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6196.- Tregua a Gaza per evitare il caos? Cosa succede tra Israele e Iran

Biden attende le elezioni sedendo sui carboni accesi da Netanyahu. L’Iran si mostra saggio perché la guerra totale non la vuole nessuno. Se Israele lascia spazio alla diplomazia finiscono insieme le guerre e Netanyahu. Intanto, l’Israele di Netanyahu può fare il terrorista … perché la guerra totale non la vuole nessuno; non la vuole il Libano, non la vuole Hezbollah e, pur profittandone, non la vogliono gli Houthi. L’Italia, fra l’India e il Mediterraneo allargato, aspetta che Netanyahu se ne vada.

Da Formiche.net un punto acuto sul Medio Oriente di Emanuele Rossi. 08/04/2024

Israele a un bivio: le pressioni interne, regionali e internazionali; il raid model e la crisi umanitaria; gli ostaggi e l’idea dell’Iran. Cosa potrebbe succedere nei prossimi giorni

L’Iran non attaccherà Israele per rappresaglia del colpo subito a Damasco se si riuscirà a trovare la via per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Gli Stati Uniti stanno conducendo le trattative — insieme a Qatar ed Egitto — per trovare un “deal” sugli ostaggi trattenuti ancora da Hamas e fermare le armi dopo sei mesi di guerra, oltre trentamila morti, una crisi umanitaria in divenire. Israele vede uscire una pioggia di indiscrezioni sulla situazione (ne parla Al-Qahera News, Tv statale egiziana, l’iraniana Jadeh e lo Yediot Ahronot) e sente il peso di una pressione su diversi fronti.

Innanzitutto c’è quello interno, di doppio valore. I cittadini israeliani vogliono il ritorno a casa delle persone rapite brutalmente nel bestiale attacco del 7 ottobre — con cui Hamas ha dato inizio alla stagione di guerra in corso. Protestano contro il governo perché non fa abbastanza per liberare quelle 140 persone, pesantemente maltrattate, e per questo sono disposti ad accettare anche compromessi. Contemporaneamente vogliono evitare l’allargamento del conflitto che un attacco iraniano su Israele potrebbe significare, con potenziali ulteriori vittime.

Punto comune della situazione è il destino di Benjamin Netanyahu. Molti israeliani lo vorrebbero fuori dal potere, e le manifestazioni in strada per gli ostaggi diventano sempre occasione per critiche pesanti e generali al governo. E sanno che la continuazione della guerra, o l’allargamento, sono per Netanyahu l’unica occasione di sopravvivenza, come ricordava Giuseppe Dentice (CeSi). Differentemente, con le armi in pausa, potrebbe esserci la possibilità di un ricambio, magari convocando nuove elezioni come proposto da Benny Gantz, uno dei leader dell’opposizione attualmente rientrato nel cosiddetto “gabinetto di guerra” per spirito di responsabilità e unità nazionale.

Ma le pressioni su Israele arrivano anche dall’esterno, innanzitutto sul piano internazionale. Se dall’Europa sono arrivate critiche per l’attacco a Damasco (bombardamento non rivendicato da Israele che ha portato all’uccisione di alcuni alti funzionari iraniani nel cortile antistante la sede consolare dell’ambasciata della Repubblica islamica in Siria), per gli Stati Uniti c’è un coinvolgimento anche maggiore. Washington sente su di sé le pressioni internazionali per aver sempre difeso l’alleato (e il suo diritto di autodifesa) e per questo da tempo sta cercando di deviare la situazione verso una rotta negoziale. Gli Usa hanno anche consapevolezza che se l’Iran dovesse attaccare, allora il loro coinvolgimento aumenterebbe (sia per difendere Israele, sia per difendere le proprie postazioni militari mediorientali). E l’amministrazione Biden vuole evitare questa situazione a pochi mesi dal voto.

Gli Stati Uniti, dopo la fase di pressione diplomatica per affrontare la crisi umanitaria, hanno ottenuto un maggiore flusso di aiuti nella Striscia (domenica sono entrati 332camion, mai così tanti dal 7 ottobre scorso). Contemporaneamente qualcosa potrebbe muoversi anche sul campo militare: le forze israeliane si sono parzialmente ritirate dall’area sud dell’enclave palestinese, tenendo però la presenza nel corridoio di Netzarim (che taglia trasversalmente la Striscia, permette ingressi rapidi per operazioni spot e garantisce un punto di slancio per un’eventuale azione su Rafah). Ad oggi, Israele è presente con circa un quarto delle forze che avevano condotto l’invasione su larga scala, e forse potrebbe essere l’effettivo inizio del “raid model” chiesto dagli Stati Uniti per minimizzare le vittime civili — attraverso attacchi più chirurgici contro Hamas.

Infine ci sono le pressioni regionali. Israele non ha abbandonato l’idea di normalizzare i rapporti con l’Arabia Saudita, passaggio che è un presupposto strategico per la stabilità della regione immaginata anche da Washington, e per progetti globali come l’Imec (la nuova rotta geostrategica indo-mediterranea che connetterà Europa e Asia). Riad vive con difficoltà la situazione: per interessi strategici vuole continuare le discussioni con Israele (anche via Usa) per avviare una nuova fase in Medio Oriente, ma per ragioni di equilibri interni non può abbandonare la causa palestinese (il regno protegge i luoghi sacri dell’Islam, d’altronde, è la questione palestinese è una delle grandi incomplete per i credenti mussulmani in tutto il mondo).

Di più: i sauditi — insieme agli altri leader della regione del Golfo, gli emiratini — hanno da tempo intrapreso un processo di détente con l’Iran. Lo hanno fatto dopo aver rotto le relazioni con il Qatar perché troppo aperto nei confronti di Teheran e dopo aver recuperato i rapporti anche con Doha (ora player centrale negli equilibri regionali internazionali). Uno scontro aperto tra Israele e Iran sarebbe problematico, perché altererebbe il processo nella regione e potrebbe intaccare dossier delicatissimo come quello in Yemen, dove gli Houthi — in fase di cessate il fuoco con i sauditi dopo anni di guerra — hanno già dimostrato di essere interessati a sfruttare il contesto a proprio vantaggio.

Inoltre, con la proposta che filtra sui media (tregua in cambio di non escalation),  l’Iran cerca di dimostrarsi potenza regionale responsabile. Nella narrazione generale questo serve anche a dimostrarsi migliore di Israele, che bombarda un edificio consolare — anche se l’intento si scontra col sostegno armato fornito al network terroristico che va da Hamas a Hezbollah fino alle milizie in Iraq e Siria e gli Houthi. Teheran vuole controllare la reazione tutelando interessi strategici senza perdere aliquote di propaganda, come spiegava Francesco Salesio Schiavi?

6190.- Dove vuole portarci Netanyahu?

Israele morde ovunque. Sta scrivendo la sua fine o la nostra? Teheran, umiliata, non può non reagire.

Un raid israeliano distrugge una parte dell’ambasciata iraniana a Damasco. Muore un alto comandante dei Pasdaran

1 Apr 2024 18:58 – di Redazione Il Secolo d’Italia

Un missile israeliano ha colpito anche Damasco. Solo la follia può scatenare una guerra regionale.. e ha un nome.

Un raid dell’esercito israeliano ha distrutto un palazzo dell’ambasciata iraniana a Damasco, la capitale della Siria, e nell’attacco è stato ucciso un alto comandante dei Guardiani della Rivoluzione iraniani, Mohammad Reza Zahedi, esponente di spicco delle Forze Quds in Siria e Libano, ossia il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane (i cosiddetti Pasdaran). Con lui sono rimasti uccisi cinque membri della Guardia rivoluzionaria iraniana.

Sarebbero sei i morti nel presunto raid israeliano. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, invece, parla di otto vittime provocate dal bombardamento.  L’ambasciatore della Repubblica islamica dell’Iran a Damasco, Hossein Akbari, non e’ stato ferito nell’attacco.

Israele non sara’ in grado di “influenzare” le relazioni tra Siria e Iran. Lo ha affermato il ministro degli Affari esteri della Siria, Faisal Miqdad, in seguito all’attacco attribuito alle Forze di difesa di Israele (Idf). Lo ha reso noto l’agenzia di stampa siriana “Sana”. Il capo della diplomazia ha condannato l’attacco, che ha definito “terrorista”, e ha espresso il suo cordoglio per “le vittime innocenti”, senza specificare il bilancio totale del raid.

L’ambasciatore iraniano a Damasco, Hossein Akbari, ha affermato che “la risposta di Teheran sarà dura”. Il diplomatico ha poi aggiunto che “dopo aver rimosso le macerie del palazzo distrutto dal raid sarà reso noto il numero esatto delle vittime”.

6180.- Perché Isis ha colpito la Russia di Putin?

“É sempre più probabile che lo Stato Islamico sia il responsabile di questa ennesima strage di innocenti”.

Che senso ha ammazzare gli innocenti?

Da Startmag, di Marco Orioles, 24 Marzo 2024

Il punto di Marco Orioles.

Un attentato terrificante con tantissime vittime e una grande menzogna sui responsabili. Perché della strage di venerdì scorso alla periferia di Mosca Putin e il suo regime intendono vendicarsi non su chi ha rivendicato il fatto pubblicamente e per ben due volte, ossia i jihadisti dello Stato Islamico e in particolare della provincia centroasiatica, ma sui soliti ucraino-nazisti guidati dall’ebreo Zelensky. Ecco in breve perché lo zar mente.

Dito puntato.

Come scriveva l’Associated Press stamani all’alba, Putin punta il dito su Kiev, quest’ultima nega tutto e intanto lo Stato Islamico del Khorasan – branca centroasiatica del feroce e non domo gruppo jihadista – ha rivendicato non una ma due volte la strage alla Crocus City Hall di Krasnogorsk.

La verità secondo gli Usa.

Malgrado ciò lo zar nel suo discorso alla nazione di ieri non ha affatto menzionato i terroristi islamici dell’Isis, ossia quelli che secondo la portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale Usa Adrienne Watson “portano la sola responsabilità di questo attacco”.

La stessa Watson ha addirittura rivelato che l’America all’inizio di questo mese aveva informato i russi – ! – di un imminente attentato terroristico pianificato a Mosca e aveva anche avvertito i cittadini americani presenti in quel Paese.

Un dettaglio imbarazzante.

E del resto, sottolinea ancora l’Associated Press, erano stati gli stessi servizi segreti russi dell’FSB a sventare poche settimane fa un attacco di Isis-K a una sinagoga moscovita.

Ma perché la Russia?

Motivi per i terroristi islamici di colpire la Russia ce ne sono a bizzeffe da quando quel Paese è guidato da un leader che già 24 anni fa nei primissimi giorni di potere rase al suolo la Cecenia islamica che coltivava il sogno dell’indipendenza e di un califfato, pagandolo con centinaia di migliaia di morti inclusi quelli del commando anche femminile che 22 anni fa entrò in azione in un teatro moscovita per vendicare quell’onta.

Ma come spiega l’analista pakistano Syed Mohammad Alì alla stessa AP, vi sono anche ragioni più recenti per infierire sull’ex impero sovietico: ci si deve vendicare in particolare dei musulmani siriani – uomini, donne e bambini, quasi tutti civili – morti tra il 2015 e i mesi scorsi sotto le bombe scagliate dagli aerei di una Russia intervenuta in quel Paese per aiutare il dittatore alawita Assad a soffocare una rivolta che aveva anche preso una brutta piega islamista.

Le impronte digitali.

E se questo non bastasse, nell’attacco di venerdì ci sono i segni distintivi di un modus operandi tipico dello Stato Islamico.

Due in particolare gli indizi segnalati dall’esperto di sicurezza e direttore di GlobalStrat Olivier Guitta: l’aver colpito di venerdì, giorno della preghiera islamica, e nello specifico durante il mese sacro di Ramadan. E poi c’è l’aver preso di mira una sala concerti come accadde a Parigi nell’ottobre del 2015 con il famoso Bataclan e due anni dopo alla Manchester Arena, ossia due delle azioni più spettacolari messe a segno da quello che all’epoca era ancora un califfato che governava tra Siria e Iraq un territorio grande come uno Stato europeo.

Il report di ISW.

Institute for the Study of War

AbbreviazioneISWTipoThink tankFondazionemaggio 2007Sede centraleWashingtonIndirizzo1400 16th Street NW, Suite 515 Washington, DC 20036Lingua ufficialeingleseSito web

L’Istituto per gli Studi sulla Guerra è stato fondato anche per monitorare le attività, i protagonisti e le alleanze di quella galassia jihadista diventata il nemico numero uno dell’Occidente all’indomani degli attentati alle Torri Gemelle del 2001.

Nel bollettino diffuso ieri, l’Istituto afferma che a suo avviso “lo Stato Islamico è molto probabilmente responsabile dell’attacco”.

La prova sono le due rivendicazioni diffuse a partire dalla notte dell’attentato. “I media dell’IS – scrivono gli analisti di ISW – non diffondono quasi mai rivendicazioni false o ingannevoli”, cercando di “mantenere un’alta credibilità nelle loro comunicazioni al fine di definire chiari obiettivi ideologici e assicurarsi flussi di finanziamenti”.

Non è interesse del gruppo, insomma, “rischiare di screditarsi con la comunità salafita-jihadista molto competitiva prendendo falsamente il merito di attacchi di così alto profilo”.

La branca del Khorasan.

Isis-K peraltro, precisa l’ISW, ha già colpito quattro volte negli ultimi 18 mesi target in Asia Centrale tanto che il generale che dirige il Comando Centrale Usa, Michael Kurilla, esattamente un anno fa dichiarava che la formazione sarebbe stata presto in grado di condurre “operazioni esterne … entro sei mesi”.

E c’è in effetti la sua firma nel doppio attacco messo a segno a gennaio a Kerman in Iran (*) dove è stata presa di mira l’affollata cerimonia di commemorazione del comandante dei pasdaran Soleimani in un attacco che il governo iraniano, in pieno stile Putin, non attribuì a chi ne aveva rivendicato la paternità bensì alla solita Israele.

Insomma.

Se dunque lo zar punta il dito su Zelensky e sugli ucraini, così come i mullah iraniani lo puntavano a gennaio su Israele, abbiamo due ragioni in più per credere che a Mosca venerdì siano entrati in azione proprio i jihadisti.

Il 3 gennaio 2024, sono state esplose due bombe durante una cerimonia commemorativa dell’assassinio di Qasem Soleimani, presso la sua tomba a Kerman, in Iran.

