Archivio mensile:marzo 2019

2272.- Che fine faranno i 400 militari italiani che sono a Misurata, in Libia?

In un’intervista trasmessa ieri dalla tv satellitare Al Jazeera, l’inviato Onu ha denunciato la corruzione diffusa tra un’élite politica che ignora «i cittadini poveri e infelici» in un Paese ricco di petrolio. La posizione di Al-Sarray è incerta, Misurata si schiera con Haftar, sempre più l’uomo forte; ma siamo certi che il popolo libico voterà uno di questi due leader? Attualmente il Paese nordafricano è spaccato in due. Da un lato, il generale Khalifa Haftar controlla la Cirenaica ed è sostenuto da Francia, Egitto e Russia. Dall’altro, il presidente Fayez al-Sarraj che governa la Tripolitania (e ha l’appoggio di Stati Uniti e Italia). Tra i due, giocano un ruolo ambiguo decine di fazioni che si contendono porzioni di territorio e risorse.  La scorsa settimana l’inviato Onu ha annunciato che la Conferenza nazionale di tutte le fazioni libiche si terrà dal 14 al 16 aprile a Ghadames.

Misurata on April 13, 2016. Getty Images)

L’Italia è presente ufficialmente in Libia con la missione Miasit di assistenza e supporto al Governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj.

E ora cosa accadrà ai 400 di Misurata? Ora che i Misuratini hanno cambiato casacca e deciso di aprire al nemico di ieri e possibile alleato dell’oggi: il generale Khalifa Haftar. Invece di vaneggiare su una improbabile, e più volte smentita, task force italiana nel far west libico, sarebbe il caso di porsi un problema serio, concreto e del presente: quello, per l’appunto, dei 400 militari italiani che in Libia ci stanno davvero, e da tempo, e che oggi rischiano di trovarsi in una situazione molto complicata. L’Italia, è bene ricordarlo, è presente ufficialmente in Libia con la missione Miasit di assistenza e supporto al Governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj. Prevede, dal primo gennaio al 30 settembre 2018, un impiego massimo di 400 militari, 130 mezzi terrestri e mezzi navali e aerei (questi ultimi nell’ambito delle unità del dispositivo aeronavale nazionale Mare Sicuro). Miasit sostituisce e rafforza la vecchia missione Ippocrate (300 uomini e 103 mezzi) che ha permesso la realizzazione di un ospedale militare da campo a Misurata che offre 30 posti letto. I militari italiani sono impegnati anche nell’addestramento delle forze locali. Quell’ospedale da campo è il nostro fiore all’occhiello. E i soldati che lo presidiano, i preziosi custodi. Nessun problema fino ad oggi, perché la potente milizia di Misurata era parte attiva e cruciale del variegato arcipelago di milizie e tribù della Tripolitania che sostenevano al-Serraj. Ora, però, il quadro è mutato (STANNO LI’ A FARE CHE? ndr). E quelli di Misurata, come raccontato sul campo dall’inviato del Corriere della Sera, e profondo conoscitore della realtà libica, Lorenzo Cremonesi, hanno operato un passaggio strategico, da Sarraj ad Haftar. “Nessuno è più disposto a morire per Sarraj, tutto è cambiato, apriamo ad Haftar. Il messaggio è chiaro. E tra i destinatari c’è anche il Governo italiano. Tutto andrà ridiscusso, vecchi accordi presi col governo a guida Serraj rischia di diventare, nel nuovo scenario, carta straccia. E in questo contesto, si pone il tema dei “400”. La loro presenza, confidano ad HuffPost fonti locali libiche, è stata apprezzata dalla popolazione locale e l’ospedale militare è servito per curare feriti e salvare vite umane, ma tutto questo nell’ambito di un accordo con un governo, quello di Sarraj, nel quale i Misuratini non sembrano riconoscersi più. E tutto questo mentre la fragile tregua rischia di finire pochi giorni dopo la sua definizione.

Una violazione del cessate il fuoco in corso a Tripoli dall’altro ieri è stato denunciato dalla milizia ribelle “Settima Brigata” secondo quanto riporta il sito di un’emittente libica, Libya 24. La formazione ha sostenuto di essere stata attaccata da una milizia, “al-Daman”, e di aver subito di il ferimento di due suoi uomini. La Settima di fanteria ha annunciato “che è stata vittima dell’inganno di milizie che hanno approfittato dello svolgimento della seduta del Consiglio di sicurezza (delle Nazioni Unite di ieri sera) per violare l’accordo la tregua”, scrive il sito. La formazione, protagonista dei nove giorni di scontri avvenuti nella capitale libica, ha aggiunto che “le milizie al-Daman hanno violato il cessate il fuoco facendo due feriti” fra i loro elementi. Nel contempo, Il governo di Accordo nazionale ha annunciato un’imminente ripresa i voli dall’aeroporto Mitiga, lo scalo di Tripoli chiuso dal 31 agosto a causa degli scontri fra milizie. Lo segnala la pagina Facebook dell’Ufficio stampa dell’esecutivo “Assicurare l’apertura dell’aeroporto di Mitiga, di tutte le strade della capitale e di quelle che vi confluiscono” era il quinto dei sette punti dell’accordo di cessate il fuoco raggiunto l’altro ieri. “Il cessate il fuoco tra le principali parti in conflitto in Libia ha effettivamente bloccato i combattimenti e ha iniziato il ripristino dell’ordine a Tripoli. I gruppi che violano la tregua devono essere responsabili, il momento dell’impunità è passato, non permetteremo che si ripeta quanto accaduto nel 2014”, ha affermato l’inviato speciale in Libia, Ghassan Salamè, durante la riunione del Consiglio di Sicurezza Onu, in videoconferenza da Tripoli. Salame’ ha detto che l’Onu e la comunità internazionale stanno monitorando la situazione. Quindi ha sottolineato che le Nazioni Unite si stanno concentrando sulla revisione degli accordi sulla sicurezza di Tripoli e per affrontare le questioni economiche che sono alla base della crisi. La missione Unsmil, ha aggiunto, ritiene che la richiesta del premier Fayez Sarraj di sostegno internazionale per una revisione finanziaria sia una preziosa opportunità per portare trasparenza e responsabilità nella gestione della ricchezza in Libia. Ottimi propositi, ma realizzarli è alquanto complicato.

Perché, sette anni dopo la fine del regime di Muammar Gheddafi, la Libia è sempre più nel caos. Politico e militare. Che non data l’oggi. “Il punto debole di gran parte delle iniziative messe in campo per la Libia, ad oggi – rileva in proposito Lorenzo Marinone in un documentato report per il CeSI (Centro Studi Internazionali) – è un approccio basato sull’esclusione di determinati attori. Un carattere sempre più evidente anche nel Governo di Unità Nazionale (GUN). Da un lato, è innegabile che il Premier Sarraj, dal 2016 a oggi, abbia cercato di cooptare sempre più realtà locali per consolidare la sua base di legittimità.

Dall’altro lato, però, questo processo è stato progressivamente indebolito dall’emergere di un gruppo compatto di milizie tripoline che, di fatto, detengono il potere (sia politico che economico). Ne fanno parte le Brigate Rivoluzionarie di Tripoli di Haitham al-Tajouri, la Brigata Nawasi guidata dall’ex ministro dell’Interno Abd al-Latif Qaddur, l’Unità di Abu Salim al comando di Abdul Ghani al-Kikli, e la Forza Speciale di Deterrenza (meglio nota come Forza Rada) il cui leader è il salafita Abdelraouf Kara. Grazie al controllo delle sedi istituzionali, delle banche e delle infrastrutture strategiche hanno creato un vero e proprio “cartello” para-mafioso, con cui influenzano profondamente il GUN, lo piegano ai propri interessi personali, e si coordinano per evitare che altri attori riescano ad avere influenza a Tripoli. Non deve quindi stupire che, ciclicamente, gli attori esclusi dalla capitale tentino di farvi ritorno con la violenza. Infatti, le milizie di Misurata (il Fronte Sumud di Salah Badi) e Tarhouna (le milizie Kani, note anche come 7° Brigata) che in questi giorni attaccano Tripoli sono state cacciate dalla città non più tardi di maggio 2017…”. Quanto alla diplomazia internazionale, a tenere banco è ancora il confronto tra Parigi e Roma. “In appoggio alle Nazioni Unite e al fianco dei suoi partner, la Francia è determinata a lavorare al proseguimento del processo politico e all’organizzazione di elezioni entro la fine dell’anno” in Libia, “seguendo il piano d’azione delle Nazioni Unite”: è quanto si legge in una nota diffusa dal ministero degli Esteri di Parigi. “Chi cerca di ostacolare il processo politico – aggiunge Parigi – dovrà rispondere dei propri atti”. Non basta. “La comunità internazionale deve imperativamente rimanere unita e determinata per agire contro tutti coloro che cercano di frenare o indebolire il processo politico volto all’organizzazione delle elezioni attese dal popolo libico per scegliere i suoi futuri dirigenti”: è quanto si legge in una nota, diffusa stavolta dall’Eliseo al termine di un colloquio telefonico tra il presidente francese e il premier libico, Macron, recita la nota, si è intrattenuto oggi con Sarraj, con cui le squadre diplomatiche francesi sono state in “continuo contatto in questi ultimi giorni”. Durante il colloquio, il capo dello Stato ha ribadito il “sostegno della Francia al Consiglio presidenziale libico riconosciuto dalla comunità internazionale e al processo politico volto ad una Libia pacifica, sovrana, unita e democratica”.

