Archivi categoria: Politica Estera – Cisgiordania

6179.- “Quando la lite è ebraica”

Alla domanda sull’autenticità delle immagini dei bambini morti che Netanyahu aveva condiviso e sostenuto, il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha dichiarato il 12 ottobre: “Non credo che il nostro compito sia dover convalidare o approvare questo tipo di immagini”. “Provengono dal primo ministro israeliano e non abbiamo motivo di dubitare della loro autenticità“. Quindi, di fatto, Kirby le ha convalidate, ma Netanyahu aveva diffuso delle balle, come quelle sull’attacco di sorpresa. Per l’Italia e per gli italiani, per gli Stati del Mediterraneo, sono importanti gli israeliani, i palestinesi e gli arabi ma, fra tutti questi, soltanto quelli che vogliono e sanno convivere e lavorare in pace. Ecco, un obiettivo per il Piano Mattei che farebbe il paio con la solidarietà attiva.

Atrocity Propaganda, Moral Idealism, and the West

Da The UNZ Review, di MARSHALL YEATS • JANUARY 5, 2024. Republished from The Occidental Observer. Traduzione libera e premessa di Mario Donnini.

“Quando la lite è ebraica”,è necessaria più cautela del solito, poiché la stampa dell’Europa è in larga misura e sempre più nelle mani degli ebrei.” Così
Goldwin Smith , “Una nuova luce sulla questione ebraica[1]”

Dovrebbe essere considerato un assioma, semplice e scontato, il fatto che il sistema politico occidentale possa essere comprato con il denaro, ma che il suo popolo si compra meglio con storie singhiozzanti. La citazione sopra riportata, del brillante storico e giornalista britannico Goldwin Smith (1823-1910), era una reazione alla propaganda delle atrocità ebraiche che denunciavano pogrom estremamente violenti nell’impero russo. Questi “pogrom”, descritti in dettaglio su The Occidental Observer da Andrew Joyce, erano un panico morale di massa ideato dai media per servire gli interessi ebraici. In questo caso, ad esempio, i pogrom fungevano da pretesto per una migrazione economica di massa, e i racconti spaventosi di atrocità e sofferenze erano la valuta morale utilizzata per acquistare l’acquiescenza occidentale nei confronti dell’immigrazione di milioni di ebrei. Sebbene si siano svolte proteste di massa a favore degli ebrei e siano stati raccolti milioni di dollari in aiuti, Smith ha ricordato ai suoi ingenui contemporanei ciò che le indagini del governo britannico avevano già rivelato:

A Elizabethgrad, invece di radere al suolo intere strade, solo una capanna era stata scoperta. Pochi ebrei, se non nessuno, furono uccisi intenzionalmente, anche se alcuni morirono per le ferite riportate durante le rivolte. Gli oltraggi contro le donne, di cui, secondo i resoconti ebrei, ce n’erano stati un numero spaventoso non meno di trenta in un luogo e venticinque in un altro e per i quali l’indignazione pubblica in Inghilterra era stata ferocemente suscitata, sembrano, dopo inchieste dai consoli, siano stati ridotti in tutto a qualcosa come una mezza dozzina di casi autenticati. Ciò è tanto più notevole perché le rivolte cominciavano comunemente con il saccheggio dei negozi di vodka, che sono gestiti dagli ebrei, sicché le passioni della folla devono essere state infiammate dal bere. L’orribile accusa mossa dagli ebrei nel The Times contro le donne russe, di aver incitato gli uomini a oltraggiare le loro sorelle ebree e di aver tenuto a freno le ebree, per punirle per la loro superiorità nel vestire, si rivela del tutto infondata. Cade anche l’accusa di aver arrostito vivi i bambini. L’opuscolo ebraico ristampato dal London Times afferma che un locandiere ebreo fu rinchiuso in uno dei suoi barili e gettato nel Dnepr. Questa risulta essere una favola, il villaggio che ne fu la presunta scena si trova a dieci miglia dal Dnepr e non è vicino a nessun altro fiume importante, perciò….

Valuta morale

Come sottolineano sia Smith che Joyce, i fatti dietro la narrativa del pogrom furono più o meno soffocati dall’intensità del sentimento morale provocato dai resoconti ebraici vistosamente violenti diffusi dalla Russia, e abbiamo assistito esattamente alla stessa dinamica svolgersi nel periodo immediatamente successivo. dell’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre. Anche se questo saggio si concentrerà su alcuni dettagli e misteri che circondano i primi resoconti della propaganda delle atrocità israeliane sull’incursione di Hamas, l’aspetto più interessante in tutto è forse che gli ebrei sembrano consapevoli che la moralità è la valuta con cui acquistare l’acquiescenza, o ad un prezzo più basso. silenzio quantomeno silenzioso, da parte del pubblico occidentale. Sono profondamente consapevoli della nostra sensibilità alle argomentazioni morali.

Kevin MacDonald ha sottolineato che “l’idealismo morale è una tendenza potente nella cultura europea. … La moralità è definita non come ciò che è bene per l’individuo o il gruppo, ma come un ideale morale astratto”. Ciò contrasta con gli approcci alle questioni morali seguiti da altri popoli, che tendono ad essere molto più pragmatici, situazionali o basati sul contesto. Prendiamo, ad esempio, la massima di Deng Xiaoping: “Non importa se un gatto è bianco o nero; se prende i topi, è un buon gatto”. L’approccio pragmatico della Cina alla moralità, quando si riflette nella politica estera e nella sicurezza internazionale, è stato considerato uno dei principali motori della sua influenza globale in rapida espansione. Gli Stati Uniti, nel frattempo, sono impegnati da decenni in una demonizzazione morale dei loro oppositori (“Asse del Male”, ecc.) che rende il compromesso quasi impossibile. Scrivendo per Global Asia, Kishore Mahbubani commenta che “esiste una vena morale che influenza il pensiero della politica estera degli Stati Uniti che non può essere eliminata. E molti americani sono orgogliosi del fatto che questa dimensione morale sia un fattore cardinale. Clinton ha dichiarato in un’intervista dell’aprile 2009: ‘C’è sempre e deve esserci una dimensione morale nella nostra politica estera’”. Il fatto che gli interessi materiali siano il motore principale degli obiettivi di politica estera non toglie alla maggior parte dei politici la consapevolezza di devono tuttavia inserire i propri obiettivi materiali in una struttura morale di consumo pubblico. Gli alleati dell’America devono essere presentati come moralmente buoni, indipendentemente dalla realtà dietro l’immagine, e i suoi nemici designati devono essere presentati come moralmente cattivi, anche se il gruppo o la nazione avversari stanno semplicemente perseguendo i propri interessi.

