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6195.- Elezioni in Serbia: ha prevalso un voto di contenimento e resistenza ai diktat occidentali e NATO

Nuova sconfitta per le forze di opposizione filo occidentali e Nato che guadagnano soltanto il 24,23%.

DonetskRussia25 gennaio
L’articolo di attualità a cura di Enrico Vigna, dicembre 2023

Pur tra mille contraddizioni, limiti e gravi incognite sul futuro del paese e della sempre più esplosiva situazione nel Kosovo Metohija, la maggioranza schiacciante è andata ai partiti che hanno finora gestito questa delicata e complessa fase politica interna e internazionale. Mentre le forze filo occidentali e natoidi hanno subito una nuova sconfitta, nonostante gli ingenti investimenti economici e mediatici occidentali. E ora tentano una sorta di rivoluzione colorata/Maidan serba, che è già però fallita nelle piazze.

Il 17 dicembre si sono svolte in Serbia le elezioni parlamentari e locali. Secondo i dati della Commissione elettorale repubblicana del paese, la coalizione del Partito progressista serbo (SPP), al governo in Serbia, con la lista “Aleksandar Vucic – La Serbia non deve fermarsi”, ha vinto le elezioni per il Parlamento della Repubblica avendo ottenuto il 48.02 % dei voti. La coalizione dell’opposizione filo occidentale “Serbia contro la violenza” ha ottenuto il 24.23 %. Al terzo posto si colloca il Partito Socialista Serbo (già in alleanza e nel governo Vucic) con il 6,74 %. Segue NADA/ Alternativa Democratica Nazionale, altra forza di opposizione conservatrice, monarchica ed europeista, con il 5.18 %. La vera sorpresa è stata la lista “NOI. La voce del popolo” guidata dallo stimato dottor Branimir Nestorovic con il 4.82 %, una nuova formazione che si colloca criticamente su alcuni aspetti, ma rifiuta fermamente ingerenze e pressioni per la svendita del paese a interessi stranieri e difende la sovranità nazionale. Oltre alle liste delle minoranze nazionali.
Oltre alle elezioni anticipate del parlamento nazionale, si sono svolte anche elezioni comunali in 65 città e regioni, tra cui Belgrado e la regione autonoma della Vojvodina . Al voto hanno partecipato 6.500.666 elettori registrati, quasi il 60% degli aventi diritto. Ovunque i risultati hanno rispecchiato le elezioni nazionali.

Il 1° novembre il presidente serbo Aleksandar Vucic aveva annunciato lo scioglimento dell’Assemblea nazionale della Serbia e fissato elezioni parlamentari anticipate, sotto la spinta dell’opposizione legata all’occidente, che pensava ad un crollo delle forze di governo.Molto importanti e significativi sono stati i risultati degli elettori del Kosovo, che è il cuore di tutte le problematiche statali e di politica internazionale della Serbia in questa fase. Una questione che riguarda il futuro e il destino della stessa Repubblica Serba.
La lista “Aleksandar Vucic – La Serbia non deve fermarsi” ha ottenuto il 71,56% dei voti dei serbi del Kosovo, nel 2022 aveva ottenuto il 64,04. Il secondo partito più grande tra i serbi in Kosovo, in termini di voti, è il Partito socialista serbo, che ha raccolto il 9,42% dei voti. L’Assemblea nazionale (Dveri e Oathkeepers) ha ottenuto il 2,69%, mentre la coalizione NADA, composta dal Partito della Nuova Democrazia serba e dal Movimento per la restaurazione del Regno di Serbia, ha ottenuto 3,78 voti. La coalizione “Serbia contro la violenza” ha ottenuto il 4,36%, mentre la lista “Noi – la voce del popolo”, guidata dal dottor Nestorovic, ha ricevuto il 2,42%, ovvero 579 voti dai serbi del Kosovo. Tutte le altre liste hanno ottenuto meno dell’1% dei voti.Il giorno dopo le elezioni con i serbi del Kosovo: abbiamo dimostrato che siamo uniti nonostante tutte le sfide
Il giorno dopo, i residenti di Strpce hanno dichiarato a Kosovo Online di essere soddisfatti dei risultati elettorali e di aspettarseli. Aggiungono che è positivo che i risultati delle votazioni siano andati così.
“Vengo dal Kosovo, attualmente non vivo in Kosovo, ma penso che sia una cosa buona. La gente è interessata a vivere meglio e ad essere una nazione serba unita”, dice un residente, mentre un altro aggiunge che i risultati elettorali riflettono effettivamente la volontà del popolo .
“Probabilmente è l’espressione della volontà popolare, non possiamo giudicarla in un modo o nell’altro. Il popolo ha deciso così e ha votato così”.
Sebbene alcuni credano che “tutto tornerà come prima perché ha vinto lo stesso partito”, secondo un residente questi risultati elettorali significano molto per i serbi del Kosovo.
“Bene, significa molto ed è molto meglio per la Serbia”, dicono.
Il fatto che a queste elezioni abbia partecipato un numero maggiore di serbi del Kosovo e di Metohija rispetto all’anno scorso è un chiaro messaggio, nonostante tutte le sfide che abbiamo dovuto affrontare nel frattempo, che i serbi non solo vogliono partecipare al processo elettorale ma indicano anche che tipo di politica sostengono, ha detto Dalibor Jevtic, vicepresidente della Lista Serba, in un’intervista a Kosovo Online.

