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4750.- Mario Draghi, lo scoop di Luigi Bisignani: “Nel mirino dei giudici, quel fascicolo che pende sulla sua testa”

liberoquotidiano, 09 gennaio 2022

Non è la prima volta e non sarà neppure l’ultima: Luigi Bisignani mette ancora nel mirino il premier, Mario Draghi. Lo fa nel suo intervento domenicale su Il Tempo, dove si spende in una lunga digressione, in cui parte interrogandosi sulla figura del presidente del Consiglio: chi è davvero? “L’uomo del Britannia e delle privatizzazioni mal riuscite o un tecnico al servizio dello Stato? Il salvatore dell’Europa o l’uomo amato da Goldman Sachs ? Un capo di governo che finge di amare la collegialità o, più che un drago, un lupo solitario che si fida di un bocconiano come Francesco Giavazzi, al quale ha affidato i dossier più delicati e che sta facendo fuori, uno ad uno, tutti quei manager che, pur ottenendo risultati, non sono yes-man?”, si chiede Bisignani.

E dopo queste domande, ecco che l’uomo che sussurra ai potenti sgancia la sua personalissima e potentissima bomba: “E come si comporterà ora che la Procura Generale della Corte dei Conti ha aperto un fascicolo sull’approvazione postuma da parte del CIPE, sulla proposta Giovannini, Franco e Draghi, del piano su Autostrade nonostante il parere contrario della stessa Corte e dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti?”. Bum: Draghi è nel mirino della Corte dei Conti. Insieme a lui due magistrati contabili, il tutto per il via libera del Cipe al contestato piano Autostrade. Una grossa grana per il premier, un fascicolo che pende sulla sua testa, aggiunge il quotidiano, “nonostante il parere contrario degli stessi magistrati”.

Quindi, nel suo articolo, Bisignani riprende nell’analisi del personaggio: “Ma Draghi presidente del Consiglio è diverso dal banchiere? Il suo ‘altrovismo’ si è manifestato a fine anno quando, se i giornalisti non fossero stati disturbati dai loro stessi applausi, avrebbero ascoltato Super Mario che sulla crisi energetica si limitava a stendere un pannicello caldo e sul Covid rassicurava tutti, salvo cambiare ogni 48 ore le regole, dicendo che il suo compito poteva considerarsi finito. Per non parlare, da ultimo, del Draghi che varando il 5 gennaio l’obbligo vaccinale per gli over 50 senza neanche metterci la faccia in conferenza stampa”.

Infine, la chosa: “Difficile giudicare un presidente del Consiglio che arriva in piena pandemia, ma sicuramente di lui abbiamo capito che non vuole intralci dal Parlamento, dopo una legge finanziaria che presidenti della Camera con più autorevolezza avrebbero rispedito a Palazzo Chigi. A lui nessuno imputa neanche la lenta ma inarrestabile risalita dello spread, i centinaia di decreti attuativi e il record sulle questioni di fiducia, pur con una maggioranza parlamentare larghissima”, conclude Luigi Bisignani.

4654.- Scuole, trasporti, Pa. Cosa non ha fatto lo Stato nella pandemia per i cittadini

Insieme a un commissario straordinario per la campagna vaccinale, per l’istruzione e i trasporti, avremmo avuto e abbiamo bisogno di un commissario del “fare”.

Invece, tutto sembra come prima. Un esempio: Il 15 dicembre alle ore 16.00, la Regione del Veneto, chiude i nuovi bandi ristori da 23 milioni, dedicati a risarcire dagli effetti negativi della pandemia sulle attività della filiera del turismo e della ricreazione. Fra queste, in particolare, le imprese di trasporti turistici (bus). Per i bus turistici  era ipotizzabile un impiego a supporto del trasporto scolastico, come quello che usano le Forze Armate per il loro personale.

La pandemia di coronavirus poteva essere anche un’opportunità per la Pubblica Amministrazione: “Non pervenuta, Missione impossibile”.