Anche la posizione dell’Italia sul voto è netta. “La nostra posizione è che quando fare le elezioni lo devono stabilire i libici e le loro istituzioni. Noi non fissiamo date”, dice il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi alle commissioni congiunte Esteri e Difesa di Camera e Senato. E aggiunge: “Su questa questione esiste una dialettica, dentro e fuori l’Italia. Ma è curioso che le date siano stabilite dall’esterno”. Intanto Roma prosegue per la sua strada confermando la volontà di organizzare una conferenza di pace simile a quella di Parigi. “La conferenza sulla Libia si terrà in Italia a novembre nel formato ‘di Roma’, quindi con la partecipazione anche di Cina e Stati Uniti”, ha sottolineato Moavero Milanesi: “Il luogo – dice – potrebbe essere la Sicilia, ma non è ancora stato deciso”. Ma il titolare della Farnesina non è un uomo dedito alle bordate e, pur ribadendo la posizione italiana sul voto, prova a non rinfocolare polemiche con l’Eliseo. “C’è un nemico di tutti in Libia ed è d’estremismo, il fondamentalismo. Non è questione solo di bisticci, competizione con questo o quell’altro Paese europeo”, avverte il capo della diplomazia italiana., ricordando che “con la Francia abbiamo fatto una dichiarazione appena due giorni fa, anche l’1 settembre. Mi riconosco nelle dichiarazioni del presidente Macron sulla necessità di dialogare con tutti e sostenere lo sforzo dell’Onu”. Moavero non viene meno alla necessità del dialogo e spiega che: “L’approccio inclusivo del dialogo con tutti gli attori – continua Moavero – comporta che noi già da tempo stiamo dialogando con tutti, nessuno escluso”. Il ministro degli Affari esteri ricorda poi che il governo italiano intende lavorare “con tutti gli Stati, sia quelli che condividono le nostre visioni, sia con quelli che non le condividono, sia con quelli che sono animati da una certa competitività nei nostri confronti”. Anche perché, aggiunge la ministra della Difesa Elisabetta Trenta – anche lei intervenuta in audizione alle commissioni congiunte – gli scontri in Libia “non sembrano essere legati a questioni politiche, ma invece conseguenti al mancato rispetto da parte delle istituzioni tripoline di alcuni accordi di carattere economico e sul coinvolgimento nella gestione della sicurezza della capitale, provocando lo scontento delle fazioni ribelli”. Insomma, a Tripoli non è in atto un “golpe” ispirato da Macron, come sostenuto da Matteo Salvini. Una conferma che sulla Libia, e su Macron, esistono due linee nel governo gialloverde.Suggerisci una correzione

2271.- Flat tax, la più neoliberista delle riforme.


di keynesblog
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di Mauro Gallegati, dal Manifesto del 21.3.2019

La flat tax, un’aliquota unica per la tassazione del reddito – come c’era in Italia 100 anni fa – è un provvedimento neo-liberista, screditato dai fatti e senza giustificazione economica. Nei desiderata dei proponenti, la flat tax dovrebbe ridurre la pressione fiscale e, contemporaneamente, il debito pubblico poiché fa aumentare i consumi, gli investimenti – e quindi la crescita e l’occupazione – ed emergere una quota delle attività che resterebbe altrimenti sommersa. Eppure storicamente non ha mai funzionato e anzi, quando le disuguaglianze di reddito tra ricchi e poveri sono state massime – oggi e nel 1929: l’1% della popolazione possiede il 50% del reddito – si sono verificate la Grande Crisi e la Grande Recessione. Il fatto che i più ricchi hanno la parte del leone nella distribuzione del reddito e dei risparmi non implica che questi ultimi si trasformino automaticamente in investimenti.

La flat tax produce un impatto redistributivo a favore delle classi più agiate, ma i suoi benefici restano limitati ai più ricchi. La redistribuzione del reddito in senso egualitario genererebbe – secondo gli ortodossi della austerità espansiva – un impatto negativo su imprese e consumatori. Quando il sistema fiscale favorisce le classi più ricche, i redditi (i profitti e le rendite) di questi aumentano e, di conseguenza, il risparmio e l’investimento, e quindi il PIL e l’occupazione. Grazie alla “curva di Laffer”, le entrate fiscali aumenterebbero con beneficio anche dei meno abbienti. Le riduzioni fiscali per i più ricchi sarebbero quindi passate “a doccia” al resto della società, e l’aumento della diseguaglianza porterebbe ad un aumento di benessere per tutti: cioè proprio il contrario di quanto è accaduto da 30 anni a questa parte quando la distribuzione a favore dei ricchi è aumentata ma non la crescita.

Le riduzioni fiscali saranno finanziate, almeno nel breve periodo e nelle intenzioni del governo, da un mix di riduzione d’imposte e di tagli di spesa. Questi tagli vanno però a colpire soprattutto chi beneficia dello stato sociale. E per l’Italia che ha una dinamica demografica che porta all’invecchiamento della popolazione (cioè a maggiore spese sanitarie e pensionistiche), ed ha già una spesa per lo stato sociale tra le più basse d’Europa ed un debito pubblico asfissiante, il passaggio verso l’insostenibilità sociale si farebbe drammatica.

La ricerca recente mostra che l’eccessiva disuguaglianza frena la crescita economica e che non esiste alcun fondamento empirico per l’ipotesi di aumento del PIL “a doccia”. Come si sapeva dagli anni Trenta del secolo scorso, una maggiore disuguaglianza del reddito abbassa il valore del moltiplicatore: l’aumento della disuguaglianza riduce i consumi, senza aumentare gli investimenti. Negli ultimi anni si è per di più instaurato una sorta di circolo vizioso per cui il peso sempre più crescente del settore finanziario ha causato la crescente disuguaglianza e all’accumulazione di ricchezza – spesso generato da rendite – nei portafogli dell’1%. Queste ricchezze a loro volta sono state reinvestite nella finanza e non in capitale produttivo, cioè all’economia reale che solo genera occupazione, perché i profitti cercano altre opportunità profittevoli, incuranti della sostenibilità ambientale e sociale.

L’aumento delle disuguaglianze ha quindi ridotto il benessere e creato distorsioni economiche che il mercato non sana. La flat tax porterà a sostanziali riduzioni di imposta per i più ricchi, senza recupero alcuno dell’evasione né a stimoli per investimento reale. La forte riduzione del gettito fiscale associata all’aliquota unica, porterà alla ulteriore contrazione della spesa sociale e degli investimenti pubblici, ad un aumento del debito pubblico e dei suoi oneri finanziari, e quindi ad un trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi attraverso più alti tassi di interesse, meno investimenti e lavoro. Se poi si dovesse verificare l’ulteriore diminuzione della spesa in istruzione ci troveremo anche alle prese con il blocco dell’ascensore sociale, già oggi assai malfunzionante. Insomma speriamo che il governo che ci vuol riportare al regime fiscale di Crispi non ci doni un altro Bava Beccaris.

2270.- CONCERTO DI TROMBONI E TROMBETTIERI

Paolo Savona, da ministro per gli Affari europei a CONSOB


Ferveva l’opera intorno alla Manovra e scriveva Savona il 30 settembre, mirando a utilizzare i 50 miliardi di risparmi “in eccesso” degli italiani spaventati: “L’anno in corso (2018) dovrebbe registrare una crescita reale dell’1,5% e le previsioni di consenso per il 2019 sono nell’ordine dell’1%”. “Se non si vuole un peggioramento dell’economia e un aumento delle condizioni di povertà e di disoccupazione occorre attivare nuovi interventi di politica fiscale”. Era, gira, gira la ricetta della finanza mondiale: Fatta fuori l’imprenditoria italiana, far fuori i risparmi e, poi, le case. Ora Savona si è sistemato, i risparmi saranno veicolati in Cina insieme al Made in Italy e la crescita reale dell’1,5%, 1% si è rivelata al di sopra delle capacità dell’ ”avvocato degli italiani”.
Continuava Savona:
“L’attuazione degli stimoli alla domanda aggregata – introdotti da Palazzo Chigi per intervenire sui punti di blocco o di ritardo – tenuto conto dei moltiplicatori della spesa, può portare a una crescita nel 2019 di circa il 2% e crescere ancora di mezzo punto percentuale all’anno, raggiungendo QUELLA SOGLIA MINIMA DEL 3% NECESSARIO PER GUARDARE AL FUTURO DELL’OCCUPAZIONE E DELLA STABILITÀ FINANZIARIA DEL PAESE CHE UNA CRESCITA INTORNO ALL’1% ANNUO NON GARANTIREBBE”.

La pattuglia della Lega: Borghi, Salvini, Bagnai

E ADESSO? 
Mentre il concerto… – c’erano e c’è un’equipe di strumenti di tutto rispetto: Bagnai, Borghi, dalle cui labbra pendevamo -, mentre il concerto pompa i regalucci fatti alla volpe cinese, l’annuncio:

“Crescita zero quest’anno e un leggero rialzo, appena lo 0,4%, per il Pil italiano nel 2020 – da verificare! – . Sono le previsioni del Centro studi di Confindustria, tagliate di 0,9 punti rispetto alle ultime sull’anno in corso. Consumi e investimenti fermi, “destano preoccupazione”, ha detto il capo economista Andrea Montanino. Nel primo trimestre il Pil continua ad essere leggermente negativo, prossimo allo zero e piatto resta nell’orizzonte del primo semestre. Il divario con l’Eurozona torna ad allargarsi, ha sottolineato Montanino. Il rapporto deficit/Pil salirà al 2,6%, mentre il lavoro è «fermo» e non si vede inversione di tendenza. E il reddito di cittadinanza, aggiunge il Csc, non avrà effetti sul Pil”. 
Gridava fra gli spalti del San Paolo un giovanetto: “Vulite? Friccica!” Ecco, Giggino, scendi dal cavallo. C’è il ciuccio per te!