Un altro messaggio è che come popolo siamo uniti nonostante tutte le sfide che affrontiamo, e penso sia fondamentale sottolinearlo perché l’unità è qualcosa di cui abbiamo bisogno, e quell’unità, nelle attuali condizioni in cui viviamo sul territorio del Kosovo e Metohija, ci sostiene. Inoltre, un messaggio molto importante è che, nonostante la repressione che subiamo come popolo, crediamo ancora solo nel nostro Stato, lo Stato della Serbia”, valuta Jevtic.
Lui ha aggiunto che i messaggi sono diretti a tutti coloro che fanno parte dell’agenda delle pressioni sui serbi nella regione del Kosovo e Metohija.
“E tutti coloro che credevano, applaudivano, volevano qualcosa di diverso, ora hanno ricevuto un messaggio molto chiaro che ciò in cui credono i serbi in Kosovo e Metohija è il presidente Aleksandar Vucic e lo Stato della Serbia, e non c’è alcuna pressione che cambierà la nostra fede e fiducia”, ha concluso Jevtic.
Il capo della circoscrizione del Kosovo e vicepresidente della Lista serba, Srdjan Popovic, ha sottolineato che i serbi del Kosovo hanno dimostrato di non soccombere alle pressioni di Pristina e credono che la politica del presidente serbo Aleksandar Vucic porterà alla pace e alla stabilità. . Lui ha sottolineato online a Kosovo che i serbi del Kosovo hanno dimostrato unità, cosa che obbliga i rappresentanti politici a lavorare ancora di più e meglio in futuro.
“Ancora una volta abbiamo dimostrato l’unità dei serbi nella regione del Kosovo e Metohija. Questi buoni risultati ci obbligano a lavorare ancora di più e meglio per ogni individuo, per ogni famiglia che vive nella regione del Kosovo e Metohija. I serbi di queste zone hanno dimostrato ancora una volta di non soccombere alle pressioni, alle violenze e alle persecuzioni di Pristina, come hanno dimostrato le elezioni di ieri, alle quali hanno partecipato in gran numero i serbi del Kosovo e di Metochia”, ha detto Popovic.
Anche a Mitrovica Nord non ci sono sorprese dopo le elezioni. I cittadini intervistati da Kosovo Online esprimono grande soddisfazione per i risultati.

6008.- Perché la situazione nei Balcani è critica. Parla Lord Peach (inviato britannico)

Stranamente, Lord Peach non nomina l’influenza della Turchia nei Balcani e la concessione fatta a Erdoğan di schierare 500 soldati in Kosovo.

Da Formiche.net, di Gabriele Carrer, 22/10/2023

Perché la situazione nei Balcani è critica. Parla Lord Peach (inviato britannico)

“Dobbiamo incoraggiare un ritorno al dialogo interstatale e alla normalità”, spiega l’ex capo della difesa di Londra sottolineando l’importanza del rapporto anglo-italiano in materia di sicurezza. “I miei più calorosi auguri”, aggiunge, all’ammiraglio Cavo Dragone che prenderà il posto di presidente del Comitato militare Nato da lui occupato dal 2018 al 2021.

“La situazione nella penisola balcanica è estremamente critica”, dice Lord Peach, inviato speciale per i Balcani occidentali del primo ministro britannico. Royal Air Force, già capo della difesa britannica dal 2016 al 2018 presidente del Comitato militare Nato dal 2018 al 2021, Lord Peach, Stuart William Peach, parla con Formiche.net delle sfide nella regione, del mondo in disordine e del rapporto bilaterale tra Italia e Regno Unito.

Come affrontare le sfide nella regione?

Dobbiamo lavorare come comunità internazionale, con i nostri amici e partner, in particolare con il Regno Unito e l’Italia. Voi siete Paesi vicini e il Regno Unito è molto sensibile al tema della sicurezza e della difesa. Dobbiamo incoraggiare un ritorno al dialogo interstatale e alla normalità, anche con l’Unione europea, con il sostegno degli Stati Uniti e del Regno Unito. Non dobbiamo tornare alle divisioni degli anni Novante e a tutte le difficoltà sulle questioni etniche che abbiamo visto in quel conflitto. È quindi giusto prestare attenzione alla regione e sostenere la Nato e la sua missione in Kosovo. In questo senso, mi congratulo in particolare con la leadership del generale Angelo Michele Ristuccia che ha passato il consegnato della Kfor, la più grande missione di peacekeeping Nato su mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Allo stesso modo, il Regno Unito continuerà a sostenere un contesto di sicurezza in Bosnia-Erzegovina. Sosteniamo fortemente l’Ufficio dell’Alto Rappresentante e l’Alto Rappresentante stesso, Christian Schmidt. È importante mostrare solidarietà con i nostri amici e alleati europei e sostenere le missioni dove esistono, perché sono necessarie più che mai per garantire un ambiente sicuro e protetto, per evitare che i Balcani tornino a essere quelli di un tempo.

