Archivio mensile:marzo 2018

1733.- “La guerra in Siria è una guerra economica fra due gasdotti che si fanno la concorrenza”

Nel sangue dei curdi, abbandonati da tutti al loro destino, e dei siriani si svolgerà la spartizione delle zone d’influenza sull’ex impero ottomano. Per capire la politica degli USA, di Israele, della Russia, e di Turchia, Gran Bretagna, Francia, Arabia Saudita e Qatar, leggiamo:

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di Juan Manuel Olarieta
https://movimientopoliticoderesistencia.blogspot.it/2017/01/la-guerra-de-siria-es-una-guerra.html

In un’intervista a un quotidiano italiano, il presidente siriano Bashar al Assad ha affermato che la causa scatenante della guerra in Siria è stata il rifiuto opposto dal suo governo al passaggio di un gasdotto che doveva attraversare il paese per portare il gas del Qatar in Europa attraverso la Turchia.

Assad afferma che il piano qatariota, offerto nel 2000, era un gasdotto che doveva attraversare la Siria da nord a sud; ma c’era un altro progetto di oltre 1.500 chilometri per farlo da est a ovest e arrivare al Mediterraneo attraversando l’Iraq dall’Iran. I rispettivi patrocinatori, il Qatar e l’Iran, hanno le principali riserve mondiali di gas naturale. Il gasdotto qatariota avrebbe permesso agli emiri del Golfo sia di aumentare sia il volume delle esportazioni, sia di ridurre i costi e le limitazioni di volume imposti dal trasporto marittimo. Il Qatar ha bisogno di una flotta di 1.000 navi cargo, con costi esorbitanti.

I due progetti erano in concorrenza ma non erano sul medesimo piano perché il progetto, quello del Qatar, oltre a rappresentare una fonte di proventi per gli emiri del Golfo, aveva due funzioni strategiche ulteriori, contro due paesi antagonisti degli Stati uniti: all’Iran avrebbe tolto l’accesso al mercato europeo e quanto alla Russia, avrebbe fatto la concorrenza al suo gas da sud, mandandolo in Europa attraverso la Turchia.

Nel 2010 il governo di al-Assad optò per il secondo gasdotto, a scapito del primo. L’anno dopo, a quattro mesi dall’inizio della cosiddetta primavera araba, il governo di Damasco firmava l’accordo con l’Iran, uno degli incubi peggiori delle monarchie sunnite del Golfo e degli imperialisti. Un fatto inammissibile. La conseguenza fu appunto la guerra, scatenata nel 2011 grazie alle interferenze esterne.

Sul lato russo, il piano qatariota era un tentativo di asfissia perché l’impresa Gazprom fornisce all’Europa la quarta parte del fabbisogno in gas e gli introiti rappresentano la quinta parte del bilancio statale.

Dopo sei anni di guerra, l’esito non può essere più disastroso per l’imperialismo perché – in un sol colpo – ha perso due pedoni ed è possibile che li perda tutti. Il primo pedone è la Turchia e il secondo è il Qatar.

Come conseguenza dell’esito della guerra in Siria, la Turchia sembra volersi sottrarre dall’influenza della Nato. E, rispetto ai gasdotti, ne passerà in Turchia un terzo, che porterà il gas russo attraverso il mar Nero; inoltre, ormai, oltre alla Siria, l’Iran può contare sulla Turchia come sbocco per il suo gas.

L’altro lacchè che ha smesso di ballare al suono della musica di Washington è il Qatar, che fino a ieri era l’alleato più fidato che gli Usa avevano nella regione. Sono in Qatar due delle principali basi militari imperialiste e la sede del comando centrale degli Usa in Medioriente. Ebbene, sembra che l’abilità di Putin, con una delle sue sorprendenti manovre, abbia toccato anche il Qatar: l’agenzia petrolifera russa Rosneft, la più grande al mondo, ha venduto il 20% delle proprie azioni al Qatar. La Russia ha incassato oltre 10.000 milioni di euro con i quali pagherà la riduzione degli introiti provocata dalle sanzioni economiche degli imperialisti. Eppure, sembra che sia stata Mosca a fare un favore agli arabi.

Questa cessione non è puro e semplice business, perché Rosneft non è un’impresa privata. Si tratta qui di politica e diplomazia, un inizio di accordo fra Qatar e Russia i cui passi successivi sono imprevedibili. E’ possibile sospettare che dietro il Qatar andranno le altre monarchie del Golfo, compresa l’Arabia saudita, che già ha accettato un accordo con la Russia per stabilizzare i prezzi mondiali del petrolio. Se questo avverrà, sarà la fine dell’Accordo del Quincy (1945) e la totale scomparsa degli Stati uniti dallo scenario mediorientale.

Ma la capacità i traino del Qatar non si limita agli sceicchi del Golfo e arriva alla stessa Europa, il cui vergognoso intervento nella guerra in Siria non si spiega con l’obbedienza al diktat statunitense ma con la dipendenza finanziaria di alcuni paesi europei dal Qatar. Se gli emiri arrivano a un accordo con la Russia e, dunque, con la Siria, la Turchia e l’Iran, il loro denaro trascinerà un’Europa ridotta alla mendicità verso posizioni simili, e cioè verso un accordo con la Russia.

Per terminare, occorre aggiungere che, come ha detto Assad, i gasdotti sono “uno degli elementi” che hanno contribuito a scatenare la guerra; non l’unico. Non dimentichiamolo.

traduzione a cura di Marinella Correggia

1732.- Così noi europei inventammo il Medio Oriente

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da limes

Conversazione con Eugene Rogan, professore di Storia del Medio Oriente moderno al St Antony’s College.
a cura di Federico Petroni

LIMES Riferendosi ai paesi mediorientali nati dopo la Prima Guerra Mondiale, in una delle sue pubblicazioni lei scrive: «La loro genesi gettò le basi di molti conflitti che avrebbero in seguito costellato la regione». A cosa si riferisce?
ROGAN Come cerco di mostrare in The Arabs, all’indomani della Prima Guerra Mondiale le potenze europee si accordarono tra loro sul modo in cui spartirsi i territori dell’impero ottomano e sulla forma da dare agli Stati sorti dalle sue ceneri senza la minima consultazione delle popolazioni e delle élite locali… Se guardiamo ai nazionalismi insoddisfatti o ai territori disputati, possiamo identificare precisi problemi nelle relazioni internazionali le cui origini possono essere rintracciate nelle frontiere disegnate durante e dopo la Grande guerra.
Un esempio è il fatto che non sia mai nato uno Stato curdo, nonostante già alla fine del conflitto i curdi fossero stati identificati come gruppo nazionale. Il trattato di Sèvres prevedeva la creazione di uno Stato curdo, ma rimase sulla carta. Disattendendo le aspirazioni nazionaliste curde si innescò il processo in virtù del quale assistiamo a periodiche ribellioni, insurrezioni come quelle del Pkk o violenze di Stato come quelle perpetrate in passato in Iran o in Iraq.
LIMES Quello kemalista non era comunque un progetto europeo.
ROGAN Si prenda allora il caso palestinese: quei territori furono promessi a tre parti diverse durante il conflitto. Prima, nella corrispondenza McMahon-Hussein del 1915 tra il residente britannico del Cairo e lo šarīf della Mecca, la Palestina fu promessa a quello che sarebbe dovuto diventare lo Stato degli arabi. Poi, l’accordo Sykes-Picot del 1916 introdusse l’idea di porre quelle terre sotto tutela internazionale. Infine, la dichiarazione Balfour le promise agli ebrei. Il risultato fu una rivalità tra due nazionalismi incompatibili che avrebbe reso il Mandato britannico in Palestina il più disfunzionale dell’intero Medio Oriente. E innescato un conflitto che arriva sino ai giorni nostri. Un altro perfetto esempio è il Libano. La Francia s’imbarcò in un progetto di ingegneria frontaliera per ritagliare ai cristiani del Monte Libano il territorio più vasto possibile affinché essi potessero dominare il futuro Stato. Un’operazione mal concepita sin dall’inizio, perché il tasso di natalità tra i musulmani si rivelò molto più alto di quello dei cristiani: già dagli anni Quaranta i cristiani del Libano erano una minoranza nello Stato che governavano. Per cercare di bilanciare questi squilibri, i libanesi svilupparono una forma di governo settario che, nella sua rigidità, è stata la fonte di due grandi guerre civili, nel 1958 e nel 1975-1990, nonché delle attuali tensioni.

