Pechino, si apre una partita di interessi geoconomici che si impone anche sull’Unione europea, fresca di elezioni, e sull’avversario statunitense già sul piede di guerra dei dazi.

“Il processo di elezione di Qu Dongyu a direttore generale offre un caso di studio e un campanello d’allarme per l’Europa e per la comunità internazionale – spiega a Linkiesta Alberto Alemanno, professore ordinario di diritto dell’Unione europea alla Scuola di studi superiori commerciali di Parigi e fondatore di The Good Lobby – La candidata francese Geslain-Lanéelle è stata direttore esecutivo per la sicurezza alimentare dell’Efsa e direttore generale per agricoltura, politiche agroalimentari e territoriali del ministero francese delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Parliamo di expertise di alto livello. L’Europa, nonostante sia uno dei maggiori contribuenti al budget della FAO, si è dimostrata incapace di sostenere il proprio candidato.”

Dall’edificio voluto da Mussolini per ospitare il ministero per l’Africa italiana, Pechino può avere un’enorme e aggiuntiva influenza proprio in Africa, dove ha già una presenza consolidata da massicci investimenti e in via di ulteriore rafforzamento grazie alle infrastrutture promesse dalla Belt and Road Initiative. Il pressing sui Paesi africani, oltre che su molti latino-americani, ha fruttato a Qu molti voti, che si sono aggiunti a quelli di tutta l’area asiatica che ruota intorno a Pechino e a quelli di chi, in ordine sparso, vede nella Cina una sponda assai più solida di quella dell’Ue. 

Partiamo dalle elezioni, quindi. Si è trattata di una vittoria senza esclusione di colpi, a conferma del ruolo di primo piano che la Cina detiene nel panorama geopolitico mondiale. Prevalso sulla candidata francese Catherine Geslain-Lanéelle, votata, tra gli altri, anche dall’Italia, con 108 voti favorevoli già nel primo turno, il nuovo leader dell’istituzione multilaterale durerà per quattro anni, dal 1 ° agosto 2019 al 31 luglio 2023, prendendo il testimone dal brasiliano José Graziano da Silva. “Saremo neutri e imparziali” ha dichiarato Dongyu subito dopo essersi dichiarato “grato alla madrepatria”. Una madrepatria che ha ha sbaragliato tutti gli avversari con una netta maggioranza. Cinque candidati iniziali – tra cui Médi Moungui (Camerun), Davit Kirvalidze (Georgia) e Ramesh Chand (India) – ma solo tre sul finire: oltre a Dongyu, la francese candidata dell’Unione europea Catherine Geslain-Lane’elle (71 voti) e il georgiano sponsorizzato da Washington Davit Kirvalidze (12 voti).

“Saremo neutri e imparziali” ha dichiarato Dongyu subito dopo essersi dichiarato “grato alla madrepatria”

“Le modalità di selezione, però, sono state molto controverse – continua Alemanno – Si parla di episodi di natura corruttiva nei confronti dei paesi africani e sudamericani.”

Non a caso, infatti, fonti dell’Onu spiegano che più di Qu ha vinto “il sistema Cina, un intero Paese spesosi in modo capillare per ciascuno dei 108 voti”. A marzo scorso, Reuters dava notizia del controverso arresto per corruzione dell’ex presidente dell’Interpol Meng Hongwei, poi espulso dal Partito comunista per violazione della disciplina di partito. Stesso mese in cui viene registrato il ritiro del candidato camerunense Médi Moungui in seguito alla cancellazione di oltre 70 milioni di dollari di debiti che Yaoundé avrebbe dovuto pagare a Pechino, a detta di Le Monde. Dongyu era tra i favoriti anche perché vantava il probabile sostegno dei Paesi del cosiddetto G77, tra questi i Paesi latinoamericani come il Brasile, paese che la Cina, secondo fonti diplomatiche citate da Le Monde, avrebbe minacciato con il bando delle esportazioni agricole. Considerando che oggi la Cina è il secondo partner commerciale dei Paesi dell’area dopo gli Stati Uniti e il primo per alcuni di essi, tra cui il Brasile appunto, la più grande economia della regione e patria dell’ormai ex dirigente FAO, il Perù e il Cile, mentre è il secondo partner commerciale per Argentina, Colombia, Uruguay e Venezuela, certi meccanismi non stupiscono.

Da un lato, quindi, l’America Latina. Importante, in ottica cinese, per le sue grandi risorse naturali e agricole (il petrolio in Venezuela, la soia in Argentina e Brasile), di investimento infrastrutturale (i porti: Il colosso cinese Cosco, lo stesso presente al Pireo in Grecia, è presente al porto di Chancay in Perù, mentre la China Merchants possiede il 90 per cento del terminal del porto brasiliano di Paranagua) e per legami commerciali e diplomatici. In breve: Cina 1 – Stati Uniti 0. Almeno per questa partita, che ha scatenato – e con tutta probabilità scatenerà ancora di più – una forte guerra ai dazi.

Dall’altro, c’è il più grande investimento che la Cina sta portando avanti: l’Africa.

Tanto l’Africa quanto il Sudamerica sono due aree strategiche della Nuova via della seta – afferma Alemanno – Ma sull’Africa la Cina ha investito molto. E proprio il territorio africano offrirà il primo terreno d’azione per capire come la nuova guida a trazione cinese affronterà i nuovi equilibri mondiali. È chiaro che si tratta di una proiezione del potere culturale ed economico che la Cina sta avendo nel contesto geopolitico. E desta non poche preoccupazioni.”