Come possono lavorare assieme Unione europea e Nato?

È importante non vederla come una competizione tra l’Unione europea e la Nato. È un luogo di cooperazione. La missione in Bosnia-Erzegovina è guidata dall’Unione europea ma è sostenuta dalla Nato. È una missione Berlin Plus. Non è una competizione. L’obiettivo è sostenere un contesto di sicurezza, in modo che il popolo della Bosnia-Erzegovina possa realizzare la democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani e possa effettivamente entrare a far parte della famiglia dell’Unione europea attraverso l’adesione. E il governo del Regno Unito sostiene questo obiettivo.

Qual è la situazione nella regione?

La situazione è sempre determinata dagli eventi e dall’ambiente esterno. E noi continuiamo a chiedere il dialogo ogni volta che accade un evento che crea difficoltà in qualsiasi Paese si trovi. Nello specifico, continuiamo a condannare i recenti attacchi nel nord del Kosovo, assicurandoci che le indagini della polizia proseguano e che si continui a sostenere lo stato di diritto e lo sviluppo delle forze di polizia, senza necessariamente cercare di sostituire le forze militari. È un punto molto importante: dobbiamo tornare alla normale attività di polizia.

Definirebbe lo scenario attuale come “poli-crisi”?

Non voglio entrare in un vero e proprio dibattito intellettuale sul tipo di mondo in cui ci troviamo. Uso la parola “disordine” perché non tutte le crisi sono nuove, molte esistono da decenni. E molte di esse si scaldano e si raffreddano, si riscaldano e si raffreddano. Capisco che molti think tank, giornalisti e commentatori amino coniare nuove espressioni. Io mi limito a osservare che il mondo è in grande disordine. Per questo, abbiamo bisogno che i nostri amici rimangano uniti e cerchino di fare del loro meglio per ripristinare la pace e la sicurezza ovunque sia possibile.

L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, attuale capo di stato maggiore della Difesa, sarà il prossimo presidente del Comitato militare Nato. Un consiglio da ex?

Siamo vecchi amici. Mi limito ad inviargli le mie più vive congratulazioni e i miei più calorosi auguri in qualità di ex presidente del Comitato militare. Sono molto orgoglioso di aver deciso di cambiare il titolo da “chairman” a “chair” per dimostrare come l’alleanza continui a modernizzarsi. Mi congratulo con l’Italia per la sua prossima presidenza e spero di incontrare nuovamente l’ammiraglio nel suo attuale e importantissimo lavoro di Capo di Stato Maggiore della Difesa. E vorrei sottolineare che sulle questioni di sicurezza difensiva il Regno Unito e l’Italia sono molto vicini e ottimi partner, ora e in futuro. Il clima di amicizia e cooperazione tra il Regno Unito e l’Italia sui temi della difesa e della sicurezza è davvero importante.

5929.- Banjska, punto di non ritorno nella tensione fra Serbia e Kosovo?

Il Kosovo era serbo e vi coesistevano i serbi e gli albanesi, non più minoranza. Ibrahim Rugova, leader di questi ultimi, chiedeva l’autonomia e basta. Poi, l’etnia albanese è stata armata dalla NATO, quindi, è stato invaso dagli albanesi provenienti dall’Albania; ai serbi più fortunati non rimase che la fuga e, ora, non è più serbo. Tocca alla NATO chiudere i conti.

Da Formiche.net, di Francesco De Palo | 25/09/2023

Banjska, punto di non ritorno nella tensione fra Serbia e Kosovo?

Una soluzione definitiva, anche con la responsabilità assunta da un Paese forte, non sembra più procrastinabile, dal momento che già l’Ue deve affrontare il protrarsi della guerra in Ucraina, le fibrillazioni in Nagorno-Karabah e le conseguenze (anche geopolitiche) della crisi energetica. Un altro fronte irrisolto sarebbe troppo

Ieri una sparatoria tra la polizia e uomini armati di etnia serba, con 4 morti. Oggi l’intervento dei blindati per mettere in sicurezza e perquisire un villaggio nel nord del Kosovo. Banjska può rappresentare il punto del non ritorno della tensione fra Serbia e Kosovo: lo scontro tra la polizia e il gruppo che si era barricato in un monastero serbo-ortodosso arriva dopo un lungo braccio di ferro tra le due parti, invitate dall’Ue a rientrare in una fase di normalità politica e sociale. Ma le ferite della guerra nella ex Jugoslavia continuano ad essere preda di attenzioni esterne, che investono tempo e risorse anche al fine di destabilizzare l’Ue.

Gli arresti

I tre serbi erano stati arrestati in Kosovo mercoledì scorso con l’accusa di aver commesso crimini di guerra. Vucic subito aveva invitato tutti i rappresentanti internazionali a reagire, “a fare tutto ciò che è in loro potere affinché i serbi possano sopravvivere sul territorio del Kosovo e Metohija, affinché le persone che non sono colpevoli di aver fatto nulla a nessuno vengano rilasciate nelle loro case”. Tra l’altro la questione era stata sollevata anche all’Assemblea generale dell’Onu a New York, nelle stesse ore in cui la polizia kosovara teneva i tre in custodia cautelare: tra loro pare ci fosse anche un uomo anziano, malato di cancro, oltre ad un ex poliziotto e sfollato, arrestato nel comune di Zvecan.

