Archivio mensile:agosto 2020

3330.- Ricorsi contro “l’election day”: Conferenza Stampa promossa dal “Comitato per il No al taglio del Parlamento”. 2

Referendum per la promulgazione della legge costituzionale recante «Modifiche alla Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», approvata in seconda deliberazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi, pubblicata nella GU n. 240 del 12 ottobre 2019.

FELICE BESOSTRI, avvocato

 Si mettono insieme voti che hanno valenze e conseguenze diverse con una scelta di dubbia costituzionalità. Le conseguenze del voto referendario hanno conseguenza diretta sull’Ordinamento Costituzionale e sanciscono o smentiscono le modifiche parzialmente votate dal Parlamento. 

Il voto politico e amministrativo è una manifestazione di democrazia indiretta in cui si eleggono dei rappresentanti che, ognuno nel livello che gli compete, svolgeranno la loro attività legislativa nelle proprie assemblee. Concentrare i due voti significa soffocare la propaganda per il referendum costituzionale sotto quella per il voto politico, particolarmente nelle zone nelle quali si voterà per il rinnovo degli organismi regionali e comunali.

C’è quindi una disparità fra chi voterà solo per il referendum e chi voterà anche per le amministrazioni regionali e locali. Fra le altre carenze del Governo, si nota che l’informazione ai cittadini sulla scelta che devono operare è insufficiente; inoltre, nel provvedimento che rinunciava alla data inizialmente prevista del 29 marzo non è stata indicata – e, ad oggi, non c’è ancora – una data di convocazione del referendum. 

INTERVENTO DI FELICE BESOSTRI, avvocato

   Il perché di questo ricorso è semplice. Purtroppo la Costituzione italiana non viene quasi più insegnata e pochi la conoscono. C’è un articolo, il 54, che leggiamo:

Art. 54.

Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.

Questo obbligo di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione è alla base del ricorso, perché se vediamo che le leggi sono violate, dobbiamo andare in giudizio.

Dal 2005, i cittadini sono stati espropriati del diritto di voto secondo Costituzione perché le leggi elettorali che si sono succedute hanno fatto mancare in vario modo la possibilità di scelta del candidato. Nei collegi elettorali uninominali non c’è la libertà di scelta e il voto non è personale. 

Venendo al ricorso e al referendum, hanno fatto un taglio in maniera illegittima, violando un principio supremo della Costituzione che è l’art. 3 e questo l’hanno fatto in modo particolare al Senato. 

Il taglio del numero dei parlamentari è illegittimo, non perché non sia possibile, ma perché 1) 2) hanno violato un principio della Costituzione italiana, l’art. 3 principi della nostra Costituzione

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Gli articoli che vengono modificati sono soltanto due il 56 e il 57, ma in una Repubblica formalmente rappresentativa, con forma di Governo parlamentare toccare il Parlamento significa cambiare il cuore del sistema.

Questa Costituzione, senza un Parlamento rappresentativo e che rispetti i principi supremi, tra cui l’articolo 3, non è più la nostra Costituzione. E come hanno fatto a fare questo? Attraverso un trucco. C’erano tre disegni di legge sulla riduzione dei parlamentari, sui quali si sono fatte le audizioni. Hanno ascoltato decine di costituzionalisti. Solo che il testo che è stato fatto esaminare, sul quale è stato fatto esprimere il parere, non conteneva questa modifica che rende illegittima la revisione costituzionale, cioè, la modifica introdotta in sede di prima approvazione al Senato, all’improvviso e senza una discussione pubblica, che è quella che ha modificato l’art. 57. Solo che le cose fatte in fretta portano errori. 

L’art. 57 è stato modificato, malissimo, nel 3°comma e nel 4° comma. Il 1° comma è rimasto invariato e dice: “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale…”:

NOTA 1

“Base regionale” significa collegamento stabile ed istituzionale fra l’ordinamento regionale ed il Senato. Si tratta di una direttiva che ha una ragion d’essere nel suo collegamento con la riforma regionale, e che enuncia un principio direttivo suscettibile di applicazioni che possono essere imprevedibili oggi, ma potrebbero trovare nel legislatore di domani degli svolgimenti verso singole concretizzazioni.

è questo principio che giustifica le due camere. Senza di questo, non ci sarebbe bisogno di avere due camere, tanto varrebbe averne una. Però, al comma 3° cosa hanno voluto dire? Ogni regione e ogni provincia autonoma hanno diritto (devono) ad avere almeno 3 senatori. 

Ma al 4° comma, per cercare di affermare che le provincie autonome sono come le regioni, hanno inserito, anche, che le regioni (tranne quelle del 3° comma che devono avere un numero minimo fisso, che sono solo due) e le provincie autonome devono avere il numero dei senatori in rapporto alla loro popolazione. Al comma 3 si è dato un numero minimo, assolutamente fuori da ogni rapporto tra popolazione e numero di senatori e al comma 4 hanno detto, invece, devono averli eguali.

Art. 57

Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero. 

Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero.

Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno.

La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

Vediamo con quali conseguenze. Un esempio semplice: Il taglio medio del 36,50% se riducete i 630 a 400 e i 315 a 200 delle due Camere è esattamente il 36,50%. Guardiamo al Senato.

Prima il numero minimo dei senatori era di 7, ora, alcuni di questi sono passati a 4, cioè la riduzione è già del 42% (con percentuali diverse dal 36,5% adottato alla Camera: p.es., -53% di Umbria e Basilicata, che sono passate a 3 senatori). Così, tre regioni importanti (Liguria, Marche e Sardegna, che avevano 8 senatori e un numero minimo di 7, sono state ridotte a 5; perciò, hanno un senatore in meno del Trentino Alto-Adige, che ha un milione e 29.416 di abitanti e passa da 7 a 6 (-14,28%). Il problema è che le prime due hanno il 50% in più di popolazione e la Sardegna il 60% in più del Trentino Alto-Adige. 

Il vertice del problema si raggiunge con la Calabria, che aveva 10 senatori, che sono ridotti a 6 (-40%). Questo vuole dire che un elettore calabrese varrà la metà di uno sud-tirolese. Tutti si possono candidare in condizioni di eguaglianza, ma, se mi candido in Trentino Alto-Adige, ci vogliono 170.000 voti, se mi candido in Calabria, 320.000. Questa è una violazione degli articoli 48, che sancisce il diritto di voto e 51, espressione del generale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., cardine di un ordinamento democratico. Leggiamoli.

Art. 48

Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.

Art. 51

Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.

Si sono dimenticati della Val d’Aosta che ha più di 110.000 abitanti, ma con la sua popolazione non raggiunge il numero medio di 155.000 necessari con la riduzione dei senatori a 400 (anziché 94.000 come ora) per avere un deputato dopo la riforma (vedremo come si applica l’art. 76,1 Cost. “ I deputati sono attribuiti ). Avranno un senatore. Si vorrebbe, ora, risolvere il problema con la legge elettorale, ma non è una legge costituzionale. Si apre una questione di costituzionalità. Ricordiamo che se una legge elettorale viene dichiarata incostituzionale dopo le elezioni, quel Parlamento resta in carica, malgrado la dichiarazione di principio. 

Nostre conclusioni

La possibile, promulgazione della legge costituzionale recante «Modifiche alla Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», approvata in seconda deliberazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi, pubblicata nella GU n. 240 del 12 ottobre 2019, supera dunque il principio dell’elezione “a base regionale”, attualmente previsto dall’art. 57 Costituzione.  Determinerebbe la formazione di collegi uninominali eccessivamente estesi – per il Senato si giungerebbe fino a un milione di abitanti per collegio – e una accentuata discrasia tra le regioni nel rapporto tra seggi da assegnare e popolazione media. Sarebbe, pertanto, necessaria una ulteriore legge costituzionale per modificare detto principio di elezione a base regionale del Senato della Repubblica, introducendo la “base circoscrizionale” o “compartimentale a fini elettorali” e procedendo, quindi, alla determinazione dell’ambito territoriale delle circoscrizioni per l’elezione dei Senatori. Osserviamo che la base regionale  trova un senso nelle 20 regioni d’Italia, in quanto costituenti il primo livello di suddivisione territoriale dello Stato italiano nonché enti pubblici dotati di autonomia politica e amministrativa sancita e limitata principalmente dalla Costituzione della Repubblica Italiana (art. 114-133), la base circoscrizionale non altro avrebbe fondamento che di correttivo a una riforma costituzionale sbagliata. Nemmeno sarebbe ipotizzabile di attribuire alle circoscrizioni poteri e funzioni variando quantomeno il testo degli articoli 114 e 115 Cost., che recitano:

Art. 114. “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni.”Art. 115“Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principî fissati nella Costituzione.” 

NOTA 2

Questa eventuale “riforma della riforma”, già tradotta in una proposta di legge costituzionale depositata alla Camera dei Deputati, che, dall’articolato, si vorrebbe entrasse in vigore il giorno successivo all’entrata in vigore della legge costituzionale recante «Modifiche alla Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentaridovrebbe essere coordinata con il  Ministero dell’Interno, per consentire agli Uffici elettorali, UTG, dei prefetti, organi amministrativi periferici, terminali politici-operativi dell’ apparato della sicurezza, agenti elettorali del governo, di gestire l’organizzazione, la raccolta e la trasmissione dei dati  delle consultazioni elettorali politiche, a questo punto, con base elettorale diversa da quelle amministrative e referendarie.

Ci si domanda: A qual fine e perché si vota un referendum sulla riforma, quando già si sa che si aprirà una questione di costituzionalità? La mia risposta, unica possibile, è che l’importante sia prendere tempo e portare la Legislatura fino al semestre bianco.

INTERVENTO DI ALFONSO GIANNI, 

responsabile della Comunicazione del Comitato per il No al taglio dei parlamentari

Il comitato è espressione della società civile e di nessun partito.

Solitamente, viene trascurata la questione del funzionamento del Parlamento. Per chi conosce i regolamenti parlamentari, la storia del Parlamento e il suo funzionamento, è una sciocchezza pensare di poter lavorare meglio essendo in meno. Tanto la Camera quanto il Senato sono suddivise in 14 commissioni e ogni parlamentare ha l’obbligo di far parte di una commissione. Ora, queste commissioni possono lavorare, semplicemente, facendo un lavoro preparatorio per portare la legge in aula, oppure, possono riunirsi in sede redigente, discutendo gli emendamenti, bocciandoli o approvandoli e l’aula, a quel punto, vota semplicemente sui singoli articoli, ma non più sugli emendamenti o, addirittura, possono lavorare in sede legislativa, sostituendosi all’aula e emanando un testo che diventa immediatamente legge. Immaginiamoci 14 commissioni con un Senato ridotto a 200 persone. Oltre alle commissioni ci sono le giunte alcune importantissime, le commissioni speciali, gli organi di vigilanza. Il taglio del Parlamento impedisce al Parlamento di funzionare correttamente.