Pandemia

di Luigi Oliveri, Start Magazine

Come e perché Draghi in Europa è odiato dai filo austerità
Nel bene o nel male, lo Stato sei Tu.

Tutti i settori malati già prima della pandemia che non sono stati curati. L’articolo di Luigi Oliveri per Phastidio.net

Egregio Titolare,

tra mutazioni nuove e persistere della pandemia si è compreso che, in assenza di un’immunizzazione con durata di lungo termine, i vaccini attualmente disponibili richiedono in ogni caso misure di sicurezza aggiuntive.

Restano sostanzialmente in piedi i protocolli di sicurezza stabiliti nei mesi scorsi negli ambienti di lavoro ed aperti al pubblico, mentre occorre ancora l’utilizzo delle mascherine e del distanziamento sociale come strumenti di protezione generale dalla malattia.

Si è, tuttavia, compreso anche che mentre comportamenti prudenti, vaccini e altre misure di cautela si sono sviluppati nel corso di questi mesi, altrettanto non può dirsi per azioni essenziali non solo a combattere la pandemia, ma alla convivenza civile.

Ne abbiamo già parlato, Titolare:

Treni, bus, corriere e metropolitane pochi, in ritardo, sovraffollati e sporchi erano e pochi, in ritardo, sovraffollati e sporchi sono rimasti. Il traffico privato convulso, imbottigliato ed inquinante era, convulso, imbottigliato ed inquinante è rimasto.

E alle considerazioni relative ai mezzi di trasporto pubblici, dobbiamo aggiungerne analoghe sugli edifici pubblici: scuole, uffici ed edifici obsoleti, talvolta angusti e comunque privi di impianti di aspirazione e filtraggio dell’area erano, e tali sono ancora.

Problemi preesistenti alla pandemia

Insomma, Titolare, la pandemia ha messo in risalto i problemi che affliggono la “logistica” ed il patrimonio pubblici. Se lo strumento principale di contrasto è il distanziamento sociale, si sarebbe dovuto intervenire con poche direttrici, chiare:

  • aumento del numero e della capienza dei mezzi di trasporto pubblico, bus, treni e corriere;
  • modifica degli orari di lavoro e di servizio degli uffici pubblici, così da limitare il sovraccarico di utenti nei mezzi e sulle strade;
  • installazione degli impianti di aerazione filtrata.

Ovviamente, il tutto è più facile a dirsi che a farsi. L’aumento ed il rinnovo dei mezzi pubblici di trasporto ovviamente costa e costa molto. Non si tratta solo di spese di investimento sugli strumenti (macchine, rotaie, motrici), ma anche di ingenti spese per un maggior numero di addetti alla manutenzione, al controllo e piloti/autisti.

Anche i lavori negli edifici pubblici sono molto onerosi. Nelle scuole, in particolare, a causa della vetustà e spesso fatiscenza delle sedi, problema atavico e mai risolto.

Scuole e trasporto pubblico locale, grandi malati d’Italia

Negli anni più recenti e prossimi all’esplosione (ovviamente imprevedibile) della pandemia, purtroppo si è fatto di tutto per approfondire i problemi. Il trasporto pubblico locale nell’ultimo decennio ha visto una costante contrazione dei finanziamenti a regioni e province; inoltre, sono venuti pesantemente al pettine i nodi delle municipalizzate (si pensi al caso Atac, a Roma) e della loro complicatissima gestione finanziaria. Per quanto riguarda le scuole, solo circa 25 anni fa lo Stato si è disfatto della gestione e manutenzione degli edifici, “affibbiata” ai comuni, fino alle medie, e alle province, fino alle superiori.

Gli enti locali sono subentrati in una realtà gestionale spesso drammatica: lo stato degli edifici era fortemente precario. Ci sono voluti anni ed investimenti per provare a modificare la tendenza, ma quando le province avevano compreso l’importanza delle competenze sulle scuole, nel 2014 si è avviata la più insensata e devastante delle riforme, proprio quella sulle province, che ne ha compromesso i bilanci, tanto da bloccare sostanzialmente i processi di manutenzione e rinnovo degli edifici.

