Archivi categoria: Politica estera – Iran

6206.- GAZA. Via libera degli USA all’offensiva israeliana su Rafah. Israele in cambio attuerà un attacco limitato contro l’Iran che, secondo funzionari americani, dovrebbe scattare dopo la Pasqua ebraica.

Dalla Casa Bianca un No all’ingresso della Palestina nell’ONU e un appoggio incondizionato alla “mietitura araba”. Infatti, Israele miete altri morti nel Nord della Striscia, a decine. Il genocidio impazza e l’Iran, il Libano e la Siria sono in pericolo; la Turchia è in travaglio.

من البيت الأبيض لا لدخول فلسطين إلى الأمم المتحدة ودعم غير مشروط لـ«الحصاد العربي». والحقيقة أن إسرائيل تحصد عشرات القتلى في القطاع، وإيران ولبنان وسوريا في خطر.

Dalla redazione di Pagine esteri, 18 Aprile 2024

GAZA. Via libera degli USA all’offensiva israeliana su Rafah

della redazione

Pagine Esteri, 18 aprile 2024 – Una fonte egiziana ha rivelato al quotidiano Al-Arabi Al-Jadid che l’Amministrazione Biden ha approvato il piano d’attacco del gabinetto di guerra israeliano contro Rafah, in cambio Israele non lancerà un attacco su larga scala all’Iran. Inoltre funzionari americani hanno detto alla rete ABC che Israele non attaccherà Teheran prima della fine della Pasqua ebraica (22-29 aprile).

Al Arabi Al Jadid aggiunge le forze egiziane nel Nord Sinai sono in piena allerta lungo il confine con la Striscia di Gaza per far fronte allo scenario di un’invasione di Rafah. Il Cairo è in allarme da lunedì scorso, da dopo i colloqui avuti con Israele relativi proprio ai preparativi per la nuova fase dell’offensiva militare nel sud di Gaza.

Il piano israeliano prevederebbe la suddivisione di Rafah in quadrati numerati che verranno presi di mira uno dopo l’altro, spingendo i civili palestinesi al loro interno a scappare, in particolare verso Khan Yunis e Al-Mawasi. La fonte egiziana ha affermato che, nell’ambito dei preparativi egiziani, la capacità di assorbimento dei campi per sfollati nella città di Khan Yunis, che sono supervisionati dalla Mezzaluna Rossa egiziana, è stata aumentata e la quantità di aiuti che vi entrano è cresciuta.

Intanto la tv Kan riferisce che il gabinetto di guerra israeliano avrà difficoltà ad attuare la risposta originale, pianificata e approvata inizialmente contro l’Iran. Una risposta ci sarà, ma molto probabilmente sarà diversa da quanto previsto nella notte tra sabato e domenica. Gli alleati occidentali, ha aggiunto la rete televisiva, sanno “che Israele risponderà ma che nessuno può garantire che la risposta non porti ad un’ampia escalation” con l’Iran. Pagine Esteri

6204.- Netanyahu e Biden si facciano la guerra da soli

Israele ha attaccato l’Iran: droni su una base militare aerea. “Segnale a Teheran, possiamo colpirli”. Fonti Usa: “Avvisati, da noi nessun ok”

Esfahan

Chi tace, acconsente, ma è difficile non vedere anche la regia di Washington in queste schermaglie d’onore, senza danni dichiarati.

Oppure, i danni ci sono? Tre esplosioni di droni nella base aerea di Isfahan, ma i siti nucleari dell’Isfahan Nuclear Technology Centre e di Natanz non sono stati in pericolo”. All’Agenzia internazionale per l’energia atomica non risultano danni agli impianti nucleari iraniani.

Netanyahu: “Teheran è una minaccia esistenziale”, lui pure. Da Usa e Gran Bretagna nuove sanzioni. Veto degli USA sulla Palestina nell’ONU e, così, il regista si dichiara.

Da Il Fatto Quotidiano, 19 aprile 2024

Il raid alle 4.18 italiane: obiettivo la base vicino alla città di Esfahan, che ospita la flotta di caccia F-14. L’esercito iraniano: “Nessun danno”. In sicurezza le centrali nucleari della Repubblica islamica. Attacchi nella notte anche su Siria e Iraq.

Fonte israeliana: “Segnale all’Iran che possiamo colpirlo”

“Un segnale all’Iran che Israele ha la capacità di colpire all’interno del Paese”. Così una fonte israeliana, citata dal Washington Post, ha commentato l’attacco limitato di stanotte sul territorio iraniano, nei pressi della base aerea di Esfahan. La dichiarazione è stata ripresa anche dal quotidiano israeliano Haaretz.

Raid israeliano in Siria: “Colpita una postazione radar”

“Gli attacchi israeliani hanno preso di mira una postazione radar dell’esercito siriano tra le province di Soueida e Deraa”. Lo ha affermato Rami Abdel Rahman, direttore dell’l’Osservatorio siriano per i diritti umani, in riferimento ai raid condotti da Tel Aviv nella notte. 

  • Esercito iraniano: “Nessun danno dall’attacco”Nessun danno è stato causato nell’attacco notturno di Israele contro l’Iran. Lo ha detto alla tv di stato iraniana Siavosh Mihandoust, comandante dell’esercito di Teheran, aggiungendo che il rumore sentito durante la notte a Esfahan era dovuto ai sistemi di difesa aerea.
  • 38m fa07:49Media: “Usa non coinvolti, avvertiti 24-48 ore prima”Israele aveva avvertito gli Stati Uniti che avrebbe attaccato l’Iran nelle successive 24-48 ore, ma  Washington non è stata coinvolta nell’operazione. Lo scrive l’emittente Nbc citando “una fonte ben informata”. Due funzionari citati a condizione di anonimato da Bloomberg hanno poi affermano che ieri Israele aveva avvisato gli Stati Uniti che intendeva attaccare entro i due giorni successivi.
  • 41m fa07:46Attacchi aerei anche su Siria e IraqRaid aerei hanno preso di mira nella notte siti dell’esercito siriano nei governatorati di As-Suwayda e Daraa, nel sud della Siria. Lo riferiscono fonti siriane citate dal sito di notizie As-Suwayda24. Attacchi aerei anche in Iraq, nell’area di Baghdad e nel governatorato di Babil, come riporta al-Iraq News.
  • 42m fa07:45Media Iran: “Impianti nucleari completamente sicuri”Gli impianti nucleari nella provincia Esfahan, città nel centro dell’Iran colpita dai raid israeliani, sono “completamente sicuri” dopo i raid nella notte. Lo riferisce l’agenzia di stampa Tasnim, citando “fonti affidabili”. Dalla base di Esfahan sono partiti i missili lanciati verso Israele nell’attacco di sabato scorso. 
  • 1h fa07:15Cnn: “Attacco limitato, rispetta auspici degli Usa”Secondo gli analisti della Cnn, l’attacco in Iran attribuito a Israele è stato limitato e rispetta le sollecitazioni di Usa e alleati per non aumentare la tensione nella regione. La loro previsione è che Teheran non risponderà.

6200.- Biden scarica Netanyahu: “Ha sbagliato la gestione della guerra a Gaza, serve una tregua immediata”

La macchina da guerra di Netanyahu va a odio, ma Israele non è Netanyahu.

Da Il secolo d’Italia, 10 Apr 2024 – di Laura Ferrari

Biden Netanyahu

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Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, in un discorso dai toni estremamente duri nei confronti del premier israeliano, ha definito senza mezzi termini “un errore” l’approccio di Benjamin Netanyahu alla guerra a Gaza.

L’intervista di Biden: uno schiaffo alla politica di Netanyahu

Intervistato dalla rete americana in lingua spagnola Univision, tornando sulla strage degli operatori sanitari della World Central Kitchen, Biden ha definito l’accaduto “scandaloso” sottolineando che i mezzi colpiti dai droni non potevano essere scambiati per un convoglio di Hamas. Inoltre “non ci sono scuse” per non inviare aiuti umanitari nell’enclave. “Quello che chiedo – ha detto il numero uno della Casa Bianca – è che gli israeliani accettino semplicemente un cessate il fuoco, consentendo per le prossime sei, otto settimane l’accesso totale a tutto il cibo e le medicine che entrano nel paese. Ho parlato con tutti, dai sauditi ai giordani agli egiziani. Sono pronti a trasferire questo cibo. E penso che non ci siano scuse per non provvedere alle esigenze mediche e alimentari di quelle persone. Dovrebbe essere fatto adesso”.

Il canto del cigno di Netanyahu: “C’è una data per l’attacco a Rafah. Elimineremo Hamas anche lì. Nessuno ci fermerà”. La parola è all’Iran.