Gli ebrei sono consapevoli di questa dimensione morale, e i sionisti in particolare dispongono di un arsenale retorico accuratamente realizzato per il pubblico occidentale, basato esclusivamente sul linguaggio dei diritti, della moralità e della giustizia, anche se tali concetti sono molto lontani dalla realtà delle azioni israeliane. atteggiamenti e comportamenti. Sebbene Israele sia uno stato chiaramente espansionista, spesso aggressivo nella forma dei suoi insediamenti in Cisgiordania, i suoi apologeti in Occidente utilizzano una serie di frasi difensive come “Israele ha il diritto di difendersi”, “Israele ha il diritto di difendersi” di esistere”, e, secondo le parole dell’Ayn Rand Institute, “Israele ha un diritto morale alla propria vita”. Un eccellente esempio di quella che potremmo chiamare “propaganda morale” è apparso sul Wall Street Journal l’11 ottobre. L’articolo, intitolato “Il dovere morale di distruggere Hamas” e scritto dai giornalisti ebrei Walter Block e Alan Futerman, sosteneva che Israele risiedeva accanto a una “cultura malvagia e depravata”. Si diceva che gli arabi fossero motivati da nient’altro che un “odio verso gli ebrei” infondato e amorfo e che avessero “massacrato uomini, donne e bambini innocenti. Queste bande li hanno violentati, mutilati e torturati mentre gridavano “Uccidete gli ebrei!””

Dal momento che non viene mai riconosciuto che gli ebrei abbiano danneggiato altri gruppi, i racconti sui loro stupri, mutilazioni e torture da parte di “odiatori degli ebrei” sono ancora più scioccanti e ripugnanti. Questa definizione e comprensione dell’antisemitismo conferisce intrinsecamente agli ebrei una sorta di valore morale, persino di superiorità, e gli ebrei hanno goduto di un’abbondanza quasi illimitata di valore morale a partire dalla seconda guerra mondiale perché quella guerra è stata ripetutamente confezionata come la quintessenza della “buona guerra”. – una guerra contro il male. Sebbene negli ultimi decenni siano stati compiuti sforzi per affrontare le scelte morali e i dilemmi etici degli Alleati, come la moralità dell’uso della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki o la decisione britannica di bombardare Amburgo riducendola in macerie, l’unico elemento intoccabile della visione popolare della Guerra Mondiale II è che gli ebrei furono le principali vittime di un regime “malvagio” nel conflitto e che la loro esperienza durante quella guerra ha lezioni morali profonde e durature per tutti i popoli occidentali.

La carta bianca ebraica

Il risultato più immediato e geopoliticamente significativo di questa impostazione della Seconda Guerra Mondiale fu la creazione dello Stato di Israele e la concessione internazionale agli ebrei di carta bianca per dominare e rimuovere centinaia di migliaia di palestinesi dalle terre desiderate. In effetti, è difficile individuare un esempio di pulizia etnica a memoria d’uomo che abbia provocato una risposta internazionale più attenuata rispetto allo sfollamento israeliano dei palestinesi. I funzionari del consolato americano in Palestina nel 1948 notarono che gli ebrei bombardavano obiettivi civili palestinesi in un modo “così completamente immotivato da collocarlo nella categoria del nichilismo”. Gli ebrei, che solo pochi decenni prima avevano diffuso false voci di stupri e saccheggi russi nel mondo, furono denunciati da un diplomatico americano nel 1948 mentre “portavano mobili, masserizie e forniture da edifici arabi e pompavano l’acqua delle cisterne in autocisterne. Le prove indicavano [un] saccheggio chiaramente sistematico [del quartiere arabo] [da parte degli ebrei]”. Ma queste osservazioni restavano proprio questo: osservazioni.

Sebbene sia forte la tentazione di dare pieno sostegno ai palestinesi, è importante ricordare che abbiamo più che sufficienti problemi nostri, anche se molti di essi sono stati causati dagli stessi sospettati. Mi associo al commento di Kevin MacDonald secondo cui “Ciò non significa che io sia una cheerleader per i palestinesi. I palestinesi sono un tipico popolo mediorientale e tutto ciò che ciò comporta in termini di forme sociali non occidentali: i clan, il collettivismo e l’Islam con la sua lunga storia di odio contro l’Europa”. Ma il conflitto israelo-palestinese è di vitale interesse per i popoli occidentali per due ragioni principali. In primo luogo, il dominio israeliano nella regione dipende totalmente dal sostegno occidentale, in particolare dagli aiuti finanziari, diplomatici e militari americani. Al netto dell’inflazione, i contribuenti americani hanno consegnato centinaia di miliardi di dollari allo Stato ebraico dal 1948. Le azioni israeliane in Medio Oriente hanno implicazioni dirette per le nazioni occidentali: consumano risorse occidentali, provocano atti di terrorismo nei paesi occidentali e sono componenti di una sorta di teatro morale manipolativo in cui gli israeliani lottano costantemente per presentarsi come eroi che combattono contro una folla di malvagi. Al centro di questo teatro c’è il racconto delle atrocità.

