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6226.- [L’ospite] Guillaume Bigot : « La sovranità europea è la morte della democrazia »

La nostra premessa

Dalla Comunità Economica Europea all’Unione europea. Il primo novembre del 1993 entrò in vigore il trattato di Maastricht e nacque l’Unione Europea come la conosciamo oggi. Fu il trattato che stabilì l’Unione Europea con il nome odierno e gran parte delle istituzioni comunitarie che conosciamo. Trasformò le finalità delle precedenti organizzazioni, come la Comunità Economica Europea, da un’unione solo economica a un’unione politica. Pose le basi della creazione della Banca Centrale Europea e dell’introduzione dell’euro. Il trattato, insieme a vari emendamenti, dichiarazioni e altri trattati sottoscritti negli anni successivi, forma il corpo giuridico che costituisce l’Unione, cioè i Trattati dell’Unione Europea, o, semplicemente, i “Trattati fondamentali”.

Oggi, si parla e parliamo sempre più spesso di difesa comune e di esercito europeo, ma perché questi si realizzino e possano operare bisogna avere una politica estera comune, che, a sua volta, presuppone uno Stato sovrano. Per Bigot, la sovranità europea è la morte della democrazia, quindi?

In sintesi,

Eravamo orgogliosi di appartenere alla Comunità Economica Europea. Il tradimento di Lisbona non è stato un incidente, ma il logico risultato della costruzione europea, come è stata voluta dal suo nemico numero uno. Il segretario di Stato USA Mike Pompeo disse “è stato un errore.”

L’Unione Europea è una truffa in cui, alla fine, chiediamo alle persone elette al potere di rinunciare a questo potere. La rinuncia incide anche sul potere del successore. Al massimo, l’Ue è un’illusione di protezione economica, sanitaria e sociale con una falsa idea che, alla fine, è quella del gregge di pecore, che, cioè, siamo più forti come masse che come nazioni libere.

Ci sono pochi politici che stanno iniziando a opporsi a questa Ue, ma ne servono altri. Oggi chi la gestisce è un ladro e un suddito di alcuni paesi che non ne fanno più parte o – peggio – non ne sono mai stati parte.

L’Ue deve favorire i paesi che la compongono e preoccuparsi soprattutto del bene dei cittadini europei. Soprattutto, perché questo avvenga, dovete votare in massa per eleggere coloro che avranno il coraggio di lottare per il nostro Paese, la sua gente, le nostre imprese e i nostri agricoltori.

  • L’artocolo di Gabrielle Cluzel è tratto da Boulevard Voltaire dell’ 11 maggio 2024. La nostra è una traduzione libera che chiudiamo con una domanda: “E l’Italia?” 
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Guillaume Bigot è un politologo, editorialista di CNews e Sud Radio. Ha appena pubblicato, con Éditions L’Artilleur, un libro scritto in collaborazione con l’avvocato Ghislain Benhessa. Il titolo, “Camminiamo sulle nostre teste”, è ovviamente ispirato al famoso slogan dei contadini arrabbiati, vittime emblematiche, dopo i gilet gialli, di questa Unione europea. Per lui l’UE è una camicia di forza che imprigiona le persone, ma i politici non osano ammettere la propria impotenza. Poiché i francesi lo sanno, l’astensione alle loro elezioni è massiccia. Il tradimento di Lisbona non è un incidente ma il logico risultato della costruzione europea. Punta sulla responsabilità dei giudici: “La gente dice no, i giudici dicono sì. »Ma nulla è irrimediabile, Guillaume Bigot apre a possibili soluzioni.

Assolutamente da vedere prima delle Elezioni Europee!

Gabrielle Cluzel  Directrice de la rédaction de BV, éditorialiste 

I VOSTRI COMMENTI AL LIBRO DI GUILLAUME BIGOT E GHISLAIN BENHESSA, “CAMMINIAMO SULLE NOSTRE TESTE”.

  1. AvatarBernard 34dit :
    Bertold Brecht
  2. ALFRED Germaindit :Non è un caso che il “distruttore” Macron parli solo di Europa. Gli inglesi hanno capito che bisogna uscire da questa camicia di forza globalista che impedisce alle nazioni di respirare.
  3. Jean Aymardit :Per avere la certezza di essere tradito a Lisbona, l’elettorato di destra ha dovuto votare per Sarkozy. Lo so: ero lì e da allora mi mordo le labbra. Quindi, non mi attira più la Democrazia che può generare tali mostri!
  4. STEINER Yolandedit :Ci sono politici che stanno iniziando a opporsi a questa UE, ma ne servono altri. Oggi chi la gestisce è un ladro e suddito di alcuni paesi che non ne fanno più parte o non ne sono mai stati parte. L’UE deve favorire i paesi che la compongono e preoccuparsi soprattutto del bene dei cittadini europei. Soprattutto, dovete votare in massa per eleggere coloro che avranno il coraggio di lottare per il nostro Paese, la sua gente, le nostre imprese e i nostri agricoltori.
  5. Roswalldit :Il libro del signor Bigot è importante. Il signor Bigot parla di vizio originario _ ed estende il problema al sindaco, il cui potere è ormai diluito ecc. _ ma non dà per il momento la sua visione di soluzione (in risposta alla domanda). Ciò che resta è la pedagogia di un nuovo Presidente…, per rinsavire?
    • Waspdit :L’Europa è una truffa in cui, alla fine, chiediamo alle persone elette al potere di rinunciare a questo potere. La rinuncia incide sul potere del successore. Quindi ognuno ha minato o minerà il potere dell’eletto successivo. Abbiamo una sola soluzione: darsi ammalati e gettarsi nelle barelle, se c’è ancora tempo.
  6. Cyrano24dit :Sì, l’UE è un’istituzione essenzialmente totalitaria. Devi negarlo per rifiutarti di vederlo. Ciò non significa che i francesi voteranno per la Frexit. Per me è semplice da capire: i francesi hanno paura di arrogarsi la libertà. Preferiscono scambiarla con un’illusione di protezione economica, sanitaria e sociale con questa falsa idea che è quella del gregge di pecore, che siamo più forti come masse che come nazione libera. I paesi più ricchi d’Europa? Svizzera, Norvegia e Islanda (15 milioni di abitanti in totale) tutte nazioni extra UE.
  7. Michele Berges ci dice : il 12 maggio 2024 alle 13:12Dimostrazione lampante, ma… tutto crolla negli ultimi minuti. Un prigioniero non può chiedere al suo carceriere di liberarlo. Cambiare la Costituzione? “Un’altra Europa”? Il serpente si morde la coda! Decideranno solo le elezioni presidenziali. Votare per un finto parlamento? È condonare la PRIGIONE, la millefoglie, le CATENE. L’urgenza è uscirne. Da 16 anni, l’UPR di Asselineau mette in pratica il metodo d’insegnamento annunciato. Tuttavia non viene citato da BIGOT e rimane imbavagliato. Per quello ?
  8. Se ci dice : 12 maggio 2024 alle 12:34 Quante verità dette e ben dette. Non è diventando prigionieri che ci diamo i mezzi per agire, tutt’altro. Un solo punto di disaccordo: Frexit immediata! I francesi, drogati, possono risvegliarsi dal torpore con un’improvvisa consapevolezza della realtà. A me è successo circa vent’anni fa, mi sono svegliato europeista, la sera ero fervente sostenitore del Frexit: ho aperto gli occhi e ho lasciato la mia stessa negazione. Può succedere a chiunque.
  9. Louli014 ci dice : 12 maggio 2024 alle 12:05. Grazie caro Guillaume per questa luminosa analisi. Solo un dettaglio: non confondere Maurice Schumann, grande partigiano e gollista, con Robert Schuman, europeista franco-tedesco-lussemburghese.
  10. Jean Louis Mazières dice : 12 maggio 2024 alle 11:35 I giudici ricevono ordini e hanno ordini, tutti i giudici lo sanno.
  11. Johnny Croipa dice : 12 maggio 2024 alle 11:11 Bella la dimostrazione da parte di Guillaume Bigot di questo processo di autodistruzione programmata di un sistema politico che, legato alle cellule umane, si chiama apoptosi. Allo stesso modo in cui la creazione di nuove cellule contribuisce alla sostenibilità della vita, attraverso il suo mantenimento e sviluppo, arriva un momento in cui quest’opera benefica, virtuosa e salutare viene corrotta, e se questa rigenerazione non avvenisse più, l’intero organismo diventerebbe canceroso attraverso la proliferazione di cellule che sono diventate dannose. Lo stesso vale per le costruzioni umane.
  12. Oanellig dice : 12 maggio 2024 alle 10:44 “La gente dice di no ~ I giudici dicono di sì, obbediscono!” » Bisogna quindi eliminare i giudici. Queste persone non sono i rappresentanti eletti del popolo. Sono antidemocratici. È allora necessario riformare l’UE affinché questi inutili malfattori vengano rimossi da tutti gli ingranaggi del potere che appartiene al Parlamento.
  13. Nico42 dice : 12 maggio 2024 alle 9:21 Ricorda: l’Europa sarà il mercato unico! ma quello era prima! ora questo mercato unico riguarda il Sud America e il Canada. Non sto parlando dei paesi dell’Est. Tutto questo per “proteggere” i nostri agricoltori! Il presidente non vuole più essere quello dei francesi ma quello dell’Europa. Bene la Brexit, Brava Gran Bretagna!
  14. CARAMELLA ci dice : 12 maggio 2024 alle 8:56 Guillaume Bigot, come al solito, ha prodotto un’ottima analisi! Dal 1968, la FRANCIA continua ad affondare, ad essere distrutta da una sinistra che vuole essere socialista, ma totalitaria e da una pseudo destra che pensa solo al potere e al denaro!
  15. Ed io, Mario Donnini Vi chiedo: “E l’Italia?”

6218.- Presidente Meloni, Piano Mattei

Presidente, grazie.

Meloni in Libia, patto con Haftar: lotta senza tregua ai trafficanti di esseri umani

Da Il Secolo d’Italia del 7 Mag 2024 – di Redazione

Meloni Haftar


Una missione a tutto campo, quella della Meloni in Libia – accompagnata dai ministri dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini, della Salute, Orazio Schillaci, e per lo Sport e i Giovani,Andrea Abodi – sotto il profilo geo-politico e della cooperazione internazionale. Il Presidente del Consiglio, in visita oggi a Tripoli, ha incontrato il Presidente del Consiglio Presidenziale Al-Menfi e il Primo Ministro del Governo di Unità Nazionale libico, Dabaiba. Al termine dell’incontro sono state firmate delle dichiarazioni di intenti in materia di cooperazione universitaria e ricerca, salute, sport e giovani nella cornice del Piano Mattei per l’Africa.

Meloni in Libia: i bilaterali con Dabaiba e Haftar

Il Presidente Meloni, come rendono noto fonti di Palazzo Chigi, ha ribadito l’impegno a lavorare con la Libia in tutti gli ambiti di interesse comune, attraverso un partenariato su base paritaria fondato su progetti concreti. In particolare nel settore energetico e infrastrutturale. Al fine di approfondire ulteriormente le opportunità di investimenti, nel corso del colloquio – sottolineano le stesse fonti – il Presidente Meloni e il Primo Ministro Dabaiba hanno deciso di organizzare un business forum italo-libico entro la fine dell’anno.

La cooperazione tra Libia e Unione Europea

Non solo. Con i suoi interlocutori, il Presidente del Consiglio ha discusso anche dell’importanza di indire le elezioni libiche presidenziali e parlamentari, nel quadro della mediazione delle Nazioni Unite che va rilanciata. L’Italia, in tal senso, continuerà a lavorare per assicurare una maggiore unità di intenti della Comunità internazionale. E per promuovere la cooperazione tra Libia e Unione Europea.