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LIMES C’è una correlazione tra l’instabilità che oggi flagella paesi come Egitto, Turchia o Iraq e il fatto che alcuni di questi Stati sono figli della prima guerra mondiale?
ROGAN Non li vedo tanto come figli ma come nipoti della Grande guerra. Britannici e francesi furono colonizzatori molto tenaci, opposero resistenza alle forze nazionaliste con ogni strumento – politico, militare, diplomatico – ed è solo nel secondo dopoguerra, con gli imperi ormai molto indeboliti, che le regioni mediorientali furono in grado di raggiungere l’indipendenza. Ma le élite nazionaliste che avevano guidato la lotta per l’indipendenza, molte delle quale istruite in Europa, erano ormai compromesse dal precedente fallimento nel negoziare la libertà. Quando un’ondata rivoluzionaria spazzò la regione, queste élite furono rimpiazzate da militari e tecnocrati. Ed è questo il Medio Oriente con cui facciamo i conti oggi. Ecco perché li definisco nipoti della Prima Guerra Mondiale.
LIMES Un figlio ancora in vita però c’è: la Giordania.
ROGAN Vero, in Giordania governa ancora la casa regnante posta sul trono dai britannici dopo la Prima Guerra Mondiale. Ed è stata in grado di gestire tre successioni senza grossi problemi all’interno dei confini ereditati dal Mandato britannico. Nonostante re Hussein abbia dovuto resistere alle pressioni dei nasseriani e a tentativi di golpe e di omicidio, nel tempo le istituzioni monarchiche si sono rafforzate. Certo, oggi re ‘Abdallāh non gode della popolarità del padre e nel 2011 anche la Giordania è stata scossa dalle richieste popolari di cambiamento che spazzavano il mondo arabo. Tuttavia, credo che i giordani – vedendo la guerra civile in Siria, le sommosse in Egitto e in Yemen, lo Stato fallito libico – siano ora molto riluttanti a scagliarsi contro il regime e a rischiare di importare l’instabilità che li circonda.

LIMES A proposito della Siria, l’odierna instabilità è un lascito della Grande guerra?
ROGAN Non imputerei la guerra civile siriana ai confini tracciati dalle grandi potenze dopo la Prima Guerra Mondiale. Nella lotta nazionalista contro il Mandato francese, la Siria sviluppò un’identità nazionale che godeva di un sostegno popolare molto vasto. In un certo senso, questa è l’ironia della rivolta contro Assad: all’inizio era un movimento trasversale alle varie comunità siriane che mirava a ottenere più libertà politiche. Sono convinto che se Assad avesse allargato la sfera politica sarebbe stato rieletto presidente: i siriani non vedevano il dominio alauita come il problema principale, erano preoccupati piuttosto dalla scarsa partecipazione politica e dall’uso dell’intimidazione e della violenza contro i cittadini.
LIMES Ritiene quindi che i confini mediorientali, tracciati nella sabbia dalle potenze coloniali, siano diventati reali nel corso del tempo?
ROGAN Nel XX secolo, la lotta per l’indipendenza e il processo di formazione dello Stato ha reso possibile a confini indiscutibilmente artificiali di acquisire un valore reale. Per quanto riguarda la Siria, la sua popolazione non ha messo in discussione quelle frontiere né la Siria in quanto Stato. Per questo motivo credo che la Siria – e l’Iraq, anche se solo in parte – sia riuscita a sviluppare una certa identità nazionale. In certi casi poi la creazione di alcuni paesi è avvenuta in modo autonomo. Non penso solo alla Turchia, uno Stato a tutti gli effetti. Penso anche all’Arabia Saudita, creata con le sue stesse forze. Certo, i britannici posero dei paletti – in Kuwait e in Transgiordania – ma l’Arabia Saudita gode della legittimità che le deriva, oltre dal controllo sulle città sante, dall’aver in gran parte stabilito autonomamente i propri confini.
LIMES Eppure altrove le potenze europee assemblarono territori che spesso avevano poco a che spartire l’uno con l’altro.

ROGAN Vero. In questi territori non c’era un’idea coerente di Stato nazionale. Gli ottomani avevano identificato il nazionalismo come la più grave minaccia per l’impero – dopotutto era stato la forza che aveva fatto esplodere i Balcani sottraendoli a Costantinopoli. Nei territori arabi questo significò che le discussioni sulla questione nazionale furono immediatamente soppresse, spingendo alla clandestinità o all’esilio in Egitto, a Parigi o nelle Americhe chi ne volesse parlare liberamente. Gli arabi stavano solo incominciando a discutere le proprie idee di nazione e di nazionalismo quando all’orizzonte balenò la possibilità del crollo dell’impero ottomano, dopo quattro secoli un’eventualità considerata inimmaginabile. È solo nell’ottobre-novembre 1918, quando gli ottomani si ritirarono dal mondo arabo, che gli arabi politicamente attivi iniziarono a discutere il loro destino e come declinare lo slancio wilsoniano per l’autodeterminazione. Ma era troppo tardi. Francia, Russia e Gran Bretagna avevano già stretto accordi di spartizione dell’impero ottomano, a partire dal patto di Costantinopoli del 1915 con cui la Russia reclamava il Bosforo e i Dardanelli, lasciando alla Francia i territori siriani e alla Gran Bretagna il diritto di decidere in futuro cosa riservarsi. Così gli arabi si trovarono di fronte una soluzione imposta dall’esterno. Quello che sappiamo dei dibattiti dell’epoca è che molte organizzazioni cercarono di mandare delegazioni alla conferenza di pace di Versailles. C’era chi progettava uno Stato mesopotamico con Baghdad e Bassora e chi ne invocava un altro nel bilād al-Šām, la grande Siria. Dopo la «rivolta araba», molti volevano fare della Siria un regno, con a capo Faysal della dinastia hascemita. C’erano le comunità raccolte attorno al Monte Libano che puntavano sulla loro relazione speciale con la Francia per creare uno Stato cristiano e furono molto attive nell’attività di lobbying a Versailles. Infine c’erano i sauditi che stavano costruendo autonomamente il loro Stato a suon di conquiste. Se gli arabi fossero stati consultati, la mappa del Medio Oriente sarebbe stata molto diversa.