Beheaded Babies?

È indiscutibile che Hamas abbia commesso violenze contro i bambini durante e dopo l’incursione del 7 ottobre in territorio israeliano, ma l’affermazione particolarmente cruenta ed emotiva secondo cui Hamas avrebbe decapitato dozzine di bambini ha acquisito improvvisa e diffusa importanza nei giorni successivi al massacro. Questa importanza è in gran parte il risultato dell’amplificazione delle affermazioni iniziali di un singolo giornalista israeliano da parte di esponenti del governo statunitense e israeliano. L’affermazione è stata ampiamente ripetuta anche da politici tra cui i rappresentanti repubblicani Marjorie Taylor Greene ed Elise Stefanik, da importanti organi di informazione come CNN, Fox News e New York Post; da funzionari israeliani, compreso l’ufficio del primo ministro; dal presidente dell’ADL Jonathan Greenblatt e da numerosi attori e celebrità ebrei sui social media. L’affermazione divenne di per sé un fenomeno virale, ma col passare del tempo divenne chiaro che mancavano prove.

Sappiamo finalmente la verità: Un falso! ndt

Sarah Swann, scrivendo per PolitiFact, ha commentato:

Già la violenza confermata era abbastanza orribile. Allora perché l’affermazione, basata su fonti deboli, di circa 40 bambini decapitati viaggiava in lungo e in largo? Esperti di disinformazione e Medio Oriente hanno individuato la risposta emotiva suscitata dalla violenza contro i bambini, insieme alla mancanza di conferma da parte di fonti ufficiali. “Poiché è un’affermazione così scioccante… ha raccolto un’attenzione significativa così come tentativi di sostenerla o confutarla”, ha affermato Osamah Khalil, professore di storia della Syracuse University specializzato in Medio Oriente moderno e politica estera degli Stati Uniti.

L’affermazione secondo cui Hamas avrebbe decapitato 40 bambini può essere fatta risalire ai commenti in diretta di un giornalista israeliano. il 10 ottobre, tre giorni dopo l’attacco di Hamas al Kibbutz Kfar Aza, nel sud di Israele. Nicole Zedeck, un’ebrea americana collaboratrice di i24 News, un canale di notizie israeliano, ha affermato che i soldati dell’IDF avevano detto che i suoi bambini erano stati uccisi nell’attacco. In particolare, durante una trasmissione in lingua inglese proprio da Kfar Aza, Zedeck ha detto: “L’esercito israeliano dice ancora di non avere un numero chiaro (delle vittime), ma sto parlando con alcuni soldati, e dicono quello che hanno visto. Testimoniano che hanno camminato attraverso queste diverse case, queste diverse comunità: ovunque bambini con la testa tagliata. Questo è quello che hanno detto anche Oren Ziv di +972 Magazine e Samuel Forey del notiziario francese. Altri giornalisti sul posto quel giorno a Kfar Aza, t Le Monde, hanno negato che tali affermazioni fossero state fatte da soldati dell’IDF.

In un post su X che Ziv ha poi misteriosamente cancellato, ha detto di non aver visto alcuna prova che Hamas avesse decapitato bambini durante la visita del kibbutz quel giorno, “e nemmeno il portavoce o i comandanti dell’esercito hanno menzionato alcun incidente del genere”. Ziv ha detto che ai giornalisti di Kfar Aza è stato permesso di parlare con centinaia di soldati senza la supervisione del team di comunicazione delle Forze di Difesa Israeliane, e che non è stata menzionata alcuna scoperta così raccapricciante. Allo stesso modo, Forey ha detto in un post che è ancora visibile su X: “Nessuno mi ha parlato di decapitazioni, tanto meno di bambini decapitati, tanto meno di 40 bambini decapitati”. Forey ha detto che il personale dei servizi di emergenza con cui ha parlato non ha visto alcun corpo decapitato.

Nonostante le confutazioni di altri giornalisti presenti nello stesso tour del kibbutz, Zedeck ha poi pubblicato il giorno successivo su X che “uno dei comandanti mi ha detto di aver visto le teste dei bambini tagliate”. Trentacinque minuti dopo, ha pubblicato di nuovo, dicendo: “i soldati mi hanno detto che credono che siano stati uccisi 40 neonati/bambini”. Nel giro di 24 ore, organi di stampa negli Stati Uniti e nel Regno Unito, tra cui The Independent, The Daily Mail, CNN, Fox News e il New York Post, hanno ripetuto l’affermazione secondo cui Hamas aveva decapitato bambini, citando come fonti i media israeliani o l’ufficio del primo ministro. Quest’ultima ha guadagnato terreno perché, l’11 ottobre, un portavoce di Benjamin Netanyahu ha detto alla CNN che neonati e bambini piccoli sono stati trovati a Kfar Aza con le “teste decapitate”.

La mattina seguente, tuttavia, la CNN riferì che il governo israeliano non poteva confermare l’affermazione secondo cui Hamas avrebbe decapitato i bambini, contraddicendo la precedente dichiarazione dell’ufficio di Netanyahu. Ciò non ha impedito a Joe Biden di ripetere l’affermazione durante un incontro dell’11 ottobre con i leader ebrei, dicendo: “Non avrei mai pensato davvero che avrei visto e avuto conferma di immagini di terroristi che decapitavano bambini”. È toccato allo staff della Casa Bianca informare in seguito la CNN che Biden in realtà non aveva né visto le foto né ricevuto conferma che Hamas avesse decapitato neonati o bambini. Biden si riferiva ai commenti pubblici dei media e dei funzionari israeliani, che difficilmente equivalevano ad aver “visto e confermato” personalmente immagini di bambini decapitati da terroristi.