Una soluzione definitiva, con anche la responsabilità assunta magari da un Paese forte, non sembra più procrastinabile, dal momento che già l’Ue deve affrontare il protrarsi della guerra in Ucraina, le fibrillazioni in Nagorno-Karabah e le conseguenze (anche geopolitiche) della crisi energetica. Un altro fronte irrisolto sarebbe troppo.

Lo scontro

Nonostante la comunità albanese sia di fatto maggioranza dei quasi 2 milioni di abitanti del Kosovo, la comunità serba che vive nella parte settentrionale non accetta la dichiarazione di indipendenza del Kosovo del 2008 e considera Belgrado capitale. Il primo ministro del Kosovo Albin Kurti ha accusato la Serbia di finanziare e inviare uomini armati in Kosovo, mentre Aleksandar Vucic, presidente serbo, ha negato le accuse. Nel mezzo il numero uno della politica estera europea, Josep Borrell, secondo cui è di primaria importanza normalizzare i legami tra Serbia e Kosovo, accusando Kurti di non aver preso provvedimenti per dare ai serbi maggiore autonomia. Ma secondo il ministro degli Esteri del Kosovo, Donika Gervalla-Schwarz, Borrell non esprime sostegno alla polizia né definisce gli aggressori “terroristi”.

Inoltre la politica del governo del Kosovo di affermare l’autorità su tutto il Paese ha provocato la reazione dei serbi in loco che pretendono anche maggiore autonomia. In precedenza i rappresentanti serbi nel nord del Paese si erano dimessi per protestare contro il divieto delle targhe emesse dalla Serbia, ma alle elezioni locali della scorsa primavera si è verificato il boicottaggio da parte della maggioranza della popolazione serba. Con meno del 4% di affluenza sono stati eletti alcuni sindaci di etnia albanese.

Qui Roma

Della questione hanno discusso al telefono il vice presidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani, il Presidente della Repubblica di Serbia, Aleksandar Vučić, e con il Primo Ministro del Kosovo, Albin Kurti. “L’Italia segue con forte preoccupazione i recenti sviluppi nel nord del Kosovo e condanna con la massima fermezza l’attacco armato contro la Polizia kosovara perpetrato nella notte tra sabato e domenica, che è costato la vita a un agente” ha commentato Tajani, aggiungendo che “d’intesa con il Ministro della Difesa Guido Crosetto, siamo disposti a valutare proposte di rafforzamento del dispositivo della Kfor. Faremo di tutto per favorire presenza anche ai confini, per evitare nuovi scontri”.

Il vice premier ha ribadito che “l’Italia resta impegnata in prima linea per la stabilità dei Balcani e per la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo”. L’obiettivo è dare piena e immediata attuazione a quanto richiesto il 19 settembre dagli Stati membri Ue con dichiarazione rilasciata dall’Alto Rappresentante Borrell. “Il controllo delle frontiere tra Kosovo e Serbia è un impegno dell’Italia. L’Italia vuole la pace”, ha ribadito Tajani.

5671.- C’è chi vuole la guerra in Europa e solo in Europa

Per l’ambasciatore russo a Belgrado è in corso un tentativo di colpo di stato in stile Maidan

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L’ambasciatore russo in Serbia Alexander Botsan-Kharchenko ha lanciato alcune drammatiche accuse contro l’Occidente in relazione sia alla guerra in Ucraina che alle tensioni e agli scontri in corso nel nord del Kosovo, che è stato al centro dell’attenzione dei media internazionali.

L’ambasciatore russo ha affermato che gli oppositori del presidente serbo Aleksandar Vucic stanno tramando e tentando di organizzare un “colpo di stato in stile Maidan” nella capitale serba di Belgrado. La sua scelta di parole implicava che l’Occidente fosse coinvolto a un certo livello.

Usando una terminologia familiare nelle descrizioni del Cremlino di ciò che la NATO sta facendo in Ucraina, l’Amb. Botsan-Kharchenko ha dichiarato: “Questo fa parte della guerra ibrida . Vorrei sottolineare che le forze anti-Belgrado hanno agito in modo quasi sincrono; operano su due fronti: questa è la situazione in Kosovo e i tentativi di un colpo di stato di Maidan qui, a Belgrado.”

Grandi proteste serbe contro la violenza armata e la cattiva gestione del governo a maggio. Afp/Getty Images

Le parole del funzionario russo si riferivano anche alle recenti proteste antigovernative su larga scala all’interno della Serbia, alcune delle quali si sono radunate domenica davanti all’edificio dell’emittente nazionale serba a Belgrado.