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LIMES Cioè?
ROGAN Se gli europei non si fossero spartiti le province arabe e avessero permesso agli hascemiti di instaurare monarchie in Mesopotamia, Siria e Hiğāz , sarebbe molto probabilmente esploso un conflitto tra gli stessi hascemiti e i sauditi. Le relazioni erano già molto tese e i sauditi erano più forti, come dimostra la presa dello Hiğāz negli anni Venti. Sarebbe stato difficile contenerli, visto il furore delle loro schiere di ihwān: avrebbero potuto facilmente conquistare il regno di Faysal in Siria e almeno l’area di Bassora. La tendenza sembrava puntare verso la creazione di un impero arabo saudita con capitale Riyad. E forse nel Nord dell’attuale Iraq si sarebbe creato uno Stato curdo.
LIMES E il sionismo?
ROGAN Il sogno sionista è diventato realtà solo grazie all’intervento britannico. Di tutti i movimenti nazionalisti che parteciparono alla conferenza di pace di Parigi, i sionisti erano quelli con meno chances di farcela. Perseguivano un’agenda nazionalista in un territorio in cui non avevano presa demografica. Le popolazioni ebraiche della Palestina prima del 1917 erano molto inferiori al 10%: non era realistico creare una realtà nazionale in una situazione simile. Era possibile solo con una massiccia immigrazione. E una simile immigrazione può essere tollerata solo grazie al supporto di una grande potenza: senza l’intervento britannico in nessun modo i sionisti sarebbero stati in grado di persuadere la popolazione locale ad accettare l’enorme afflusso di popolazione, tale non solo da creare una nazione ma uno Stato. Non ho dubbi che senza la dichiarazione Balfour non ci sarebbe stato uno Stato ebraico in Palestina.
LIMES Un altro elemento che indebolì i popoli arabi all’indomani della guerra fu la scarsa preparazione a farsi carico di uno Stato.
ROGAN Di sicuro loro erano convinti di esserne in grado, o almeno così emerge dalle varie rappresentazioni che le delegazioni arabe fecero di loro stesse alla conferenza di pace di Parigi. Sostennero che non erano meno in grado di determinare le loro istituzioni politiche di quanto non lo fossero i popoli dei Balcani. L’unica cosa che mette in dubbio queste pretese è che avevano fatto parte di un impero in cui era stato necessario lottare per il solo diritto di partecipare alla vita politica. Molti arabi, specie dopo la rivoluzione del 1908, furono esclusi dalle sfere più alte di governo e discriminati in quanto arabi. Questo dimostra che non avevano accumulato l’esperienza per creare un nuovo governo e istituzioni statali, gestire un’economia e un potere giudiziario indipendente, dotarsi di un meccanismo per rinnovare la classe dirigente.
LIMES Quanto pesa quell’impreparazione allo Stato sull’attuale instabilità mediorientale?
ROGAN Oggi non è tanto rilevante il fatto che quelle comunità dopo la Grande guerra non fossero pronte quanto la distorsione operata in seguito dal dominio coloniale sul sistema politico. Le energie politiche locali furono costrette a concentrarsi unicamente sull’indipendenza, tralasciando la vera politica. Raggiunta l’indipendenza, non si erano formate classi dirigenti in grado di gestire ad esempio l’economia. Lo vediamo in Egitto, dove oggi come decenni fa si cerca di gestire l’economia con programmi che sembravano e sembrano esercizi di fantasia.
LIMES Nella regione è in corso un processo di erosione dello Stato per mano di poteri informali. Basti pensare alla Siria, dove si intersecano alleanze transnazionali su basi religiose o settarie.
ROGAN Vero, però questo è anche dovuto al fatto che il sistema degli Stati in Medio Oriente ha nel suo dna sia stabilità sia instabilità. In tutte le insurrezioni non solo mediorientali le potenze regionali combattono sempre una guerra per procura, cercando di avanzare i propri interessi statali. La crisi siriana si è internazionalizzata perché un movimento non violento di riforma è stato schiacciato con la violenza e si è evoluto in resistenza armata. Per organizzare un esercito c’è bisogno di armi, quindi di soldi. È qui che gli attori regionali entrano in gioco, perché sono gli unici a poter finanziare la lotta armata. In Siria, gli scontri tra le milizie identificano due lotte regionali: una tra le potenze sunnite e gli sciiti sostenuti dall’Iran; l’altra tra sauditi e qatarini sul ruolo della Fratellanza musulmana in politica. I sauditi temono i Fratelli in quanto partito islamista moderato che può sfidare la loro legittimità in patria e prediligono le correnti salafite. Questo scontro regionale viene declinato di Stato in Stato.
LIMES Però attori non statali come lo Stato Islamico (Is) invocano esplicitamente l’erosione dei confini.
ROGAN È difficile sapere quanto questi movimenti con agende transnazionali siano sostenuti dalla gente comune. Ogni milizia ha un’idea ambiziosa che serve non solo per reclutare manodopera ma per indurla a sacrificare la propria vita. L’idea di lottare per un’impresa storica quale la creazione di un grande Stato ha un forte impatto motivazionale.
LIMES Ma ha un forte impatto anche sulla legittimità degli Stati.
ROGAN L’avrebbe se questi gruppi armati fossero influenti al di là dei campi di battaglia. Hanno influenza in Siria e solo dove si combatte. Ma non in Iraq: la Repubblica islamica di Siria e Iraq non nascerà mai, al di là di quel che dice l’Is, perché è un progetto che non ha presa sugli iracheni. L’Is non è nemmeno in grado di controllare porzioni consistenti di territorio: al massimo può mantenere in vita l’insurrezione il più a lungo possibile, fintanto che riceverà armi dall’estero. Ma credere che possa realizzare il suo grande ideale e scardinare il sistema statale vorrebbe dire accordargli più consenso di quanto ne goda realmente.
LIMES Qual è la linea di faglia che più minaccia la mappa politica del Medio Oriente?
ROGAN Le aspirazioni nazionali curde. Dalla caduta di Saddam nel 2003, la regione autonoma curda in Iraq sta passo dopo passo costruendo istituzioni statuali indipendenti. Lo sta facendo nel contesto di un Iraq federale, senza sfidare apertamente l’integrità dello Stato perché sa che scatenerebbe la reazione di Baghdad e della Turchia. Ma non si possono interpretare diversamente gli sforzi curdi nella creazione del proprio esecutivo e legislativo, delle proprie università, della propria versione della storia. E nel Nord-Est siriano si sta generando un’altra area di instabilità che forse nel futuro sfiderà l’integrità delle frontiere uscite dalla Prima Guerra Mondiale.

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LIMES Qual è l’eredità del tradimento delle promesse fatte a Versailles sulle relazioni tra il mondo arabo e l’Occidente?

ROGAN La gente comune in Medio Oriente ha una forte consapevolezza storica di quanto successo a Versailles. Lo impara a scuola, a differenza nostra che ignoriamo di aver fatto agli arabi promesse che non abbiamo mantenuto. Tuttavia, se da un lato ci accusano di non essere affidabili, dall’altro ci considerano partner essenziali per risolvere alcuni problemi internazionali. Per affrontare la questione israeliana o per far cessare la guerra civile in Siria gli arabi chiedono all’Occidente di intervenire, invocando la nostra responsabilità storica o la nostra migliore organizzazione. In ogni caso, è sopravvissuta la concezione di potenza occidentale dell’èra coloniale, quando eravamo gli arbitri assoluti dell’ordine internazionale. È una relazione di amore e odio, approfondita dal fatto che negli ultimi 25-30 anni molti arabi sono emigrati in Europa: vedono la libertà delle democrazie occidentali come modello a cui aspirare per plasmare un diverso sistema politico nei loro paesi. Un altro aspetto patologico è l’ascesa delle teorie del complotto per spiegare i ripetuti fallimenti dei governi, secondo cui le potenze occidentali sarebbero intente a tirare i fili della politica locale a loro piacimento. Hanno le loro ragioni, penso al colpo di Stato in Iran nel 1953 e a Suez nel 1956, ma vedere la politica plasmata dalla Cia o dal Mossad vuol dire ritirarsi nella fantasia e abdicare alle proprie responsabilità.
LIMES In che misura essere arabi è un fattore della geopolitica contemporanea?
ROGAN Nel 2011 assistemmo a un significativo ritorno del fattore arabo, quando un movimento iniziato nella marginale Tunisia fu in grado di generare entusiasmo in tutta la regione. Gli eventi tunisini ed egiziani riuscirono a elettrizzare la gente negli altri paesi e a far intravedere una reale possibilità di cambiamento, perché tutti avevano gli stessi problemi e facevano le stesse domande; i problemi locali erano visti come parte di una stessa condizione araba. Nel 2012 e nel 2013, però, tutto questo è svanito: ci siamo accorti che non avevamo a che fare con un fenomeno arabo. Non c’era una sola rivoluzione araba. La primavera araba non esisteva.
LIMES Ma c’è stata poi la controrivoluzione capeggiata dagli Stati del Golfo.
ROGAN Esatto, gli stessi che hanno sempre sentito la loro stabilità politica più minacciata dal cambiamento rivoluzionario. La priorità era che nessuna monarchia fosse rovesciata da movimenti popolari. Emblematico il fatto che l’Arabia Saudita si sia spinta a offrire di entrare nel Consiglio di cooperazione del Golfo a Giordania e Marocco, due Stati che col Golfo hanno poco a che spartire. A quel punto sarebbe a tutti gli effetti un’alleanza tra case regnanti contro le rivoluzioni popolari. Le monarchie hanno retto l’urto meglio delle repubbliche, puntellando le istituzioni governative e ridistribuendo le risorse. Ma non è finita: la politica saudita è ancora concentrata sul contenimento della minaccia rivoluzionaria.