Meloni e Haftar sulla ricostruzione di Derna, le iniziative sull’agricoltura e sulla sanità

Nel pomeriggio, poi, il Presidente Meloni si è quindi recata a Bengasi, dove ha incontrato il Maresciallo Khalifa Haftar, con cui ha discusso, tra l’altro, delle iniziative italiane nel settore dell’agricoltura e della salute che interessano anche l’area della Cirenaica. Oltre a ribadire la disponibilità dell’Italia a contribuire, anche attraverso le competenze specifiche del nostro settore privato, alla ricostruzione di Derna, colpita lo scorso anno da una drammatica alluvione, in linea con l’impegno a tutto campo che l’Italia aveva messo in campo subito dopo la tragedia. Aspetto, quello della ricostruzione, condiviso anche con il Presidente Al-Menfi che ha voluto ricordare il generoso impegno dell’Italia.

«Intensificare gli sforzi nella lotta al traffico di esseri umani»

Nel corso della missione, infine, il Presidente del Consiglio ha espresso apprezzamento per i risultati raggiunti dalla cooperazione tra le due Nazioni in ambito migratorio. In questa prospettiva, per il Presidente Meloni permane fondamentale intensificare gli sforzi in materia di contrasto al traffico di esseri umani, anche in un’ottica regionale. E in linea con l’attenzione specifica che l’Italia sta dedicando a questa sfida globale nell’ambito della sua Presidenza G7.

Libia e Piano Mattei, il binomio funziona. La visita di Meloni a Tripoli secondo Checchia

Da Formiche.net, di Francesco De Palo, 8 maggio 2024

L’ambasciatore Checchia: “L’Italia è punta di lancia d’Europa nel continente africano. Con il Piano Mattei sosterremo l’area del Sahel, dopo il passo indietro francese. La visita porta in grembo il ritrovato peso dell’Italia nello scacchiere mediterraneo, con iniziative di alta visibilità e ripetute missioni in Paesi per noi partner strategici, penso ad Algeria, Egitto, Tunisia, Libia, Libano e Marocco”

07/05/2024

Un altro tassello di quel puzzle geopolitico chiamato Piano Mattei è stato posizionato oggi in Libia dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha incontrato il primo ministro del Governo di Unità Nazionale libico, Abdul Hamid Mohammed Dabaiba, il presidente del Consiglio presidenziale libico Mohammed Yunis Ahmed Al-Menfi e il generale Khalifa Haftar. Un viaggio strutturato, come dimostra la presenza di tre ministri del governo che hanno plasticamente disteso la strategia italiana in loco, siglando accordi con gli omologhi libici in settori cardine delle istituzioni e della società. Nell’occasione è stato annunciato il Forum economico italo-libico a Tripoli per fine ottobre al fine di sostenere il settore privato di entrambi i Paesi. Non sfugge che il quadro libico, caratterizzato da un crollo delle partenze migratorie, si fonde con il contributo italiano alla normalizzazione istituzionale del Paese (che porti ad elezioni) e con il dossier energetico che vede l’Eni protagonista.

Dichiarazioni di intenti

Ricerca, università, sanità e sport sono le quattro macro aree protagoniste delle dichiarazioni di Intenti siglate in Libia, in occasione del viaggio del premier accompagnata da tre ministri del governo: Andrea Abodi (Sport), Orazio Schillaci (Salute), Anna Maria Bernini (Università e ricerca). Alla voce università si segnala la nascita di una cooperazione bilaterale tra istituzioni della formazione superiore dei due Paesi, per approfondire i principali programmi multilaterali, come ad esempio Erasmus+. In questo senso verranno facilitati gli scambi tra studenti, professori, ricercatori e personale tecnico amministrativo, ma anche i dottorati in co-tutela, e i corsi di studio finalizzati al rilascio di titoli congiunti o doppi.

Circa la ricerca scientifica la partnership sarà ad ampio spettro, abbracciando settori significativi come energie rinnovabili, mari e oceani, economia blu, sostenibile e produttiva, con particolare attinenza ai settori delle risorse ittiche e degli ecosistemi marini. Grande attenzione all’agri-food e alle biotecnologie nell’ambito dei cambiamenti climatici: tutte iniziative che saranno supportate da workshop e meeting di carattere scientifico.

Altro capitolo rilevante è dedicato alla salute, con una comune collaborazione tecnico-scientifica che permetta di favorire l’accesso alle terapie in ospedali italiani a cittadini libici, soprattutto in età pediatrica, ai quali non risulti possibile assicurare trattamenti adeguati in Libia. Anche lo spot rientra in questa formula di partenariato strutturato, con la riqualificazione delle infrastrutture sportive nelle comunità libiche e la costruzione di programmi di volontariato e servizio per promuovere l’inclusione sociale giovanile.

Italia punta di lancia dell’Ue

L’Italia è la punta di lancia dell’Ue in Africa, dice a Formiche.net Gabriele Checchia,già ambasciatore italiano in Libano, presso la Nato e presso le Organizzazioni Internazionali Ocse, Esa, Aie secondo cui questa visita strutturata del premier a Tripoli con tre ministri racconta di una narrativa più ampia. “In primo luogo è il ritrovato peso dell’Italia nello scacchiere mediterraneo, con iniziative di alta visibilità e ripetute missioni in Paesi per noi partner strategici, penso ad Algeria, Egitto, Tunisia, Angola, Libia, Libano e Marocco. È un dato geopolitico rilevante che con l’attuale governo abbiamo ritrovato, ovviamente costruendo anche sulle basi poste da precedenti esecutivi a cominciare dall’esecutivo Draghi. Non si è costruito tutto questo dal nulla, ma c’è stato decisamente un cambio di passo che ci pone come attore primario nello scacchiere mediterraneo, cosa che per alcuni anni non siamo stati, lasciando l’iniziativa piuttosto a Paesi amici come la Francia”.

Una tela più ampia

Il secondo elemento per il diplomatico italiano va ritrovato nella serietà con cui il Governo, a cominciare dal Presidente del Consiglio, sta affrontando la messa in atto del Piano Mattei, perché sono tutti tasselli di una tela più ampia della quale il piano costituisce, se vogliamo, la cornice complessiva. “Governo e premier si stanno muovendo sul piano multilaterale a mio avviso in maniera impeccabile. Cito a riguardo la Conferenza su sviluppo e migrazione tenutasi a Roma lo scorso luglio, con il lancio del processo di Roma per approfondire le radici e le ragioni di fondo dei fenomeni migratori dall’Africa subsahariana. E ancora con la Conferenza Italia-Africa dello scorso gennaio che ha costituito un grande successo: eventi che hanno anche portato ad accreditare un’Italia che si configura come riferimento di una strategia veramente europea”.

Il riferimento è al Team Europe quando la presidente del Consiglio Meloni, con la presidente della Commissione von der Leyen e il presidente del Consiglio Michel sono stati in visita in Paesi chiave come l’Egitto.

La prospettiva del Piano Mattei 

Uno dei motivi di fondo che ha portato al concepimento del Piano Mattei, secondo l’ambasciatore Checchia, è anche contenere le pressioni migratorie che giungono proprio dal Sahel, “un Sahel nel quale purtroppo al ritiro progressivo delle forze francesi non fa ancora riscontro una stabilizzazione politica”. I ripetuti colpi di Stato, che non depongono certo a favore della stabilità, necessitano di una risposta corale e quindi, con il Piano Mattei “noi dovremmo creare le condizioni di sviluppo nell’Africa, nel Nord Africa ma anche nei Paesi del Sahel che poco a poco consentano alle popolazioni di quell’area di avere, non solo come ha sottolineato la presidente Meloni, il diritto a emigrare che nessuno può contestare, ma anche il diritto a non emigrare, cioè restare e farsi una vita nei Paesi di origine”.

Il Sahel presenta una specificità particolare, è ancora covo di focolai jihadisti, come dimostrano i massacri di popolazioni da parte di gruppi armati che si ispirano a un islamismo militante. Ma è chiaro che Nord Africa, Libia, Tunisia, Egitto rappresentano dei punti di passaggio privilegiati verso l’Europa, aggiunge. “Quindi vedo il Piano Mattei come tassello di una più ampia strategia europea volta a contenere l’immigrazione illegale. Inoltre fa piacere constatare leggendo i nostri quotidiani che tra il maggio 2023 e il maggio 2024 c’è stato un calo consistente di afflussi dal Nord Africa: siamo passati da 40.000 a poco più di 17.000. Questo è un risultato che il governo Meloni può legittimamente portare a suo credito”.

Elezioni in Libia?

Infine, il contributo italiano alla normalizzazione istituzionale della Libia, che porti a elezioni libere e democratiche. In questo senso il ruolo di Roma quale può essere, oltre a quello di mettere insieme le esigenze di tutte le aree del Paese? “Certamente può essere quello di far arrivare ai nostri interlocutori libici la voce di un Paese autorevole e fondatore dell’Unione europea, membro importante dell’Alleanza atlantica, amico da sempre dei Paesi dell’area nordafricana che non ha agende nascoste, quindi che non persegue secondi fini o fini non dichiarati, ma è sinceramente e semplicemente interessato al benessere di quelle popolazioni, oltre che alla tutela degli interessi nazionali, per esempio in campo energetico”.

E aggiunge: “È chiaro che la visita di Meloni si colloca in un momento delicatissimo a poche settimane dalle dimissioni dell’inviato Onu per la Libia che ha gettato la spugna non essendo riuscito ad avere avallate, credo soprattutto da parte del generale Haftar, le sue proposte di modifica della legge costituzionale e delle leggi elettorali, né il progetto di nuova Costituzione. Siamo ancora purtroppo tornati al punto di partenza ma il premier si farà interprete di questo pressante appello europeo perché finalmente si superi lo stallo politico in Libia e si riesca a ritrovare quel percorso verso assetti istituzionali davvero unitari sulla base di una legge elettorale trasparente che porti a un Parlamento credibile e ad una elezione credibile del prossimo Presidente della Repubblica”.

Da Capri all’Unione Africana

Due i richiami conclusivi che secondo l’ambasciatore Checchia non possono mancare: ovvero il G7 a Capri che, alla presenza del ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha visto il tema del Piano Mattei rappresentare la principale novità programmatica dinanzi ai ministri intervenuti “e l’ulteriore successo della premier nel quadro della sua strategia nord-africana, rappresentato dal decisivo contributo fornito alla concretizzazione della proposta emersa al vertice G20 di Delhi dello scorso anno di avere l’Unione Africana ormai come membro a pieno titolo del G20, due passaggi che ritengo fondamentali per completare il quadro analitico”, conclude.

Meloni e Michel lavorano all’agenda strategica dell’Ue. Ecco come

Di Francesco De Palo

Il presidente del Consiglio europeo riconosce al governo italiano il ruolo di partner nelle delicate trattative con Paesi extra Ue: sul tavolo non solo la sfida del nuovo patto di migrazione e asilo, ma anche il Mediterraneo e il fronte sud

11/04/2024

“Con Giorgia Meloni e con l’Italia stiamo lavorando sodo per stringere rapporti con i Paesi terzi extra Ue per essere preparati anche nel campo della migrazione”. Questo uno dei passaggi più salienti della visita a palazzo Chigi del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, in vista del Consiglio europeo della prossima settimana a Bruxelles. Un’occasione sia per fare il punto sui dossier maggiormente urgenti sul tavolo europeo (Kyiv su tutti), sia per chiudere idealmente il cerchio del suo mandato alla luce delle proiezioni future, come Intelligenza artificiale, cooperazione allargata, Mediterraneo e fronte sud.

Ucraina a difesa Ue

Primo punto discusso, le decisioni dell’ultimo Consiglio europeo che ha avallato l’invio di più fondi e investimenti all’Ucraina, conseguenza di una decisione unitaria che mette al centro il costante supporto a Kyiv in un’ottica di allargamento. Michel sottolinea ancora una volta che l’Ue è determinata a sostenere l’Ucraina “più che possiamo, stanno combattendo per la loro terra, per la libertà, per il futuro e per i nostri valori democratici”.