3329.- Caro Musumeci, “Il C.S.M. e la Magistratura politicizzati non sono autonomi”.

Con la mancata applicazione dell’art. 31 della Legge 24 marzo 1958, n. 195 sul funzionamento del C.S.M., e, quindi, non decretandone lo scioglimento, il presidente Mattarella ha accettato che l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura siano garantite da un organo politicizzato, quindi, dal potere esecutivo. L’indipendenza fra i poteri Legislativo e Esecutivo e la funzione giurisdizionale sono il fondamento di questa Repubblica. Il Presidente della Repubblica e del C.S.M. si è reso e si sta rendendo responsabile di una rottura permanente dell’equilibrio di “pesi e contrappesi” tra i poteri statuali – e tra questi e quelli regionali – che è garanzia di libertà e di buon funzionamento e fondamento delle istituzioni democratiche. Il fatto costituisce un reato che nemmeno le opposizioni denunciano, lasciandoci nel dubbio che tutti i partiti, di maggioranza o di opposizione, facciano parte di uno stesso sistema obbediente alla finanza mondiale, a prescindere dal ruolo con cui si presentano ai cittadini. È o sarebbe la conferma che, dalla seconda guerra mondiale, uscirono sconfitti, non solo il fascismo, non solo la monarchia, ma anche lo Stato, la Repubblica che gli succedette e l’ideale di democrazia di cui siamo permeati. Voglia Dio stendere una mano pietosa sul mio popolo.

La Corte Costituzionale: Conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato e conflitti intersoggettivi

Di Redazione Altalex

corte costituzionale

I conflitti di attribuzione sui quali giudica la Corte costituzionale sono di due diversi tipi: i conflitti tra i poteri dello Stato, e quelli tra lo Stato e le Regioni (e le Province autonome di Trento e Bolzano).

Sommario:

1. Oggetto dei conflitti di attribuzione
2. Conflitti tra poteri dello Stato
3. I conflitti intersoggettivi

1. Oggetto dei conflitti di attribuzione

In base all’art. 134 Cost. i conflitti di attribuzione sui quali giudica la Corte costituzionale sono di due diversi tipi: i conflitti tra i poteri dello Stato, e quelli tra lo Stato e le Regioni (e le Province autonome di Trento e Bolzano ai sensi dell’art. 98, comma 2, statuto t.A.A.), ovvero tra le Regioni medesime.

Il conflitto sorge, nel primo caso, tra articolazioni organizzative appartenenti al medesimo soggetto, cioè lo Stato inteso come Stato-persona; nel secondo caso tra soggetti distinti, o meglio tra enti dotati ciascuno di propria personalità giuridica pubblica (c.d. conflitti intersoggettivi). In entrambi i casi il giudizio che si svolge innanzi alla Corte costituzionale, è un giudizio contenzioso e rimesso all’iniziativa delle parti che ne mantengono la disponibilità, potendo infatti anche rinunciarvi.

Il giudizio davanti alla Corte costituzionale nasce su ricorso proposto dal soggetto – un potere dello Stato, lo Stato o una Regione – che ritiene lesa l’attribuzione assegnatagli da norme costituzionali, a causa di un comportamento invasivo o lesivo proveniente, rispettivamente, da un altro potere dello Stato, dalle Regioni o dallo Stato. Dunque oggetto proprio dei conflitti – sia tra poteri, che intersoggettivi – sono le attribuzioni, previste e garantite dalla Costituzione, che appaiono compromesse da atti o comportamenti concretamente posti in essere. L’intervento della Corte tende a ristabilire il corretto esercizio delle attribuzioni costituzionali, al fine di mantenere quell’equilibrio di “pesi e contrappesi” tra i poteri statuali – e tra questi e quelli regionali – che è garanzia di libertà e di buon funzionamento delle istituzioni democratiche. I conflitti di attribuzione giudicati dalla Corte costituzionale sono quindi controversie soggettivamente, oggettivamente e funzionalmente diverse dai “regolamenti di giurisdizione” e dai “conflitti di giurisdizione e di attribuzione”, per i quali è competente la Corte di cassazione, e che sono relativi a questioni di giurisdizione tra i giudici speciali, tra questi ed i giudici ordinari, e tra la pubblica amministrazione ed un qualsiasi giudice (cfr. art. 41, 362 e 368 c.p.c.), così come dai “conflitti di giurisdizione e competenza” disciplinati dal c.p.p. in ordine alla competenza dei giudici penali. Parimenti sono esclusi dal sindacato della Corte costituzionale i conflitti di competenza che sono interni ai singoli poteri e che sono disciplinati in altro modo dall’ordinamento, come, ad esempio, il conflitto di attribuzione fra i ministri, la cui risoluzione spetta al Consiglio dei ministri (cfr. art. 2, comma 1, l. 400/1988). Non sussistendo per i conflitti di attribuzione riserva di legge costituzionale, essi sono disciplinati dalla legge ordinaria (in specie, la l. 87/53) e dalle norme integrative dettate dalla Corte stessa.

2. Conflitti tra poteri dello Stato

Il procedimento contenzioso sorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali e si conclude con la pronuncia della Corte, che dichiara a quale potere spettano le attribuzioni in contestazione e, ove sia stato emanato un atto viziato da incompetenza, lo annulla.

In ordine ai soggetti dotati della legittimazione ad agire e resistere nel conflitto tra poteri, il legislatore non fa espresso riferimento alla tradizionale ripartizione tra i tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario), e del resto questa ripartizione risulta inapplicabile alla luce della Costituzione, in quanto, tra l’altro, esistono organi costituzionali aventi funzioni di carattere supremo ed esercitate in condizioni di indipendenza, ma che non possono essere collocati all’interno della predetta tripartizione (come, ad esempio, il Presidente della Repubblica o la stessa Corte costituzionale).

Inoltre, è vero che la legge non si riferisce espressamente agli organi “supremi”, ma fa riferimento all’idoneità a “dichiarare definitivamente la volontà del potere”, idoneità che a prima vista potrebbe essere riconosciuta soltanto agli organi posti al vertice della struttura gerarchica dei  poteri  statuali  costituti  da  più  organi.  Tuttavia  la  Costituzione ammette che taluni poteri siano costituiti da organi pariordinati dal punto di vista funzionale (si vedano, ad esempio, le due Camere); e, per altri poteri, si dispone che tra i relativi organi sussista soltanto una distinzione nell’esercizio delle funzioni, ma non un rapporto gerarchico (come nel caso dell’ordine giudiziario). Pertanto, se ciò che caratterizza i poteri dello Stato è il fatto di essere elementi del sistema di pesi e contrappesi (cd. checks and balances) istituito dalla Costituzione, per individuare i poteri dello Stato ai fini del conflitto di attribuzione occorrono due requisiti: l’attribuzione costituzionale di funzioni supreme, capaci cioè di influire in modo determinante sulla formazione della volontà dello Stato e l’esercizio delle predette funzioni in condizioni di indipendenza costituzionalmente garantite.

Larghissima è poi l’interpretazione relativa alla giurisdizione: può essere soggetto del conflitto ciascun organo giurisdizionale in quanto, in posizione di indipendenza ed a prescindere dalla proponibilità di gravami avverso le sue decisioni, sia competente ad impegnare l’intero ordine giudiziario (cfr. Corte cost. 87/1978 e 228 e 229/ 1985). L’ordine giudiziario viene così considerato come una sorta di potere diffuso. A tal proposito, la legittimazione attiva e passiva è stata riconosciuta nei conflitti tra poteri anche a ciascun pubblico ministero in relazione non all’esercizio della funzione giurisdizionale, che ovviamente non spetta loro, ma all’iniziativa dell’azione penale ai sensi dell’art. 112 Cost. (cfr. Corte cost. 420/95). Ancora, soggetto del conflitto tra poteri è stata riconosciuta anche la Corte dei conti, sia quando esercita funzioni giurisdizionali, sia quando svolge attività di controllo, prescindendo in tal modo dal rapporto di ausiliarietà indicato dalla Costituzione (cfr. Corte cost. 150/1980, 406/1989 e 457/1999). Inoltre, con un’interpretazione estensiva, si è attribuito legittimazione attiva e passiva anche a figure soggettive esterne allo Stato-persona, là dove esse siano titolari di “funzioni concorrenti con quelle pubbliche costituzionalmente rilevanti e garantite”: così, in relazione al referendum abrogativo, anche il comitato dei promotori della richiesta referendaria è legittimato ad agire e resistere davanti alla Corte. Viceversa la legittimazione nei conflitti tra poteri dello Stato è stata negata non soltanto alle Regioni ed agli altri enti territoriali, ma anche agli organi pubblici che esercitano, in condizioni di indipendenza, funzioni di garanzia e di vigilanza in alcuni delicati settori di rilievo costituzionale, come le autorità amministrative indipendenti (cfr. Corte cost. 118/1995 e 137/2000).

In ordine alla situazione giuridica che può dare origine al conflitto, questa può assumere due diverse forme: o un potere dello Stato rivendica una propria attribuzione, garantita da norme costituzionali, che si presume essere stata usurpata da un altro potere dello Stato, e si dà così luogo al conflitto definito come vindicatio potestatis, oppure un potere dello Stato lamenta che la propria sfera di attribuzioni costituzionalmente garantite sia stata menomata dal comportamento illegittimo e comunque lesivo, posto in essere da un altro potere dello Stato, nell’esercizio di una funzione che pure spetta a quest’ultimo; da questa evenienza scaturisce il c.d. conflitto da menomazione, quello che nella prassi è più frequente.

Circa l’atto da cui può scaturire il conflitto, a parere della Corte, il conflitto può essere determinato da un atto vero e proprio, da un semplice comportamento o anche da un’omissione. Deve comunque trattarsi di un comportamento suscettibile di produrre una lesione concreta della sfera di attribuzioni altrui, non essendo ammissibili i conflitti c.d. ipotetici, ma soltanto quelli c.d. reali (cfr. Corte cost. 84/1978).

Sul possibile oggetto  di contestazione nei conflitti di attribuzione, la Corte costituzionale ritiene che, poiché gli atti legislativi sono già oggetto del sindacato di legittimità costituzionale delle leggi, “in linea di principio”, con il conflitto di attribuzione non si possa contestare un atto legislativo (cfr. Corte cost. 406/1989); residuano quindi gli atti amministrativi, quelli giurisdizionali e quelli di governo non legislativi (e dunque anche i regolamenti), adottati da un organo costituzionale o compiuti nell’esercizio di una funzione costituzionale. Tuttavia, la Corte ha ammesso in via eccezionale il conflitto di attribuzione nei confronti degli atti legislativi, quando questi comprimano diritti fondamentali, incidano sulla materia costituzionale o sull’ordine costituzionale delle competenze oppure determinino modificazioni irreversibili o insanabili dei rapporti giuridici (cfr. Corte cost. 161/1995; 457/1999; 221/2002; 273/2017).

