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6080.- Il papà di Giulia: “L’amore vero non umilia, non picchia, non uccide” 

Meglio una legge che la famiglia? Schlein: “Facciamo fare un passo in avanti al paese. Basta patriarcato”, “subito una legge nelle scuole”. Immediato il tentativo di sostituire lo Stato alle famiglie. Sappiamo bene quale amore sia coltivato dalla sinistra e cosa vorrebbero insegnare nelle scuole.

La segretaria del Pd parla di “cultura tossica del patriarcato e della sopraffazione” che “ha attecchito anche nei più giovani. Se non ci occuperemo di educazione al rispetto e all’affettività sin dalle scuole non fermeremo mai questa mattanza. E non basterà mai aumentare solo leggi e punizioni che intervengono dopo le violenze già compiute: serve l’educazione, serve la consapevolezza”.

La legge non sostituirà mai la famiglia. Ma quale patriarcato? Perché non chiamare in causa anche il possesso delle matriarca sui figli maschi? L’orrore non concede di chiamare vittime entrambi questi nostri ragazzi, ma colpisce che nessuno dei due abbia trovato un aiuto, un confidente con cui condividere il proprio malessere. Si chiama in causa la politica. Se la famiglia non basta, in questa nostra società ci sarebbe già una regola per l’amore, anzitutto fraterno ed è il messaggio di Cristo e mi domando: “A cosa serve oggi avere una chiesa cattolica, addirittura uno Stato, un tempio nel centro di ogni quartiere, di ogni paese e anche di più; che cosa insegnano a questi preti-amministratori, spesso imprenditori della ristorazione e dai quali a volte è più sano che i giovani stiano distanti?” Quanti di loro conoscono le nostre case? E i frati, sintesi meravigliosa dell’umano con la fede nel divino, esistono ancora? Vidi un’altra società, più ricca di sentimenti, di condivisioni, di circoli e di ritrovi. Oggi, le chiese non sono più il ritrovo domenicale né i caffè alla sera e le case comunali non hanno un luogo per i cittadini. Ricevono uno alla volta, per appuntamento, se ricevono. Troppi fra noi, non solo giovani, sono soli.
Vergogna per l’informazione aver diffuso urbi et orbi particolari agghiaccianti, senza alcun rispetto. Serve una legge anche qui o è questione di educazione e di sensibilità?

Cecchettin, Meloni: “Notizia straziante”. Schlein chiede “subito una legge”, Valditara: “È pronta” 

Da Il Secolo d’Italia del 19 Novembre 2023, di Stefania Campitelli.

“Facciamo fare un passo in avanti al paese. Basta patriarcato”. Così Elly Schlein alla notizia del ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, rivolgendosi alla premier per approvare subito una legge “che introduca l’educazione al rispetto e all’affettività in tutte le scuole d’Italia”. Proposito condiviso dal governo. “Apprezzo che l’onorevole Schlein condivida con noi l’idea di educare al rispetto nelle scuole contro la violenza e la cultura maschilista. Già ci stiamo lavorando”, risponde a stretto giro di posta il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara. “Dopo aver consultato associazioni studentesche, associazioni dei genitori, sindacati, ordine degli psicologi la proposta è pronta e verrà nei prossimi giorni presentata ufficialmente”.

Cecchettin, Meloni: una notizia straziante

La premier Giorgia Meloni sui social esprime la sua vicinanza alla famiglia della ventitreenne uccisa dal suo ex fidanzato, accusato di tentato omicidio e cercato dall’Interpol. “Ho seguito con apprensione gli aggiornamenti sul caso”, scrive la premier. “E, fino alla fine, ho sperato in un epilogo diverso. Il ritrovamento del corpo senza vita di Giulia è una notizia straziante. Ci stringiamo al dolore dei suoi familiari e di tutti i suoi cari. Mi auguro sia fatta presto piena luce su questo dramma inconcepibile. Riposa in pace”.

Schlein: subito una legge nelle scuole

La segretaria del Pd parla di “cultura tossica del patriarcato e della sopraffazione” che “ha attecchito anche nei più giovani. Se non ci occuperemo di educazione al rispetto e all’affettività sin dalle scuole non fermeremo mai questa mattanza. E non basterà mai aumentare solo leggi e punizioni che intervengono dopo le violenze già compiute: serve l’educazione, serve la consapevolezza”.

Valditara: la legge è pronta, presto alle Camere

Come in occasione del film di Paolo Coltellesi, C’è ancora domani”, Schlein torna a rivolgersi a Meloni. “Almeno su questo lasciamo da parte lo scontro politico e proviamo a far fare un passo avanti al Paese. Approviamo subito in Parlamento una legge”. Una richiesta che non cade certo nel vuoto: il governo è al lavoro da tempo in questa direzione. La prevenzione e la battaglia culturale contro la violenza sulle donne è stata una delle priorità dell’agenda dell’esecutivo fin dall’insediamento. ”Condivido in pieno l’appello della Schlein”, dice a sua volta il sottosegretario all’Istruzione Paola Frassinetti. “Abbiamo già inserito nelle linee guida la cultura del rispetto e dell’affettività e ribadiamo che va insegnata a scuola. Bisogna demolire una cultura retrograda che ancora persiste. E spiegare bene ai giovani che il possesso e l’amore sono due cose diverse”.

5674.- La Suprema Corte sulle questioni poste da Zagrebelsky circa la maternità surrogata

Aggiornato 4 giugno 2023

Zagrebelsky: “La maternità surrogata è vietata perché è sempre un male, non è un male perché è vietata”.

E noi, meno sinteticamente, argomentiamo:

“Dai punti di vista etico e sociale, mascolinizzare la donna portandola a rincorrere la parità nei diritti maschili è sbagliato, almeno quanto porre il sesso binario e l’amore sullo stesso altare. Questo errore, malevolmente e sapientemente voluto, è simboleggiato dal femminismo lesbico; non pone in equilibrio mascolinità e femminilità ed è alla radice della crisi in cui versa l’umanità.

Le tre religioni monoteiste  imposero l’immagine di una divinità maschile centrale, trina, a cui attribuire l’origine dell’universo e di tutte le cose create. Non hanno inteso riconoscere il valore della donna. Anche il cristianesimo con la Madre di Dio, introduce una creazione complessa, di natura umana, ma santificata e pura, per accogliere la natura divina del Figlio di Dio; quindi e per certi versi, divina. Si potrebbe sostenere che sia ai limiti della blasfemia, ponendosi in concorrenza con l’immagine di un Dio, padre, uomo, onnipotente, infallibile.

“Il modello piramidale maschile della società religiosa coincise in ogni suo punto con il modello politico istituzionale, e infine fino a non pochi anni fa, con il modello della famiglia tradizionale in senso stretto.
La decostruzione antropologica delle religioni è il primo passo che aiuta a riconsiderare l’identità maschile e femminile in termini del tutto nuovi.”

La donna è semplicemente donna. Il paragone con l’uomo, frutto della Genesi 2, è mal posto: “Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo..”. Introduce un livello di sudditanza gerarchica. Invece, anche strutturalmente, la donna è superiore all’uomo. Socialmente, deve poter essere “sempre” libera di scegliere se essere compagna, moglie, madre o lavoratrice. Anche quando sceglie di essere una lavoratrice, non per questo discende alla parità con l’uomo. La donna è, perciò, il simbolo della Libertà e, sopratutto nella maternità, incarna il simbolo sacro dell’Amore. Madre e bambino non sono né saranno mai un ‘oggetto’ contrattuale”.

MAG 26, 2023

Gustavo Zagrebelsky

Su “La Repubblica” del 25 maggio 2023, di Gustavo Zagrebelsky. Seguii l’ex Presidente della Corte Costituzionale in una associazione veneziana troppo orientata politicamente per non più di due volte. Ciononostante ne apprezziamo il valore per i confronti che viene a creare.

BREVI RIFLESSIONI A MARGINE DELL’INTERVENTO DI GUSTAVO ZAGREBELSKY SULLA MATERNITÀ SURROGATA

Su “La Repubblica” del 25 maggio 2023, Gustavo Zagrebelsky espone una sua articolata critica nei confronti della proposta di legge sul cosiddetto “reato universale” chiamato a sanzionare (oltre quanto già previsto dalla legge 40/2004) la pratica della maternità surrogata.

Il ragionamento di Gustavo Zagrebelsky si muove lungo quattro direttrici differenti.

In primo luogo: secondo il noto costituzionalista, la pratica della maternità surrogata, che per la maggior parte delle volte è a titolo oneroso, può essere sanzionata proprio per evitare «la riduzione d’ogni realtà dell’esistenza a merce commerciabile», sebbene questo tipo di sanzioni non tiene conto del fatto che nei Paesi poverissimi la pratica della surrogazione a pagamento costituisce «l’occasione se non del benessere, almeno della sopravvivenza».

In secondo luogo: la pratica della maternità surrogata non può essere ridotta soltanto alla sua dimensione commerciale, esistendo anche quella cosiddetta “altruistica” che si dovrebbe considerare sostenuta dalla stessa eticità e giuridicità di fondo che sorregge la donazione di organi.

In terzo luogo: sanzionare penalmente la pratica della maternità surrogata, sempre secondo Zagrebelsky, non tutelerebbe l’interesse del minore che in tale contesto dovesse nascere, poiché non si possono far pagare ai minori innocenti le eventuali responsabilità delle azioni degli adulti.

Infine: laddove il legislatore non dovesse porre in essere misure idonee alla tutela dei minorenni che deve essere bilanciata con l’interesse dell’ordinamento a sanzionare la maternità surrogata, sarebbe la Corte Costituzionale a intervenire sul tema disciplinando motu proprio la questione.

Fin qui le tesi di Zagrebelsky, a cui, però non si possono non muovere dei rilievi critici che in ragione della loro complessità e articolazione devono necessariamente essere sintetizzati.

Per ciò che riguarda il primo spunto delle riflessioni dell’ex Presidente della Corte Costituzionale almeno due puntualizzazioni sembrano opportune.

La circostanza per cui l’ordinamento intervenga con sanzioni penali per evitare che una parte della realtà, per di più la più intima, la più sacra come la maternità, la più archetipica delle fenomenologie relazionali della natura umana, non diventi un qualunque servizio commerciabile non rappresenta un immotivato irrigidimento normativo di un legislatore conservatore e legalistico, ma esprime la dimensione “minima” ed essenziale della giuridicità intrinseca di un ordinamento di uno Stato di diritto concretamente fondato sulla tutela della dignità quale cifra della persona, cioè di quella entità morale (e quindi giuridica) che per definizione è indisponibile (per legge, per contratto o per sentenza, come, infatti, testimonia la comune ratio di fondo del divieto della pena di morte, o del divieto di tortura, o del divieto di riduzione in schiavitù).

Ritenere inoltre che non si debba sanzionare la pratica della maternità surrogata poiché nei Paesi poverissimi essa è unica fonte di sostentamento per le donne significa introdurre il principio utilitaristico che dapprima si era escluso reputando fondata la sottrazione di parti dell’esistenza dalle categorie delle merci commerciabili.

Prendendola sul serio e seguendo la linea della medesima logica di Zagrebelsky, allora, si potrebbe legalizzare anche la vendita del sangue o del midollo osseo, o la vendita degli organi, e, perché no?, magari la vendita o l’affitto del voto elettorale.