DOV’È SCRITTO CHE IL TRIO CONTE DEBBA SEGUITARE A SGOVERNARE FINO ALLE EUROPEE, E PERCHÉ?

2269.- Diritti sociali ed economici nella Costituzione

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Lo Studio Cataldi offre questa guida alle libertà positive dei titoli II e III della Costituzione che contengono i principali diritti sociali ed economici per i cittadini

giudice che regge bilancia simbolo di giustizia

di Luca Passarini – Lo stato democratico si fa carico della garanzia di un benessere minimo, assistendo i ceti sociali meno abbienti e realizzando forme di sussidio e promozione dello sviluppo della persona. E’ uno stato cioè che interviene nel controllo dell’economia, garantendo l’erogazione di certi servizi e diritti “sociali” che rappresentano un costo effettivo per il bilancio statale. 

Fatta questa premessa, vediamo quali sono i principali diritti sociali ed economici (c.d. “libertà positive) sanciti dalla Costituzione:

  1. Diritto al lavoro
  2. Libertà di iniziativa economica privata
  3. Diritto alla salute (art. 32)
  4. Tutela della famiglia

Diritto al lavoro

Collegato all’art 4 (principio laborista), l’articolo 35 della Costituzione tutela sia il lavoro, sia la formazione che l’elevazione professionale. Tutela inoltre la migrazione all’estero. Il successivo articolo 36 dispone l’osservanza di una retribuzione proporzionata per il lavoratore, sufficiente per sé e per la famiglia. Mentre è l’articolo 37 che sancisce l’assoluta parità tra uomo e donna nel mondo del lavoro, imponendosi di rimuovere quelle discriminazioni già trattate dall’art 3 della Costituzione. L’articolo 38 Cost. prevede sia il diritto all’assistenza per gli inabili al lavoro, sia il diritto alla previdenza sociale in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria. Mentre il 39 e il 40 sono i capisaldi dell’attuale diritto del lavoro, sancendo la base per le libertà sindacali e per il diritto di sciopero; entrambi attuati solo in parte per l’avversione diretta dei sindacati. L’art. 45 si occupa infine dell’organizzazione cooperativistica e dell’artigianato, due materie ritenute interessanti dal costituente. 

Libertà di iniziativa economica privata

Così come per il lavoro, la Costituzione disciplina mediante alcune disposizioni gli interessi economici, prevedendo all’articolo 41 la libertà di iniziativa economica privata, per cui tale iniziativa si definisce libera e non può svolgersi in contrasto con l’attività sociale. La stessa libertà riserva alla legge il compito di determinarne i programmi e i controlli. All’articolo 42 si trova invece sancita la tutela della proprietà, che può essere sia pubblica che privata. Il comma 3 prevede l’esproprio per motivi di interesse generale, previo indennizzo. Connesso agli articoli precedenti, il quarantatreesimo articolo stabilisce che ai fini di utilità generale la legge possa riservare imprese o categorie di imprese per il preminente interesse generale (inattuato). Limiti alla proprietà terriera sono espressi all’articolo 44 della carta costituzionale, mentre una previsione poco valorizzata in ambito economico è la tutela del risparmio sancita all’art. 47 Cost.

Diritto alla salute (art. 32)

Importanza centrale ha assunto nel nostro ordinamento la tutela della salute, costituzionalizzata all’articolo 32. Infatti la salute rappresenta oggi un diritto fondamentale sia dell’individuo, sia della collettività. La Repubblica tutela questo diritto e garantisce cure gratuite agli indigenti. E’ un diritto inviolabile e immodificabile della persona, inizialmente considerato come un diritto sociale, mediante l’intervento della Corte costituzionale è giunto a essere considerato un diritto assoluto. Questo diritto comprende infatti sia il diritto all’integrità fisica e psichica, sia i trattamenti di prevenzione e cura, imponendo per il legislatore il riconoscimento di idonee condizioni di vita e lavoro.

Tutela della famiglia

All’articolo 29 Cost. la famiglia si considera basata sul matrimonio di coniugi di sesso diverso (mentre oggi è noto (a chi vuole che lo sia. ndr) che è definibile famiglia pure quella sorta dall’unione civile di persone dello stesso sesso); inoltre è innegabile che alla famiglia legittima (fondata cioè sul matrimonio) da sempre la giurisprudenza abbia esteso la nozione di famiglia anche a quella di fatto, basata sulla mera convivenza di due soggetti, pur dovendo sottolineare una serie di trattamenti deteriori rispetto alla favorita famiglia legittima. Al fine di far venire meno queste differenze occorre ricordare la previsione del diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, espressa al successivo art. 30 Cost., anche se nati fuori dal matrimonio. Valendo in questo modo il vincolo di parentela indipendente dal carattere legittimo o naturale del figlio. Inoltre la sfera famigliare viene incentivata dallo stesso legislatore, al quale si riferisce la disposizione dell’art. 31 Cost., che espressamente valorizza il ruolo della famiglia assumendo il compito di agevolare economicamente la formazione della stessa.

2268.- Xi Jinping va da Macron. Parigi prepara la mossa anti Italia

Macron è un fetente, ma non è scemo. Funziona meglio l’asse Washington-Parigi-Berlino o l’asse Washington-Roma? Sarà Pechino a deciderlo? E l’Ue? L’incontro di Xi Jinping con la UE è previsto per il 9 aprile e, allora, come leggiamo questi incontri di Roma e Parigi? Di certo, L’Italia deve battersi da sola in Europa. Il problema è Strategico ed è tutto europeo: l’Italia aveva già ceduto per metà il Controllo dello Spazio Aereo ai cinesi e, ora, cede lo sviluppo della telefonia mobile di 5G a Huawei,piuttosto che a società italiane o europee. Malgrado, gli avvertimenti di Washington sulla sicurezza e i rischi, dopo i treni che già collegano Wuhan a Lione, saremo il secondo paese del G7 à entrare nella “nuova via della seta”.
L’italia aprirà alla Cina la porta sud del’Europa in modo più efficace dei treni con la Francia e della Grecia con il porto di Salonicco. Il porto di Trieste farà guadagnare cinque giorni alle merci cinesi, che si ritroveranno direttamente nel cuore dell’ Europa e, a Trieste, le merci possono giungere in ferrovia dalla Russia e imboccare la TAV, fino a Lione. Non dovremo sottovalutare il rischio di controllo e di proprietà a lungo termine delle infrastrutture strategiche (porti) e della cessione di tecnologia. Possiamo dire che le politiche dell’austerità di Bruxelles e l’ostilità di Parigi, alla fine, ci hanno portato fra le braccia di Xi? Il detto “L’unione fa la forza” è una chimera. Sono questi i punti su cui terrei il dibattito.



L’articolo è di Lorenzo Vita, per Occhi della guerra. 25 marzo 2019:

Emmanuel Macron incontra Xi Jinping, lo invita a Parigi e con lui chiama a raccolta anche Angela Merkel e Jean-Claude Juncker. Ormai sembra impossibile non vedere in ogni azione del presidente francese una mossa tesa a colpire gli interessi italiani. Ma è del tutto evidente che questa decisione di chiamare a raccolta all’Eliseo la triade per eccellenza dell’Ue per vedere il leader cinese ha un chiaro messaggio politico internazionale. Macron vuole parlare a nome della Francia ma anche dell’Europa. E guarda caso, proprio dopo la visita di Xi in Italia: viaggio che ha creato una breccia di non poco conto sia nei rapporti Italia-Europa che nei rapporti fra Italia e Stati Uniti.

L’impressione che si ha in questi giorni è che la Cina non sia il vero e proprio “rivale sistemico” dell’Europa, come definito in questi giorni dai vertici Ue. Il rischio è che quella del capo dell’Eliseo e di Frau Merkel sia l’ennesima mossa per fare in modo che l’Italia non abbia modo di beneficiaredi una pur minima posizione di vantaggio. Anzi, la premiata coppia franco-tedesca sembra aver messo in atto un piano perfetto, sfruttare l’allontanamento fra Roma e Washington e colpire subito dopo dall’Europa le possibilità italiane nella Nuova Via della Seta.

Il doppio gioco di Francia e Germania sulla Cina è a questo punto un metodo a dir poco perfetto. Ma facilmente individuabile. Macron ha dapprima urlato allo scandalo per l’approccio italiano alla Nuova Via della Seta, ribadendo che fosse necessario un approccio comune europeo nei confronti della Cina. Poi però cosa ha fatto? Ha steso il tappeto rosso all’imperatore di Pechino facendo capire fisicamente a Xi Jinping che l’Unione europea è a trazione franco-tedesca. E questo non implica una sudditanza, ma una doppia strategia: mostrarsi come i veri (unici) interlocutori in Europa e frenare qualsiasi tipo di avanzata cinese in Ue che non sia autorizzata da questo duopolio. Una strategia a tutto tondo che prevede diversi obiettivi.

Parigi vuole intrattenere con Pechino rapporti proficui. E questo è confermato dal fatto che anche in Francia verranno sottoscritte alcune intese che andranno dal settore nucleare a quello aerospaziale fino all’energia pulita, tema particolarmente caro proprio a Macron in funzione anti Trump. “Abbiamo molte cose da fare assieme, in termini di azione climatica e multilateralismo, ma dobbiamo anche difendere i nostri interessi”, ha detto Macron a Bruxelles giovedì scorso. E nel frattempo prepara una manovra che ha un significato molto profondo, a dimostrazione di quanto sia fondamentale capire che il capo dell’Eliseo non sia per niente uno sprovveduto.