Si dice certo che oggi l’Ue è diversa, più unita e più forte di prima, si tratta di “un effetto collaterale della guerra lanciata dalla Russia, un altro effetto è che la Nato è diventata più grande perché abbiamo preso decisioni”. Ed ecco il secondo punto, che si intreccia sia con l’Ucraina, perché mosso proprio dall’evoluzione del fronte bellico, sia con i progetti futuri legati alla difesa comune e al commissario europeo ad hoc. “Abbiamo compiuto enormi progressi nel settore della cooperazione nella difesa – aggiunge – . Si tratta di una cosa inedita e faremo di più anche in termini di investimenti: la Bei ad esempio, sta diventando uno strumento molto potente per facilitare più investimenti e più cooperazione del settore della difesa”.

Unità e futuro

Per Michel la chiave di volta per ragionare della nuova Ue si chiama unità, e il caso ucraino lo dimostra ampiamente. “Stiamo difendendo la nostra stessa sicurezza dando il nostro sostegno all’Ucraina e fornendo equipaggiamento militare. La Russia ha deciso di mettere il mondo a rischio, è in palese violazione del diritto internazionale e un’unica posizione è possibile: sostenere l’Ucraina più che possiamo ed è quello che stiamo facendo con il sostegno dei 27″.

Ulteriore dimostrazione di questa posizione è nei grandi progressi compiuti dagli Stati membri in uno spazio di tempo limitato in termini di munizioni ed equipaggiamento militare. Le politiche di aiuto all’Ucraina infatti rappresentano una primizia assoluta per l’Ue, dal momento che per la prima volta nella storia continentale “abbiamo deciso di fornire equipaggiamento militare, una decisione che abbiamo preso in pochi giorni dopo l’invasione”.

Qui Chigi

Secondo Meloni tra le future priorità d’azione dell’Unione Europea c’è il rafforzamento della competitività e della resilienza economica europea, la gestione comune del fenomeno migratorio, la collaborazione in ambito sicurezza e difesa nonché la politica di allargamento. Il Presidente Meloni ha inoltre sottolineato, quale precondizione per raggiungere questi obiettivi, la necessità di assicurare risorse comuni adeguate a sostegno dei relativi investimenti.

Una nota: Al “Grazie presidente Meloni!” Aggiungiamo una nota: Si sta conducendo l’Unione a rivestire il ruolo che “ci” spetta in ambito internazionale. Marciamo verso la sovranità? L’evoluzione dell’Ue verso uno Stato sovrano, membro attivo dello Nato, è possibile con l’impegno, anzitutto, dei suoi fondatori e chiama prodromicamente alla collaborazione in ambito sicurezza e difesa. La politica di allargamento ulteriore dell’Ue, per esempio, nei Balcani, presuppone ed ha per condizione necessaria l’avvenuta realizzazione della sovranità europea. Stiamo combattendo in questa presidenza italiana del G7, come a Sparta: “Con lo scudo o sullo scudo!” Questo Stato sovrano: l’Europa, rafforzerà la Nato quale soggetto euroatlantico, con due gambe e faciliterà una politica per l’area mediterranea, allargata, ispirata alla solidarietà attiva che distingue il Piano Mattei. ndr

Tra le risorse competitive dell’Unione su cui investire, il Presidente Meloni ha indicato il settore agricolo auspicando allo stesso tempo una rapida attuazione della revisione della Politica Agricola Comune e delle misure volte ad alleviare la pressione finanziaria sugli agricoltori concordate al Consiglio Europeo di marzo. Sono state inoltre discusse le ulteriori iniziative che l’Unione Europea potrà intraprendere a sostegno della stabilità del Libano, tema che il Consiglio Europeo della prossima settima affronterà su richiesta italiana.

Le nuove sfide

Tra le nuove sfide senza dubbio c’è la competitività, definita da Michel un capitolo importante della nostra agenda, ovvero il capital market unit, più investimenti in Ue: “Dobbiamo affrontare il cambiamento climatico e la rivoluzione digitale per sviluppare opportunità economiche. Ovviamente abbiamo parlato di temi internazionali che saranno in agenda, come la migrazione”. Ieri infatti il Parlamento europeo ha approvato il patto sui migranti (“Un passo avanti per essere in controllo della situazione”) e l’obiettivo per Michel è rafforzare i partenariati con i paesi terzi, “anche attraverso opportunità di migrazione legale”.

Sul punto va segnalata la visita che Giorgia Meloni effettuerà in Tunisia in chiave fronte sud la prossima settimana assieme alla ministra dell’Università e della ricerca Anna Maria Bernini e al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, per una missione legata al Piano Mattei. Verrà siglato un memorandum d’intesa per rafforzare la cooperazione accademica e scientifica tra i due Paesi, favorire lo scambio di know how tra le istituzioni e gli enti di ricerca, promuovere l’insegnamento di lingue e culture di entrambi i Paesi. La premier è attesa a Cartagine mercoledì 17 aprile.

6208.- Balcani in Ue, la ricetta di Tremonti per l’Europa di domani

Grande mossa di Giulio Tremonti, che surclassa sia Joe Biden sia Jens Stoltenberg: Da un lato, come isolare la Federazione Russa con una semplice mossa geopolitica; da un altro, come usare il potenziale geopolitico europeo senza dover fondare uno Stato sovrano, anzi, rafforzandone con l’ulteriore allargamento la debolezza in politica estera. Infine, una mano non da poco all’Erdoğan balcanico. Rispetto alle dichiarazioni sul disarmo europeo a pro di Kiev di Stoltenberg possiamo esprimere differenti pareri. Mario Donnini

Da Formiche.net, articolo di Francesco De Palo

L’ex ministro dell’Economia, dal palco della convention pescarese di Fratelli d’Italia, sostiene che per evitare nuovi sconvolgimenti globali all’Europa occorre un’accelerazione sulle politiche di allargamento con il coinvolgimento dell’intero costone balcanico

26/04/2024

Tutti i Paesi del costone balcanico entrino domattina in Europa: solo in questo modo l’Ue farebbe una mossa geopolitica di lungo periodo. Lo ha detto il presidente della Commissione Esteri della Camera, Giulio Tremonti, dal palco della conferenza programmatica di FdI in corso a Pescara. L’occasione è una riflessione sulla difesa europea dinanzi ai fronti bellici in atto, ma non solo, visto il coinvolgimento oggettivo tanto della cybersicurezza, quanto delle frizioni sul Mar Rosso accanto ai fronti caldi di Kyiv e Gaza. Ma proprio le prospettive di reazione europea rappresentano, da un lato, il vero elemento di novità di questa fase di guerre e, dall’altro, il possibile terreno comune dove iniziare a costruire politiche europee davvero unitarie.

Riunificazione balcanica

Perché un’accelerazione europea nei Balcani significa sanare potenziali nuovi fronti di tensione? Secondo Tremonti quando finirà la guerra in Ucraina non inizierà al contempo la pace. Ovvero i problemi dell’Europa non saranno risolti semplicemente con il cessate il fuoco, dal momento che i luoghi di contrasto restano quelli fuori dai sicuri confini dell’Ue. E cita un nome su tutti, i Balcani, che secondo Churchill sono luoghi in cui si fabbrica più storia di quanta ce ne sia. “Un’ipotesi plausibile secondo me è che dobbiamo accettare tutti i Balcani ora nell’Ue, salvo l’obbligo di adempiere a tutti i criteri. Sarebbe una rivoluzione”, spiega l’ex ministro dell’economia. Ovviamente un attimo dopo bisognerà modificare i criteri di voto, “ma sarebbe una mossa lungimirante, non puoi cancellare la democrazia, ma cambiare le maggioranze di governo sì”.

Un passaggio, quello della riunificazione balcanica, da sempre oggetto delle riflessioni europee di Giorgia Meloni soprattutto in merito alle politiche di allargamento, in un settore dove l’Italia può agire da pivot.

E aggiunge che al netto delle difficoltà di questa scelta, difficile e dura, non vi sono alternative dato il progressivo spiazzamento che l’Europa ha rispetto al resto del mondo, “dopo 20 anni di gestione fatta da tecnici non eletti”. Ragionare sulle politiche per l’Europa, secondo Tremonti, è l’unica strada da seguire per evitare di dover affrontare emergenze dopo emergenze sempre con l’acqua alla gola.

Spese per la difesa

Ma come provvedere alla messa in sicurezza di politiche ad hoc se non con maggiori investimenti nella difesa? Lo sottolinea con veemenza il sottosegretario alla Difesa Isabella Rauti, intervenendo al dibattito “Forte, libera e sovrana” quando dice che occorre investire il 2% del Pil in difesa, “un impegno assunto da tutti i Paesi Nato”, dinanzi alla media attuale europea dell’1,5%: “Il ministro Crosetto ha insistito in Europa perché questo impegno venisse svincolato dal Patto di stabilità, si è persa un’occasione non da noi ma da Bruxelles. All’indomani del voto delle prossime elezioni europee mi auguro si delinei una maggioranza diversa che potrà assumere una nuova visione in questa direzione”.

Di cambio di passo ha parlato il presidente di Leonardo Stefano Pontecorvo con riferimento agli investimenti in difesa, panorama che nemmeno la guerra in Ucraina ha cambiato. E cita dei numeri significativi: nel 2023 l’Europa ha investito come acquisizioni di sistema 110 mld di euro, gli americani 250. I nostri 110 miliardi sono stati distribuiti su 30 diverse piattaforme, quelli americani su 12. Il risultato finale è che su ogni piattaforma gli americani investono 20 mld di ricerca, noi 4 mld. Quale sarà il prodotto migliore? Per cui la prospettiva è quella di lavorare tramite aggregazioni europee rispetto ai grandi giganti mondiali russi, cinesi e americani. “Si tratta di un problema di visione”.

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6207.- Al Parlamento europeo, François-Xavier Bellamy guadagna un punto contro la maternità surrogata

Dalla nostra inviata

FX Bellamy

Il 23 aprile il Parlamento europeo ha rivisto la direttiva “relativa alla prevenzione della tratta degli esseri umani e alla lotta contro questo fenomeno nonché alla protezione delle vittime” includendovi la pratica della maternità surrogata (GPA). Un testo ottenuto con un’ampia maggioranza di voti grazie al duro lavoro del deputato François-Xavier Bellamy, capolista della lista LR alle elezioni del 9 giugno per la quale si è battuto per molti mesi. “Il voto di questa mattina è stato un voto unico, incentrato sulla direttiva rivista, quindi non solo sul GPA. I risultati sono 587 favorevoli, 7 respingimenti e 17 astenuti. Se torniamo indietro nella procedura, quando ho presentato in commissione l’emendamento volto a introdurre l’AAP nella discussione, aveva ricevuto il sostegno della sinistra (in particolare i due relatori della sinistra), di alcuni socialisti (in particolare gli spagnoli ), PPE, ECR e ID”, ha comunicato a BV.

Non è la prima volta che il Parlamento europeo prende posizione contro la maternità surrogata. Nell’ambito dei testi contro la violenza contro le donne, l’uguaglianza tra uomini e donne o per quanto riguarda l’impatto della guerra contro l’Ucraina sulle donne, in passato sono state approvate risoluzioni di condanna dell’AAP. Ma senza valore vincolante. Questa volta, la direttiva adottata, frutto della ratifica da parte del Parlamento europeo di un accordo raggiunto tra la Commissione e il Consiglio dell’Unione europea, obbliga, entro due anni, gli Stati membri a recepire il testo nel proprio diritto interno.

6185.- Il gioco psicologico di Macron per tenere a galla il pallone bucato di una “UE geopolitica”.

E di nuovo mi chiedo cosa andremo a votare

Di Sabino Paciolla, 27 Marzo 2024

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Alastair Crooke e pubblicato su Strategic Culture Foundation. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata. 