(*) Il 3 gennaio 2020 il generale Qasem Soleimani è stato ucciso da un attacco di droni statunitensi in Iraq. Soleimani era il comandante della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Soleimani ricopriva una posizione di notevole influenza in Iran, essendo ampiamente considerato la seconda figura più potente del Paese dopo il leader supremo Ayatollah Ali Khamenei. Il 3 gennaio 2024, una processione commemorativa in occasione dell’assassinio di Qasem Soleimani presso la sua tomba a Kerman orientale, in Iran, è stata attaccata dalle esplosioni coordinate di due bombe comandate a distanza. Gli attacchi uccisero almeno 94 persone e ne ferirono altre 284. Il giorno successivo, lo Stato Islamico, un gruppo estremista musulmano sunnita, ha rivendicato l’attacco nel paese dominato dai musulmani sciiti. Secondo Reuters, la comunità di intelligence degli Stati Uniti ha concluso che l’attacco è stato perpetrato dal ramo afghano dello Stato islamico, ISIS-K.

6165.- La strategia delle atrocità nella guerra di Gaza

Michael Hochberg e Leonard Hochberg, in questo articolo pubblicato da Gatestone institute e da noi tradotto liberamente, sostengono che l’umanità che distingue il combattente cristiano dalla bestia feroce, avrebbe lasciato il campo all’atrocità. Preferirei una nuova Nurnberg. Riflettiamo.

Da Gatestone Institute, di Michael Hochberg e Leonard Hochberg, 18

Hamas è forse il primo regime nella storia a combattere una guerra progettata per massimizzare le vittime tra la propria popolazione.

Il fallimento nel distruggere rapidamente Hamas e nel punire direttamente i suoi sostenitori in Iran e Qatar insegnerà ai simpatizzanti di altre parti del mondo musulmano che le strategie di atrocità dovrebbero essere aggiunte al programma dei regimi che sfidano gli alleati degli Stati Uniti in tutto il mondo. Ancora peggio sarebbe che Hamas ottenesse effettivamente una vittoria strategica e ottenesse uno stato palestinese; un simile risultato garantirebbe che l’atrocità diventi una strategia standard e ampiamente utilizzata per almeno una generazione a venire.

Le leggi di guerra – principalmente un’innovazione occidentale – vengono utilizzate come armi dai nemici dell’Occidente, che non aderiscono alla cultura occidentale… Oggi, gli Stati Uniti e i nostri alleati si trovano in guerra con stati e non -entità statali che non sottoscrivono le leggi di guerra.

“[I] terroristi di Hamas uccisi da Israele nella guerra che ne seguì, e civili non combattenti uccisi nella Striscia di Gaza mentre venivano usati come scudi umani da Hamas. Sono tutti considerati” Martiri “le cui famiglie hanno diritto a ricevere uno stipendio di 1.400 -12.000 shekel [$375-$3200] al mese per tutta la vita.” — Itamar Marco; Fondatore, Palestine Media Watch, palwatch.org, 10 gennaio 2024.

L’accusa popolare di sproporzionalità è, in realtà, mirata a impedire alle nazioni allineate all’Occidente di ottenere vittorie decisive. Anche quando gli alleati degli Stati Uniti avranno la capacità militare di spezzare la volontà del nemico, imponendo così la pace agli sconfitti, saranno costretti a ricorrere a guerre eterne.

Perché gli israeliani dovrebbero essere costretti a concedere aiuti a Gaza, quando Hamas continua a tenere in ostaggio non solo gli israeliani ma anche gli americani? Con il pretesto di benevolenza e generosità, le organizzazioni internazionali promuovono guerre eterne.

Se si permette al tipo di guerra che abbiamo visto da parte di Hamas di avere successo, e non viene accolta con violenza schiacciante e sconfitta totale, diventerà l’approccio standard per coloro che sfidano il dominio occidentale. Se, tuttavia, vogliamo vivere in un mondo in cui le leggi di guerra significano qualcosa, allora le sanzioni per chi le viola deliberatamente devono essere terribili. Altrimenti più regimi saranno tentati di trarre vantaggio attraverso strategie di atrocità.

  • Gli Stati Uniti dovrebbero smettere di imporre ai nostri alleati la dottrina della sconfitta.
  • Infine, il giorno dopo la fine delle ostilità, gli israeliani devono proteggere il nuovo governo di Gaza dall’essere indebolito dai rinnovati sforzi per sostenere il terrorismo e la rimilitarizzazione.
  • L’unica via verso la pace, oltre alla distruzione di Israele, passa attraverso una vittoria globale di Israele e una resa incondizionata di Hamas a Gaza, e un accordo postbellico che garantisca che gli abitanti di Gaza non saranno più in grado di commettere tali atrocità in Israele.
Hamas è forse il primo regime nella storia a combattere una guerra progettata per massimizzare le vittime tra la propria popolazione. Nella foto: il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen mostra una foto di un soldato israeliano in posa accanto a un deposito di armi di Hamas trovato all’ospedale Rantisi di Gaza, in una conferenza stampa presso l’Ufficio europeo delle Nazioni Unite a Ginevra, il 14 novembre 2023 (Foto di Pierre Albouy/AFP tramite Getty Images)

Le persone dovrebbero essere accarezzate o schiacciate. Se fai loro un danno minore, si vendicheranno; ma se li paralizzi non possono fare nulla. Se devi ferire qualcuno, fallo in modo tale da non dover temere la sua vendetta.” — Niccolò Machiavelli.

Immagina per un momento la seguente storia apparsa sul New York Times:

12 ottobre 2023, Gaza City. In un impeto di rabbia, la popolazione di Gaza è scesa in piazza per protestare contro gli attentati del 7 ottobre, che hanno provocato il crollo del governo di Hamas. I resoconti locali sono confusi, ma sembra che diverse centinaia di funzionari di Hamas siano stati uccisi da folle inferocite di cittadini palestinesi. Si dice che i leader sopravvissuti di Hamas stiano fuggendo da Gaza. Sui social media sono stati pubblicati video non verificati di quella che sembra essere la morte raccapricciante di diversi alti funzionari di Hamas.

Ma non è questa la realtà in cui viviamo.

LEZIONI APPRESE DAL 7 OTTOBRE

A parte la distruzione di Israele, non ci sarà nessuno stato palestinese sovrano a Gaza nel prossimo futuro. Ciò non è dovuto a ciò che Hamas ha fatto il 7 ottobre. Questo perché tali azioni sono avvenute con il sostegno e la collaborazione della popolazione di Gaza, migliaia della quale si è riversata oltre confine per saccheggiare, stuprare e prendere ostaggi al seguito dei terroristi.

Sfortunatamente, parlare di Hamas come di un’entità separata dalla popolazione di Gaza è falso e fuorviante. Ogni indicazione, dai sondaggi d’opinione alle azioni tangibili di gran parte della popolazione di Gaza, indica che le azioni di Hamas sono viste in una luce positiva da molti abitanti di Gaza. Per gli Stati Uniti ricompensare queste azioni con statualità, autonomia o fondi per la ricostruzione sarebbe una totale follia.

Ci sono solo due strade verso una pace duratura tra il popolo palestinese e Israele:

La prima è che i palestinesi ottengano una vittoria militare complessiva, che comporterebbe l’immediato stupro, tortura e omicidio di tutti gli israeliani che non riescono a fuggire.

La seconda è che Israele ottenga una vittoria decisiva e la resa incondizionata di Hamas, a quel punto potrà iniziare il lungo processo di ricostruzione della società di Gaza.

La terza alternativa, e l’opzione predefinita – probabilmente sostenuta dal Qatar, il principale negoziatore per il rilascio degli ostaggi ma anche il principale sostenitore di Hamas e di altri gruppi terroristici (qui e qui) – è una guerra eterna in cui nessuna delle due parti può ottenere la vittoria. Hamas continuerà a impiegare mezzi militari asimmetrici, come attacchi terroristici e lancio di missili contro obiettivi civili, per garantire diversi obiettivi:

In primo luogo, ricordare a tutti i palestinesi che Hamas sta assumendo la guida della distruzione di Israele; secondo, sopravvivere come forza militare; terzo, riaccendere il conflitto con Israele quando, in futuro, si presenterà un’apertura strategica; e, quarto, generare conflitti continui e quindi sofferenze per gli abitanti di Gaza, la cui responsabilità può essere trasferita su Israele nei media internazionali e attraverso organismi internazionali, comprese le Nazioni Unite.

UNA GUERRA DI ATROCITÀ

A Gaza stiamo assistendo a un nuovo e innovativo tipo di guerra combattuta: Hamas è forse il primo regime nella storia a combattere una guerra progettata per massimizzare le vittime tra la propria popolazione. Hamas ha creato una circostanza, attraverso il dispiegamento strategico di atrocità, in cui Israele si è trovato di fronte alla scelta di non rispondere o di rispondere con una forza schiacciante. Il primo comporterebbe il collasso del governo israeliano e gli avversari di Israele lo percepirebbero (correttamente) come devastantemente debole, a causa della riluttanza o dell’incapacità di difendersi. Quest’ultima si tradurrebbe inevitabilmente in una condanna internazionale per gli effetti sui non combattenti di Gaza, con false accuse di “sproporzionalità” e presunte violazioni delle leggi di guerra. La strategia atroce di Hamas è allo stesso tempo brillante e malvagia.

Inizialmente, commentatori e politici israeliani hanno notato una somiglianza con le tattiche di atrocità attuate dall’ISIS (lo Stato islamico in Iraq e Siria). Tuttavia, il legame tra Isis e Hamas è molto più profondo di quanto molti credano. Secondo Ofira Seliktar, studiosa dei fallimenti dell’intelligence, l’Isis e Hamas hanno imparato la strategia dagli stessi manuali. Seliktar ha sostenuto che Hamas

“… sviluppò[ndr] una strategia jihadista basata su due famosi libri jihadisti: Uno, Issues in the Jurisprudence of Jihad … noto anche come Jurisprudence of Blood, o la “bibbia jihadista”, forniva una giustificazione teologica per aver inflitto violenza estrema ai nemici, nonché un elenco di tattiche come decapitare, torturare o bruciare vivi i prigionieri. Il secondo libro, Management of Savagery, esortava [gli jihadisti] a commettere atrocità che attiravano l’attenzione per attirare reclute e seminare paura nei cuori del nemico.”

Inoltre, il fatto che Hamas “incorpori” i suoi combattenti tra i civili residenti a Gaza, utilizzando di fatto i palestinesi come scudi umani – un’altra atrocità – è giustificato dai principi della guerra asimmetrica. Secondo Seliktar, la descrizione fornita dai media del rapporto tra Hamas e i residenti è sbagliata

“… si limitava principalmente alla descrizione delle sofferenze…. La dottrina dell’IRGC-QF [Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica Iranica – Forza Quds] dell’uso di scudi umani era basata sul principio coranico della guerra del generale di brigata S. K. Malik. Adattato ai conflitti asimmetrici, stabiliva che l’inserimento tra i non combattenti potesse livellare il campo di gioco quando si affrontavano eserciti occidentali obbligati a seguire le leggi umanitarie della guerra.

GUERRA ASIMMETRICA E LEGGI DI GUERRA

Le leggi di guerra – principalmente un’innovazione occidentale – vengono utilizzate come armi dai nemici dell’Occidente, che non aderiscono alla cultura occidentale. Le leggi di guerra hanno un certo senso quando esiste un consenso culturale tra i potenziali combattenti sull’esistenza di un insieme minimo di standard per la condotta della guerra. Ma senza un terzo sovrano indipendente che possa far rispettare le regole sulle potenze combattenti, tali leggi di guerra saranno valide solo nella misura in cui i leader scelgono di obbedirle e garantire che i loro stessi soldati le rispettino. Quando uno Stato che sottoscrive il concetto di diritti umani e restrizioni militari è in guerra con un’organizzazione che non riconosce tali restrizioni, la bilancia dei vantaggi va alla parte che non riconosce limiti, a meno che non vi sia qualche beneficio esogeno associato all’adesione al concetto di diritti umani e restrizioni militari. leggi di guerra e norme accettate in materia di diritti umani.

Oggi gli Stati Uniti e i nostri alleati si trovano in guerra con stati ed entità non statali che non sottoscrivono le leggi di guerra. Anche se alcuni hanno firmato i relativi trattati, la loro leadership ha dimostrato una profonda mancanza di interesse nel far rispettare le leggi pertinenti riguardanti i propri soldati. Ad esempio, la Russia, durante l’invasione dell’Ucraina, ha commesso una serie infinita di atrocità e crimini di guerra e ha deliberatamente preso di mira i civili. Gli obiettivi russi sembrano includere il terrore della popolazione civile per sottometterla e la cancellazione dell’identità ucraina nelle aree occupate.

Ciò che è ancora peggio è che, in alcuni casi, il nucleo della legittimità dei regimi avversari si fonda su un’agenda che contravviene ai presupposti su cui si fondano le leggi di guerra. L’obiettivo esplicito e dichiarato di Hamas è la distruzione di Israele e la morte di tutti gli ebrei in tutto il mondo (qui, qui e qui).

Hamas, l’ISIS e persino l’Autorità Palestinese (AP) non riconoscono alcuna distinzione significativa tra civili e combattenti, né tra i loro nemici, né all’interno delle loro stesse popolazioni. Come sottolinea Itamar Marcus, fondatore di Palestine Media Watch:

“Ciò che risulta chiaro sia dai nuovi annunci dell’Autorità Palestinese che dalla politica passata è che l’Autorità Palestinese non fa differenza tra i terroristi di Hamas che hanno commesso atrocità dopo aver invaso Israele il 7 ottobre, i terroristi di Hamas uccisi da Israele nella guerra che ne seguì, e i civili non combattenti. uccisi nella Striscia di Gaza mentre venivano usati come scudi umani da Hamas. Sono tutti considerati “martiri” le cui famiglie hanno diritto a ricevere uno stipendio di 1.400-12.000 shekel [$ 375 – $ 3.215] al mese per tutta la vita.”

Questa distinzione tra combattenti e civili è un concetto chiave nella moderna comprensione di ciò che costituisce uno stato-nazione. Quale moderazione è giustificata in una guerra, provocata da un attacco terroristico contro una società liberal-democratica e pluralistica, verso un regime che celebra l’omicidio, lo stupro di massa, il rapimento e ogni immaginabile sapore di ferocia e terrore? La risposta è tragicamente semplice: le leggi di guerra sono state progettate per affrontare i conflitti tra stati che riconoscono una chiara distinzione tra combattenti e civili.

Se a organizzazioni come Hamas fosse permesso di nascondersi “tra la gente” e di ottenere la vittoria violando le regole accettate della guerra civile, allora le regole della guerra civile diventerebbero niente più che un’arma intellettuale schierata contro l’Occidente, impedendo a quest’ultimo di agire. difendendo le sue istituzioni e la sua cultura e, infine, portandolo alla sconfitta.