Da un lato si proporrà come interlocutore europeo privilegiato rispetto alla Cina. Dall’altro lato, prepara insieme alla Merkel le contromosse per fermare la Cina in Europa. Come? Con una proposta che l’asse franco-tedesca pensa di rispolverare dai cassetti della Commissione europea, dove giace indisturbata da qualche anno. Come spiega Repubblica, il progetto di chiama Ipi ed è una norma “che vieterebbe alle imprese di Paesi extra Ue, cinesi in primis, di partecipare alle gare pubbliche d’appalto in Europa, se quei Paesi non garantiscono parità di accesso alle aziende comunitarie. Di fatto significa escludere Pechino da tutte le commesse infrastrutturali, che sul proprio territorio il Dragone ‘riserva’ ai campioni locali”.

L’idea franco-tedesca arriva insieme al nuovo sistema di monitoraggio sugli investimenti extra Ue approvato dall’Unione in questi giorni. Uno scudo che guarda caso è arrivato proprio alcuni giorni prima della visita di Xi Jinping in Italia e cui sia il governo italiano che quello britannico si sono astenuti. Una scelta che serve a Roma per entrare nella Nuova Via della Seta e per aprire agli investimenti cinesi. E che adesso ci porta a vedere un pericoloso avvicinamento fra i desiderata di Donald Trump e quelli della coppia Macron-Merkel.

2267.- GOLAN: TRUMP HA FIRMATO ! GIORNATA STORICA NEI RAPPORTI USA-ISRAELE, MA NON FINISCE QUI.

The New York Times:

Trump’s Pointless Provocation on the Golan. There was no need to call for recognizing Israel’s annexation of the Syrian territory.

President Trump’s proposed reversal of decades of American policy on the Israeli occupation of the Golan Heights has more to do with Israeli politics than American interests — or good sense. 

On Thursday, he announced on Twitter that the United States should recognize Israeli sovereignty in the disputed Golan Heights, on Israel’s border with Syria, even though no other country has done so. The United Nations has declared that official annexation of the territory would violate international law.

Mr. Trump created a controversy where none needed to exist. Israel has been under no pressure to end the occupation of the Golan, which began during the 1967 Arab-Israeli War with the seizure of some 400 square miles by Israeli troops. 

But Israel’s prime minister, Benjamin Netanyahu, is facing a tough re-election fight, and he has pleaded with Mr. Trump to make the move. The tweet bolsters his claim that he can best keep Israel safe because of his close ties to the White House.

Support for Israeli sovereignty over the Golan Heights would also give Israel’s right-wing parties an opening to argue for Israel’s annexation of the West Bank. Such a move would crush any remaining hope of Palestinian statehood and put Israel’s future as a Jewish democracy at risk. …

Prima, l’ambasciata USA a Gerusalemme, poi, 38 miliardi di dollari di aiuti militari e, ora, il Golan. Gli USA, sconfitti in Siria, si mettono a rimorchio di Israele. Fanno bene? Come reagirà Putin?

Il 25 marzo è una giornata storica nei rapporti Usa-Israele, ma non solo:

il presidente americano Donald Trump ha firmato il riconoscimento della sovranità di Israele sulle alture del Golan. Trump lo aveva annunciato su Twitter : “Dopo 52 anni è tempo per gli Stati Uniti di riconoscere pienamente la sovranità di Israele sulle alture del Golan, tema di importanza strategica e di sicurezza per lo stato di Israele e per la stabilità della regione”.

La decisione del presidente è una mossa contro la presenza iraniana in Siria, vuole rimescolare le carte della vittoria di Putin in Siria e arriva dopo mesi di forti pressioni da parte dello Stato ebraico su Washington per chiedere proprio il riconoscimento della sovranità israeliana. Evidentemente, l’Iran è più importante del Golan. Trump con la sua mossa — che segue il trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme — sta sostenendo anche il premier israeliano. Il 9 aprile, Netanyahu, indebolito dagli scandali, ma con questo appoggio, potrebbe garantirsi un quarto mandato.

In occasione della visita del segretario di Stato degli Stati Uniti, Mike Pompeo, il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva chiesto che la comunità internazionale riconosca la sovranità israeliana sulle alture del Golan.

Chi occupa il Golan è in posizione dominante nella regione

Chi occupa il Golan è in posizione dominante nella regione, dai punti di vista militare, agricolo e dello sfruttamento delle risorse energetiche. Secondo fonti governative statunitensi e israeliane, gli Stati Uniti erano pronti a riconoscere la sovranità di Israele sulle alture del Golan, territorio al confine con la Siria conteso tra Gerusalemme e Damasco e ricchissimo di gas, petrolio e, soprattutto, di acqua.

Già la scorsa settimana si era notato il cambio di prospettiva degli Usa sulla sovranità di Israele sui territori annessi unilateralmente in passato.Il dipartimento di Stato degli Stati Uniti nel suo ultimo rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani nel mondo, quindi, in un documento ufficiale, non aveva più definito “territori occupati” sia le alture del Golan, contese con la Siria, definite “controllate da Israele” (rispetto alla precedente dicitura “occupate da Israele”) sia i territori palestinesi non più definiti “occupati” o “sotto occupazione”. Allora, l’ ambasciata statunitense a Gerusalemme e lo stesso Dipartimento avevano precisato di non considerare mutato lo status di Cisgiordania, Gaza e delle alture del Golan.

Firma o non firma di Trump, il territorio delle alture del Golan appartiene giuridicamente alla Siria, ma è occupato da Israele dal 1967, ai tempi della Guerra dei sei giorni. Dopo l’occupazione militare, lo stato ebraico ha preso possesso della regione anche inviando i propri coloni.

Nel 1981 Gerusalemme ha anche annesso unilateralmente le alture nel 1981, ma la sovranità israeliana non è mai stata riconosciuta a livello internazionale.

In passato il governo di Israele ha più volte ventilato la possibilità di restituire il territorio a Damasco per migliorare le relazioni diplomatiche. Lo scoppio della guerra civile in Siria, tuttavia, ha complicato le cose. E ora la presenza delle forze armate iraniane in Siria rende ancora più strategico per lo stato ebraico il controllo di questa regione.

Il premier Netanyahu, invece, è tornato velocemente in patria dopo che – dicono -, nella notte tra il 24 e il 25 marzo 2019, un razzo, lanciato da chissà chi, dalla Striscia di Gaza, ha colpito una casa a Tel Aviv, ferendo leggermente 7 persone.

Secondo quanto riportato dai soccorritori, un 59enne e una donna di 30 anni sono stati ricoverato in condizioni moderate, mentre il marito di lei, e i loro figli, una ragazzina di 12 anni, un bimbo di 3 anni e uno di 6 mesi hanno riportato ferite più lievi: “Di che lieve cagion, che crudele guerra” direbbe il poeta..

 Già nella notte fra il 13 e il 14 marzo A Tel Aviv e in altre località israeliane erano suonate le sirene degli allarmi anti-missilistici. Due razzi provenienti da Gaza erano arrivati sulla città. 

Uno dei due razzi era stato intercettato dall’Iron Dome, il sistema anti-missilistico del paese, mentre il secondo era caduto in un’area aperta. Israele, allora, aveva risposto bombardando pesantemente un centinaio di obiettivi nell’enclave palestinese.

Notte fra il 13 e il 14 marzo A Tel Aviv

“Il paese risponderà con forza”, ha detto, ora, il primo ministroisraeliano Benjamin Netanyahu. “Ho parlato con il capo di Stato maggiore, il capo dello Shin Bet e il capo dell’intelligence. Si tratta di un atto criminale contro lo Stato d’Israele”.

L’attacco deve essere soppesato perché non è stato ancora rivendicato da alcun gruppo presente nella Striscia. Intanto, il leader di Hamas a Gaza, Yahnya Sinwar, ha deciso di cancellare una conferenza stampa prevista nel corso della giornata.

Il razzo di Tel Aviv ha, o avrebbe, fatto interrompere la visita di Netanyahu a Trump.

Ma non è Gaza il problema di oggi. 

Le alture del Golan sono situate al confine tra la Siria e lo Stato d’Israele e il controllo della zona ha una grande valenza strategica e geopolitica.

La storia dello scontro ha inizio nel giugno del 1967, quando durante la guerra arabo-israeliana dei «sei giorni» i militari israeliani occuparono le Alture, che dominano il lago di Tiberiade e quindi la più importante riserva idrica per Israele e iniziarono ad insediare nell’area i propri coloni. Come abbiamo detto, nessun Paese ha mai riconosciuto l’annessione. La Siria e gli Stati arabi fanno riferimento alla risoluzione 242 del Consiglio delle Nazioni Unite che condanna l’acquisizione dei territori con la forza. 

In diverse occasioni il governo israeliano aveva ventilato la possibilità di restituire il territorio alla Siria per migliorare i rapporti con Damasco, ma a causa dello scoppio della guerra civile nel paese siriano e della presenza delle truppe iraniane a Damasco, il controllo dell’area per Israele è diventato fondamentale.

La guerra civile in Siria, e l’intervento di Iran e Israele, ha fatto spesso riemergere in questi anni il tema delle Alture, spesso scenario di scaramucce provocatorie tra gli attori del conflitto. Proprio di recente la stampa israeliana ha riportato la preoccupazione dei vertici dello Stato ebraico per il tentativo con cui il braccio armato del gruppo sciita libanese Hezbollah (10.000 uomini pronti al combattimento e ben comandati), finanziato da Teheran e acerrimo nemico di Israele, cerca di reclutarvi miliziani.