Il presidente Usa fa gli auguri agli islamici per la fine del Ramadan

Una presa di distanza nei confronti della politica israeliana che va di pari passo con l’apertura al fronte islamico. In queste ore, sui social, il presidente americano ha anche rivolto un pensiero speciale per i palestinesi della Striscia di Gaza durante i suoi auguri per l’Eid al-Fitr, che segna la fine del mese sacro all’Islam di Ramadan. ”Mentre le famiglie e le comunità musulmane si riuniscono per l’Eid al-Fitr, stanno anche riflettendo anche sul dolore provato da così tanti. I miei pensieri vanno a coloro che in tutto il mondo sopportano conflitti, fame e sfollamenti, anche in luoghi come Gaza e il Sudan’, ha scritto Biden in un post su X. ”Ora è il momento di impegnarsi nuovamente nell’opera di costruzione della pace e di difesa della dignità di tutti”, ha aggiunto.

6196.- Tregua a Gaza per evitare il caos? Cosa succede tra Israele e Iran

Biden attende le elezioni sedendo sui carboni accesi da Netanyahu. L’Iran si mostra saggio perché la guerra totale non la vuole nessuno. Se Israele lascia spazio alla diplomazia finiscono insieme le guerre e Netanyahu. Intanto, l’Israele di Netanyahu può fare il terrorista … perché la guerra totale non la vuole nessuno; non la vuole il Libano, non la vuole Hezbollah e, pur profittandone, non la vogliono gli Houthi. L’Italia, fra l’India e il Mediterraneo allargato, aspetta che Netanyahu se ne vada.

Da Formiche.net un punto acuto sul Medio Oriente di Emanuele Rossi. 08/04/2024

Israele a un bivio: le pressioni interne, regionali e internazionali; il raid model e la crisi umanitaria; gli ostaggi e l’idea dell’Iran. Cosa potrebbe succedere nei prossimi giorni

L’Iran non attaccherà Israele per rappresaglia del colpo subito a Damasco se si riuscirà a trovare la via per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Gli Stati Uniti stanno conducendo le trattative — insieme a Qatar ed Egitto — per trovare un “deal” sugli ostaggi trattenuti ancora da Hamas e fermare le armi dopo sei mesi di guerra, oltre trentamila morti, una crisi umanitaria in divenire. Israele vede uscire una pioggia di indiscrezioni sulla situazione (ne parla Al-Qahera News, Tv statale egiziana, l’iraniana Jadeh e lo Yediot Ahronot) e sente il peso di una pressione su diversi fronti.

Innanzitutto c’è quello interno, di doppio valore. I cittadini israeliani vogliono il ritorno a casa delle persone rapite brutalmente nel bestiale attacco del 7 ottobre — con cui Hamas ha dato inizio alla stagione di guerra in corso. Protestano contro il governo perché non fa abbastanza per liberare quelle 140 persone, pesantemente maltrattate, e per questo sono disposti ad accettare anche compromessi. Contemporaneamente vogliono evitare l’allargamento del conflitto che un attacco iraniano su Israele potrebbe significare, con potenziali ulteriori vittime.

Punto comune della situazione è il destino di Benjamin Netanyahu. Molti israeliani lo vorrebbero fuori dal potere, e le manifestazioni in strada per gli ostaggi diventano sempre occasione per critiche pesanti e generali al governo. E sanno che la continuazione della guerra, o l’allargamento, sono per Netanyahu l’unica occasione di sopravvivenza, come ricordava Giuseppe Dentice (CeSi). Differentemente, con le armi in pausa, potrebbe esserci la possibilità di un ricambio, magari convocando nuove elezioni come proposto da Benny Gantz, uno dei leader dell’opposizione attualmente rientrato nel cosiddetto “gabinetto di guerra” per spirito di responsabilità e unità nazionale.

Ma le pressioni su Israele arrivano anche dall’esterno, innanzitutto sul piano internazionale. Se dall’Europa sono arrivate critiche per l’attacco a Damasco (bombardamento non rivendicato da Israele che ha portato all’uccisione di alcuni alti funzionari iraniani nel cortile antistante la sede consolare dell’ambasciata della Repubblica islamica in Siria), per gli Stati Uniti c’è un coinvolgimento anche maggiore. Washington sente su di sé le pressioni internazionali per aver sempre difeso l’alleato (e il suo diritto di autodifesa) e per questo da tempo sta cercando di deviare la situazione verso una rotta negoziale. Gli Usa hanno anche consapevolezza che se l’Iran dovesse attaccare, allora il loro coinvolgimento aumenterebbe (sia per difendere Israele, sia per difendere le proprie postazioni militari mediorientali). E l’amministrazione Biden vuole evitare questa situazione a pochi mesi dal voto.

Gli Stati Uniti, dopo la fase di pressione diplomatica per affrontare la crisi umanitaria, hanno ottenuto un maggiore flusso di aiuti nella Striscia (domenica sono entrati 332camion, mai così tanti dal 7 ottobre scorso). Contemporaneamente qualcosa potrebbe muoversi anche sul campo militare: le forze israeliane si sono parzialmente ritirate dall’area sud dell’enclave palestinese, tenendo però la presenza nel corridoio di Netzarim (che taglia trasversalmente la Striscia, permette ingressi rapidi per operazioni spot e garantisce un punto di slancio per un’eventuale azione su Rafah). Ad oggi, Israele è presente con circa un quarto delle forze che avevano condotto l’invasione su larga scala, e forse potrebbe essere l’effettivo inizio del “raid model” chiesto dagli Stati Uniti per minimizzare le vittime civili — attraverso attacchi più chirurgici contro Hamas.

Infine ci sono le pressioni regionali. Israele non ha abbandonato l’idea di normalizzare i rapporti con l’Arabia Saudita, passaggio che è un presupposto strategico per la stabilità della regione immaginata anche da Washington, e per progetti globali come l’Imec (la nuova rotta geostrategica indo-mediterranea che connetterà Europa e Asia). Riad vive con difficoltà la situazione: per interessi strategici vuole continuare le discussioni con Israele (anche via Usa) per avviare una nuova fase in Medio Oriente, ma per ragioni di equilibri interni non può abbandonare la causa palestinese (il regno protegge i luoghi sacri dell’Islam, d’altronde, è la questione palestinese è una delle grandi incomplete per i credenti mussulmani in tutto il mondo).

Di più: i sauditi — insieme agli altri leader della regione del Golfo, gli emiratini — hanno da tempo intrapreso un processo di détente con l’Iran. Lo hanno fatto dopo aver rotto le relazioni con il Qatar perché troppo aperto nei confronti di Teheran e dopo aver recuperato i rapporti anche con Doha (ora player centrale negli equilibri regionali internazionali). Uno scontro aperto tra Israele e Iran sarebbe problematico, perché altererebbe il processo nella regione e potrebbe intaccare dossier delicatissimo come quello in Yemen, dove gli Houthi — in fase di cessate il fuoco con i sauditi dopo anni di guerra — hanno già dimostrato di essere interessati a sfruttare il contesto a proprio vantaggio.

Inoltre, con la proposta che filtra sui media (tregua in cambio di non escalation),  l’Iran cerca di dimostrarsi potenza regionale responsabile. Nella narrazione generale questo serve anche a dimostrarsi migliore di Israele, che bombarda un edificio consolare — anche se l’intento si scontra col sostegno armato fornito al network terroristico che va da Hamas a Hezbollah fino alle milizie in Iraq e Siria e gli Houthi. Teheran vuole controllare la reazione tutelando interessi strategici senza perdere aliquote di propaganda, come spiegava Francesco Salesio Schiavi?

6190.- Dove vuole portarci Netanyahu?

Israele morde ovunque. Sta scrivendo la sua fine o la nostra? Teheran, umiliata, non può non reagire.

Un raid israeliano distrugge una parte dell’ambasciata iraniana a Damasco. Muore un alto comandante dei Pasdaran

1 Apr 2024 18:58 – di Redazione Il Secolo d’Italia

Un missile israeliano ha colpito anche Damasco. Solo la follia può scatenare una guerra regionale.. e ha un nome.

Un raid dell’esercito israeliano ha distrutto un palazzo dell’ambasciata iraniana a Damasco, la capitale della Siria, e nell’attacco è stato ucciso un alto comandante dei Guardiani della Rivoluzione iraniani, Mohammad Reza Zahedi, esponente di spicco delle Forze Quds in Siria e Libano, ossia il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane (i cosiddetti Pasdaran). Con lui sono rimasti uccisi cinque membri della Guardia rivoluzionaria iraniana.

Sarebbero sei i morti nel presunto raid israeliano. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, invece, parla di otto vittime provocate dal bombardamento.  L’ambasciatore della Repubblica islamica dell’Iran a Damasco, Hossein Akbari, non e’ stato ferito nell’attacco.

Israele non sara’ in grado di “influenzare” le relazioni tra Siria e Iran. Lo ha affermato il ministro degli Affari esteri della Siria, Faisal Miqdad, in seguito all’attacco attribuito alle Forze di difesa di Israele (Idf). Lo ha reso noto l’agenzia di stampa siriana “Sana”. Il capo della diplomazia ha condannato l’attacco, che ha definito “terrorista”, e ha espresso il suo cordoglio per “le vittime innocenti”, senza specificare il bilancio totale del raid.