Il fatto è, Titolare, che la situazione di insufficienza di mezzi e corse, e di inadeguatezza di spazi e servizi negli edifici, specie scolastici (ancora in buona parte senza nemmeno certificazione antincendio) era oltre i confini di ogni normalità da ben prima della pandemia.

Questa poteva e doveva essere l’occasione per riorientare spese, investimenti ed obiettivi del decisore pubblico. Allo scopo di garantire un minor affollamento di mezzi ed edifici, si poteva seguire la strada dell’ampliamento dei volumi, della diluizione della loro fruizione e dell’investimento in mezzi tecnologici.

Poche azioni concrete

A fronte di queste scelte tutto sommato ovvie ed obbligate, molte sono state le parole, pochissime le azioni concrete. Piuttosto che scegliere di aumentare spazi e diluire i tempi, a un certo punto si è scelto di diminuire i potenziali fruitori, condizionando la fruizione di spazi e servizi ad una “patente”, nel pieno stile borbonico.

Si è pensato, dunque, di utilizzare il green pass nel ruolo di strumento che consentisse di utilizzare, nella sostanza, mezzi e spazi pubblici disponibili, nella convinzione che, da un lato, la condizione di soggetto vaccinato o guarito o anche recentissimamente soggetto a tampone rendesse sicura la convivenza in spazi ristretti; e che, dall’altro, l’assenza del green pass, escludendo chi per mancanza di vaccino e di controllo mediante tampone si possa considerare a maggior rischio di contagio, potesse comunque in parte ridurre la tensione su mezzi e spazi pubblici.

Invece, quindi, di aumentare l’offerta di spazi e mezzi e di misure tecnologiche di sicurezza, si è puntato sulla patente e sulla riduzione dei fruitori di spazi e mezzi. Ciò risulta maggiormente chiaro col “super” green pass, il cui fine ultimo è all’evidenza proprio escludere quanto più possibile dalla fruizione di mezzi pubblici e di spazi pubblici o aperti al pubblico chi non sia vaccinato. Si prova, quindi, un distanziamento sociale che tenga a distanza in non vaccinati.

Il tutto, poi, condito da non irrilevanti ulteriori contraddizioni: mentre, infatti, appare chiara l’esigenza di insistere sul distanziamento sociale, si è aperta una campagna contraria al lavoro agile, almeno nella PA, il cui risultato è stato certo contribuire ad un maggiore affollamento di mezzi ed uffici, ma anche delle tavole calde protagoniste del Pil al Camogli.

Il ruolo del PNRR

In ogni caso, il virus corre anche tra i vaccinati, come mostra il caso della variante Omicron. Ma, adesso, abbiamo il Pnrr, abbiamo la possibilità di presentare progetti attuativi e di avvalerci nella PA delle migliori professionalità per spendere i soldi e spenderli bene.

C’è un piano di attuazione molto dettagliato e meritorio, ben redatto. Tutto ottimo, le prospettive appaiono oggettivamente comunque buone, i tempi di realizzazione accettabili.

Resta da chiedersi quanto spazio si intenda dare, tuttavia, a progetti banali e semplici, come acquistare più bus, più corriere, più treni locali, aumentare le corse, pulire i mezzi più spesso, mantenerli in ordine e funzionali, assumere autisti e conducenti, assumere controllori in grande quantità (come si possono controllare i green pass sui mezzi locali, se non esiste la figura del controllore?), investire su app per biglietti, abbonamenti e servizi agli utenti; ammodernare realmente le scuole, installare impianti efficienti di aerazione e filtro, investire in informatizzazione, perché didattica a distanza o meno la digitalizzazione non può che essere uno degli elementi fondamentali nella nuova istruzione.

Serve necessariamente, per tutto ciò, il Pnrr? Aiuta, certo. Ma, poiché si tratta di necessità a ben vedere preesistenti alla pandemia che questa ha mostrato in tutta la loro impellenza e crudezza, serve in ogni caso capire che non occorrono solo e necessariamente progetti roboanti o complessi, ma bastano esattamente quelle piccole cose che, trascurate da sempre, obbligano a scelte operative contraddittorie o basate sull’attribuzione di funzioni salvifiche alle “patenti”, come il green pass.