Nell’ottobre 1973: la Siria tenta di riconquistare l’altopiano del Golan e infligge pesanti perdite alle truppe israeliane, e l’anno successivo i due Paesi firmano un armistizio. È solo nel 1981 che, con un’iniziativa che suscita la condanna internazionale, Israele si annette le Alture e offre ai musulmani drusi la possibilità di diventare cittadini israeliani; la gran parte rifiuta l’offerta, che è accettata da 20.000 drusi che ancora vivono sugli altipiani.

Turkish President Recep Tayyip Erdogan

Dopo il riconoscimento di Washington dell’annessione israeliana, sale la tensione. Erdogan: «Non consentiremo la legittimazione dell’ occupazione». 

Sulle Alture immediata è stata la reazione di Siria e Turchia. Non possiamo consentire la legittimazione dell’occupazione delle alture del Golan». Lo ha dichiarato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, citato dal sito del quotidiano turco Hurriyet, in un discorso tenuto durante una riunione dell’Organizzazione per la cooperazione islamica a Istanbul. «Le infelici osservazioni del presidente sulle alture del Golan – ha aggiunto Erdogan – hanno portato la regione sull’orlo di nuove tensioni». Anche Damasco ha denunciato con forza le dichiarazioni del presidente Usa Donald Trump circa la volontà americana di riconoscere l’annessione israeliana delle Alture del Golan. Riferisce l’agenzia governativa Sana, che cita un comunicato del ministero degli Esteri di Damasco: «Le dichiarazioni di Trump non cambiano la verità, perché il Golan è e rimarrà siriano». La Siria ha denunciato le affermazioni di Trump come «una violazione delle risoluzioni internazionali» circa l’illegittimità della presenza israeliana.

Reazioni negative sono arrivate anche da Teheran, Il Cairo e Bruxelles. «In quanto potenza occupante, Israele non ha alcuna sovranità su nessun territorio arabo o musulmano», ha affermato il portavoce della diplomazia iraniana, Bahram Qasemi, secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa «Irna». E anche l’Egitto ha confermato le sue posizioni, confermando di considerare il Golan siriano come un «territorio arabo occupato». E anche una portavoce dell’Unione europea ha affermato di non riconoscere la sovranità di Israele sulle Alture. 

Fonti: TPI, New York Times,Corriere-Redazione Esteri, CBS, CNN, Reuters

2266.- il testo definitivo del Memorandum Italia-Cina. Ci sono anche le tlc

da Start

Ci sono anche le tlc, ma si era sentito dire che Mattarella le avrebbe bloccate. Del resto, la Cina è già dentro l’Ente Nazionale Assistenza al Volo, ENAV. Più di così?

Il Governo della Repubblica Italiana ed il Governo della Repubblica Popolare cinese (di seguito definite “le Parti”) mossi dall’intento di approfondire la cooperazione bilaterale concreta; Accogliendo con favore l’organizzazione del “Belt and Road Forum for International Cooperation”, tenutosi a Pechino nel maggio 2017;

Riconoscendo l’importanza ed i benefici derivanti da un miglioramento della connettività tra Asia ed Europa ed il ruolo che l’iniziativa “Belt and Road” può svolgere a tale riguardo; Richiamando il Comunicato congiunto della Tavola Rotonda dei Leader al “Belt and Road Forum for International Cooperation”;

Richiamando il Piano d’Azione per il rafforzamento della cooperazione economica, commerciale, culturale e scientificotecnologica tra Italia e Cina 2017-2020, adottato a Pechino nel maggio 2017;

Richiamando il Comunicato congiunto della Nona sessione del Comitato intergovernativo Italia-Cina, tenutasi a Roma il 25 gennaio 2019 e l’impegno ivi espresso per promuovere il partenariato bilaterale in uno spirito di mutuo rispetto, uguaglianza e giustizia, con modalità reciprocamente vantaggiose, nell’ottica di una rafforzata solidarietà globale;

Consapevoli del comune patrimonio storico sviluppato lungo le vie di comunicazione terrestri e marittime tra l’Europa e l’Asia, nonché del tradizionale ruolo dell’Italia quale terminale della Via della Seta marittima; Rinnovando il comune impegno all’osservanza degli scopi e dei principi espressi nella Carta delle Nazioni Unite ed alla promozione di una crescita inclusiva e di uno sviluppo sostenibile, in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici;

Richiamando altresì gli obiettivi stabiliti dall’Agenda Strategica di Cooperazione UE-Cina 2020 e i principi che guidano la Strategia UE per la Connettività tra Europa ed Asia adottata nell’ottobre 2018; hanno raggiunto i seguenti intendimenti:

Paragrafo I: Obiettivi e Principi guida della Collaborazione 1.

Le Parti si adopereranno insieme nell’ambito dell’Iniziativa “Belt and Road” al fine di tradurre i rispettivi complementari punti di forza in reciproci vantaggi per una collaborazione concreta ed una crescita sostenibile, sostenendo le sinergie tra l’iniziativa “Belt and Road” e le priorità identificate nel Piano d’Investimenti per l’Europa e le Reti di Trasporto Trans-Europee, tenuto conto delle discussioni in corso in seno alla “Piattaforma di connettività UE-Cina”. In tal modo, le Parti intendono anche rafforzare i rapporti politici, i legami economici e gli scambi diretti tra i due popoli. Le Parti rafforzeranno la collaborazione e promuoveranno la connettività regionale in un contesto aperto, inclusivo e bilanciato, vantaggioso per tutti, così da promuovere la pace, la sicurezza, la stabilità e lo sviluppo sostenibile nella regione. 2. Le Parti promuoveranno la collaborazione bilaterale sulla base dei seguenti principi:

(i) Guidate dagli obiettivi e dai principi della Carta delle Nazioni Unite, le Parti lavoreranno per lo sviluppo e la prosperità comuni, per una più profonda fiducia reciproca e una collaborazione di mutuo vantaggio;

(ii) Nel rispetto delle rispettive leggi e regolamenti nazionali ed in conformità con i rispettivi obblighi internazionali, le Parti si sforzeranno di promuovere il regolare sviluppo dei loro progetti di collaborazione;

(iii) Le Parti esploreranno possibili sinergie e assicureranno coerenza e complementarietà con i meccanismi di collaborazione bilaterali e multilaterali e con le piattaforme regionali di cooperazione già esistenti.

Paragrafo II: Ambiti di Collaborazione. 3 Le Parti collaboreranno nei seguenti settori:

1. Dialogo sulle politiche. Le Parti incoraggeranno sinergie e consolideranno la comunicazione e il coordinamento. Promuoveranno inoltre il dialogo sulle politiche relative alle iniziative di connettività e sugli standard tecnici e regolamentari. Le Parti si adopereranno congiuntamente nell’ambito della Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture (AIIB), al fine di promuovere la connettività, in conformità con gli scopi e le funzioni della Banca.

2. Trasporti, logistica e infrastrutture. Entrambe le Parti condividono una visione comune circa la necessità di migliorare il sistema dei trasporti in un’ottica di accessibilità, sicurezza, inclusione e sostenibilità. Le Parti collaboreranno nello sviluppo della connettività infrastrutturale, compresi aspetti quali le modalità di finanziamento, l’interoperabilità e la logistica, in settori di reciproco interesse (quali strade, ferrovie, ponti, aviazione civile, porti, energia – incluse le energie rinnovabili e il gas naturale – e telecomunicazioni). Le Parti esprimono il loro interesse a sviluppare sinergie tra l’iniziativa “Belt and Road”, il sistema italiano di trasporti ed infrastrutture -quali, ad esempio, strade, ferrovie, ponti, aviazione civile e porti- e le Reti di Trasporto Trans-europee (TEN-T). Le Parti accolgono con favore le discussioni in seno alla “Piattaforma di connettività UE-Cina” tese a migliorare l’efficienza della connettività tra Europa e Cina. Le Parti collaboreranno al fine di facilitare lo sdoganamento delle merci, rafforzando la cooperazione per trovare soluzioni di trasporto sostenibile, sicuro e digitale, nonché nei relativi piani di investimento e finanziamento. Le Parti sottolineano l’importanza di procedure di appalto aperte, trasparenti e non discriminatorie.

3. Commercio ed investimenti senza ostacoli. Le Parti si adopereranno al fine di accrescere investimenti e flussi di commercio in entrambe le direzioni, così come la collaborazione industriale bilaterale, nonché la collaborazione nei mercati di Paesi terzi, attraverso l’individuazione di modalità utili a favorire una reale ed  efficace collaborazione reciproca. Le Parti ribadiscono la comune volontà di favorire un sistema commerciale e di investimenti libero ed aperto, contrastare squilibri macroeconomici eccessivi e opporsi all’unilateralismo e al protezionismo. Nel quadro dell’Iniziativa “Belt and Road”, le Parti incoraggeranno una collaborazione commerciale ed industriale trasparente, non discriminatoria, aperta e libera; procedure di appalto aperte; la messa in opera di un level playing field ed il rispetto per i diritti di proprietà intellettuale. Le Parti esploreranno modalità di collaborazione e di partenariato più strette che siano reciprocamente vantaggiose e che comportino anche il miglioramento della cooperazione Nord-Sud, Sud-Sud e triangolare.