E perché allora sanzionare certi tipi di attività e proventi della criminalità organizzata o delle associazioni mafiose nazionali e internazionali laddove esse, specialmente in certi territori poverissimi del meridione, storicamente costituiscono – in assenza della capacità dello Stato di creare adeguati mezzi di sussistenza – una rete economico-finanziaria in grado di permettere la sopravvivenza delle locali popolazioni?

Zagrebelsky dovrebbe dar conto, prima ancor di quelle etiche, di queste incongruenze logiche del suo pensiero.

Per ciò che riguarda la variante cosiddetta altruistica che Zagrebelsky caldeggia, includendola impropriamente all’interno delle cosiddette “donazioni samaritane”, tre profili sono da attenzionare.

In primis: la gratuità non è quasi mai presente nella pratica della maternità surrogata, come comprova l’ampia contrattualistica diffusa nei Paesi in cui è legalizzata e come altresì comprova anche e soprattutto il vastissimo e altamente remunerativo nonché prodromico e parallelo mercato mondiale della procreazione che si fonda su un fiorente scambio commerciale di embrioni o gameti, come attesta, per esempio, il mercato globale del liquido seminale che attualmente vale circa 4,74 miliardi di dollari con un trend in crescita del 5.2%, verso i 4,86 miliardi di dollari che si prospetta raggiunga nel 2027.[1]

Secondariamente, la gratuità non significa necessariamente autentica liberalità o sottrazione alla logica commerciale, poiché oltre lo strumento monetario ci potrebbero essere – come talvolta, infatti, ci sono – altre forme di corrispettivo per il servizio prestato dalla gestante (pagamento dei vestiti, dei farmaci, delle visite mediche e così da parte della coppia committente) che, come nel caso della permuta, renderebbero comunque a titolo oneroso lo scambio fra le parti.

In terzo luogo: non soltanto anche le cosiddette “donazioni samaritane” costituiscono un problema etico-giuridico non indifferente, ma la maternità surrogata certamente non rientra tra queste poiché le prime sono legate all’urgenza e alla necessità della tutela del diritto alla vita di chi riceve l’organo donato, mentre la seconda è priva di tali requisiti in quanto la coppia committente non è in pericolo di vita come chi attende un rene o un polmone.

Inoltre, le donazioni samaritane rappresentano una eccezione – nel quadro etico-giuridico di riferimento – al principio di indisponibilità del proprio corpo, mentre la maternità surrogata tende a diventare una pratica non eccezionale, ma comune e senza considerare peraltro che le pratiche di procreazione assistita – di cui la maternità surrogata inevitabilmente si serve – non sono mai del tutto esenti da rischi per la salute della donna, come è oramai e già da tempo ampiamente noto nella letteratura scientifica.[2]

Insomma, la maternità surrogata e le donazioni samaritane sono due pratiche profondamente e radicalmente distanti e distinte, dal punto di vista pratico, scientifico ed etico e quindi anche giuridico.

Per ciò che riguarda l’interesse del minore chiamato in causa da Zagrebelsky, bisognerebbe distinguere l’ambito penalistico da quello civilistico.

La risposta penalistica, con la relativa sanzione apprestata dal legislatore, infatti, costituisce un presidio di tutela non soltanto nei confronti della donna, ma anche del nascituro o del nato tenendo focalizzato in massimo grado ben più del suo “semplice” interesse, ma il suo diritto di essere considerato per ciò che egli è, ovvero non una res di un contratto a titolo oneroso o gratuito, ma un soggetto di diritto munito di inviolabili diritti naturali, tra cui primariamente spicca il suo diritto di essere riconosciuto sempre e comunque come persona e non come qualcosa che può essere compravenduto, scambiato, permutato o consegnato.

In questo scenario si dovrebbe, inoltre, dar conto della sorte di quell’antico principio di diritto – base ordinata e ordinante per la certezza dello stesso ordinamento – della indisponibilità dello status personale.

Questo tema lega l’ambito penalistico a quello civilistico, per cui la mancata trascrizione degli atti di nascita stranieri per coloro che sono nati attualmente all’estero tramite le pratiche di maternità surrogata non rappresenta un abuso giuridico che l’ordinamento compie nei confronti dei minori non tutelando i loro interessi e facendo loro scontare le “colpe dei padri”, ma rappresenta l’applicazione del principio di coerenza logica e assiologica dell’ordinamento giuridico per cui non si può “sanare” civilmente qualcosa che non soltanto contrasta con norme imperative, ordine pubblico e buon costume, ma che per di più è intrinsecamente anti-giuridico poiché fondato sulla violazione del principio di indisponibilità dell’essere umano.

Si tratta di preoccupazioni -e non di ipocrisie- ben presenti anche ai giudici della Corte di Cassazione, che nella sentenza resa a Sezioni Unite, nr. 38162/2022, si ribellano, proprio in nome della difesa della dignità della donna e del concepito, alla logica del fatto compiuto.

“Dalle primissime battute, invece di recitare il mantra dell’impotenza del diritto interno di fronte alla violazione dei diritti umani e della priorità della cura dei minori hic et nunc (e pace per quelli che verranno) squarcia il velo, per la prima volta in un consesso di massima istanza, su quel che un Rapporto del 2019 del Consiglio per i diritti umani delle nazioni unite ha definito le «systemic abusive practices» del mercato della discendenza: «Nella gestazione per altri non ci sono soltanto i desideri di genitorialità, le aspirazioni e i progetti della coppia committente. Ci sono persone concrete. Ci sono donne usate come strumento per funzioni riproduttive, con i loro diritti inalienabili annullati o sospesi dentro procedure contrattuali. Ci sono bambini esposti a una pratica che determina incertezze sul loro status e, quindi, sulla loro identità nella società».  (…)

In questo contesto, il richiamo al significato oggettivo della principio-dignità da parte di S.U. 38162/2022 è insieme un esercizio di umiltà e una professione di fiducia nella forza del diritto: «il nostro sistema vieta qualunque forma di surrogazione di maternità, sul presupposto che solo un divieto così ampio è in grado, in via precauzionale, di evitare forme di abuso e sfruttamento di condizioni di fragilità»” (Così Valentina Calderai, in “Back to the basics. Indisponibilità dei diritti fondamentali e principio di dignità umana dopo Sezioni Unite n. 38162/2022, in Giustiziainsieme, 15.3.2023).

Infine, emergono le difficoltà del monito lanciato da Zagrebelsky in riferimento all’intervento della Corte Costituzionale.

Proprio un costituzionalista dovrebbe inorridire dinnanzi alla eventualità che la Corte Costituzionale decida di sostituirsi al legislatore, come sempre più spesso accade e che la qualifica, soprattutto dal caso della celebre sentenza n. 242/2019 sul caso Cappato, più come un secondo organo del potere legislativo che come vertice del potere giurisdizionale.

Da tempo immemore, senza dubbio, si discute del cosiddetto “creazionismo giudiziario”, della sua legittimità, della sua portata, della sua effettività, ma la sua diffusione non può automaticamente coincidere con la sua legittimazione, specialmente quando esso riguarda temi eticamente sensibili su cui peraltro il Parlamento si è già espresso e intende ancora esprimersi esercitano – pur con tutti i suoi limiti e difetti – le sue naturali funzioni.

Se il “colonialismo giudiziario”, di cui la Corte Costituzionale si è oramai resa protagonista principale – con la copertura di certa dottrina – è ciò che davvero Zagrebelsky si augura, sarebbe più coerente, più intellettualmente avvincente e più giuridicamente corretto che elaborasse una nuova teoria della commistione dei poteri e che disegnasse una nuova architettura istituzionale e costituzionale in cui si può, e perfino si deve, fare a meno del Parlamento i cui compiti sarebbero esclusivamente assorbiti dalla magistratura in genere e dalla Corte Costituzionale in particolare.

Le tesi di Zagrebelsky, nonostante la sua autorevolezza, sono dunque da rigettare nel merito e nel metodo, ricordando peraltro, in conclusione, che spesso – come nel caso della maternità surrogata – una pratica non è un male perché è vietata, ma, semmai, è vietata proprio perché è un male.

Aldo Rocco Vitale

La Suprema Corte ha già risposto alle questioni poste da Zagrebelsky sulla maternità surrogata

GIU 1, 2023. Dal Centro Studi LivatinoBambolotti con codici a barre su carrelli della spesa

Il riconoscimento automatico della genitorialità intenzionale non realizza l’interesse del minore, ma quello degli adulti.

Nella sentenza delle sezioni unite n. 38162 del 30 dicembre 2022 le risposte alle questioni sollevate nell’intervento di Gustavo Zagrebelsky sulla maternità surrogata.

Questo sito ha già dedicato un garbato e pregevole intervento di replica alle considerazioni svolte dal professor Gustavo Zagrebelsky, sul quotidiano La Repubblica dello scorso 25 maggio, in merito al dibattito in corso nell’opinione pubblica sulla valutazione della pratica della maternità surrogata da parte dell’ordinamento e sulla condizione giuridica dei nati a seguito della violazione del divieto previsto dalla legge italiana.

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Sul primo punto – e cioè sulla valutazione della surrogazione di maternità da parte dell’ordinamento e, in particolare, sulla proposta del professor Zagrebelsky di riservare una diversa considerazione alle ipotesi in cui la maternità surrogata si presenterebbe come <<atto gratuito di solidarietà umana>> della donna – nel citato intervento di replica, oltre a diversi puntuali rilievi critici, sono state opportunamente ricordate le importanti affermazioni contenute in una recente sentenza della Suprema Corte, la n. 38162 del 30 dicembre 2022, pronunciata a sezioni unite: una sentenza importante, con la quale il professor Zagrebelsky non ha però ritenuto di doversi confrontare.

In quella sentenza si afferma chiaramente che <<nel nostro sistema costituzionale la dignità ha una dimensione non solo soggettiva, ancorata alla sensibilità, alla percezione e alle aspirazioni del singolo individuo, ma anche oggettiva, riferita al valore originario e non rinunciabile di ogni persona>> e che <<la dignità ferita dalla pratica di surrogazione chiama in gioco la sua dimensione oggettiva>>.

Si comprende allora la scelta del legislatore italiano, il quale – così si esprimono i giudici della Suprema Corte – <<nel disapprovare ogni forma di maternità surrogata, ha inteso tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione oggettiva, nella considerazione che nulla cambia per la madre e per il bambino se la surrogazione avviene a titolo oneroso o gratuito>>. Sempre secondo le sezioni unite, infatti, <<indipendentemente dal titolo, oneroso o gratuito, e dalla situazione economica in cui versa la madre gestante (eventuale stato di bisogno), la riduzione del corpo della donna ad incubatrice meccanica, a contenitore di una vita destinata ad altri, ne offende la dignità, anche in assenza di una condizione di bisogno della stessa e a prescindere dal concreto accertamento dell’autonoma e incondizionata formazione del suo processo decisionale>>.

Di qui le sezioni unite hanno dedotto la conseguenza secondo cui <<non è… consentito al giudice, in sede di interpretazione, escludere la lesività della dignità della persona umana… là dove la pratica della surrogazione della maternità sia il frutto di una scelta libera e consapevole della donna, indipendentemente da contropartite economiche e revocabile sino alla nascita del bambino>>.