LA DOTTRINA DELLA PROPORZIONALITÀ

La proporzionalità – uno dei principi chiave delle leggi di guerra – è un termine ampiamente frainteso. Esiste un’intesa popolare e una tecnica, giuridica. Secondo un annuncio disponibile su un sito web di West Point:

“La proporzionalità gioca un ruolo chiave nel diritto internazionale umanitario (DIU). È essenziale per regolare la condotta delle ostilità, richiedendo che il danno accidentale atteso non sia eccessivo rispetto al vantaggio militare previsto….”

Lord Guglielmo Verdirame, in the UK House of Lords, articulated the legal doctrine of proportionality clearly and succinctly:

“Proporzionalità non significa che la forza difensiva debba essere uguale all’attacco. Significa che è possibile usare la forza in modo proporzionato all’obiettivo difensivo: fermare, respingere e prevenire ulteriori attacchi. Gli obiettivi di guerra di Israele sono coerenti con la proporzionalità prevista dalla legge dell’autodeterminazione. -difesa.”

Verdirame suggerisce che la legittimità del vantaggio militare che uno stato cerca di assicurarsi dipende dai suoi obiettivi di guerra mentre si impegna nell’autodifesa. Quali sono gli obiettivi di guerra ufficiali di Israele?

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato, in una recente intervista, che gli obiettivi di guerra di Israele sono: “Uno, distruggere Hamas. Due, liberare gli ostaggi… Tre, garantire che Gaza non costituisca mai più una minaccia per Israele”. Dato che la leadership di Hamas sta già minacciando una serie di ulteriori attacchi (qui e qui), è chiaro che la forza dispiegata finora da Israele non ha ancora consentito loro di raggiungere i loro obiettivi di guerra.

Tuttavia, nell’immaginazione popolare, la dottrina della proporzionalità ha lo scopo di impedire agli Stati di usare una forza schiacciante e di arrecare danni eccessivi ai non combattenti. I media mainstream hanno alimentato l’idea che Israele abbia commesso crimini di guerra uccidendo presumibilmente 30.000 abitanti di Gaza, mentre solo 1.300 persone – israeliane, francesi, americane e cittadini di altri paesi – sono state uccise il 7 ottobre. è fornito da un’agenzia del governo di Gaza gestita da Hamas; e il numero non fa distinzione tra terroristi di Hamas e non combattenti. La stampa popolare sostiene che il numero “sproporzionato” di morti significa che i crimini di guerra devono essere stati commessi da Israele.

Consideriamo il Giappone e la Germania alla fine della seconda guerra mondiale: circa il 6-12% della loro popolazione totale era stata uccisa, e molte di più ferite, prima che fosse raggiunta la resa incondizionata. Al contrario, solo lo 0,32% della popolazione americana è stata uccisa. Una campagna simile oggi comporterebbe un numero di vittime dieci volte superiore a quello riportato a Gaza, forse 300.000 o più.

Questi confronti sollevano il problema della proporzionalità dei risultati, ma c’è un altro problema: la proporzionalità date le diverse capacità militari. Alcuni sostengono che Israele, a causa della sua forza comparativa, ha la responsabilità di attaccare solo Hamas ed evitare danni alla popolazione civile che Hamas usa come scudi umani. Tali affermazioni popolari equivalgono alla dottrina secondo cui una parte lesa in un conflitto, essendo stata accecata da un occhio da un nemico, può cercare solo un danno uguale, “occhio per occhio”. Tale logica non ha alcun fondamento nel diritto internazionale o nel diritto di guerra e produrrebbe risultati assurdi: un omicidio per un omicidio, una mutilazione per una mutilazione, una decapitazione per una decapitazione, uno stupro per uno stupro.

L’effetto immediato di questa dottrina colloquiale della “proporzionalità” definita in modo confuso è quello di delegittimare la guerra di Israele contro Hamas. Ma l’effetto a lungo termine è qualcosa di completamente diverso: l’accusa popolare di sproporzionalità è, in realtà, mirata a impedire alle nazioni allineate all’Occidente di ottenere vittorie decisive. Anche quando gli alleati degli Stati Uniti avranno la capacità militare di spezzare la volontà del nemico, imponendo così la pace agli sconfitti, saranno costretti a ricorrere a guerre eterne.

L’accusa di sproporzionalità non è che una delle accuse di crimini di guerra mosse contro Israele e le Forze di Difesa Israeliane. La Corte internazionale di giustizia dell’Aia, le organizzazioni non governative (ONG) e persino il governo degli Stati Uniti, alleato di Israele, stanno indagando sulle accuse di crimini di guerra israeliani, quando, secondo quanto riferito, Israele ha fatto più di qualsiasi altro esercito per ridurre al minimo i danni ai civili . Queste accuse tuttavia includono, tra le altre: genocidio contro i palestinesi, pulizia etnica, punizione collettiva, negazione degli aiuti umanitari, uccisione indiscriminata di civili e incapacità di fornire un adeguato avvertimento di un attacco imminente. Israele risponderà senza dubbio sia alle accuse formali che alle accuse dei media.

La portata dell’indiscussa distruzione e della tragedia umana a Gaza ha suscitato un’attenzione drammatica e incessante da parte dei media, che ha conseguenze strategiche significative e immediate sia per Israele che per Hamas. L’uso diffuso dei social media si traduce nella trasmissione rapida e di vasta portata di notizie e propaganda, con testi, immagini e video, progettati e ottimizzati per promuovere indignazione e polarizzazione, trasmessi a miliardi di persone in tutto il mondo. Allo stesso modo, la scelta di Israele di limitare la copertura mediatica e la pubblicazione delle immagini e dei video delle atrocità di Hamas del 7 ottobre e delle loro conseguenze ha avuto effetti significativi sulla percezione di Israele e degli attacchi stessi (qui, qui e qui).

Il primo incidente ad attirare l’ampia attenzione dei media è stato quando un giornalista della British Broadcasting Company (BBC) ha indicato che un’esplosione fuori da un ospedale nel nord di Gaza il 18 ottobre 2023 era stata il risultato di un attacco israeliano:

“L’esercito israeliano… ha detto che sta indagando, ma è difficile vedere cos’altro potrebbe essere, in realtà, data la dimensione dell’esplosione, oltre a un attacco aereo israeliano, o diversi attacchi aerei.”

Entro un’ora dall’attacco, il ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas, ha stimato il bilancio delle vittime a 500; la BBC ha fatto eco a questa affermazione indicando che il numero dei morti era di centinaia. Il 19 ottobre 2023, la BBC ha ritirato le sue accuse. Nel commentare questi avvenimenti, il Signore Guglielmo Verdirami ha affermato:

“Quando viene fatta un’accusa seria, in particolare quella che potrebbe costituire un crimine di guerra, la risposta immediata del belligerante rispettoso della legge sarà quella di dire: ‘Stiamo indagando.'”

Il belligerante che non rispetta la legge, al contrario, incolperà immediatamente l’altra parte e fornirà anche cifre sorprendentemente precise sulle vittime. Il dovere di indagare è uno dei compiti più importanti nei conflitti armati. Quello che è successo nel modo in cui è stato riportato lo sciopero all’ospedale è che la parte che non ha mostrato alcun interesse a rispettare le leggi sui conflitti armati è stata premiata con i titoli dei giornali che cercava.

Il resoconto irresponsabile della BBC, accompagnato dalle immagini del luogo dell’esplosione, è stato indagato, smentito e ripudiato da Israele e dai governi occidentali. Hanno stabilito che l’esplosione è stata causata da un razzo lanciato dall’interno di Gaza dalla Jihad islamica palestinese.

Amnesty International ha insistito il 20 ottobre 2023 sul fatto che la sua ricerca ha rivelato che le Forze di difesa israeliane (IDF) non sono riuscite a notificare ai civili la sua intenzione di attaccare le abitazioni nella densamente popolata Gaza, provocando la morte di famiglie palestinesi. Il titolo del post catturava l’intento dell’organizzazione: “Prove schiaccianti di crimini di guerra mentre gli attacchi israeliani sterminano intere famiglie a Gaza”. Inoltre, Amnesty International ha affermato che Israele non aveva permesso loro di entrare a Gaza per missioni conoscitive, suggerendo così che Israele stava nascondendo qualcosa piuttosto che che Amnesty potesse non agire in buona fede.

Prima di accettare acriticamente tali accuse, ciò che dovremmo apprezzare sono i dati comparativi che collocano la distruzione di Gaza da parte di Israele nel perseguimento dei suoi obiettivi di guerra nel contesto storico. Secondo John Spencer, titolare della cattedra di studi sulla guerra urbana presso il Modern War Institute dell’Accademia militare degli Stati Uniti (West Point), la guerra a Gaza non è paragonabile a nessun altro conflitto della storia moderna, in particolare per l’inclusione sistemica dei guerrieri di Hamas e del materiale bellico all’interno e al di sotto di case private, ospedali, scuole, moschee e strutture dell’UNWRA. Tale inclusione è, di per sé, un crimine di guerra.

“La verità”, sostiene Spencer, “è che Israele ha seguito scrupolosamente le leggi dei conflitti armati e ha implementato molte misure per prevenire vittime civili….” Egli paragona il numero di vittime a Gaza con il numero devastante e schiacciante di vite umane persi in altre battaglie urbane moderne – a Mariupol, in Cecenia, in Siria, a Dresda, a Tokyo, a Manila e a Mosul.

Un’implicazione inequivocabile dell’analisi di Spencer è che Israele è tenuto a uno standard di comportamento diverso e più esigente rispetto a Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti – tre potenze che avevano deciso nel 1945 di evitare guerre per sempre cercando la vittoria, anche se devastante. costo per i loro avversari.

HAMAS E LA FINE DELLE GUERRE PER SEMPRE

Hamas fornisce un eccellente esempio di guerra eterna: ha funzionato per quasi 20 anni come governo a Gaza, esercitando il monopolio locale sulla violenza in un territorio specifico. Dal 2006, ogni periodo di relativa pace a Gaza è stato utilizzato da Hamas come un’opportunità per riarmarsi e prepararsi per la successiva serie di attacchi. Nei mesi precedenti il 7 ottobre, Hamas è rimasta relativamente tranquilla, per infondere agli israeliani un senso di sicurezza, mentre si preparavano a lanciare un attacco devastante. Molte élite politiche e leadership militari in Israele credevano in quella che si rivelò una speranza ingiustificata: che attraverso l’impegno economico (qui, qui e qui), Gaza sarebbe diventata più prospera, gli abitanti di Gaza avrebbero abbandonato la loro bellicosità a favore di una crescita verso l’alto. mobilità e che Hamas si stava dedicando completamente al governo. Altri avrebbero potuto sperare che la retorica genocida di Hamas fosse una forma di atteggiamento politico. Purtroppo, non avrebbero potuto sbagliarsi di più.

La leadership di Hamas capisce chiaramente di non avere la forza delle armi o il sostegno esterno necessari per sconfiggere Israele in qualsiasi conflitto intrapreso nell’ambito delle leggi di guerra. Invece, Hamas si impegna in attacchi terroristici che sembrano intenzionati a esigere risposte che provocheranno dispiacere e divisione tra i sostenitori occidentali di Israele. Ciò rafforza la posizione di Hamas all’interno del mondo musulmano, sottoponendo al tempo stesso i cittadini di Gaza alle terribili conseguenze di una guerra che Hamas non può vincere, ma che a volte sembra che l’Occidente non voglia che Hamas perda.

La popolazione palestinese è stata sostenuta da un’agenzia delle Nazioni Unite, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA). I palestinesi, a differenza di altre nazioni, popoli o gruppi etnici, hanno un’agenzia esclusiva delle Nazioni Unite dedicata al loro benessere, ma ad accompagnare questo privilegio ci sono delle restrizioni: ai palestinesi non è consentito reinsediarsi come cittadini nelle popolazioni dei paesi ospitanti. I palestinesi che vivono in Giordania, Libano e Siria da tre generazioni vengono trattati come non cittadini apolidi e non possono per legge lavorare o integrarsi nei loro nuovi paesi d’origine. Ancora oggi, l’Egitto tiene le porte chiuse (in assenza di massicce tangenti o influenza politica) ai palestinesi che cercano di fuggire dalla zona di guerra.

Fornire assistenza sociale a questi rifugiati mantiene una popolazione scoraggiata, piena di odio e in espansione mobilitata allo scopo di terrorizzare contro Israele. Dato che la leadership dei campi profughi, Hamas, Jihad islamica e persino Fatah (qui, qui e qui) sono tutti impegnati nella distruzione di Israele, la domanda profonda è questa: perché le popolazioni che hanno sostenuto tali organizzazioni dovrebbero , e che rifiutandosi di rispettare le leggi di guerra, ricevono benefici dalle Nazioni Unite e dalle istituzioni occidentali? Perché gli israeliani dovrebbero essere costretti a concedere aiuti a Gaza, quando Hamas continua a tenere in ostaggio non solo gli israeliani ma anche gli americani? Con il pretesto di benevolenza e generosità, queste organizzazioni internazionali promuovono guerre eterne.

Al contrario, dopo la seconda guerra mondiale, gli Alleati erano temuti in gran parte perché dimostravano la volontà di usare una forza schiacciante per ottenere la vittoria. Anche se non hanno preso di mira deliberatamente i civili, non hanno esitato a intraprendere azioni che avrebbero senza dubbio provocato un gran numero di vittime civili, al fine di distruggere obiettivi militari legittimi e minare la volontà dei loro avversari di continuare a combattere. Tali azioni sono state una parte necessaria per ottenere la vittoria nella maggior parte delle guerre nel corso della storia umana.

I regimi liberal-democratici del mondo non possono accettare di essere ostacolati dal concetto popolare di proporzionalità, applicato in modo asimmetrico agli avversari che non riconoscono tale limitazione. L’uso di una forza schiacciante per ottenere la vittoria porta a guerre che effettivamente finiscono, anziché trascinarsi all’infinito. I regimi che sostengono il terrorismo, che hanno programmi esplicitamente genocidi e che non riescono a riconoscere la distinzione tra civili e combattenti, devono essere attaccati e distrutti con tutta la forza delle armi occidentali. Qualsiasi appello da parte loro alla moderazione o alle leggi di guerra dovrebbe essere basato sul loro esplicito disconoscimento e applicazione sia degli obiettivi genocidi che dei mezzi terroristici per raggiungere tali fini.