4. Collaborazione finanziaria. Le Parti rafforzeranno la comunicazione ed il coordinamento bilaterali in tema di politiche fiscali, finanziarie e di riforme strutturali, al fine di creare un ambiente favorevole alla cooperazione economica e finanziaria, anche attraverso l’istituzione del Dialogo Italia-Cina a livello finanziario tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze della Repubblica Italiana ed il Ministero delle Finanze della Repubblica Popolare Cinese. Le Parti favoriranno partenariati tra le rispettive istituzioni finanziarie per sostenere congiuntamente la collaborazione in materia di investimenti e finanziamenti, a livello bilaterale e multilaterale e nei confronti di Paesi terzi, nel quadro dell’iniziativa “Belt and Road”.

5. Connettività people-to-people. Le Parti cercheranno di ampliare gli scambi interpersonali, sviluppare la rete di città gemellate, valorizzare il Forum Culturale Italia-Cina per la realizzazione dei progetti di gemellaggio tra siti italiani e cinesi registrati dall’UNESCO quali patrimoni dell’umanità. Esse promuoveranno forme di collaborazione, tra le rispettive Amministrazioni, sui temi dell’istruzione, della cultura, della scienza, dell’innovazione, della salute, del turismo e della previdenza pubblica. Le Parti promuoveranno scambi e collaborazioni tra le rispettive Autorità locali, i mezzi di comunicazione, think-tank, le università e tra i giovani.

6. Cooperazione per lo Sviluppo verde. Le Parti sostengono pienamente l’obiettivo di sviluppare la connettività seguendo un approccio sostenibile e rispettoso dell’ambiente, promuovendo attivamente il processo di transizione globale verso lo sviluppo verde, a bassa emissione di carbonio e l’economia circolare. In questo spirito, le Parti collaboreranno nel campo della protezione ecologica ed ambientale, dei cambiamenti climatici ed in altri settori di reciproco interesse. Le Parti scambieranno opinioni sullo sviluppo verde e promuoveranno attivamente la realizzazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile e l’Accordo di Parigi sui Cambiamenti climatici. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare della Repubblica Italiana parteciperà attivamente alla Coalizione Internazionale per lo Sviluppo Verde nell’ambito dell’iniziativa “Belt and Road”, avviata dal Ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente della Repubblica Popolare Cinese e dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP).

Paragrafo III: Modalità di Collaborazione 

1. Le modalità di collaborazione possono includere – ma non saranno limitate a: (i) Scambi di visite ad alto livello e discussioni nel quadro dei meccanismi di scambio governativi e non governativi già esistenti. Le Parti amplieranno lo scambio di informazioni in vari settori e tramite molteplici canali, allo scopo di aumentare la trasparenza ed incoraggiare la partecipazione da ogni settore della società. (ii)Esplorare la possibilità di avviare programmi-pilota in settori chiave, scambi e cooperazione economica, ricerca congiunta, capacity building, scambi di risorse umane e formazione.

2. Le Parti individueranno modelli di collaborazione reciprocamente vantaggiosi al fine di promuovere l’attuazione dei principali progetti previsti nell’ambito dell’iniziativa “Belt and Road”. Le Parti seguiranno principi di mercato, promuoveranno la collaborazione tra capitale pubblico e privato, incoraggeranno gli investimenti e il sostegno finanziario attraverso modelli diversificati. Entrambe le Parti rinnovano il proprio impegno verso investimenti sostenibili da un punto di vista ambientale e sociale ed economicamente fattibili.

3. Le Parti esploreranno congiuntamente opportunità di collaborazione in Italia ed in Cina e discuteranno della collaborazione nei Paesi terzi. Le Parti si impegnano in favore di modalità di collaborazione vantaggiose per tutti i partecipanti e di 6 progetti che apportino benefici a Paesi terzi, sostenendone le priorità in termini di sviluppo e di bisogni delle popolazioni locali, in maniera sostenibile ed efficace dal punto di vista fiscale, sociale, economico ed ambientale.

4. Le competenti Autorità delle Parti possono finalizzare intese per la collaborazione in settori specifici e per la creazione di appositi meccanismi di collaborazione.

Paragrafo IV: Meccanismi di collaborazione

Le Parti utilizzeranno a pieno i meccanismi bilaterali già esistenti al fine di sviluppare la collaborazione nell’ambito dell’iniziativa “Belt and Road”. Il Comitato Governativo Italia-Cina sarà utilizzato per monitorare progressi e seguiti. Paragrafo V: Divergenze Interpretative Le Parti risolveranno amichevolmente eventuali divergenze interpretative del presente Memorandum d’Intesa mediante consultazioni dirette.

Paragrafo VI: Legge applicabile

Il presente Memorandum d’Intesa non costituisce un accordo internazionale da cui possano derivare diritti ed obblighi di diritto internazionale. Nessuna delle disposizioni del presente Memorandum deve essere interpretata ed applicata come un obbligo giuridico o finanziario o impegno per le Parti. L’interpretazione del presente Memorandum d’Intesa deve essere in conformità con le legislazioni nazionali delle Parti nonché con il diritto internazionale applicabile e, per quanto riguarda la Parte italiana, con gli obblighi derivanti dalla appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.

***

Il presente Memorandum acquista efficacia alla data della firma.

Il presente Memorandum rimarrà valido per un periodo di cinque anni e sarà automaticamente prorogato di cinque anni in cinque anni, salvo che una Parte vi ponga termine dandone un preavviso scritto di almeno tre mesi all’altra Parte.

2265.- CHI E COSA ABBIAMO IMPORTATO DALL’AFRICA

Il Diritto Penale è figlio della Costituzione, costruita intorno alla dignità della persona umana; mira al recupero del reo, alla sua rieducazione. Questi selvaggi non sanno di cosa parliamo, non hanno mai avuto né vogliono un’educazione. La pena di morte sarebbe, per loro, un minus. O li espelliamo, o riscriviamo le regole della, non più nostra, società.


Chi e cosa stiamo importando dall’Africa. E perché?

Cui prodest?” è stata sempre la prima domanda. Può essere che abbiamo importato belve umane, peggio delle belve, per mero tornaconto politico, oppure, per assecondare le losche manovre della finanza sionista? E, allora, può essere che queste motivazioni effimere siano sufficienti per scendere così in fondo nella scala dell’abiezione e dell’orrore? La tecnica del sezionatore, disarticolatore, smembratore di esseri umani, esperto e raffinato, Oseghale a quali ritualità appartiene e su quante persone scomparse è stata provata? Sopratutto, chi e quanti sono i suoi adepti? Di quali protezioni godono? Vengono a mente il mostro di Firenze, il Forteto, le perversioni di molta parte del clero, ma sono pagliuzze o sono le punte di un iceberg? Dal 1974, la statistica del ministero degli interni tiene il conto degli scomparsi. Nel 2018 sono scomparse 4.723 persone in più rispetto al 2017. Dal 1974, ben 57.713, su 229.687, sono scomparsi per sempre, senza lasciare traccia alcuna e i numeri non tengono conto delle decine di migliaia di clandestini, dei minori non accompagnati spariti senza un nome. La sola mafia nigeriana conta, in Italia, 100.000 adepti. Una loro giovane mandatami dal parroco, in cerca di lavoro, mi mostrò una brutta cicatrice all’altezza del fegato. Raccontò che, a Padova, il loro boss di quella città li sosteneva economicamente, ma guai a sgarrare. Gli italiani che hanno vissuto il passato coloniale hanno un caro ricordo della loro Africa, la nominano con pudore; ma sapevamo bene cosa c’è in Africa. Ce lo dissero i Martiri di Kindu. L’orripilante fine di Pamela Mastropietro apre alla vista un baratro che non si vuole vedere. Perché? Per compiacere a chi? Sono gli stessi che hanno oscurato i due piccoli italianissimi eroi di San Donato milanese, Niccolò e Riccardo? L’Africa ci ha dato due Medaglie d’Oro al Valor Militare, ma com’è possibile farsi proseliti di un’accoglienza indiscriminata? In nome di che?

Questo articolo, scritto di getto, da Maurizio Blondet, dovete leggerlo. Mario Donnini

OSEGHALE HA SMEMBRATO ALTRE PAMELE. QUANTE E DOVE, NESSUNO DOMANDA

di Maurizio Blondet

Nell’udienza a porte chiuse per il ritualist  nigeriano Innocent Oseghale,  assassino di Pamela e abile smembratore-macellatore  del suo corpo,  i giornalisti  hanno avuto il permesso di restare in aula. Hanno visto   quelle che – con l’immaginifico linguaggio dei cronisti da quattro soldi-   ha definito “foto choc”.  Punto e basta.

Gli articoli  di quel  che han visto e sentito dai tre medici legali che hanno parlato e spiegato,  sono di poche righe.

Sappiamo che il tossicologo, professor Rino Froldi, ha escluso che Pamela fosse in overdose –   come sostiene l’assassino –  spiegando che “senza più sangue ed urine” [tutto perfettamente  ed accuratamente  dilavato e pulito anche con   la varechina] ha dovuto anche a cercare la sostanza stupefacente nell’umor vitreo dell’occhio”.

Il medico legale Antonio Tombolini, che ha condotto la prima autopsia sul corpo a pezzi, “ha parlato del trattamento con varechina sulla pelle e sui genitali  della diciottenne, “finalizzato a cancellare ogni traccia di un precedente rapporto sessuale”.  Incidentalmente viene aggiunto che “i genitali sono stati tagliati via” e poi lavati con    la varechina.

Il nigeriano sostiene che,  appunto, Pamela era già morta quando lui l’ha fatta a pezzi.  Invece “il medico legale  Mariano Cingolani ha dimostrato che le due coltellate al fegato erano state inferte quando Pamela era viva”  – colpendola deliberatamente e con perizia  di esperto e sperimentato omicida.  “La disarticolazione invece è avvenuta dopo la morte”. Meno male, almeno questo.

