Referendum per la promulgazione della legge costituzionale recante «Modifiche alla Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», approvata in seconda deliberazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi, pubblicata nella GU n. 240 del 12 ottobre 2019.
Si mettono insieme voti che hanno valenze e conseguenze diverse con una scelta di dubbia costituzionalità. Le conseguenze del voto referendario hanno conseguenza diretta sull’Ordinamento Costituzionale e sanciscono o smentiscono le modifiche parzialmente votate dal Parlamento.
Il voto politico e amministrativo è una manifestazione di democrazia indiretta in cui si eleggono dei rappresentanti che, ognuno nel livello che gli compete, svolgeranno la loro attività legislativa nelle proprie assemblee. Concentrare i due voti significa soffocare la propaganda per il referendum costituzionale sotto quella per il voto politico, particolarmente nelle zone nelle quali si voterà per il rinnovo degli organismi regionali e comunali.
C’è quindi una disparità fra chi voterà solo per il referendum e chi voterà anche per le amministrazioni regionali e locali. Fra le altre carenze del Governo, si nota che l’informazione ai cittadini sulla scelta che devono operare è insufficiente; inoltre, nel provvedimento che rinunciava alla data inizialmente prevista del 29 marzo non è stata indicata – e, ad oggi, non c’è ancora – una data di convocazione del referendum.
INTERVENTO DI FELICE BESOSTRI, avvocato
Il perché di questo ricorso è semplice. Purtroppo la Costituzione italiana non viene quasi più insegnata e pochi la conoscono. C’è un articolo, il 54, che leggiamo:
Art. 54.
Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
Questo obbligo di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione è alla base del ricorso, perché se vediamo che le leggi sono violate, dobbiamo andare in giudizio.
Dal 2005, i cittadini sono stati espropriati del diritto di voto secondo Costituzione perché le leggi elettorali che si sono succedute hanno fatto mancare in vario modo la possibilità di scelta del candidato. Nei collegi elettorali uninominali non c’è la libertà di scelta e il voto non è personale.
Venendo al ricorso e al referendum, hanno fatto un taglio in maniera illegittima, violando un principio supremo della Costituzione che è l’art. 3 e questo l’hanno fatto in modo particolare al Senato.
Il taglio del numero dei parlamentari è illegittimo, non perché non sia possibile, ma perché 1) 2) hanno violato un principio della Costituzione italiana, l’art. 3 principi della nostra Costituzione
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Gli articoli che vengono modificati sono soltanto due il 56 e il 57, ma in una Repubblica formalmente rappresentativa, con forma di Governo parlamentare toccare il Parlamento significa cambiare il cuore del sistema.
Questa Costituzione, senza un Parlamento rappresentativo e che rispetti i principi supremi, tra cui l’articolo 3, non è più la nostra Costituzione. E come hanno fatto a fare questo? Attraverso un trucco. C’erano tre disegni di legge sulla riduzione dei parlamentari, sui quali si sono fatte le audizioni. Hanno ascoltato decine di costituzionalisti. Solo che il testo che è stato fatto esaminare, sul quale è stato fatto esprimere il parere, non conteneva questa modifica che rende illegittima la revisione costituzionale, cioè, la modifica introdotta in sede di prima approvazione al Senato, all’improvviso e senza una discussione pubblica, che è quella che ha modificato l’art. 57. Solo che le cose fatte in fretta portano errori.
L’art. 57 è stato modificato, malissimo, nel 3°comma e nel 4° comma. Il 1° comma è rimasto invariato e dice: “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale…”:
NOTA 1
“Base regionale” significa collegamento stabile ed istituzionale fra l’ordinamento regionale ed il Senato. Si tratta di una direttiva che ha una ragion d’essere nel suo collegamento con la riforma regionale, e che enuncia un principio direttivo suscettibile di applicazioni che possono essere imprevedibili oggi, ma potrebbero trovare nel legislatore di domani degli svolgimenti verso singole concretizzazioni.
è questo principio che giustifica le due camere. Senza di questo, non ci sarebbe bisogno di avere due camere, tanto varrebbe averne una. Però, al comma 3° cosa hanno voluto dire? Ogni regione e ogni provincia autonoma hanno diritto (devono) ad avere almeno 3 senatori.
Ma al 4° comma, per cercare di affermare che le provincie autonome sono come le regioni, hanno inserito, anche, che le regioni (tranne quelle del 3° comma che devono avere un numero minimo fisso, che sono solo due) e le provincie autonome devono avere il numero dei senatori in rapporto alla loro popolazione. Al comma 3 si è dato un numero minimo, assolutamente fuori da ogni rapporto tra popolazione e numero di senatori e al comma 4 hanno detto, invece, devono averli eguali.
Art. 57
Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero.
Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Vediamo con quali conseguenze. Un esempio semplice: Il taglio medio del 36,50% se riducete i 630 a 400 e i 315 a 200 delle due Camere è esattamente il 36,50%. Guardiamo al Senato.
Prima il numero minimo dei senatori era di 7, ora, alcuni di questi sono passati a 4, cioè la riduzione è già del 42% (con percentuali diverse dal 36,5% adottato alla Camera: p.es., -53% di Umbria e Basilicata, che sono passate a 3 senatori). Così, tre regioni importanti (Liguria, Marche e Sardegna, che avevano 8 senatori e un numero minimo di 7, sono state ridotte a 5; perciò, hanno un senatore in meno del Trentino Alto-Adige, che ha un milione e 29.416 di abitanti e passa da 7 a 6 (-14,28%). Il problema è che le prime due hanno il 50% in più di popolazione e la Sardegna il 60% in più del Trentino Alto-Adige.