Netanyahu said during Secretary of State Antony Blinken and Biden’s visits to Israel on October 18 that Hamas beheaded people, but Netanyahu did not say whether the victims were infants. Netanyahu’s office then went public with photos of babies it said were “murdered and burned” by Hamas, but the provenance of these images was as obscure as the earlier claims. Sarah Swann pointed out that:

Alla domanda sull’autenticità delle immagini dei bambini morti che Netanyahu aveva condiviso, il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha dichiarato il 12 ottobre: “Non credo che il nostro compito sia dover convalidare o approvare questo tipo di immagini”. . Provengono dal primo ministro israeliano e non abbiamo motivo di dubitare della loro autenticità”.

Quindi l’informazione era autentica solo perché proveniva da Netanyahu.

La “proporzionalità” e la rinnovata carta bianca

Proprio come la propaganda delle atrocità è stata cruciale per facilitare la migrazione di massa ebraica verso l’Occidente durante il periodo degli zar, e cruciale ancora una volta nella fondazione dello Stato di Israele, così è cruciale anche per garantire agli ebrei la loro ultima carta bianca. L’invasione di Gaza da parte dell’IDF ha finora causato la morte di oltre 22.000 palestinesi, altri 7.000 dispersi o sepolti, e l’esodo di circa 1,9 milioni di persone. Più profondamente, l’amplificazione internazionale della narrativa ebraica ha aperto la strada a qualcosa precedentemente considerato impensabile: l’abolizione israeliana del sistema di governo a Gaza. Circolano ora voci secondo cui gli israeliani intendono “dividere il territorio governato da Hamas in aree governate da tribù o clan piuttosto che da un’unica entità politica. Secondo l’emittente pubblica KAN, il piano è stato ideato dall’esercito israeliano. … Stabilisce che la Striscia di Gaza sia divisa in regioni e sottoregioni, con Israele che comunichi separatamente con ciascun gruppo”. In altre parole, equivale a “divide et impera”.

A Israele è stato permesso a livello internazionale di compiere azioni che sarebbero considerate oltre ogni limite da altre nazioni a causa del controllo politico e culturale ebraico internazionale e della patina di moralità che ne nasconde la retorica. Le prime richieste di “proporzionalità” furono abilmente spazzate via da un’ondata di commentatori ebrei attentamente posizionati. Jill Goldenzeil, scrivendo per Forbes in un articolo intitolato “La proporzionalità non significa quello che pensi che significhi a Gaza”, svolge un ruolo classico nel plasmare i modi di vedere, incoraggiando i lettori ad abbandonare anche la comprensione più basata sul buon senso di una risposta proporzionata a quello che è successo il 7 ottobre, e invece sconcertante i suoi lettori con la spiegazione che “la proporzionalità è un principio difficile da comprendere, non solo a causa della semantica, ma a causa della crudele realtà della guerra”. Il Jewish News Syndicate ha pubblicato in tutta fretta un articolo su “Che cosa significa effettivamente la proporzionalità” e Steven Erlanger del New York Times ha informato senza mezzi termini i lettori che gli israeliani non sarebbero stati vincolati all’aspettativa di “un numero equilibrato di vittime”. In effetti, la vastità dello sforzo propagandistico ebraico volto a ridefinire e annullare qualsiasi aspettativa di moderazione ha portato il Centro Internazionale di Bruxelles a notare che Israele era impegnato in una “guerra alla proporzionalità”, o qualsiasi suggerimento che ci fossero limiti alla sua azione contro Gaza .

I critici dell’azione di Israele sarebbero stati salvati dalla loro apparente sorpresa con una breve lettura di Goldwin Smith. Dopotutto, quando la disputa è ebraica, e soprattutto quando sono coinvolte istanze morali e storie dell’orrore, è necessaria più cautela del solito.

Notes

[1] G. Smith, “New Light on the Jewish Question ,” The North American Review , Aug., 1891, Vol. 153, No. 417 (Aug., 1891), pp. 129- 143 (133).

 6168.- “Non ci sarà una presenza israeliana civile a Gaza”, ma… Blinken ad Amman

Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu. AFP PHOTO / POOL /GALI TIBBON

I piani parlano di dispersione nel mondo (non imposta, ma provocata dall’IDF) del popolo palestinese e delle sue istituzioni e di una forza internazionale a guida USA per la ricostruzione: un eufemismo. E, poi, si scrive “ricostruzione”, ma si legge “gasdotto”.

Del futuro del giacimento multimiliardario di Gaza si parla dalla sua scoperta (dalla British Gas), più di vent’anni fa e avrebbe dovuto provvedere ai bisogni di Gaza e della Cisgiordania. Ora, invece, Israele riuscirà a impossessarsi del giacimento di gas naturale offshore e il gasdotto sottomarino Gaza Marine-Ashqelon è previsto che segua un tracciato tutto esterno al territorio palestinese.

Il cosiddetto “dono di Allah” come lo definì lo scomparso Yasser Arafat, potrebbe fornire 32 miliardi di metri cubi di gas, vale a dire 15 anni di energia per Gaza e la Cisgiordania, quindi, centrali elettriche alimentate dal gas, senza dover ricorrere a forniture israeliane o egiziane, ma sempre sotto il controllo delle compagnie israeliane.

Ora, un anno fa, l’inviato speciale della Casa Bianca per le risorse energetiche, Amos Hockstein ha mediato l’accordo sul gas tra Tel Aviv e Beirut tra Usa, Europa e Israele, con l’apporto del Qatar, raggiunto in sordina per definire il «futuro di Gaza», dopo anni. Se si riconosce che il Gaza Marine-Ashqelon è palestinese, si dettano però condizioni, come l’eradicazione di Hamas e l’amministrazione della striscia da parte di famiglie fidate. Solito sistema colonialista.

Il Gaza Marine-Ashqelon soddisferà i bisogni di Israele, con la protezione degli USA. Resteranno gli oggi 22.600 morti a ricordare quel giardino che era la Palestina prima del 1948 e una prigione controllata dall’esercito di Israele, che – attenzione – non ha posto limiti temporali né spaziali alle operazioni militari. A questo sono serviti il 7 ottobre, i 1.400 morti israeliani e i 160 caduti fra i militari.