Macron-Biden-Sholtz
Macron-Biden-Sholtz

Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ha invitato l’Europa a passare a una “economia di guerra”. Egli giustifica questa richiesta in parte come un urgente sostegno all’Ucraina, ma soprattutto come la necessità di rilanciare l’economia europea (che si è arenata) concentrandosi sull’industria della difesa.

Gli appelli risuonano in tutta Europa: “Siamo in un’epoca prebellica”, afferma il premier polacco Donald Tusk. Macron, dopo aver ventilato più volte l’ipotesi in modo ambiguo, afferma: “Forse a un certo punto – non lo voglio – dovremo avere operazioni [truppe francesi in Ucraina], sul terreno, per contrastare le forze russe”.

Cosa ha spaventato così tanto gli europei? Sappiamo che il briefing dei servizi segreti francesi che ha raggiunto Macron nei giorni scorsi è stato disastroso; sembra che abbia innescato il suo iniziale tentativo di intervento militare diretto della Francia in Ucraina. I servizi segreti francesi hanno avvertito che il crollo della linea di contatto e la disintegrazione dell’AFU come forza militare funzionante potrebbero essere imminenti.

Macron ha giocato d’astuzia: Potrebbe inviare truppe? In un primo momento sembrava “sì”; ma poi, in modo frustrante, la prospettiva era incerta, ma ancora forse sul tavolo. La confusione regnava. Nessuno lo sapeva con certezza, perché il Presidente è una persona volubile e il generale De Gaulle ha lasciato in eredità ai suoi successori poteri quasi regali. Quindi sì, costituzionalmente poteva farlo.

L’opinione generale in Europa era che Macron stesse giocando a complessi giochi mentali, in primo luogo con il popolo francese e in secondo luogo con la Russia. Tuttavia, sembra che la sciabolata di Macron possa avere una certa consistenza: Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito francese ha dichiarato di avere 20.000 truppe pronte per essere inserite in 30 giorni. E il capo dell’agenzia di intelligence russa SVR, Naryshkin, ha valutato più modestamente che la Francia sembra stia preparando un contingente militare da inviare in Ucraina, che nella fase iniziale sarà di circa duemila persone.

Per essere chiari, però, anche una divisione di 20.000 uomini, secondo gli standard della teoria militare classica, dovrebbe essere in grado di tenere al massimo un fronte di 10 km. Un inserimento di due o ventimila soldati francesi non cambierebbe nulla dal punto di vista strategico; non fermerebbe il rullo compressore russo, molto più grande, che avanza verso ovest. A cosa sta giocando Macron?

Si tratta allora di un bluff?

È probabile che si tratti di una parte di “ostentazione” da parte di Macron, preoccupato di presentarsi come “Mr Strongman Europe”, in particolare nei confronti del suo elettorato francese.

Il suo atteggiamento si inserisce tuttavia in una congiunzione di eventi più significativa per la cosiddetta “UE geopolitica”:

La chiarezza: La luce ha attraversato e illuminato uno spazio finora occupato dalle ombre. Dopo la schiacciante vittoria di Putin alle elezioni con un’affluenza record, è ormai chiaro che il Presidente Putin è qui per restare. Tutti i giochi di ombre occidentali sul “cambio di regime” a Mosca si sono semplicemente ridotti a un nulla di fatto alla luce degli eventi.

Da alcune parti in Europa si sentono sbuffi di rabbia. Ma si placheranno. Non c’è scelta. La realtà, come scrive il quotidiano Marianne, citando un alto ufficiale francese, è che la postura di Macron nei confronti dell’Ucraina è stata derisoria: “Non dobbiamo commettere errori, di fronte ai russi; siamo un esercito di cheerleader” e l’invio di truppe francesi sul fronte ucraino sarebbe semplicemente “non ragionevole”.

All’Eliseo, un consigliere senza nome ha sostenuto che Macron “voleva mandare un segnale forte… (con) parole millimetriche e calibrate”.

Ciò che più addolora i “neocon sempre speranzosi” dell’UE è che la chiara vittoria elettorale di Putin coincide, quasi precisamente, con l’umiliazione dell’UE (e della NATO) in Ucraina. Non è solo che l’AFU sembra essere in una implosione a cascata, ma che la ritirata sta accelerando, mentre l’Ucraina cerca di ritirarsi in un terreno impreparato e quasi indifendibile.

In questa cupa prospettiva dell’UE si inserisce il secondo raggio di luce chiarificatore: Gli Stati Uniti stanno lentamente ma inesorabilmente voltando le spalle al finanziamento e all’armamento di Kiev, lasciando l’impotenza dell’Europa esposta a tutto il mondo.

L’UE non può sostituirsi al perno statunitense. Ma la cosa più dolorosa per alcuni è che un ritiro degli Stati Uniti rappresenta un “pugno nello stomaco” per gran parte della leadership di Bruxelles, che si era abbattuta sull’amministrazione Biden con una gioia quasi indecente, al momento dell’abbandono dell’incarico da parte di Trump. Hanno sfruttato il momento per proclamare il consolidamento di un’UE filo-atlantica e filo-NATO.

Ora, come definisce perfettamente l’ex diplomatico indiano MK Bhadrakumar, “la Francia [è] tutta agghindata – senza un posto dove andare”:

Sin dalla sua ignominiosa sconfitta nelle guerre napoleoniche, la Francia è intrappolata nella situazione dei Paesi che si trovano tra le grandi potenze. Dopo la Seconda guerra mondiale, la Francia ha affrontato questa situazione formando un asse con la Germania in Europa.

Incappata in una situazione simile, la Gran Bretagna si è adattata a un ruolo subalterno, attingendo al potere americano a livello globale, ma la Francia non ha mai rinunciato alla sua ricerca di riconquistare la gloria di potenza globale. E continua a essere un lavoro in corso.

L’angoscia nella mente dei francesi è comprensibile, poiché i cinque secoli di dominio occidentale dell’ordine mondiale stanno per finire. Questa situazione condanna la Francia a una diplomazia in costante stato di animazione sospesa, intervallata da improvvisi scatti di attivismo.

I problemi per l’esaltata aspirazione dell’UE come potenza globale sono tre: In primo luogo, l’asse franco-tedesco si è dissolto, in quanto la Germania si è orientata verso gli Stati Uniti come nuovo dogma di politica estera. In secondo luogo, il peso della Francia è ulteriormente diminuito negli affari europei, dal momento che Scholtz ha abbracciato la Polonia (e non la Francia) come suo “migliore amico per sempre”; in terzo luogo, le relazioni personali di Macron con il Cancelliere Scholz sono in picchiata.

L’altro problema del progetto geopolitico dell’UE è che l’adesione alle guerre finanziarie di Washington contro la Russia e la Cina ha fatto sì che “negli ultimi 15 anni gli Stati Uniti abbiano superato drasticamente l’UE e il Regno Unito messi insieme”. Nel 2008, l’economia dell’UE era un po’ più grande di quella americana… L’economia americana è ora più grande di quasi un terzo. [Ed è più del 50% più grande dell’UE senza il Regno Unito”.

In altre parole, essere l’alleato dell’America, nella sua sconsiderata guerra per procura in Ucraina, è costato – e sta costando – caro all’Europa. Eurointelligence riferisce che un sondaggio condotto tra le piccole e medie imprese tedesche ha registrato un cambiamento estremo nel sentimento contro l’UE. Su un campione di 1.000 piccole e medie imprese, il 90% si è dichiarato in varia misura insoddisfatto dell’UE, spingendo molte di esse a trasferirsi dall’Europa agli Stati Uniti.

In parole povere, lo sforzo di gonfiare e tenere in piedi la nozione di “Europa geopolitica” si sta risolvendo in una débacle. Il tenore di vita si sta abbassando e la promiscuità normativa di Bruxelles e gli alti costi energetici stanno portando alla deindustrializzazione e all’impoverimento dell’Europa.

In un’intervista rilasciata alla fine del 2019 alla rivista The Economist, Macron ha dichiarato che l’Europa si trovava “sull’orlo di un precipizio” e che doveva iniziare a pensare a se stessa come a una potenza geopolitica, per evitare di “non avere più il controllo del nostro destino”. (L’osservazione di Macron precede di 3 anni la guerra in Ucraina).

Oggi, i timori di Macron sono realtà.

Quindi, per passare a ciò che l’UE intende fare per questa crisi, il Presidente della CE Michel dice di voler acquistare il doppio delle armi dai produttori europei entro il 2030; di utilizzare i profitti dei beni congelati russi per finanziare l’acquisto di armi per l’Ucraina; di facilitare l’accesso finanziario per l’industria europea della difesa, anche emettendo un’obbligazione europea per la difesa e facendo in modo che la Banca europea per gli investimenti aggiunga gli scopi di difesa ai suoi criteri di prestito.

Michel lo vende all’opinione pubblica come un modo per creare posti di lavoro e crescita. In realtà, però, l’UE sta cercando di creare un nuovo fondo cassa per sostituire gli acquisti di titoli sovrani degli Stati dell’UE da parte della BCE, che l’impennata dei tassi di interesse negli Stati Uniti ha di fatto eliminato.

La manovra dell’industria della difesa è un mezzo per creare ulteriori flussi di cassa: Le varie “transizioni” ipotizzate dall’UE (clima, ecologia e tecnologia) richiedevano chiaramente una massiccia stampa di denaro. Questo era appena gestibile quando il progetto poteva essere finanziato a tassi di interesse a costo zero. Ora l’esplosione del debito degli Stati dell’UE per finanziare la pandemia e le “transizioni” minaccia di portare l’intera “rivoluzione” geopolitica alla crisi finanziaria. È in corso una crisi di finanziamento.

La difesa, spera Michael, può essere venduta al pubblico come la nuova “transizione” da finanziare con mezzi non ortodossi. Wolfgang Münchau di EuroIntellignce, tuttavia, scrive sulla “rosea economia di guerra di Michel” – che vuole un’Europa geopolitica, e conclude la sua lettera con il noto adagio della guerra fredda – che “se vuoi la pace devi prepararti alla guerra””.

Sono le armi dell’economia di guerra di Michel a parlare dei nostri fallimenti diplomatici? Qual è il nostro contributo storico a questo conflitto? Non dovremmo forse partire da lì?

Il linguaggio usato da Michel è drammatico e pericoloso. Alcuni dei nostri cittadini più anziani ricordano ancora cosa significa vivere in un’economia di guerra. Il linguaggio disinvolto di Michel è irrispettoso.

Eurointelligence non è sola nelle sue critiche. La mossa di Macron ha diviso l’Europa, con una maggioranza fermamente contraria all’inserimento di truppe in Ucraina – camminando nel sonno verso la guerra. Natacha Polony, redattrice di Marianne, ha scritto:

Non si tratta più di Emmanuel Macron o dei suoi atteggiamenti da piccolo leader virile. Non si tratta più nemmeno della Francia o del suo indebolimento a causa di élite cieche e irresponsabili. Si tratta di sapere se accetteremo collettivamente di camminare nel sonno verso la guerra. Una guerra che nessuno può affermare che sarà controllata o contenuta. Si tratta di capire se accetteremo di mandare i nostri figli a morire perché gli Stati Uniti hanno insistito per installare basi ai confini della Russia.

La questione più grande riguarda l’intera strategia geopolitica “Von der Leyen-Macron”, secondo cui l’UE deve pensare a se stessa come a una potenza geopolitica. È il perseguimento di questa “chimera” geopolitica (in buona parte, un progetto egoistico) che, paradossalmente, ha portato l’UE esattamente sull’orlo della crisi.

La maggioranza degli europei desidera davvero essere una potenza geopolitica, se ciò richiede la cessione di ciò che resta della sovranità e dell’autonomia nazionale (e del controllo parlamentare) al piano sovranazionale, ai tecnocrati di Bruxelles? Forse gli europei sono contenti che l’UE rimanga un blocco commerciale.

