Questa guerra ha un senso soltanto se accettiamo che entrambi i contendenti vogliano e soltanto vogliano, ciascuno la distruzione dell’altro e se consideriamo quali interessi gravitino in Medio Oriente, sopratutto per la sua stabilità e sicurezza, da parte della Cina, dell’India, della Turchia e non dimentichiamo l’energia. A voi l’analisi di Drieu Godefridi sul piano giuridico e su quello politico.
Perché Belgio, Norvegia, Spagna e tutti dovrebbero astenersi dal riconoscere uno “Stato palestinese” proprio ora
Da Gatestone Institute, di Drieu Godefridi, 3 dicembre 2023. Nostra traduzione libera
Nel caso di uno “Stato palestinese”, non esiste alcun territorio sul quale anche i palestinesi siano d’accordo. Infatti, lo statuto di Hamas – designato come organizzazione terroristica da molti paesi in Occidente, e che regna incontrastato nella Striscia di Gaza dal 2007, quando espulse con la forza l’Autorità Palestinese, in parte gettando i suoi membri da edifici di 15 piani — chiede la “liberazione” di “ogni centimetro della Palestina” attraverso la jihad.
L’Autorità Palestinese rivendica anche tutto il territorio, compreso tutto Israele (vedi anche qui, qui, qui e qui).
- Il possibile riconoscimento di uno “Stato palestinese” da parte del Belgio non ha senso dal punto di vista del diritto internazionale. In realtà, ciò non è tanto il risultato del desiderio di aiutare i palestinesi – la cui vita non ne trarrà alcun miglioramento – quanto piuttosto di un’ostilità feroce e sempre più palese nei confronti dello Stato di Israele e, molto probabilmente, anche degli ebrei.
- Riconoscere uno Stato palestinese senza autorità, senza richieste territoriali realistiche e senza una leadership accettabile – e con un desiderio esplicito e a lungo termine di militarizzare e distruggere il suo vicino Israele.
Nella foto: terroristi di Hamas con il loro bambino apprendista durante una manifestazione a Gaza City il 24 maggio 2021. (Foto di Mahmud Hams/AFP tramite Getty Images)
Nei corridoi del potere si vocifera che il Belgio, come la Norvegia e la Spagna, si stia preparando a riconoscere uno “Stato palestinese”. Vediamo perché questa mossa sembra discutibile, sia sul piano giuridico che su quello politico.
Le prime condizioni per il riconoscimento di uno Stato sono il territorio e l’autorità statale. Il diritto internazionale definisce uno Stato sovrano come un’unità territoriale stabilita, all’interno della quale le sue leggi si applicano a una popolazione permanente, e che è costituita da istituzioni attraverso le quali esercita autorità e potere effettivo.
L’Autorità Palestinese rivendica inoltre l’intero territorio, compreso tutto Israele. Il territorio dello “Stato Palestinese” non è quindi conteso ai margini; è contestato nella sostanza. Al momento nessuno, e certamente non gli stessi palestinesi, può dire quali siano, anche approssimativamente, i confini del territorio che rivendicano, a parte l’intero territorio apertamente desiderato di Israele.
Inoltre, l’Autorità Palestinese conta sul “Piano in dieci punti” dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina del 1974 (noto anche come “piano a fasi”) per la “liberazione globale” di tutta la terra che si estende “dal fiume [Giordano] al [ Mar Mediterraneo]” – un eufemismo per l’eliminazione di Israele. Il piano prevede che l’OLP utilizzi qualunque territorio gli venga offerto come base operativa per ottenere il resto.
Né esiste alcuna autorità statale costituita. O meglio, sono due. A Gaza, Hamas governa dal 2007. Nelle aree popolate da palestinesi della Giudea e della Samaria, domina l’Autorità Palestinese. Queste due autorità non si riconoscono, tanto da entrare in guerra. Tra il 2007 e il 2008, centinaia di quadri e attivisti sono stati uccisi negli scontri tra Hamas e l’Autorità Palestinese nella Striscia di Gaza. Si stima che circa 600 prigionieri politici di Hamas siano detenuti nelle carceri dell’Autorità Palestinese.