VITTORIA DECISIVA E RESA INCONDIZIONATA

Le distinzioni tra civili e combattenti sono esplicitamente un artefatto della cultura strategica occidentale. Gli avversari dell’Occidente oggi non condividono questa cultura strategica e hanno i propri modi di guerra, del tutto distinti. Nella misura in cui si conformano alle idee occidentali sulla guerra limitata, sui diritti umani o sulle distinzioni tra civile e militare, è perché temono le conseguenze di una risposta da parte degli Stati Uniti. Perfino l’egemonia americana si è rivelata insufficiente per fermare Srebrenica, Xinjiang, Darfur, Grozny o altri massacri troppo numerosi per essere menzionati.

Qual è il risultato di questi casi di atrocità avviate dal governo? Quando un regime che non riconosce una distinzione tra civili e combattenti si impegna nel terrorismo, quel governo, con ogni probabilità, utilizzerà il proprio popolo come scudi umani, ostaggi o sacrifici umani al fine di generare simpatia tra la popolazione dei suoi nemici. I non combattenti che hanno scelto e sostenuto un tale governo hanno creato una circostanza in cui, affinché l’ordine internazionale basato sulle regole sopravviva, il governo deve essere distrutto.

Se si permette al tipo di guerra che abbiamo visto da parte di Hamas di avere successo, e non viene accolta con violenza schiacciante e sconfitta totale, diventerà l’approccio standard per coloro che sfidano il dominio occidentale. Se, tuttavia, vogliamo vivere in un mondo in cui le leggi di guerra significano qualcosa, allora le sanzioni per chi le viola deliberatamente devono essere terribili. Altrimenti più regimi saranno tentati di trarre vantaggio attraverso strategie di atrocità.

Gli Stati Uniti dovrebbero smettere di imporre ai nostri alleati la dottrina della sconfitta. Anche se i civili non dovrebbero essere presi di mira deliberatamente, i nostri alleati dovrebbero essere incoraggiati a usare una forza schiacciante per ottenere vittorie rapide e decisive sui regimi che promuovono le atrocità. Le vittime civili, in una circostanza del genere, sono sia deplorevoli che inevitabili.

Gli Stati Uniti dovrebbero sostenere Israele per ottenere una vittoria decisiva a Gaza. Cosa significa una vittoria decisiva? La resa incondizionata di Hamas.

Chiunque abbia partecipato agli eventi del 7 ottobre, chiunque abbia trasmesso ordini e chiunque abbia fornito sostegno materiale deve essere ucciso, oppure catturato e processato. Lo stesso vale per chiunque sia coinvolto nella cattura, detenzione o abuso degli ostaggi. Chiunque sia stato impegnato con il regime di Hamas come amministratore, politico o esattore delle tasse deve essere detenuto, interrogato e chiamato a rispondere di qualsiasi azione abbia sostenuto l’invasione del 7 ottobre. Alla fine di questa guerra, i militari e i politici i leader responsabili di quegli attacchi avrebbero dovuto essere uccisi in battaglia, processati per la loro complicità in crimini di guerra, o dovrebbero fuggire per salvarsi la vita, come la leadership del partito nazista dopo la seconda guerra mondiale. Inoltre, tutte le organizzazioni internazionali complici di Hamas non dovrebbero più avere alcun ruolo nel governo o nel sostegno di Gaza, in particolare l’UNRWA.

In particolare, anche il governo del Qatar, che “sostiene tutte le organizzazioni terroristiche islamiste (ISIS, Al-Qaeda, Talebani, Hamas e Hezbollah)” (qui e qui) e fornisce un rifugio sicuro alla leadership di Hamas, dovrebbe essere ritenuto responsabile . L’Iran, che finanzia e dirige i gruppi terroristici in tutto il Medio Oriente e oltre, deve essere sanzionato, contenuto e minacciato con l’uso credibile di una forza devastante per il suo ruolo. Infine, il giorno dopo la fine delle ostilità, gli israeliani devono proteggere il nuovo governo di Gaza dall’essere indebolito dai rinnovati sforzi per sostenere il terrorismo e la rimilitarizzazione.

IL GIORNO DOPO LA RESA INCONDIZIONATA: “CONQUISTARE” LA PACE

Gli israeliani dovranno compiere uno sforzo significativo per deradicalizzare la popolazione di Gaza nelle prossime due generazioni. Dovranno istituire un regime che governi per loro conto, anche se gli abitanti di Gaza senza dubbio considereranno questi politici come dei Quisling. Imponendo un governo che tenti almeno di far rispettare i diritti civili fondamentali – accesso al controllo delle nascite, libertà di religione, libertà di parola, sicurezza della proprietà privata, equa giustizia secondo la legge – e un programma educativo inteso a deradicalizzare il popolazione, forse superiore a 50 anni o più – è possibile ottenere una sorta di sistemazione duratura. Nel frattempo, il meglio che si può sperare è sicurezza e stabilità. Nessun attore esterno può far sì che ciò accada. L’alternativa è una guerra eterna. L’unica via verso la pace, oltre alla distruzione di Israele, passa attraverso una vittoria globale di Israele e una resa incondizionata di Hamas a Gaza, e un accordo postbellico che garantisca che gli abitanti di Gaza non saranno più in grado di commettere tali atrocità in Israele.

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Michael Hochberg ha conseguito il dottorato in fisica applicata al Caltech ed è attualmente visiting fellow presso il Center for Geopolitics dell’Università di Cambridge. È il presidente di Periplous LLC, che fornisce servizi di consulenza su strategia, tecnologia e progettazione organizzativa.

6166.- Hamas: “Israele ha fallito a Gaza, ora vuole esportare crisi”

I media riaprono con le notizie dall’Ucraina. Segno che a Gaza Netanyahu e Biden hanno fallito? Si parla di ricostruzione con l’80% di case rase al suolo. Contiamo i morti in Ucraina e in Palestina e chiediamoci: in nome di chi? Qui, non si tratta di essere pro o contro Hamas o Israele. Siamo sicuramente contro il terrorismo di chiunque. In fondo, quello che Putin voleva dall’Ucraina è molto meno di quello che Netanyahu vuole dai palestinesi. Israele ha pronto il canto funebre per i palestinesi e per i loro bambini parla di diaspora e di ricostruzione. Di quale ricostruzione parla? Dell’80% delle case rase al suolo a seppellire i loro abitanti? Erano tutti terroristi? E, se sì, perché? Il piano di Netanyahu per Gaza è l’esilio dei Gazawi in Congo e la rapina dell’enorme giacimento di gas avanti alla striscia. Ma gli sciiti zayditi Huthy in Mar Rosso e l’attentato a Kerman in Iran accompagnano la missione di Blinken in Turchia, Grecia, Giordania, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Israele, Cisgiordania ed Egitto. Praticamente, in tutto il Medio Oriente. Sarà vero che Israele non segue i consigli del suo protettore e che, politicamente, ha fallito a Gaza, che ora vuole esportare la crisi? É vero perché la portaerei USS Gerald R. Ford sta lasciando il Mediterraneo e fa ritorno a Norfolk. Segno che Biden non accetta di essere usato da Nietanyahu e non vuole che a Teheran qualcuno accenda la miccia. Un ritorno alla prudenza: quella che non ha messo la fregata Virginio Fasan agli ordini dell’Operazione Prosperity Guardian, come paventano gli Hezbollah. 

Ultime di Redazione Adnkronos, 05 gennaio 2024

L’ex capo dell’ufficio politico, Khaled Meshal: “Pensano che l’uccisione dei nostri leader spezzerà la nostra volontà, ma è un’illusione”. Media: “In Israele ministri contro militari”

Mliziani di Hamas - Fotogramma /Ipa
Mliziani di Hamas – Fotogramma /Ipa

Israele Hamas, le ultime notizie.

“Questo nemico sionista arrogante a criminale, nonostante il suo fallimento e la delusione dopo tre mesi di aggressione brutale contro Gaza” ora “vuole esportare all’estero la crisi” e “allargare il cerchio dell’aggressione, pensando che questo confonda i calcoli della resistenza e della regione”. Si è espresso così l’esponente di Hamas Khaled Meshal con accuse a Israele, in dichiarazioni riportate dai media dai media arabi e rilanciate dal Times of Israel.

Le parole di Meshal, ex capo dell’ufficio politico di Hamas, arrivano dopo l’uccisione nella capitale libanese Beirut del numero due del gruppo, Saleh al-Arouri.

Secondo Meshal, “il nemico pensa che l’uccisione dei nostri leader spezzerà la volontà della resistenza e indebolirà la leadership”, ma “non sa che questa è una grande illusione”. E, ha sostenuto, in passato “per ogni leader caduto si è elevato un altro leader e il martirio di un leader pone altri sulla stessa strada, con la medesima volontà e determinazione”.

Media: “In Israele ministri contro militari”

Intanto in Israele si sarebbe trasformata in una lite accesa, in uno scontro furioso tra ministri e vertici militari una riunione che sarebbe dovuta servire per discutere dei piani per il dopoguerra a Gaza e che invece è stata segnata da caos e urla. E’ quanto si legge sul Times of Israel secondo cui sarebbe stato preso di mira da politici di destra – anche da esponenti del Likud del premier Benjamin Netanyahu – il capo di Stato Maggiore delle forze israeliane, Herzi Halevi.

Ad infiammare la riunione, secondo la ricostruzione, sarebbero stati i piani dell’Esercito di indagare sui propri errori, dopo il terribile attacco del 7 ottobre in Israele, la tempistica dell’inchiesta e l’inclusione dell’ex ministro della Difesa, Shaul Mofaz. 

E, si legge sul giornale che rilancia notizie di media locali, Netanyahu avrebbe messo fine alla riunione dopo tre ore. Un incontro che era iniziato in contemporanea con l’emergere di notizie secondo cui Halevi stava mettendo insieme una commissione di ex ufficiali della Difesa per fare luce sull’attacco del 7 ottobre mentre prosegue l’offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza, scattata dopo quell’assalto.

E, stando alle notizie, il ministro dei Trasporti Miri Regev si sarebbe scagliato contro Halevi e a lui si sarebbero uniti i ministri di Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, Finanze, Bezalel Smotrich, e Cooperazione regionale, David Amsalem. A difendere Halevi, ci sarebbero stati il ministro della Difesa, Yoav Gallant, e Benny Gantz, che siede nel gabinetto di guerra.

Secondo l’emittente Kan, Netanyahu avrebbe posto fine alla riunione, dicendo a Halevi che “a volte i ministri vanno ascoltati”.

E il leader dell’opposizione, Yair Lapid, non ha perso tempo nel chiedere un nuovo governo. “Quanto trapelato – ha scritto su X – è una vergogna e un’ulteriore prova della pericolosità di questo governo”. Secondo Lapid, “lo Stato di Israele deve sostituire il governo e il suo leader” perché “queste persone non sono degne del sacrificio e dell’eroismo degli uomini e delle donne delle Idf e non saranno in grado di prendere una decisione strategica”. Quindi, “devono andarsene ora”.

n Israele il kibbutz di Nir Oz conferma la morte di un altro dei suoi abitanti, il 38enne Tamir Adar, passati quasi tre mesi dall’attacco del 7 ottobre. Secondo le notizie riportate dal Jerusalem Post, Adar è stato preso da Hamas, ucciso e il suo corpo è nella Striscia di Gaza. La nonna, l’85enne Yaffa Adar, era stata rapita quel 7 ottobre ed è stata rilasciata lo scorso novembre, durante i sette giorni di pausa nelle ostilità.

Morto un altro rapito da Hamas

La nuova missione di Blinken mira all’assistenza umanitaria nella Striscia, ma servono pompe funebri.

Israele, un piano per Gaza nel dopoguerra: il ruolo degli Usa nella ricostruzione

Redazione Adnkronos, 05 gennaio 2024

Cosa ha detto il ministro della Difesa israeliano Gallant: affari civili ai palestinesi, Stato Ebraico gestirà la sicurezza e una forza multinazionale guiderà la ricostruzione

Soldati israeliani a Gaza - Afp
Soldati israeliani a Gaza – Afp

Saranno i palestinesi, e non gli israeliani, a ”gestire gli affari civili a Gaza nel dopoguerra”. Così il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, che nel corso di una conferenza stampa ha presentato il suo piano per la Gaza del dopoguerra.

Sicurezza gestita da Israele

Israele manterrà il controllo della sicurezza, ha aggiunto, spiegando che non sarà permesso a Hamas di controllare Gaza o di rappresentare una minaccia. ”Non ci sarà più presenza civile israeliana nella Striscia di Gaza una volta che gli obiettivi della guerra saranno stati raggiunti”, ha assicurato Gallant ai giornalisti.

“I residenti di Gaza sono palestinesi, quindi gli organismi palestinesi saranno responsabili a condizione che non ci sia ostilità verso Israele”, ha affermato.

Il ruolo degli Usa nella ricostruzione, la ‘piazza civile a quattro angoli’

Sarà quindi una forza multinazionale guidata dagli Stati Uniti, in collaborazione con gli alleati europei e arabi di Israele, che si assumerà la responsabilità della ricostruzione di Gaza nel dopoguerra, ha quindi annunciato il ministro della Difesa israeliano. Presentando il piano, Gallant ha delineato una ”piazza civile a quattro angoli” che comprende Israele, i palestinesi, una task force multinazionale e l’Egitto.

Gli alleati di Israele hanno però più volte detto che il loro sostegno alla ricostruzione di Gaza è condizionato al fatto che l’Autorità nazionale palestinese sia l’organo di governo che riunifica la Striscia con la Cisgiordania.

Intanto Israele intensifica l’azione su Gaza: “Non ci fermeremo”

Ma intanto, “a tutti quelli che pensano che ci fermeremo dico che invece andremo ad intensificare l’azione”, ha spiegato Gallant che ieri ha visitato il confine con la Striscia e ha osservato i combattimenti ad al-Burj. “Nel Nord della Striscia di Gaza – ha sottolineato Gallant secondo quanto riferisce la tv israeliana ‘Channel 13’ – le forze armate stanno completando la loro attuale missione e si stanno rischierando con l’intenzione di effettuare raid e attacchi aerei presto. Nel centro della Striscia l’operazione è intensa e le forze armate stanno operando in superficie e sottoterra distruggendo le infrastrutture chiave di Hamas, compresi i luoghi in cui Hamas ha fabbricato tutti i suoi missili”.

“Nel sud della Striscia di Gaza, l’operazione è enorme e si sta intensificando in superficie e sottoterra”, ha aggiunto il ministro della Difesa. “Quei terroristi che hanno iniziato il conto alla rovescia per il ritiro delle forze dell’Idf devono cambiare il conteggio e iniziare a contare fino alla fine della loro vita sulla terra, arriverà presto”.