Ma, forse, il riferimento alla dimensione “anche oggettiva” della dignità umana accolta nel “sistema costituzionale” consente di formulare anche l’ulteriore deduzione secondo cui neppure al legislatore sarebbe consentito un esito come quello prospettato, e cioè la legittimazione di quella che per il professor Zagrebelsky sarebbe invece una “distinzione fondamentale”: la distinzione tra maternità surrogata realizzata in virtù di <<un contratto di prestazione dietro un corrispettivo>> e maternità surrogata quale <<atto gratuito di solidarietà umana>> dal quale la donna <<non si aspetta di ricavare alcun vantaggio economico>>.

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La decisione delle sezioni unite del 30 dicembre 2022 contiene poi spunti argomentativi di notevole interesse anche sull’altra questione affrontata dall’intervento del professor Zagrebelsky: la condizione giuridica dei nati da madre surrogata in violazione del divieto previsto dalla legge italiana.

È bene chiarire anzitutto l’argomento del professor Zagrebelsky. L’illustre giurista critica apertamente la “logica compromissoria” accolta dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 272 del 2017 e n. 33 del 2021 e fatta propria anche dalla stessa Suprema Corte nella sentenza n. 12193 del 2019, pronunciate sempre a sezioni unite: quella logica posta a fondamento della soluzione per cui l’accertamento estero della genitorialità puramente intenzionale del committente privo di legame biologico col nato da madre surrogata deve considerarsi senz’altro contrario all’ordine pubblico, mentre il rapporto in atto tra i due potrebbe comunque essere formalizzato ex post attraverso il ricorso alla procedura di adozione in casi particolari, e dunque a seguito di un accertamento giudiziale concreto della sua conformità al superiore interesse del minore.

In effetti, nella sentenza n. 33 del 2021, la Corte costituzionale muove dall’idea che <<l’interesse del bambino non può essere considerato automaticamente prevalente rispetto a ogni altro controinteresse in gioco>>. Diversamente <<si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona>>.

Di conseguenza, sempre secondo il Giudice delle leggi, <<gli interessi del minore dovranno essere… bilanciati, alla luce del criterio di proporzionalità, con lo scopo legittimo perseguito dall’ordinamento di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità, penalmente sanzionato dal legislatore; scopo di cui si fanno carico le sezioni unite civili della Corte di cassazione [il riferimento è alla sent. cit. n. 12193 del 2019], allorché negano la trascrivibilità di un provvedimento giudiziario straniero, nella parte in cui attribuisce lo status di genitore anche al componente della coppia che abbia partecipato alla surrogazione di maternità, senza fornire i propri gameti>>.

L’esclusione della trascrizione sarebbe così il prodotto di un “bilanciamento” tra l’interesse del bambino e la legittima finalità di reprimere la pratica della surrogazione di maternità. La necessità di preservare la coerenza della scelta proibizionista dell’ordinamento imporrebbe, in altri termini, un “affievolimento” – è appunto questa l’espressione utilizzata dalla Suprema Corte nella sent. cit. del 2019 – dell’interesse del minore. E questo “affievolimento” si realizzerebbe escludendo l’automatismo della trascrizione, ma consentendo la formalizzazione del rapporto in atto attraverso l’adozione in casi particolari.

Anche la Corte di Strasburgo sarebbe sulla stessa linea. La Corte costituzionale ricorda infatti come anche quel Giudice <<riconosce… che gli Stati parte [della Convenzione europea dei diritti dell’uomo] possano non consentire la trascrizione di atti di stato civile stranieri, o di provvedimenti giudiziari, che riconoscano sin dalla nascita del bambino lo status di padre o di madre al “genitore d’intenzione”; e ciò proprio allo scopo di non fornire incentivi, anche solo indiretti, a una pratica procreativa che ciascuno Stato ben può considerare potenzialmente lesiva dei diritti e della stessa dignità delle donne che accettino di portare a termine la gravidanza per conto di terzi>>.

Ebbene, in questa “logica compromissoria” il professore Zagrebelsky riconosce ora <<un corto circuito logico assai grave>>. E ciò non solo perché essa finisce per accreditare l’idea che il male sia tale perché è vietato (e non che una determinata condotta sia vietata perché è male), ma soprattutto perché <<fa subire il male degli adulti a esseri innocenti>>, <<fa pagare a loro “le colpe dei padri”>>.

Scrive il professor Zagrebelsky: <<I bimbi comunque concepiti e messi al mondo non hanno chiesto nulla, sono totalmente innocenti. Il male sommo è quello inferto agli innocenti>>. E quindi si chiede: <<[I nati da madre surrogata] non hanno il diritto alla protezione più ampia possibile, compresa l’accoglienza a pieno titolo presso coloro che li hanno comunque voluti?>>. La domanda è retorica. La soluzione che si vuole accreditare è evidentemente quella del riconoscimento automatico anche della genitorialità puramente intenzionale del committente privo di legame biologico col nato da madre surrogata attraverso la trascrizione integrale dell’atto di nascita o del provvedimento giurisdizionale estero.

***

Naturalmente l’idea per cui non è consentito far <<subire il male degli adulti a esseri innocenti>> non può non essere condivisa. È fuori discussione, del resto, la radicale incompatibilità con la Grundnorm personalista posta a fondamento dell’edificio costituzionale di qualsiasi forma di strumentalizzazione della persona. D’altra parte, anche nella più recente sentenza delle sezioni unite – la cit. sent. n. 38162 del 30 dicembre 2022 – non viene certo accolta l’idea che i bambini debbano scontare la colpa degli adulti. E ciò neppure attraverso un “affievolimento” dei loro diritti fondamentali. Ogni “logica compromissoria” è chiaramente messa al bando dalla Suprema Corte.

Nella motivazione della decisione in questione si legge infatti che <<il nato non è mai un disvalore e la sua dignità non può essere strumentalizzata allo scopo di conseguire esigenze general-preventive che lo trascendono. Il nato – proseguono i giudici delle sezioni unite – non ha colpa della violazione del divieto di surrogazione di maternità ed è bisognoso di tutela come e più di ogni altro. Non c’è spazio per piegare la tutela del bambino alla finalità dissuasiva di una pratica penalmente sanzionata. Il disvalore della pratica di procreazione seguita all’estero non può ripercuotersi sul destino del nato. Occorre separare la fattispecie illecita (il ricorso alla maternità surrogata) dagli effetti che possono derivarne sul rapporto di filiazione e in particolare su chi ne sia stato in qualche modo vittima>>.

Parole chiarissime, che coincidono pienamente con la prospettiva indicata dal professor Zagrebelsky. Anche le sezioni unite escludono insomma l’ipotesi di un “affievolimento” dell’interesse del minore finalizzata a contemperarne la realizzazione con la legittima finalità di reprimere la pratica della surrogazione di maternità. E riconoscono pertanto che anche l’interesse del minore <<concorre a formare l’ordine pubblico internazionale>> e che il primo principio non può certo funzionare come un controlimite rispetto al limite rappresentato dal secondo.

Le sezioni unite confermano nondimeno la soluzione già accolta nel 2019. Non c’è in ciò nessuna contraddizione. Secondo le sezioni unite, infatti, l’accertamento estero di una genitorialità puramente intenzionale non è trascrivibile non più solo perché <<il riconoscimento ab initio… dello status filiationis del nato da surrogazione di maternità anche nei confronti del committente privo di legame biologico con il bambino, finirebbe in realtà per legittimare in maniera indiretta e surrettizia una pratica degradante>>, ma anche – e soprattutto – perché <<l’automatismo del riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore di intenzione sulla base del contratto di maternità surrogata e degli atti di autorità straniere che riconoscono la filiazione risultante dal contratto, non è funzionale alla realizzazione del miglior interesse del minore, attuando semmai quello degli adulti che aspirano ad avere un figlio a tutti i costi>>.

Si tratta di un approfondimento argomentativo decisivo. Ciò che le sezioni unite riconoscono ora con chiarezza è che, in caso di nascita da una madre surrogata, l’interesse del bambino non si realizza affatto attraverso il suo inserimento automatico in quello indicato da Zagrebelsky come il <<nucleo famigliare che ha voluto promuovere la sua nascita>>. Questa soluzione – affermano ora con chiarezza le sezioni unite – <<non realizza la pienezza di tutela del minore>>.

L’automatico riconoscimento della genitorialità intenzionale già accertata all’estero asseconderebbe piuttosto un “progetto genitoriale” che si realizza attraverso una pratica “degradante”: una pratica che – anche questo è un dato decisivo, che risulta ora con chiarezza dalla lettura della sentenza di dicembre del 2022 – non strumentalizza solo la donna, ma anche il nato. E che finisce perciò per compromettere anche il rapporto dei committenti con quest’ultimo.

La formalizzazione del rapporto in atto con il committente privo di legame biologico può allora realizzarsi solo in quella che le sezioni unite indicano come una “logica rimediale”: a seguito di un accertamento giudiziale concreto della sua conformità al superiore interesse del minore.

Nella decisione della Suprema Corte si legge infatti che <<l’instaurazione della genitorialità e il giudizio sulla realizzazione del miglior interesse del minore non si coniugano con l’automatismo e con la presunzione, ma richiedono una valutazione di concretezza: quella valutazione di concretezza che postula il riscontro del preminente interesse del bambino a continuare, con la veste giuridica dello status, un rapporto di cura e di affettività che, già nei fatti, si atteggia a rapporto genitoriale>>, laddove <<una diversa soluzione porterebbe a fondare l’acquisto delle genitorialità sulla sola scelta degli adulti, anziché su una relazione affettiva già di fatto instaurata e consolidata>>.

La Suprema Corte, del resto, non manca di evidenziare come sarebbe proprio questa la “strada” già indicata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 33 del 2021, <<non… quella della delibazione o della trascrizione dei provvedimenti stranieri, secondo un più o meno accentuato automatismo funzionale ad assecondare il mero desiderio di genitorialità degli adulti che ricorrono all’estero ad una pratica vietata nel nostro ordinamento>>.

Le sezioni unite rammentano infatti che, con la cit. sent. n. 33 del 2021, <<la Corte costituzionale… non ha avallato la tesi di un accertamento ab initio di una genitorialità puramente intenzionale in tutti o in taluni casi di nascita da una madre surrogata>>. D’altra parte, <<se avesse considerato praticabile questa soluzione al fine di garantire l’interesse alla stabilità affettiva del nato da maternità surrogata, la Corte costituzionale si sarebbe espressa diversamente, accogliendo le questioni di legittimità prospettate o pronunciando una sentenza di rigetto interpretativa>>.

Per le sezioni unite, insomma, la “logica compromissoria” che il professor Zagrebelsky ritiene di poter rimproverare alle decisioni della Corte costituzionale in tema di condizione giuridica dei nati da madre surrogata – una logica che lascia comunque l’amara impressione di una qualche forma di strumentalizzazione – era stata già superata nei fatti nell’ultima decisione della stessa Corte costituzionale, che pure l’aveva ancora riproposta a parole. Il fatto che la Corte costituzionale non abbia accolto la soluzione prospettata dal giudice rimettente attesta infatti in maniera inequivocabile come anche per essa l’accertamento automatico di una genitorialità puramente intenzionale già accertata all’estero non sia una soluzione davvero capace di attuare il superiore interesse del minore.