4417.- Settori in cui il green pass è obbligatorio in parte. Dio sa perché.

Parliamo, naturalmente, del green pass all’italiana. Diciamolo chiaro e tondo: Il pressappochismo di questo fantasticato Governo si comprende soltanto con un distinguo fra gli obiettivi da perseguire: quelli per il popolo italiano e quelli di chi e quanti lo hanno assiso in carica.

Nel settore dei trasporti, la parola d’ordine è discriminazione e stupidità. In Italia, circa metà degli autisti di mezzi pesanti ha fatto il vaccino russo, non riconosciuto valido per ottenere il green pass perché … perché è russo. Quelli provenienti dall’estero, entrati in Italia, non possono più toccare la merce interessata al movimento. Per fare queste pensate ci sono voluti: il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (Mims) e il Ministero della Salute. Lo dice la nota di chiarimento congiunta del 14 ottobre 2021.

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Sfuggono le ragioni di questa naturalizzazione del green pass, solo italiana. Siamo sicuri che le difficoltà create alla Giustizia e all’economia, non solo italiana, se parliamo di Trieste e di Genova, siano giustificate dal fine di contenere e gestire l’emergenza del Coronavirus? Qualcuno vede ancora un’emergenza?

Ci sono alcuni settori in cui il green pass è obbligatorio in parte.

Di Andrea Pastore, Money.it, 16 ottobre 2021

Le contraddizioni del green pass: dove è obbligatorio a metà

Vediamo di quali si tratta.

Dopo l’annuncio del decreto green pass e della conseguente entrata in vigore, rimangono contraddizioni e perplessità. Inoltre, queste ultime settimane sono state contrassegnate da scontri e manifestazioni per l’estensione della certificazione verde sui luoghi di lavoro pubblici e privati.

L’Italia è l’unico Paese europeo ad aver introdotto l’obbligatorietà del possesso del green pass per accedere a tutti i luoghi di lavoro. Ci sono però delle contraddizioni in merito a questa decisione. In alcuni luoghi il green pass è obbligatorio per i lavoratori ma non per chi frequenta il luogo interessato: un esempio su tutti i supermercati.

Il personale di un supermercato per poter accedere al luogo di lavoro deve possedere la certificazione verde, la clientela no. La decisione è giusta nella misura in cui nessuno può essere privato dei servizi essenziali, vale lo stesso per le farmacie.

Il caso dei tribunali

Il Consiglio dei Ministri il 16 settembre 2021 ha varato il c.d. decreto green pass, un provvedimento che ha introdotto misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione: l’ambito applicativo ha riguardato anche i tribunali, dove però, sembra essersi verificata una sorta di contraddizione.

Infatti, il personale amministrativo e i magistrati, per l’accesso agli uffici giudiziari, devono possedere ed esibire le Certificazioni Verdi. Al fine di consentire il pieno svolgimento dei procedimenti, l’obbligo non si estende ad avvocati e altri difensori, consulenti, periti e altri ausiliari del magistrato estranei all’amministrazione della Giustizia, testimoni e parti del processo.

In sostanza: per chi lavora stabilmente nelle procure e nei tribunali vige l’obbligo di possesso ed esibizione del green pass, per chi si reca per lavorare occasionalmente nell’ambito dei processi no.

Il settore dei trasporti

Anche nel settore dei trasporti possiamo rintracciare alcune contraddizioni per quanto riguarda l’esibizione del green pass.

In particolate, il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (Mims) e il Ministero della Salute hanno emanato, il 14 ottobre 2021, in una nota di chiarimento congiunta sulle disposizioni in materia di green pass per i settori del trasporto marittimo e autotrasporto delle merci al fine di contenere e gestire l’emergenza del Coronavirus.

Il testo precisa che fino al 31 dicembre 2021 si applicheranno le disposizioni contenute del Dpcm del 2 marzo scorso.