Quanto ai conflitti con il potere giudiziario, la Corte costituzionale ha precisato che essi sono ammissibili solo se si assume che l’atto impugnato non rientri nella funzione giurisdizionale, e non già se si assume che abbia per oggetto affermazioni o argomentazioni contenute in un atto che rientri in tale funzione.

Circa lo svolgimento del procedimento, esso inizia con il ricorso proposto direttamente alla Corte costituzionale dalla parte che si ritiene lesa nella propria sfera di attribuzioni; la legge, per questo tipo di conflitto ed a differenza dai conflitti intersoggettivi, non pone termini di decadenza per la proposizione del ricorso. Questo è sottoposto ad un giudizio preliminare della Corte costituzionale sull’ammissibilità del conflitto, ed è rivolto ad accertare, a prima vista, la sussistenza del requisito oggettivo (cioè se la materia del conflitto spetta o meno alla competenza della Corte stessa) e del requisito soggettivo (cioè se sussiste o meno la legittimazione dei soggetti attivo e passivo). Accertata l’ammissibilità del conflitto, e superata la fase della notificazione del ricorso ai soggetti passivi, che possono così costituirsi davanti alla Corte, insieme agli eventuali controinteressati, la Corte procede allo svolgimento del giudizio vero e proprio. Va notato che, nei conflitti tra poteri, a differenza di quanto disposto per quelli intersoggettivi, la legge non prevede che la Corte possa disporre la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato.

Al termine del giudizio, la Corte si pronuncia sul conflitto dichiarando a quale potere spetti l’attribuzione in contestazione e, se accerta che è stato adottato un atto illegittimo, lo annulla con effetti costitutivi erga omnes.

3. I conflitti intersoggettivi

La legge dispone che i conflitti intersoggettivi sorgono tra lo Stato e le Regioni (o tra queste ultime), quando il soggetto ricorrente ritiene che l’altro ente abbia invaso “con un suo atto la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione” (art. 39, comma 1, l. 87/1953; si veda anche, per il caso specifico della Regione Trentino- Alto Adige e delle relative Province autonome di Trento e Bolzano, l’art. 98, comma 2, statuto t.A.A.).

In ordine ai soggetti del conflitto, la legittimazione attiva e passiva spetta, per lo Stato, al Presidente del Consiglio dei ministri (che può delegarla ad un ministro), previa deliberazione del Consiglio dei ministri, e, per la Regione, al Presidente della Giunta, previa deliberazione di quest’ultima (cfr., rispettivamente, art. 2, comma 3, lett. g) l. 400/88, e art. 39, comma 3, l. 87/1953).

Relativamente alla situazione giuridica in contestazione, quantunque la legge faccia espresso riferimento all’invasione della sfera di attribuzioni, statale o regionale, anche i conflitti intersoggettivi si presentano o come vindicatio potestatis oppure come conflitti da menomazione derivante dal pregiudizio presuntivamente subito a causa dell’atto illegittimo o comunque lesivo posto in essere dall’altro ente (cfr. Corte cost. 338/1989).

Parimenti, circa l’atto da cui può scaturire il conflitto, sebbene la legge richieda esplicitamente “un atto” invasivo, la giurisprudenza ha finito per ammettere conflitti intersoggettivi provocati da atti a rilevanza non esterna (ad esempio, circolari; cfr. Corte cost. 150/2017), purché si tratti sempre di conflitti reali e non ipotetici (cfr. Corte cost. 217/1985).

Venendo all’oggetto in contestazione, dopo un primo orientamento più restrittivo, la giurisprudenza ammette che possa trattarsi non soltanto di atti amministrativi, ma anche di quelli giurisdizionali (ovviamente provenendo questi ultimi solo da organi dello Stato ed essendo escluso un controllo della Corte costituzionale sui c.d. errori in iudicando, e quindi essendo sindacabile il solo difetto assoluto di giurisdizione; cfr. Corte cost. 99 e 175/1991). In relazione agli atti normativi, il conflitto intersoggettivo può direttamente riguardare i soli atti di rango regolamentare, ma non quelli legislativi, poiché questi ultimi sono assoggettati ad altro giudizio della Corte costituzionale, nel quale operano direttamente lo Stato e le Regioni (il giudizio di legittimità costituzionale in via principale).

Dal punto di vista dello svolgimento del procedimento, innanzitutto, il ricorso nei conflitti intersoggettivi è soggetto al termine perentorio di sessanta giorni, che decorre dalla notificazione o dalla pubblicazione ovvero dall’avvenuta conoscenza dell’atto impugnato (cfr. art. 39, comma 2, l. 87/1953). Entro tale termine il ricorso va notificato alla controparte, e dunque non è previsto per questi conflitti il giudizio preliminare sull’ammissibilità da parte della Corte costituzionale. E, sempre a differenza dai conflitti di attribuzione tra poteri, l’atto presuntivamente invasivo può essere sospeso “per gravi ragioni” con ordinanza motivata della Corte (cfr. art. 40, l. 87/1953).

Similmente ai conflitti tra poteri, invece, il ricorrente può decidere di rinunciare al ricorso ed in caso di accordo tra le parti ciò determina la cessazione della materia del contendere, giacché viene a mancare il necessario interesse a ricorrere, attuale e concreto.

La sentenza con cui la Corte conclude il conflitto intersoggettivo, in primo luogo dichiara la spettanza dell’attribuzione in contestazione, e conseguentemente, se del caso, annulla l’atto impugnato, con forza di giudicato che, circa l’accertamento delle attribuzioni, vale tra le parti in relazione a quel caso concreto, e circa l’annullamento opera erga omnes.

3328.- L’se peso el tacón del buso!

SUL REFERENDUM INUTILE E DANNOSO Ci si domanda: A qual fine e perché si vota un referendum sulla riforma, quando già si sa che si aprirà una questione di costituzionalità? La mia risposta, unica possibile, è che l’importante sia prendere tempo e portare la Legislatura fino al semestre bianco.

CAMERA DEI DEPUTATI

XVIII^ LEGISLATURA

PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d’iniziativa dei deputati
FORNARO, BOSCHI, DEL RIO, GEBHARD, SILVESTRI, CECCANTI, Marco DI MAIO, MACINA

Modifiche all’articolo 57 della Costituzione in materia di base elettorale per l’elezione del Senato della Repubblica, nonché modifica dell’articolo 83 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica.

Onorevoli deputati! La presente proposta di legge di revisione della Costituzione contiene alcune importanti modifiche che si rendono oggi indispensabili in vista della prossima, possibile, promulgazione della legge costituzionale recante «Modifiche alla Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», approvata in seconda deliberazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi, pubblicata nella GU n. 240 del 12 ottobre 2019.
La riduzione del numero dei parlamentari pone il problema di rappresentatività delle assemblee nei confronti del pluralismo degli interessi territoriali, politici e sociali espressi dal corpo elettorale come anche la questione della funzionalità delle nuove Camere. Un problema ignorato dalla legge 27 maggio 2019, n. 51 che, approvata per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali oggi vigenti in caso di approvazione della revisione costituzionale del numero dei parlamentari, determinerebbe – in assenza di ulteriori interventi legislativi e costituzionali – la formazione di collegi uninominali eccessivamente estesi per il Senato si giungerebbe fino a un milione di abitanti per collegio – e una accentuata discrasia tra le regioni nel rapporto tra seggi da assegnare e popolazione media.
Il presente disegno di legge cerca, innanzitutto, di dare una prima risposta a questi problemi, con l’obiettivo di rafforzare la rappresentatività dei parlamentari nei confronti della più ampia platea di elettori.
A questo scopo, l’articolo 1 del presente disegno di legge costituzionale è finalizzato a modificare il principio di elezione a base regionale del Senato della Repubblica, introducendo la base circoscrizionale. Si lascia alla legge la determinazione dell’ambito territoriale delle circoscrizioni per l’elezione dei Senatori.
L’articolo 2 tratta l’importante e collegata questione dell’elezione Presidente della Repubblica, per la quale è indispensabile riequilibrare l’incidenza dei delegati regionali nel Parlamento in seduta comune, riducendoli di un terzo in maniera analoga a quanto realizzato per il numero dei parlamentari.
L’articolo 3, infine, subordina l’entrata in vigore della legge alla entrata in vigore della citata legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari. Si prevede, inoltre, che l’applicabilità della disposizione contenuta all’art. 2, riguardante la riduzione dei delegati regionali, sia posticipata alla legislatura successiva all’entrata in vigore della legge. In questo modo la riduzione dei delegati regionali sarà applicata dopo la prima elezione del Parlamento con la nuova composizione.
Queste proposte di modifica costituiscono un primo nucleo di interventi volti ad accompagnare la riduzione del numero dei parlamentari la cui ragione di fondo non può essere il mero «taglio delle poltrone» o una generica riduzione dei costi, ma deve essere inteso come intervento idoneo a salvaguardare la dignità e il ruolo al Parlamento, l’organo costituzionale al centro della nostra democrazia rappresentativa, l’unico eletto direttamente da tutti i cittadini italiani.
In questa prospettiva è auspicabile che si possa realizzare un confronto costruttivo tra maggioranza e opposizione e quindi una larga convergenza parlamentare, su queste modifiche al testo costituzionale.

DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1
(Modifica della base elettorale per l’elezione del Senato della Repubblica)

1. All’articolo 57 della Costituzione, il primo comma è sostituito dal seguente:
«Il Senato della Repubblica è eletto su base circoscrizionale».

Art. 2
(Delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica)
1. All’articolo 83 della Costituzione il primo periodo del secondo comma è sostituito dal seguente:
«All’elezione partecipano due delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze».

Art. 3.
(Entrata in vigore e applicabilità)
1. La presente legge costituzionale entra in vigore il giorno successivo all’entrata in vigore della legge costituzionale recante «Modifiche alla Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», di cui al comunicato pubblicato nella GU n. 240 del 12 ottobre 2019.
2. La disposizione di cui al secondo comma dell’articolo 83 della Costituzione, come modificato dall’articolo 2 della presente legge costituzionale, si applica a decorrere dalla legislatura successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale.

di Stefano Ceccanti, mercoledì 6 Novembre 2019

3327.- Ricorsi contro “l’election day”: Conferenza Stampa promossa dal Comitato per il No al taglio del Parlamento

INTERVENTO DI ANNA FALCONE, avvocato

 Il vero problema alla radice di queste modifiche è la caduta di fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nella politica in generale. Non viene affatto toccato il rapporto fra cittadini ed eletti. In linea di principio, nessuno può sostenere che non si possa incidere sul numero dei parlamentari e la Costituzione, in sé, non è intoccabile, ma le riforme costituzionali devono rispettare la Costituzione e, in questo caso, rispettare il rapporto di rappresentanza, che deve essere eguale per tutto il territorio nazionale. Non ci possono essere delle sperequazioni così evidenti fra regioni. Infine, dalla riforma si deve ottenere uno Stato più democratico e più efficiente e non la soddisfazione di spinte demagogiche, come l’apparente, fantasmagorica diminuzione del costo del Parlamento, sottacendo il fatto che si è decurtata moltissimo e di più la democrazia. 