Torna in gioco il gas al largo di Gaza, un «dono di Allah» mai consegnato ai palestinesi. Ma è un’illusione

Bombole di gas per cucinare in vendita a Rafah nel secondo giorno di tregua – Ap/Hatem Ali. Da Il Manifesto.

Il piano per la futura Gaza: amministrata dalle famiglie scelte da Israele, controllata da USA e Tel Aviv.

Ma le famiglie più importanti della Striscia hanno immediatamente fatto sapere che non saranno mai disponibili per un progetto del genere.

Da Pagine Esteri, di Eliana Riva | 5 gennaio 2024

Il piano per la futura Gaza: amministrata dalle famiglie scelte da Israele, controllata da USA e Tel Aviv

Pagine Esteri, 5 gennaio 2024. “Non ci sarà una presenza israeliana civile a Gaza”. È stato chiaro il ministro della Difesa Yoav Gallant, parlando ieri sera con i giornalisti, poco prima che il Gabinetto di guerra israeliano si riunisse per discutere del destino della Striscia e dei suoi abitanti.

Le pressioni per la creazione di insediamenti israeliani sono, tuttavia, ancora molto forti, soprattutto da parte dei membri del partito di estrema destra Otzma Yehuditche fa capo al ministro della sicurezza nazionale, il suprematista Itamar Ben-Gvir. Ma sono anche altri i membri di spicco del governo Netanyahu, come il ministro del Patrimonio Amichai Eliyahue (il quale propose di lanciare una bomba atomica su Gaza), a ritenere che sostituire la popolazione palestinese con quella israeliana sia l’unica logica conclusione della guerra in corso.

Gallant ha definito il “day after” della Striscia come un piano in 4 semplici punti.

Il primo. 

Una sorta di governo clanico-tribale nominato più o meno direttamente da Tel AvivHamas non controllerà in alcun modo la Striscia. Ma non lo farà neanche l’ANP di Abu Mazen. L’amministrazione civile sarà affidata ai palestinesi. Non a tutti, però, né a persone a caso: solo alcune potenti famiglie locali favorevoli a Tel Aviv potranno esser nominate, da Israele stesso, a governare Gaza. Il potere civile sarebbe affidato, dunque, a comitati locali a condizione che non operino contro Israele né si dichiarino ostili ad esso. Le famiglie più importanti della Striscia hanno immediatamente fatto sapere che non saranno mai disponibili per un progetto del genere.

Il secondo. 

Una forza internazionale a guida USA per la ricostruzione. Alla task forcepotranno partecipare i Paesi dell’Europa occidentale e quelli arabi giudicati moderati. Saranno loro a controllare l’operato delle organizzazioni internazionali che porteranno soccorso alla popolazione di Gaza. Tutto ciò che riterranno necessario far entrare nella Striscia dovrà essere controllato, supervisionato e approvato da Israele. È da verificare la reale disponibilità degli Stati arabi, molti dei quali, già alcune settimane fa, si sono detti non disposti a dispiegare le proprie truppe su Gaza. Ma una forza internazionale composta da soli Paesi occidentali non sarebbe facilmente presentabile né digeribile.

Il terzo. 

L’Egitto. Gallant ha dichiarato che sono già in corso colloqui trilaterali tra Stati Uniti, Israele e l’Egitto per garantire la sicurezza del valico di Rafah e del confine con Gaza, che dovrà essere isolato e fortemente controllato dai tre Paesi.

Il quarto.

Israele. Il ministro ha spiegato che non vi saranno limiti temporali né spaziali alle operazioni militari che Israele potrà compiere nella Striscia di Gaza. Tel Aviv manterrà il diritto a operare in totale libertà, controllerà tutto ciò che entra e che accade a Gaza e potrà intervenire militarmente ogni volta che lo riterrà opportuno.

Non è ancora chiaro quali siano gli obiettivi che Israele dovrà raggiungere per considerare “finita” la guerra e dare il via a questa fase progettuale che al momento non sembra basarsi su riscontri e disponibilità reali quanto sui desideri e le aspirazioni israeliane. Sempre secondo Gallant le operazioni militari continueranno nel nord della Striscia, anche se con forme diverse: i raid aerei saranno frequenti e anticiperanno operazioni speciali di terra. Il numero dei soldati israeliani uccisi dentro Gaza (170 fino ad oggi) comincia a diventare importante e il governo ha la necessità di limitare i danni.

Nel sud della Striscia al momento la strategia non cambierà. E alla popolazione, composta quasi totalmente da rifugiati, non verrà permesso di ritornare al nord nelle proprie case o in ciò che ne rimane. Lo spostamento è ciò con cui Israele intende trattare la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Il numero delle vittime civili continua a crescere a dismisura, così come le denunce di attacchi alle strutture che ospitano centinaia di profughi, alle scuole-rifugio, alle strutture sanitarie. Secondo il Ministero della Sanità, 162 persone sono state uccise nelle ultime 24 ore, portando il bilancio dei morti a 22.600, l’1% dell’intera popolazione della Striscia di Gaza.

Ultima da Amman: Amos Blinken dal re di Giordania ribadisce impegno per palestinesi

Contro sfollamento da Gaza-Cisgiordania e contro violenze coloni

WASHINGTON, 07 gennaio 2024, 15:08, di Redazione ANSA

– SOLO LETTURA

-     RIPRODUZIONE RISERVATA

Nel suo incontro ad Amman con il re di Giordania Abdullah II, il segretario di Stato Antony Blinken ha “sottolineato l’opposizione degli Stati Uniti allo spostamento forzato dei palestinesi dalla Cisgiordania e da Gaza e la fondamentale necessità di proteggere i civili palestinesi in Cisgiordania dalla violenza dei coloni estremisti”.