Emanuele Bilotti, Ordinario di diritto privato nell’Università Europea di Roma

5570.- La donna madre della famiglia e del futuro

Parliamo di contrasto alla denatalità e di giustizia fiscale e sociale in base ai carichi familiari e sono cose diverse. Una richiama il sostegno alla famiglia in chiave di rilancio della natalità, quale condizione per la sopravvivenza del sistema Paese; l’altra si propone di stabilire un’equità fiscale verso le famiglie con figli e chiama in causa il ruolo, anzi, i ruoli della donna, simbolo di libertà e madre del futuro.

«La mia famiglia XXL e la nostra nuova vita in Francia»

  • Da La Nuova Bussola Quotidiana, di Andrea Zambrano, 19-01-2023

Emigrare per trovare condizioni migliori in cui far vivere una famiglia numerosa: la storia di Zhirajr, medico italiano che vive in Francia con moglie e sei figli. E che ora scrive alla Meloni: «In Italia non riuscivo a risparmiare, qui il mio stipendio è aumentato, ma le tasse sono pari a zero e dallo Stato ricevo circa 800 euro a figlio. Non è assistenzialismo, ma un investimento per lo Stato». Il problema non è solo economico: «Il Governo fa la sua parte, ma oggi manca l’educazione all’umano propria della Chiesa».

Una famiglia raccontata dalla serie tv Familles nombreuses

Il quarantunenne Zhirajr Mokini Poturljan, naturalizzato italiano di origini armene, aveva un sogno: crescere una famiglia numerosa, ma farlo in Italia sarebbe stato quasi impossibile. Così ha accettato un lavoro in Francia e dal 2018 vive alle porte di Parigi con la moglie e i loro sei figli dove svolge la professione di medico anestesista in una clinica privata.

Emigrare per poter coltivare il desiderio di mettere al mondo tanti figli senza scivolare nella povertà. È questa la scelta di Zhirajr, che si è resa possibile perché oltralpe ci sono condizioni decisamente migliori per le famiglie numerose, come spiega in questa intervista alla Bussola nella quale illustra il cosiddetto modello francese a cui guarda il ministro della Famiglia e Natalità Eugenia Roccella. L’uomo ha scritto una lettera al presidente del Consiglio (QUI) che sarà pubblicata sul sito dell’ANFN. La foto di questa intervista è tratta da un’immagine di una seguita serie tv francese in onda da cinque anni su Tf1, la Rai 1 di Francia, che racconta il quotidiano delle famiglie XXL. Anche questo dà l’idea che oltralpe il clima è diverso: le famiglie numerose non sono panda. 

Zhirajr, da quanto tempo è in Francia?
Da tre anni, sono venuto in Italia a 14 anni e ho studiato a Venezia. L’università l’ho fatta a Chieti, dove ho conosciuto il movimento di Comunione e Liberazione, poi sono andato a lavorare come medico a Monza.

Perché ha scritto questa lettera?
Perché noi in Francia stiamo bene, ma il desiderio di tornare in Italia è grande, solo che bisogna pensarci bene dato che ci perderemmo molto in termini economici. Così, vedendo l’attenzione del nuovo governo alla famiglia ho pensato di dare la mia testimonianza per incoraggiarlo a intraprendere questa strada.

Perché avete deciso di lasciare l’Italia?
Nel 2018 mia moglie era incinta del quarto figlio, vivevamo in affitto e lavoravo solo io, ma mi ero accorto che quell’anno, già con tre figli, non ero riuscito a risparmiare praticamente nulla, così mi sono detto: non va bene, o mia moglie incomincia a lavorare oppure bisogna cambiare.

E perché avete scelto la Francia?
Un amico medico italiano in Francia mi disse: “Perché non vieni qui?”. Ho deciso di provare, finché i figli sono piccoli possiamo permettercelo. E così siamo andati a vivere vicino a Parigi.

Ha avuto problemi col lavoro?
No. Il sistema sanitario francese è pubblico e privato. Nel privato, lavori come libero professionista e puoi godere di una grande mobilità e di un mercato del lavoro dinamico. Se decidi di cambiare lavoro, il giorno dopo trovi facilmente.

E le cose sono cambiate?
Da subito, anzitutto, lo stipendio è aumentato sensibilmente pur svolgendo lo stesso lavoro. Ma ciò che per me è stato sorprendente fin da subito è che il sistema fiscale francese è incrementale: lo stipendio cresce, ma le tasse, per noi che abbiamo una famiglia numerosa, sono diminuite. Da due anni non verso l’Irpef.

E poi sono arrivati gli altri figli?
Sì. Dal 2019 al 2021 abbiamo messo al mondo altri due figli.

E lo Stato vi ha aiutato?
Tantissimo. L’aiuto nel periodo perinatale è elevato: per preparare la nascita del figlio la CAF versa un premio nascita al settimo mese, di circa 1000 euro. Alla nascita del bambino la mamma gode fino a 12 giorni di visite a domicilio da parte di una ostetrica, a seconda del bisogno, coperte dal sistema sanitario nazionale. L’ostetrica cura la mamma e il bambino, esegue esami ed analisi. Alla nascita di un figlio, la famiglia gode di un anno di tariffe agevolate per la pulizia della casa in base al Quoziente Famigliare. La CAF indica delle società accreditate alle quali paga direttamente il proprio contributo. Nel mio caso noi paghiamo 4,5 euro l’ora, tre volte alla settimana per 12 ore totali.

Ma gli aiuti non si fermano solo ai primi anni di vita del bambino?
No, è continuo a seconda delle condizioni e di ciò che ti serve: scuola, casa, salute, educazione. Lo stato offre la possibilità di mutui agevolati, che coprono il 100% del costo della casa e della ristrutturazione, senza tasso fino a 200.000 euro e con tasso controllato per il resto.

E la scuola?
Alla scuola privata è riconosciuto il ruolo di utilità pubblica. Perciò è lo Stato che paga i professori nelle scuole private per la parte di servizio che è uguale alla scuola pubblica. Questo riduce notevolmente le rette. In Italia pagavo 4000-5000 euro all’anno per la scuola privata ogni figlio, in Francia 1500-2000 e posso iscriverli tutti e sei. In più, dal terzo figlio esiste la possibilità di avere la Carta grandi famiglie che permette sconti progressivi dal 25 al 75% (dal sesto figlio) sui servizi statali, trasporti, musei.

Percepisce anche l’assegno? 
Certamente. Il punto di partenza per tutto è il tuo Quoziente famigliare (in Francia non esiste l’Isee ndr) che è la base per l’erogazione di tutti i servizi. E con il crescere del numero dei figli non si è penalizzati, anzi.

Ha mai provato a fare un calcolo su quanto percepirebbe in Italia oggi?
No, sarebbe impossibile, ma le posso dire che, a occhio, ricevo circa 800 euro al mese per ogni figlio.

In Italia col suo stipendio sarebbe considerato un ricco e non percepirebbe nemmeno la metà. Così non le sembra assistenzialismo?
No, è un sistema che riconosce ciò di cui hai bisogno per crescere una famiglia che è considerata davvero la cellula della società. Per lo Stato è un investimento.

Nella lettera parla anche del ruolo che dovrebbe avere la Chiesa. Perché?
Perché il fare figli non è un problema solo economico, è ontologico. Bisogna partire da una domanda.

Quale?
Perché devi fare figli? Oggi c’è una riduzione solo all’aspetto sessuale, di piacere, così la procreazione è vista come un problema aggravato dalla crisi economica.

E invece che cos’è?
Fare figli è la piena realizzazione dell’umano, è il problema di Abramo che vuole figli perché vuole rimanere nell’eternità, ma questo è possibile solo generando vita. Questo aspetto nella società è perso, ma non può farlo scoprire lo Stato.

Però, almeno in Francia fa la sua parte…
Esatto, il punto è proprio questo: lo Stato fa la sua parte, rimuove, diciamo così, gli ostacoli economici, ma quello che manca oggi è un’educazione all’umano che spetta principalmente alla Chiesa.

Oggi, quando si parla di famiglie numerose, nella Chiesa si sente spesso parlare di paternità responsabile. È passato anche tra i cattolici il concetto che non puoi procreare se non sei in grado di fare i calcoli sul mantenimento dei figli…
È un errore perché la paternità responsabile non è questo.

Che cos’è?
È quello che diceva Paolo VI nella Humanae Vitae e che ha ribadito fino a poco fa l’Istituto Giovanni Paolo II: di fronte a Dio hai la responsabilità di procreare; infatti nell’HV c’è scritto che solo per motivi gravi – e lascia a te la valutazione su quali siano – eviti di procreare, ma volendo vivere questa paternità siamo arrivati a sei figli e Dio ci ha dato gli aiuti necessari. Ecco perché la Chiesa dovrebbe ripartire da questa educazione che sembra aver dimenticato.

5144.- Lo scioccante documento Pfizer sulla vaccinazione delle donne incinte

Ne avevamo parlato; ma ci torniamo perché è bene che si sappia, anche se in galera non andrà mai nessuno.

Di Sabino Paciolla|Maggio 31st, 2022

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Un documento confidenziale rilasciato di recente rivela che una sorprendente maggioranza dei bambini in utero è morta dopo che alle donne in gravidanza è stato iniettato il vaccino Pfizer.

I professionisti sanitari e medici per la trasparenza (PHMPT) hanno richiesto documenti relativi alla licenza del vaccino tramite una richiesta di legge sulla libertà di informazione, quindi hanno citato in giudizio la Food and Drug Administration (FDA). All’inizio di gennaio 2022, un giudice federale ha ordinato alla FDA di rilasciare gradualmente i documenti che secondo loro avrebbero richiesto decenni per essere elaborati. PHMPT ha pubblicato i documenti riservati di Pfizer non appena sono diventati disponibili.

Nella versione più recente, il 2 maggio 2022, un documento intitolato “reissue_5.3.6 postmarketing experience.pdf ha rivelato a pagina 12 che entro l’8 febbraio 2021, 270 donne avevano ricevuto l’iniezione di mRNA durante la gravidanza. Ma 238 casi, a quanto pare, non sono stati seguiti (“nessun risultato fornito”). E, quindi, gli esiti della gravidanza per quelle donne sono sconosciuti.

Il semplice fatto che l’88% delle donne incinte iniettate non sia stato seguito durante le loro gravidanze è profondamente preoccupante poiché 124 delle 270 donne in gravidanza hanno avuto qualche tipo di reazione avversa (49 non gravi, 75 gravi) secondo pagina 12 dello stesso documento.

Tra le 34 gravidanze note, il rapporto indica che 28 bambini sono morti in utero o alla nascita. Solo un risultato è stato riportato come normale e i restanti cinque sono stati segnalati come “in sospeso”.

Analizzando i dati di Pfizer, è chiaro che l’82% – 97% degli esiti documentati della gravidanza ha provocato la morte. (La variazione di 15 punti dipende dal risultato finale di quelli nella categoria “risultato in sospeso”.)

“Questo rapporto conferma le informazioni che abbiamo rilasciato l’anno scorso”, ha affermato il presidente di Operation Rescue Troy Newman. “Non vediamo l’ora di vedere una sorta di responsabilità messa in atto per i responsabili di nascondere questi dati cruciali al pubblico”.

Vedi la precedente copertura di Operation Rescue sui problemi di gravidanza relativi ai vaccini Covid-19:

• L’informatore rivela complicazioni della gravidanza
• Gli informatori e altri esperti avvertono di un aumento del rischio di infertilità
• Intervista bomba con l’informatore della Task Force COVID 19 – Avverte i rischi dei vaccini per le donne incinte

*Si noti che sono stati riportati due diversi esiti per i gemelli ed entrambi sono stati contati.