La domanda da porsi è se il Parlamento così riorganizzato funzionerà meglio e di più. Assolutamente no, perché un taglio così radicale mette a rischio le funzioni delle commissioni parlamentari, aumentando la lentezza dell’iter di formazione delle leggi. Si parla tanto di rinnovamento e le riforme si affideranno a un parlamento depotenziato e, soprattutto, sempre e comunque composto di nominati. Ed è questo il punto centrale che non si vuole toccare. Esiste un enorme problema di rappresentanza e di identificazione della rappresentanza fra eletti e elettori. Il modo in cui gli elettori possono partecipare alla scelta dei candidati è un discorso che, neanche quelli che si fanno esclusivi propugnatori della democrazia diretta, vogliono toccare. La vera riforma deve toccare la legge elettorale, i diritti di partecipazione politica, che devono emergere ed essere garantiti già nella fase della scelta dei rappresentanti. Non c’è un ostacolo e si possono anche fare delle liste bloccate, ma le liste bloccate vengono formate in relazione a delle elezioni primarie, a cui tutti possono partecipare con determinati requisiti, quindi, non nelle segrete stanze delle segreterie politiche dei partiti e in cui c’è la garanzia del diritto di elettorato passivo. Quindi, noi abbiamo una enorme lacuna nel nostro Ordinamento, che riguarda la garanzia del diritto di elettorato passivo ovvero la possibilità dei cittadini di candidarsi. Si sa, ormai, che non basta essere iscritti ad un partito politico per poter aspirare a una carica elettiva, ma, in base alla cooptazione verticistica dell’organizzazione dei partiti, bisogna essere nelle grazie del segretario nazionale o regionale del partito per poter accedere o ambire a una carica politica. E questo in una democrazia è inaccettabile. 

Ecco, vorremmo, che, posto un problema reale, che è il problema della democrazia sostanziale di un Ordinamento, che nasce dalla garanzia dei diritti, e i diritti politici sono diritti fondamentali al pari di tanti altri diritti oggi non garantiti, si possa mettere finalmente al centro del dibattito quello che è il tema reale: la garanzia del rapporto di rappresentanza. 

Ci sono tanti diritti di partecipazione politica che devono essere garantiti, ma si tocca la rappresentanza, tagliando il numero dei parlamentari, rendendo ancor più difficile il funzionamento di un parlamento che già è svuotato di significato e del corretto esercizio delle sue funzioni. Questo non solo non si fa, ma per di più si propone un referendum con delle tempistiche tali che i cittadini andranno a votare disinformati e pensando al consigliere da eleggere e al voto amministrativo.

3326.- Libia: Al Sarraj ordina il cessate il fuoco

Che sia stato lo stato di allarme dell’esercito egiziano o che qualcuno si sia mosso, l’Onu, comunque, ha accolto con favore la decisione di cessare il fuoco e di indire nuove elezioni a marzo; ma il portavoce del generale della Cirenaica respinge al mittente l’iniziativa di uno stop ai combattimenti annunciato da Fayez al-Serraj e da Saleh.

Libia: Al Sarraj ordina il cessate il fuoco © ANSA

Libia: Al Sarraj ordina il cessate il fuoco – Redazione ANSA, TUNISI, 21 agosto 2020

“In base alla responsabilità politica e nazionale, alla luce della situazione attuale che sta vivendo il Paese e la regione, e alla luce dell’emergenza coronavirus, il capo del Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale libico (Gna), Fayez Al Sarraj, ordina a tutte le forze militari di osservare un cessate il fuoco immediato e di fermare tutte le operazioni di combattimento in tutti i territorio libici”. Lo si legge sulla pagina Facebook del Governo di Tripoli.

Al Sarraj ha annunciato prossime elezioni nel Paese, ribadendo “la sua richiesta di elezioni presidenziali e parlamentari del prossimo marzo sulla base di un’adeguata base costituzionale su cui le due parti concordano”.

“Chiediamo a tutte le parti di osservare il cessate il fuoco immediato e di fermare tutte le operazioni militari in tutto il territorio della Libia” Lo ha detto in una dichiarazione il presidente del parlamento libico dell’Est, Aquila Saleh e lo ha riportato Al Jazeera. “Il cessate il fuoco taglia la strada a ogni ingerenza straniera e si conclude con l’uscita dei mercenari dal Paese e con lo smantellamento delle milizie” ha detto ancora Saleh. “Cerchiamo di voltare la pagina del conflitto e aspiriamo ad un futuro di pace e alla costruzione dello Stato attraverso un processo elettorale basato sulla Costituzione”.

“Accogliamo con favore le dichiarazioni del Consiglio di Presidenza e della Camera dei Rappresentanti volte a un cessate il fuoco e all’attivazione del processo politico”. E’ quanto afferma la Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) in una nota, dopo l’annuncio delle due parti del cessate il fuoco. 

La reazione del governo egiziano.

Dice, a sua volta, Vincenzo Nigro che il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, principale sostenitore del generale Haftar, aveva commentato con favore l’accordo: “Accolgo con favore le dichiarazioni del Consiglio presidenziale libico e della Camera dei rappresentanti per un cessate il fuoco e la fine delle operazioni militari in tutto il territorio della Libia”, aveva scritto Sisi in un tweet. “È un passo importante per ristabilire la stabilità nel Paese”. Al Sisi non è soltanto alleato di Khalifa Haftar, ma rischia di essere accerchiato dalla Turchia e di trovarsi coinvolto in una guerra voluta da Erdogan, che deve assolutamente avere nemici che, per converso, lo avvicinino al popolo turco. Infatti, correttamente è stato detto che Haftar è lo scudo di Al Sisi e, perciò, ne sarà sostenuto, costi quel che costi. Non è un caso che, in queste ore, Macron e Al Sisi stiano trattando i termini della soluzione politica alla guerra che sta dividendo la Libia.

La reazione del governo iraniano.

L’Agenzia Nova, poche ore fa. ha riportato che Iran ha accolto con favore il cessate il fuoco annunciato lo scorso 21 agosto dal Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale (Gna) e dalla Camera dei rappresentanti in Libia. Lo ha annunciato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Saeed Khatibzadeh. “Ci auguriamo che un dialogo intra-libico inizi il prima possibile, nell’interesse della stabilità della Libia e del continente africano”, ha dichiarato Khatibzadeh in un comunicato alla stampa. Possiamo sperare che il nuovo accordo sul nucleare con gli USA avrà via facile?

Il governo tedesco saluta con favore le prime notizie di un accordo in Libia che potrebbe portare alla tregua: “Non conosciamo i dettagli dell’accordo, ma sarebbe un primo segnale importante per la pacificazione del conflitto”, ha commentato la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Adebahr, in conferenza stampa a Berlino. “Il governo tedesco spera e si aspetta che tutti gli attori coinvolti vadano avanti su questo processo con spirito costruttivo”, ha aggiunto.

Haftar risponde a Serraj: “No al cessate il fuoco”; ma, ora, Haftar è all’angolo.

Libia, Haftar risponde a Serraj: "No al cessate il fuoco"
(ansa)

“È solo marketing mediatico per gettare fumo negli occhi”. Questa è stata la risposta di Khalifa Haftar attraverso il suo portavoce, Ahmed al-Mismari, alla dichiarazione di cessate il fuoco fatta dal presidente di Tripoli, Fayez al-Serraj.  Al-Mismari ha anche sottolineato che “l’iniziativa è stata scritta in un’altra capitale. Quale? Questa svolta, per molti inattesa, dopo l’accordo fra Tripoli, Ankara e Doha e la concessione della base navale di Misurata alla Turchia, indubbiamente, è nel solco della pacificazione dei paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente e segue la stipula dell’accordo fra Israele e gli Emirati del Golfo.

Vincenzo Nigro aveva così commentato il cessate il fuoco: È di due giorni fa la notizia che il governo di al-Serraj a Tripoli e Agila Saleh, presidente del Parlamento di Tobruk, nell’Est della Libia, con dichiarazioni parallele avevano annunciato il cessate il fuoco in tutta la Libia. Annuncio arrivato dopo alcune settimane di negoziati supportati dalle Nazioni Unite e spinti soprattutto dagli Stati Uniti.

La reazione del governo italiano.

“L’annuncio del cessate il fuoco in Libia rappresenta un passo importante per il rilancio di un processo politico che favorisca la stabilità del Paese e il benessere della popolazione”. Lo scrive in un tweet il presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte.

L’Italia “accoglie con grande favore” il cessate il fuoco in Libia e “continuerà a svolgere il suo ruolo attivo di facilitazione per una soluzione politica alla crisi”. E’ quanto si legge in una nota della Farnesina. L’Italia “esorta tutte le parti interessate a dare un seguito rapido e fattivo al percorso delineato nei comunicati del Consiglio Presidenziale e dalla Camera dei Rappresentanti” e “auspica una concreta applicazione a tutte le articolazioni dell’industria petrolifera libica su tutto il territorio del Paese”

 In Italia, in particolare, il “mantra” della soluzione politica ha assunto connotati assolutamente ideologici ed è forse una delle principali cause, se non la conseguenza, della marginalità oramai conclamata del nostro Paese nella risoluzione della crisi libica, quella a noi drammaticamente più vicina e che avrebbe richiesto, sin dal suo insorgere, un atteggiamento molto più risoluto ed omnicomprensivo.

A forza di affermare, in tutti i consessi internazionali, che l’Italia escluderà sempre la soluzione militare, si è annullato il prodotto dell’equazione che mette in sistema la capacità dello strumento militare nel suo complesso, con la volontà di impiegarlo e con una strategia di comunicazione che rende visibile e percepibile la “determinazione” ad impiegare la forza, quando necessario, a sostegno della propria linea politica. La certezza del disimpegno militare italiano “a priori” in una crisi dove, invece, l’impiego dello strumento militare è uno degli elementi fondamentali della sua gestione, unitamente agli altri strumenti del national power, in una regione essenziale per la tutela dei nostri interessi nazionali, ha garantito libertà d’azione illimitata a tutti gli attori interessati ad assumerne, a nostre spese, il controllo politico, militare ed economico. Erdogan ne ha giustamente profittato. Poi che le Forze Armate sono l’ultima chance della politica estera, il risultato non poteva essere diverso, atteso che non abbiamo, da tempo, una politica estera. Sorgerebbe la domanda: “A che scopo manteniamo le Forze Armate?”