Dal 2010 la Cina ha impegnato oltre 100 miliardi di dollari per lo sviluppo di progetti commerciali in Africa

Mentre i paesi occidentali investono nello sviluppo e nella cooperazione, con le ormai note lungaggini burocratiche, la Cina si presenta al continente africano con soluzioni immediate.Costruisce strade, ponti, palazzi, infrastrutture di ogni tipo e ben visibili, utili ai governanti locali per accrescere consenso elettorale. Dal 2010 la Cina ha impegnato oltre 100 miliardi di dollari per lo sviluppo di progetti commerciali in Africa. Durante il vertice 2018 del Forum per la cooperazione tra Cina e Africa (FOCAC), il presidente Xi Jinping aveva annunciato un nuovo fondo comune da 60 miliardi di dollari per lo sviluppo dell’Africa come parte di una serie di nuove misure per rafforzare i legami tra i due continenti. Secondo uno studio condotto dalla China-Africa Research Initiative, la Cina ha prestato un totale di 143 miliardi di dollari a 56 nazioni africane, messi a disposizione principalmente dall’Export-Import Bank of China e dalla China Development Bank. Per capire come funziona basta pensare che, per settore, circa un terzo dei prestiti era destinato a finanziare progetti di trasporto, un quarto all’energia e il 15% destinato all’estrazione di risorse, compresa l’estrazione di idrocarburi. Solo l’1,6% dei prestiti cinesi è stato dedicato ai settori dell’istruzione, della sanità, dell’ambiente, alimentare e umanitario. Le priorità degli investimenti appaiono chiare. Lo scopo pure.

“È chiaro che le relazioni tra Africa e Cina sono tali e talmente strette da poter far valere ogni interesse economico – afferma Mario Raffaelli, presidente di Amref – Si pensi alla Belt and Road Initiative, la Via della Seta, che vede coinvolto il porto di Gibuti.”

La posizione del porto, proprio sullo Stretto di Aden e sul Mar Rosso, lo rende strategico sia dal punto di vista commerciale sia da quello militare. Gibuti, ex colonia francese, ha affittato a diversi Paesi stranieri terreni sui quali sono state costruite basi militari. Ed è anche una porta aperta sui mercati dell’Africa orientale e centrale. Per questo motivo, la Cina ha puntato gli occhi sul Paese e lo ha inserito tra le nazioni strategiche nelle sue politiche commerciali.

L’elezione di Dongyu racconta una politica di penetrazione cinese che va vista con preoccupazione, soprattutto per l’atteggiamento neocolonialista e di mancato rispetto dei diritti umani

“La vera forza della Cina in Africa è stata la capacità di diversificare gli interventi in ogni paese africano coinvolto – continua Raffaelli – Basti pensare che, mettendo insieme Etiopia, Kenya, Tanzania e Gibuti, la Cina in quattro anni ha investito una cifra pari quasi a 24 miliardi di dollari. Alcuni stati africani stanno accumulando ingenti debiti nei confronti di Pechino. L’Europa, in queste candidature ma anche in generale, avrebbe potuto fare molto di più per far valere altri standard, come quelli umanitari. L’elezione di Dongyu racconta una politica di penetrazione cinese che va vista con preoccupazione, soprattutto per l’atteggiamento neocolonialista e di mancato rispetto dei diritti umani, tema al quale la Cina è completamente disinteressata e che l’Africa, invece, soffre molto. Inoltre, la Cina ha avuto un calo di produzione agricolo che fa capire le necessità di mettere proprio il vice Ministro dell’agricoltura a capo dell’agenzia delle Nazioni Unite con uno dei mandati più ampi su queste tematiche. È un asset essenziale, che conferma il ruolo crescente della Cina nel panorama globale.”

Secondo uno studio del Fondo Monetario Internazionale risalente ad aprile 2018, a partire dalla fine del 2017, circa il 40% dei paesi dell’Africa subsahariana a basso reddito sono ora in difficoltà di indebitamento o valutati come ad alto rischio di difficoltà di indebitamento, tra cui l’Etiopia, la Repubblica del Congo e Zambia. E secondo un rapporto pubblicato a marzo dal Centro per lo sviluppo globale, proprio Gibuti è destinato ad assumere debiti pubblici pari a circa l’88% del Pil totale del paese, di 1,72 miliardi di dollari, con la Cina che ne detiene la maggior parte.

Per Macron e Trump è tempo di risvegli amari, a quanto pare. E non solo per loro. Gli scenari per i prossimi anni a guida cinese appaiono con dinamiche complesse. Certo è che la poltrona alla FAO (11 mila 500 impiegati in giro per il mondo e un budget – 2018/2019 – pari a 2,6 miliardi di dollari) segna una vittoria importante per la Cina, a discapito politico di Europa e Stati Uniti, e non solo per la lotta alla fame. Se è vero che le politiche di Xi Jinping, di cui Dongyu è braccio destro, hanno avuto successo nel campo commerciale negli ultimi anni, tanto più è vero che la Cina non è il primo nome che viene in mente quando si pensa alla lotta per sradicare la povertà, diritto umano per eccellenza. Il ringraziamento alla “madrepatria” di Dongyu potrebbe essere la chiave per capire i prossimi sviluppi. Un po’ meno la rassicurazione di essere “neutri e imparziali”.