Queste sono state pubblicizzate come “proteste per la pace”, ma secondo i media regionali hanno progressivamente assunto un carattere antigovernativo e slogan antigovernativi. Alcuni di loro sono avvenuti con slogan come “Serbia contro la violenza” – e si sono concentrati sulla violenza armata sulla scia delle recenti sparatorie di massa nelle scuole in Serbia – una rarità per la storia recente del paese.

Le proteste sono andate forte da metà maggio e le persone sono arrabbiate per quella che vedono come una cattiva gestione da parte del governo delle recenti crisi :

Decine di migliaia di persone hanno marciato attraverso Belgrado, bloccando un ponte chiave nella seconda grande protesta dopo le due sparatorie di massa che hanno sconvolto  la Serbia  e  causato la morte di 17 persone, tra cui molti bambini.

I manifestanti si sono riuniti venerdì davanti al palazzo del parlamento prima di presentarsi al quartier generale del governo e su un ponte autostradale che attraversa il fiume Sava, dove i pendolari serali dovevano girare i loro veicoli per evitare di rimanere bloccati. In testa alla colonna c’era uno striscione nero con la scritta “Serbia contro la violenza”.

Mentre i manifestanti passavano davanti agli edifici governativi, molti cantavano slogan che denigravano il presidente populista della Serbia, Aleksandar Vučić , che accusano di aver creato un’atmosfera di disperazione e divisione nel paese che, secondo loro, ha portato indirettamente alle sparatorie di massa.

Inoltre, la TASS russa ha descritto quanto segue delle recenti proteste in Serbia :

La prima manifestazione è stata abbastanza pacifica, praticamente senza slogan antigovernativi. La gente si stava semplicemente radunando in silenzio davanti all’edificio parlamentare. Durante la seconda manifestazione, i manifestanti hanno bloccato un ponte sul fiume Sava e scandito slogan antigovernativi. Anche la terza manifestazione ha avuto carattere antigovernativo. Secondo il ministero degli interni serbo, a queste manifestazioni hanno preso parte più di 11.000 persone .

La Serbia è stata a lungo un fedele alleato della Russia, tuttavia, recentemente ci sono state distanze e tensioni dovute alla guerra in Ucraina. Tuttavia, Belgrado è generalmente vista in Occidente come più orientata verso la Russia. Resta che entrambi i paesi slavi hanno da tempo condannato ciò che vedono come aggressione ed espansione della NATO, in particolare dopo la campagna di bombardamenti USA-NATO del 1999 su Belgrado.

La stessa popolazione serba tende anche a partecipare di tanto in tanto a grandi manifestazioni contro le politiche della NATO e degli Stati Uniti. In particolare, il popolo serbo rifiuta il riconoscimento statunitense e internazionale del Kosovo come nazione sovrana , dato che storicamente era un cuore di etnia serba e cristiana ortodossa. Questa settimana, il presidente Vucic ha ordinato alle truppe serbe di raggiungere il confine con il Kosovo tra disordini e una situazione imprevedibile, anche perché ha condannato il governo del Kosovo per aver represso la minoranza serba lì.

L’articolo Per l’ambasciatore russo a Belgrado è in corso un tentativo di colpo di stato in stile Maidan proviene da Blondet & Friends.

5561.- L’occasione d’oro dei porti italiani.

Report Cdp

Pure senza contare la sempre più vicina apertura delle rotte artiche, l’auspicato rafforzamento dei traffici nel bacino mediterraneo deve fare i conti con gli investimenti nelle infrastrutture, sopratutto, con la concorrenza della Cina e con le sue crescenti influenze. Dal 2016, la Cina, attraverso la statale COSCO Shipping, controlla il Pireo, il più grande porto greco. Il Pireo è fondamentale per la Belt and Road Initiative (BRI), che garantisce alla Cina una posizione di dominio nelle infrastrutture di trasporto europee, costruita attraverso gli investimenti nelle reti ferroviarie. Le società cinesi hanno fornito un ingente supporto tecnico e finanziario allo sviluppo delle ferrovie della Serbia, dell’Ungheria e della Turchia. L’argomento chiama alla riflessione sulla rilevanza delle politiche di penetrazione cinesi nei mercati euro mediterranei, che richiedono attenzione non solo dal punto di vista commerciale. C’è molto da riflettere sul rinnovo dell’accordo Italia-Cina. Per esempio, in Germania, alla fine del 2022, con una inversione inattesa di tendenza, è stato classificato “critico” l’ingresso della società statale cinese Cosco in un terminal container del porto di Amburgo, che, perciò, riceverà una protezione speciale. Ecco che la geopolitica ha fatto capolino nell’accordo fra Hamburger Hafen und Logistik e Cosco e, più in generale, nei rapporti commerciali e politici con Stati autoritari. Ragionamenti simili possono farsi per il porto di Salonicco, centrale per le dinamiche eurobalcaniche, il cui controllo è ora nell’orbita dell’uomo più ricco della Grecia, l’oligarca ellino-russo Ivan Savvidis, che rappresenta gli interessi della Federazione Russa. C’è una forte partecipazione cinese (33%) nel consorzio guidato da Ivan Savvidis. Salonicco potrebbe diventare una spina nel fianco dell’alleanza greco-americana in un’area sensibile, dal momento che vi transitano i gasdotti Tap e Tanap. Con una Salonicco russo- cinese anche gli auspici del ministro Urso sul futuro del porto di Trieste potrebbero venir meno.