Altrettanto, La proposta tedesca di interporre tra le forze di Al Sarraj, appoggiate dalla Turchia, e quelle del generale Haftar, sostenute dalla Russia, un contingente europeo con i compiti utopici di porre fine alle ostilità tra i due schieramenti, garantire il rispetto del cessate il fuoco ed evitare ulteriori spargimenti di sangue nel conflitto fratricida, difetta nei presupposti perché, notoriamente, l’Unione europea non ha una sua politica estera e non è nemmeno uno stato. Ma più che l’anomalia della istituzione europea, ad oggi, in Libia è mancata una leadership dell’ONU.

Ben possiamo ipotizzare che un contingente d’interposizione, sia che fosse dell’ONU sia che fosse europeo, troverebbe a essere il bersaglio da parte di milizie o reparti regolari di entrambi i contendenti. Prima di parlare dello spiegamento di una forza d’interposizione tra i due schieramenti è , quindi, necessario definire precisamente gli accordi politici, gli obbiettivi, la forza del contingente e le regole d’ingaggio. Sul fronte interno, diverse manifestazioni di protesta si sono svolte a Tripoli contro la mancanza di servizi, la corruzione e il mancato pagamento degli stipendi e sono state represse brutalmente.

Molteplici interessi di diversi paesi sono a favore della conclusione delle ostilità, in cui, allo stato, non ha prevalso nessuno dei contendenti: anzitutto, la riattivazione della produzione petrolifera, le “forze straniere e mercenarie” non gradite ai libici, la tratta di esseri umani versi l’Italia e, non ultime le opportunità della ricostruzione e dello sviluppo rurale del sud del Paese. Sembra, anche, di rilevare che l’intraprendenza di Erdogan e l’accondiscendenza di al Sarraj nei suoi confronti, abbiano la probabile conseguenza di portare in campo l’esercito egiziano e l’aviazione russa e, perciò, contrastino con i piani della Casa Bianca di mantenere il controllo del Mediterraneo. Per l’Europa, in ogni caso, è l’ultima chance. Per l’Italia, facciamo seguito all’ottimistica relazione del ministro della Difesa Lorenzo Guerini e dei suoi accompagnatori notando che i ministri degli Esteri di Francia ed Egitto stanno discutendo della soluzione politica.

3325.- Politici sotto tiro, ma ai pm padroni nessuna critica

Da il Riformista, questo sentito articolo di Michele Magno, che mi convince ancora più dell’essere noi immersi in un sistema che tutto governa: istituzioni, magistrati, governo, partiti di maggioranza e di opposizione, tale ne è che il Presidente della Repubblica e del C.S.M., reo di non attuare il disposto dell’art. 31 della legge 24 marzo 1958, n. 195 e, quindi, di non aver sciolto il C.S.M. è, tuttora, in carica e nemmeno ha accennato a dimettersi.

Michele Magno, 23 Agosto 2020

Politici sotto tiro, ma ai pm padroni nessuna critica

La justice est une espèce de marthyre (Jacques Bénigne Bossuet, teologo e predicatore francese del Seicento)PUBBLICITÀ

Discutiamo di parlamenti e governi, elezioni e partiti come se fossero ancora i pilastri della vita pubblica. Non è così, o non è più solo così. In Italia il gioco democratico è ormai vistosamente condizionato da un potere di corpo che trascende il circuito del voto: la magistratura. Insieme ai media, oggi costituisce l’architrave di una costituzione silenziosa in grado di decidere perfino le sorti di una legislatura. Ora, noi sappiamo tutto su come funziona il Parlamento. Sappiamo molto meno, invece, su come opera concretamente la magistratura. Certo, ci lamentiamo delle lungaggini e delle inefficienze che caratterizzano l’iter giudiziario, e quindi dei suoi costi sociali, economici e umani. Ma il più delle volte si tratta di un piagnisteo impotente contro un giustizialismo ottuso. Resta il fatto che, mentre i difetti di Parlamento e governo vengono utilizzati per invocare riforme radicali, la magistratura resta intoccabile. Pena il timore che venga messo in discussione il tabù della sua autonomia, nonostante lo scandalo che ha travolto proprio l’organo che dovrebbe garantirla (sulla riforma del Csm proposta dal ministro Bonafede, non ho nulla da aggiungere a quanto ha scritto Gian Domenico Caiazza su queste colonne).https://w.theoutplay.com/5.0.166/frame.html

Se non intervengono le manette, il politico, l’amministratore o il manager sotto accusa entrano nel cono d’ombra di un calvario processuale di cui si perderanno presto le tracce. Salvo tornare, ma molto più marginalmente, sui giornali nel momento dell’archiviazione o del proscioglimento. Ne sanno qualcosa, solo per citare alcuni nomi noti di un elenco sterminato, Silvio Berlusconi, Romano Prodi, Antonio Bassolino, Ottaviano Del Turco (come si vede, è sbagliato parlare di “toghe rosse”). Di fronte a risultati così deludenti, non sorprende che qualche pm tenda a privilegiare, nella scelta dei suoi obiettivi, personalità di maggior calibro istituzionale o legate a personaggi di rilievo nazionale. Siamo in un’epoca in cui intercettazioni e documenti coperti dal segreto istruttorio vengono pubblicati ad horas dalla stampa, e in cui l’apertura di un fascicolo o un avviso di garanzia non si nega a nessuno, soprattutto se ricopre o si candida a una poltrona di sindaco, di governatore, di ministro, di leader politico.

In questa palude melmosa sguazzano il populismo penale, i verdetti emessi dal tribunale della Rete, la tentazione che la “gente” si faccia giustizia da sé. Nel tempo in cui un manipolo di giacobini caricaturali si vanta senza pudore di una legge chiamata “spazzacorrotti”, è in buona misura questa l’odierna realtà repubblicana. “Coraggio, il meglio è passato”, recita un celebre aforisma di Ennio Flaiano. Infatti, il peggio è sempre dietro l’angolo in un paese in cui viene applaudito chi teorizza che è meglio un innocente in galera piuttosto che un colpevole in libertà. Come ha osservato un sociologo che sa il fatto suo, Mauro Calise, la vera cesura segnata dall’avvento della Seconda Repubblica riguarda proprio il riequilibrio dei poteri tra media e magistratura da una parte, e governo e Parlamento dall’altra. Complice (a sua insaputa) l’irruzione sulla scena politica di Silvio Berlusconi. Nel senso che la “santa alleanza” tra media e magistratura venne vista dalla sinistra superstite come l’unica diga residua allo strapotere del Cavaliere, scambiando un mutamento sistemico per uno spartiacque morale.

La situazione non migliora con la crisi del berlusconismo. Il combinato disposto dell’intervento dei pm e dell’alta visibilità offerta dalla stampa ai comportamenti dei politici incriminati ha sortito, nella maggioranza dei casi, scarsi risultati sul piano delle sentenze passate in giudicato ma un consistente quanto generico aumento del discredito nei confronti dell’intera classe politica. Né può essere sottovalutato il consenso crescente che ne è derivato per le forze che hanno investito fino all’ultimo centesimo del proprio patrimonio demagogico in un rialzo del listino del malaffare.

Sia chiaro, non sto affermando che la magistratura ha scelto consapevolmente di portare acqua al mulino del “partito giustizialista”. Una delle caratteristiche principali della sua azione, infatti, è la trasversalità, come dimostra la stessa richiesta al Senato di autorizzazione a procedere contro Salvini. E un trattamento non molto di riguardo, come dicevo, è stato riservato in passato anche a politici di spicco della sinistra da magistrati non necessariamente di destra. Anzi, in alcuni casi assurti a responsabilità di governo nel campo del centrosinistra (e con il sostegno di organi di stampa dell’area progressista). Forse l’unica motivazione comune a stampa e magistratura è la visibilità del bersaglio. In un contesto in cui il principio fondativo dell’autonomia e dell’indipendenza può sconfinare nell’irresponsabilità nei confronti dei circuiti della legittimazione popolare, il leader-sindaco, governatore, ministro- diventa il primo oggetto (o soggetto) della loro attenzione. Più è rilevante il suo ruolo, più forte è la tentazione di metterlo sotto tiro e sotto torchio.

Una cosa che negli Stati Uniti, culla della democrazia del leader, conoscono da molto tempo. Da qualche tempo abbiamo cominciato a conoscerla anche noi. E non c’è da stare allegri.

3324.- Dall’Italia che mantiene e rafforza la cooperazione militare con Tripoli all’intesa militare tra Tripoli, Ankara e Doha

Erdogan è sempre all’attacco e Tripoli conferma altre due basi turche in Libia.

Analisi Difesa è puntuale, come anche Agenzia Nova. Prendiamo spunto dai suoi articoli per esprimere il nostro rammarico sul disastro della politica estera italiana e dell’ONU in Libia.

Il 7 agosto scorso, Analisi Difesa, per la penna di Gianandrea Gaiani, commentava il vertice trilaterale turco-maltese-libico, celebrando il mantenimento e, addirittura, il rafforzamento della cooperazione militare dell’Italia con Tripoli. In verità, l’ottimo Gaiani registrava l’incontro della pesante delegazione italiana capeggiata dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, accompagnato dal Capo di Stato Maggiore della Difesa Gen. Enzo Vecciarelli, dal Direttore dell’AISE Gen. Giovanni Caravelli e dal Comandante del COI (Comando Operativo di Vertice) Gen. Luciano Portolano. Presenti l’ambasciatore Giuseppe Buccino Grimaldi e il Comandante di Miasit (Missione di Assistenza e Supporto in Libia), generale Maurizio Fronda. Il perché di questo incontro e cosa aveva prodotto si è visto dieci giorni dopo, il 17 agosto, quando, a Tripoli, i ministri della Difesa turco e qatariota, Hulusi Akar e Khaled al Attiyah (ma c’era anche il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas) hanno stipulato con il GNA un accordo che cede alla Turchia, per 99 anni, la base navale di Misurata, un altro aeroporto: al-Watya, il terzo (Misurata, Mitiga-Tripoli e, appunto, al-Watya) e, praticamente, il controllo della Tripolitania, giacché alla Cirenaica già sovrintende la Russia. È un fatto che Erdogan abbia bisogno di sostenere il suo governo con una politica aggressiva e espansiva, non importa a qual prezzo di nuovi nemici. Sicuramente, non protegge i nostri interessi.