L’ambasciatore iraniano a Damasco, Hossein Akbari, ha affermato che “la risposta di Teheran sarà dura”. Il diplomatico ha poi aggiunto che “dopo aver rimosso le macerie del palazzo distrutto dal raid sarà reso noto il numero esatto delle vittime”.

6168.- Perché c’è l’Iran dietro la mossa anti-Usa del Niger

L’Occidente tutto deve sostenere l’Italia nel Piano Mattei. In Niger abbiamo di fronte non solo la Russia ma anche l’Iran. Quanto conta la patria per la giunta golpista di Niamey? Biden ha capito la posta in gioco e tenta di tenere la Base 201. La parola è ai dollari.

Da Formiche.net, di Emanuele Rossi, 19/03/2024

Il Niger nel mirino dell’Iran. Un accordo sull’uranio che guardi a Teheran è dietro alla rottura dei rapporti tra Washington e Niamey, e questo significa che oltre che dalla Russia (e dalla Cina) l’Africa sta iniziando a essere penetrata con consistenza da un altro attore ostile all’Occidente.

Il Wall Street Journal ha questa notizia: la decisione del Niger di porre fine alla sua alleanza antiterrorismo con Washington è arrivata dopo che alti funzionari statunitensi hanno accusato la giunta golpista del Paese di esplorare segretamente un accordo per consentire all’Iran l’accesso alle sue riserve di uranio. Mentre per ora il Pentagono non ha emesso alcun ordine di ritiro alle truppe, poiché l’amministrazione Biden spererebbe di negoziare ulteriori accordi con i leader della giunta, l’inclusione dell’Iran nella vicenda è un elemento nuovo che aumenta le complessità. Perché in effetti si temeva che alla rottura dell’intesa con gli Usa potesse seguire un accordo con la Russia, ma che Teheran potesse in qualche modo far parte di questo quadro è ancora più problematico dal punto di vista tattico e strategico.

A quanto pare, i colloqui tra le due parti sarebbero progrediti fino a una fase avanzata, con un accordo preliminare già firmato, dicono le fonti al WSJ, anche se non finalizzato. Sarebbe allora stata Molly Phee, assistente segretario di Stato per gli affari africani e a capo della delegazione che ha viaggiato a Niamey nei giorni scorsi, a sollevare preoccupazioni per il presunto patto con Teheran, sottolineando la necessità per il Niger di tornare alla governance democratica ed esprimendo contemporaneamente preoccupazioni per il rafforzamento dei legami con la Russia. In risposta, Phee avrebbe ricevuto un respingimento delle accuse e poi l’innesco della miccia che ha portato alla dichiarazione sulla fine della cooperazione — che con ogni probabilità era stata già pensata da tempo, con la giunta che attendeva solo il momento opportuno o l’occasione per comunicarlo.

Il Niger, il settimo produttore di uranio al mondo, esporta la maggior parte del suo uranio in Francia. Il golpe dello scorso luglio ha complicato anche questo commercio. L’ingresso di Teheran potrebbe essere utile per Niamey, dunque, mentre la questione riapre l’enorme faldone del nucleare iraniano, messo in secondo piano da una serie di avvenimenti internazionali più stringenti, ma comunque ancora tra i grandi dossier di livello internazionale — che gli americani hanno comunque continuato a gestire, come raccontano le informazioni sui recenti contatti indiretti avuti nel tentativo di fermare gli Houthi e là destabilizzazione del Mar Rosso.

Come le giunte militari nei vicini Mali e Burkina Faso, il Niger ha già iniziato il rafforzamento dei legami militari con la Russia. Funzionari della difesa russa di alto livello, tra cui Yunus-bek Yevkurov, vice ministro della Difesa e supervisore dell’Africa Corps (la struttura paramilitare collegata all’intelligence che sta prendendo il posto del Wagner Group), hanno visitato il Paese e incontrato il leader della giunta. Il primo ministro della giunta al potere, Ali Mahamane Lamine Zeine, ha inoltre visitato l’Iran a gennaio durante una tour internazionale che prima lo aveva portato in Russia e poi anche in Serbia. Zeine guidava una delegazione composta da mezzo governo (ministri della Difesa, del Petrolio e del gas, dell’Agricoltura, del Commercio, della Gioventù e dello Sport).

Parlando con il presidente Ebrahim Raisi, l’uomo scelto dai militari nigerini per guidare il governo aveva ottenuto il via libera per la costruzione delle relazioni (obiettivo del viaggio), anche attraverso accordi bilaterali che l’iraniano diceva avrebbero aiutato la giunta a schivare gli effetti delle sanzioni; attività su cui Teheran ha un’expertise storica, sfuggendo da anni a parte di quelle connesse all’iniziativa sul nucleare (che per altro, per alimentarsi ha bisogno anche dell’uranio appunto). La Repubblica islamica vende le proprie esperienze a certi Paesi come vettore per costruire relazioni. L’Iran è stato soggetto a pesanti sanzioni occidentali per anni, mentre la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, nota come Ecowas, ha imposto sanzioni al Niger in seguito al colpo di stato. Yunus-bek Yevkurov

L’interesse è reciproco, perché con l’apertura di rapporti anche commerciali con Paesi non raggiungibili dalle sanzioni occidentali, riesce a sua volta a schivarle quelle contro di sé. Le informazioni sul coinvolgimento iraniano sono preoccupanti perché dimostrano sia l’intenzione della Repubblica islamica di allungare le mire fino all’Africa, si la capacità della coppia alleata e ostile all’Occidente – Russia, Iran – di agire in qualche modo a sistema (sebbene non è chiaro quanto ci siano pianificazioni condivise oppure sovrapposizioni anche competitive). Lo scenario di penetrazione di attori velenosi anti-americani e in generale anti-occidentali si sta espandendo. Dopo la diffusione in tutto il Medio Oriente del network di milizie regionali collegate ai Pasdaran, noto come Asse della Resistenza, ora l’Africa è tra i nuovi target iraniani. Un elemento da non sottovalutare per i progetti di cooperazione come il Piano Mattei.

6146.- L’illusione di uno Stato della Palestina demilitarizzato

A volte viene da pensare alla soluzione finale perseguita da Netanyahu con il genocidio e la diaspora, come all’unica possibile. L’amministrazione Biden propone di creare uno Stato palestinese “smilitarizzato” accanto a Israele. Nel vincolo della smilitarizzazione sta tutta l’insufficienza di questa proposta. Dal punto di vista giurisprudenziale, come secondo logica, la futura Palestina non può essere privata del diritto degli Stati sovrani a mantenere forze militari essenziali per l’”autodifesa”. È una regola irrinunciabile del diritto internazionale, perentoria. La Palestina di domani avrebbe interamente il diritto di abrogare qualsiasi accordo pre-indipendenza che l’avesse costretta alla smilitarizzazione.”

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu assiste a una riunione del gabinetto AFP PHOTO / POOL /GALI TIBBON

Da Gatestone institute,di Bassam Tawil  •  5 Marzo 2024, traduzione libera

  • [Qualsiasi impegno a favore di uno Stato smilitarizzato da parte della leadership palestinese sarebbe giuridicamente inutile.
  • “Qualsiasi trattato è nullo se, al momento in cui è stato stipulato, è in conflitto con una norma ‘perentoria’ del diritto internazionale generale (jus cogens) – una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati come una norma alla quale non è possibile derogare”. è permesso.’ Poiché il diritto degli Stati sovrani a mantenere forze militari essenziali per l'”autodifesa” è una regola così perentoria, la Palestina, a seconda della sua particolare forma di autorità, potrebbe avere interamente il diritto di abrogare qualsiasi accordo pre-indipendenza che l’avesse costretta smilitarizzazione.” [Corsivo nell’originale.] — Louis René Beres, professore emerito alla Purdue University ed esperto di diritto internazionale e scienze politiche, jurist.org, 23 dicembre 2023.
  • “Qui sta il nocciolo giurisprudenziale del problema della smilitarizzazione palestinese: il diritto internazionale non richiederebbe necessariamente il rispetto da parte dei palestinesi di eventuali accordi pre-statali riguardanti l’uso della forza armata. Dal punto di vista di tale legge autorevole, imporre la smilitarizzazione a uno stato sovrano di Palestina significherebbe essere estremamente problematico.” [Corsivo nell’originale.] —Louis René Beres, jurist.org, 23 dicembre 2023.
  • “Molto palesemente, sia il mondo arabo che l’Iran hanno ancora soltanto una ‘soluzione a un singolo Stato’ per il ‘problema israeliano’. È una “soluzione” che elimina del tutto Israele, una soluzione fisica, una “Soluzione Finale”. Ancora oggi, le mappe arabe ufficiali della “Palestina” (ANP e Hamas) mostrano il potenziale Stato arabo che comprende tutta la Cisgiordania (Giudea/Samaria), tutta Gaza e tutto Israele. Escludono consapevolmente qualsiasi riferimento a una popolazione ebraica e a elencare i ‘luoghi santi’ solo di cristiani e musulmani.” — Louis René Beres, jurist.org, 23 dicembre 2023
  • Nessuno può impedire che un futuro stato palestinese diventi uno stato senza legge e militarizzato. Un simile Stato alle porte di Israele rappresenterebbe una minaccia diretta e grave all’esistenza di Israele e di fatto faciliterebbe la missione del regime iraniano e dei suoi alleati terroristici di uccidere più ebrei.