Lo riferisce il dipartimento di stato Usa in una nota. 
    Blinken ha inoltre sottolineato “l’impegno degli Stati Uniti a raggiungere una pace e una sicurezza durature per israeliani e palestinesi attraverso la creazione di uno Stato palestinese indipendente”.

Il capo della diplomazia ha ringraziato il re Abdullah II “per il ruolo e la leadership della Giordania nel fornire aiuti salva vita ai civili palestinesi a Gaza. Entrambi hanno convenuto di continuare uno stretto coordinamento per un’assistenza umanitaria duratura”. 
   

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

6084.- Israele, la marcia per gli ostaggi e lampi di guerra in Cisgiordania

Questa guerra si sta allargando e durerà a lungo perché così si vuole dove si puote.

Drammatica dimostrazione dei parenti degli ostaggi prigionieri di Hamas e di decine di migliaia di persone che hanno partecipato in solidarietà. Intanto il conflitto si accende anche in Cisgiordania. 

Da La Nuova Bussola Quotidiana, di Nicola Scopelliti,  20_11_2023Israele, la marcia per gli ostaggi (La Presse)

Sono partiti da Tel Aviv alla volta di Gerusalemme. Hanno percorso a piedi i sessantatré chilometri, lungo la strada che collega la capitale di Israele alla Città Santa. Issavano bandiere israeliane, ma soprattutto cartelli con le foto dei loro cari rapiti e, attualmente, segregati in un luogo sconosciuto nella Striscia di Gaza. Il lungo serpentone era partito cinque giorni fa. Tutti i partecipanti avevano una sola richiesta per il Primo ministro Benjamin Netanyahu: riportare a casa i loro familiari, rapiti in quel tragico 7 ottobre. Quel giorno, i miliziani di Hamas, dopo aver ucciso 1400 persone, catturarono circa 240 ostaggi, tra cui 33 bambini. 

«Li riporteremo a casa», con questo slogan scandito durante tutto il viaggio, gli oltre trentamila manifestanti sono giunti lo scorso sabato pomeriggio davanti agli uffici del Primo ministro Netanyahu. Yuval Haran, i cui familiari sono stati rapiti e che ha dato inizio alla marcia, ha detto che la protesta pacifica continuerà e che quarantatré giorni di segregazione dei familiari sono troppi. Ha poi proseguito: «Continueremo con tutte le nostre forze fino a quando tutti saranno riportati a casa».

I manifestanti sono poi tornati a Tel Aviv, dove ha sede il Gabinetto di Guerra, nella piazza Museo dell’Arte, soprannominata “Piazza degli ostaggi”, per incontrare il ministro Benny Gantz, che tutti i sondaggi indicano come il personaggio politico che potrebbe guidare il prossimo governo e l’ex capo di Stato maggiore dell’esercito Gadi Eisenkot, anche lui cooptato nel gabinetto di crisi come consulente. «Il loro ritorno a casa è una delle nostre priorità – ha detto Eisenkot -. Per distruggere Hamas ci vorrà del tempo, ma per i prigionieri non c’è più tempo». Netanyahu, dal canto suo, nel corso di una conferenza stampa, ha ribadito la volontà di riportare a casa tutti gli ostaggi.

Nel frattempo, la situazione a Gaza diventa sempre più drammatica. Secondo l’Agenzia EuroMed, un gruppo informale che riunisce nove paesi dell’area mediterranea dell’Unione Europea, i morti sarebbero oltre 15.200, di cui 6.403 bambini, 32mila feriti e 4.100 scomparsi. Mentre i soldati israeliani uccisi dall’inizio delle operazioni di terra nella Striscia sarebbero 56. Un missile ha colpito, distruggendola, la scuola al-Fakhura, una struttura utilizzata anche come riparo dai rifugiati del campo di Jalabja. «Basta fratelli, fermate le armi – ha detto il Pontefice durante l’Angelus -. In questo momento buio prego tanto per loro, le armi non porteranno mai pace. Basta, fratelli, a Gaza si soccorrano i feriti, si facciano arrivare gli aiuti umanitari, si liberino gli ostaggi, tra cui molti sono anziani e bambini».  E il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, ha sottolineato, che si sta “lavorando” ad un possibile incontro tra il Papa e i familiari degli ostaggi: «Speriamo di poterlo realizzare al più presto».

Ma anche la Cisgiordania rischia di infiammarsi e per il governo Netanyahu questo, oltre a Gaza e al confine con il Libano con gli Hezbollah, sarebbe il terzo fronte di guerra. Per la prima volta, dopo la Seconda intifada, l’aviazione dell’esercito israeliano ha sferrato degli attacchi in Cisgiordania colpendo un’abitazione a Nablus: cinque palestinesi sono morti, mentre il portavoce dell’esercito con la Stella di Davide ha sottolineato che quattro delle persone uccise nell’incursione aerea appartenevano alla Brigata dei Martiri di Al-Aqsa di Fatah. Anche a Jenin, secondo quanto ha denunciato il vicegovernatore, Kamal Abu al-Roub, le forze israeliane hanno ucciso sette palestinesi. Secondo il portavoce militare israeliano, cinque sono stati colpiti a morte nel corso di un’operazione portata a termine a Jenin, gli altri due in uno scontro a fuoco, ad un posto di blocco a Hebron. Dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, incursioni quotidiane dell’esercito israeliano si sono verificate all’interno del campo profughi di Jenin, con decine di veicoli blindati e centinaia di soldati, che recentemente hanno utilizzato anche delle ruspe. «Vogliono distruggere il nostro morale. Demoliscono le nostre case, fanno saltare in aria le strade e distruggono le proprietà, per provocare la nostra reazione e aizzare il nostro odio contro la resistenza e i combattenti, ritenendoli causa di quanto accade. Ma questo non accadrà», ha dichiarato Fatina Ahmad, assistente sociale a Jenin.