Stato Ebraico avvia indagine interna su eventi prima e dopo massacro del 7 ottobre

Il capo di stato maggiore dell’Idf, Herzi Halevi, ha intanto avviato un’indagine interna sugli eventi che hanno portato al massacro del 7 ottobre da parte di Hamas e alla successiva guerra nella Striscia di Gaza. Lo scrive il Jerusalem Post spiegando che la squadra investigativa sarà guidata dall’ex capo di stato maggiore delle Idf Shaul Mofaz.

Le Idf ritengono che 136 ostaggi israeliani siano ancora nelle mani dei miliziani palestinesi nella Striscia di Gaza dopo essere stati rapiti. Non è però chiaro, secondo i militari israeliani, quanti di loro siano vivi e quanti no. Il portavoce delle Idf Daniel Hagari ha precisato che tre civili che risultavano in precedenza dispersi, ora sono stati classificati come rapiti.

Israele, solo il 15% vuole Netanyahu premier dopo la guerra

Redazione Adnkronos, 03 gennaio 2024

Benyamin Netanyahu - Afp

Solo il 15% degli israeliani vuole che il primo ministro Benyamin Netanyahu resti in carica dopo la fine della guerra. Lo evidenzia un sondaggio dell’Israel Democracy Institute, ripreso da Times of Israel, che segnala anche un forte sostegno al proseguimento dell’operazione militare a Gaza.

Lo rivela un sondaggio dell’Israel Democracy Institute. Forte sostegno al proseguimento dell’operazione militare a Gaza: per il 66% non bisogna diminuire l’offensiva

Cosa ha detto il ministro della Difesa israeliano Gallant: affari civili ai palestinesi, Stato Ebraico gestirà la sicurezza e una forza multinazionale guiderà la ricostruzione

Soldati israeliani a Gaza - Afp
Soldati israeliani a Gaza – Afp

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Gaza, ecco il piano di Israele per il dopoguerra

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Saranno i palestinesi, e non gli israeliani, a ”gestire gli affari civili a Gaza nel dopoguerra”. Così il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, che nel corso di una conferenza stampa ha presentato il suo piano per la Gaza del dopoguerra

Sicurezza gestita da Israele

Israele manterrà il controllo della sicurezza, ha aggiunto, spiegando che non sarà permesso a Hamas di controllare Gaza o di rappresentare una minaccia. ”Non ci sarà più presenza civile israeliana nella Striscia di Gaza una volta che gli obiettivi della guerra saranno stati raggiunti”, ha assicurato Gallant ai giornalisti.

“I residenti di Gaza sono palestinesi, quindi gli organismi palestinesi saranno responsabili a condizione che non ci sia ostilità verso Israele”, ha affermato.

Il ruolo degli Usa nella ricostruzione, la ‘piazza civile a quattro angoli’

Sarà quindi una forza multinazionale guidata dagli Stati Uniti, in collaborazione con gli alleati europei e arabi di Israele, che si assumerà la responsabilità della ricostruzione di Gaza nel dopoguerra, ha quindi annunciato il ministro della Difesa israeliano. Presentando il piano, Gallant ha delineato una ”piazza civile a quattro angoli” che comprende Israele, i palestinesi, una task force multinazionale e l’Egitto.

Gli alleati di Israele hanno però più volte detto che il loro sostegno alla ricostruzione di Gaza è condizionato al fatto che l’Autorità nazionale palestinese sia l’organo di governo che riunifica la Striscia con la Cisgiordania.

L’ex capo dell’ufficio politico, Khaled Meshal: “Pensano che l’uccisione dei nostri leader spezzerà la nostra volontà, ma è un’illusione”. Media: “In Israele ministri contro militari”

Mliziani di Hamas - Fotogramma /Ipa
Mliziani di Hamas – Fotogramma /Ipa

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Israele Hamas, le ultime notizie: news oggi 5 gennaio 2024

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“Questo nemico sionista arrogante a criminale, nonostante il suo fallimento e la delusione dopo tre mesi di aggressione brutale contro Gaza” ora “vuole esportare all’estero la crisi” e “allargare il cerchio dell’aggressione, pensando che questo confonda i calcoli della resistenza e della regione”. Si è espresso così l’esponente di Hamas Khaled Meshal con accuse a Israele, in dichiarazioni riportate dai media dai media arabi e rilanciate dal Times of Israel.

Hamas: “Israele ha fallito a Gaza, ora vuole esportare crisi”

05 gennaio 2024 | 08.26

Redazione Adnkronos

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L’ex capo dell’ufficio politico, Khaled Meshal: “Pensano che l’uccisione dei nostri leader spezzerà la nostra volontà, ma è un’illusione”. Media: “In Israele ministri contro militari”

Mliziani di Hamas - Fotogramma /Ipa
Mliziani di Hamas – Fotogramma /Ipa

“Questo nemico sionista arrogante a criminale, nonostante il suo fallimento e la delusione dopo tre mesi di aggressione brutale contro Gaza” ora “vuole esportare all’estero la crisi” e “allargare il cerchio dell’aggressione, pensando che questo confonda i calcoli della resistenza e della regione”. Si è espresso così l’esponente di Hamas Khaled Meshal con accuse a Israele, in dichiarazioni riportate dai media dai media arabi e rilanciate dal Times of Israel.

6092.- Omicidi mirati contro Hamas. Netanyahu dà luce verde al Mossad

Altro che politica dei due Stati… Per ora, vale la pausa di 4-9 giorni nella distruzione di Gaza, ma vedremo cosa dirà Erdoĝan quando il Mossad colpirà in Turchia. Netanyahu non cambia passo:  “Non ci fermeremo finché non avremo completato la missione di riportare gli ostaggi a casa, distruggere Hamas e assicurarsi che non ci siano più minacce da Gaza”E così sarà, “La gloria di Israele non mentirà”.

Da Formiche.net, di Gabriele Carrer, 24/11/2023

Omicidi mirati contro Hamas. Netanyahu dà luce verde al Mossad

Annunciando l’accordo ostaggi-tregua, il premier israeliano ha fatto sapere che l’intelligence ha ricevuto istruzioni per colpire i leader dell’organizzazione “ovunque si trovino”. Ecco cosa rivela la mossa

“Ho dato istruzioni al Mossad di colpire i leader di Hamas ovunque si trovino”. Con queste parole Benjamin Netanyahu ha voluto lasciar intendere che Israele potrebbe prendere di mira i capi dell’organizzazione terroristica al di fuori di Gaza. Potrebbero essere i primi segnali di un cambiamento nella risposta di Israele all’assalto del 7 ottobre scorso: dopo gli attacchi su Gaza, le operazioni mirate contro i vertici di Hamas? Vedremo.

Il primo ministro ha pronunciato queste parole mercoledì sera nel discorso in cui ha difeso l’accordo sugli ostaggi che prevede una pausa di quattro-nove giorni nella guerra di Gaza. “È stata una decisione difficile, ma giusta”, ha dichiarato Netanyahu.

La luce verde data al Mossad ha ricevuto il plauso della destra israeliana. Preoccupate, invece, le famiglie degli ostaggi, che temono contraccolpi sulle trattative. Quello di Netanyahu, però, è anche un avvertimento ai leader di Hamas che hanno trovato riparo (e lussi) in Qatar, Turchia, Qatar, Libano, Iran e Siria. E, tuttavia, nelle sue parole sembra esserci anche un messaggio al Mossad guidato da David Barnea (nella foto con il primo ministro), che era favorevole a un accordo a differenza di Yoav Gallant, ministro della Difesa, come spiegato dal New York Times.

Nei giorni successivi all’attacco del 7 ottobre, il Mossad e lo Shin Bet avevano istituito una nuova unità speciale con lo scopo specifico di individuare e uccidere i leader militari di Hamas, in particolare la Brigata Nukhba, reparto d’élite ritenuto responsabile dei massacri nei kibbutz. Il nome della nuova unità è Nili, l’acronimo della frase ebraica “Netzah Yisrael Lo Yeshaker”, tratta dal Libro della Genesi (Samuele) che significa “La gloria di Israele non mentirà”. Si tratta però anche di un riferimento a un’organizzazione segreta di spionaggio israeliana che operava in chiave filo-britannica in Palestina durante la Prima guerra mondiale.

Israele ha una lunga tradizione di operazioni mirate. Molte di queste sono state raccontato da Ronen Bergman, firma di Yedioth Ahronoth e del New York Times, in “Rise and kill first” (pubblicato in Italia da Mondadori con il titolo “Uccidi per primo”), un volume di quasi 800 pagine, in cui l’autore ricostruisce, con interviste esclusive a uomini di Stato e agenti dell’intelligence, i cosiddetti “omicidi mirati” condotti da Israele contro il terrorismo palestinese e le organizzazioni terroristiche antisraeliane come Hamas, Hezbollah o il Movimento per il jihad islamico in Palestina.

Il caso più noto è quello ordinato dall’allora primo ministro Golda Meir con l’Operazione Ira di Dio, in vendetta al massacro perpetrato da Settembre Nero alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Servirono due decenni per completare l’eliminazione di tutti i responsabili di quell’attacco.

5991.- Terroristi uccisi e basi distrutte: gli obiettivi di Israele a Gaza.

L’occupazione di Gaza, l’allargamento del conflitto, insieme ai conflitti più o meno aperti nel Medio Oriente e nella regione della Transcaucasia, metterebbero un’ipoteca sull’espansione commerciale della Cina in Europa. Il mondo arabo tenderebbe a coalizzarsi contro i sostenitori di Israele, scrivendo la parola fine sulle politiche di solidarietà attiva dell’Italia verso il Magreb e il Sahel. Aggiungendosi questo scenario alla chiusura del commercio fra l’Unione europea e la Russia, farebbe degli Stati Uniti l’unica economia attiva dell’Occidente.

Quello che non vogliamo:

Raisi: “Un attacco a Gaza porterà ad una lunga guerra”

Il presidente iraniano Ebrahim Raisi, in un colloquio telefonico con il suo omologo russo Vladimir Putin, ha affermato che le azioni di Israele nella Striscia di Gaza potrebbero portare a “una lunga guerra” in Medio Oriente. Lo ha riferito su X il vice capo di gabinetto per gli affari politici del leader di Teheran, Mohammad Jamshedi: “Raisi ha affermato che l’assedio in corso, l’uccisione di donne e bambini e l’attacco di terra alla Striscia di Gaza e al suo governo legalmente eletto porteranno a una lunga guerra su diversi fronti”.

Confermato il numero di ostaggi

Il portavoce dell’esercito israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha confermato che sono 199 gli ostaggi attualmente nelle mani di Hamas e nascosti nella Striscia di Gaza. L’ufficiale ha spiegato che le forze armate hanno avvisato le famiglie e che sono impegnate nella loro liberazione.

… e quello che vogliamo.

Fine di tutti i bombardamenti, liberazione degli ostaggi e negoziato per realizzare uno stato palestinese complementare a Israele.

Il governo del Qatar ha espresso ottimismo riguardo alla possibilità di un loro rilascio, sottolineando che “ci sono sforzi regionali internazionali in corso riguardo al dossier dei prigionieri”.

Il portavoce del ministro degli Esteri iraniano Nasser Kanaani ha affermato che Hamas sarebbe pronta a rilasciare i circa 200 ostaggi prigionieri a Gaza, ma in cambio Israele dovrebbe mettere fine ai bombardamenti sulla Striscia. 

Basta odio e vendette.

Il portavoce del governo iraniano Naser Kanaani è fermo alle accuse. Ha dichiarato che “gli Stati Uniti devono essere ritenuti responsabili dei crimini del regime sionista e l’invio della flotta militare nelle acque della regione è solo un sostegno al tiranno“. Come riportato dall’agenzia Irna, il rappresentante di Teheran ha affermato che “qualsiasi partito che sostiene il regime sionista ha la stessa responsabilità internazionale e deve rendere conto alla nazione palestinese. Oggi, vediamo l’ipocrisia dei falsi difensori dei diritti umani riguardo a Gaza in modo più chiaro che mai”.

Ha inoltre sottolineato che, per l’Iran, l’invio delle portaerei nel Mediterraneo orientale e le forniture militari a Israele sono indicazioni del fatto che gli Stato Uniti “sono già di fatto parte del conflitto“. Infine, Kanaani ha lanciato un avvertimento: “La continuazione dei crimini di guerra contro la popolazione di Gaza e della Cisgiordania può portare ad un ulteriore infiammarsi della situazione”.

La vendetta di Israele: «Abbiamo ucciso il capo dell’intelligence di Hamas». Razzi verso Tel Aviv e Gerusalemme, sgomberata la Knesset.

Da Open online:

Ucciso il capo dell'intelligence di Hamas. Pioggia di razzi su Gerusalmme e Tel Aviv

L’esercito israeliano ha rivisto al rialzo il numero degli ostaggi a Gaza: sarebbero 199. Blinken a Tel Aviv, offensiva di terra ancora in standby

Esercito, ucciso capo intelligence di Hamas a Khan Younis

Esercito, ucciso capo intelligence di Hamas a Khan Younis

L’esercito israeliano ha fatto sapere di aver ucciso il capo dell’intelligence generale di Hamas a Khan Younis, nel sud della Striscia, pubblicando un video dell’azione. Intanto il premier israeliano Benjamin Netanyahu è tornato a ribadire oggi le intenzioni bellicose di Israele contro Hamas, nel corso della prima seduta della sessione autunnale della Knesset. «Trionferemo perché ne va della nostra stessa esistenza in questa regione, che è piena di forze oscure», ha dichiarato il premier. «Hamas – ha continuato – fa parte dell’asse malvagio formato da Iran e Hezbollah. Mirano a gettare il Medio Oriente in un abisso di caos. Ci sono molte domande sul disastro che ci ha travolto dieci giorni fa. Investigheremo ogni aspetto». Al podio del Parlamento israeliano si sono alternati i rappresentanti delle diverse formazioni. Compreso Yair Lapid, il leader dell’opposizione che ha rifiutato di entrare – al contrario del suo sodale Benny Gantz – nel governo di unità nazionale, ma che oggi ha promesso una sorta di “appoggio esterno” al gabinetto di guerra chiamato a vendicare la strage compiuta dagli islamisti il 7 ottobre. «Ci vorrà tempo, richiederà l’uso di molta forza. E se al mondo non piacerà, che così sia. Non sono i loro bambini che sono stati assassinati, ma i nostri». Il dibattito alla Knesset si è dovuto però interrompere perché nel pomeriggio sia a Tel Aviv che a Gerusalemme sono di nuovo suonate le sirene d’allarme per l’arrivo di razzi di Hamas dalla Striscia di Gaza. Tutti i parlamentari si sono dovuti rifugiare nei bunker sotterranei. La seduta è poi ripresa dopo 40 minuti circa.