Si dice che il Segretario di Stato americano Antony Blinken abbia chiesto al Dipartimento di Stato una “revisione di come apparirebbe uno Stato palestinese smilitarizzato sulla base di altri modelli nel mondo”. Nella foto: il Segretario di Stato americano Antony Blinken viene accolto dal Segretario generale dell’OLP Hussein al-Sheikh, a Ramallah il 7 febbraio 2024. (Foto di Mark Schiefelbein/Pool/AFP tramite Getty Images)

Nell’ambito del suo sforzo di promuovere l’idea di una “soluzione a due Stati”, l’amministrazione Biden ha parlato della necessità di creare uno Stato palestinese “smilitarizzato” accanto a Israele.

Si dice che il Segretario di Stato americano Antony Blinken abbia chiesto al Dipartimento di Stato una “revisione di come apparirebbe uno Stato palestinese smilitarizzato sulla base di altri modelli nel mondo”.

Lo scopo di tale revisione è quello di esaminare le opzioni su come una “soluzione a due Stati” possa essere implementata in modo da garantire la sicurezza per Israele, ha detto un funzionario americano ai media americani Axios.

L’amministrazione Biden si sta concentrando su una nuova dottrina che prevede una spinta senza precedenti per promuovere immediatamente la creazione di uno stato palestinese “smilitarizzato” ma vitale, ha riferito all’inizio di febbraio l’editorialista del New York Times Thomas Friedman:

“[Il piano] comporterebbe una qualche forma di riconoscimento da parte degli Stati Uniti di uno stato palestinese smilitarizzato in Cisgiordania e Striscia di Gaza che verrebbe alla luce solo una volta che i palestinesi avessero sviluppato una serie di istituzioni definite e credibili e di capacità di sicurezza per garantire che questo stato fosse vitale e che non potrebbe mai minacciare Israele.” [Il piano] implicherebbe una qualche forma di riconoscimento da parte degli Stati Uniti di uno stato palestinese smilitarizzato in Cisgiordania e Striscia di Gaza che verrebbe alla luce solo una volta che i palestinesi avessero sviluppato una serie di istituzioni definite e credibili e capacità di sicurezza per garantire che questo Stato fosse vitale e che non potesse mai minacciare Israele.

Anche il presidente egiziano Abdel Fattah Sisi ha espresso sostegno alla creazione di uno stato palestinese “smilitarizzato”.

“Deve esserci uno Stato palestinese al confine del 4 giugno con Gerusalemme Est come capitale, fianco a fianco con Israele”, ha affermato il presidente egiziano nel novembre 2023.

“Siamo pronti affinché questo Stato venga smilitarizzato e vi siano garanzie sulla presenza di forze, siano esse della NATO, delle Nazioni Unite, o delle forze arabe o americane, in modo da poter garantire la sicurezza per entrambi gli Stati, la nascente Palestina stato e lo stato israeliano.”

Il discorso su uno stato palestinese “smilitarizzato” arriva all’indomani dell’invasione di Israele da parte di Hamas il 7 ottobre 2023 e dell’omicidio, stupro, tortura, mutilazione e rogo vivo di 1.200 israeliani, tra cui donne, bambini e anziani. Hamas ha anche rapito più di 240 israeliani, più della metà dei quali sono ancora tenuti in ostaggio nella Striscia di Gaza.

I terroristi di Hamas che hanno attaccato Israele hanno utilizzato vari tipi di armi, tra cui fucili d’assalto, granate lanciarazzi (RPG) e deltaplani motorizzati. Migliaia di terroristi si sono infiltrati in Israele dalla Striscia di Gaza, che è sotto il controllo esclusivo di Hamas dal 2007. Il gruppo terroristico Hamas, sostenuto dall’Iran, ha presto lanciato un colpo di stato, rovesciando l’Autorità Palestinese (AP) e prendendo il controllo della Striscia di Gaza.

Il colpo di stato di Hamas è avvenuto due anni dopo il ritiro di Israele dall’intera Striscia di Gaza, dopo aver evacuato più di 9.000 ebrei che vivevano lì in più di 25 comunità. Dal 2005 non ci sono civili o soldati ebrei nella Striscia di Gaza, che è diventata uno stato palestinese semi-indipendente.

Dopo la presa del potere da parte di Hamas, Israele ed Egitto hanno rafforzato i rispettivi valichi di frontiera e imposto restrizioni sulle spedizioni per prevenire il contrabbando e l’infiltrazione di terroristi e armi. Dopo la presa del potere da parte di Hamas, Israele, uno stato grande quanto il New Jersey, è stato bombardato da decine di migliaia di razzi e mortai: più di 11.000 solo dal 7 ottobre: 9.000 da Gaza, 2.000 dal Libano.

Il blocco delle armi israeliano ed egiziano non ha impedito ad Hamas e ad altri gruppi terroristici di contrabbandare grandi quantità di armi nella Striscia di Gaza, principalmente attraverso il confine con l’Egitto. Il blocco inoltre non ha impedito ai gruppi terroristici palestinesi di produrre e sviluppare le proprie armi, compresi vari tipi di razzi e missili. L’idea che la Striscia di Gaza diventi un’entità “smilitarizzata”, grazie all’intervento israeliano e alle restrizioni per la sicurezza egiziana, si sono rivelate un sogno irrealizzabile.

Il massacro degli israeliani del 7 ottobre ha dimostrato che i nemici di Israele non hanno bisogno di carri armati e aerei da guerra per invadere Israele, uccidere 1.200 persone e ferirne più di 5.000. I palestinesi hanno dimostrato negli ultimi decenni che, quando si tratta di uccidere ebrei, usano come arma qualsiasi cosa su cui riescono a mettere le mani, inclusi coltelli, automobili, spade, cacciaviti, mazze, pugnali, pietre, bombe molotov e cinture esplosive.

Quattro mesi dopo l’inizio della guerra tra Israele e Hamas, è diventato chiaro come i gruppi terroristici palestinesi siano riusciti a trasformare la Striscia di Gaza in una delle aree più pericolose e militarizzate del Medio Oriente. L’esercito israeliano ha scoperto e distrutto dozzine di tunnel di Hamas, molti dei quali erano dotati di elettricità, ventilazione, sistemi fognari, reti di comunicazione e binari, nonché armi e cibo. La Striscia di Gaza è così piena di armi che, a quattro mesi dall’inizio della guerra, i terroristi palestinesi usano ancora granate e ordigni esplosivi per attaccare le truppe israeliane.

Altrettanto preoccupante è la situazione nelle zone della Cisgiordania controllate dall’Autorità Palestinese. Negli ultimi anni, l’Iran e i suoi delegati terroristici avevano accelerato gli sforzi per contrabbandare armi in Cisgiordania attraverso la Giordania.

“L’Iran vuole trasformare la Giordania in un’area di transito per le armi destinate a Israele”, ha affermato Amer Al-Sabaileh, fondatore di Security Languages, un think tank antiterrorismo nella capitale giordana di Amman. Secondo un alto funzionario della sicurezza giordano, la maggior parte delle armi iraniane destinate ai palestinesi finisce in Cisgiordania, in particolare nella Jihad islamica palestinese.

Nel novembre 2023, le autorità israeliane hanno sventato un tentativo di introdurre di nascosto 137 armi da fuoco in Israele dalla Giordania, in quello che hanno definito essere il più grande sequestro di armi mai avvenuto al confine giordano.

Quattro mesi prima, le autorità israeliane avevano sventato un insolito tentativo di contrabbando di armi in Israele dalla Giordania, i cui dettagli non sono stati autorizzati alla pubblicazione. Il contrabbando è stato descritto come “irregolare” e non simile ai precedenti e frequenti tentativi di contrabbando. Le autorità che indagano sull’incidente ritengono che le armi siano state nascoste per essere utilizzate da gruppi terroristici palestinesi in Cisgiordania.

Nell’aprile 2023, un membro del parlamento giordano è stato arrestato dalle autorità israeliane per aver tentato di contrabbandare più di 200 armi da fuoco in Cisgiordania utilizzando il suo passaporto diplomatico.

Il flusso di armi in Cisgiordania ha facilitato l’emergere di diversi gruppi armati responsabili di innumerevoli attacchi terroristici contro gli israeliani. La maggior parte di questi gruppi opera in aree controllate dall’Autorità Palestinese, che dispone di diverse forze di sicurezza composte da decine di migliaia di ufficiali che dovrebbero disarmare i gruppi armati.