Betlemme è una città chiusa. La gente ha paura di uscire. I posti di blocco non sono accessibili da parte dei palestinesi che da giorni non possono andare al lavoro a Gerusalemme. I varchi possono essere attraversati soltanto per motivi sanitari certificati, per cure salvavita, come quelle oncologiche. Chiese e negozi sono chiusi. I pellegrini, ritornati in gran numero dopo il periodo della pandemia, non ci sono più e la vita inizia ad essere difficile. Quest’anno non ci saranno neanche i festeggiamenti per il Natale ma soltanto le celebrazioni liturgiche.

Che il Primo ministro Netanyahu stia usando il pugno di ferro contro i palestinesi lo dimostra la recente decisione adottata dal governo di togliere il diritto di residenza permanente a tutti quei cittadini che sarebbero o sembrerebbe essere coinvolti con gruppi, ritenuti dal governo, sovversivi. Senza nessun processo. Va detto che i palestinesi che vivono nella Gerusalemme Est non hanno la cittadinanza e non possiedono il passaporto israeliano.

Nel frattempo, a nord, al confine con il Libano la situazione diventa sempre più incandescente. In un comunicato, il ministero della Salute libanese, ha dichiarato che sono 77 le vittime finora registrate in poco più di un mese di scontri a fuoco nei pressi dei villaggi al confine con Israele, 250 i feriti e, come riporta l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), oltre 26mila sono gli sfollati. Delle 77 vittime, non meno di 60 sono miliziani del partito sciita, meno di una decina i civili e i restanti sarebbero combattenti di altre formazioni che hanno “aderito” all’apertura parziale di un secondo fronte di guerra, oltre a quello che si sta consumando a Gaza. Quello che però impensierisce è la compattezza dei vari gruppi terroristici presenti in Libano.

Papa Francesco, ricevendo recentemente il presidente della Repubblica d’Iraq, Abdul Latif Jamal Rashid, si è dichiarato molto preoccupato per la situazione in Medio Oriente, sottolineando nel colloquio alcune tematiche internazionali, con particolare riferimento al conflitto in Israele e Palestina, e all’urgente impegno per la pace e la stabilità.

6050.- Quali sono i crimini di guerra di cui sono accusati Israele e Hamas

Stiamo assistendo a un altra guerra criminale fra criminali. Israele ha sganciato su Gaza più bombe in una settimana che gli USA in Afghanistan in un anno. É di oggi, 7 novembre, l’annuncio di Netanyahu che Gaza sarà messa sotto il controllo di Israele per il tempo che sarà necessario. Immediato il No di Washington che punta sui due stati e intende coinvolgere Abu Mazen.

Da WIRED, di KEVIN CARBONI, 31.10.2023

Entrambe le fazioni sono additate per aver commesso crimini di guerra. Dall’assassinio indiscriminato di civili alla punizione collettiva. La Corte penale internazionale sta affrontando molti ostacoli per punire i responsabili.

Gaza city il 29 ottobre 2023

Gaza City il 29 ottobre 2023. Foto ASHRAF AMRA/GETTY image

L’assassinio indiscriminato di civili, il blocco degli aiuti umanitari, l’uso di scudi umani e la punizione collettiva sono solo alcuni tra i crimini di guerracommessi nello scontro tra Israele e Hamas. Per le Nazioni Unite, esistono prove evidenti che incriminano sia il democratico stato israeliano sia i miliziani ed entrambi dovrebbero rendere conto delle loro azioni davanti alla Corte penale internazionale.

Palestinesi sfollati a causa dei bombardamenti israeliani su Gaza

Israele compie i primi raid dell’invasione di Gaza

Il leader israeliano Netanyahu ha ordinato i primi attacchi. I carri armati israeliani hanno superato i confini di Gaza penetrando nel nord della Striscia

Anche la guerra ha le sue regole

Dopo gli eccidi causati dallo sviluppo tecnologico del settore bellico e dalle ideologie suprematiste tra il XIX e il XX secolo, gli stati hanno capito che era necessario costruire una vera e propria corpus normativo per regolare i conflitti armati. Questo insieme di norme viene chiamato diritto internazionale umanitario o diritto dei conflitti armati e, oggi, si basa sulle Convenzioni di Ginevra del 1949, firmate dopo i crimini contro l’umanità commessi durante la seconda guerra mondiale.

In linea generale, il diritto internazionale umanitario si basa su due cardini fondamentali: la protezione dei non combattenti, come civili o soldati arresi, e le restrizioni sul tipo di azioni intraprese durante i combattimenti, come l’uso di armi chimiche o di distruzione di massa. A questo si aggiungono varie sentenze emesse dai tribunali internazionali, che hanno contribuito ad aggiornare e ampliare la copertura del diritto umanitario, come nel caso del genocidio dei Tutsi, in Ruanda, in cui per la prima volta lo stupro è stato considerato come arma e strumento di genocidio.

Nonostante Israele non abbia ratificato alcuni protocolli delle convenzioni, arrivati successivamente, come quelli relativi alle punizioni collettive, gli Stati Uniti e gli altri paesi firmatari considerano queste disposizioni come entrate nel diritto internazionale consuetudinario e quindi vincolanti per tutti gli stati che hanno ratificato la Convenzione di Ginevra.

I crimini di guerra di Hamas

Per quanto riguarda Hamas, l’assassinio di 1.400 non combattenti, compresi minori, e il rapimento di circa 200 ostaggi da usare come scudi umani è una chiara violazione del diritto internazionale umanitario e rappresenta un crimine di guerra. Azioni non accettabili o tollerabili, condannate dalle Nazioni Unite e dalla gran parte della comunità internazionale. In più, secondo alcuni, anche il lancio di razzi da Gaza a Israele rientrerebbe tra i crimini di guerra.