Qual è allora questa enigmatica “autorità” che dovrebbe essere riconosciuta? L’Autorità Palestinese, che non ha legittimità, non ha rappresentanti a Gaza ed è odiata da un gran numero della sua stessa popolazione? Oppure Hamas, che governa la Striscia di Gaza dal 2007, è un’organizzazione terroristica e ha appena perpetrato il peggior atto di omicidio di massa contro gli ebrei dai tempi della Shoah?
Il Belgio si rende conto che riconoscere qualsiasi tipo di “autorità” in queste condizioni equivale a riconoscere un’organizzazione terroristica o l’Autorità Palestinese, la cui autorità a Gaza è un puro mito, o un miscuglio delle due che non ha alcuna rilevanza sul terreno?
Nel rigoroso diritto internazionale non ha senso riconoscere uno “Stato palestinese” che non esiste in nessuna delle sue componenti fondamentali. Come si può giustificare il riconoscimento di un mito come quello dello Stato palestinese, rifiutando allo stesso tempo di riconoscere uno “Stato di Taiwan” democratico, che è perfettamente costituito e lo è da decenni? Va benissimo pretendere di essere regolati dal diritto internazionale, ma è ancora meglio essere coerenti nel rispettarne le categorie.
Un altro problema è quello dei “profughi palestinesi”. Si stima che siano due milioni i “rifugiati palestinesi” riconosciuti come tali dalle Nazioni Unite che vivono attualmente in Cisgiordania e Gaza. La questione dei rifugiati è una delle più delicate nel conflitto arabo-israeliano. Cinque milioni di arabi palestinesi attualmente registrati come “rifugiati palestinesi” – due milioni in Cisgiordania e Gaza, più due milioni in Giordania e un altro milione in Siria e Libano – chiedono di “tornare” a quella che ritengono essere la loro storica patria.
Se questi cinque milioni di palestinesi si aggiungessero ai circa due milioni di arabi palestinesi che sono già cittadini di Israele, ci sarebbe un enorme cambiamento demografico, come sottolinea Einat Wilf. Gli ebrei di Israele verrebbero probabilmente relegati allo status di minoranza. Questo è il motivo per cui gli israeliani hanno sempre rifiutato il preteso “diritto al ritorno” dei palestinesi. Eppure i palestinesi insistono sul fatto che questo è un requisito fondamentale di qualsiasi accordo di pace.
Riconoscere uno “Stato palestinese” significa mettere fine al mito dei rifugiati che già vivono in questi territori. Non puoi essere un rifugiato dalla Palestina e vivere in uno Stato palestinese allo stesso tempo. Se Gaza e la Cisgiordania diventassero “Palestina”, allora i milioni di palestinesi che vivono lì cesseranno di essere rifugiati. Fingere di riconoscere uno “Stato palestinese” pur mantenendo il mito dei rifugiati tradisce la natura intrinsecamente politica e ostile di questo riconoscimento di un fantomatico “Stato palestinese”.
Del resto, secondo molti commentatori, uno Stato palestinese esiste già: si chiama Giordania.
Il che ci porta al nocciolo della questione: il possibile riconoscimento di uno “Stato palestinese” da parte del Belgio non ha senso dal punto di vista del diritto internazionale. Ha senso piuttosto per soddisfare un’ostilità feroce, sempre più palese, nei confronti dello Stato di Israele e anche degli ebrei.
Belgio, Norvegia e Spagna farebbero bene a ritornare in sé. Riconoscere uno Stato palestinese senza autorità, senza richieste territoriali realistiche e senza una leadership accettabile – e con un desiderio esplicito e a lungo termine di militarizzare e distruggere il suo vicino Israele – subito dopo un pogrom jihadista contro gli ebrei -, non aumenterà la felicità. di una qualsiasi delle parti coinvolte o, del resto, di chiunque altro.
Drieu Godefridi è giurista (Università Saint-Louis, Università di Lovanio), filosofo (Università Saint-Louis, Università di Lovanio) e dottore di ricerca in teoria giuridica (Parigi IV-Sorbonne). È un imprenditore, amministratore delegato di un gruppo europeo di istruzione privata e direttore di PAN Medias Group. È autore di Il Reich verde (2020).