Se i palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza riuscissero negli ultimi decenni ad accumulare così tante armi, si può solo immaginare cosa accadrebbe se fosse loro consegnato uno stato indipendente e sovrano con il pieno controllo sui confini con l’Egitto e la Giordania. I palestinesi continuerebbero senza dubbio i loro sforzi per ottenere più armi da utilizzare nella Jihad (guerra santa) per uccidere gli ebrei ed eliminare Israele.

In primo luogo, anche se i palestinesi si impegnassero in anticipo per uno stato “smilitarizzato”, l’esperienza ha dimostrato che le loro promesse sono inutili.

Ancora più importante, secondo Louis René Beres, professore emerito alla Purdue University ed esperto di diritto internazionale e scienze politiche, qualsiasi impegno da parte della leadership palestinese nei confronti di uno Stato smilitarizzato sarebbe giuridicamente inutile:

“Qualsiasi trattato è nullo se, al momento in cui è stato stipulato, è in conflitto con una norma ‘perentoria’ del diritto internazionale generale (jus cogens) – una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati come una norma alla quale non è possibile derogare”. è permesso.’ Poiché il diritto degli Stati sovrani a mantenere forze militari essenziali per l'”autodifesa” è una regola così perentoria, la Palestina, a seconda della sua particolare forma di autorità, potrebbe avere interamente il diritto di abrogare qualsiasi accordo pre-indipendenza che l’avesse costretta smilitarizzazione.” [Il corsivo è nell’originale.]

L’Autorità Palestinese si è impegnata, secondo i termini degli accordi di pace firmati con Israele, a combattere il terrorismo e a far rispettare la legge e l’ordine in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Tuttavia, l’Autorità Palestinese sostanzialmente non ha fatto nulla per confiscare armi illegali o per reprimere gli innumerevoli gruppi armati che operano sotto il suo naso.

Ancora oggi l’Autorità Palestinese non fa praticamente nulla per sventare gli attacchi terroristici contro gli israeliani provenienti dalle aree sotto il suo controllo in Cisgiordania. È difficile trovare una famiglia palestinese in Cisgiordania che non possieda un fucile d’assalto, una pistola o qualche altra arma.

Dopo il ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza, i palestinesi hanno avuto la possibilità di trasformare l’enclave costiera nella “Singapore del Medio Oriente”. Invece, l’hanno trasformato in un’enorme base per la Jihad e il terrorismo. Hanno usato anche la Gaza

La Striscia come trampolino di lancio per lanciare decine di migliaia di razzi e mortai su Israele.

Stando a Beres:

“Ci sono diversi problemi sostanziali e prevedibili con la smilitarizzazione palestinese. Il primo di questi problemi ha a che fare con gli impegni palestinesi evidentemente immutabili nei confronti di uno stato arabo che sostituirebbe Israele. Il secondo riguarda alcune aspettative critiche di rispetto del diritto internazionale che potrebbero plausibilmente consentire a qualsiasi Lo Stato palestinese abrogherà i suoi impegni pre-indipendenza di rimanere “smilitarizzato”…

“Qui sta il nocciolo giurisprudenziale del problema della smilitarizzazione palestinese: il diritto internazionale non richiederebbe necessariamente il rispetto da parte dei palestinesi di eventuali accordi pre-statali riguardanti l’uso della forza armata. Dal punto di vista di tale legge autorevole, imporre la smilitarizzazione a uno stato sovrano di Palestina significherebbe essere estremamente problematico.” [Il corsivo è nell’originale.]

Beres ha osservato che sia l’Autorità Palestinese che Hamas continuano a concordare su un punto centrale di rottura dell’accordo: in primo luogo, l’esistenza di Israele è intollerabile per motivi puramente religiosi e, in secondo luogo, Israele, nella sua interezza, non è altro che “Palestina occupata”:

Ripetiamo: “Non nascostamente, sia il mondo arabo che l’Iran hanno ancora solo una ‘soluzione a uno Stato’ per il ‘problema israeliano’. È una “soluzione” che elimina del tutto Israele, una soluzione fisica, una “Soluzione Finale”. Ancora oggi, le mappe arabe ufficiali della “Palestina” (ANP e Hamas) mostrano il potenziale Stato arabo che comprende tutta la Cisgiordania (Giudea/Samaria), tutta Gaza e tutto Israele. Escludono consapevolmente qualsiasi riferimento a una popolazione ebraica e elencare i ‘luoghi santi’ solo di cristiani e musulmani.”

Beres ha avvertito Israele di non trarre conforto da una promessa presumibilmente legale di smilitarizzazione palestinese:

“Se il governo di un nuovo Stato di Palestina scegliesse di invitare eserciti stranieri e/o terroristi sul suo territorio, potrebbe farlo senza difficoltà pratiche e senza violare il diritto internazionale”.

In quanto Stato pienamente sovrano, la Palestina potrebbe non essere vincolata dagli accordi pre-indipendenza, anche se i patti dovessero includerli

Beres ha aggiunto:

“Poiché i trattati autentici possono essere vincolanti solo per gli Stati, qualsiasi accordo tra un’Autorità Nazionale Palestinese non statale (presumibilmente in concerto tangibile con Hamas) e uno Stato sovrano di Israele guadagnerebbe poca credibilità…

“Dopo la guerra di Gaza, qualsiasi piano volto ad accettare la smilitarizzazione palestinese sarebbe costruito sulla sabbia. né gli Stati Uniti né Israele dovrebbero mai basare le proprie valutazioni geostrategiche dello stato palestinese su un fondamento così illusorio. A seguito di qualsiasi forma di indipendenza post-guerra di Gaza, né l’autorità palestinese né Hamas accetterebbero l’idea di una forma “limitata” di stato palestinese. secondo qualsiasi definizione del mondo arabo, un’idea del genere sarebbe considerata irragionevole e umiliante”.
nessuno può impedire che un futuro stato palestinese diventi uno stato senza legge e militarizzato. un tale stato alle porte di Israele rappresenterebbe una minaccia diretta e grave per l’esistenza di Israele e di fatto faciliterebbe la missione del regime iraniano e dei suoi delegati terroristici di uccidere più ebrei.


Bassam Tawil è un arabo musulmano con sede in Medio Oriente.

6129.- L’asse Sud Africa-Hamas-Iran.

Questa guerra non è soltanto di Israele. Che si svolga in Europa o in Medio Oriente, è la continuazione della Guerra Fredda, tutt’altro che conclusa. I suoi attori tentano ognuno di legittimarsi, ma tutti, nessuno escluso, si battono per mantenere le loro posizioni, con la differenza di Israele, che sta rischiando molto, molto di più. Siamo contro la politica di Netanyahu perché è grezza e proprio la sua radicalità non risolverà i problemi alla radice. In estrema sintesi, ne guadagnerebbe andando incontro all’avversario anziché tentare di sradicarlo, perché ogni bomba seminerà un nuovo terrorista.

Da Gatestone institute, di Robert Williams  •  15 Febbraio 2024. Traduzione libera.

  • Secondo NGO Monitor, il caso del Sud Africa all’ICJ si basa su rapporti di gruppi con legami con organizzazioni terroristiche. “La documentazione presentata dal Sud Africa alla corte contiene non meno di 45 riferimenti a pubblicazioni di ONG, tra cui diversi provenienti da gruppi legati al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un’organizzazione terroristica.” — Wall Street Journal, 29 gennaio 2024.
  • “Il governo sudafricano è la stessa cosa di Hamas. È un rappresentante iraniano, e il suo ruolo nella guerra è combattere la guerra ideologica e di idee per stigmatizzare gli ebrei in tutto il mondo”. — Dr. Frans Cronje, ex CEO del South African Institute for Race Relations, justthenews.com, 26 gennaio 2024.
  • Mentre l’ICJ si è rifiutata di archiviare il caso contro Israele e probabilmente trascorrerà i prossimi anni a deliberare sul presunto e immaginario “genocidio” di Israele, John Spencer, che è presidente degli studi sulla guerra urbana presso il Modern War Institute di West Point e un ufficiale militare americano in pensione, ha sostenuto che Israele minimizza le vittime civili più di qualsiasi altro militare nella storia, e ha elencato numerosi esempi degli sforzi compiuti dall’IDF per proteggere i civili, come l’avvertimento prima di lanciare attacchi militari.
  • “Israele ha adottato più misure per evitare inutili danni ai civili di praticamente qualsiasi altra nazione che abbia combattuto una guerra urbana… Nessun militare nella storia moderna ha affrontato oltre 30.000 difensori urbani in più di sette città usando scudi umani e nascondendosi in centinaia di miglia di reti sotterranee appositamente costruite sotto siti civili, mentre tengono centinaia di ostaggi… L’unico motivo delle morti civili a Gaza è Hamas. Da parte di Israele, è stato più attento a prevenirli di qualsiasi altro esercito nella storia umana.” – John Spencer Newsweek, 31 gennaio 2024.
  • Secondo quanto riferito, si starebbe intraprendendo un’azione per portare l’Iran davanti alla Corte internazionale di giustizia con l’accusa di genocidio. La mossa è attesa da tempo.