Bombardamenti di Israele su Gaza

Le 4 incognite della guerra di Israele contro Hamas

L’attacco dei miliziani ha colto di sorpresa Tel Aviv, che ora sta preparando una dura risposta militare con molte variabili tutt’altro che chiare

I crimini di guerra di Israele

Rispetto a Israele le cose sono più complesse. Solo a partire dal 7 ottobre, il governo di destra di Tel Aviv è stato accusato di aver commesso il crimine di punizione collettiva contro Gaza, colpendo indiscriminatamente tutti i civili palestinesi per attaccare Hamas. Questa posizione è sostenuta dalle Nazioni Unite, dalla Croce rossa internazionale, da Amnesty international, da Human Rights Watch e anche dalla stessa Corte penale internazionale.

In particolare, oltre alle azioni militari indiscriminate, Nazioni Unite, Croce rossa e la Corte penale internazionale hanno sottolineato come il completo assedio di Israele su Gaza, con il taglio delle forniture elettriche e idriche e il blocco degli aiuti umanitari, non sono azioni compatibili con il diritto internazionale umanitario e costituiscono un crimine di guerra.

Altre organizzazioni indipendenti, come il Center for constitutional rights, sono andate oltre al crimine di punizione collettiva, accusando Israele di voler compiere un genocidio dei palestinesi. Tuttavia, il crimine di genocidio è molto più difficile da provare sotto il diritto internazionale umanitario del crimine di punizione collettiva, quindi è un’accusa ancora non sostenuta da prove evidenti.

A queste accuse se ne aggiungono altre che derivano dagli anni precedenti l’escalation del 7 ottobre 2023. Per esempio, Israele è accusato di violazioni dei diritti umani per gli insediamenti illegali nei territori palestinesi occupati dal 1967 e gli stessi insediamenti sono considerati come crimine di guerra in base all’articolo 49 comma 6 della quarta Convenzione di Ginevra, ratificata da Israele, che sancisce come “la potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua popolazione civile nel territorio da essa occupato”. In questi territori, a oggi, vivono 750 mila coloni israeliani. Infine, sempre nel contesto degli insediamenti, Israele è anche accusato di apartheid nei confronti dei palestinesi.

Chi può intervenire e perché

L’organo incaricato di riportare l’ordine in queste aberrazioni, riconosciuto da 123 paesi, è la Corte penale internazionale, il tribunale permanente con giurisdizione sui crimini di guerra e su quelli contro l’umanità, con sede all’Aia, nei Paesi Bassi. La Palestina è entrata a farne parte come stato membro della Corte nel 2015, riconoscendosi soggetta alla sua autorità. Al contrario, anche in questo caso, Israele sostiene di non essere sottoposto all’autorità della Corte, perché non ha ratificato lo statuto di Roma che l’ha istituita.

Oltre a Israele, nemmeno gli Stati Uniti o la Russia hanno ratificato lo statuto della Corte e, nel 2015, Washington aveva affermato di essere contrario a qualunque indagine nei confronti di Israele, proprio per la mancata ratifica e perché la Palestina non sarebbe “qualificata come stato sovrano”. Tuttavia, la camera dei giudici della Corte ha stabilito come la sua giurisdizione, seppur esclusa da Israele, valga nei territori della Cisgiordania, di Gaza e nei territori occupati di Gerusalemme est, cioè le aree in cui Israele ha compiuto violazioni dei diritti umani e crimini di guerra. Crimini e violazioni verificate dall’allora procuratrice capo della Corte, Fatou Bensouda.

Di conseguenza, sia Israele che Hamas possono essere giudicati dalla Corte penale internazionale, perché i crimini di guerra da parte di entrambi gli schieramenti non sono stati compiuti all’interno di Israele, ma nei territori occupati e di confine su cui ricade la sua giurisdizione.

Cosa ha deciso di fare la Corte penale internazionale

L’attuale procuratore capo della Corte, Karim Khan, ha affermato di aver aperto indagini sui crimini di guerra commessi a Gaza e in Cisgiordania a partire dal 2014 fino a oggi e di voler portare avanti le sue indagini con “determinazione”, anche di fronte al rifiuto di Israele di cooperare e al divieto di ingresso nel paese e nei territori occupati imposto da Tel Aviv agli investigatori indipendenti della Corte.

Khan ha poi sottolineato come le indagini riguardino sia le azioni di Hamas che quelle di Israele, specificando come non dovrebbe esserci alcun impedimento alle forniture di aiuti umanitari ai minori e ai civili. Questi diritti fanno parte delle Convenzioni di Ginevra e danno origine a responsabilità penali nel momento in cui vengono violati o limitati, secondo lo Statuto di Roma”.

I problemi

A oggi, solo tre paesi hanno chiesto ufficialmente il coinvolgimento della Corte nel conflitto tra Hamas e Israele: il Sudafrica, la Svizzera e il Liechtenstein. Un silenzio pesantissimo da parte della comunità internazionale, che va di fatto a limitare l’autorevolezza della Corte, ed entra in contraddizione con le ampie richieste di intervento sollevate nei confronti della Russia per i crimini commessi durante l’invasione dell’Ucraina.

Oltre allo scarso supporto internazionale attuale, l’operato della Corte può essere limitato dall’opposizione di Israele, che potrebbe rifiutare di inviare i suoi politici e alti ufficiali militari all’Aia per sottoporsi a processo. Mentre nel caso di Hamas il problema riguarda lo status giuridico della milizia, perché il diritto umanitario internazionale non è stato scritto pensando ai gruppi non statali e quindi Hamas potrebbe sfuggire dalle sue regole. Tuttavia, secondo molti studiosi di diritto internazionale, essendo l’autorità de facto in controllo di Gaza e avendo la Palestina ratificato le Convenzioni, anche la milizia sarebbe vincolata e protetta dal diritto umanitario internazionale.