Il destino degli ostaggi a Gaza

A ritardare l’avvio dell’operazione di terra è però, fra gli altri fattori, la valutazione dei rischi per gli ostaggi israeliani detenuti dalle formazioni islamiste palestinesi a Gaza. Oggi l’Idf ha aggiornato, verso l’alto, la loro cifra stimata: sono 199 le persone fatte prigionerei da Hamas che si trovano nella Striscia, ha detto il portavoce dell’esercito israeliano Daniel Hagari in una conferenza stampa, ribadendo che «Israele sta compiendo uno sforzo nazionale di priorità suprema nei loro confronti ricorrendo anche a informazioni di intelligence». L’Idf ha inoltre finora «informato 295 famiglie di militari caduti nel conflitto» con il partito-milizia. Un sinistro avvertimento sulla loro sorte degli ostaggi è arrivato oggi da Teheran. Il regime iraniano si è fatto portavoce di Hamas affermando che i miliziani sarebbero pronti al rilascio degli ostaggi se Israele mettesse fine agli attacchi sulla Striscia. Lo ha detto, citato da Times of Israel, il portavoce del ministro degli Esteri iraniano Nasser Kanaani. Nessuna presa di posizione è però arrivata da parte di Hamas. Secondo Hanani, esponenti della fazione palestinese «hanno detto di essere pronti a prendere le necessarie misure per il rilascio dei civili tenuti dai gruppi della resistenza, ma che il loro punto di vista è che tali misure richiedono preparativi impossibili sotto i bombardamenti quotidiani dei sionisti contro varie parti di Gaza». E ancora da Teheran è arrivato l’avvertimento: «Nessuno può garantire il controllo della situazione se Israele invade la Striscia», il monito del ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian dopo un incontro a Doha con il leader di Hamas Ismail Haniyeh.

Putin è per la creazione di uno stato palestinese

Il presidente russo Vladimir Putin si è sentito telefonicamente con i presidenti dell’Egitto Abdel Fattah al-Sisi, dell’Iran Ebrahim Raisi, della Siria Bashar al Assad e dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, e «ha sottolineato l’inaccettabilità di qualsiasi forma di violenza contro i civili» in Medio Oriente. A riportare la versione del Cremlino è l’agenzia Tass. Nei colloqui telefonici ha ribadito che Mosca è favorevole ad una «giusta risoluzione della questione palestinese» tramite la creazione di uno Stato indipendente palestinese.

Unrwa: «Rubate benzina e attrezzature mediche a Gaza City»

L’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) ha denunciato che diverse persone – autodefinitasi di Hamas – hanno «sequestrato benzina e attrezzature mediche» dalla sua base a Gaza City. «Il nostro staff – scrive su X – è stato costretto a evacuare il quartier generale a Gaza city con un preavviso di poche ore durante la notte di venerdì 13 ottobre. Da allora l’Unrwa non ha avuto accesso al complesso e non ha avuto ulteriori dettagli sulla rimozione dei beni. Il carburante e altri tipi di materiale dell’Unrwa vengono conservati per scopi strettamente umanitari e qualsiasi altro utilizzo è fermamente condannato», conclude.

Il fronte caldo con Hezbollah 

Continuano anche oggi gli scambi di fuoco al confine nord tra Israele e Hezbollah. Il gruppo sciita ha rivendicato di aver attaccato cinque basi dell’Esercito dello Stato ebraico, che a sua volta ha colpito obiettivi nel sud del Libano, secondo quanto riferisce Haaretz. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallan ha ribadito oggi che Tel Aviv non è interessata ad aprire un secondo fronte al nord. «Non vogliamo un’escalation della situazione», ha spiegato, ma se gli Hezbollah «scelgono la via della guerra, pagheranno un pesante prezzo». Più dura la dichiarazione del portavoce dell’Idf: «Se Hezbollah compirà un errore per metterci alla prova, la nostra reazione sarà micidiale»: questo l’avvertimento giunto oggi del portavoce militare israeliano Daniel Hagari dopo gli scontri a fuoco di ieri al confine con il Libano in cui due israeliani sono rimasti uccisi. «Gli Hezbollah – ha concluso – operano dietro istruzione e con il sostegno dell’Iran, mettendo cosi’ in pericolo il Libano». Dopo l’aumento delle ostilità con Hezbollah, l’esercito israeliano ha ordinato l’evacuazione delle persone che vivono in 28 comunità situate entro 2 chilometri dal confine con il Libano. Hezbollah – scrive Afp – avrebbe inoltre iniziato a distruggere le telecamere di sorveglianza su diverse postazioni dell’esercito israeliano lungo la frontiera. L’obiettivo dell’organizzazione paramilitare islamica sciita sembra essere – sottolineano fonti militari – quello di impedire all’Idf di monitorare i movimenti sul lato libanese del confine. 

Blinken a Tel Aviv. Netanyahu: «Nessun cessate il fuoco»

Le nuove tensioni hanno spinto il segretario di Stato Usa Antony Blinken a tornare oggi in Israele per alcuni «colloqui sulla crisi», dopo un tour diplomatico nella regione mediorientale. Il capo della diplomazia Usa, che giovedì si trovava in Israele per una visita di solidarietà, è atterrato a Tel Aviv e incontrerà nuovamente il primo ministro Benjamin Netanyahu a Gerusalemme. Quest’ultimo in mattinata ha fatto sapere che «Non c’è per il momento un cessate il fuoco né l’ingresso a Gaza di aiuti umanitari in cambio della fuoriuscita di cittadini stranieri», lo ha reso noto il suo ufficio, commentando notizie diffuse in precedenza circa l’apertura del valico di Rafah (fra Egitto e Gaza) alle 9 del mattino ora locale, le 8 in Italia. Secondo un funzionario statunitense, citato da Cnn, il segretario di Stato americano incontrerà anche il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant e il leader dell’opposizione Yair Lapid. Nel frattempo, Jake Sullivan – il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, in un’intervista alla Cbs, ha sottolineato come «La minaccia è reale. C’è il rischio di escalation di questo conflitto, dell’apertura di un secondo fronte nel nord e ovviamente del coinvolgimento dell’Iran. Dobbiamo prepararci a ogni evenienza». 

Meloni: «Solidali a Israele»

«Il Governo esprime la sua vicinanza alla Comunità Ebraica di Roma, ai famigliari e ai discendenti dei deportati. Oggi più che mai, a seguito del terribile attacco di Hamas, ribadiamo la nostra solidarietà all’intero popolo d’Israele, ferito nuovamente dall’odio antisemita», dichiara la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Le parole figurano nella nota del governo fatta «in occasione dell’80° anniversario del rastrellamento degli Ebrei di Roma, ha ricevuto a Palazzo Chigi il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Victor Fadlun». «In questa giornata – ha aggiunto Meloni – rinnoviamo il nostro impegno per mantenere viva la memoria di quei fatti terribili e per combattere, in ogni sua forma, nuova e antica, il virus dell’antisemitismo».

Biden: «L’occupazione di Gaza è un grave errore»

Nella giornata di ieri – domenica 15 ottobre – il presidente Usa aveva definito «l’occupazione di Gaza» un «grosso errore», riporta il Washington Post. «Hamas e gli elementi estremi di Hamas non rappresentano tutto il popolo palestinese», spiega Biden, ribadendo inoltre che l’organizzazione – terroristica per Usa e Ue – deve essere completamente eliminata, ma che deve esserci anche una strada verso uno Stato palestinese. Il presidente afferma che non pensa tuttavia che Israele perseguirà questa strada in questo momento. «Ma credo che lo Stato ebraico capisca che una parte significativa del popolo palestinese non condivide le opinioni di Hamas e Hezbollah», ha concluso il presidente Usa. Secondo una fonte israeliana, il presidente Usa potrebbe arrivare in Israele mercoledì prossimo. Lo riferisce Haaretz.

5982.- Funzionario in pensione della CIA afferma che una guerra terrestre su vasta scala in Israele potrebbe ritorcerglisi contro

“Strategicamente, tutto questo non ha senso dal punto di vista politico o militare.”

Retired CIA Official Says Full-Scale Israel Ground War Could Backfire
Carri armati e veicoli dell’esercito israeliano si schierano lungo il confine con la Striscia di Gaza, nel sud di Israele, il 13 ottobre 2023. (Jack Guez/AFP tramite Getty Images)
Dan M. Berger

Da The Epoch Times, di  Dan M. Berger, pubblicato il 10/13/2023, aggiornato il 10/14/2023

Un alto funzionario in pensione della CIA dubita che Israele effettuerà l’invasione terrestre su vasta scala di Gaza che sembrava probabile dopo il devastante attacco terrestre, marittimo e aereo del gruppo terroristico Hamas del 7 ottobre contro Israele.

Parlando in una sinagoga di Atlanta il 12 ottobre, Darrell Blocker ha detto ad una folla di circa 100 persone che un’invasione non ha senso strategico per lo stato ebraico. Ha detto che i carri armati israeliani non saranno in grado di passare o manovrare nelle strade affollate di Gaza, ora piene di macerie dei bombardamenti.

Inoltre, ha detto, Israele pagherà un prezzo troppo alto a livello diplomatico se invaderà.

“Strategicamente, non ha senso dal punto di vista politico o militare”, ha detto Blocker a The Epoch Times dopo l’evento. “Perché non farà altro che aumentare le critiche al governo.”

“Gli attacchi chirurgici sono stati ciò in cui sono bravi. Ora, lanciare una guerra dell’82, [come] andare in [Libano], questo non sarà a favore di Israele.

“Non è proprio così. E indovina un po’? Loro [le Forze di Difesa Israeliane] non possono muoversi. Voglio dire, le strade sono distrutte. Le città sono distrutte. Le persone sono ora spinte in una posizione completamente diversa. Ci sono trappole esplosive. Penso perderanno molte persone se faranno una campagna di terra. E perderanno molta buona volontà politica.”

Incalzato sulla questione se sia politicamente fattibile per il governo di Benjamin Netanyahu non invadere Gaza, stretto tra la ferocia degli attacchi, il consenso pubblico israeliano a distruggere Hamas e la dichiarazione del primo ministro secondo cui “sono tutti uomini morti”, Blocker ha ribattuto con una domanda.

“Cosa significa finire Hamas?” chiese retoricamente. “Hamas è una filosofia.”

Retired CIA officer Darrell Blocker speaks about the Hamas attacks on Israel at Atlanta's Ahavath Achim Synagogue on Oct. 12, 2023. (Dan M. Berger/The Epoch Times.)
L’ufficiale in pensione della CIA Darrell Blocker parla degli attacchi di Hamas contro Israele alla sinagoga Ahavath Achim di Atlanta il 12 ottobre 2023. (Dan M. Berger/The Epoch Times.)

Blocker aveva previsto che Israele avrebbe compilato la sua lista dei membri di Hamas di alto rango, li avrebbe presi di mira a Gaza, o li avrebbe contrassegnati per l’assassinio quando se ne sarebbero andati.

“Non possono restare lì per sempre”, ha detto.

Blocker ha riconosciuto che lasciare intatti i ranghi di Hamas potrebbe essere un problema in futuro, consentendo la rinascita dell’organizzazione terroristica anche se la sua leadership venisse decapitata. Nessun membro di Hamas sarà al sicuro, ha detto, finché Hamas non cambierà il suo statuto, che prevede uno Stato islamico in tutto Israele, Cisgiordania e Gaza.

Dopo un periodo come analista dell’intelligence dell’aeronautica militare, è entrato a far parte della CIA nel 1990, nel periodo della prima Intifada palestinese contro Israele. Ne ha scritto in un saggio allegato alla sua domanda di adesione all’agenzia.

Dopo una carriera che comprendeva incarichi come vicedirettore del Centro antiterrorismo, capo della divisione Africa e capo della formazione a Camp Peary, Virginia, meglio noto come “The Farm”, Blocker si è ritirato dalla Central Intelligence nel 2018. Dopo il suo pensionamento, era l’ufficiale nero più anziano della Direzione delle Operazioni.

Ha iniziato a studiare l’ebraismo al college e si è convertito formalmente nel 2017. Gli è stata assegnata la Distinguished Career Intelligence Medaglia dell’agenzia.

Dopo le elezioni del 2020, Blocker era sulla lista dei candidati del presidente Joe Biden per diventare direttore della CIA, una posizione che alla fine è andata a William J. Burns. Da quando è andato in pensione, ha lavorato come direttore operativo per la società di consulenza di intelligence MOSAIC, commentatore di ABC News e oratore pubblico.

Rispondendo alle domande del pubblico alla sinagoga Ahavath Achim nel quartiere Buckhead di Atlanta, Blocker ha detto di aver trascorso gran parte della sua carriera a dare la caccia ai terroristi.

Non prevedere l’arrivo dell’attacco non è stato solo un fallimento dell’intelligence ma “un fallimento di tutto il governo”, non solo di Israele o degli Stati Uniti ma dei loro “forti partner dell’intelligence” in Egitto e Giordania, ha detto.

Predisse che in seguito sarebbero potuti emergere segnali di allarme, “piccoli frammenti di informazioni”, come è accaduto dopo gli attacchi dell’11 settembre o di Pearl Harbor.

An Oct. 11, 2023, photo shows covered bodies at kibbutz Beeri near the border with Gaza, the site of an attack by Hamas terrorists days earlier. (Jack Guez/AFP via Getty Images)
Una foto dell’11 ottobre 2023 mostra corpi coperti nel kibbutz Beeri vicino al confine con Gaza, il luogo di un attacco da parte dei terroristi di Hamas giorni prima. (Jack Guez/AFP tramite Getty Images)

Le agenzie di intelligence hanno a che fare con un torrente di informazioni e minacce “quotidiane e imminenti”, la stragrande maggioranza delle quali si rivela falsa, ha affermato Blocker.

“Ci sono voluti dieci anni per catturare [Osama] Bin Laden, ma non abbiamo mai smesso di provarci”, ha detto. Terroristi che usano “un’ottima tecnica commerciale”, restando nascosti e trasmettendo informazioni solo con il passaparola, come ha fatto Bin Laden. Ciò crea una sfida di intelligence che “non ha una risposta tecnologica”.

“L’intelligence non è una panacea per proteggere tutto… La CIA non può essere ovunque.”

Discutendo sulle tecniche per interrogare i jihadisti catturati, ha affermato che ascoltarli è fondamentale. Se sentono che qualcuno li sta ascoltando, ciò può ammorbidire la loro resistenza a parlare.

È inoltre fondamentale individuare coloro che si sentono traditi dai gruppi terroristici a cui un tempo si univano volontariamente, forse perché “non è quello che pensavo che fosse. Questa non è la religione che mi è stata insegnata”.