L’Iran ha chiesto che Israele fosse perseguito davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, e il Sud Africa ha prontamente risposto, servendo direttamente gli interessi iraniani con la sua causa di genocidio contro Israele. Nella foto: Basem Naim (a sinistra), leader di Hamas ed ex ministro della Sanità di Gaza, e Khaled Al-Qaddumi, rappresentante di Hamas in Iran, parlano durante una conferenza stampa a Città del Capo, in Sud Africa, il 29 novembre. (Foto di Rodger Bosch /AFP tramite Getty Images)

Qualche tempo dopo l’ottobre 2015, Hamas, a seguito di un incontro ad alto livello tra il partito al governo del Sudafrica, l’ANC, e i leader di Hamas, ha aperto un ufficio in Sud Africa.

Il segretario generale dell’ANC Gwede Mantashe disse all’epoca che Hamas avrebbe “imparato molto” dal governo sudafricano.

“Stiamo discutendo se Hamas non debba aprire uffici in Sud Africa per poter parlare”, ha detto Mantashe, aggiungendo che l’apertura dell’ufficio è stata in parte finalizzata a “migliorare la comunicazione” tra l’ANC e Hamas. dalla nostra solidarietà e intensificando la lotta della stessa Palestina.”

Il Sud Africa ha recentemente “intensificato la lotta” per Hamas quando si è assunto la responsabilità di intraprendere azioni legali per conto di Hamas e ha accusato Israele di “commettere un genocidio” presso la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ). Secondo NGO Monitor, il caso del Sud Africa all’ICJ si basa su rapporti di gruppi con legami con organizzazioni terroristiche.

“La documentazione presentata dal Sudafrica alla corte contiene non meno di 45 riferimenti a pubblicazioni di ONG, tra cui diverse provenienti da gruppi legati al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un’organizzazione terroristica. Il personale e i membri del consiglio di questi gruppi legati al FPLP facevano parte del La delegazione sudafricana ha partecipato alle udienze pubbliche a metà gennaio e ha contribuito a preparare il caso del Sudafrica.

“Tra i riferimenti contenuti nella petizione alla corte del Sud Africa c’è un rapporto intitolato ‘Apartheid israeliano. Strumento del colonialismo dei coloni sionisti’ di al-Haq, una ONG palestinese che Israele ha designato come ‘organizzazione terroristica’ nel 2021. Secondo Israele, al-Haq è parte di una rete che opera per conto del FPLP…

Il direttore di Al-Haq Shawan Jabarin faceva parte della delegazione del Sud Africa presso l’ICJ… Il 10 ottobre, Ziad Hmaidan, capo dell’unità di formazione e rafforzamento delle capacità di al-Haq, ha celebrato gli attacchi di Hamas, scrivendo su Facebook: “È scritto nell’Hadith: ‘Devi intraprendere la jihad. La migliore jihad è prepararsi alla guerra, ed è meglio prepararsi alla guerra ad Ashkelon, una città israeliana.”

Il ministro degli Esteri sudafricano Naledi Pandor ha parlato con il leader di Hamas appena 10 giorni dopo che il gruppo terroristico iraniano aveva lanciato il massacro contro Israele per affermare “la solidarietà e il sostegno del Sud Africa” ed esprimere “tristezza e rammarico per la perdita di vite innocenti su entrambi i fronti”. lati.” In passato, Pandor ha chiesto che Israele fosse designato “uno stato di apartheid”.

A dicembre, una delegazione di Hamas, guidata da Basem Naim, uno dei leader dell’ufficio politico di Hamas, ha visitato il Sudafrica. La delegazione comprendeva il rappresentante di Hamas in Iran, Khaled Al-Qaddumi, e ha visitato il Parlamento sudafricano, ha incontrato i politici dell’ANC e il nipote di Nelson Mandela, Mandla Mandela.

“Il governo sudafricano è la stessa cosa di Hamas. È un rappresentante iraniano e il suo ruolo nella guerra è combattere la guerra ideologica e di idee per stigmatizzare gli ebrei in tutto il mondo”, ha affermato il dottor Frans Cronje, ex amministratore delegato del Sud Istituto africano di relazioni razziali.

L’Iran ha chiesto che Israele fosse perseguito presso l’ICJ e il Sud Africa ha prontamente risposto, servendo direttamente gli interessi iraniani con il suo caso di genocidio contro Israele.

“Il governo sionista usurpatore deve essere portato in tribunale. Nel contesto della Palestina, il mondo intero è testimone del crimine di genocidio commesso dal regime usurpatore. Il regime sionista usurpatore deve essere perseguito oggi per questo…” Leader Supremo dell’Iran Ali Khamenei ha detto il 17 ottobre, appena 10 giorni dopo il massacro del 7 ottobre.

Pochi giorni dopo, il 22 ottobre, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha tenuto una conferenza stampa congiunta a Teheran con il suo omologo sudafricano, in cui ha affermato che i due avevano “tenuto importanti discussioni sulle relazioni bilaterali e su diverse questioni internazionali, ” e che i due paesi “hanno posizioni e punti di vista comuni sulle questioni internazionali”.

“[Il ministro degli Esteri sudafricano Naledi Pandor ed io] abbiamo anche discusso dei crimini di guerra in corso da parte del regime [israeliano]. Siamo grati per la forte posizione del popolo e del governo del Sud Africa nel loro sostegno alla Palestina e nella lotta contro l’apartheid [di Israele]. Una delegazione sudafricana visiterà Teheran la prossima settimana. Inoltre, il presidente Raisi visiterà il Sud Africa e gli ultimi accordi saranno firmati dalle parti interessate alla presenza dei presidenti di entrambi [i paesi].”

Pandor ha praticamente ammesso che il Sudafrica sta collaborando con l’Iran contro Israele:

“Il Sudafrica ha costantemente dichiarato il suo sostegno alla Palestina. Nessuno dovrebbe subire ingiustizie. Dobbiamo fare di più per sostenere il popolo palestinese… I paesi dovrebbero agire in modo più deciso. Siamo ansiosi di raggiungere questi obiettivi con l’Iran; questo è un obiettivo comune di Iran e Sud Africa.”

A parte il Ciad, il Sudafrica è l’unico paese africano ad aver richiamato il proprio ambasciatore e la propria missione diplomatica in Israele. I legislatori sudafricani hanno votato a favore della rottura completa dei legami. Anche il parlamento sudafricano ha votato a favore della chiusura dell’ambasciata israeliana in Sudafrica, con Israele che richiamerà a casa il suo ambasciatore per consultazioni a novembre.

Mentre l’ICJ si è rifiutata di archiviare il caso contro Israele e probabilmente trascorrerà i prossimi anni a deliberare sul presunto e immaginario “genocidio” di Israele, John Spencer, che è presidente degli studi sulla guerra urbana presso il Modern War Institute di West Point e un ufficiale militare americano in pensione, ha sostenuto che Israele riduce al minimo le vittime civili più di qualsiasi altro militare nella storia e ha elencato numerosi esempi degli sforzi compiuti dall’IDF per proteggere i civili, come gli avvertimenti prima di lanciare attacchi militari.

Spencer ha scritto su Newsweek:

“Israele ha adottato più misure per evitare danni civili inutili di praticamente qualsiasi altra nazione che abbia combattuto una guerra urbana. Infatti, avendo prestato servizio in Iraq per due volte e studiato la guerra urbana per oltre un decennio, Israele ha adottato misure precauzionali anche nel caso Gli Stati Uniti non lo hanno fatto durante le recenti guerre in Iraq e Afghanistan…

“Nessun militare nella storia moderna ha affrontato oltre 30.000 difensori urbani in più di sette città usando scudi umani e nascondendosi in centinaia di chilometri di reti sotterranee appositamente costruite sotto siti civili, tenendo centinaia di ostaggi… L’unica ragione delle morti civili in Gaza è Hamas. Da parte di Israele, è stato più attento a prevenirli di qualsiasi altro esercito nella storia umana.”

Secondo quanto riferito, si starebbe adottando un’azione per portare l’Iran davanti alla Corte internazionale di giustizia con l’accusa di genocidio. La mossa è attesa da tempo.

Robert Williams is a researcher based in the United States.

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6128.- Mossad e Shin Bet, al Cairo, fissano la linea al Qatar e alla CIA. Ombre su Netanyahu e appello di Abbas.