E già! Chi li protegge? Non li protegge il ministro degli esteri Di Maio, cui non basterebbero tutte le valigette di euro degli interni. Prendiamo atto, infatti, che i 10+1 milioni di euro consegnati all’attuale Presidente della Repubblica Tunisina Kaïs Saïed, hanno prodotto un aumento degli sbarchi di tunisini. Non possiamo accusare il ministro della Difesa Lorenzo Guerini di non essersi impegnato, vista la nutrita delegazione che ha portato a Tripoli per trattare di cooperazione sanitaria. Allora, resta una sola ipotesi e la rivolgiamo al presidente del Consiglio dei ministri: “O non volete, o non siete capaci.” Un bel dilemma. L’ennesima cacciata dell’Italia, dalla cara Libia, sotto il peso dell’amarezza, l’abbiamo commentata così:

CACCIATI DA MISURATA DA ERDOGAN, CHE CI STARÀ PER 99 ANNI. MICA SCEMO? 

La guerra non si fa con gli ospedali.

La politica estera non è cosa per guaglioni! Dopo le cento visite a al Sarraj, a Haftar, i meeting e le controvisite, i ricoveri di libici nei nostri ospedali, è giunta la pedata nel sedere. L’Ospedale da campo dell’esercito italiano, glorioso, deve sloggiare in fretta e far posto ai reparti dell’esercito turco, che occuperanno la sponda libica per (sedetevi) 99 (novantanove) anni!!! Potremo, però, offrire qualche eroe nell’attività di bonifica e sminamento degli ordigni improvvisati, che turchi e libici non gradiscono fare e potremo finanziare i turchi che impediranno la migrazione clandestina, se Erdogan vorrà. Erdogan ha le palle. Noi siamo “palle”! Guarda se al Sarray si sarebbe permesso di dare una ‘sì tal pedata a Macron? Criticare è facile? Un anno fa, avrei scaricato a Sirte 100 dei Leopard stoccati nelle campagne piemontesi e avrei risolto, una volta per tutte, la tragedia libica, i traffici di esseri umani, le smanie di Erdogan e i mal di pancia del segretario dell’ONU. Vive la France!

Concludo auspicando che l’ENI trasferisca presto la sua sede a Parigi o al Cairo o dove riterrà più opportuno.

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Torniamo al 7 agosto con Analisi difesa, seguendo il “rinnovato slancio” del ministro Guerini e del presidente Conte, supportati dalle informazioni del Direttore dell’AISE (Il Gen. Giovanni Caravelli è all’AISE dal 2014 e risponde al Presidente del Consiglio dei ministri, informa, tempestivamente e con continuità, il Ministro della difesa, il Ministro degli affari esteri e il Ministro dell’interno per le materie di rispettiva competenza.):

L’Italia (dice lei) mantiene e rafforza la cooperazione militare con Tripoli

Giornate fitte di incontri politici e diplomatici a Tripoli dive oggi sono arrivati il ministro Esteri turco Cavusoglu insieme all’omologo maltese, Evarist Bartolo e dive ieri si è recato il ministro della Difesa italiano Lorenzo Guerini, accompagnato dal Capo di Stato Maggiore della Difesa Gen. S.A. Enzo Vecciarelli, dal Direttore dell’AISE Gen. C.A. Giovanni Caravelli e dal Comandante del COI (Comando Operativo di Vertice) Gen. C.A. Luciano Portolano e accolto a Tripoli dall’ambasciatore Giuseppe Buccino Grimaldi e dal Comandante di Miasit (Missione di Assistenza e Supporto in Libia), generale Br. Maurizio Fronda, sei in tutto.

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Il vertice trilaterale turco-maltese-libico interessa indirettamente (indirettamente un cavolo! visto che, immigrazione o non, siamo alla porta di casa nostra. ndr) anche l’Italia poichè al centro dei colloqui vi è anche il tema dell’immigrazione illegale e una nota del ministero degli Esteri di La Valletta ha sottolineato che “la Guardia costiera libica nei primi sette mesi dell’anno ha salvato 6.265 persone, di cui la metà sarebbe affogata o finita nella zona di ricerca e salvataggio (Sar) di Malta”.

Una conferma di come Malta intenda rafforzare la cooperazione con Tripoli per fermare o respingere i flussi migratori illegali. Il presidente del Governo di accordo nazionale, (GNA), Fayez al-Sarraj, si è recato a Malta per colloqui con il primo ministro Robert Abela all’inizio di luglio per proseguire i colloqui avuti a Tripoli alcune settimane prima.

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Il ministro turco Cavusoglu è ormai di casa a Tripoli dove si era recato anche il 17 giugno scorso: secondo quanto riporta l’agenzia di stampa turca Anadolu, “durante la visita Cavusoglu informerà le autorità libiche in merito ai colloqui sul cessate il fuoco in Libia tra Turchia e Russia e riceverà informazioni in merito alla situazione militare sul campo”.

Una nota che conferma il peso del ruolo strategico turco in Tripolitania (e russo in Cirenaica) che limita lo spazio di manovra del GNA sui temi della Difesa e Sicurezza.

Un limite con cui deve fare i conti anche il rapporto tra Roma e Tripoli, che resta molto stretto anche sul piano militare, ma che il governo libico non può più gestire con la consueta autonomia ora che i turchi (non può più gestire con la consueta autonomia ora che i turchi…ndr) sono presenti con forze considerevoli nel paese (almeno 15 mila uomini tra militari, contractors e mercenari siriani) e ingenti quantità di armamenti.

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Altre 4 vedette alla Guardia costiera libica. Già il Misiat aveva donato al GNA un lotto di metal detectors di produzione italiana, nell’ambito del più ampio progetto di sostegno e assistenza alle autorità libiche per la bonifica da ordigni esplosivi nei quartieri della capitale interessati dallo sminamento.

“Siamo pronti a lavorare fin da subito a un nuovo slancio della cooperazione” ha detto ieri il ministro Guerini incontrando il presidente al-Sarraj (cooperazione di che? in Libia si combatte e chi non combatte deve alzare i tacchi. Infatti. ndr).

“C’è piena disponibilità da parte nostra a dar immediato avvio alle ulteriori iniziative di cooperazione definite oggi. In questi anni abbiamo profuso sforzi importanti per sviluppare una collaborazione civile/militare con le autorità locali che svilupperemo con rinnovato impegno. Per questa ragione, la nostra presenza in Libia rimane un impegno prioritario, sulla strada della pacificazione e del riassetto istituzionale che tutti auspichiamo”, ha commentato Guerini (ogni commento è superfluo. ndr).

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Gli accordi messi a punto nel vertice hanno evidenziato la ferma volontà di Tripoli di mantenere uno stretto rapporto con l’Italia anche in campo militare, giustificata non solo dagli storici rapporti bilaterali ma anche dalla determinazione di una parte del GNA a mantenere interlocutori privilegiati che consentano di diversificare le alleanze anche in termini militari rispetto all’attuale stretta dipendenza dalla Turchia.

Del resto il ruolo militare di Ankara è stato da molti libici subito come una forzata necessità, indispensabile per fermare e respingere le forze del generale Khalifa Haftar dalla Tripolitania dopo che né l’Italia né altre potenze si erano rese disponibili a fornite a Tripoli gli aiuti militari richiesti.

Le intese raggiunte ieri dal ministro Guerini sottolineano questo contesto: l’Italia rafforzerà la cooperazione nel settore dello sminamento e in prospettiva dell’addestramento delle forze del GNA, ma dovrà trasferire l’ospedale e il contingente militare dall’aeroporto di Misurata ormai diventato (come il porto) una base militare turca.

Fonti libiche avevano da tempo evidenziato le pressioni turche affinchè il contingente italiano (circa 220 militari tra i quali una cinquantina di sanitari) lasciasse l’area aeroportuale dell’ex Accademia Aeronautica libica e del resto la presenza militare italiana a Misurata era stata sempre osteggiata da quelle componenti politiche della “città-Stato” più legate alla Fratellanza Musulmana e ad Ankara.

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Del resto la Turchia ha da tempo pesantemente militarizzato l’aeroporto più volte bombardato nei mesi scorsi dai droni di Haftar i cui ordigni sono spesso caduti vicino alle installazioni italiane.

Le forze di Ankara vi hanno schierato qualche centinaio di uomini e droni Bayraktar TB-2 e Anka, aerei da trasporto e difese aeree composte da contromisure elettroniche anche anti-drone e batterie di missili antiaerei a medio raggio Hawk XXI (nella foto a lato. Ricordiamo che la frontiera turca con la Siria è stata difesa da una batteria di missili a.a. del reggimento Custoza per tutto il 2019).

L’aeroporto di Misurata (nella foto sotto le postazioni antiaeree turche) è del resto lo scalo aereo più vicino all’attuale linea del fronte tra GNA e l’Esercito nazionale libico (LNA) di Haftar e hub per l’arrivo di armi, mezzi, munizioni e truppe insieme al porto della città in cui la Marina Turca sembra aver già istituito una propria base.

Attualmente i turchi in Libia schierano velivoli e difese antiaeree in tre aeroporti (Misurata, Mitiga-Tripoli e al-Watya) e sono presenti nei porti di Misurata e Abu Sitta (Tripoli), sede quest’ultimo non solo del presidente al-Sarraj ma anche della componente della Marina Militare italiana (Nave Pantelleria e una settantina di militari) che supporta e coordina le attività della Guardia costiera di Tripoli contro l’immigrazione illegale.

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Una missione visitata ieri dal ministro Guerini e che non dovrebbe essere soggetta a modifiche, a meno che nel governo italiano non si impongano coloro che chiedono di stracciare l’accordo con Tripoli che in questi ultimi tre anni ha permesso di contenere i flussi illegali verso l’Italia.

A questo proposito è stata confermata ieri, nella bozza del “DL Agosto”, la cessione a titolo gratuito alla Guardia costiera libica di 2 motovedette da 27 metri classe Corrubia e di 2 vedette veloci V5000 già in dotazione alla Guardia di Finanza.

Tornando invece al contingente a Misurata fonti libiche hanno riferito ad Analisi Difesa che l’ospedale militare italiano verrà mantenuto ma verrà trasferito in un nuovo complesso in fase di ultimazione fuori città.

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Una opzione che avrà pro e contro: renderà certo meno visibile il contingente italiano e meno esposto in caso di ripresa del conflitto in cui l’aeroporto (nella foto sotto) della città risulterebbe un bersaglio pagante per l’LNA ma al tempo stesso la distanza dal porto e dall’aeroporto rischiano di complicare eventuali operazioni di evacuazione rapida qualora la situazione sul terreno lo richiedesse. Attualmente la base italiana all’aeroporto è collegata al porto da una strada diretta lunga una dozzina di chilometri.

Recentemente era emersa la decisione congiunta di impiegare quella struttura sanitaria (schierata da Roma per curare i feriti misuratini nella battaglia di Sirte contro lo Stato Islamico ma da tempo a dir poco sotto utilizzata) per assistere i malati di Coronavirus in aumento in Libia e soprattutto nella zona di Misurata che il 4 agosto ha dichiarato lo stato d’emergenza sanitaria.