Nello specifico, per il trasporto merci, per quanto riguarda il personale proveniente dall’estero e non in possesso della certificazione verde, è consentito esclusivamente l’accesso ai luoghi deputati alle operazioni di carico/scarico delle merci a condizione che dette attività vengano svolte da altro personale: possono accedervi ma non toccare la merce interessata al movimento.

Per quanto riguarda il traposto marittimo, per garantire l’operatività delle navi e della catena logistica nazionale, nei confronti del personale impiegato di una nave battente bandiera italiana, il cui porto di partenza, di scalo o di destinazione finale sia nel territorio italiano, l’imbarco o il rientro a bordo è da considerarsi “luogo di lavoro” e avviene secondo le seguenti regole, verificate dal datore di lavoro:

  • chi si trova già a bordo il 15 ottobre e non è in possesso di green pass continua il periodo di imbarco e deve essere sottoposto, in caso di sbarco nel territorio italiano e successivo rientro a bordo, a test molecolare o antigenico con risultato negativo al virus SARS-CoV-2;
  • chi si imbarca nel territorio italiano dal 15 ottobre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, al momento dell’ingresso a bordo deve essere munito di green pass;
  • chi sbarca nel territorio italiano e rientra a bordo in un momento successivo, deve essere munito del green pass attestante lo stato di avvenuta vaccinazione contro il Covid-19.

In sostanza, il problema si presenta su chi già si trova a bordo della nave, può continuare il periodo di imbarco: in caso di sbarco in Italia deve sottoporsi al test antigenico o molecolare.

1951.- Quella passione tripartisan per i monopoli nei trasporti. Di Marco Ponti

Il ministro Danilo Toninelli commenta le escusatio di Atlantia e promette sicurezza ai cittadini per le infrastrutture e trasporti:
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Quello del ministro è un atto dovuto che speriamo sarà accompagnato da idonee inchieste giudiziarie e da altrettanto idonea riforma della Magistratura, che ne cancelli le dipendenze e le connotazioni politiche, finalmente! Sull’argomento sicurezza delle infrastrutture e dei trasporti, piace ricordare questo articolo di Marco Ponti, pubblicato su LA VOCE.INFO del 12 gennaio 1918. A chi contesta che la soluzione ai problemi del trasporto pubblico sia la partecipazione in prima persona dello Stato, obiettiamo che
una cosa è il monopolio puro e semplice, cosa ben diversa è il monopolio pubblico di un servizio pubblico, che significa non lasciar prevalere le ragioni di economicità e del profitto sul servizio pubblico, con tariffe tenute calmierate e con piena garanzia della sicurezza per la mobilità e la circolazione di persone e merci, quali diritti scaturenti dalla nostra Costituzione. A chi, invece, sostiene la convenienza economica di delegare la gestione di un monopolio naturale a una Autority indipendente dalla politica, osserviamo che la duplicazione delle responsabilità già di per sé rappresenta un costo, con tutte le variazioni cui sarà soggetto nel tempo; ma che un servizio deve dirsi pubblico quando è di pubblica utilità e, come tale, può andare in perdita, come la sanità o l’istruzione. Sono i nostri diritti costituzionali e, perciò, al di sopra delle ragioni d’economia, almeno fino a quando non decideremo di subordinarveli. Ma, ditemi, subordinereste il Vostro diritto di libertà all ragioni dell’economia? Vale anche per il trasporto locale, in specie nelle aree a domanda debole del Paese.