4529.- La pandemia aiuta a distinguere fra interesse e amicizia

Cammino sull’argine del fiume con Tobia, il mio cane. É un vero amico. C’è un tronco caduto, lattine vuote e un foglio dimenticato. La carta scritta attrae i curiosi e io lo sono. Parla di amicizia ed è singolare che nell’era dei messaggi, dei wathsapp, qualcuno affidi i pensieri alla carta. Sembra un passo di un romanzo. L’ho fotografato e lo leggo.

Mi hai attirata e ho aperto all’amicizia. Fin dove possibile ho corrisposto ai tuoi, ai nostri interessi. Gli sguardi erano desideri. Più in là, sapevo che il compimento del desiderio avrebbe scritto la parola fine. Ti ho incontrato troppo tardi. Ho preferito l’amicizia per sempre a una notte d’amore”.

Segue una frase cancellata: è un addio romantico. Lo lascio dov’era.

Che tristezza! Meno male che ho Tobia.

La fine di un’amicizia può spesso far più male di una vera e propria rottura con un partner e, purtroppo, non esiste un copione prestabilito per quando arriva il momento di scaricare un amico con cui le cose non funzionano secondo i tuoi piani. Spesso non vuoi ammettere quando un’amicizia è in realtà soltanto interesse. I segnali sono evidenti, ma tu non vuoi vederli. La pandemia ha reso difficile coltivare le proprie relazioni, ma la solitudine di questa pandemia aiuta anche a discernere fra interesse e amicizia. Sei attirata da alcune persone e apri all’amicizia; gli piaci, ma ti ricambiano per interesse. Lo percepisci, ma la pandemia ha portato solitudine, lo sai e accetti. Normalmente, queste amicizie si concludono al termine di un percorso, di una vacanza, altrimenti, quando capire che è il momento di mettere fine a un’amicizia poco sincera? Quando non si cercano le occasioni da condividere, quando si chiude il discorso con scuse banali: “Mi chiama mia madre”. Ebbene, c’è tutta una serie di segnali chiarissimi da imparare a riconoscere; ma, sopratutto, auguro a quella ragazza che il suo fosse un vero amico, disinteressato. Se così era, lo ritroverà di certo.

3977.- La Costituzione delle Donne

Articolo 38: Le donne hanno gli stessi diritti previdenziali e assistenziali degli uomini?

di Federica Gentile | 20 Maggio 2019

Articolo 38 della Costituzione "Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L'assistenza privata è libera."

Con l’Articolo 38 della Costituzione lo Stato si impegna ad assicurare agli individui il rispetto della propria dignità, anche qualora si trovino in una condizione di bisogno. In particolare, il comma 1 prevede l’assistenza sociale (vale a dire le misure che servono a garantire un adeguato tenore di vita anche a chi è titolare di un reddito inferiore ad una certa soglia e non può procurarsi altre entrate) per cittadini che non possano lavorare o che siano in una situazione di povertà: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.”  Se il comma 1 dell’Articolo 38 della Costituzione si riferisce in generale a tutti gli individui, il comma 2 si riferisce invece a lavoratori e lavoratrici e riguarda la previdenza sociale: “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.”

Con il comma 3, il diritto all’educazione e alla formazione per le fasce più deboli della popolazione vien garantito dall’Articolo 38 della Costituzione: “Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale” e aggiunge, al comma 4, che “Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.” Con il comma 5, “L’assistenza privata è libera”, lo stato di fatto dichiara di non avere il monopolio dell’attività di assistenza.

L’assistenza sociale e le donne

Le donne sono particolarmente vulnerabili dal punto di vista economico e quindi maggiormente dipendenti da strumenti di assistenza sociale: infatti le donne guadagnano mediamente a parità di lavoro 3.000 euro in meno degli uomini,  mentre la loro ricchezza individuale è più bassa di quella maschile del 25%.
Il reddito prodotto autonomamente dalle donne, o le loro proprietà individuali, rappresentano però indicatori di autonomia e di indipendenza economica.

Diverso è il discorso sulla redistribuzione delle risorse all’interno delle famiglie, sulla capacità di spesa e di consumo, che definiscono la soglia di povertà delle famiglie e degli individui. In questo caso le donne, pur essendo molto spesso dipendenti dalle risorse economiche del partner che mediamente guadagna di più, godono di una capacità di consumo e di un benessere maggiore di quello che avrebbero con il loro solo stipendio.
Per questo effetto di redistribuzione delle risorse, del consumo e delle spese all’interno della famiglia, quindi, il numero delle donne povere a livello individuale, tra adulte e minori,  calcolato dall’Istat sulla capacità di consumo, non è molto differente da quello degli uomini: dei 5 milioni e 58 mila di poveri assoluti nel 2017 in Italia 2 milioni 486 mila sono gli uomini e 2 milioni 472mila le donne.

Tuttavia,  se per le donne la redistribuzione familiare delle risorse può apparire un vantaggio, in realtà diventa molto pericolosa perché rappresenta pur sempre una dinamica di dipendenza: se le cose non vanno bene in famiglia, se ci si separa o si rimane vedove, aumenta sensibilmente il rischio di povertà per le donne. Le statistiche ci dicono infatti che il rischio di povertà per le donne è superiore a quello degli uomini, soprattutto per le fasce di età relative alla maternità (23,5% contro il 19,9% degli uomini per le 25-34enni, 3,6 punti percentuali di differenza) e soprattutto per le over 75 (18,7% contro il 12,1% degli uomini, per una differenza di 6,6 punti percentuali).

Eventuali strumenti di contrasto alla povertà dovrebbero quindi tenere presente le peculiarità della povertà delle donne; resta da vedere l’impatto di genere del reddito di cittadinanza – strumento che dovrebbe contrastare la povertà diffusa nel nostro paese. Al momento il 58% dei richiedenti sono donne, tra le quali molte donne single con bambini.

Le donne e la previdenza sociale

Per quanto riguarda invece la previdenza sociale, secondo dati Istat, le donne sono il 52,5% dei pensionati, e ricevono in media pensioni di quasi 6mila euro più bassi di quelli degli uomini. Le donne sono anche la maggioranza delle beneficiarie delle pensioni assistenziali (59,3%) dato che tendono ad avere percorsi lavorativi e contributivi più frammentati; percepiscono poi il 58,2% delle pensioni di invalidità civile, il 62,9% delle pensioni sociali e il 64,1% di quelle di guerra. Il 18% delle anziane non riceve alcuna forma di pensione  contro il 3% degli uomini. Vi è quindi un importante divario pensionistico di genere in Italia – così come in Europa – ed esso è peraltro il risultato inevitabile  della disuguaglianza nel mondo del lavoro: le donne guadagnano di meno, e spesso devono ridurre la propria attività lavorativa per prendersi cura dei familiari, e dunque non versano contributi che garantiscano loro una esistenza dignitosa.

Le proposte per la riforma delle pensioni per ora non sembrano prendere in considerazione il divario pensionistico di genere, per esempio Quota 100 pare proprio andare nella direzione opposta, in quanto per le donne, per via della carriera lavorativa mediamente discontinua, è difficile soddisfare i requisiti dei 62 anni e di 38 anni di contributi. Quota 100 quindi  “Incentiva il pensionamento anticipato e per farlo incanala una gran quantità di risorse verso lavoratori sessantenni, prevalentemente uomini, con carriere lavorative continue e aderenti al (generoso) sistema retributivo”.

3650.- Obbligo vaccinale, Costituzione, rischi e corruzione del diritto.

Pubblicato e aggiornato 3 gennaio 2021

Vogliamo nascere e morire liberi!

La mia premessa

Riprendo due articoli del 2 dicembre scorso, perché, in entrambi, si osserva la progressiva corruzione del diritto, naturalmente costituzionale, all’integrità fisica del proprio corpo e l’inversione della preminenza fra questo diritto e l’interesse della collettività. Aggiungerete, sicuramente, l’interesse finanziario e, qui, riporto una arguta osservazione di una mente libera: “Vi fanno pagare l’acqua e vi offrono gratis i vaccini. Almeno, chiedetevi: Perché?”

Si parte sempre dalla Costituzione.  L’art. 32 definisce espressamente la salute come un diritto fondamentale dell’individuo, che deve essere garantito a tutti (cittadini italiani e stranieri). Ciascun cittadino ha il diritto a essere curato e ogni malato deve essere considerato un “legittimo utente di un pubblico servizio, cui ha pieno e incondizionato diritto”.

Credo che abbiate letto e riletto l’art. 32. Ora analizziamolo secondo le priorità che pone.

Articolo 32

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Riguardo al primo comma, l’”interesse della collettività”, e “le cure gratuite agli indigenti” richiamano il dovere di solidarietà e l’interesse dello Stato a ché si realizzino l’eguaglianza sostanziale e si persegua la realizzazione della dignità della persona umana in ogni cittadino, anche in quanto elettore, che, sarebbe a dire, suffragio universale, sì, ma a parità di condizioni. Anche per questo l’art. 1 apre con “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, perché non c’è Libertà, senza Dignità, ma non c’è Dignità senza il Lavoro. Questa apparente divagazione serve a dimostrare che la Costituzione è un tutt’uno, nei e con i suoi principi fondamentali, interconnessi, spero ignorantemente violati, almeno, a partire dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi, economista, banchiere e politico italiano, laureato in Lettere: una nota solo temporale e non accusatoria perché il noto “divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia” servì, come poi il cambio fisso dell’euro, a combattere l’inflazione, ma avrebbe dovuto e non fu, essere accompagnato da nuove e adeguate politiche di bilancio. Torniamo a noi e all’art. 32.

La Corte costituzionale ha sottolineato che la salute non deve essere intesa come “semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico”. A partire dagli anni Settanta del Novecento, inoltre e con un pensiero alla Basilicata, diciamo che la giurisprudenza ha iniziato a considerare il diritto a un ambiente salubre come premessa necessaria per rendere effettivo il diritto alla salute.

L’articolo 32 ha anteposto “la salute come fondamentale diritto dell’individuo” all’”interesse della collettività”, coniugandoli, ma l’”interesse della collettività” accompagna, seguendo in ordine gerarchico. Infatti, non è stato scritto: “La salute degli individui è interesse della collettività”. Di più, la salute è l’unico diritto che viene definito come fondamentale e lo leggo, questo fondamentale, come un rafforzativo di quell’ordine gerarchico, con buona pace dei costituzionalisti, come il prof. Clementi, che andremo a leggere.

“Quando l’art. 32 dice “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, intendeva (chissà perché, per taluni, “in origine”) proteggere il cittadino da trattamenti sanitari obbligatori e arbitrari”.

La progressiva corruzione del diritto, fondamentale costituzionale, all’integrità fisica del proprio corpo e la tendenza all’inversione della preminenza fra questo diritto e l’interesse della collettività, appaiono anche dalla relazione resa davanti alle commissioni riunite Sanità e Politiche Ue del Senato da Sandra Gallina, direttore generale per la salute e la sicurezza alimentare della Commissione europea.