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La cooperazione sanitaria è stata un tema centrale negli incontri di Guerini a Tripoli in cui è stato concordato di creare nella capitale un polo sanitario   Il comunicato della Difesa precisa che “è prevista l’implementazione della collaborazione medico sanitaria, in aggiunta all’attività già esistente a Misurata – ospedale che verrà spostato in un’area più funzionale (! ndr). Anche sul piano della formazione si è definito un nuovo piano di addestramento per cadetti, ufficiali e sottufficiali libici in Italia e in Libia, a partire dal nuovo anno accademico” (in concorrenza con quelli concordati con turchi e qatarioti ? ndr).

Le nuove iniziative bilaterali ”riguardano anzitutto la conferma della collaborazione per l’attività di bonifica e sminamento degli ordigni, richiesta dalla Libia ai nostri specialisti”. Roma aveva già fornito in luglio ai militari del GNA kit di strumenti per il rilevamento e la bonifica di mine e IED (ordigni esplosivi improvvisati) ma ora è previsto che invii team di specialisti del Genio che coopereranno a ripulire i sobborghi occidentali e meridionali di Tripoli dove le forze dell’LNA hanno lasciato diversi ordigni impedendo così il ritorno in sicurezza di molti sfollati alle loro case.

Tra i temi al centro del colloquio col Premier libico anche la disponibilità libica a costituire un comitato misto come organo di governance di livello strategico della cooperazione militare: “L’istituzione di un comitato bilaterale per la cooperazione militare contribuirebbe a rafforzare ulteriormente il legame tra i nostri Paesi” ha dichiarato Guerini (sembra una bolla di sapone dato che le operazioni militari contro l’LNA le gestisce lo Stato Maggiore dell’Esercito turco, con circa 15.000 uomini, droni, navi e aerei. ndr) che dopo al-Sarraj ha incontrato anche il vice presidente Ahmed Maitig, il ministro degli Esteri Siala e il vice ministro della Difesa Salah al-Namroush.

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In difetto di una politica estera consapevole dei nostri interessi, agli artificieri del Genio va il lavoro più rischioso. ndr

Da quanto appreso nella visita si è parlato anche del ritorno delle aziende italiane sul territorio libico ma le fonti non hanno specificato se il riferimento fosse ai contratti con aziende italiane per la realizzazione di infrastrutture e la necessaria ricostruzione post bellica (settore dove molte aziende turche risultano già in “pole position”. Aggiungerei: “e cinesi”.) o più nello specifico al ruolo di aziende italiane nel settore Aerospazio e Difesa per equipaggiare e ammodernare le forze di Tripoli (L’industria bellica turca e quella francese saranno più che sufficienti. ndr).

Tutto sommato la visita del ministro Guerini registra un bilancio positivo: nonostante la dominante influenza politica e militare turca tesa a emarginarci, l’Italia mantiene una presenza militare a basso profilo nella sua ex colonia mettendo in cantiere interessanti sviluppi e rafforzamenti della cooperazione militare.

Testo di Gianandrea Gaiani, note di associazioneeuropalibera.

E, ora, dalla Redazione Analisi Difesa del 19 agosto 2020:

L’intesa militare tra Tripoli, Ankara e Doha conferma le due basi turche in Libia

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Il Governo di accordo nazionale (GNA) libico ha formalmente concesso alla Turchia il porto di Misurata come base per le navi militari operanti nel Mediterraneo Orientale e l’uso dell’aeroporto militare di al-Watya, nella Tripolitania Occidentale. Lo ha confermato lo stesso GNA dopo le rivelazioni di fonti di stampa vicine all’Esercito nazionale libico (LNA) del generale Khalifa Haftar.

L’accordo è stato stipulato il 17 agosto a Tripoli tra il GNA, la Turchia e il Qatar, durante la visita in Libia dei ministri della Difesa turco e qatariota, Hulusi Akar e Khaled al Attiyah.

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Secondo informazioni riferite su canali social pro-Turchia e riprese dall’Agenzia di stampa Nova, il porto di Misurata (nella foto sotto) sarebbe stato dato in concessione alla Turchia per un periodo di 99 anni. Stando alle fonti della tv libica, sarebbe stato altresì concordato di istituire un centro di coordinamento tripartito (qatariota, turco e libico) che si riunirà mensilmente a Misurata al livello di capi di Stato maggiore.

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Il Qatar si farà carico dei costi della ricostruzione di basi, caserme e accademie di Tripoli distrutte o danneggiate durante la guerra. Per la prima volta la delegazione del Qatar includeva anche consiglieri e istruttori militari che hanno tenuto incontri tripartiti con la parte libica e turca.

“Abbiamo raggiunto un’intesa con il ministro alla Difesa turco Hulusi Akar e con il ministro del Qatar Khaled bin Mohammad Al-Attiyah volto ad una cooperazione tripartita per realizzare un istituto militare per l’addestramento. In base all’accordo la Turchia e il Qatar invieranno consiglieri militari e forniranno addestramento alle loro accademie militari per i cadetti libici” ha affermato il viceministro alla Difesa tripolino, Salah al-Namrouch.

Non sembra essere casuale la presenza a Tripoli il 17 agosto anche del ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas che parlando con i giornalisti ha affermato che le potenze straniere “stanno continuando ad armare massicciamente” la Libia. La sua presenza a Tripoli il giorno della firma dell’accordo potrebbe però indicare il sostegno indiretto di Berlino al ruolo militare turco (e in prospettiva del Qatar) in Tripolitania, di fatto schierando la Germania al fianco di Ankara nelle tensioni in atto nel Mediterraneo in cui la Francia è invece saldamente posizionata in contrasto all’espansionismo turco.

Nessuna reazione invece dal governo italiano che negli anni scorsi aveva avviato programmi bilaterali di cooperazione militare con Tripoli per l’addestramento e la formazione delle forze libiche recentemente riconfermati.

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Il portavoce dell’LNA, Ahmed al Mismari, ha respinto ieri la proposta delle Nazioni Unite, rilanciata dal ministro tedesco Maas, per creare una zona smilitarizzata intorno tra la città di Sirte e la base aerea di al-Jufra, roccaforti dell’LNA a est della linea del fonte dopo il ritiro delle truppe di Haftar dalla Tripolitania.

“La Germania è caduta sotto l’influenza di altre potenze e ha cambiato il corso della conferenza di Berlino sulla Libia e sui suoi esiti”, ha detto al-Mismari, aggiungendo che “l’area che dovrebbe essere smilitarizzata è quella di Tripoli.

La Turchia ha rafforzato la sua presenza nella regione occidentale, in particolare Tripoli e Misurata, e recentemente ha trasferito due sistemi di difesa aerea alla base aerea di Al Watiyah (nella foto sopra) , inviando da 50 a 60 veicoli militari nelle vicinanze della base”, ha dichiarato ancora il portavoce, spiegando che i cargo turchi “stanno ancora trasportando mercenari ed estremisti siriani da Gaziantep a Misurata”.

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Ieri Haftar ha ricevuto il capo dei servizi segreti militari egiziani, generale Khaled Megawer, in una rara visita presso l’ufficio di Haftar nella base di Rajma, vicino Bengasi.

Megawar avrebbe portato “un messaggio molto importante” del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi il cui contenuto non è stato reso noto ma che potrebbe indicare una imminente risposta egiziana all’accordo tra GNA, Turchia e Qatar.

Nelle settimane scorse, il parlamento egiziano ha dato il via libera per un eventuale intervento militare. Sempre ieri Haftar ha ordinato la riapertura dei porti e dei giacimenti petroliferi dopo un blocco durato sette mesi che ha provocato danni finanziari alla Libia valutati 8/9 miliardi di dollari. Un gesto considerato “distensivo” che ha raccolto apprezzamenti generali.

Le nostre conclusioni

L’attivismo, per molti versi obbligato, della politica estera turca in Libia si sarebbe dovuto confrontare con un governo italiano determinato a sostenere i propri interessi, così come è stato con il governo tunisino, che ha posto a Erdogan con fermezza i suoi out-out. Siamo convinti che, avendo riguardo alle capacità, scevri da qualunque partigianeria politica, non esistano i presupposti perché ciò avvenga. Assolutamente insignificante, invece, è la posizione tenuta dall’ONU, chiara manifestazione di disinteresse e di impotenza a un tempo.

3323.- Il vero affare dell’accordo fra Israele e gli Emirati Arabi Uniti sono le armi. Da Haaretz

Gli Emirati spendono miliardi di dollari all’anno per l’approvvigionamento di armi. Ora l’industria di Israele sta per entrare in azione.

Sia come sia, l’accordo voluto da Trump ha dato un ALT alla politica dello stato di guerra permanente di Netanyahu in Medio Oriente e consentirà di rivedere i rapporti con l’Iran da parte USA e da parte sunnita. Traduzione libera di Mario Donnini.

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Un drone fabbricato dalla israeliana Elbit Systems. Credit: Stringer / Reuters

Nelle chat di gruppo di WhatsApp questo fine settimana, più di pochi israeliani stavano già parlando di vacanze in famiglia negli Emirati Arabi Uniti, dopo che Israele e la federazione dei sette emirati hanno annunciato giovedì la normalizzazione delle relazioni. “La prossima riunione di famiglia sarà a Dubai? “Papà ha già prenotato?” “A che piano sono le nostre stanze nel Burj Khalifa?” “Devi indossare un burka?”

L’eccitazione all’idea di volare a Dubai, soggiornare in un hotel nell’edificio più alto del mondo e fare shopping nei megamalls è comprensibile. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha parlato giovedì di viaggi e turismo. Ma l’area in cui Israele si trova di più a guadagnare economicamente dai legami con gli Emirati Arabi Uniti è l’industria della difesa e la sicurezza informatica.

Il budget annuale per la difesa degli Emirati Arabi Uniti è stimato in circa 23 miliardi di dollari e in crescita, con circa 20 miliardi di dollari destinati all’approvvigionamento di armi negli Stati Uniti.
Poche ore dopo la normalizzazione, fonti dell’industria della difesa israeliana stavano parlando di come gli Emirati Arabi Uniti abbiano il potenziale per compensare la perdita di vendite a livello locale a causa dei termini dell’attuale accordo di aiuto degli Stati Uniti. Hanno detto che gli Emirati sono un partner ideale, con tasche profonde e un regime autoritario in grado di prendere decisioni rapide sugli acquisti di armi.

Il mese scorso, la società degli Emirati Arabi Uniti Group 42 ha accettato di collaborare con Israel Aerospace Industries di proprietà statale israeliana e Rafael Advanced Defense Systems per sviluppare tecnologie per aiutare a combattere il nuovo coronavirus. Ma molto di più sta succedendo dietro le quinte, non solo da società di difesa della vecchia linea come IAI, Rafael ed Elbit Systems, ma anche da giocatori puramente tecnologici come Aeronautics Defense Systems (droni), AnyVision (riconoscimento facciale) e NSO Group Technologies ( sorveglianza informatica).