Veduta aerea del porto di Salonicco

I porti italiani hanno subito in particolare la competizione del Pireo, degli scali spagnoli (Valencia e Algeciras) e di quelli nord-africani di Port Said e Tanger Med, che hanno sensibilmente migliorato il loro posizionamento all’interno del network del commercio internazionale.

Tuttavia, il riassetto degli equilibri commerciali e industriali apre a nuovi scenari rispetto ai quali la portualità italiana si trova ben posizionata.

La regionalizzazione degli scambi e delle filiere produttive, infatti, non potrà che riflettersi in un rafforzamento del traffico marittimo intra-mediterraneo. Ciò accentuerà la rilevanza del posizionamento strategico dell’Italia, candidata naturale al ruolo di hub logistico per i flussi commerciali tra Nord Africa ed Europa continentale.

L’ECCELLENZA ITALIANA NELLO SHORT SEA SHIPPING

In questa prospettiva assume grande rilievo la leadership che i porti italiani hanno saputo sviluppare nell’ambito del traffico marittimo a corto raggio (c.d. short sea shipping), una modalità di trasporto pienamente in linea con le esigenze del commercio regionale.

Si tratta di un settore nel quale l’Italia può far valere una posizione di eccellenza, essendo il primo Paese in Europa per volume di merci movimentate, con una quota di mercato pari al 14% del totale, davanti a Paesi Bassi 13,5%, Spagna 10% e Francia 7%.

IL RO-RO

Un segmento particolarmente rilevante nell’ambito dello short sea shipping è quello del Ro-Ro, nel quale l’Italia vanta un primato assoluto: 7 dei primi 10 porti Ro-Ro europei del Mediterraneo, sono ubicati in Italia.

Il Ro-Ro costituisce una leva importante per cogliere le opportunità legate alla rimodulazione dei flussi commerciali: la sua natura intrinsecamente intermodale, che permette di combinare trasporto marittimo e stradale/ferroviario, gli conferisce infatti un elevato grado di flessibilità rispetto all’evoluzione della domanda.

5022.- 24 Marzo 1999 – 24 Marzo 2022: “NOI NON DIMENTICHIAMO”.

Dicono che l’aeronautica italiana, terminate le munizioni, sganciò anche i residuati della Seconda Guerra Mondiale. Quando tacquero le armi, visitai alcune infrastrutture e installazioni colpite e percorsi in lungo e in largo il Kosovo ancora fumante. I blindati e gli automezzi mitragliati o distrutti erano quasi tutti Iveco. Ci eravamo mitragliati da soli. Intorno a un aeroporto vi erano carri armati, apparentemente, intatti, ma bruciati all’interno. Lì, raccolsi ed esaminai uno strano proiettile sparato dagli aeroplani. Era all’uranio impoverito, come sapemmo dalle immagini ricevute solo dopo alcuni giorni e rilasciava particelle Alfa.

L’articolo di attualità a cura di Enrico Vigna, 24 marzo 2022


“Ho appena dato mandato al comandante supremo delle forze alleate in Europa, il generale Clark, di avviare le operazioni d’aria (ndt: bombardamenti aerei…) sulla Repubblica Federale di Jugoslavia…Tutti gli sforzi per raggiungere una soluzione politica negoziata alla crisi del Kosovo sono falliti e non ci sono alternative all’intraprendere l’azione militare…”.
Così, il 23 marzo 1999, l’allora Segretario generale della NATO J. Solana, davanti ai mass media del mondo, decretava l’inizio della fine della “piccola” Jugoslavia e del popolo serbo in particolare.
Questa aggressione è stata la prima guerra sul suolo europeo condotta dalla fine della seconda guerra mondiale. Mentre le bombe e i missili lanciati dalla più potente macchina militare nella storia della civiltà, erano impegnati a distruggere un piccolo paese europeo, hanno anche distrutto il sistema di sicurezza europeo e globale, basato sulla Carta delle Nazioni Unite, l’Atto fondante dell’OSCE e la Carta di Parigi. Ancora oggi l’Europa e il mondo subiscono le gravi conseguenze di quella distruzione. Nel processo, la NATO si alleò con il cosiddetto UCK, una formazione separatista-terrorista, come corpo di fanteria, alimentando così il separatismo e il terrorismo.

Ero a Tirana, come consulente per quel governo, pochi mesi prima della guerra e, al sabato sera, gli albanesi mi portavano a vedere i camion che caricavano armi da portare al Nord, in Kosovo. A dirigere le operazioni di carico erano due americani, miei compagni a ora di cena. Erano lì come esperti di agricoltura, ma uno sapeva tutto dell’aereo rifornitore, che ben conoscevo e l’altro dell’elicottero da attacco. Al tempo, i kossovari di lingua albanese, di Ibrahim Rugova, chiedevano soltanto l’autonomia.