Il vertice del problema si raggiunge con la Calabria, che aveva 10 senatori, che sono ridotti a 6 (-40%). Questo vuole dire che un elettore calabrese varrà la metà di uno sud-tirolese. Tutti si possono candidare in condizioni di eguaglianza, ma, se mi candido in Trentino Alto-Adige, ci vogliono 170.000 voti, se mi candido in Calabria, 320.000. Questa è una violazione degli articoli 48, che sancisce il diritto di voto e 51, espressione del generale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., cardine di un ordinamento democratico. Leggiamoli.
Art. 48
Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.
Art. 51
Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
Si sono dimenticati della Val d’Aosta che ha più di 110.000 abitanti, ma con la sua popolazione non raggiunge il numero medio di 155.000 necessari con la riduzione dei senatori a 400 (anziché 94.000 come ora) per avere un deputato dopo la riforma (vedremo come si applica l’art. 76,1 Cost. “ I deputati sono attribuiti ). Avranno un senatore. Si vorrebbe, ora, risolvere il problema con la legge elettorale, ma non è una legge costituzionale. Si apre una questione di costituzionalità. Ricordiamo che se una legge elettorale viene dichiarata incostituzionale dopo le elezioni, quel Parlamento resta in carica, malgrado la dichiarazione di principio.
Nostre conclusioni
La possibile, promulgazione della legge costituzionale recante «Modifiche alla Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», approvata in seconda deliberazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi, pubblicata nella GU n. 240 del 12 ottobre 2019, supera dunque il principio dell’elezione “a base regionale”, attualmente previsto dall’art. 57 Costituzione. Determinerebbe la formazione di collegi uninominali eccessivamente estesi – per il Senato si giungerebbe fino a un milione di abitanti per collegio – e una accentuata discrasia tra le regioni nel rapporto tra seggi da assegnare e popolazione media. Sarebbe, pertanto, necessaria una ulteriore legge costituzionale per modificare detto principio di elezione a base regionale del Senato della Repubblica, introducendo la “base circoscrizionale” o “compartimentale a fini elettorali” e procedendo, quindi, alla determinazione dell’ambito territoriale delle circoscrizioni per l’elezione dei Senatori. Osserviamo che la base regionale trova un senso nelle 20 regioni d’Italia, in quanto costituenti il primo livello di suddivisione territoriale dello Stato italiano nonché enti pubblici dotati di autonomia politica e amministrativa sancita e limitata principalmente dalla Costituzione della Repubblica Italiana (art. 114-133), la base circoscrizionale non altro avrebbe fondamento che di correttivo a una riforma costituzionale sbagliata. Nemmeno sarebbe ipotizzabile di attribuire alle circoscrizioni poteri e funzioni variando quantomeno il testo degli articoli 114 e 115 Cost., che recitano:
Art. 114. “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni.”Art. 115“Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati nella Costituzione.”
NOTA 2
Questa eventuale “riforma della riforma”, già tradotta in una proposta di legge costituzionale depositata alla Camera dei Deputati, che, dall’articolato, si vorrebbe entrasse in vigore il giorno successivo all’entrata in vigore della legge costituzionale recante «Modifiche alla Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentaridovrebbe essere coordinata con il Ministero dell’Interno, per consentire agli Uffici elettorali, UTG, dei prefetti, organi amministrativi periferici, terminali politici-operativi dell’ apparato della sicurezza, agenti elettorali del governo, di gestire l’organizzazione, la raccolta e la trasmissione dei dati delle consultazioni elettorali politiche, a questo punto, con base elettorale diversa da quelle amministrative e referendarie.
Ci si domanda: A qual fine e perché si vota un referendum sulla riforma, quando già si sa che si aprirà una questione di costituzionalità? La mia risposta, unica possibile, è che l’importante sia prendere tempo e portare la Legislatura fino al semestre bianco.
INTERVENTO DI ALFONSO GIANNI,
responsabile della Comunicazione del Comitato per il No al taglio dei parlamentari
Il comitato è espressione della società civile e di nessun partito.
Solitamente, viene trascurata la questione del funzionamento del Parlamento. Per chi conosce i regolamenti parlamentari, la storia del Parlamento e il suo funzionamento, è una sciocchezza pensare di poter lavorare meglio essendo in meno. Tanto la Camera quanto il Senato sono suddivise in 14 commissioni e ogni parlamentare ha l’obbligo di far parte di una commissione. Ora, queste commissioni possono lavorare, semplicemente, facendo un lavoro preparatorio per portare la legge in aula, oppure, possono riunirsi in sede redigente, discutendo gli emendamenti, bocciandoli o approvandoli e l’aula, a quel punto, vota semplicemente sui singoli articoli, ma non più sugli emendamenti o, addirittura, possono lavorare in sede legislativa, sostituendosi all’aula e emanando un testo che diventa immediatamente legge. Immaginiamoci 14 commissioni con un Senato ridotto a 200 persone. Oltre alle commissioni ci sono le giunte alcune importantissime, le commissioni speciali, gli organi di vigilanza. Il taglio del Parlamento impedisce al Parlamento di funzionare correttamente.