Presentiamo,ora, il professor Marco Ponti, con la promessa di seguire meglio i suoi contributi: ​Decano e insegna​nte di​ economia dei trasporti​ e di economia ambientale​, prima a Venezia e ​poi per dieci anni, come ordinario, al Politecnico di Milano. Ha svolto attività di consulenza per la Banca Mondiale​ (in 15 paesi in via di sviluppo)​, ​la Commissione Europea, ​l’OECD, il ministero dei trasporti, le Ferrovie dello Stato e ​il ministero del Tesoro. Svolge attività di ricerca nell​’ambito ​delle​ analisi di fattibilità economica e finanziaria dei progetti (versioni avanzate dell’analisi costi- benefici), regolazione economica e politiche pubbliche del settore (investimenti e gestione​)​.​ È attualmente membro dell’Advisory Board dell’Autorità di Regolazione dei ​Trasporti (ART), presidente della società TRT SrL, e responsabile dell’associazione Bridges Research, che svolge ricerche indipendenti e autofinanziate. Leggeremo il suo: “Anas-Fsi, troppo grande per non creare perplessità” e i suoi ultimi libri: “Sola Andata” (Università Bocconi Editore)” e “L’arbitrio del principe. Sperperi e abusi nel settore dei trasporti. Che fare?
Ponti dice ciò che pensa. Per restare ai nostri temi, è successo che una sua consulenza per il Tesoro fosse annullata dopo la contestazione della riservatezza degli accordi tra Anas e concessionario autostradali.
Il monopolio è la forma di impresa dominante nei trasporti italiani. Al di là delle giustificazioni formali, a renderlo una scelta politica razionale ci sono disparati motivi. Per confutarli è necessario sviluppare strumenti di analisi molto più realistici.

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Tutte le forme del monopolio

Nei trasporti italiani il monopolio, in varie configurazioni, è la forma di impresa dominante.

Le autostrade sono sì “monopoli naturali”, ma invece di ridurne il potere, lo si è massimizzato per via politica: concessioni molto lunghe (di recente prolungate senza gara), elevata concentrazione (un solo operatore detiene più di metà della rete).

L’impresa ferroviaria (Fsi) è dominante, integrata verticalmente e orizzontalmente, con oltre il 90 per cento del fatturato e la quasi totalità della rete. Ora, la fusione con Anas ne aumenta ancora la capacità di pressione politica (“clout”).

Il trasporto pubblico locale (Tpl) è monopolio legale, ma mai affidato con gare credibili (quelle fatte sono state quasi tutte vinte dagli incumbents).

Il settore aereo è stato liberalizzato dall’Europa, con rilevanti benefici per gli utenti, ma lo stato italiano continua a fare sforzi economici per sostenere l’ex-monopolista Alitalia, in una sorta di nostalgia perversa.

La regolazione del settore (per definizione pro-concorrenza) fin dall’inizio è stata dotata di poteri limitati rispetto a quelli rimasti nella sfera politica.

Le motivazioni formalmente addotte per questo atteggiamento sono molte, in genere intercambiabili. Qui possiamo elencarle solo sinteticamente:

– il concetto di “campione nazionale”, da difendere in quanto strategico, qualsiasi sia il settore interessato;

– l’esistenza di economie di scala o di scopo, che giustificherebbero la dominanza;

– i costi tecnici e la complessità gestionale di operazioni di “spacchettamento” (unbundling)

– la socialità: affidare servizi pubblici in gara (non solo liberalizzarli) impedirebbe di conseguire obiettivi sociali, spesso non molto definiti e spesso riferiti più ai dipendenti che agli utenti.

Tutti questi motivi sono confutabili. D’altra parte, vi sono anche dichiarazioni esplicite dell’attuale ministro dei Trasporti Delrio, di ostilità verso il concetto di concorrenza, mentre un ministro precedente, Altero Matteoli, era contrario a una autorità indipendente di regolazione.

Perché è una “scelta razionale”

Quali sono però i motivi reali, non formali, che rendono razionale questo atteggiamento politico favorevole ad assetti non concorrenziali? Data la situazione italiana, lo potremmo far coincidere con il “favore per lo status quo”.

Il primo, dominante, è riconducibile allo “scambio politico” diretto: i beneficiari della concorrenza sono diffusi (utenti o contribuenti), non ne godranno nell’immediato e, soprattutto, sarà per loro difficile confrontare scenari competitivi con scenari monopolistici, dati i tempi e i contesti diversi in cui li potranno verificare.