Breve nota di Mario

Acclarato che sia il potere di Hamas che di Netanyahu regge sopratutto sulla vendetta, che Tel Aviv non intende retrocedere nei propri confini, quale altra via se non il genocidio e la diaspora dei palestinesi possono garantire a Israele un percorso di pace e, al mondo, la stabilità del Medio Oriente? Questi morti: i patrioti, i terroristi e gli innocenti, non siano morti invano. C’è concordo sulla soluzione dello Stato palestinese, ma ci sembra prioritario che l’ONU decida i confini di Israele. Può solo pensarlo? Sono in ballo due potenze nucleari: Israele e l’Iran. Alle spalle, c’è chi alimenta la guerra della NATO alla Federazione Russa e la guerra di Putin all’Ucraina. Entrambe impediscono a Washington e a Mosca di dettare, insieme, condizioni a Tel Aviv e a Teheran. Tutto il mondo è in agitazione: dall’Armenia, al Mar Rosso, alle Coree, a Taiwan. Potrebbero? Su tutto ciò sorvola la banalità di Tajani, che, tardi, ma punta al nocciolo della questione: “Da Israele reazione sproporzionata, troppe vittime civili che non c’entrano nulla con Hamas”. In questo momento, mentre l’inverno volge al termine, nella Striscia, ci sono 14°, poche nuvole, pochissimo cibo, acqua, niente elettricità. C’é l’odore dei morti, magari, di mamma e papà.

Appello dell’Anp a Hamas: “Accettate l’accordo con Israele, i palestinesi vanno salvati dalla catastrofe”

anp hamas

Da Il Secolo d’Italia, di Luciana Delli Colli, 14 febbraio 2024

Continueranno per tre giorni i colloqui al Cairo tra Stati Uniti, Israele, Qatar ed Egitto per cercare di raggiungere un accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e il rilascio degli ostaggi in cambio dei detenuti palestinesi dopo che, finora, i negoziati non hanno portato a risultati. A scriverlo è il New York Times citando, a condizione di anonimato, un funzionario egiziano. Il tenore dei colloqui finora è ”positivo”, ha spiegato la fonte. Anche il Times of Israel ha parlato dell’estensione dei negoziati, mentre un lungo retroscena di Haaretz ha gettato ombre sulla volontà del premier Benjamin Netanyahu di arrivare davvero a un accordo. Intanto, il presidente dell’Anp, l’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, oggi, ha lanciato un appello a Hamas affinché accetti un accordo per fermare la guerra.

I negoziati al Cairo per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi

I negoziati sono stati aperti al Cairo da una delegazione di vertice, guidata dal capo del Mossad David Barnea, accompagnato dal capo dello Shin Bet, Ronen Bar. I due funzionari hanno incontrato il primo ministro e ministro degli Esteri del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani e il capo della Cia William Burns. Poi hanno fatto rientro in Israele. Il tavolo ora proseguirà a livelli inferiori. Egitto Qatar e Stati Uniti stanno cercando ancora una volta di raggiungere un cessate il fuoco più lungo per la Striscia di Gaza. In cambio, gli ostaggi ancora nell’enclave palestinese dovrebbero essere liberati, così come alcuni detenuti palestinesi nelle carceri di Israele.

L’appello dell’Anp a Hamas: “Accettate l’accordo per salvare il popolo palestinese dalla catastrofe”

Oggi il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, ha rivolto un appello a Hamas, che è suo rivale politico, affinché accetti un accordo con Israele per fermare la guerra nella Striscia di Gaza. ”Chiediamo al movimento di Hamas di accettare velocemente l’accordo sui prigionieri per risparmiare il nostro popolo palestinese dalla calamità di un altro evento catastrofico con conseguenze terribili, non meno pericolose della Nakba del 1948”, ha detto Abbas, citato dall’agenzia di stampa palestinese Wafa. Il presidente dell’Anp ha poi ”invitato l’Amministrazione americana e i fratelli arabi”, ovvero i mediatori di Egitto e Qatar, ”a lavorare diligentemente per raggiungere un accordo sui prigionieri il più rapidamente possibile, al fine di risparmiare al popolo palestinese il flagello di questa guerra devastante”.

Il retroscena di Haaretz sulle intenzioni di Netanyahu

Secondo un’analisi del quotidiano israeliano Haaretz, però, a non considera un accordo come una priorità sarebbe prima di tutti Netanyahu. Il giornale riferisce che il premier avrebbe concesso alla delegazione guidata da Barnea un margine di manovra limitato, proprio perché non avrebbe fretta di arrivare alla sottoscrizione del patto. Il capo del governo israeliano, si legge nell’edizione web, continuerebbe a insistere sul fatto che le pressioni militari alla fine porteranno a un accordo con condizioni migliori per Israele, indipendentemente dalle proteste delle famiglie degli ostaggi, che oggi per altro, in una delegazione di circa un centinaio, si sono recate all’Aja per denunciare formalmente Hamas al Tribunale internazionale per crimini di guerra. Haaretz ricorda anche che Tel Aviv ha definito inaccettabili finora le richieste avanzate da Hamas, sottolineando il fatto che a confermare che lo stesso Netanyahu non creda molto a un accordo in questa fase ci sarebbe anche l’assenza nella delegazione volata ieri al Cairo del generale Nitzan Alon, capo dell’unità dell’esercito incaricata di raccogliere intelligence sugli ostaggi. Il quotidiano, inoltre, ha richiamato anche il pressing degli Usa contro la linea aggressiva di Netanyahu, il quale però l’ha confermata rilanciando l’offensiva a Rafah.

Tajani: “Hamas vuole una reazione dura di Tel Aviv per isolarla”

“Noi siamo amici di Israele, abbiamo condannato con grande fermezza ciò che è accaduto il 7 ottobre, abbiamo riconosciuto il diritto di Israele a difendersi e a colpire le centrali di Hamas a Gaza perché quello che è accaduto è stata una caccia all’ebreo: sono scene che hanno provocato una giusta reazione”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, sottolineando anche che “noi però abbiamo come obiettivo la pace, vogliamo che ci sia un cessate il fuoco perché non bisogna permettere a Hamas di raggiungere il suo obiettivo”, che è quello “di mettere Israele in un angolo”. “Hamas sta usando la popolazione civile come scudo. Hamas vuole che Israele abbia una reazione ancora più dura per poi dire ‘isoliamo Israele’. È il disegno di Hamas. Non bisogna cadere nella trappola di Hamas”, ha quindi avvertito Tajani, sottolineando che ”senza uno Stato palestinese rischiamo che Hamas diventi l’unica speranza per i palestinesi”, ma ”Hamas è una organizzazione militare terroristica”.  Il vicepremier, quindi, ha ricordato che “l’Italia è protagonista in tutte le iniziative politiche” volte a mettere fine ai combattimenti tra Israele e Hamas e che è ”importante sostenere il dialogo in corso al Cairo tra Stati Uniti, Qatar, Israele ed Egitto per la sospensione dei combattimenti, aiutare la popolazione civile palestinesi e liberare gli ostaggi”. ”Netanyahu sta usando la linea dura, ma è nell’interesse di tutti lavorare per una de-escalation”, ha proseguito il titolare della Farnesina, che questo fine settimana a Monaco di Baviera incontrerà anche i ministri degli Esteri dei Paesi Arabi “con i quali potrò consolidare il dialogo”.

6111.- Col. Macgregor: le azioni di Israele a Gaza potrebbero causare la sua stessa distruzione, la Terza Guerra Mondiale

Osserviamo che la distruzione del solo Israele non risolverebbe granché, anzi. É il sistema che ci governa e che esso rappresenta che deve invertire la polarità ponendo in vetta l’essere umano e non il denaro.

Di Sabino Paciolla, 5 Febbraio 2024

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Patrick Delaney e pubblicato su Lifesitenews. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. 

Benjamin Netanyahu
Benjamin Netanyahu

Macgregor, che ha parlato in un’intervista di lunedì con il giudice Andrew Napolitano, ha detto che c’è una disparità tra gli obiettivi dichiarati da Israele di “sradicare Hamas e restituire gli ostaggi” e la sua furia distruttiva su Gaza. L’attacco avrebbe ucciso almeno 26.900 persone dal 7 ottobre, tra cui oltre 11.000 bambini e 7.500 donne, senza contare gli 8.000 dispersi e presunti morti sepolti sotto le macerie. Inoltre, più di 570.000 degli 1,7 milioni di sfollati soffrono di fame e alcuni iniziano a morire.

Le accuse di genocidio sono arrivate da tutto il mondo, anche da molte organizzazioni ebraiche, commentatori esperti e singoli individui. Tuttavia, Macgregor ha affermato che “la popolazione israeliana è dietro” questa operazione. “Non lo mettono affatto in dubbio”.

La maggior parte degli israeliani considera l’allontanamento definitivo di tutti gli arabi che attualmente vivono in quella che considerano la “Grande Israele” – dal mare al fiume Giordano – come una questione di sicurezza e sopravvivenza a lungo termine”.

Per molti decenni i cristiani in Terra Santa hanno chiesto a Israele e alla comunità internazionale di porre fine all’occupazione illegale dello Stato ebraico e alla costruzione di insediamenti sul territorio riconosciuto a livello internazionale del popolo palestinese, come base necessaria per una coesistenza pacifica.

Tuttavia, mentre per gli israeliani “è una proposta da tutto o niente”, Macgregor ha affermato che la questione rilevante “non è ciò che vogliono gli israeliani o ciò in cui credono, ma cosa vuole il popolo americano e come si sente? Si sentono a loro agio con l’eliminazione totale della popolazione araba, musulmana e cristiana, da Gaza?”. Possono sostenere la “morte o l’espulsione di questa popolazione (2,4 milioni) o la sua uccisione diretta o indiretta attraverso malattie e fame o no?”.