L’inizio dell’aggressione della NATO del 1999 contro la piccola Jugoslavia (la RFJ), è un’altra occasione per ricordare i crimini e le atrocità documentate e per ricordare ai popoli, in particolare ai giovani, gli orrori e i danni causati dall’aggressione, nonché le conseguenze di cui molti aspetti devono ancora essere risolti oggi. Quel precedente di aggressione eseguita senza l’approvazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU è poi stato riutilizzato nelle successive aggressioni in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria. L’aggressione della NATO contro la RFJ nel 1999 è stata un trampolino di lancio per dare vita alla strategia di espansione militare verso est, sempre più vicino ai confini russi, circondandola di basi militari, che è la causa principale della crisi ucraina.
È cinismo portato all’estremo, accusare altri paesi di crimini che i principali stati della NATO hanno continuamente commesso negli ultimi 30 anni. Sarebbe meglio invece di accusare gli altri, si fermassero un momento e ricordassero i propri misfatti, si pentissero e rimediassero a tutte le ingiustizie che hanno fatto in Jugoslavia e in tutti gli altri paesi, in Iraq, Afghanistan, Siria, Libia, Yemen e altri.
Oggi, mentre il mondo si avvicina ancora una volta al rischio di un conflitto nucleare, sarebbe più importante che mai, che l’opinione pubblica occidentale, comprenda e rifiuti le politiche auto distruttive e non pacificatorie dei propri governi, che rischiano di trascinare il mondo in un abisso. Potrebbe essere utile per capire alcune strategie, citare Macchiavelli, il quale in tempi lontani già considerò: «Non colui che per primo imbraccia le armi è istigatore di un disastro, ma colui che lo costringe».
Per avere un futuro degno di essere vissuto, c’è bisogno, oggi più che mai, di politiche volte ad eliminare le cause dei conflitti nel mondo. Il presupposto per fare questo sta nel perseguire un ordine di pace multipolare, in cui provocazioni, complotti e accordi segreti non devono essere pianificate e avere posto. 
Oggi ci auguriamo in una riduzione dell’escalation militare il prima possibile. Ma ciò sarà
possibile solo se la storia e gli avvenimenti internazionali ed i loro conflitti dal 1990, saranno indagati con onestà intellettuale e storica.
Anche Max K. E. L. Planck, fondatore della fisica quantistica, può aiutare e darci alcuni ammonimenti: “Il pericolo più grande oggi, sono coloro che non vogliono ammettere, che l’epoca che sta nascendo è profondamente diversa dal passato. Con i concetti tradizionali
non saremo in grado di far fronte a questa nuova situazione. Il fallimento del concetto tradizionale di guerra, attacco e difesa è evidente. Senza ripensamenti, non c’è via d’uscita dal pericolo.”

SI’ alla Pace per TUTTI i popoli. NO alla NATO e all’egemonismo unipolare.

L’aggressione alla Repubblica Federale di Jugoslavia/ Serbia…fu motivata dalla necessità di fermare una “pulizia etnica”, un “genocidio” e ripristinare i “diritti umani” nella provincia kosovara. Perché queste furono le tre basi fondanti su cui la cosiddetta Comunità Internazionale: cioè gli otto paesi più ricchi della Terra, cioè il loro braccio armato, la NATO (in quanto i governi dei 2/3 dell’umanità tra voti contrari e astensioni, erano contrari alla guerra) hanno decretato l’aggressione alla Jugoslavia il 24 marzo 1999.
La realtà storica sul campo è esattamente il contrario delle verità ufficiali raccontate dalla NATO, dall’UNMIK, dall’OSCE o dalla cosiddetta Comunità Internazionale.

Ricordo bene le colonne di nullatenenti albanesi che risalivano verso il Kosovo, spacciati dai media per profughi in fuga e che, invece, andavano ad occupare case e aziende dei serbi. Ricordo una colonna di auto serbe con i segni delle raffiche dei mitra, le spoglie delle famiglie ancora all’interno, le masserizie sui tetti e, poi, i cadaveri all’ultimo piano di un’albergo di Pec, nella piscina interna e nelle celle frigorifere della cucina, galleggiavano nelle vasche di un’azienda vinicola. All’alba, i corvi si alzavano in volo per banchettare. Erano così tanti che il battere delle loro ali faceva aprire la finestra senza più serratura. Fece scalpore un attacco in un paese in cui i serbi fecero molte vittime. Nessuno raccontò che il giorno prima i ribelli erano entrati nel liceo del paese, ammazzando gli studenti. E, poi, tante immagini orrende che vorrei dimenticare. La guerra rende l’uomo peggiore delle bestie. Per questo ne abbiamo abbastanza della vostra democrazia.