Quei prigionieri possono essere spaventati, ha detto. L’interrogante non ha bisogno di discutere con loro o cercare di fargli cambiare idea; ciò non accadrà, ha aggiunto. Ma l’interrogante può prestare ascolto.

“Alcune di quelle persone che sono in custodia saranno ottime fonti di informazioni, anche se hanno fatto cose orribili. Questa è la natura di essere un ufficiale dell’intelligence. Non è facile. Non è per tutti.”

Blocker ha detto di non avere dubbi che Hamas abbia ricevuto l’aiuto del suo sponsor del terrorismo, l’Iran.

“Lo dico come un ragazzo che ha studiato servizi militari e di intelligence dal 1982. Hanno avuto aiuto.”

“Hamas non è mai stata capace al livello di quello che è successo la scorsa settimana”, ha detto Blocker.

“Il governo degli Stati Uniti [dice] che non può dire in modo specifico e definitivo che fosse l’Iran. Ma vi dico che era l’Iran.”

“Sono sicuro che riceverò critiche da altri su questo argomento, ma l’Iran è stato responsabile della maggior parte dei delegati e della maggior parte dei gruppi che sono sorti a partire dal 1979. E tutto risale all’Ayatollah [Khomeini , leader rivoluzionario dell’Iran.]”

A Turkish Muslim woman holds a picture of Iran's late leader Ayatollah Khomeini during a protest in front of Beyazit Mosque in Istanbul on Aug. 26, 2011. (MUSTAFA OZER/AFP/Getty Images)
Una donna musulmana turca tiene in mano una foto del defunto leader iraniano, l’Ayatollah Khomeini, durante una protesta davanti alla moschea Beyazit a Istanbul, il 26 agosto 2011. (MUSTAFA OZER/AFP/Getty Images)

“Direi, dalla complessità del modo in cui sono entrati e di come hanno attaccato, che la Forza Quds, che fa parte della Guardia rivoluzionaria iraniana, ha avuto una certa influenza se non un coinvolgimento diretto”.

Il signor Blocker è stato attento a distinguere tra i gruppi. Il leader dei talebani, il mullah Omar, ha proibito di decapitare le persone. Per decenni l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina aveva previsto la distruzione di Israele nel suo statuto, ma lo ha poi abrogato. L’Autorità Palestinese, che governa la Cisgiordania, spesso collabora in questioni di sicurezza con Israele e gli Stati Uniti.

Alla domanda se Hamas abbia deliberatamente diffuso video della sua ferocia come guerra psicologica, il funzionario in pensione della CIA ha affermato che era “una propaganda più utile per reclutare persone per la causa. L’ISIS lo ha fatto con notevole successo dieci anni fa”.

Ha esortato le persone a evitare di visualizzare tali immagini su Internet e, a tutti i costi, a proteggere i propri figli da esse. Coloro che hanno bisogno di vedere cosa c’è là fuori dovrebbero fissare un orario nella giornata, preferibilmente nelle prime ore della giornata, ma mai prima di andare a letto, e razionare il tempo che trascorrono a guardarlo.

“Non hai bisogno delle immagini di queste persone nella tua testa”, ha detto Blocker.

Alcuni dei circa 150 ostaggi israeliani moriranno, ha detto apertamente al pubblico. Ma ha espresso la speranza che molti vengano salvati.

I gruppi terroristici del Medio Oriente hanno una lunga storia di commercio di ostaggi per liberare il proprio popolo tenuto prigioniero da Israele, e potrebbero farlo qui, ha detto.

Hamas terrorists move toward the border fence with Israel from Khan Yunis in the southern Gaza Strip on Oct. 7, 2023. (Said Khatib/AFP via Getty Images)

I terroristi di Hamas si muovono verso la recinzione di confine con Israele da Khan Yunis nel sud della Striscia di Gaza il 7 ottobre 2023. (Ha detto Khatib/AFP tramite Getty Images)

Israele potrebbe trovarsi di fronte a scelte difficili se avesse la possibilità di salvare qualche gruppo di ostaggi perché ciò metterebbe in pericolo coloro che sono ancora detenuti.

“Ci sarà molto di quella che chiamiamo ‘algebra morale'”, ha detto Blocker.

Ha detto che nonostante una carriera inseguendo e combattendo queste persone, ancora non capisce coloro che infliggono tanto dolore a persone indifese.

“È difficile da affrontare. Ho passato la mia vita a dare la caccia ad Al Qaeda, a dare la caccia ad Al Shabab, a dare la caccia a Hamas”, ha detto.

“Il livello di uccisioni che abbiamo visto, l’ho visto solo una volta. L’ISIS nel periodo 2014-2016. Stavano facendo alcune delle cose più atroci per più di cinque giorni, anzi, per sette o otto giorni. anni, e il mondo ha chiuso un occhio su questo.”

Il signor Blocker ha ritenuto necessario compartimentalizzare ciò a cui era esposto, per “andare avanti” e continuare a fare il suo lavoro.

“Ho imparato a piangere sotto la doccia.”

Dan M. Berger, Author (Reporter)

5977.- La «trappola» di Hamas e Iran a Israele e cosa dovrebbe fare Israele per evitarla, secondo Friedman

L’Occidente sembra essersi schierato con il popolo ebreo, segnato dalle atrocità dei terroristi, ma volere il bene di Israele significa condannare tutte le vendette sanguinarie, quelle di Hamas e quelle di Netanyahu. Hamas non rappresenta tutti i palestinesi. Se il 20% di israeliani è arabo, se i palestinesi si recano al mattino in Israele a lavorare significa che i due popoli possono convivere in pace se, addirittura, non sono complementari. Passata l’emozione dei momenti tragici, dovremmo auspicare che un consesso internazionale creasse le premesse per una convivenza fra arabi e ebrei fruttifera per entrambi. Dal nostro punto di vista, questo consesso deve superare le insufficienze dimostrate dall’ONU e dall’Unione europea.

di Gianluca Mercuri. Questo articolo è stato pubblicato sulla Rassegna Stampa, una newsletter che il Corriere riserva ai suoi abbonati.

Hamas e l’Iran vogliono attirare Israele in una trappola, chiamata Gaza, scrive Thomas Friedman, uno dei massimi esperti del conflitto israelo-palestinese, sul New York Times: riuscirà Israele a evitarla?

La «trappola» di Hamas e Iran a Israele e cosa dovrebbe fare Israele per evitarla, secondo Friedman

Se  Israele farà un strage a Gaza, farà esattamente quello che si aspettano e desiderano i suoi peggiori nemici: Hamas l’Iran. Sarà inevitabilmente una strage di bambini, perché nella Striscia oltre metà della popolazione ha meno di 18 anni, il 40% meno di 14. I bambini superano abbondantemente il milione e colpire massicciamente Gaza vuol dire colpire certamente i civili e massicciamente i bambini. Se, come ormai pare probabile, Israele farà questa scelta, il suo sarà un autogol morale. Ma se la questione morale va facilmente in secondo piano quando si combatte per la propria sopravvivenza, è l’autogol politico che dovrebbe preoccupare Israele e chi la ama davvero. L’autogol politico è quello che hanno architettato i suoi nemici. E Israele sta cadendo nella trappola.

Queste cose le scrive Thomas Friedman, che dovrebbe essere la bussola morale e politica di chiunque si avventuri a scrivere un articolo sul conflitto israelo-palestinese. Non solo perché quel conflitto il grande giornalista americano lo conosce meglio di chiunque, avendolo seguito sul campo per tutta la vita, ma anche perché è un esempio di come la passione debba sempre animare questo mestiere. E passione vuol dire (anche) non nascondere cosa si pensa ma argomentarlo con onestà e conoscenza dei fatti. Anche Tom Friedman ha Israele nella sua biografia e — inossidabilmente — nel cuore: ha passato la gioventù nei kibbutz come quelli profanati dalla violenza jihadista. Ma Tom Friedman ha dei valori precisi, non mescola mai i fatti a suo piacimento, non omette parti di verità. La verità la conosce e non si improvvisa tuttologo. Per questo il suo mix di passione e conoscenza dovrebbe essere di esempio a ogni commentatore. Ma siccome questo è un auspicio troppo ottimistico, perlomeno Tom Friedman ci aiuta a disintossicarci dal mix di cinismo e ignoranza dei fatti che contraddistingue molti commenti italici. Tom Friedman è un diboscatore, un debunker che elimina gli errori di programmazione di certa pubblicistica, che programma più propaganda che informazione.

Facciamoci quindi guidare da questo grande giornalista, un ebreo americano liberal, progressista, con Israele davvero nel cuore. Punto per punto.

• Il paragone storico 
«Mi occupo di questo conflitto da quasi 50 anni e ho visto israeliani e palestinesi fare molte cose terribili gli uni agli altri: attentatori suicidi palestinesi che fanno saltare in aria discoteche e autobus israeliani; caccia israeliani che colpiscono quartieri di Gaza che ospitano combattenti di Hamas, ma che causano anche ingenti vittime tra i civili. Ma non ho mai visto qualcosa di simile a ciò che è accaduto lo scorso fine settimana: singoli combattenti di Hamas che radunano uomini, donne e bambini israeliani, li guardano negli occhi, li uccidono e, in un caso, fanno sfilare una donna nuda per Gaza al grido di “Allahu akbar”». 

Friedman paragona il massacro compiuto dagli islamisti palestinesi il 7 ottobre a quello subito dai palestinesi laici nel 1982, nei campi profughi libanesi di Sabra e Chatila, quando circa 3.500 persone furono trucidate dalle milizie cristiano-maronite, con l’esercito israeliano che le fece entrare e dall’alto illuminò i campi per facilitare il lavoro. Scrive dunque: «Pur non facendomi illusioni sull’impegno di lunga data di Hamas per la distruzione dello Stato ebraico, mi chiedo oggi: da dove viene questo impulso simile a quello dell’Isis per l’omicidio di massa come obiettivo primario? Non la conquista del territorio, ma il semplice omicidio? C’è qualcosa di nuovo che è importante capire».

•Il fattore saudita 
La spiegazione è l’avvicinamento in corso tra Israele e Arabia Saudita
, che decreterebbe — stavolta davvero — la fine di ogni speranza di autodeterminazione per i palestinesi. «Sebbene questa operazione sia stata sicuramente pianificata dai leader di Hamas mesi fa, credo che le sue origini emotive possano essere spiegate in parte da una fotografia apparsa sulla stampa israeliana il 3 ottobre. Alcuni ministri del governo israeliano si erano recati a Riad, in Arabia Saudita, per la loro prima visita ufficiale in assoluto, per partecipare a conferenze internazionali tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, e la stampa israeliana ne ha parlato molto». 

Nella foto, si vede un delegato israeliano alla conferenza delle Nazioni Unite sulle poste in corso nella capitale saudita. È in una pausa di preghiera, con addosso il tradizionale scialle ebraico e la kippah, e regge un rotolo della Torah. Dalla finestra, spunta lo skyline di Riad

«Per gli ebrei israeliani, questa foto è un sogno che si avvera, la massima dimostrazione che si è finalmente stati accettati in Medio Oriente, più di un secolo dopo l’inizio del movimento sionista per costruire un moderno Stato democratico nella patria biblica del popolo ebraico. Poter pregare con una Torah in Arabia Saudita, luogo di nascita dell’Islam e sede delle sue due città più sacre, La Mecca e Medina, è un livello di accettazione che tocca l’anima di ogni ebreo israeliano». 

Per i palestinesi, soprattutto quelli affiliati ai movimenti islamisti, ma non solo per loro, quella foto ha il significato esattamente contrario: la fine della loro causa, che anche il più influente Stato arabo — l’epicentro dell’Islam sunnita, il Paese che custodisce i luoghi santi, l’alleato di cui l’America ha provato a fare a meno senza riuscirci — decide di smettere di difendere per coltivare il proprio esclusivo interesse geopolitico ed economico, quello di una normalizzazione dei rapporti con l’eterno nemico sionista. E dunque, è anche il trionfo di Benjamin Netanyahu, la realizzazione del suo progetto più importante: «Dimostrare a tutti i detrattori, anzi sbattere loro in faccia, che può fare la pace con tutti gli Stati arabi — persino con l’Arabia Saudita — senza dover cedere un solo centimetro di terra ai palestinesi». 

È — sarebbe — il completamento del disegno del sionismo revisionista, la corrente di destra del movimento nazionale ebraico. La prima tappa era stata realizzata dall’antenato politico di Netanyahu,Menachem Begin, capace alla fine degli anni ‘70 di fare la pace con l’Egitto, la nazione araba militarmente più potente e minacciosa. Pace separata, raggiunta marginalizzando i palestinesi e proseguendo nel frattempo l’annessione strisciante degli ultimi territori rimasti sotto i loro piedi, attraverso una colonizzazione sempre più massiccia. Un disegno proseguito con l’altro Paese chiave, la Giordania, sulla spinta degli illusori Accordi di Oslo, quelli con cui i palestinesi speravano di ottenere il loro Stato. E arrivato fino agli anni nostri con la regia di Donald Trump, gli «Accordi di Abramo» con Emirati arabi e Bahrein. 

Dunque Netanyahu voleva — vuole — sublimare questo percorso e «dimostrare a tutti che Israele può avere la sua torta — accettata da tutti gli Stati arabi circostanti — e mangiare anche il territorio dei palestinesi». Nota bene: sarebbe un pasto definitivo. I sauditi, ancora nel 2002, avevano proposto a Israele una pace vera, che cioè coinvolgesse anche i palestinesi: rinuncia a una parte significativa dei Territori conquistati nel 1967 e nascita di una Palestina indipendente, in cambio del riconoscimento dello Stato ebraico da parte di tutti i Paesi arabi. Pace vera, pace in cambio di terra, definitiva, non pace finta, alle spalle dei palestinesi. Finta perché, com’era già evidente prima del 7 ottobre, prima o poi i palestinesi si ribellano, e di imprevedibile c’è solo la modalità.

• Il disegno di Hamas 
Ecco dunque la mossa sconvolgente del movimento islamista, la carneficina che nessuno si aspettava. Siamo al passaggio decisivo del ragionamento di Friedman, che tutti i commentatori italiani dovrebbero stamparsi in mente: «Credo che uno dei motivi per cui Hamas non solo ha lanciato ora questo assalto, ma ha anche apparentemente ordinato che fosse il più omicida possibile, sia stato quello di scatenare una reazione eccessiva di Israele, come un’invasione della Striscia di Gaza, che avrebbe portato a massicce vittime civili palestinesi e in questo modo avrebbe costretto l’Arabia Saudita a fare marcia indietro dall’accordo mediato dagli Stati Uniti». Non solo i sauditi: la contro-carneficina metterebbe a rischio anche gli Accordi di Abramo. 