La voce evasiva dell’Unione europea: “Abbiamo puntato sulla sicurezza e se ci sono danni, la responsabilità sarà delle case farmaceutiche” !

di Mario Donnini

“Il vaccino contro il Covid sarà sicuro e gratuito per tutti” garantisce l’Ue

 AGI- Agenzia Giornalistica Italia

Sandra Gallina, direttore generale per la salute e la sicurezza alimentare della Commissione europea, spiega che l’idea è di non renderlo obbligatorio (l’idea! ndr).

covid vaccino garanzie ue sicuro gratuito per tutti
© Gokhan Balci / ANADOLU AGENCY / Anadolu Agency via AFP
– Sandra Gallina

AGI –  In Europa i vaccini saranno per tutti, gratuiti ma non obbligatori. Almeno, è questa l’indicazione arrivata oggi in sede parlamentare da Sandra Gallina, direttore generale per la salute e la sicurezza alimentare della Commissione europea, che davanti alle commissioni riunite Sanità e Politiche Ue del Senato ha fatto un punto della situazione sul fronte dei vaccini.

“Ci sono 165 vaccini che vengono sviluppati in questo momento – ha ricordato Gallina – e devo dire che arrivare a distillarne 10 non è stato difficile, perché i 10 migliori si sa quali sono e presentano per noi caratteristiche di sicurezza, che per noi è il primo criterio“; ma seguono anche, ha garantito, il “secondo criterio dell’efficacia”.

Senza trascurare il “terzo criterio, il prezzo: noi – ha spiegato – abbiamo pagato i nostro vaccini il giusto. Ci sono alcuni dei vaccini Usa, identici ai nostri, che noi abbiamo pagato in genere un terzo di quello pagato dagli americani. Io non avevo tanti soldi – ha rimarcato – e dovevo comprare vaccini per tutti. Un vaccino non puo costare piu di 15 euro”.

Inoltre, sulla loro sicurezza, ha aggiunto: “C’è questa cosa che circola che ci vogliono 10 anni per fare un vaccino sicuro… Non è vero. Il professor Fauci, sulla cui integrità non credo ci siano dubbi, ha detto che 10 anni fa i vaccini si facevano in un modo, oggi si fanno in un altro modo: abbiamo dei ‘super computer’, abbiamo molte più possibilità tecnologiche per accelerare il passo e soprattutto, ci sono i soldi perché il vaccino è una cosa rischiosa e costosa”.

“Le case farmaceutiche da sole – ha spiegato ancora – non si vogliono imbarcare in questo tipo di lavoro che non presenta molti margini di profitto. Il fatto che noi come Unione europea abbiamo pagato il cosiddetto ‘the risking’ all’inizio è stato l’elemento che ha portato alla produzione. Non ci sarà nessuno a fare da cavia – ha garantito – e poi ci sarà un monitoraggio”. 

L’italiana alla guida della Direzione generale per la Salute e la sicurezza alimentare della commissione europea, ha rivendicato il ruolo di primo piano dell’Europa nella battaglia per il vaccino anti-Covid. “Noi siamo il piu grande produttore di vaccini al mondo – ha sostenuto – l‘Europa produce l’80% dei vaccini e quindi era inevitabile che fosse in testa rispetto alla produzione di vaccino mondiale”.

Certo, ha ricordato, “ci sono dei vaccini anche negli Usa ma la maggioranza dei vaccini efficaci contro il Covid viene dall’Unione europa ed essendo così forti vogliamo essere generosi, aiutare anche gli altri paesi. Ci saà’ una strategia di donazione – ha spiegato – che includerà sicuramente i paesi del ‘vicinato’, i Balcani, ma anche altri paesi dell’Europa, l’Africa, i paesi dell’America Latina; abbiamo creato un portafoglio ricco ma che condivideremo con gli altri”.

Quindi, ha continuato Gallina: “Il punto importante è che tutti gli Stati membri avranno un accesso uguale a tutti i vaccini, e saranno gratuiti, perché il vaccino è stato interpretato come un bene comune“. E inoltre, “c’è stata solidarietà. La strategia europea dei vaccini presenta un elemento di solidarietà”.

Poi, ha sottolineato, saranno gli Stati membri a “stabilire le strategie di vaccinazione, nel senso di individuare i gruppi che per primi devono essere vaccinati. Noi abbiamo dato delle raccomandazioni – ha proseguito – ci sono i gruppi vulnerabili, ma anche tutti gli operatori del settore sanitario. E’ chiaro che poi gli Stati membri dovranno provvedere alla logistica e alle infrastrutture che permetteranno non solo la vaccinazione ma anche il monitoraggio dei vaccini. Per me il lavoro – ha concluso – non finisce qui, durerà a lungo, perché il monitoraggio è cruciale e lo faremo con l’Ema”.

La signora Gallina conclude fra il rozzo e l’evasivo e un pò di vittimismo riparatore, sulle responsabilità per eventuali danni. ndr

Quindi, ha precisato, a proposito delle responsabilità: Poi, ha precisato: “Abbiamo puntato sulla sicurezza e se ci sono danni, la responsabilità sarà delle case farmaceutiche, un elemento molto difficile nei negoziati che mi sono costate un po’ di notti in bianco…”.

Ma il vaccino sarà obbligatorio? La linea è simile a quella italiana, almeno al momento: “Sappiamo che i vaccini sono una cosa molto emotiva – ha osservato – noi come Unione europea non pensiamo necessariamente che l’obbligatorietà sia una buona idea, perché alle fine questo si ritorce contro”. 

La posizione non chiara dei costituzionalisti e le nostre citazioni

di Sonia Montrella – Barbara Tedaldi

obbligo vaccino anti covid costituzionalisti legge
© Afp – Vaccino anti Covid
 

“Sì all’obbligo del vaccino ma solo con una legge”. Il parere dei costituzionalisti

Il giurista ed ex presidente della Corte costituzionale, Cesare Mirabelli, il costituzionalista, Michele Ainis e il professore di Diritto pubblico comparato dell’Università di Perugia, Francesco Clementi, spiegano all’Agi perché non si può procedere all’obbligatorietà senza “l’approvazione del Parlamento”.

AGI – I costituzionalisti danno il via libera all’ipotesi dell’obbligatorietà del vaccino anti-Covid purché ci sia “una legge” e “l’approvazione del Parlamento”. “La Costituzione pone delle condizioni sui trattamenti sanitari obbligatori, tra cui rientrano anche i vaccini, ma li vincola alla fonte legislativa”, spiega all’AGI il giurista ed ex presidente della Corte costituzionale, Cesare Mirabelli. “Nessuno può essere obbligato a sottoporsi alla vaccinazione senza che ci sia una legge“, mette in guardia Mirabelli. E questo perché “certe scelte devono essere compiute allo scopo di ottenere un bilanciamento tra l’interesse collettivo e la scelta personale”.

Quale bilanciamento? L’art. 32 esprime chiaramente la preminenza gerarchica del diritto fondamentale dell’individuo rispetto all’interesse della collettività e la definizione di fondamentale è un rafforzativo. Detta da un ex presidente della Corte costituzionale, significa corruzione intenzionale del principio. ndr.

Non solo: per introdurre l’obbligatorietà vaccinale, osserva il costituzionalista Michele Ainis, “non si può procedere attraverso un dpcm. E la decisione finale spetta al Parlamento”, afferma all’AGI. Quest’ultimo aspetto “mi sembra una buona cosa perché in Parlamento ci sono anche le minoranze e può venire fuori un dibattito costruttivo”, commenta Ainis. Mirabelli aggiunge anche la necessità di una legge “che preveda un indennizzo in caso di danno da vaccinazione”.

Come dovrebbe procedere dunque il governo? Per Ainis innanzitutto “bisogna prendere una posizione: o si sceglie l’obbligatorietà o no, ma si deve essere chiari”. Poi, il governo potrebbe lavorare “in due tempi. Ovvero, si prova a non renderlo obbligatorio attraverso una massiccia campagna di informazione e di sensibilizzazione. Se non si raggiunge il numero minimo per ottenere l’immunità di gregge allora si può procedere con l’obbligatorietà”.

Il rischio è quello di venire accusati di ‘dittatura sanitaria’, una critica già sollevata nei mesi scorsi in occasione dell’imposizione della mascherina. “Siamo già in ‘dittatura sanitarià perché ci sono altri vaccini già obbligatori. Ma non è corretto: di fronte a un’epidemia scattano misure e procedure straordinarie, non siamo di fronte a una ‘dittatura sanitarià ma a un’emergenza sanitaria”, dichiara Ainis.

Strana emergenza! Non un cenno al Piano Nazionale di Preparazione e Risposta a una Pandemia Influenzale 2006, aggiornato fino al 2010 e, poi, dimenticato. Perché dimenticato? Abbiamo letto di meglio a sua firma professor Ainis.

In passato “abbiamo sconfitto la poliomelite attraverso il vaccino”, ricorda Mirabelli. “Per l’anti-influenzale non c’è l’obbligatorietà perchéil danno alla collettività è minimo. Ma la pandemia da Covid ha risvolti disastrosi”. Eppure sono molti a scandalizzarsi. Per Ainis il motivo è presto detto: “Questo è il tempo delle fake news, della crisi delle verità ufficiali perchè in rete qualsiasi verità incontra sempre una controverità la quale più è poco plausibile più trova seguito.

La rete, che offre l’opportunità di esprimere la propria opinione su cose che non si conoscono, ha celebrato il funerale degli esperti. Anche se va precisato che alcuni esperti si sono suicidati da soli”. Nel caso specifico dell’anti-Covid, c’è un motivo di scetticismo in più, dice Ainis: “La corsa al vaccino fa dubitare molti della sua sicurezza. E si tratta di una preoccupazione legittima. Ma sono fiducioso del fatto che il vaccino verrà commercializzato solo quando sarà considerato sicuro“.

D’altronde, “questo è uno dei casi in cui il diritto cede il passo alla scienza: se un vaccino è sicuro o no lo deve assicurare un comitato scientifico”. Una cosa, però, per Mirabelli deve essere certa: “Se il vaccino venisse imposto, le strutture dovrebbero essere perfettamente idonee a fornirlo a tutti, non si può andare incontro a una difficoltà di erogazione del servizio”.

La vaccinazione contro il covid-19 non può essere imposta a tutti gli italiani d’imperio ma si possono incentivare le vaccinazioni attraverso una legge che normi determinati ambiti e induca alla vaccinazione soggetti a rischio o che frequentino e lavorino in ambienti affollati.

Clementi ha detto: … “attraverso una legge che induca”!

Mentre nel resto del mondo occidentale ci si sta orientando per la non obbligatorietà e anche il ministro della Salute Roberto Speranza ha espresso questa propensione parlando alle Camere, i costituzionalisti ne discutono in punta di diritto.

Francesco Clementi, professore di Diritto pubblico comparato dell’Università di Perugia spiega all’AGI i termini costituzionali e legislativi del tema che tocca il delicato rapporto tra interesse collettivo e liberta’ individuali.

Giova ricordare che tutta la giurisprudenza deriva dall’articolo 32 della Costituzione che recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

“Il tema delle vaccinazioni, dei trattamenti sanitari, ha sempre toccato il tema delle liberta’ e l’Italia ha oscillato in una dinamica fluida e soprattutto negli ultimi anni il tema e’ uscito dal range delle opzioni lasciando liberta’” ricorda Clementi.

Questo fino a quando “nel 2016-17 il governo di allora dovette intervenire d’urgenza per un nuovo rischio alla salute dei bambini dovuto al calo dell’immunita’ di gregge. Il governo introdusse un decreto legge, 73/2017, che prevedeva un graduale aumento delle coperture generali, il dl divenne legge e venne impugnata dalla Regione Veneto che lo portò alla Corte costituzionale. La Corte diede ragione al governo dicendo che esso aveva agito correttamente sulla base di una straordinaria urgenza perche’ l’effetto gregge era in calo e serviva un provvedimento forte”.