Allora perché Macron sta facendo questo? Nessuno lo sa con certezza, ma sembra che egli pensi di giocare una complicata partita di psicodeterrenza con Mosca, caratterizzata da una radicale ambiguità.

In altre parole, la sua è solo un’altra operazione psicologica.

È possibile, tuttavia, che egli pensi che la sua ambigua minaccia on/off di un dispiegamento europeo in Ucraina possa dare a Kiev una “leva” negoziale sufficiente per bluffare la Russia e indurla ad accettare che “l’Ucraina ridotta” rimanga nella sfera occidentale (e persino nella NATO), nel qual caso Macron affermerà di essere stato il “salvatore” dell’Ucraina.

Se questo è il caso, si tratta di una torta in cielo. Il Presidente Putin, forte della sua recente vittoria elettorale, ha semplicemente spazzato via l’operazione psicologica di Macron: “Qualsiasi inserimento di truppe francesi sarebbe un ‘invasore’ e un obiettivo legittimo per le nostre forze”, ha dichiarato Putin.

Alastair Crooke

Alastair Crooke è un ex diplomatico britannico, fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut.

6178.- L’UE indossa l’elmetto da guerra e ci conduce nell’abisso

Nessuno sano di mente può credere che la Russia stia per attaccare un paese della Nato. È la Nato che, per sopravvivere, ha bisogno di un nemico. La difesa Necesse Est ma la miglior difesa degli europei è la costituzione di uno Stato europeo sovrano, alleato degli Stati Uniti, cooperativo con i russi e con l’Africa, con una “sua” politica estera e, soltanto allora, con un esercito … svizzero. A maggio, cosa andremo a votare?

L’Ambasciatore russo Sergej Razov ospite della trasmissione Porta a Porta
Roma, 06 ottobre 2022 ANSA/FABIO CIMAGLIA

I venti di guerra scuotono l’Europa con forza crescente.

In vendita. Armiamoci e Partite

Da Occhi per la pace, di Maestro  Angeles ( traduzione google )

Dopo la più che prevedibile sconfitta della NATO in Ucraina per mano della Russia, le dichiarazioni vengono riproposte sia dal segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltemberg, sia da ciascuno dei governi vassalli dell’UE. Come pappagalli, ribadiscono che la sconfitta della Russia è essenziale per la sicurezza e la stabilità dell’Europa, che la guerra con la Russia è inevitabile e che è necessario prepararsi a breve termine. La propaganda di guerra più volgare ripete con insistenza sui principali media, di proprietà delle grandi multinazionali, che la Russia, guidata dal malvagio Putin, invaderà l’Europa.

La realtà è che l’imperialismo sionista anglosassone (una struttura di potere politico, economico, militare, mediatico e culturale che rappresenta gli interessi dell’oligarchia composta da grandi fondi di investimento, banche e multinazionali) con la complicità dei governi dell’UE, si prepara ad intraprendere, sul suolo europeo, il suo obiettivo strategico da più di un secolo: smembrare e dominare la Russia, per poi impadronirsi della Cina. È arrivato il tempo, ed è giunto il momento, in cui la crisi capitalista colpisce in modo particolarmente duro gli Stati Uniti e l’Unione europea, che vedono i loro interessi, basati sulla politica delle cannoniere, confrontarsi con altri tipi di alleanze dirette proprio da un paese con enormi risorse. e la tecnologia delle armi avanzate, come la Russia, e un altro che combina risorse e un potente sviluppo industriale e commerciale, la Cina.

La preparazione dell’attacco che la NATO progetta contro la Russia, vero filo conduttore della creazione dell’Alleanza 75 anni fa, si è sviluppata da parte degli Stati Uniti dopo la scomparsa dell’URSS, attorno a tre processi:

— l’incorporazione dei paesi nell’orbita dell’URSS nell’Alleanza, avviata con decisione del presidente Clinton, in violazione degli accordi ufficiali con la Russia (1)

— il colpo di stato di Maidan, la violazione degli accordi di Minsk, la provocazione di Mosca a entrare in guerra in Ucraina e il blocco dei colloqui di pace in Turchia nell’aprile 2022.

– e, soprattutto, la cancellazione delle storiche e profonde relazioni economiche e commerciali dei paesi dell’UE, in particolare della Germania, con la Russia.

Quest’ultima questione è la grande vittoria che l’imperialismo anglosassone, rappresentante dell’oligarchia occidentale, può rivendicare. La distruzione di aziende provocata deliberatamente dalla pandemia di Covid, attraverso un’ingiustificabile – dal punto di vista epidemiologico – chiusura dell’economia, è stata portata avanti attraverso decisioni politiche, evidentemente intenzionali, come: — aumentare i tassi di interesse per combattere l’inflazione che è in gran parte creata artificialmente

— il brutale aumento dei prezzi dell’energia, conseguenza diretta del sabotaggio dei gasdotti che fornivano gas russo a buon mercato e di qualità, perpetrato dallo stesso imperialismo anglosassone e sul quale l’UE si è rifiutata di indagare

— le politiche “verdi” dell’UE che sovvenzionano le grandi multinazionali con i Next Generation Funds per la transizione energetica e multano chi non riesce a incorporare la tecnologia controllata da quelle stesse multinazionali

Il risultato è stata la deindustrializzazione dell’UE, soprattutto della Germania, accelerata anche dal trasferimento delle grandi aziende europee negli Stati Uniti alla ricerca di minori costi finanziari ed energetici e incoraggiata dai sussidi forniti da Washington alle aziende che vi si stabiliscono attraverso l’Inflation Reduction Act ( IRA) (2). A ciò si aggiunge la massiccia distruzione delle piccole e medie imprese con la corrispondente centralizzazione e concentrazione di capitale, diretta e pianificata dall’UE e pedissequamente eseguita dai governi, trasferendo al tempo stesso fondi pubblici alle masse, la Next Generation, al grandi multinazionali.

Sono proprio queste le politiche contro cui legittimamente protestano agricoltori, allevatori e pescatori e che sono le stesse che, con la complicità attiva dei governi e dei grandi sindacati, hanno distrutto gran parte dell’industria pesante, mineraria, dei cantieri navali, dell’agricoltura e dell’allevamento, durante la “ riconversione” degli anni 80 e 90. Il grande sarcasmo usato allora come giustificazione era che tutto questo, insieme all’incorporazione della Spagna nella NATO, era il tributo necessario per entrare in “Europa”, il paradiso dei diritti sociali e del lavoro. Una volta dimostrato in cosa consista realmente quell’Eden, il mantra utilizzato oggi per giustificare politiche il cui obiettivo è aumentare i profitti delle grandi multinazionali distruggendo le condizioni di vita della stragrande maggioranza degli esseri umani, è “la protezione della natura”. che quelle stesse multinazionali distruggono.

L’ECONOMIA DI GUERRA: TAGLI SOCIALI, GRANDI IMPRESE E CORRUZIONE

Su questa Europa in fase accelerata di autodistruzione e ancora una volta venduta dai suoi governi agli interessi delle potenze straniere (prima si è resa vassallata a Hitler e ora all’imperialismo anglosassone), incombe nuovamente la minaccia della guerra mondiale. Senza poter addurre alcuna giustificazione credibile – nessuno sano di mente può credere che la Russia stia per attaccare un paese della NATO – i leader europei, competendo tra loro in servilismo e stupidità, invitano le persone a “prepararsi alla guerra. “

Mentre la povertà dilaga nei quartieri popolari, gli sfratti continuano ad essere effettuati dalle stesse banche che sono state salvate con decine di miliardi di soldi pubblici, e i suicidi mostrano il volto più terribile della sofferenza umana, i governi dell’UE, tra cui soprattutto quello del PSOE – Sumar, dichiarano l’economia di guerra.

Ma cos’è l’economia di guerra? L’economia di guerra fa sì che la priorità assoluta dell’intera società sia quella di destinare risorse all’industria militare, tutto questo quando nel 2023 la spesa militare è aumentata di un 25% senza precedenti, raggiungendo i 28 miliardi di euro, ovvero più di un terzo della spesa sanitaria pubblica. spesa. Ciò significa che taglieranno ancora di più la spesa sociale per pensioni, disoccupazione, sanità, istruzione, servizi sociali, ecc., per destinarla all’acquisto di armi e forniture militari. Significa preparare grandi eserciti e ritornare al servizio militare obbligatorio, la cui istituzione è apertamente dibattuta nei diversi paesi dell’UE (3). Vuol dire che il complesso militare-industriale, i produttori di armi e di ogni tipo di tecnologia militare, compresa l’industria farmaceutica, aziende interamente private e partecipate in maggioranza dalle grandi multinazionali anglosassoni del settore, moltiplicheranno i loro già favolosi profitti. . Allo stesso tempo, i potenti gruppi di pressione dell’industria degli armamenti, che controllano i punti chiave del potere, avranno un’influenza decisiva affinché la guerra, la loro gallina dalle uova d’oro, rimanga ben nutrita, mentre ci conducono alla precipizio.

Uno scontro aperto e diretto tra la NATO e la Russia, al quale probabilmente non potrebbe resistere da sola, significherebbe che in caso di minaccia diretta alla sua esistenza – come ha già annunciato il Cremlino – utilizzerebbe le sue armi nucleari. Queste armi nucleari tattiche raggiungerebbero i paesi europei, che a loro volta risponderebbero, dando luogo all’uso di armi nucleari strategiche in grado di causare la morte di centinaia di milioni di persone. Questo è il gioco sinistro che questi governi lacchè, apprendisti stregoni con elmetti da guerra, intendono giocare.

Tutto questo si annida in un enorme conglomerato di corruzione politica che serve allo stesso tempo ad incrementare gli affari e a instaurare meccanismi di controllo sociale che assomigliano sempre più al fascismo.

Per esempio:

— La coercizione della vaccinazione con farmaci sperimentali è stata preceduta nell’Ue dall’acquisto di miliardi di dosi dalla Pfizer e da altre multinazionali, deciso attraverso contratti fino ad ora segreti, da parte della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen. Questa donna, formalmente accusata di corruzione per l’acquisto di vaccini, è sposata con un alto funzionario della Pfizer e suo figlio era anche direttore della società McKinsey che ha progettato la propaganda globale per imporre la vaccinazione.

— La stessa Von der Leyen, prima di diventare presidente della Commissione Europea, è stata ministra della Difesa in Germania ed è tuttora indagata per corruzione. Dopo le elezioni europee, intende restare in carica altri cinque anni per, tra l’altro, rafforzare l’industria militare, nominare un commissario europeo alla Difesa e far eseguire all’UE, con i fondi russi depositati nelle banche europee e bloccati dalle sanzioni , acquista forze armate congiunte, poiché “dobbiamo spendere di più e spendere meglio”. Le ripetute accuse di corruzione nei suoi confronti non sembrano rappresentare alcun ostacolo.

— A livello locale, il governo PSOE – Podemos, ora con Sumar al Ministero della Salute e i governi delle Comunità Autonome sostenuti dalla sinistra istituzionale ed extraparlamentare, ha imposto mascherine obbligatorie, senza una relazione tecnica che ne supporti l’utilità, mentre una rete mafiosa che comprende diversi ministeri e amministrazioni regionali, ha fatto fortuna con la sua vendita, con la corrispondente catena di tangenti.

L’ESCLUSIONE DELLA CENSURA E IL RAFFORZAMENTO DEL CONTROLLO SOCIALE

Come la storia ci insegna, il ricorso del capitalismo alla distruzione e alla guerra per governare le sue crisi genera situazioni di destabilizzazione sociale che potrebbero mettere a rischio i poteri costituiti.

In queste situazioni che comportano oggettivamente un inasprimento della lotta di classe, la preparazione alla guerra implica un rafforzamento eccezionale dei meccanismi di controllo sociale. Questo obiettivo deve essere raggiunto, se nel maggio di quest’anno riusciranno ad approvare il Trattato sulla pandemia e gli emendamenti al Regolamento sanitario internazionale dell’OMS, che in sostanza mira a fare del suo direttore un’autorità sanitaria globale con il potere di imporre le misure attuate durante la pandemia come standard obbligatori su scala globale.