Una mano così esperta deve essersi esercitata. Molto

La “disarticolazione” è  spiegata  molto rapidamente – come sanno essere delicati i colleghi giornalisti – citando pochissime parole de professor Cingolani. “I  tagli sono precisi, alla schiena ad esempio all’altezza dei dischi, che sono più elastici. Un’opera molto raffinata: io faccio autopsie da 40 anni e lo avrei fatto in modo analogo». Il professore ha aggiunto che “in Italia non ci sono casi di disarticolazione”  prima di questo.

Bisogna cercare articoli di mesi prima per ricordare come il professor Cingolani fosse sorpreso:  “Se per assurdo avesse dovuto fare quest’operazione un medico legale, in un laboratorio e con tutti gli strumenti del caso a sua disposizione, ci sarebbero volute almeno otto ore”.

Ora, se  il nigeriano  è capace di smembrare il corpo di Pamela in modo così raffinato da meravigliare un perito  settore che fa autopsie da 40 anni, dovrebbe venire da sé la domanda: quante altre volte l’ha fatto, prima,  il negro?  Perché deve aver imparato  certi segreti del mestiere, come tagliare all’altezza dei dischi perché sono più elastici. Una pratica che comporta altre esercitazioni, su altri corpi. In Nigeria, sicuramente. Ma in Italia, quanti? Quanti   altri corpi ha magari fatto a pezzi qui, il negro, per acquistare quella mano e quell’esperienza.

E’ certo  che  non sono state uccise e tagliate a pezzi altre Pamele? Perché non se lo domandano gli investigatori? Se lo domandano i giudici?

Sopire, troncare, sminuire…

Perché in tutta questa storia orribile sembra aleggiare nell’ambiente di Macerata dove Oseghale era protetto, dove la Caritas  gli pagava l’affitto eccetera, un velo protettivo? Perché il GIP, appurato che Oseghale aveva portato i due trollery col corpo da casa sua a qualche chilometro fuori Macerata, ha detto che non c’erano prove che l’avesse uccisa?

Mi sono domandato: se  venissi  sorpreso io, Maurizio Blondet,  mentre porto un cadavere a pezzi  in due valige, non sarei  immediatamente accusato anche dell’omicidio?

E  perché  non sono stati i giornali cosiddetti seri e i tg  mainstream,  ma  il settimanale di cronaca nera “Giallo”  – un giornalaccio,  Dio lo benedica –   a raccontare i particolari più importanti che descrivono tutto un  ambiente?  La storia di  “Patrick”,  vero nome  Mouthong Tchomchoue, del Camerun,  tassista abusivo.  “Quella sera ha prelevato Oseghale in via Spalato alla 22.55. Il nigeriano è sceso da casa con due trolley che ha voluto personalmente caricare in auto, senza che il “tassista” lo aiutasse. Quindi, gli ha detto di portarlo a Tolentino. Qualche chilometro fuori Macerata, però, Oseghale ha detto all’autista di fermarsi, ha scaricato sul ciglio della strada le due valige e s’è fatto quindi riportare a Macerata in via Spalato”.

Lasciare due grossi e pesanti trolley sul ciglio della strada, non è proprio normale. Infatti Patrick il  “tassista” torna lì: per sperare di recuperare qualcosa del contenuto? Secondo il suo stesso racconto, “ha accostato l’auto e aperto uno dei trolley. Ma quando, nel buio e aiutandosi con la luce del cellulare, ha intravisto quella che sembrava essere una mano, è risalito in auto e si è allontanato velocemente”.

Non è andato subito dalla polizia, il camerunese. Quando ha sentito alla tv che un corpo smembrato era stato trovato in due valige, Patrick è tornato sul posto,  ha visto gli agenti al lavoro, e solo allora è andato al commissariato a raccontare  l’accaduto della notte.   Non voleva guai? Aveva paura di Oseghalòe? Semplicemente,   se   ne infischia? O magari non è poi così  insolito,  nei dintorni di Macerata, trovare valige sui cigli con dentro altre Pamele?

Già. Se l’è chiesto anche l’avvocato Marco Valerio Verni, che è lo zio di Pamela oltre che il legale della famiglia Mastropietro: “Perché lasciare  i trolley con i suoi resti sul ciglio della strada, dove chiunque li poteva vedere?”. Oseghale li ha lasciati lì perchè qualcun altro sarebbe dovuto passare a prenderli e poi così non è stato? Oppure, si tratta di un avvertimento a qualcuno? E nel caso, a chi?”. Domande  –  ha scritto Libero  –  che suggeriscono il sospetto da parte di Verni che  in realtà la vicenda non sia chiusa qui per quanto riguarda il numero di persone coinvolte, e che ci siano altre persone che quantomeno erano informate di quel che è accaduto in quell’appartamento di Macerata”.

Il camerunese ha testimoniato “che durante il viaggio d’andata con le valige, Oseghale ha fatto una telefonata in inglese, mentre sulla via del ritorno a Macerata dopo aver lasciato le valige ha parlato, sempre al telefono, con  una donna”. Sarà  stata identificata quella donna? E quello con cui  parlava in inglese?

Perché  in questo orrore sembra siano in atto sforzi per restringere, limitare al mero necessario l’indagine e i coinvolti, anziché allargare  l’inchiesta? E’  certo che Oseghale si vanta di essere il capo della mafia nigeriana, setta Black Cat, e in carcere  al compagno di cella (informatore della polizia) ha promesso: : “Ti do centomila euro se testimoni che sai che Pamela è morta di overdose. I soldi arriveranno da Castelvolturno, tramite gli avvocati”».

Magari  a Castelvolturno ci sono altri specialisti della disarticolazione?  Altre  Pamele fatte a pezzi? Perché la tecnica raffinata di Oseghale dice che l’ha già  fatto, e tante volte. Perché  non si ha urgenza di sapere quante? Perché a Castelvolturno i nigeriani  “sotto gli occhi di tutti, gestiscono soldi, prostituzione, armi, droga e, secondo alcuni, anche il traffico di organi”? Organi?

Non vorrei che questa restrizione  mentale degli inquirenti, questa laconicità e riduzione del processo al solo Oseghale per un solo omicidio-smembramento,  mentre la sua perizia ci dice che ne ha fatto chissà quanti altri, dipenda dal voler nascondere all’opinione pubblica la dimensione enorme e mostruosa del fenomeno   – perché il fenomeno  l’hanno importato i governi Renzi e Gentiloni, e perché  si sa,  gli italiani “sono razzisti” ,  “anti-immigrati”,  e non devono essere eccitati  in questi loro  negativi sentimenti.  Mi viene questa idea, perché  abbiamo tutti visto lo sforzo enorme dei  progressisti che controllano tv, radio e giornali, di imporre un linguaggio, come dire? castigato e politicante corretto non dare adito a “percezioni” deplorevoli negli italiani fin troppo inclini al razzismo – e, perciò, a votare Salvini.

Dico questo perché  ssecondo un noto giornalista radio-televisivo, la  tentata strage dei 51 bambini doveva essere raccontata così: “Autista  squilibrato crea code sulla Paullese. Non altro”, essendo la notizia vera da diffondere “il nostro ministro dell’Interno  è razzista”.

2264.- Perché non convincono del tutto le sintonie a 5 stelle fra Italia e Cina


di Gianfranco Polillo

via della Seta

Difficile non vedere in tutto questo movimento l’inizio di una piccola rivoluzione, dopo anni di torpore, in cui la Cina, in Europa, ha ottenuto quello che voleva, senza colpo ferire. Il commento di Gianfranco Polillo

La terza legge della dinamica stabilisce che a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Questo principio della fisica, a volte, vale anche per la politica. Non avviene sempre, ma di sicuro quando si è troppo ecceduto. Fino a qualche settimana fa i rapporti tra l’Occidente e la Cina popolare erano vissuti con grande discrezione. Ognuno faceva i propri affari, anche se quelli cinesi, data la mole di quel Paese, ma soprattutto la maggior potenza economica e finanziaria, erano certamente migliori.

Poi l’enfasi riporta dal Governo italiano sul memorandum of understanding che avrebbe dovuto dischiudere la “nuova via della seta”, unito al fantasmagorico viaggio di Xi Jinping, a Roma, con il suo numeroso seguito di dignitari, ha acceso un faro. E dato sostanza alle precedenti riserve americane, culminate nel suggerimento dell’ambasciatore Eisenberg. Rivolgendosi a Luigi Di Maio, in procinto di recarsi a Washington, secondo quanto riporta “Il sole”, lo avrebbe messo in guardia: sarà accolto con gentilezza, ma anche con molte, molte riserve.

Più istituzionale la reazione europea. Qualche giorno fa, esattamente lo scorso 13 marzo, la Commissione Europe aveva pubblicato un paper (Foreign direct investment in the Ue), in cui si aggiornavano precedenti studi in materia. Ma, soprattutto, si cercava di illustrare in che modo l’Europa stessa potesse essere condizionata dalla presenza del capitale estero. Specie se proveniente da quelle parti del Mondo (paradisi fiscali, mondo arabo o Cina comunista) considerate meno affidabili.