“Se non sono a loro agio con questo, devono alzare le chiappe e chiamare i loro rappresentanti a Washington”, perché in questo momento pochi a Washington si oppongono a ciò che Israele sta facendo, ha detto.

Non credo che si possa fermare la distruzione di Israele

Sebbene i leader delle nazioni arabe del Medio Oriente, come Egitto, Giordania, Siria, Arabia Saudita, Libano e Turchia, vogliano evitare una guerra regionale, a causa delle conseguenze per le infrastrutture e la popolazione delle loro nazioni, le loro stesse posizioni sono in pericolo a causa della possibilità di rivolte popolari tra i loro cittadini, ha spiegato il colonnello.

Le popolazioni di queste regioni, in particolare gli arabi musulmani e i turchi, “sono così arrabbiate e infuriate che sono pronte a combattere, a prescindere dai costi, per distruggere Israele”.

“Di conseguenza, sempre più spesso in tutto il Medio Oriente, tutti coloro che detengono il potere o l’autorità stanno dicendo privatamente… non tollereremo più questo Stato israeliano e si stanno muovendo verso uno stato di guerra in tutta la regione, che culminerà, credo, nella distruzione di Israele”, ha avvertito Macgregor. “E non credo che potremo fermarlo”.

I neoconservatori dell’amministrazione Biden avviano la guerra con l’Iran per servire gli interessi di Israele

Eppure, con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu che ha spinto perché gli Stati Uniti facessero una guerra contro l’Iran per più di tre decenni, e ora con Antony Blinken, membro della Israel Lobby, che dirige il Dipartimento di Stato americano con la collega neoconservatrice Victoria Nuland come sottosegretario, l’Amministrazione Biden sembra determinata a utilizzare la potenza militare americana, mettendo i soldati statunitensi in maggiore pericolo, per promuovere quelli che ritengono essere gli interessi regionali di Israele.

In un articolo del New York Times del 21 gennaio, l’Amministrazione Biden ha lanciato un avvertimento: se le truppe americane dovessero essere uccise da milizie locali nella regione, questa sarebbe una “linea rossa” che potrebbe far precipitare gli Stati Uniti a colpire direttamente l’Iran, il che potrebbe “degenerare in una guerra vera e propria”.

Come molti altri commentatori, Macgregor ha descritto che l’unico scopo della presenza di queste truppe “sul terreno in Iraq o in Siria” è “effettivamente [di essere] calamite per gli attacchi”. E con l’assalto mortale a un avamposto al confine tra Giordania e Siria che ha ucciso tre soldati statunitensi lo scorso fine settimana, il colonnello ha previsto che sarebbe stato usato “come giustificazione per un’ulteriore escalation contro l’Iran”, che è da tempo un obiettivo dei neoconservatori.

L’Iran ha negato con forza qualsiasi coinvolgimento in questo o in altri attacchi, e Macgregor ha detto che le agenzie di intelligence americane confermano che “l’Iran sta dicendo la verità” in questa faccenda, riconoscendo che queste milizie sciite sono effettivamente anti-Israele, ma ha affermato che stanno attaccando le basi americane “perché stiamo sostenendo incondizionatamente la distruzione della popolazione araba a Gaza. Se questo dovesse cessare… gli attacchi contro di noi finirebbero. Non c’è alcun desiderio da parte dell’Iran o di chiunque altro nella regione di entrare in guerra con noi”.

L’”enorme arsenale di missili” dell’Iran ha la capacità di attaccare le basi e le portaerei americane “con grande precisione” e di “ridurre in cenere la maggior parte di Israele”.

Ma se le autorità israeliane e statunitensi dovessero riuscire a iniziare una guerra con l’Iran, il colonnello in pensione prevede che queste forze “pagheranno un prezzo pesante”.

“L’Iran ha un enorme arsenale di missili”, ha detto. Tra questi, “migliaia di missili balistici di teatro molto precisi e molto distruttivi, nonché missili balistici tattici. Hanno una tecnologia per i missili da crociera e un numero infinito di droni”.

Nella regione sono presenti circa 57.000 truppe americane e questi missili possono “attaccare con grande precisione” tutte le loro basi e posizioni. I missili includono quelli che il colonnello chiama “blockbuster”, che possono “distruggere città, installazioni militari, campi d’aviazione [e] porti. Sono tutte testate convenzionali, ma il potere distruttivo è enorme e preciso”.

Questi includono missili ipersonici che possono colpire obiettivi in mare, e non c’è ancora “alcun modo per abbatterli o difendersi da essi”. Le portaerei britanniche e statunitensi nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano “potrebbero essere prese di mira perché ora tutti hanno accesso alla sorveglianza aerea” che non esisteva in queste nazioni 20 anni fa.

Inoltre, “se gli israeliani parteciperanno con noi agli attacchi diretti contro l’Iran, penso che l’arsenale sarà lanciato in grandi quantità da numerosi luoghi diversi, tutti non identificabili con certezza. E ridurranno in cenere la maggior parte di Israele”.

Hezbollah e musulmani sunniti in Messico, frontiera aperta cronica, “alta probabilità” di fronti aggiuntivi sul suolo americano

Negli ultimi decenni, gli Stati Uniti hanno “affrontato avversari senza eserciti, forze aeree, difese aeree. Questo sta per finire”, ha dichiarato Macgregor.

“Iran, Turchia e certamente Hezbollah: sono forze reali con capacità reali, che non abbiamo mai dovuto affrontare. E, per inciso, nemmeno gli israeliani”, ha detto. “E gli israeliani sarebbero i primi a dirvi, in privato, che troppi dei loro soldati e ufficiali hanno passato troppo tempo a sorvegliare le persone in Cisgiordania e a Gaza. Non sono abituati a una guerra totale. Questo è ciò che chiedono e lo otterranno se non si fermano. E lo otterremo anche noi”.

Inoltre, “gli americani non hanno paura della guerra perché avviene sempre sul suolo di qualcun altro. E questo sta per cambiare se attacchiamo l’Iran”, ha previsto Macgregor.

“Ricordate che Hezbollah ha strutture e concentrazioni di persone in Messico. Così come gli islamici sunniti”, ha ricordato. Con tutte le recenti ondate di immigrati clandestini che si sono riversate attraverso il confine messicano negli ultimi anni, “non sappiamo nemmeno chi sia effettivamente entrato negli Stati Uniti”.

“Nessuno sembrava preoccuparsi quando migliaia di uomini in età militare provenienti dalla Cina e da altri Paesi sono entrati negli Stati Uniti. Nessuno sembra essersi preoccupato fino a poco tempo fa, quando si è reso conto che erano entrati anche arabi, iraniani e altri”.

E quali potrebbero essere i risultati? “Che ne sarà dei nostri impianti nucleari? E la nostra rete elettrica? E le armi che esistono e che sono nelle mani dei cartelli”, che potrebbero unirsi a questi attori statali e non statali per una quantità sufficiente di denaro?

“Non dobbiamo escludere l’altissima probabilità che, se questa guerra andrà avanti, ci troveremo di fronte a un secondo fronte lungo il confine messicano e potenzialmente a un terzo fronte all’interno degli Stati Uniti”, ha affermato.

Russia e Cina sosterranno l’Iran, l’uso di armi nucleari da parte di Israele è il “pericolo più grande”.

Allo stesso modo, “la Russia ha detto chiaramente che considera l’Iran un partner strategico di grande importanza”, ha spiegato Macgregor. “La Russia non starà a guardare e non ci permetterà di distruggere l’Iran. Fornirà all’Iran tutto ciò di cui ha bisogno per proteggersi e sarà al suo fianco”.

“Inoltre, i cinesi, che hanno interessi critici nell’accesso al Golfo Persico e nell’accesso all’Africa orientale, dove ottengono grandi quantità di cibo, non staranno a guardare mentre costringiamo l’Iran a sottomettersi o a morire”, ha proseguito. “Dobbiamo fare marcia indietro. Questo diventerà regionale e direi semi-globale molto rapidamente”.

Infine, Macgregor ha parlato della “Opzione Sansone” di Israele, una politica di “ricatto nucleare” in base alla quale, di fronte a una minaccia esistenziale, lo Stato ebraico lancerebbe missili nucleari contro città del Medio Oriente.

Questo avrebbe lo scopo di far crollare con sé i nemici di Israele, come fece Sansone facendo crollare i pilastri del tempio dei Filistei.

Quindi, “il pericolo maggiore”, ha detto il colonnello, “è che gli israeliani rispondano, ma con l’uso di un’arma nucleare, in particolare mentre guardano le loro città, Tel Aviv, Haifa e così via, in gran parte annientate da questi arsenali di missili. E se ciò dovesse accadere, credo che avrebbe conseguenze catastrofiche per Israele e per il mondo, ben peggiori di tutto ciò che abbiamo visto finora”.