I soggetti danneggiati (addetti e fornitori attuali di imprese monopolistiche), che al contrario percepirebbero immediatamente l’effetto di politiche di liberalizzazione, tendono invece a essere coesi e “vocali” e votano in favore di chi li protegge. Anche l’assunzione dei dipendenti e la scelta dei fornitori risultano politicamente condizionabili in contesti monopolistici, assai più che non in quelli concorrenziali, per i quali l’efficienza è condizione irrinunciabile.

Poi per imprese monopolistiche private (per esempio, autostrade), che generano alti profitti, vi è la “spartizione delle rendite” (a danno di utenti inconsapevoli e “diffusi”). Questo avviene per via fiscale, dati gli elevati tassi di prelievo sui profitti.

Tornando ai fornitori (per esempio, si pensi ai 5 miliardi l’anno circa di acquisti delle ferrovie), è ovvio che è preferibile per un privato negoziare con un monopolista invece che con un soggetto pressato dalla concorrenza e per il quale la qualità e i prezzi delle forniture sono fattori essenziali di sopravvivenza.

Quanto al management di imprese pubbliche, vi sono prassi diffuse di nomine politiche dirette che garantiscono poi un sistema di “scambi di favori” con chi li ha nominati, spesso non di per sé illegali, anche se non è possibile ignorare il fenomeno corruttivo presente in Italia.

Queste ultime considerazioni sono, per loro natura, facilmente spiegabili anche solo con l’obiettivo del tutto legittimo del consenso politico a breve termine (noto come “hidden agenda” in termini di “public choice”).

Siamo quindi di fronte a un comportamento in gran parte razionale e infatti “bipartisan”. Anzi, ora addirittura “tripartisan” (l’M5S è fortemente critico verso il regime attuale delle concessioni autostradali, ma il fatto che gli altri monopoli non siano un bersaglio legittima il dubbio che l’attacco sia motivato dalla circostanza che solo quel settore è dominato da un’impresa privata).

Per concludere, raccomandazioni generiche sembrano davvero inutili. Pare invece necessario sviluppare strumenti di analisi molto più realistici e disincantati. Quelli forniti dall’approccio public choice (che, si badi, non comportano affatto l’adesione politica a quella linea di pensiero) potrebbero rivelarsi di grande utilità. Solo se la diagnosi è corretta, infatti, ci possono essere speranze che la cura possa essere efficace.

NZO
Estratto.
I politici, anche onesti, vogliono almeno essere rieletti. Cercano quindi di spendere il più possibile e in tutti i modi possibili. E, se possibile, in modo che gli elettori percepiscano chiaramente chi devono ringraziare per i benefici che arrivano loro da queste spese. E che cosa è meglio delle grandi infrastrutture a questo fine? Si vedono, si inaugurano con grandi cerimonie mediatiche, fanno contenti i costruttori, gli utenti (anche se quelli reali sono relativamente pochi) e i politici locali. Occupano gente e non attirano la concorrenza di imprese straniere, le opere pubbliche infatti sono molto «locali». E così ovunque nel mondo. Il fatto che spesso possano essere soldi sprecati, cioè che generino molti più costi che benefici per la collettività, interessa pochissimo, e misurare questo scarto è pericoloso. Proprio in termini di consenso…

NZO-1
Estratto.
Il settore dei trasporti è caratterizzato da un intervento e da una spesa pubblica rilevanti. La necessità dell’intervento dello Stato in tale ambito è generalmente data per scontata; spesso ritenuta inevitabile alla luce di obsolete convinzioni, mai riviste nonostante i radicali cambiamenti sociali e tecnologici sopravvenuti. Ma è davvero tanto indispensabile l’intervento dello Stato? E, se sì, è bene che avvenga con i margini di discrezionalità correnti? Questo libro mostra come la necessità dell’intervento dello Stato non sia affatto ovvia e debba essere invece sempre provata. Se si ricorre al settore pubblico, peraltro, è necessario che la sua azione sia vincolata da regole, e non caratterizzata dalla piena discrezionalità. Se l’azione pubblica è del tutto imprevedibile, anche investitori e cittadini agiranno in condizioni di costante incertezza e faranno a loro volta scelte sbagliate.