Clementi spiega che “questa sentenza ha lasciato sul terreno della giurisprudenza costituzionale un monito importante: di fronte all’emergenza l’obbligo di un trattamento, pur gravando sulla liberta’ dei cittadini, deve intervenire”.

Tornando ai giorni nostri e applicando quei criteri all’epidemia di covid-19 e al tema dei vaccini, per Clementi “l’interesse della collettività in questa fase potrebbe prevalere sulla libertà dell’individuo”. Resta però indubbio che “l’intervento debba una legge o un decreto legge”.

No professore, l’interesse della collettività accompagna sempre e non prevale sulla libertà dell’individuo”. Cede, comunque, in caso di non dimostrata (non, semplicemente, dichiarata) sicurezza.

“La platea potrebbe essere pero’ graduata: obbligo solo per categorie a rischio e raccomandazione per gli altri, con una vaccinazione a macchie. Solo una vaccinazione di massa garantisce l’effetto gregge e quindi se il governo ha intenzione di introdurre con forza uno strumento di questo tipo lo deve fare con legge o decreto legge” prosegue Clementi.

“Avere i vaccini disponibili senza poterli mettere a terra in modo reale e concreto rende la partita del covid una partita non chiusa”. Quanto all’idea di una sorta di ‘patentino’ richiesto per accedere a determinati luoghi o servizi, dai mezzi di trasporto agli uffici pubblici alle scuole, Clementi spiega che cio’ sarebbe possibile solo se il governo varasse una legge ad hoc.

La “stella gialla”. Quod fascismo non fecit, lo farà la democrazia.

“L’Italia con una legge, e una adeguata copertura europea, potrebbe poi varare una legge per richiedere un ‘patentino’ di vaccinazione per l’accesso ad alcuni luoghi o servizi. Serve dunque una legge dello Stato che normi caso per caso, non si possono restringere le liberta’ al buio, lo si puo’ fare solo definendo gli ambiti siano essi eta’, funzioni, o luoghi”.

Nel corso di questa lettura, abbiamo visto scorrere nomi e titoli prestigiosi: EMA, European Medicines Agency – Europa EU, l’Agenzia europea per i medicinali, giurista ed ex presidente della Corte costituzionale, cattedratici. Non possono essere tacciati di ignoranza, ma di corruzione dei principi. Il patentino di vaccinazione dichiara la loro e la nostra decadenza morale. La crescita solo numerica dell’umanità è complice di questa decadenza.

È la fine di un’epoca, quella degli Stati sovrani e delle costituzioni dei cittadini, soppiantati dalla potenza finanziaria delle multinazionali e dal globalismo. Solo le società di formiche possono essere strumentali a questa potenza, non certo le identità. Per loro, varranno l’eutanasia, l’aborto per scelta e non per necessità. La disgregazione della società, a cominciare dal simbolo di Libertà che è la donna e dalla mascolinizzazione dei suoi diritti, dalla famiglia come formazione sociale primigenia, portano alla negazione dell’umanità per il vantaggio di pochi. Vedremo sempre più affermarsi, ad ogni livello, la meritorietà della soggezione al pensiero unico.

Vogliamo nascere e morire liberi!

3555.- Aborto: cosa succede davvero al feto

A 42 anni dalla promulgazione, si parla ancora della legge 22 maggio 1978, n. 194, a firma Giovanni Leone, che ha depenalizzato e disciplinato le modalità di accesso all’aborto.

L’interruzione volontaria di gravidanza dalla parte della donna.

immagine di una donna che guarda l'orizzonte

Oggi in Italia la donna può richiedere l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Dal 1978 questo intervento è regolamentato dalla Legge 194/78, che descrive con chiarezza le procedure da seguire in caso di richiesta di IVG:

  1. esame delle possibili soluzioni dei problemi proposti
  2. aiuto alla rimozione delle cause che porterebbero alla IVG
  3. certificazione
  4. invito a soprassedere per sette giorni in assenza di urgenza, sia entro che oltre i primi 90 giorni di gravidanza.

Obiettivo primario della legge è la tutela sociale della maternità e la prevenzione dell’aborto attraverso la rete dei consultori familiari, un obiettivo che si intende perseguire nell’ambito delle politiche di tutela della salute delle donne.

Dalla parte del feto.

Gli abortisti parlano di tante cose, fanno molti esempi. Ma non raccontano mai cosa succede ad un feto quanto viene abortito clinicamente. Dietro la parola “isterosuzione” o “metodo Karman” si cela la vera pratica: “Viene introdotta una cannula allo scopo di estrarre il nascituro mediante l’aspirazione, prodotta da un apparecchio simile all’aspirapolvere domestico, ma molto più potente. La morte del nascituro viene provocata smembrandogli le braccia e le gambe. I resti fetali diventano una marmellata sanguinolenta”.
Una scena agghiacciante, per questo viene taciuta. Se venisse ripetuta con la stessa insistenza di “libertà” o “autodeterminazione”, sarebbero in molti a protestare contro l’aborto.
Si tratta di una vera e propria verità nascosta. E si cerca di neutralizzarla con termini generici, spesso tecnici, che alle orecchie dei più non significano niente.

Un articolo del 2012, ma sempre attuale.
***
Aborto: perché non si parla mai dell’aspetto clinico

Sul web è presente una sorta di tema-tabù sull’aborto. Si parla un po’ di tutto, esistono punti di vista differenti, analisi logiche dettagliatissime. Ma c’è un aspetto di cui si parla poco: in cosa clinicamente consista. Con sorpresa, la maggior parte dei testi, anche quelli più specialistici, evitano l’argomento. Perché? È interessante notare, ad esempio, come nel Glossario fornito dall’Istat del 2011 per gli anni 2008-2009, non esista una voce che descriva la procedura clinica adottata.

Invece sono tenute ben distinte le voci “Aborto” e “IVG”. Non è un dettaglio da poco. Sono la stessa cosa, ovviamente, ma nel primo caso (quello semanticamente più forte), l’aborto viene definito «interruzione della gravidanza prima che il feto sia vitale, cioè capace di vita extra uterina indipendente ». Cerchiamo di capire. Se uno si fermasse alla prima parte della frase, penserebbe che il feto «non è vitale», dunque privo di vita, o almeno mancante di esistenza propria. Ma non è così. Il feto è vivo, e tuttavia è incapace di esistere al di fuori del grembo materno.
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Estrarlo coincide esattamente con l’ucciderlo. Una società con un’etica ben salda darebbe rilievo a quest’ultimo aspetto, mentre una società dai parametri scombinati insisterebbe su quel “prima che… vitale” per giustificare la propria innocenza. Per specificare, sempre la stessa voce dice: «Si distingue l’aborto spontaneo dall’aborto indotto o interruzione volontaria della gravidanza».

Da un lato si ha «l’aborto spontaneo», naturale, dall’altro si ha un qualcosa di diverso che, con eufemismo ben studiato, viene prima siglato e poi neutralizzato con «interruzione volontaria della gravidanza». La voce IVG, infatti, descrive l’aborto solo in termini legali, tecnici, freddi. Ed è chiaro il motivo: mentre aborto si capisce subito, IVG è poco comprensibile e rende il tutto più stemperato.

È un po’ come la propaganda in Inghilterra, sottolineata da Gianfranco Amato(I nuovi Unni, p. 132-134): lì si preferisce chiamare l’aborto medical care (cura medica) e i movimenti che lo sostengono pro choice (a favore della scelta) che tutelano l’abortion right (il diritto all’aborto). Che poi si tratti di decisione che uccida o meno una creatura viva fa parte delle specifiche, come fosse un dettaglio marginale. Il dato importante sembra essere la cura, la libertà di scelta, l’autodeterminazionedella donna, ed è su questo che la propaganda abortista fa leva.
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Ma la percentuale della cosiddetta “cura”, gli aborti procurati per la salute fisica e mentale della donna, in Italia come in Inghilterra non sono che uno zero virgola un numero. Numeri bassi, peraltro già compresi nella legislatura precedente al 1978 (vedi art. 54 del Codice Penale sullo “Stato di necessità”). Si faccia attenzione poi alla parola auto-determinazione perché, messa così, sembra che la donna possa scegliere per qualcosa che riguarda solo lei.

Quasi che un bambino fosse una massa di cellule amorfe, un pezzo smontabile, che si può togliere come la carta da parati in casa. Invece si tratta anche di etero-determinazione, una decisione che si prende al posto di un altro. È bene sempre sottolinearlo, perché a forza di eufemismi e di acronimi si rischia di perdere il senso della gravità di ciò che si sta facendo. Il senso vero dovrebbe essere questo: si faccia attenzione a parlare semplicisticamente di aborto, perché il bambino abortito avresti potuto essere tu. Ora tu puoi amare, decidere, sorridere, lavorare o disperarti perché una mamma, la tua, ha deciso che valevi di più di una “causa economica”.

O peggio ancora, che valevi meno della sua libertà. Le parole usate per descrivere questa scelta sono ambigue, sbagliate o controverse. Possono ingannare. Personalmente apprezzo la consapevolezza e sto sulle difensive quando qualcuno o qualcosa cerca di nascondermi la verità o me la racconta con parole poco chiare. Va da sé, poi, che la consapevolezza e l’informazione creerebbero non pochi dubbi nell’opinione pubblica, ma è proprio questo che i gruppi pro-choicevorrebbero evitare.
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La consapevolezza. I percorsi per addormentare le coscienze della gente sono proprio questi: spostare il baricentro del discorso, presentare come positiva una realtà negativa. Nessuna dittatura, per quanto spietata, si è mai presentata come distruttiva verso il popolo, ma ha sempre motivato le proprie scelte come belle, sane, produttive per chi le segue. Per avere un’informazione corretta e autorevole sull’isterosuzione, la pratica abortiva più utilizzata, bisogna prendere invece testi come quelli di Rodríguez-LuñoScelti in Cristo per essere santi, III, manuale a cura della Facoltà di Teologia “Santa Croce”. A pagina 194 troviamo questa descrizione: «Viene allargato l’orifizio esterno del collo uterino, e viene introdotta una cannula allo scopo di estrarre il nascituro mediante l’aspirazione, prodotta da un apparecchio simile all’aspirapolvere domestico, ma molto più potente. La morte del nascituro viene provocata smembrandogli le braccia e le gambe. I resti fetali diventano una marmellata sanguinolenta».

Non è necessario commentare ulteriormente, ma qualsiasi medico con parole più o meno diverse (magari tecniche) vi confermerà che è vero. Cercate su internet, fra le immagini, basta digitare “isterosuzione” o “metodo Karman”. Ma la domanda è soprattutto questa: è giusto che si possa leggere una descrizione dell’aborto come questa solo (o quasi) in un libro di Teologia Cattolica? Perché non la si può trovare anche nel Glossario dell’Istat, nelle specifiche della legge 194 o in qualche altro testo di portata pubblica? È forse troppo brutale, di cattivo gusto?