La startup israeliana Insights: Powering Collective Thinking, ad esempio, fornisce la piattaforma di coinvolgimento della comunità che Dubai utilizza per consultare il pubblico su questioni civiche. Uomini d’affari israeliani come Mati Kochavi, David Meidan, Avi Leumi e Avihai Stolero sono attivi nel Golfo da anni. Vendono attrezzature per la raccolta di informazioni, droni, aerei da ricognizione, servizi di aggiornamento F-16 e tecnologie di hacking della sicurezza informatica.

Si stima che le esportazioni israeliane di armi e tecnologia per la sicurezza informatica negli Emirati Arabi Uniti ammontino a diverse centinaia di milioni di shekel all’anno, il tutto nascosto in assenza di relazioni diplomatiche formali.

Alcune persone nel settore considerano effettivamente la normalizzazione un problema perché ora tutto, compresi gli accordi che preferirebbero rimanere a porte chiuse, uscirà allo scoperto. Tuttavia, la maggior parte delle fonti del settore ha affermato che è probabile che la normalizzazione porti a un aumento della vendita di armi, sicurezza informatica e sistemi di comando e controllo alle potenze del Golfo.

Circa cinque anni fa, alcuni governi del Golfo avevano espresso interesse per il sistema antimissile Iron Dome israeliano, ma alla fine si ritirarono senza aver siglato alcun accordo. Ora, poiché la minaccia di un attacco iraniano alle installazioni petrolifere è diventata molto reale, riconsidereranno l’Iron Dome o altre tecnologie anti-missili israeliane.

Il sistema Cupola di Ferro (in ebraico: כיפת ברזל, kipat barzel, Iron Dome in inglese) è un sistema d’arma mobile per la difesa antimissile della israeliana RAFAEL, progettato per la difesa di punto e di piccole città, in grado di intercettare razzi a media velocità e proiettili di artiglieria con traiettoria balistica. 

Fonti del ministero della Difesa israeliano durante il fine settimana non hanno potuto dire se e quando invierà una delegazione negli Emirati Arabi Uniti. Molto dipende da come si sviluppano le relazioni bilaterali e da ciò che hanno da dire gli Stati Uniti. Israele e gli Emirati Arabi Uniti sono due dei maggiori acquirenti di attrezzature militari statunitensi e Washington non starà a guardare mentre i due consolidano i legami. È dubbio che l’industria della difesa statunitense sia entusiasta degli accordi, che improvvisamente creano un nuovo concorrente per i grossi contratti degli Emirati Arabi Uniti.

Netanyahu ha incaricato Meir Ben-Shabbat, il capo del Consiglio di sicurezza nazionale, di prepararsi per i colloqui successivi con gli Emirati Arabi Uniti. Ma data la complessità delle questioni, Ben-Shabbat non avrà scelta per portare in scena i ministeri degli esteri e della difesa, anche se entrambi sono guidati da membri del governo di Kahol Lavan. Un accordo finale non può essere concluso solo dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, dal suo consigliere Jared Kushner e dall’ufficio del primo ministro israeliano.

3322.- Ospedale italiano sloggiato dall’aeroporto di Misurata per farne una base turca. La Difesa tenta ora di accrescere il suo soft power

CACCIATI DA MISURATA DA ERDOGAN, CHE CI STARÀ PER 99 ANNI. MICA SCEMO? La politica estera non è cosa per guaglioni! Dopo le cento visite a al Sarray, a Haftar, i meeting e le controvisite, i ricoveri di libici nei nostri ospedali, è giunta la pedata nel sedere. L’Ospedale da campo dell’esercito italiano, glorioso, deve sloggiare in fretta e far posto ai reparti dell’esercito turco, che occuperanno la sponda libica per (sedetevi) 99 (novantanove) anni!!! Potremo, però, offrire qualche eroe nell’attività di bonifica e sminamento degli ordigni improvvisati, che turchi e libici non gradiscono fare e potremo finanziare i turchi che impediranno la migrazione clandestina, se Erdogan vorrà. Erdogan ha le palle. Noi siamo “palle”! Guarda se al Sarray si sarebbe permesso di dare una ‘sì tal pedata a Macron? Criticare è facile? Un anno fa, avrei scaricato a Sirte 100 dei Leopard stoccati nelle campagne piemontesi e avrei risolto, una volta per tutte, la tragedia libica, i traffici di esseri umani, le smanie di Erdogan e i mal di pancia del segretario dell’ONU. Vive la France!

Mario Donnini

Ufficializzato nei giorni scorsi un accordo tripartito tra Libia, Turchia e Qatar. Gli italiani sentono sfuggire di mano la situazione. Ai primi di agosto, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha concordato con il governo libico un incremento nella presenza di sanitari con le stellette e ha promesso artificieri per lo sminamento delle aree attorno alla Capitale.

Ospedale italiano sloggiato dall’aeroporto di Misurata per farne una base turca. La Difesa tenta ora di accrescere il suo soft power
Era diventato un ambulatorio per l’infanzia e ci costava milioni. Erdogan, piano, piano ci ricatterà. Conte e Di Maio? L’importante per loro sembra essere “sperperare”.

Francesco Grignetti, 20 Agosto 2020

La città di Misurata ospiterà una base navale degli uomini di Erdogan e ci saranno reparti aerei turchi ad al-Watiya, verso il confine tunisino. Turchi e qatarini addestreranno anche il futuro esercito nazionale libico: sui siti specializzati si parla di un modello «Azerbadjan», in quanto gli istruttori militari turchi da anni addestrano l’esercito azero partendo da un coacervo di milizie. Una situazione molto simile a quella di partenza in Libia. 

E’ il secondo accordo strategico tra Tripoli e Ankara, dopo quello di febbraio sulle zone di sfruttamento del mare (con immense ricadute sui giacimenti off-shore del Mediterraneo orientale).  E’ di tutta evidenza che Tripoli sta pagando il prezzo del pesante aiuto militare turco, che ha infranto l’embargo decretato dalle Nazioni Unite, e però ha permesso ai tripolini di rovesciare la situazione sul campo e sconfiggere l’offensiva del generale Haftar. Tutto è in movimento da quelle parti, insomma. E gli equilibri cambiano veloci. 

In questa corsa a consolidare le nuove posizioni, che sono militari, ma soprattutto politiche, economiche e diplomatiche, l’ospedale militare italiano che da alcuni anni opera a Misurata era diventato scomodo. Perciò siamo stati caldamente invitati a cambiare area. E questo è l’accordo annunciato dal ministro Lorenzo Guerini il 5 agosto scorso, al termine di un bilaterale con il presidente al-Serraj: «C’è piena disponibilità da parte nostra a dar immediato avvio alle ulteriori iniziative di cooperazione definite oggi. In questi anni abbiamo profuso sforzi importanti per sviluppare una collaborazione civile/militare con le autorità locali che svilupperemo con rinnovato impegno».

Le nuove iniziative riguarderanno appunto l’attività di bonifica e sminamento degli ordigni improvvisati, richiesta dalla Libia ai nostri specialisti. «Inoltre  – aggiungeva la Difesa – si è prevista l’implementazione della collaborazione medico sanitaria, in aggiunta all’attività già esistente a Misurata – ospedale che verrà spostato in un’area più funzionale. Anche sul piano della formazione si è definito un nuovo piano di addestramento per cadetti, ufficiali e sottufficiali libici in Italia e in Libia, a partire dal nuovo anno accademico».

E’ il tentativo italiano di salvare il salvabile, muovendosi nello stretto sentiero delle cose consentite senza infrangere l’embargo: doniamo medicinali e metal detector, organizziamo corsi infermieristici, addestriamo personale dei vigili del fuoco. Quanto ai sanitari di stanza a Misurata, fanno quel che possono per farsi notare e apprezzare. Era di febbraio questa nota: «Di grande importanza è anche il servizio ambulatoriale dermatologico, che si va ad affiancare al già esistente piano di visite settimanali dei medici italiani presso l’Ospedale Civile di Misurata e si propone di individuare e curare le patologie della pelle di cui più diffuse in Libia e di valutare e predisporre gli opportuni trattamenti». 

In tutta evidenza, però, il meritorio impegno della nostra sanità militare non è paragonabile all’apporto di migliaia di mercenari siriani fatti giungere proprio a Misurata dai turchi. Alle batterie antiaeree che sono state schierate a difesa degli aeroporti in Tripolitania. Ai droni schierati in battaglia. Ai continui rifornimenti di armi e munizioni. La Turchia ha fatto la sua scelta. E, ora, è chiaro che è sbarcata in Libia per restarci a lungo: la base navale di Misurata sembra sia stata concessa per i prossimi 99 anni. 

3331.- Immigrazione e coronavirus, Claudio Borghi scopre il trucchetto del governo: “Come classificano i migranti”

Ci sono bugiardi a comando, come Ricciardi, che strapagano con i nostri soldi e non sta bene:

“… solo il 2% dei casi è legato ai migranti.”

“Elezioni a rischio”. Eccolo qua, il “tecnico” Ricciardi. Rivolta: “Eversivo”.

Ricciardi tragico. Rinvio del voto per il virus? Smentito dal Viminale, lui balbetta: “Io…”.

In che mani siamo? Non è lui il ministro della salute, a che titolo sparla?

Qual è la reale percentuale dei migranti tra i nuovi positivi al coronavirus? Su questa domanda è in atto da oltre 24 ore un acceso dibattito, all’interno del quale Claudio Borghi è schierato in prima linea. A supportarlo è la matematica, oltre che la logica: si parte dalla dichiarazione di Walter Ricciardi, il consigliere del governo che ad Agorà Estate ha dichiarato che solo il 2% dei casi è legato ai migranti. Percentuale che al deputato leghista non torna affatto: “Basta essere in seconda media per fare una proporzione del genere: se soltanto in Veneto e in Sicilia i migranti positivi sono circa 600 e sono il 2%, allora i casi totali di quelle due regioni dovrebbero essere 30mila. Dato che i numeri dicono che i contagi attivi sono 15mila in tutta Italia, allora i numeri di Ricciardi non esistono”. Eppure c’è chi non si lascia convincere dalla matematica e si barrica dietro il rapporto dell’Istituto superiore di sanità, secondo cui l’apporto di nuovi positivi tra i migranti non va oltre il 3-5%. Ma Borghi fa luce anche su questo punto: “La tabella dell’Iss indica che i non italiani sono circa il 40%. Il giochetto è dire che se il migrante viene trovato positivo mentre è sul suolo italiano viene classificato come ‘straniero residente o arrivato recentemente’ e tolto dalla percentuale degli sbarchi”. Un escamotage niente male per trasmettere il messaggio che i migranti non sono un’emergenza sanitaria, oltre che sociale.