1730.- LE DECINE DI DIPLOMATICI RUSSI ESPULSI. COSA C’È DIETRO?

Cosa nasconde il supporto avvelenamento della spia Skripal e di sua figlia? Interessante l’abiura di Teresa MAY alla Russia, che richiama la guerra perenne al terrorismo scatenata dopo l’11 settembre.
Ecco cosa ne ha detto Maurizio Blondet, ieri, 27 marzo 2018. (tratto da rischiocalolato)

Quando il governo USA espelle 60 diplomatici russi e 18 paesi europei, fra cui 15 della UE, fanno altrettanto in una mossa clamorosa e concertata basata su falsità – la situazione è ovviamente gravissima. Aspettarsi una minima spiegazione di “cosa c’è dietro” è prematuro. Certo è che chi “c’è dietro” è un potere enorme. Che ha uno scopo di rottura totale fra Russia e Occidente.
Noi possiamo solo mostrare come il fraseggio usato da tutti i paesi UE per spiegare le espulsioni, anch’esso concordato, sia assurdo sul piano logico, diplomatico, e legale:
Donald Tusk: “E’ altamente probabile che la Federazione Russa sia responsabile di questo attacco [il supporto avvelenamento della spia Skripal] e non c’è altra spiegazione possibile”.
Jean-Yves Le Drian, ministro degli Esteri di Parigi : “… Convenuto che non esisteva altra spiegazione plausibile che la responsabilità della federazione russa”.

Teresa May: “….Nessun altro paese ha la capacità, l’intenzione o il motivo per tale aggressione …La sfida della Russia durerà negli anni a venire”.
Heiko Maas, ministro degli esteri tedesco: “I fatti e le prove suggeriscono che la Russia è dietro questa aggressione”: come, “suggeriscono”? Lasciano intendere? Perché non esibire queste prove pubblicamente e prendere decisioni gravissime come la rottura delle relazioni diplomatiche in base a un “suggerimento” non consolidato da un arresto, risultati di un indagine, esibizione di prove a carico?
L’ammiraglio Carlo Jean (NATO, consigliere “americano” di Cossiga, “ massone, iscritto alla loggia coperta di Roma Adriano Lemme come risulta dal volume IV, tomo II della relazione della commissione parlamentare sulla loggia P2. A pagina 845 (Altre forme massoniche coperte) si legge al numero 127 del registro degli iscritti: Carlo Jean, nato a Mondovì, Cuneo”…
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/07/06/due-americani-vicini-al-quirinale.html. Sta in nota 1.

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Carlo Jean è Generale di Corpo d’Armata, presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica, docente all’Università Guglielmo Marconi, Link Campus University, alla Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia. Svolge corsi di Geopolitica alla Scuola di Perfezionamento delle Forze di Polizia e alla Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze. Fra i tanti incarichi, è stato Consigliere Militare del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. E’ stato Presidente del Centro Alti Studi per la Difesa.

intervistato da Le Formiche.net:
“Non ci sono prove che sia responsabile il Cremlino o un’organizzazione statale di Mosca, ancora si deve trovare chi ha inserito il gas nervino nella valigia della figlia di Skripal. Tuttavia è assai probabile che l’omicidio dell’ex spia sia avvenuto per mano di qualche ex membro dei servizi segreti russi”. Fra le cose che “lasciano intendere” la colpa russa, Jean enuncia:
“Il governo russo ha avuto una reazione piuttosto insolita, commentando addirittura con ironia quel che è capitato”.
Sic.
Sul fatto che anche il governo Gentiloni si sia accodato espellendo due diplomatici:
“Non potevamo fare altrimenti. A seguito del risultato delle elezioni italiane, con la vittoria dei partiti euroscettici, Francia e Germania stanno riattivando il cosiddetto “triangolo di Weimar”, cioè l’alleanza con fra Parigi, Berlino e Varsavia che esclude l’Italia dai grandi giochi europei, non possiamo accettarlo. Abbiamo bisogno degli Stati Uniti e dei nostri partner nel Mediterraneo”.
E alla domanda che magari il prossimo governo italiano sarà contrario alle sanzioni a Mosca:
“A mio avviso il futuro governo dovrà tener conto della maggiore importanza di Stati Uniti e Regno Unito per l’Italia rispetto alla Russia. Dovevamo seguire gli alleati. Ma soprattutto dimostrare solidarietà al Regno Unito, in ossequio a due alleanze che hanno permesso negli anni la crescita e modernizzazione del nostro Paese, cioè l’Unione Europea e la Nato”:
Abbastanza chiaro: la NATO e la UE serrano le fila e la gabbia.

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Il generale ritiene la scelta della Farnesina di espellere i diplomatici russi una soluzione obbligata. L’alleanza con Washington e Londra vale più dei rapporti con Mosca.
http://formiche.net/2018/03/italia-skripal-russi-jean/ Sta in nota 2.

Fatto notevole, la piccola Austria s’è rifiutata di imitare gli altri europei nelle espulsioni.
Da rilevare ancora un breve esercizio letterario del noto Bernard Henry-Lévy: “Qualche ora nella testa di Vladimir Putin”. Lo ritrae gioioso dopo la vittori elettorale e “la messa”, riflettere su “questo affare del veleno: Francamente non pensava che gli occidentali ne avrebbero fatto una storia così. “Non hanno mosso costa quando ho sterminato 100 mila ceceni. Si sono appena commossi quando mi sono sbarazzato di qualche migliaia di eccitati mandati a uccidersi a vicenda nel Donbass. E non parlo nemmeno dei bambini siriani che si è dovuti gasare, con l’amico Assad, e non hanno strappato loro una lacrima”.
La riconoscete? E’ la narrativa ebraica. La narrativa ebraica su Putin che è stata diffusa dai nostri telegiornali ed altri media. Le fake news, la hitlerizzazione di Vladimir, raccolte per così dire alla fonte.

Quelques heures dans la tête de Vladimir Poutine

Il generale Delawarde dei servizi francesi manda un messaggio
Ma devo citare anche un altro esercizio letterario di fantasia: due lettere immaginarie che Putin scrive a Teresa May. Solo che queste le ha scritta il generale Dominique Delawarde: il quale è stato un altissimo dirigente dello spionaggio militare, capo della «Situation-Renseignement-Guerre électronique» presso lo Stato Maggiore interarmi per la pianificazione operativa. Dovremo quindi desumere che nella sua lettera immaginaria, abbia inserito informazioni che superano di molto le nostre ipotesi.