Se non si ponesse l’accento sulla brutalità del gesto, non si capirebbe perché a distanza di 34 anni molti sentono ancora come un dovere aprire una discussione sulla legge sull’aborto. Se non fosse brutale, chi contesta la legge 194 apparirebbe come un matto che si scalda per niente. Se tutti stessero zitti, vorrebbe dire che la società ha davvero fatto un passo avanti. Verso brutalità ancora peggiori. 

Davide Greco

Fonte: Corrispondenza Romana

Esistono due tecniche per eseguire una IVG: il metodo farmacologico e quello chirurgico.

Interruzione volontaria di gravidanza attraverso il metodo farmacologico

E’ una procedura medica, distinta in più fasi, che si basa sull’assunzione di almeno due principi attivi diversi, il mifepristone (meglio conosciuto col nome di RU486) e una prostaglandina, a distanza di 48 ore l’uno dall’altro.
Il mifepristone, interessando i recettori del progesterone, necessari per il mantenimento della gravidanza, causa la cessazione della vitalità dell’embrione; l’assunzione del secondo farmaco, della categoria delle prostaglandine, ne determina l’espulsione.
In Italia è possibile ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza con il metodo farmacologico dietro richiesta della persona interessata. 
Il ministero della Salute il 12 agosto 2020 ha emanato una circolare di aggiornamento delle “Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine” .

Le nuove Linee di indirizzo, che aggiornano quelle del 24 giugno 2010, sono passate al vaglio del Consiglio Superiore di Sanità (Css) che il 4 agosto scorso ha espresso parere favorevoleal ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico con le seguenti modalità:

  1. fino a 63 giorni pari a 9 settimane compiute di età gestazionale;
  2. presso strutture ambulatoriali pubbliche adeguatamente attrezzate, funzionalmente collegate all’ospedale ed autorizzate dalla Regione, nonché consultori, oppure day hospital

Successivamente al parere del CSS l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) il 12 agosto ha emanato la Determina n. 865 “Modifica delle modalità di impiego del Medicinale Mifegyne a base di mifepristone (RU486)”. 

La decisione del ministro: La donna che vuole interrompere la gravidanza potrà assumere la pillola RU486 senza farsi ricoverare”, fino alla nona settimana di gravidanza.

Leggi

Circolare del ministero del 12 agosto 2020

Interruzione volontaria di gravidanza attraverso il metodo chirurgico

Anche se il metodo farmacologico sta prendendo sempre più piede, l’interruzione di gravidanza attraverso il metodo chirurgico resta comunque molto praticata.
L’intervento può essere effettuato presso le strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale e le strutture private convenzionate e autorizzate dalle Regioni.

3389.- PER QUELLI CHE NON HANNO TEMPO PER CONOSCERE

IL “PROGRESSO” DELL’ISLAM. DOVE SONO LE FEMMINISTE?

Una religione che non si limita a fare proseliti, che condanna a morte e comanda di uccidere chi sceglie l’apostasia, che non riconosce l’eguale libertà delle confessioni e fa della fede uno strumento di potere, non è una religione con la quale possa esserci coesistenza. La Shari’ah, la Legge di Dio, che sia un codice di leggi, di consuetudini o di diritto positivo, è una legge che incide, sovvertendolo sul nostro sistema sociale, culturale e politico e che contrasta con la morale e con l’ordinamento giuridico italiano (2296).

“Poi toccò a me. Ormai ero terrorizzata.
– Quando avremo tolto questo “kintir” (clitoride) tu e tua sorella sarete pure.- Dalle parole della nonna e degli strani gesti che faceva con la mano, sembrava che quell’orribile kintir, il mio clitoride, dovesse un giorno crescere fino a penzolarmi tra le gambe. Mi afferrò e mi bloccò la parte superiore del corpo… Altre due donne mi tennero le gambe divaricate. L’uomo che era un cinconcisore tradizionale appartenente al clan dei fabbri, prese un paio di forbici. Con l’altra mano afferrò quel punto misterioso e cominciò a tirare…Vidi le forbici scendere tra le mie gambe e l’uomo tagliò piccole labbra e clitoride. Sentii il rumore, come un macellaio che rifila il grasso da un pezzo di carne. Un dolore lancinante, indescrivibile e urlai in maniera quasi disumana. Poi vennero i punti: il lungo ago spuntato spinto goffamente nelle mie grandi labbra sanguinanti, le mie grida piene di orrore… Terminata la sutura l’uomo spezzò il filo con i denti… Ricordo le urla strazianti di Haweya, anche se era più piccola, aveva quattro anni, scalciò più di me per cercare di liberarsi dalla presa della nonna, ma servì solo a procurarlo brutti tagli sulle gambe di cui portò le cicatrici tutta la vita.

Mi addormentai, credo, perché solo molto più tardi mi resi conto che le mie gambe erano state legate insieme, per impedire i movimenti e facilitare la cicatrizzazione (dato che c’è stata una perdita di sostanza, clitoride e piccole labbra, le gambe legate insieme permettono la cicatrizzazione, ma la cicatrizzazione avviene in retrazione. Non c’è più tutto il tessuto necessario perché le gambe possano essere divaricate completamente. Nessuna farà più la spaccata. Anche dare un calcio a un pallone può essere impossibile, come andare a cavallo o, nei casi più gravi, nuotare a rana. Nei casi più gravi, dove infezioni riducono ulteriormente il tessuto, le donne non possono più divaricare le gambe per accovacciarsi e urinare e, dove non esistono water, devono urinare dalla posizione in piedi con l’orina che scola tra le gambe, scola un filino alla volta, una goccia alla volta).

Era buio e mi scoppiava la vescica, ma sentivo troppo male per fare pipì. Il dolore acuto era ancora lì e le mie gambe erano coperte di sangue. Sudavo ed ero scossa dai brividi. Soltanto il giorno dopo la nonna mi convinse a orinare almeno un pochino. Oramai mi faceva male tutto. Finché ero rimasta sdraiata immobile il dolore aveva continuato a martellare penosamente, ma quando urinai la fitta fu acuta come nel momento in cui mi avevano tagliata. Impiegammo circa due settimane a riprenderci. La nonna accorreva al primo gemito angosciato. Dopo la tortura di ogni minzione ci lavava con cura la ferita con acqua tiepida e la tamponava con un liquido violaceo, poi ci legava di nuovo le gambe e ci raccomandava di restare assolutamente ferme o ci saremmo lacerate e allora avrebbe dovuto chiamare quell’uomo a cucirci di nuovo.

Lui venne dopo una settimana per esaminarci. Haweya doveva essere ricucita. Si era lacerata urinando e lottando con la nonna… L’uomo ritornò a togliere il filo dalla mia ferita. Ancora una volta furono atroci dolori per estrarre i punti usò una pinzetta. Li strappò bruscamente mentre di nuovo la nonna e altre due donne mi tenevano ferma. Ma dopo questo anche se avevo una ruvida spessa cicatrice tra le gambe che faceva male se mi muovevo troppo, almeno non fui più costretta a restare sdraiata tutto il giorno con le gambe legate. Haweya dovette attendere un’altra settimana e ci vollero quattro donne per tenerla ferma… Non dimenticherò mai il panico sul suo viso e nella sua voce… Da allora non fu più la stessa… aveva incubi orribili. La mia sorellina un tempo allegra e giocosa cambiò. A volte si limitava a fissare il vuoto per ore. (svilupperà una psicosi)… cominciammo a bagnare il letto dopo la circoncisione.”

(Testimonianza di Ayaan Hirsi Ali)

E la sinistra accoglintista, multiculturalista, globalista, radical chic del politically correct (con posto statale o scranno all’ONU-UE-FMI-FAO-UNICEF…..) tace e gira li sguardo dall’altra parte facendo manifestazioni per adozioni gay e contro la famiglia.

Fonte, Sardegna Today

3315.- Una polemica al giorno distrae la gente intorno.

Questa governance è la fiera delle figuracce che escono dal suo cilindro mediatico e dai suoi ministri. Li abbiamo visti sfilare in ordine, uno alla volta: le orgogliose sconfitte europee di Conte, i banchetti di Azzolina, i 600 euro di Tridico, la responsabilità solo politica di Conte per la l’epidemia e la strage, l’impossibilismo volontario di fermare la violazione dei confini di Lamorgese. Nel frammezzo, i regaletti agli amici, ai compagnucci di scuola, ai genitori delle fidanzate. Da più d’uno, sento dire che si innescano polemiche, ma, vada come vada, per distrarre la gente da ben altri problemi. L’ultima figuraccia rivede sulla scena Roberto Speranza, per grazia di chi? ministro della salute, che annuncia la deroga a nove settimane per l’aborto e il via libera all’aborto farmacologico in day hospital, mediante la somministrazione della pillola abortiva RU 486. Tanto la deroga quanto la il via libera sono destinati a un fiasco e, ancora una volta, vengono alla luce, da un lato, l’incapacità del governo e, dall’altro, l’ostinazione di chi lo sostiene; ma è d’obbligo citare la straordinaria incapacità di questo popolo di comprendere che “chi tace, acconsente”.

Questa ulteriore azione del ministro vorrebbe apparire mirata a rendere più facile l’aborto, a estenderne i limiti temporali che furono posti posti a tutela della vita umana (legge 22 maggio 1978, n. 194. “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” e deliberazione n. 14 dell’Agenzia italiana del farmaco) e, in ultima analisi, a diminuire le nascite degli italiani e, quindi, ad aggravare l’emergenza del calo demografico. In questo ultimo effetto, ritroviamo le ben note politiche dei fautori della eliminazione di tre quarti dell’umanità, con qualunque mezzo e del controllo del restante quarto.

Formalmente, l’azione di Speranza avrebbe trovato legittimazione in un parere del Consiglio superiore di sanità. In realtà, il parere è stato richiesto dallo stesso Speranza, che ha preso il via da un’ordinanza della governatrice dell’Umbria, Donatella Tesei, che impone, invece, un ricovero di tre giorni per chi ha assunto la pillola abortiva. E, qui, viene in argomento la 194 citata, la legge che protegge la vita.

A prescindere dal maldestro tentativo del governo di l’aborto facile L’argomento favorevole in linea di massima alle nuove linee guida del ministero non può essere il parere del Css. Vediamo perché. Il parere, rilasciato con evidente imbarazzo, è solo formalmente positivo, ma sostanzialmente negativo, rinviandosi alla deliberazione n. 14 dell’Agenzia, in fatto, contraria. Il parere, infatti, ipotizza un limite, che ben possiamo rilevare nella legge nazionale 194 e nella deliberazione n. 14/2009 dell’Agenzia del farmaco. La prima prevede che la durata del ricovero debba coprire tutta la durata dell’interruzione della gravidanza, quindi, niente day hospital, ma ricovero in struttura sanitaria per la somministrazione della pillola abortiva RU 486 e fino ad avvenuta espulsione del feto; la seconda puntualizza che la somministrazione della pillola abortiva RU 486 deve avvenire “nel rigoroso rispetto dei precetti normativi previsti dalla 194”, quindi obbligo di assunzione della pillola entro la settima settimana di gravidanza e non, in deroga, entro la nona.

Estratto della legge 22 maggio 1978, n. 194. “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”

Articolo 1, comma 3,

Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.

Articolo 2

I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza:

… d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.

Articolo 4

Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio- sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia.

Articolo 5

Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto.

Articolo 6

L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata:
a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

I romani calcolavano l’età dall’inizio della gravidanza. Valgono il valore sociale della maternità e la tutela della vita umana fin dal suo inizio e questa meraviglia è vivo