Dopo 22 anni ancora non sono stati documentati e provati la cosiddetta “pulizia etnica”, il 
“genocidio”, “le fosse comuni” con le decine di migliaia di albanesi kosovari dentro!
Quando, secondo i documenti CIA, FBI, OSCE, Unmik, NATO….a tutt’oggi:
sono stati ritrovati 2108 corpi di tutte le etnie; secondo l’UNCHR i primi profughi sono stati registrati il 27 marzo 1999, cioè 3 giorni dopo l’inizio dei bombardamenti;
sono stati uccisi dal giugno ’99 in poi 3.000 serbi, rom, albanesi jugoslavisti, e di altre minoranze; sono stati rapiti 1300 serbi; oggi si sa (tramite le memorie della ex procuratrice del tribunale dell’Aja per la Yugoslavia, Carla Del Ponte) che loro sapevano dei 300 serbi rapiti dalle forze terroriste dell’UCK portati in Albania per estirpare loro gli organi ad uno ad uno.

“Ora viviamo come in gabbia, prigionieri, ma gli stranieri dicono che siamo liberi…”. Jovan 10 anni, enclave di Gorazdevac, Kosovo

24 marzo 2021 – Anniversario dell’aggressione della NATO alla Repubblica Federale Jugoslava
Il 24 marzo, ricorrono 23 anni dall’inizio dell’aggressione NATO alla Repubblica Federale di Jugoslavia. Durante questa aggressione, che è durata 78 giorni, migliaia sono state le vittime, un gran numero sono state feriti e resi invalidi permanentemente.
Durante l’aggressione NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia dal 24 marzo al 10 giugno 1999, l’aviazione della NATO ha effettuato migliaia di attacchi, bombardando civili e obiettivi non militari.
Molti bambini sono periti durante questi attacchi, e sono anche morti molti malati ricoverati negli ospedali, passanti, persone nelle strade, nei mercati, nelle colonne dei profughi.
Sono stati distrutti ospedali, abitazioni, scuole, ponti, chiese, monasteri.
Questi attacchi sono stati cinicamente definiti dagli ufficiali della NATO come danni collaterali, benché si trattasse di attacchi il cui obiettivo era di distruggere il morale della popolazione con l’intimidazione intenzionale come strumento.
Come esseri umani e come persone coscienti, abbiamo un obbligo morale di rendere omaggio a queste vittime e a tutte le altre vittime dell’aggressione.
In questa lunga lista di vittime menzioniamo la piccola Milica Rakic, una bimba di 2 anni della periferia di Belgrado, così come le piccole vittime del bombardamento della sezione infantile dell’ospedale Misovic a Belgrado e molti altri.
La rete stradale e ferroviaria furono distrutte, altrettanto un gran numero di fabbriche, di scuole, ospedali, installazioni petrolchimiche, di monumenti e siti culturali.
Il danno diretto è stato stimato in 100 miliardi di dollari americani.
Intere regioni della Serbia e in particolar modo, il Kosovo sono stati inquinati a causa dell’uso dell’uranio impoverito, provocando tutt’oggi decine di migliaia di morti, compresi centinaia di soldati italiani.
Le conseguenze per la popolazione e soprattutto per i nuovi nati si manifestano in malformazioni che si acutizzano con il passare del tempo. Decine di migliaia di serbi resistenti, continuano a vivere in enclave, tuttora protetti per evitare violenze ed assalti.
L’aggressione della NATO contro la R.F. di Jugoslavia ha rappresentato un colpo senza precedenti all’ordine giudiziario internazionale, ai principi delle relazioni internazionali e alla carta delle Nazioni Unite.
A seguito delle motivazione e delle sue conseguenze, quest’aggressione ha rappresentato il primo avvenimento globale più importante dopo la Seconda Guerra Mondiale, poi abbiamo visto con le aggressioni a seguire ad altri popoli, che fu un laboratorio. 
Quella aggressione contro la Jugoslavia ha lastricato la strada per l’utilizzo unilaterale della forza nelle relazioni internazionali ed ai successivi attacchi all’Afghanistan, all’Iraq, alla Siria, alla Libia e in questi mesi i venti di guerra sono in Ucraina, ai confini della Russia.  
Durante quella aggressione fu realizzata una stretta alleanza tra la NATO e l’organizzazione terroristica, chiamata Armata di Liberazione del Kosovo (UCK), garantendo a questi ultimi la trasformazione da terroristi a governanti dell’attuale stato fantoccio del Kosovo.
Le conseguenze di questa alleanza si sono continuate a manifestare fino ad oggi, attraverso la continuazione di forme di intimidazione e terrorismo contro la popolazione serba ed ogni altra popolazione non albanese in Kosovo e Metohija; tra cui anche attacchi e distruzioni di monumenti della cultura cristiana, antifascista e jugoslavista.
Perché l’Europa è indifferente nei confronti di tutto ciò ? I Balcani, la Serbia e i paesi della regione necessitano di pace, di stabilità e di sviluppo, ma pretendono anche verità e giustizia.
Tutto ciò è possibile solo nel rispetto delle risoluzioni dell’ONU, sancite tra le parti nel 2000, alla cessazione dei bombardamenti, in particolare la Risoluzione 1244 che assicurava le garanzie ed i diritti uguali per tutte le popolazioni dell’area.
MA ESSA E’ TUTTORA CALPESTATA E RIMOSSA.


Enrico Vigna 23 marzo 2022, portavoce del Forum Belgrado per Italia e
Presidente di SOS Yugoslava – SOS Kosovo Metohija Italia