Oltre alla legge sui servizi digitali, si prepara una nuova svolta per rafforzare la censura e la manipolazione dell’informazione in vista delle elezioni europee del 9 giugno. Nel “paradiso delle libertà” ormai da tempo, oltre alla dittatura del denaro – solo la borghesia dispone di grandi mezzi di comunicazione – si è passati alla limitazione dei diritti fondamentali come il diritto all’informazione e alla libertà di espressione mediante meccanismi di censura coordinata tra i principali media – già attuati durante la pandemia – e rafforzati con la guerra in Ucraina. Per dare un’idea della sottomissione delle forze politiche, basti citare la decisione di censurare Russia Today e Sputnik nell’UE, o la creazione nel 2022 da parte del governo PSOE – Podemos di un Forum contro la disinformazione diretto da Il generale Ballesteros, non ha provocato alcuna reazione politica.

Quest’anno, nel 2024, si terranno tre elezioni prima delle quali, anche se può sembrare che l’oligarchia abbia tutto sotto controllo, si comincia a parlare di adottare misure eccezionali.

In Gran Bretagna, in data da destinarsi, si terranno le elezioni generali e negli Usa, nel mese di novembre, le elezioni presidenziali. La crescente probabilità che Trump possa vincerle, lo sconvolgimento delle alleanze e degli obiettivi che ciò potrebbe causare, soprattutto nei confronti della Russia, alimentano le voci secondo cui le elezioni potrebbero essere sospese, un fatto senza precedenti nella storia degli Stati Uniti, sotto il pretesto dell’“ingerenza russa”.

Prima delle elezioni europee, tra le élites governative, impegnano a far crescere la paura, così e come stanno succedendo agli agricoltori (di Bruxelles) che stanno imbattendo con i loro trattori nelle valli di protezione durante una riunione del Consiglio dei Ministri dell’UE e Macron è stato duramente rimproverato in una fiera agricola), dai disordini sociali si rafforzano le organizzazioni politiche che rifiutano la NATO e l’aumento delle spese militari. Di fronte a questo rischio, l’Europa apparentemente democratica si strappa un’altra maschera. Una società americana della Silicon Valley, Meta, proprietaria di Facebook, Instagram e Threads, si prepara a esercitare controllo e censura sulle elezioni del Parlamento europeo, apparentemente motu proprio, ma ovviamente con l’acquiescenza della Commissione europea. Senza la minima vergogna, a volto scoperto, Meta racconta come si prepara (4).

Questo è quello che dice dei suoi preparativi:

“Con l’avvicinarsi delle elezioni, attiveremo un Centro operativo elettorale per identificare potenziali minacce e contrastarle in tempo reale […] Abbiamo firmato un accordo tecnologico per combattere la diffusione di contenuti ingannevoli di intelligenza artificiale durante le elezioni. Dopo essere intervenuti in 200 elezioni in tutto il mondo, dicono. Dal 2016, abbiamo investito più di 20 miliardi di dollari in sicurezza e protezione e abbiamo quadruplicato le dimensioni del nostro team globale che lavora in questo settore, portandolo a circa 40.000 persone. Ciò include 15.000 revisori di contenuti che esaminano i contenuti su Facebook, Instagram e Threads in più di 70 lingue, comprese le 24 lingue ufficiali dell’UE”. In caso ci fossero dubbi, raccontano come funzionano: “Non consentiamo annunci che includono contenuti screditati. Inoltre, non consentiamo annunci mirati all’UE che scoraggiano le persone dal votare alle elezioni; mettere in dubbio la legittimità delle elezioni; contenere pretese premature di vittoria elettorale; e mettere in dubbio la legittimità dei metodi e dei processi elettorali, nonché dei loro risultati. Il nostro processo di revisione degli annunci prevede più livelli di analisi e rilevamento, sia prima che dopo la pubblicazione di un annuncio.”

Nel caso qualcuno lo dimenticasse, i social network sono aziende private, non sono indipendenti, non sono nostri. Ciò che è relativamente nuovo, ciò che dimostra come i presunti diritti fondamentali siano calpestati, è che, come è successo con il Covid, poi con la guerra in Ucraina e ora con le elezioni europee, i governi incorporano un emporio americano come Meta, ai compiti di censura e informazione manipolazione sui social network che aziende come, nello Stato spagnolo, stavano già realizzando in modo specializzato damda.es e newtral.-Ana Pastor – La Sexta.

Questi meccanismi, che di solito sono portati avanti dai servizi segreti, sono ora appaltati a società private straniere. In verità i fenomeni, nel loro svolgersi, mostrano la propria essenza. L’UE esprime sempre più la sua natura di burocrazia oligarchica contraria agli interessi popolari e che, al servizio di una potenza straniera, è determinata a provocare una guerra mondiale. Il popolo, quasi a tentoni, comincia a intravedere l’abisso verso cui lo sta conducendo l’oligarchia borghese, in attesa che emerga con la forza necessaria un’organizzazione politica che rappresenti un’alternativa socialista al capitalismo imperialista, che in ogni caso deve partire dall’uscita dal l’UE e la NATO. Questo compito può essere svolto solo da una classe operaia – oggi offuscata e ammanettata dalla NATO, dal riformismo politico e sindacale – che sia consapevole della sua missione storica di porre fine al sistema capitalista che, nella sua agonia, è più criminale che mai. . Le nostre vite dipendono dal suo successo.

—E non credi che la verità, se è tale, prevalga anche senza di noi? — G. Galilei: No, no e no. Tanta verità viene imposta nella misura in cui noi la imponiamo. La vittoria della ragione non può essere che la vittoria di chi ragiona. (Galileo Galilei. Bertolt Brecht)

6176.- Bruxelles non ha ancora sciolto i nodi posti da De Gasperi. Preda spiega perché

Restiamo sull’argomento del post precedente perchè Facebook ha deciso che viola i suoi Standard della community.

Da Formiche.net, di Daniela Preda

Si è tornati a parlare di una difesa comune europea, ma nessuno sembra accorgersi della necessità che questa sia collegata a un governo europeo e a una statualità europea autonoma. Riappaiono nuovi nazionalismi, nuove pareti di odio, quelle pareti che erano state demolite settant’anni fa. Tornare alla visione di De Gasperi e dei padri fondatori può aiutarci oggi a dare risposte alle nuove sfide che l’Europa si trova ad affrontare. Il commento di Daniela Preda, professoressa di Storia contemporanea e di Storia e politica dell’integrazione europea presso l’Università di Genova

23/03/2024

Talvolta la storia ha una rara capacità di stupirci. Nel 1945, la sfida per l’Europa era immane: si trattava di costruire la pace sul continente dopo le due grandi guerre mondiali, di porre le basi della democrazia e della difesa dei diritti dopo l’esperienza dei fascismi e del nazismo, di superare la crisi di civiltà in cui il Vecchio continente era caduto, sino all’obbrobrio dell’olocausto e dei campi di concentramento. Da quella grande crisi sono scaturite, kantianamente, soluzioni grandiose e solo pochi anni prima impensabili.

In cinque anni, dall’8 maggio 1945 – che segna la fine della Seconda guerra mondiale in Europa, al 9 maggio 1950 – quando Schuman propose di creare un pool europeo per il carbone e l’acciaio (Ceca) come primo passo verso la costruzione graduale di una federazione europea, nasceva, attraverso il diritto e facendo perno sulla riconciliazione franco-tedesca, un nuovo sistema di relazioni che supera la sovranità degli Stati.

Assumendo la leadership del processo di unificazione europea, di cui avvertivano le ragioni storiche, i padri fondatori dell’Europa (De Gasperi, Schuman, AdenauerSpaak) si sono impegnati per costruire un nuovo ordine europeo, di carattere sovranazionale. Il loro sogno di unità europea è nato dalla loro lucida e matura presa di coscienza del legame stretto tra la violazione dei diritti dell’uomo e l’instabilità e il degrado delle relazioni internazionali. De Gasperi, in particolare, ha avanzato soluzioni antesignane.

La pace era al centro delle sue preoccupazioni e nella federazione europea egli individuava un “mito di pace” che avrebbe permesso di realizzare la democrazia a livello internazionale. Nel 1950 aderì dapprima al Piano Schuman e successivamente al Piano Pleven, la Comunità europea della difesa (Ced), ma subito propose obiettivi più avanzati rispetto a quelli degli altri leader europei, nella convinzione che la Ced non potesse precedere la fondazione costituzionale di uno Stato.

Temendo l’involuzione della Comunità in una sovrastruttura superflua, se non addirittura oppressiva, De Gasperi esortò a non costruire solo amministrazioni comuni, di carattere tecnico, e si fece paladino del collegamento dell’esercito europeo alla nascita di una “patria europea” che fosse “visibile, solida e viva”. Il trasferimento a livello europeo di parti importanti della sovranità nazionale avrebbe potuto essere compensato, infatti, solo creando le indispensabili istituzioni di una comunità democratica, in particolare un’assemblea rappresentativa eletta a suffragio universale.

Il diritto doveva essere innalzato al di sopra degli Stati e trovare espressioni istituzionali in precise norme giuridiche. Attraverso un’azione tenace e costante, riuscì a far convocare un’assemblea incaricata tra il 1952 e il 1953 di elaborare il primo progetto di statuto di una Comunità politica europea, ma ne vide presto il fallimento. Da allora l’Europa ha fatto grandi passi in avanti: ha creato un mercato unico, una moneta, si è estesa al di là di quella che un tempo era la cortina di ferro.

Dal 1979 il Parlamento europeo è eletto direttamente dai cittadini e ha acquisito progressivamente non solo competenze, ma anche poteri. Tuttavia, l’Unione europea non ha ancora affrontato e risolto i nodi fondamentali che De Gasperi aveva indicato come prioritari. I modi tecnocratici della sua realizzazione hanno prodotto proprio quelle conseguenze di disaffezione verso il progetto europeo da lui paventate, sino all’emergere di un aperto euroscetticismo.

La procedura di codecisione si applica ormai a circa il 90% della legislazione dell’Ue, ma è condivisa dal Parlamento europeo – che non ha ancora il potere di iniziativa legislativa – con un Consiglio che decide in larga misura all’unanimità. Si è tornati a parlare di una difesa comune europea, ma nessuno sembra accorgersi della necessità che questa sia collegata a un governo europeo e a una statualità europea autonoma.

Riappaiono nuovi nazionalismi, nuove pareti di odio, quelle pareti e quei muri che erano stati demoliti settant’anni fa. Guardare al passato non è dunque un esercizio vuoto. Tornare alla visione di De Gasperi e dei padri fondatori può aiutarci oggi a dare risposte alle nuove sfide che l’Europa si trova ad affrontare.

Commento pubblicato nell’ultimo numero della rivista Formiche

617 5.- La difesa comune presuppone uno Stato europeo: che non c’è

La cooperazione tecnologica e industriale ben venga e già dà e ha dato segni significativi, ma è cosa diversa dalla difesa comune. Prima di un esercito, occorre avere uno Stato sovrano, con una Costituzione e una sua politica estera. L’allargamento avuto dall’Unione ha reso tutto più complicato, di fatto impossibile, se si dovesse passare dalle parole ai fatti. A quei, sia pure autorevoli teorici, che chiedono di garantire protezione per i cittadini europei e l’integrità del nostro territorio, aumentando la prontezza operativa militare e industriale della difesa UE, promuovendo la cooperazione tecnologica e industriale nella difesa tra i governi e/o le imprese del settore e, magari, omogeneizzando le normative nazionali del settore; a Macron, che aspira ad assumere posizione di rilievo nella Nato, in previsione di un possibile sganciamento, anche parziale, degli Stati Uniti e che farfuglia di esercito comune, chiediamo in primis e banalmente con quali munizioni armerebbero questo esercito. Perché è noto che non è questione di stanziamenti, ma che occorreranno anni affinché l’industria della difesa possa ricostituire le scorte cedute all’Ucraina. Vale per gli Stati membri dell’Unione e per gli Stati Uniti che possono stanziare quanti miliardi vogliono, ma i dollari non si sparano. Altro motivo per chi sostiene che la Nato con la sola gamba americana abbia fallito.