Nella prima immaginaria, c’è un passo in cui Putin dice all’amica May: “…Ma stavo per dimenticare Bibi, vostro prudente complice che ha saputo, lui, agire dietro le quinte e lasciare ai robustoni il compito di dire degli spropositi eccessivi. Ditegli che non lo dimentico e gli conservo un posto molto speciale nei miei pensieri”.
Infatti Netanyahu non si è unito alla marea di espulsioni coordinate di diplomatici russi, né ha elevato l’accusa che “è altamente probabile…”.
Nella seconda lettera, l’immaginario Putin parla alla immaginaria May “della ipotesi abracadabresca che il vostro governo e voi stessa siate caduti in potere di un personaggio più forte di voi perché controlla una parte importante del personale politico britannico, oltre che di mezzi mediatici e finanziari notevoli nel regno di sua maestà. Questo uomo sarebbe in grado di domandarvi dei servizi che vanno nel senso degli interessi che difende, e che voi non potete rifiutare.
“Una inchiesta dei miei servizi in corso da diversi mesi mette in evidenza la presenza di un uomo in corso di identificazione che vi ha incontrato davanti a una porta oscura che è, a prima vista, quella di una casa chiusa […] Allo stato attuale è stabilito che la vostra complicità con costui è “altamente probabile”: Questo stesso uomo sarebbe stato visto, qualche istante più tardi, nell’ufficio del vostro ministro degli affari esteri in stato avanzato di ilarità. Anche la loro complicità, dunque, è “altamente probabile”.
Dopo aver fatto il verso al fraseggio che sopra abbiamo indicato, il generale Delawarde prosegue, sempre fingendo di essere Putin: “…La faccia di questo misterioso individuo mi ricorda qualcuno che ho incontrato a più riprese. I miei servizi mi indicano del resto che l’uomo che ho incontrato periodicamente e quello che nella foto ride con il vostro ministro degli esteri, potrebbero essere la stessa persona, ed essere stati implicati in tre affari di corruzione nel suo paese” [Netanyahu è sotto inchiesta per corruzione]
“La sua carta di identità sarebbe stata trovata sotto una foglia morta dagli inquirenti di Scotland Yard nella prossimità immediata del luogo dove è stato trovato lo sfortunato Skripal e sua figlia. Ma i vostri inquirenti sembrano a disagio a divulgare questo dettaglio perché il personaggio disporrebbe di potenti protezioni nel vostro paese e i giornalisti, stranamente, non hanno voglia di fare questo scoop che giudicano inappropriato e non connesso all’inchiesta. Quanto al vostro ministro della difesa, s’è abbandonato a dichiarazioni infiammate in un ricevimento parlamentare annuale riservato ai deputati conservatori, che s’è tenuto a Londra. Ne ha raccontato un giornale che dovreste ben conoscere. L’articolo di cui le do il link mostra una collusione “altamente probabile” tra 50 parlamentari britannici desiderosi di assicurarsi la rielezione, guidato dal vostro ministro della difesa, e una lobby che difende gli interessi di uno stato estero. Se facesse verificare tutti o parte dei fatti sopra riportati, lei potrebbe chiudere rapidamente l’inchiesta sul caso Skripal e non darvi seguito per evitare gli schizzi”.
Il link che il generale Delawarde fornisce è:
https://fr.timesofisrael.com/gavin-williamson-salue-la-relation-extraordinaire-avec-israel/

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Gavin Williamson, secrétaire britannique à la Défense, s’exprimant lors d’un événement organisé par les Amis conservateurs d’Israël le 30 janvier 2018. Gavin Williamson salue « la relation extraordinaire » avec Israël (Crédit : Autorisation CFI). Sta in nota 4

Che riporta il discorso del ministro della difesa inglese Gavin Williamson all’annuale incontro dei Conservative Friends of Israel, il 1 febbraio, dove il ministro si spertica in lodo a Israele “faro di speranza, paese liberale,libero e appassionante”, lodando “la meravigliosa fioritura della democrazia in Israele” e condannando senza mezzi termini “l’odio irragionevole” di cui lo stato ebraico è vittima innocente.

Deuxième lettre de Vladimir à Thérésa – (général Dominique Delawarde)


Insomma il Delawarde accusa, in modo trasparente, la lobby e “Bibi”. Un “antisemita” come ce ne sono tanti nella Rete? Ma il generale non è un blogger complottista qualunque; è un alto dirigente dei servizi, che fa sapere di sapere, e manda un messaggio.
“Gli Stati Uniti capiscono solo la forza”: Anatoly Antonov, ambasciatore russo a Washington.
Intanto nessuno dei Paesi ha fato le condoglianze alla Russia per l’orribile incendio, che si sospetta dolsoso, di un grande shopping center di KEmerovo, in Siberia: 64 morti fra cui 11 bambini.

RIFERIMENTI

1. Archivio > la Repubblica.it > 1991 > 07 > 06 > I DUE ‘AMERICANI’ VICINI …
I DUE ‘AMERICANI’ VICINI AL QUIRINALE
ROMA Quando ha voglia di scherzare, Gianfranco Miglio sa che cosa dire al capo dello Stato. Gli dice: Caro Presidente, gli unici due generali che sanno leggere e scrivere sono Carlo Jean e Giuseppe D’ Ambrosio. Il teorico della repubblica presidenziale, ascoltato suggeritore delle scelte istituzionali di Bettino Craxi, ascoltatissimo consigliere di Francesco Cossiga, quei due generali li conosce bene, li incontra spesso, spesso li consiglia, spesso con loro a lungo discute. Giuseppe Alessandro D’ Ambrosio e Carlo Jean, ecco i generali del Quirinale. Sempre abbronzato, profumatissimo, sempre in gran forma fisica grazie alle lunghe ore di tennis giocate al circolo dei Parioli, nato a Benevento, 59 anni, doppia cittadinanza ereditata dal padre commerciante di alimentari tra Benevento e Brooklyn, generale di corpo d’ armata, il primo. Alto, magro, quasi ieratico, sorriso nervoso e accattivante, generale degli alpini, cuneense, 55 anni, considerato uno dei massimi esperti europei di strategie militari, il secondo. Cossiga li ha fortissimamente voluti accanto a sè chiamando Carlo Jean al Colle come consigliere militare, imponendo D’ Ambrosio alla segreteria del Consiglio supremo di Difesa, sostenendolo da otto mesi senza incertezze e diplomazie per la direzione del servizio segreto militare. Il teorico e l’ operativo Se, come dice Francesco D’ Onofrio, da venti anni Cossiga, con Andreotti, è stato l’ unico leader democristiano capace di porsi come baricentro dei rapporti tra Usa e apparati dello Stato, Jean e D’ Ambrosio sono oggi il nodo della corda che stringe gli Stati Uniti agli apparati militari e strategici di casa nostra. Per questo Cossiga li ha voluti accanto a sè, per questo li incontra ogni giorno, ne ascolta i consigli, ne valuta le analisi. Jean e D’ Ambrosio per carriera, esperienza e cultura si completano a vicenda. Carlo Jean è un teorico. Comandante della Brigata Alpina Cadore, Stato Maggiore dell’ Esercito e della Difesa, docente della Luiss, corsi in tutto il mondo, financo alla Accademia militare di Pechino, da quattro anni direttore, a Palazzo Salviati, del Centro Alti Studi della Difesa, è il sostenitore di un sostanziale autoritarismo nelle Forze Armate. Solo la disciplina può evitare la frammentazione interna e la politicizzazione dei militari sostiene In altre parole, anche nella società più democratica è lo stesso principio del controllo politico sulle Forze Armate che impone loro di essere un organismo sostanzialmente autoritario. La democraticità dell’ ordinamento militare consiste soprattutto nella completa subordinazione dei militari ai politici, non sicuramente nella mancanza di disciplina e nell’ assemblearismo. Giuseppe Alessandro D’ Ambrosio è un operativo, è soprattutto il grande amico degli americani. Allievo prediletto di Miglio, che lo ha chiamato alla Cattolica alla cattedra di Storia delle Istituzioni militari, negli anni Settanta come addetto militare a Washington D’ Ambrosio ha potuto coltivare con successo amicizie decisive. Amico di Richard Nixon, grande amico di Henry Kissinger, D’ Ambrosio è di casa tra i funzionari della Casa Bianca, i generali del Pentagono, gli strateghi della Cia. Due carriere di soldato, osservano con distacco negli ambienti militari, senza nulla di straordinario. D’ altronde gli incarichi ai massimi livelli quasi mai vengono assegnati in base a criteri di pefessionalità ha osservato lo studioso di cose militari Luigi Caligaris Di solito è decisiva l’ anzianità di servizio e viene privilegiato chi alza meno polvere o, come dicono gli americani, chi non ha fatto onde. Di onde, Jean e D’ Ambrosio, in verità, ne hanno anche mosse ma senza nessuna conseguenza. Carlo Jean è massone, iscritto alla loggia coperta di Roma Adriano Lemme come risulta dal volume IV, tomo II della relazione della commissione parlamentare sulla loggia P2. A pagina 845 (Altre forme massoniche coperte) si legge al numero 127 del registro degli iscritti: Carlo Jean, nato a Mondovì, Cuneo, il 12 ottobre del 1936, professione ufficiale dell’ Esercito, iniziato alla massoneria il 26 aprile 1977. E’ vero hanno chiesto recentemente ad Andreotti i deputati del Pds Tortorella e Bellocchio che Jean figura tra gli iscritti al capitolo nazionale coperto del rito scozzese antico e accettato della massoneria di Palazzo Giustiani e, in quanto tale, si è ritrovato con gli iscritti della P2 ad essere coordinato da Licio Gelli?. Con i massoni della P2 Con i massoni della P2 ha invece a lungo lavorato D’ Ambrosio chiamato dal generale Giuseppe Santovito a condurre le operazioni del Sismi come suo braccio destro dal giugno del 1980 al novembre del 1981. Era un Sismi molto distratto. Nulla vide, nulla sentì quando il 27 giugno 1980 cadde il Dc9 nel mare di Ustica. Nulla seppe, il 2 agosto del 1980, della strage alla stazione di Bologna. Un Sismi particolarissimo, che con il generale Musumeci depistava le indagini dei giudici, e forniva tessere e lasciapassare ai latitanti della banda Cutolo per condurre in porto la liberazione dell’ assessore Ciro Cirillo. Un Sismi infiltrato dalla P2 che travolge il direttore Santovito, Musumeci, agenti come Francesco Pazienza, politologi vicini all’ amminisrazione Reagan come Michael Ledeen ma non d’ Ambrosio che era già riuscito a far dimenticare un’ altra ben gonfia onda montata nel 1974. Anche questa storia è possibile ricostruirla dagli atti della commissione P2, volume III, tomo IV, parte prima. Alla pagina 172, c’ è un documento originale del 27 giugno 1974, inviato dal Sid al giudice Luciano Violante il 17 maggio 1975. Si legge: Nel 1972, in Roma si evidenzia per intransigenza e animosità un ufficiale in servizio presso il Comando VIII Cmt, l’ attuale generale B. Ugo Ricci… Ricci (dal ‘ 73 in contatto con Pacciardi e Sogno) ricerca adesioni fra gli ufficiali di Stato Maggiore non disdegnando di conivolgere nomi di alti ufficiali, da lui avvicinati (allegato I) nel proposito di un risanamento della situazione nazionale. L’ allegato I è a pagina 245. Si legge: Elenco nominativi degli ufficiali che fonti di settore affermano siano aderenti all’ idea-Ricci: gen. Cacciò, gen. Zavattaro Ardizzi, gen. Salatiello, colonnello D’ Ambrosio, comandante Montebello, generale Picchiotti. Nel 1974, Giuseppe Alessandro D’ Ambrosio era appunto comandante dei Lancieri di Montebello. Che cosa avesse in mente il generale Ricci è schematicamente raccontato in un altro appunto (pagina 247): Ricci, da tempo, coglieva ogni occasione per esporre ai colleghi l’ esistenza di una soluzione della situazione nazionale e per raccogliere l’ adesione nel caso di intervento delle Forze Armate….
di GIUSEPPE D’ AVANZO
06 luglio 1991