Era questa, dunque, «l’essenza del messaggio di Hamas a Netanyahu e alla sua coalizione di governo di estrema destra, composta da suprematisti ebrei e ultraortodossi: non sarete mai a casa vostra, non importa quanta terra vi venderanno i nostri fratelli arabi del Golfo. Vi costringeremo a perdere la testa e a fare cose folli a Gaza che costringeranno gli Stati arabi a evitarvi». 

C’è poi il lato che ricorda davvero gli assassini del Bataclan: come quelli, Hamas ha colpito l’anima progressista di Israele, la più lontana dagli integralisti, la più attraente per i palestinesi che vorrebbero una vita normale, senza nemici che ti privano della terra e senza fanatici che ti privano della libertà: a subire l’assalto terroristico sono state «le case degli abitanti dell’Israele pre-1967, dell’Israele democratica, dell’Israele progressista, che viveva in kibbutz pacifici o andava a una festa in discoteca, la tipica festa di chi ama la vita», ha detto al giornalista lo scrittore Ari Shavit. In questo senso, per Hamas «la sola esistenza di Israele è una provocazione». 

•La domanda che Israele dovrebbe farsi 
È semplicemente questa: 

«Cosa vogliono che faccia i miei peggiori nemici e come posso fare il contrario?»


Stamparsi anche la risposta, per favore: «Ciò che vogliono i peggiori nemici di Israele — Hamas e l’Iran — è che Israele entri a Gaza e si impegoli in un’invasione strategica che farebbe sembrare il coinvolgimento dell’America a Falluja (la città irachena che costrinse le forze Usa a durissimi combattimenti tra il 2003 e il 2004, ndr) una festa di compleanno per bambini. Stiamo parlando di combattimenti casa per casa che minerebbero qualsiasi simpatia Israele abbia raccolto sulla scena mondiale, distogliendo l’attenzione del mondo dal regime omicida di Teheran e costringendo Israele a estendere le sue forze per occupare permanentemente Gaza e la Cisgiordania. Hamas e l’Iran non vogliono assolutamente che Israele si astenga dall’entrare a Gaza in profondità o a lungo».

•Il fattore Autorità nazionale palestinese 
La screditata entità nata dagli Accordi di Oslo e rimasta una crisalide incompiuta, una patria ridotta allo Stato larvale, un non-Stato: ecco l’altro obiettivo della strage di sabato. Hamas sapeva che, nel suo realismo disperato, l’Anp era pronta ad accettare la pace tra Israele e i sauditi, ma in cambio di concessioni di un qualche significato da parte di Israele, e su cui l’ultradestra aveva già sbarrato la strada a Netanyahu. Il classico gioco in cui gli opposti estremismi — i fascisti teocratici delle due parti — si danno una mano. Ma Netanyahu — che pure è la migliore destra israeliana possibile — non è innocente nemmeno qui. Friedman: «Ha sempre preferito trattare con un Hamas ostile a Israele piuttosto che con il suo rivale, l’Autorità palestinese più moderata, che ha fatto di tutto per screditare, anche se l’Anp ha lavorato a lungo a stretto contatto con i servizi di sicurezza israeliani per mantenere la Cisgiordania tranquilla, e Netanyahu lo sa». 

L’analisi è di una nitidezza meravigliosa: «Netanyahu non ha mai voluto che il mondo credesse che esistono “palestinesi buoni” pronti a vivere in pace accanto a Israele e a cercare di coltivarli. Per anni ha sempre voluto dire ai presidenti degli Stati Uniti: Cosa volete da me? Non ho nessuno con cui parlare da parte palestinese». Lo ha scritto bene anche Chuck Freilich, ex vice consigliere per la sicurezza nazionale israeliana, in un saggio pubblicato domenica su Haaretz: «Per un decennio e mezzo il primo ministro ha cercato di istituzionalizzare la divisione tra la Cisgiordania e Gaza, di minare l’Autorità palestinese, e di condurre una cooperazione de facto con Hamas, il tutto per dimostrare l’assenza di un partner palestinese e per garantire che non ci potesse essere un processo di pace che avrebbe potuto richiedere un compromesso territoriale in Cisgiordania».

•Democrazia contro teocrazia
Il presidente Biden deve dire a Netanyahu che l’America «farà tutto il possibile per aiutare la democratica Israele a difendersi dai fascisti teocratici di Hamas e dai loro fratelli di anima di Hezbollah in Libano, se dovessero entrare in lotta. Ma in cambio Netanyahu deve ricollegarsi all’Israele democratica e liberale, in modo che il mondo e la regione vedano questa non come una guerra di religione, ma come una guerra tra la prima linea della democrazia e la prima linea della teocrazia. Ciò significa che Netanyahu deve cambiare il suo gabinetto, espellere i fanatici religiosi e creare un governo di unità nazionale con Benny Gantz e Yair Lapid». Proprio oggi, il premier ha seguito il suggerimento ma solo in parte: dentro Gantz — che farà parte con lui e con il ministro della Difesa Gallant del Consiglio di sicurezza, quello che farà le scelte decisive sulla guerra — ma non Lapid, che chiedeva la cacciata totale dell’ultradestra. Il che sembra dare ragione a Friedman (anche) quando scrive che «purtroppo Netanyahu continua a dare priorità alla sua coalizione di fanatici, di cui ha bisogno per proteggersi dal suo processo per corruzione e per completare il suo colpo di Stato giudiziario, che azzererebbe la Corte Suprema di Israele. Questo è un vero pasticcio» .

•Cosa ha distratto Israele
A distrarla è stato proprio il «colpo giudiziario», contro il quale si è sollevata (democraticamente) gran parte delle forze armate: «Vi assicuro che se e quando ci sarà un’inchiesta su come l’esercito israeliano abbia potuto non accorgersi di questo rafforzamento di Hamas, gli investigatori scopriranno che i vertici dell’esercito israeliano hanno dovuto dedicare così tanto tempo a evitare che i piloti e gli ufficiali di riserva dell’aeronautica boicottassero il loro servizio per protestare contro il colpo di stato giudiziario di Netanyahu, per non parlare del tempo, dell’attenzione e delle risorse che hanno dovuto dedicare a impedire ai coloni estremisti e ai fanatici religiosi di fare cose folli a Gerusalemme e in Cisgiordania, che hanno distolto lo sguardo dalla palla».

•Il meglio e non il peggio 
Che cosa si può aggiungere a queste note così limpide e veritiere? Altre note limpide e veritiere, perché questo articolo è un pozzo inesauribile. Conclude infatti Tom Friedman: «L’America non può proteggere Israele nel lungo periodo dalle minacce reali che deve affrontare, a meno che Israele non abbia un governo che rifletta il meglio, e non il peggio, della sua società, e a meno che questo governo non sia pronto a cercare di forgiare compromessi con il meglio, e non il peggio, della società palestinese».

Di seguito, dal Corriere, alcune immagini:

A Gaza riservisti da tutto il mondo per la «grande vendetta». E la Striscia rimane senz’acqua

Dopo il richiamo dei riservisti, gli israeliani hanno circondato Gaza e gli abitanti devono lasciarla. In quanti torneranno?

Israele:  «I civili lascino il nord di Gaza in 24 ore». Netanyahu mostra le foto dell’orrore sui bambini

Israele: «I civili lascino il nord di Gaza in 24 ore». Netanyahu mostra le foto dell’orrore sui bambini

La suocera del premier scozzese da Gaza: «Un milione di persone da evacuare e ancora bombardano. Non c'è umanità»

La suocera del premier scozzese da Gaza: «Un milione di persone da evacuare e ancora bombardano. Non c’è umanità»

Tutto come da programma. Dopo il professore colpito a morte e i feriti in Francia anche a Pechino un dipendente dell’ambasciata israeliana in Cina è stato accoltellato.

Alle origini del conflitto

Sparano i cannoni contro la nascita di un compromesso territoriale in Cisgiordania.

5974.- Ecco gli obiettivi politici dell’Iran dietro l’attacco ad Israele. Parla Ahmad Rafat (Kayhan International)

Ci sono fini non solo di politica estera ma anche di politica interna dietro il sostegno dell’Iran ad Hamas contro Israele. Conversazione con Ahamad Rafat, giornalista italo-iraniano che oggi opera a Londra con un’emittente televisiva – Kayhan International – che trasmette il proprio segnale fino in Iran.

Quali potrebbero essere gli obiettivi di Washington in Medio Oriente potremmo dedurli dal rafforzamento della sua presenza militare, in atto da mesi.

Gli Usa blindano il Medio Oriente: "Pronta una seconda portaerei"

La risposta che hanno dato gli Stati Uniti ad Ali Khamenei è il rischieramento del Gruppo d’attacco della USS Gerald R. Ford, in assoluto la portaerei più potente del mondo, i cui obiettivi non saranno certo le case di Gaza. Stiamo assistendo all’esecuzione di un Piano Operativo contro l’Iran oppure Biden ha voluto riaffermare la presenza USA nel Mediterraneo Orientale? Lo vedremo, intanto, presto una seconda portaerei farà parte del Gruppo d’attacco. Il messaggio vale anche per Erdoğan, leader musulmano e, a un tempo, leader di un Paese membro dell’Alleanza atlantica. La USS Gerald R. Ford è la capoclasse delle portaerei d’attacco nucleari che nei prossimi anni verranno varate dall’US.NAVY. È lunga 330 metri, alta 76 metri ed è mossa da due reattori.

La conversazione con Ahamad Rafat

Da Startmag, 12 Ottobre 2023, di Marco Orioles

Ecco gli obiettivi politici dell’Iran dietro l’attacco ad Israele. Parla Ahmad Rafat (Kayhan International)

Ecco gli obiettivi politici dell’Iran dietro l’attacco ad Israele. Parla Ahmad Rafat (Kayhan International).

“Il messaggio che il regime degli ayatollah trasmette alla propria popolazione con l’attacco a Israele è il seguente: “se siamo in grado di massacrare i cittadini dello Stato più potente del Medio Oriente, immaginate cosa possiamo fare a voi”. Era questo, secondo Ahamad Rafat, giornalista italo-iraniano che oggi opera a Londra con un’emittente televisiva – Kayhan International – che trasmette il proprio segnale fino in Iran, uno degli obiettivi che Teheran si è prefisso nell’aiutare Hamas a commettere gli orrendi crimini perpetrati lo scorso 7 ottobre in Israele.

È vero che l’Iran sostiene, arma e finanzia Hamas?

Sì. Tre mesi fa la nostra testata ha pubblicato la testimonianza di un giornalista iraniano che aveva scoperto come l’Iran, nel mese di maggio, avesse contribuito a creare due strutture a Gaza: una per il montaggio di droni, tecnologia che il regime padroneggia egregiamente, e una per i missili. A posteriori, questo indica come Teheran stesse preparando questo attacco da molto tempo.

Quindi questa singolare forma di cooperazione tra Iran e Gaza era nota?

Sì, ed è sorprendente che Israele, che a Gaza sorveglia i movimenti anche delle mosche, si sia fatta cogliere impreparata. Viene da pensare.che Shin Bet e Mossad abbiano sottovalutato la minaccia delle migliaia di missili e droni ammassati in questi mesi da Iran e Hamas a Gaza.

Quindi l’appoggio dell’Iran ad Hamas è conclamato.

Certamente. Vorrei ricordare che Ali Khamenei, la guida suprema, si è congratulata con Hamas dopo il blitz, e i capi di Hamas hanno detto che senza l’appoggio dell’Iran questo attacco non sarebbe stato possibile. È difficile d’altronde pensare che un attacco di queste dimensioni sia stato organizzato dalla sola Hamas.

Qual è l’obiettivo politico dell’Iran?

Gli obiettivi sono più di uno. Si trattava innanzitutto di dimostrare la capacità di mettere seriamente a rischio la sicurezza di Israele e dell’intero Medio Oriente. Ma il secondo obiettivo non era meno importante, ed era quello di sabotare il processo di normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita nell’ambito dei famosi accordi di Abramo.

Perché sabotarlo?

Perché si sarebbe trattato di un accordo storico, non paragonabile a quelli che Israele ha già siglato con gli Emirati Arabi Uniti e con il Bahrein. L’Arabia Saudita non è un Paese qualunque ma …

È la custode dei luoghi sacri dell’Islam, ossia Mecca e Medina, dove Maometto fondò quella religione.

Esatto. È proprio per questo che, se Riad acconsentirà a normalizzare i rapporti con Israele, lo farà tutto il mondo arabo. Non stiamo parlando dell’Egitto che riconosce Israele da tempo e che, nonostante la sua importanza, non gode dello stesso prestigio agli occhi dei musulmani di tutto il mondo. Con questo attacco l’Iran ha lanciato un potente messaggio anche all’Arabia Saudita.

Quale?

È una sorta di avvertimento: se possiamo attaccare Israele e metterla in ginocchio, figurarsi cosa possiamo fare all’Arabia Saudita.

A questo punto non è che l’Iran, dopo il primo colpo, ne voglia assestate un altro mobilitando Hezbollah a Nord di Israele?

Quel fronte è già aperto. Sebbene di piccola entità, alcuni attacchi sono già partiti dal Libano innescando la reazione di Israele. Più che di azioni di guerra, si tratta per ora di scaramucce. E qui si evidenzia un altro degli obiettivi che si prefigge l’Iran.

Quale obiettivo?

L’Iran vuole anzitutto essere considerato come il più feroce nemico degli Usa, un nemico con cui bisogna raggiungere un accordo. Teheran sta chiedendo all’America di mollare la presa perché, ricordiamo, il Paese subisce ancora le conseguenze delle sanzioni di Washington, che gli impediscono di commerciare liberamente il suo petrolio. Il messaggio secondario che l’Iran lancia agli Usa è che in qualunque momento è in grado di creare il caos in Medio Oriente, e che le conviene dunque negoziare.

L’Iran insomma aveva molti motivi per sferrare questo attacco.

Oltre a quelli che ho già esposto ce n’è un altro, ossia il fronte interno. Non possiamo dimenticare che il regime khomeinista è stato sfidato dagli stessi cittadini dopo il caso di Mahsa Amini, la giovane iraniana uccisa l’anno scorso dalla polizia morale perché mal velata. Proprio in questi giorni è scoppiato il caso identico di una sedicenne finita in coma perché malmenata dalla polizia morale. Il messaggio che il regime trasmette ora alla propria popolazione con l’attacco a Israele è il seguente: se siamo in grado di massacrare i cittadini dello Stato più potente del Medio Oriente, immaginate cosa possiamo fare a voi.