Allo stato, in assenza di uno Stato europeo, quindi anche di una gamba europea della Nato, l‘obiettivo principale degli Stati membri per fare fronte alla Federazione Russa è archiviare l’era disastrosa di Biden, restituire pace e stabilità all’Europa e al Medio Oriente, ricostruire la cooperazione, ristabilendo quanto prima solide e sane relazioni commerciali e di cooperazione industriale con la Federazione Russa e con la Russia Occidentale in particolare.

Lo stato del processo di integrazione del mercato europeo della difesa 

Da IAI, Autori: Michele Nones, Alessandro Marrone,Gaia Ravazzolo. 18/03/2024

Negli ultimi 15 anni il panorama del mercato europeo della difesa ha vissuto significative evoluzioni grazie a iniziative intraprese nell’ambito dell’UE che pongono il Sistema-paese italiano di fronte a una sfida complessa. A livello normativo, le due direttive del 2009 concernenti gli appalti nel settore della difesa e i trasferimenti all’interno dell’UE hanno cercato, con risultati limitati, di abbattere le barriere tra i mercati nazionali degli stati membri, mentre il regolamento del 2019 sugli investimenti esteri diretti ha importanti implicazioni anche per il mercato della difesa. A partire dal 2016 la Commissione europea ha introdotto una serie di strumenti mirati a promuovere la cooperazione tecnologica e industriale nella difesa tra i governi e/o le imprese del settore, con l’obiettivo di consolidare la domanda e migliorare l’offerta nel mercato. In primo luogo vi è l’European Defence Fund (Edf) e poi, nel 2017, gli stati membri hanno istituito la Permanent Structured Cooperation (Pesco). Il Trattato di Lisbona disegnava dunque una Pesco ambiziosa e composta da pochi stati membri in grado, politicamente e operativamente, di svolgere le missioni militari più impegnative ed integrarsi verso standard più elevati, ma l’attuazione ha preso un’altra strada. Infine, a marzo 2024 la Commissione europea, delineando una visione di insieme e di lungo periodo articolata in nuovi strumenti di politica industriale, ha pubblicato la European Defence Industrial Strategy (Edis) pronta ora ad essere negoziata con gli stati membri e il Parlamento europeo, così da essere adottata definitivamente dall’UE nel 2025. La Strategia comprende anche la proposta di istituire un European Defence Industrial Programme (Edip), con un proprio regolamento e bilancio (1,5 miliardi di euro fino al 2027) similmente a quanto avviene per l’Edf. L’obiettivo principale, alla luce della guerra russa in Ucraina, è aumentare la prontezza (“readiness”) militare e industriale della difesa UE nel proteggere i propri cittadini e l’integrità del suo territorio. L’Edis, che pone obiettivi ambiziosi, presenta però dei punti critici. In un quadro tanto complesso, il presente studio analizza sinteticamente tutte le singole iniziative più rilevanti nella difesa europea dal 2009 in poi, fino all’introduzione dell’Edis, mettendo in luce sia gli impatti industriali che le criticità di tali iniziative, e formula di conseguenza una serie di raccomandazioni specifiche per l’Italia.

Lo stato del processo di integrazione del mercato europeo della difesa 

di Michele Nones, Alessandro Marrone e Gaia Ravazzolo1 

1 Michele Nones è Vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), Alessandro Marrone è Responsabile del Programma Difesa IAI, e Gaia Ravazzolo è Ricercatrice Junior nel Programma Difesa IAI. Gli autori e l’autrice ringraziano Ilenia Bruseghello, tirocinante nel Programma Difesa IAI da gennaio ad aprile 2024, per il supporto nell’editing di tutto lo studio e nell’elaborazione del capitolo 3. 

Indice 

Executive Summary 

1. Il quadro normativo del mercato europeo della difesa – Michele Nones e Gaia Ravazzolo 1.1. Direttiva 2009/81 su appalti e procurement 

1.2. Direttiva 2009/43 sui trasferimenti intracomunitari 

1.3. Regolamento 2019/452 sui Foreign Direct Investments (FDI) 

2. I programmi di investimento UE nella difesa – Gaia Ravazzolo e Michele Nones 2.1. Preparatory Action on Defence Research (PADR) 

2.2. European Defence Industrial Development Programme (EDIDP) 

2.3. European Defence Fund (EDF) 

2.4. European Defence Industry Reinforcement through common Procurement Act (EDIRPA) 

2.5. Act in Support of Ammunition Production (ASAP) 

3. La PESCO e le iniziative intergovernative UE – Alessandro Marrone e Gaia Ravazzolo 3.1. Capability Development Plan (CDP) 

3.2. Coordinated Annual Review on Defence (CARD) 

3.3. Permanent Structured Cooperation (PESCO) 

4. European Defence Investment Strategy (EDIS) – Alessandro Marrone 4.1. Descrizione 

4.2. Obiettivi 

4.3. Risvolti industriali 

4.4. Criticità 

5. Conclusioni e raccomandazioni per l’Italia – Michele Nones e Alessandro Marrone 5.1. Direttiva 2009/43 sui trasferimenti intracomunitari 

5.2. Direttiva 2009/81 su appalti e procurement 

5.3. Regolamento 2019/452 sui Foreign Direct Investments (FDI) 

5.4. European Defence Fund (EDF) 

5.5. PESCO ed iniziative intergovernative 

5.6. European Defence Industrial Strategy (EDIS) 

Lista di acronimi 

Esaminiamo il punto 2.5 Act in Support of Ammunition Production (ASAP) 

Descrizione e obiettivi 

A maggio 2023 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento ASAP, a complemento dell’EDIRPA, approvato a velocità record tramite una procedura speciale ed in vigore già a luglio 2023. 

L’ASAP rappresenta l’ultimo pilastro del sostegno europeo a favore dell’Ucraina per quanto riguarda la fornitura di munizioni e missili, consentendo così una continuità nelle donazioni militari e un orizzonte temporale più ampio. In precedenza, gli Stati membri avevano donato a Kiev parte degli arsenali già in loro possesso, e avevano discusso misure che sostenessero il procurement congiunto per evitare sia strozzature del mercato sia sproporzionati aumenti dei prezzi42. 

42 Senato della Repubblica, “Legislatura 19ª – Dossier n. 16”, https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/19/DOSSIER/0/1387462/index.html?part=dossier_dossier1. 

43 EUR-Lex, “Regolamento (UE) 2023/1525 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 luglio 2023 sul sostegno alla produzione di munizioni (ASAP)”, 24 luglio 2023, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32023R1525. 

44 European Commission, “Defence Industry and Space. ASAP | Boosting defence production”, https://defence-industry-space.ec.europa.eu/eu-defence-industry/act-support-ammunition-production-asap_en#:~:text=The%20Act%20in%20Support%20of%20Ammunition%20Production%20(ASAP)%20is%20a,ramp%2Dup%20its%20production%20capacity. 

Il nuovo strumento dovrebbe dunque facilitare l’aumento della capacità europee di produzione di munizioni e missili, e quindi sostenere più efficacemente le forze ucraine, garantendo l’accesso a materie prime e componenti cruciali per assicurare tempi di consegna più rapidi, ottimizzando così la reattività dell’industria. 

Il regolamento43 ASAP prevede: un meccanismo per la mappatura, il monitoraggio e l’anticipazione di colli di bottiglia nelle supply-chain; uno strumento utile al sostegno finanziario e al rafforzamento delle capacità produttive delle industrie europee della difesa; e infine l’introduzione di un quadro normativo temporaneo per affrontare la crisi nell’approvvigionamento di munizioni44. 

L’ASAP potrebbe anche essere esteso nel tempo, così come stabilito dall’articolo 1 e 23 del suo regolamento: “entro il 30 giugno 2024, la Commissione elabora una relazione che valuta l’attuazione delle misure stabilite dal presente regolamento e i relativi risultati, nonché l’opportunità di estenderne l’applicabilità e di prevederne il finanziamento”. 

Nel complesso, lo strumento si propone di potenziare l’efficienza e la competitività di questo specifico segmento della base industriale e tecnologica della difesa, accelerando l’adattamento dell’industria ai rapidi mutamenti strutturali, creando capacità produttive, rafforzando resilienza e solidità delle catene di approvvigionamento. 

Base giuridica, governance e fondi 

Dal punto di vista giuridico dell’UE, l’ASAP rappresenta uno sviluppo significativo per la PSDC, sia in termini formali che sostanziali. Ad esempio, per facilitare il procurement comune durante la crisi delle forniture di munizioni, l’articolo 14 del regolamento ASAP introduce una deroga alla direttiva 2009/81/CE sugli appalti 25 

pubblici della difesa, consentendo così ad almeno due Stati membri dell’UE di modificare gli accordi quadro esistenti per aumentare la produzione. Allo stesso tempo, “per mobilitare, ridurre i rischi e accelerare gli investimenti necessari per aumentare le capacità produttive”, l’articolo 15 autorizza l’istituzione di un fondo di riserva, che sarà gestito dalla Commissione45. 

45 Federico Fabbrini, “European Defence Union ASAP: The act in support of ammunition production and the development of EU Defence capabilities in response to the war in Ukraine”, in Centro Studi sul Federalismo, novembre 2023, https://csfederalismo.it/images/2023/Research-Paper/CSF-RP_EU-Defence-Union-ASAP_FFabbrini_Nov2023.pdf. 

46 Commissione europea, “Regolamento sul sostegno alla produzione di munizioni (ASAP) – Sessione informativa, ottobre 2023, https://defence-industry-space.ec.europa.eu/system/files/2023-10/ASAP%20Info%20session%20-%20master%20file_final.pdf. 

47 Senato della Repubblica, “Legislatura 19ª – Dossier n. 16”. 

48 Federico Fabbrini, “European Defence Union ASAP”. 

49 European Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l’Atto di sostegno alla produzione di munizioni, 3 maggio 2023, COM(2023) 237, https://defence-industry-space.ec.europa.eu/system/files/2023-05/COM_2023_237_1_EN_ACT.pdf. 

Con uno stanziamento di 500 milioni di euro proveniente dal bilancio dell’UE per il periodo 2023-2025, l’ASAP mira a mobilitare ulteriori finanziamenti per aumentare il totale degli investimenti nell’intera catena di produzione di munizioni fino a circa un miliardo di euro. 

I principi del finanziamento ASAP si possono così schematizzare: sovvenzioni forfettarie, condizioni di ammissibilità specifiche (quali il controllo della proprietà) rispetto ad altri programmi UE46, quota di finanziamento UE fissata al 35% per i prodotti finali (missili e munizioni) e al 40% per le componenti e le materie prime. La quota può arrivare al 50% se il progetto soddisfa determinate condizioni47. 

Il regolamento ASAP elenca diversi aspetti su cui intervenire, tra cui: ottimizzazione, espansione, ammodernamento, potenziamento o riconversione delle capacità produttive esistenti o creazione di nuove capacità produttive in relazione ai prodotti della difesa; creazione di partenariati industriali transfrontalieri; collaudo e ricondizionamento dei prodotti della difesa; formazione, riqualificazione o aggiornamento del personale48. 

Criticità 

Nonostante i diversi aspetti positivi descritti, l’ASAP ravvisa delle criticità, di cui due in particolare. Da un lato vi è la dotazione finanziaria che, con circa 250 milioni di euro all’anno, non sembra essere sufficiente per soddisfare tutte le ambizioni proposte dall’ASAP. La cifra è infatti decisamente inferiore ad altre iniziative europee, come i quasi 8 miliardi di euro dell’EDF. 