Inevitabile un lungo capitolo sulla Cina popolare in cui se ne metteva in evidenza la grande espansione, intervenuta soprattutto a partire dal 2013. Epoca in cui gli investimenti, in Europa, raggiungevano il valore di 25 miliardi, rispetto ai 2,5 del 2009 – 2010. Con l’aggravante ch’essi erano effettuati soprattutto da aziende pubbliche, controllate in larga misura dallo Stato centrale. La cui influenza – si legge nel rapporto – poteva orientare le acquisizioni di imprese europee più da un punto di vista strategico che non commerciale o finanziario. Tanto più che quelle stesse aziende potevano contare, grazie alla presenza dello Stato, su straordinari apporti finanziari.

Semplice teoria? Tutt’altro. Mentre a Roma il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, firmava, con la Cina, un protocollo, che, a suo dire, aveva solo un valore simbolico. Come se i simboli non contassero in politica estera. Bruxelles si apprestava a decretare un vero e proprio stato di assedio. Avendo la responsabilità della politica commerciale, ai quali principi i singoli Stati dovranno attenersi, intendeva varare un complesso di regole destinate, in qualche modo, a limitare le scorrerie che fino ad allora si erano verificate.

Saranno, ovviamente, regole generali. Ma che hanno un centro di imputazione precisa. Come facile vedere l’imputato numero uno è proprio la Cina. In prospettiva, infatti, vi dovrà essere uno screening sugli investimenti esteri. Saranno benvenuti quelli che non portano problemi. Respinti quelli che generano sospetti di natura politica. Sarà, in particolare, un’Autorità indipendente a valutarne i profili. Mentre una sorta di “golden power” europeo distinguerà i settori strategici da quelli semplicemente commerciali.

Altro tema è quello delle aziende pubbliche, partecipate dallo Stato. Non sarà consentito loro di partecipare ad eventuali appalti, per non alterare il principio di concorrenza. È infatti evidente che vi sarebbe uno squilibrio di base inaccettabile, data la loro maggiore facilità nel procurarsi le necessarie risorse finanziarie. Stessa cautela per l’acquisizione di altri asset su base competitiva. Vi dovrà, poi, essere reciprocità: quella trasparenza invocata dallo stesso Presidente della repubblica, Sergio Mattarella. Sarà impedito l’ingresso di quelle aziende i cui Paesi applicano limitazioni inaccettabili nei confronti di quelle europee.

Sullo sfondo, infine, la necessità di contribuire attivamente alla nascita di quei “campioni europei” che rappresentano la diga più forte al predominio in Europa dei grandi gruppi internazionali. Siano essi americani, cinesi o semplicemente apolidi. L’impegno maggiore dovrebbe essere prodotto proprio nei settori più strategici ed a più alto contenuto tecnologico. Imponendo quelle modifiche alla stessa legislazione antitrust che molti Paesi europei hanno usato come una clava, per impedire processi di razionalizzazione produttiva. Che alcuni di questi Paesi, poi, avessero già firmato gli accordi con la Cina, può essere letto maliziosamente, ma con una forte probabilità di non sbagliare.

Difficile non vedere in tutto questo movimento l’inizio di una piccola rivoluzione, dopo anni di torpore, in cui la Cina, in Europa, ha ottenuto quello che voleva, senza colpo ferire. Sembra quasi una legge del contrappasso. Xi Jinping che giunge a Roma per siglare l’intesa del secolo, con un Paese del G7; Bruxelles che, pur tra inchini e sorrisi, risponde alzando i ponti levatoi. Se fosse così, i 5 stelle non dovrebbero essere molto contenti. Hanno gestito l’affaire, violando regole e consuetudini internazionali. Hanno, di fatto, estromesso la Farnesina e concentrato tutto sul Ministero dello sviluppo economico. Come se la crescita degli scambi commerciali fosse un variabile indipendente rispetto alla politica estera. Ed ora si trovano isolati, nel mezzo di una piccola bufera. Di cui, forse, non hanno ancora contezza. Ma che presto ricadrà sulla loro testa.

2263.- Huawei con il 5G potrà spiare le basi Nato in Italia. Report centro studi Machiavelli


di Francesco Bechis e Rebecca Mieli . Il saggio sarà commentato nella sua stesura integrale in una prossima riunione.

Alcune nazioni occidentali si stanno trovando di fronte all’eventualità di implementare una tecnologia estremamente rilevante e invasiva tutta completamente ideata e gestita dalla Cina, e questa circostanza potrebbe tradursi in un prezzo da pagare in termini di sicurezza nazionale. A tal proposito, attraverso la rete 5G, la Huawei potrebbe avere accesso anche ai dati sensibili di milioni di cittadini in tutto il mondo. Ecco un estratto del report realizzato dal giornalista Francesco Bechis e dall’analista Rebecca Mieli per il centro studi Machiavelli promosso da Guglielmo Picchi, attuale sottosegretario della Lega agli Esteri

Nell’ambito di un imponente conflitto geostrategico ed economico tra Cina e Stati Uniti, la questione del 5G sta acquisendo un’importanza primaria, soprattutto per quanto concerne i presunti rischi alla sicurezza nazionale americana e dell’area atlantica. Oltre alle tensioni che circondano lo sviluppo della rete ultraveloce, negli ultimi mesi si sono sollevate anche numerosi voci circa i rischi della catena di approvvigionamento globale delle telecomunicazioni, in particolare dalle agenzie di intelligence americane, come la National Security Agency.

Questi dubbi circondano in primo luogo le compagnie di telecomunicazioni cinesi più importanti, ovvero Huawei e Zte (la seconda di proprietà statale), le quali secondo quanto contenuto dell’articolo 7 della legge cinese sull’intelligence emanata nel 2007, hanno – come tutte le aziende – l’obbligo di fornire ai servizi segreti di Pechino qualsiasi informazione ottenuta nell’esercizio del proprio lavoro all’estero. Gli Stati Uniti in particolare temono una rete globale o in larga parte controllata dalla Cina, considerandola un forte rischio per la propria sicurezza nazionale e per quella dei propri alleati. In primo luogo, dopo la scoperta di alcune backdoor inserite dai produttori cinesi nelle supply chain di alcuni prodotti della Super Micro, dal quale vengono assemblati devices di notissimi colossi tech Usa, Washington ha accusato la Cina di perpetrare attività di spionaggio attraverso dispositivi tecnologici.

Per questa ragione – a prescindere dallo sviluppo della rete 5G – le tecnologie hardware prodotte dai colosso tech cinesi sono state vietate da qualsiasi utilizzo istituzionale e governativo, nonché agli appaltatori governativi. Oltre alla questione dello spionaggio politico perpetrato attraverso backdoor, una delle maggiori critiche mosse all’affidabilità delle aziende cinesi nell’area delle telecomunicazioni è il fatto che il progetto della rete di nuova generazione collegherà centinaia di dispositivi contemporaneamente, andando senza dubbio ad aumentare le vulnerabilità degli stessi. Il dibattito sta coinvolgendo progressivamente sempre più Stati, dai Paesi in via di sviluppo (che grazie ai bassi costi delle aziende cinesi hanno l’opportunità di abbracciare queste nuove tecnologie) fino alle grandi potenze mondiali, europee e non, interessate a proficue collaborazioni con la Cina, ma allo stesso tempo preoccupate per la propria sicurezza nazionale.

Non sono da sottovalutare le remore statunitensi circa il traffico di dati sensibili che si ritroverebbero a viaggiare su una rete internet di progettazione cinese. Nei Paesi Nato (soprattutto Italia e Germania) queste preoccupazioni si accentuano a causa della presenza di basi militari e statunitensi e dell’Alleanza. Comunicazioni riguardanti informazioni militari o di intelligence potrebbero essere messe a rischio da una rete vulnerabile, un rischio che gli Stati Uniti (soprattutto secondo quanto dichiarato dal segretario di Stato Mike Pompeo) non sono intenzionati a correre e che si potrebbe tradurre nell’interruzione dei rapporti informativi tra funzionari militari e di intelligence.

L’approccio end-to-end della Huawei al 5G, ovvero quello per il quale l’azienda si propone di fornire sia componenti hardware sia software, rende l’azienda cinese attraente dal punto di vista del prezzo, ma problematica dal punto di vista delle vulnerabilità.

A tal proposito, rientrerebbero nelle sue competenze anche aggiornamenti e patch attraverso il quale – anche tramite backdoor – la Repubblica Popolare potrebbe prelevare un imponente flusso di informazioni. Ciò potrebbe costituire un grosso problema, soprattutto dopo le numerose accuse di furto di proprietà intellettuale, spionaggio economico e industriale.

Alcune nazioni occidentali si stanno trovando di fronte all’eventualità di implementare una tecnologia estremamente rilevante e invasiva tutta completamente ideata e gestita dalla Cina (ndr: Chi pensava che l’austerità avrebbe consentito alle nazioni europee di competere sui mercati mondiali, non teneva in conto, né che le università cinesi laureano un milione e mezzo di ingegneri all’anno né i capitali accumulati dalla Cina), e questa circostanza potrebbe tradursi in un prezzo da pagare in termini di sicurezza nazionale. A tal proposito, attraverso la rete 5G, la Huawei potrebbe avere accesso anche ai dati sensibili di milioni di cittadini in tutto il mondo.

La sicurezza dei dati e la privacy dei cittadini, altro grande pilastro della sicurezza dei Paesi occidentali, andrebbe a scontrarsi inevitabilmente – secondo i più critici – con la preponderanza assoluta della legge sull’intelligence cinese. Le aziende che – come Huawei – si faranno promotrici di una rete internet ultraveloce «Made in China», andrebbero quindi non solo a disporre della capacità di estrarre informazioni classificate nei confronti dell’Alleanza Atlantica e dei suoi Stati Membri, ma anche di dati e informazioni sensibili riguardanti la cittadinanza qualora richieste dai Servizi segreti cinesi.