2. L’Europa passa dalle parole ai fatti. A seguito delle conclusioni del Consiglio Europeo del 22-23 marzo alcuni degli Stati membri dell’Ue hanno dato il via alle espulsioni di diplomatici russi in risposta all’uccisione dell’ex spia Sergei Skripal a Salisbury con del gas nervino. Fra questi c’è anche l’Italia, che attraverso la Farnesina ha annunciato l’imminente espulsione di due funzionari dell’ambasciata russa. L’ondata di ritorsioni diplomatiche è stata coordinata in perfetta sincronia con l’altra sponda dell’Atlantico: nelle stesse ore gli Stati Uniti hanno infatti dichiarato che espelleranno 60 diplomatici russi e chiuderanno il Consolato di Seattle. È stata una mossa strategica previdente in un momento di delicata transizione in politica interna? “L’unica scelta possibile” chiosa Carlo Jean, generale di corpo d’armata, presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica, era “stare dalla parte dell’Occidente”.

Generale Jean, l’Italia si accoda all’ondata di espulsioni di diplomatici russi per il caso Skripal. Una decisione saggia?

Non potevamo fare altrimenti. A seguito del risultato delle elezioni italiane, con la vittoria dei partiti euroscettici, Francia e Germania stanno riattivando il cosiddetto “triangolo di Weimar”, cioè l’alleanza con fra Parigi, Berlino e Varsavia che esclude l’Italia dai grandi giochi europei, non possiamo accettarlo. Abbiamo bisogno degli Stati Uniti e dei nostri partner nel Mediterraneo.

É una decisione che può prendere un governo dimissionario tenuto all’ordinaria amministrazione?

A mio avviso questa è ordinaria amminstrazione, la risposta italiana è allineata agli Stati membri dell’Ue. Noi abbiamo espulso due diplomatici, Francia, Germania e Polonia ben quattro. La Farnesina e la presidenza del Consiglio dei Ministri non potevano non tener conto delle alleanze storiche dell’Italia, che rimangono il nostro unico ombrello.

La maggioranza degli elettori ha votato partiti che hanno preso posizione contro la politica delle sanzioni a Mosca. L’annuncio della Farnesina non rischia di mettere in difficoltà il prossimo governo?

A mio avviso il futuro governo dovrà tener conto della maggiore importanza di Stati Uniti e Regno Unito per l’Italia rispetto alla Russia. Dovevamo seguire gli alleati. Ma soprattutto dimostrare solidarietà al Regno Unito, in ossequio a due alleanze che hanno permesso negli anni la crescita e modernizzazione del nostro Paese, cioè l’Unione Europea e la Nato. Se ci fosse stato un “caso Skripal” in Italia avremmo desiderato una reazione simile degli Stati membri dell’Ue.

Però ancora non sono state fornite prove di un coinvolgimento diretto di Mosca.

Indubbiamente non ci sono prove che sia responsabile il Cremlino o un’organizzazione statale di Mosca, ancora si deve trovare chi ha inserito il gas nervino nella valigia della figlia di Skripal. Tuttavia è assai probabile che l’omicidio dell’ex spia sia avvenuto per mano di qualche ex membro dei servizi segreti russi. In questo modo è stato violato un tacito accordo che è sempre stato valido per gli scambi di spie, secondo cui la spia che viene riconsegnata non deve più essere perseguita e uccisa. Probabilmente Skripal si fidava di questa prassi e non era sorvegliato a sufficienza.

Cosa le fa pensare che Mosca sia responsabile dell’omicidio Skripal?

Il governo russo ha avuto una reazione piuttosto insolita, commentando addirittura con ironia quel che è capitato. Inoltre un gas nervino come il Novichok non si trova nei supermercati, viene prodotto in fabbriche altamente specializzate, esattamente come il polonio usato con Litvinenko nel 2006. Sicuramente Mosca è responsabile dell’assenza di controllo sul commercio di questi agenti nervini, che possono finire nelle mani di delinquenti o corpi di guardia. Ripeto, non ci sono prove di un coinvolgimento diretto del Cremlino, ma è plausibile che sia stato uno dei trecento agenti la cui copertura è saltata a causa dell’ex colonnello del Gru.

La vicenda Skripal impone una domanda. L’Itaila ha una politica estera autonoma da Washington e Bruxelles?

Nessun Paese può avere una politica estera del tutto autonoma. L’autonomia dipende dalla potenza di cui si dispone, ma anche dal sistema politico interno. Uno Stato come la Francia, in cui vige un sistema presidenziale, può agire con più efficacia e prontezza in politica estera rispetto a una Repubblica parlamentare come l’Italia.

Si aspettava dagli Stati Uniti di Donald Trump una reazione così dura?

Assolutamente si. Da quando si è insediato il presidente Trump i rapporti diplomatici con la Russia hanno seguito una linea di continuità. Anzi, in talune occasioni ci sono state frizioni più pesanti rispetto all’amministrazione precedente. La politica delle sanzioni contro Mosca crea un solo problema a Washington: avvicina la Russia alla Cina. Un’ipotesi che il Cremlino vorrebbe evitare fino all’ultimo, pur di diventare junior partner del governo di Pechino, che negli ultimi anni è riuscito a estendere la sua influenza in Asia centrale e nelle province marittime.