Dall’altro lato vi è l’esclusione dell’articolo 14(2) dalla sua proposta originale di maggio 202349, che avrebbe consentito alla Commissione di imporre la produzione di materiale militare a imprese private. Questo meccanismo, controverso per le sue implicazioni sulla libertà d’impresa e i diritti di proprietà, avrebbe potuto garantire all’Europa una capacità di reazione rapida in situazioni di crisi, analogamente al modello del Defence Production Act statunitense che dà ampia autorità all’esecutivo di comandare la produzione di materiale necessario alla difesa nazionale. La rimozione di tale disposizione limita la capacità di ASAP di rispondere efficacemente alle esigenze di sicurezza, evidenziando un conflitto tra la necessità di intervento diretto e la 26 

tutela dei diritti economici individuali. L’ASAP dimostra, quindi, come il coinvolgimento dell’UE nel complesso industriale militare rimanga limitato50. 

50 Federico  

6164.- Sudditanza e obbedienza dei politici europei ai voleri dei Democratici Usa, sorosiani

Un attacco sincronizzato di Usa e Ue all’Ungheria

Un discorso offensivo dell’ambasciatore americano a Budapest, contro Orban accusato di essere un dittatore. E il giorno stesso l’Ue blocca ancora i fondi di coesione. Dura e determinata la risposta di Orban.

Da La Nuova Bussola Quotidiana, di Luca Volontè, 16_03_2024Charles Michel (presidente del Consiglio europeo) e Viktor Orban (ImagoEconomica)

Orban e l’Ungheria sempre più nel mirino di Usa ed Europa, il tentativo di ingerenza negli affari di un paese democratico è palese e grave ma Orban risponde con fierezza. Non si era mai sentito che un Ambasciatore tenesse un comizio contro il governo che lo ospita, né mai si era avuta notizia di un contenzioso giudiziario tra Parlamento europeo e la Commissione solo perché la stessa Commissione ha deciso di pagare il proprio debito con Budapest, a seguito delle riforme concordate. L’azione di accerchiamento dell’Ungheria e di Orban, si è aggravata con la visita di Victor Orban a Donald Trump dello scorso 8 marzo.

Il rapporto di reciproca stima di Orban nei confronti degli ambienti repubblicaniamericani e di Donald Trump era noto da tempo, certo che la visita della scorsa settimana e l’auspicio di una vittoria del candidato repubblicano contro l’attuale presidente Joe Biden, ha scatenato la macchina da guerra Usa. Alle reazioni scomposte ed accuse inverosimili di Biden contro Orban e sul suo colloquio con Trump, il governo ungherese ha quindi chiesto dei chiarimenti all’ambasciatore degli Stati Uniti, David Pressman.

Il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó ha anche riferito che le relazioni bilaterali sono estremamente complicate dalla dichiarazione dell’ambasciatore americano, secondo cui la posizione ufficiale degli Stati Uniti è che «qui in Ungheria stiamo costruendo una dittatura», poiché questo non è un insulto al governo ma al paese. «Perché il primo ministro e il governo non stanno governando questo paese per sorteggio, ma per scelta del popolo. Abbiamo vinto quattro elezioni di fila e il popolo ha stabilito la direzione del governo, che stiamo attuando», ha spiegatoSzijjártó nei giorni scorsi.

Secondo Budapest, non è un mistero, l’Amministrazione Biden degli Stati Uniti sta esercitando una pressione costante sull’Ungheria, i finanziamenti per condizionarne l’esito elettorale e promuovere le proteste di piazza, sono note e dettagliate. Il 13 marzo ancora una volta il Ministro degli esteri di Budapest è dovuto intervenire per rispondere alle accuse del consigliere per la sicurezza dell’Amministrazione Biden Jake Sullivan che si era rifiutato di ritrattare le affermazioni infondate del presidente Joe Biden secondo cui il primo ministro ungherese «vuole una dittatura» nel suo paese, ricordando come l’Ungheria sia orgogliosamente il paese del «niente guerre, niente gender, niente migrazioni!». Il 14 marzo l’ulteriore colpo di scena, sincronizzato con la decisione del Parlamento europeo di denunciare la Commissione per la deliberazione di pagare i debiti, ovvero inviare i ritardati fondi post Covid all’Ungheria.

L’ambasciatore statunitense a Budapest David Pressman, già noto per il suo esplicito sostegno alle opposizioni politiche e alle lobby Lgbti ungheresi, ha pronunciato un lungo discorso in occasione del 25° anniversario dell’adesione dell’Ungheria alla Nato. Ha sottolineato più volte che gli Stati Uniti sono per il dialogo e la cooperazione ma, non riuscendo in questo dialogo con il governo Orban gli Stati Uniti «agiscono perché questo è tutto ciò che il governo Orban capisce». Agiscono autonomamente in un paese democratico? Il luogo scelto per il discorso è stato il segno e l’emblematica  risposta: era l’ex edificio della Ceu, università centro europea di George Soros a Budapest, trasferitasi a Vienna dopo il contenzioso con Orban. Messaggio chiarissimo ed indegno dell’ambasciatore Usa che ha accusato Orban ed il suo governo di sequestro dei mass-media, corruzione e di tentativi di smantellare lo Stato di diritto, e «retorica selvaggia…per incitare la passione o accendere una base elettorale, con messaggi anti-americani pericolosamente sgangherati». [Ndr. ieri 15 marzo il testo del discorso non era stranamente più disponibile sul sito della Ambasciata Usa a Budapest].

In un sincronismo perfetto, inquietante segno di sudditanza e obbedienza dei politici europei ai voleri dei Democratici Usa e della galassia di organizzazioni legate a Soros, la decisione della Presidente del Parlamento europeo, a seguito della riunione dei capigruppo di giovedì 14 marzo, di avviare un’azione legale davanti alla Corte di giustizia, contro le altre istituzioni europee dopo la decisione di sbloccare i 10,2 miliardi di euro di fondi di coesione per l’Ungheria.

La risposta di Orban alle minacce e alle interferenze? Ieri nel suo discorso in occasione della festa nazionale per commemorare la rivoluzione ungherese del 1848 contro il dominio asburgico, Orban ha ribadito la volontà di pace e si è scagliato contro l’Ue e ricordato che i «popoli d’Europa oggi temono che Bruxelles gli tolga la libertà… Se vogliamo difendere la libertà e la sovranità dell’Ungheria, non abbiamo altra scelta che occupare Bruxelles».

6161.- Nessuna difesa comune senza un’Europa sovrana

Difesa europea autonoma dagli Usa e dagli Stati membri

Senza leadership americana il coordinamento delle difese nazionali è destinato ad implodere

Da il Secolo 24Ore, di Sergio Fabbrini, 26 febbraio 2024

Sono passati due anni dall’aggressione russa dell’Ucraina, eppure la discussione sulla difesa europea va avanti tra piccinerie e confusioni. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuel Macron polemizzano sul contributo dei rispettivi Paesi al Fondo di cinque miliardi di euro della European Peace Facility (EPF) che dovrebbe sostenere l’Ucraina nei prossimi anni. Scholz chiede che il contributo tedesco al Fondo venga scontato (“rebate”) dei contributi forniti unilateralmente all’Ucraina, Macron vuole che venga inserita invece una clausola che imponga al Fondo di comprare armi, da trasferire poi a Kiev, fabbricate solamente in Europe (“Buy European”). Così, la Facility è in stallo, mentre i russi avanzano militarmente. Alziamo lo sguardo e domandiamoci: come affrontare i temi della difesa europea? Io vedo due approcci o “modelli”.

La difesa europea è costituita di una componente industriale e di una componente militare. Per ragioni storiche, per inerzie istituzionali e per corporativismo nazionalista, la difesa europea è stata finora interpretata con il modello del coordinamento delle difese nazionali. Sul piano industriale, ogni Paese si muove autonomamente, in una competizione tra imprese industriali nazionali, con i Paesi più deboli o più piccoli autorizzati a giocare il ruolo dei free-riders (promuovendo collaborazioni ed acquisendo armi con società extra-europee, americane in particolare). Il coordinamento industriale ha generato una frammentazione della produzione militare, con relativa dipendenza della difesa europea (per quanto riguarda le tecnologie più sofisticate) dalla produzione extra-europea. Sul piano militare, il modello del coordinamento ha prodotto duplicazioni e sprechi nelle spese militari nazionali, con l’esito di depotenziare la capacità dissuasiva europea. I Paesi europei della NATO spendono (insieme) 380 miliardi di euro nella difesa, una cifra all’incirca equivalente alla spesa per la difesa della Russia, ma quest’ultima ha una capacità offensiva di gran lunga superiore a quella degli europei (la cui debolezza è compensata dalla forza militare degli americani). Come ha argomentato l’Economist nel suo ultimo numero, non si tratta solamente di portare la spesa militare dei Paesi membri della NATO al 2 per cento del loro Pil, ma si tratta di spendere meglio quel 2 per cento. La Commissione europea si è proposta di coordinare gli acquisti di armi dei Paesi europei, ma la proposta è stata subito bocciata, in particolare dai Paesi più grandi (come la Germania). Quest’ultima si è impegnata ad investire nell’industria militare cento miliardi di euro, un investimento massiccio che la trasformerà nella potenza industriale-militare d’Europa. Fino ad ora, la differenziazione nazionale di capacità militari è stata controllata dalla leadership militare e politica americana all’interno della NATO. In virtù della sua legittimazione storica (aver contribuito alla sconfitta del nazismo) e del suo carattere liberale (inclusione degli sconfitti nell’organizzazione dei vincitori), oltre che per gli enormi investimenti di materiale e personale, l’America è stata accettata come il Paese che guidava l’Alleanza. E se l’America si disimpegnerà dalla NATO?

Senza la leadership americana, il modello del coordinamento delle difese nazionali è destinato ad implodere. Nessun Paese europeo, tantomeno i due più grandi (seppure con l’aggiunta di Varsavia), ha la legittimità per esercitare una egemonia sulla difesa europea. Non è la forza economica che giustifica quest’ultima, come pensa invece Armin Papperger, il Ceo della più importante industria tedesca, la Rheinmetall, il quale ha affermato (al Financial Times del 21 febbraio) che “se la Germania spende di più nella difesa, allora spetta a lei coordinare gli altri Paesi e non alla Commissione”. Il modello del coordinamento riporterebbe in superficie le divisioni, nelle capacità fiscali e nelle infrastrutture militari, tra gli stati membri. Né queste difficoltà si risolverebbero creando l’ennesima carica senza potere, come il Commissario per la Difesa proposto da Ursula von der Leyen. Questi problemi si risolvono avviando l’introduzione di un modello sovranazionale di difesa europea, finanziato da debito europeo e non dai singoli Paesi. Sul piano industriale, contrariamente a NGEU, i cui fondi raccolti nel mercato finanziario sono trasferiti ai singoli Paesi, unici titolari del loro utilizzo, i fondi per la produzione industriale dovrebbero invece essere gestiti dalla Commissione (sotto il controllo del Consiglio dei ministri e del Parlamento europeo) per avviare progetti industriali-militari transnazionali (così da evitare divisioni tra gli stati). Nello stesso tempo, sul piano militare, occorrerà dare vita ad un’autonoma capacità militare sovranazionale, dipendente dalle istituzioni sovranazionali. L’Europa deve essere autonoma strategicamente, non solo da Washington D.C. ma anche dalle capitali dei suoi stati membri. Il rapporto tra difesa europea e difese nazionali non è a somma zero, la crescita dell’una non conduce alla scomparsa delle altre. Conduce però ad una loro specializzazione, con relativa riduzione dei costi. Insomma, la difesa è la grande questione europea. Senza l’America, il modello del coordinamento delle difese nazionali ci fa andare indietro. Un altro modello c’è. Ma occorrerebbe alzare lo sguardo per vederlo.