Quali ripercussioni ci possono essere sul conflitto nel Donbass?

In Ucraina c’è una situazione di stallo. La Russia ha allentato la presa perché non ha fondi a sufficienza per gestire la guerra in Siria, il conflitto in Ucraina, inviare forze speciali a sostegno dei libici di Haftar. Putin però può sfruttare un momento di particolare debolezza dell’Unione Europea dovuta all’instabilità politica della Germania.

4. Le secrétaire britannique à la Défense, Gavin Williamson, a salué la « relation extraordinaire » entre le Royaume-Uni et Israël et a qualifié l’Etat juif de « phare de la lumière » au Moyen-Orient et a condamné la « haine déraisonnable » dirigée contre lui.

Williamson intervenait lors d’une réception parlementaire annuelle organisée par les amis conservateurs d’Israël (CFI) mardi.

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S’adressant à plus de 250 sympathisants de la CFI, dont 50 parlementaires et l’ambassadeur d’Israël au Royaume-Uni, Mark Regev, Williamson a salué Israël qu’il considère comme un « phare de lumière et d’espoir » dans une région où il y a tant de haine et de souffrance. Nous ne devrions pas sous-estimer à quel point il est difficile de garder cette lumière brillante et brûlante. »

Evoquant son voyage dans le pays pendant son adolescence, Williamson a déclaré : « je ne savais pas trop à quoi m’attendre d’Israël. Ce que j’ai trouvé était un pays libéral, libre et passionnant, qui était si à l’aise avec lui-même, un pays qui absorbait et accueillait tant de gens. Cela m’a fait une énorme impression. »

Williamson a condamné la « haine pure et simple », souvent complètement déraisonnable, dirigée vers Israël. Il a demandé : « si nous ne sommes pas là pour défendre un pays dont les vues et les idéaux sont si proches, ou sont simplement les nôtres, que sommes-nous en tant que nation ? Que sommes-nous en politique, si nous ne pouvons pas accepter et célébrer l’épanouissement merveilleux de la démocratie qu’est Israël, mais plutôt nous tourner vers un récit de dépit, de l’envie ? ».

Soulignant le rôle du Royaume-Uni dans la création d’Israël, il a déclaré que les deux pays avaient « une relation forte et ferme de travail en commun. C’est une relation de partenaires. Nous apprenons beaucoup d’Israël et j’espère que les forces israéliennes vont aussi un peu [apprendre] de nous. C’est un partenariat d’égal à égal. Un partenariat d’amis. »

Williamson a loué Israël pour son « impressionnant » investissement militaire et a noté qu’ « Israël doit prendre sa défense très au sérieux. S’il ne prend pas sa défense au sérieux, alors il ne se protège pas en tant que nation. »

« La Grande-Bretagne sera toujours là pour travailler avec vous, vous soutenir et être l’un de vos amis les plus proches et les meilleurs », a-t-il ajouté.

« Notre relation avec [Israël] est la pierre angulaire d’une grande partie de ce que nous faisons au Moyen-Orient, et je suis impatient d’avoir l’occasion, lorsque je serai secrétaire à la Défense, de continuer à construire sur cette base ».

6.Par le général (CR) Dominique Delawarde
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Vladimir Moscou le 24 Mars 2018

Résidence présidentielle du Kremlin

Place Rouge, Moscou

mail: jamesb007@russia.net

Russian President Putin visits China

Bien chère Thérésa

Quelle ne fût pas ma stupéfaction le 20 mars au matin de voir que vous aviez jeté ma lettre du 19 mars en pâture aux internautes sans aucun égard pour notre douce intimité épistolaire qui animait, jusqu’alors, mes soirées et mes songes. Plusieurs dizaines de milliers d’entre eux ont donc pu percevoir, sur une dizaines de sites, et par la puissance du réseau Facebook, l’orage qui montait sur notre relation jusqu’alors sans nuage. Ça fait beaucoup de monde dans la confidence !

Lorsque j’ai épluché les messages de félicitation des chefs d’état des grands pays en recherche du votre, j’ai bien trouvé ceux de mes bons camarades BRICS/OCS, celui de Donald, celui de Jean Claude (président de l’UE) et ceux de mes fans, toujours plus nombreux, venus du monde entier. Même Angela avait l’air heureuse de me féliciter. Aucun d’entre eux n’a fait allusion à «l’affaire du poison» qu’ils semblent avoir déjà oubliée, ni même à l’affaire syrienne.

Ce n’est qu’en arrivant aux messages des puissances moyennes, voire très moyennes, que j’ai trouvé quelques discrètes allusions à la Syrie et à l’affaire Skripal.

Emmanuel, par exemple, ménageant prudemment la chèvre britannique et l’ours russe, m’a félicité chaleureusement, mais m’a demandé de «faire toute la lumière sur les responsabilités liées à l’inacceptable attaque de Salisbury et de reprendre en main fermement d’éventuels programmes qui n’auraient pas été déclarés à l’Organisation pour l’interdiction des armes chimiques (OIAC)». Par ailleurs, il a exprimé «sa grande préoccupation à propos de la Syrie».

Allons voyons, il me prend pour un électricien avec son histoire de lumière, et voilà qu’il me donne des consignes précises sur ce que je dois faire. Décidément, il ne doute de rien ce frenchy! Bon, à sa décharge, je note l’emploi du conditionnel et du mot «éventuel» qui dénote une grande prudence de sa part et je note aussi que nous avons tout de même deux points communs très forts: nous sommes tous deux «grandement préoccupés à propos de la Syrie» et nous estimons tous deux que «l’attaque de Salisbury est inacceptable». On devrait finir par s’entendre.

Même Bibi dont je connais bien les arrière-pensées et le rôle éminent de marionnettiste virtuose qu’il joue en coulisse a su, lui, ne pas mélanger les genres. Voici ce qu’il m’a écrit :

«Monsieur le Président, veuillez accepter mes sincères félicitations pour votre victoire lors des élections d’hier. J’apprécie profondément notre dialogue personnel et je me réjouis de continuer à travailler avec vous en étroite collaboration, avec confiance et compréhension, afin de promouvoir les intérêts vitaux de nos pays».

La sincérité des félicitations de ce vieux crocodile et le fait qu’il dise apprécier et se déclare réjoui de travailler avec moi me laissent dubitatif, mais je dois reconnaître qu’il a été correct et particulièrement malin en ne manifestant aucun soutien particulier envers la Grande Bretagne. Il est vrai qu’en matière d’élimination de ses adversaires sur des territoires étrangers, Bibi et ses affidés ont toujours eu une grande expérience et une longueur d’avance sur tout le monde. Il serait mal venu, il le sait, de me faire la leçon sur l’affaire Skripal. Du coup, il n’a même pas évoqué la Syrie ou l’Iran. Comme c’est étrange…..

Mais vous, Thérésa, pourquoi m’avez vous oublié, dans ce concert de congratulations quasi-unanimes, alors que nous nous entendions si bien autrefois ? Vos félicitations m’ont beaucoup manqué.

Après mûre réflexion, je ne vois que trois hypothèses :

La première est que, dans le but de refaire l’unité très chancelante de votre pays, d’éviter l’éventuelle sécession de l’Écosse et de pouvoir enfin montrer vos talents de chef de guerre (ce qui est toujours utile pour de futures élections), vous avez voulu prendre exemple sur la dame de fer en montrant à vos concitoyens une détermination sans faille et même peut-être supérieure à celle de notre défunte et respectée Margaret. Bref, mieux que la dame de fer, vous rêvez peut-être d’être la dame d’acier ! Pour faire bonne mesure et montrer au monde que vous n’avez vraiment peur de rien, vous vous êtes choisi un adversaire qui est un tout petit peu plus grand que les Malouines: la Russie. Je crains que vous n’ayez eu les yeux plus gros que le ventre.

Car hélas, l’état d’obsolescence avancée de vos forces armées et la puissance de l’adversaire que vous avez choisi risquent de rendre votre aventure périlleuse et devraient vous inciter à la prudence: d’autant qu’il n’y a pas, en Russie, que quelques rares gardiens de moutons à combattre, que l’hiver et les forces armées russes ont déjà vaincu par deux fois des adversaires très puissants, et que votre pays a beaucoup perdu de son influence sur son ancien empire colonial. L’Inde et le Pakistan, par exemple, sont aujourd’hui de fidèles partenaires de mon pays et des exercices bilatéraux de nos forces armées sont organisés chaque année. Par ailleurs, vos alliés de l’UE et de l’OTAN ne semblent pas tous prêts à vous suivre et à risquer l’apocalypse pour une affaire qui est loin d’être aussi nette que l’assassinat de l’archiduc héritier d’Autriche à Sarajevo en juin 1914: événement qui a, malheureusement, déclenché le premier conflit mondial au cours duquel, je vous le rappelle, la Russie a combattu à vos côtés.

La deuxième hypothèse est que, quittant prochainement une Union Européenne qui vous impose une facture BREXIT particulièrement salée, vous ayez décidé de la torpiller juste avant votre départ pour lui interdire tout rapprochement avec la Russie, rapprochement qui pourrait la faire grandir et prospérer demain au détriment d’un Royaume-Uni hors UE et des USA, votre allié de toujours. J’ai bien compris que le projet North Stream 2, symbole d’un tel rapprochement ne vous convenait pas et qu’il ne convenait pas non plus à Donald. La crise Skripal vient donc à point nommé enfoncer un coin entre l’UE et la Russie pour au moins retarder, au mieux torpiller le projet North Stream 2. Votre action d’éclat dans le montage de cette affaire Skripal vous vaudra certainement de retrouver votre place de complice privilégiée de Donald lorsque le BREXIT sera effectif.

Il me paraît toutefois dommageable, pour l’image d’indépendance du Royaume-Uni que, dans un de vos discours récents, vous parliez entourée de deux drapeaux qui ne sont manifestement pas ceux de votre pays.

La troisième hypothèse, tout à fait abracadabrantesque évidemment, serait que votre gouvernement et vous-même soyez tombés sous la coupe d’un personnage plus fort que vous car contrôlant une part importante du personnel politique britannique ainsi que des moyens médiatiques et financiers considérables au sein du royaume de sa gracieuse majesté. Cet homme pourrait vous demander des services allant dans le sens des intérêts qu’il défend, services que vous ou vos ministres ne pourriez pas refuser de lui rendre.

Une enquête de mes services spéciaux est en cours depuis plusieurs mois et les premiers rapports mettent en évidence la présence d’un homme en cours d’identification vous rencontrant devant une porte sombre qui est, à première vue, celle d’une maison close. Une photo et une vidéo ont même été prises qui confirment la rencontre.

Cet homme paraît particulièrement heureux des instants qu’il vient de passer en votre compagnie. D’ailleurs la lecture labiale sur la vidéo indique clairement qu’il prononce la phrase: «Merci pour ce moment».

A ce stade de l’enquête il est établi que votre complicité avec lui est «hautement probable».

Ce même homme aurait été aperçu, quelques instants plus tard, dans le bureau de votre ministre des affaires étrangères en état d’hilarité avancé. Leur complicité est donc, elle aussi, «hautement probable».

Bien qu’il ne soit pas encore formellement identifié, la tête de cet individu mystérieux me rappelle quelqu’un que j’ai rencontré à plusieurs reprises.

Mes services viennent d’ailleurs de m’indiquer que l’homme que j’ai rencontré périodiquement et l’homme qui figure sur ces photos, avec votre ministre, pourraient ne faire qu’un et avoir été impliqué dans trois affaires de corruption dans son propre pays. Il serait aujourd’hui interrogé par la police .

Sa carte d’identité aurait été retrouvée sous une feuille morte par les enquêteurs de Scotland Yard à proximité immédiate du lieu où l’on a retrouvé le malheureux Skripal et sa fille. Mais vos enquêteurs semblent gênés aux entournures pour divulguer ce détail car le personnage disposerait de puissantes protections dans votre pays et les journalistes, étrangement, ne seraient pas preneurs de ce scoop qu’ils jugent inapproprié et déconnecté de l’enquête.

Quant à votre ministre de la défense, il s’est livré à des déclarations enflammées lors d’une réception parlementaire annuelle, réservée aux députés conservateurs, qui s’est tenue à Londres. Le récit en a été fait par un journal que vous devriez bien connaître. L’article dont le lien est donné ci-dessous montre une collusion «hautement probable» entre 50 parlementaires britanniques conservateurs, soucieux d’assurer leur réélection et conduits par votre ministre de la défense, et un lobby défendant les intérêts d’un état étranger.

https://fr.timesofisrael.com/gavin-williamson-salue-la-relation-extraordinaire-avec-israel/

Si tout ou partie des faits rapportés ci-dessus était avéré, vous pourriez clore rapidement l’enquête sur le cas Skripal et la classer sans suite pour en éviter les éclaboussures…….

Ma coopération avec votre enquête ayant été totale et avant d’aller prendre un repos bien mérité, je vous supplie une nouvelle fois, chère Thérésa, de rétablir le niveau de connivence qui était le notre avant votre dernière crise. Je vous recommande tout particulièrement de garder secret le contenu de ce billet.

Je souhaite, vivement, vous le savez bien, établir avec votre pays le même genre de «relation extraordinaire» dont parle Gavin, votre fougueux ministre de la défense, dans l’article mentionné plus haut.

Bien à vous,

Votre très cher Vladimir

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1729.- Mosca e chi di nascosto si scusa. Rappresaglia, i guai per l’Italia

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Il ministro degli esteri russo Lavrov: «L’espulsione dei diplomatici è il risultato dei ricatti americani».
– «Molti ci sussurrano nelle orecchie le scuse».
– Grossi guai economici in vista per l’Italia.
Dal blog di Ennio Remondino del 27 marzo 2018.

Poteri forti Usa e Gran Bretagna

‘La decisione presa da alcuni paesi occidentali di espellere i diplomatici russi è il risultato di colossali ricatti e pressioni da parte degli Stati Uniti’. Lo ha detto ha detto il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. «Quando uno o due diplomatici vengono invitati a lasciare questo o quel paese, e ci sussurrano nelle orecchie le scuse, sappiamo per certo che questo è il risultato di pressioni e ricatti colossali da parte di Washington», ha detto Lavrov.
«Gli Stati Uniti e il Regno Unito “molto probabilmente” hanno pianificato l’espulsione dei diplomatici russi in anticipo e l’avvelenamento dell’ex spia russa Sergei Skripal è stato solo un pretesto per questa mossa», dice invece Anatoly Antonov, ambasciatore russo negli Stati Uniti.
«La portata dei danni, la preparazione e il supporto delle informazioni precedenti», ha scritto in una nota pubblicata su Facebook.

Washington e Londra coordinate

Secondo Antonov, la giustificazione fornita dalle autorità americane sulla chiusura del consolato russo a Seattle mostra che il caso Skripal era solo un pretesto per l’espulsione dei diplomatici russi.
E la Russia -un òpo’ per beffa- ha deciso di ricorrere a Twitter, il social network preferito da Trump per suggerimenti su come rispondere alla decisione degli Usa. In un tweet l’ambasciata russa in Usa ha lanciato un sondaggio scrivendo: “L’amministrazione Usa ha ordinato la chiusura del consolato russo a Seattle. Quale consolato generale americano chiudereste in Russia, se stesse a voi decidere?”. Vengono date tre opzioni: Vladivostok, Yekaterinburg o San Pietroburgo. Si tratta di sedi consolari che, in aggiunta all’ambasciata Usa a Mosca, offrono servizi per i cittadini americani che vivono in Russia e visti per gli stranieri in visita in Usa.

Nuova Zelanda, terra senza spie

Poi il caso Nuova Zelanda che fa sorridere il mondo e gioire Mosca: “Non ci sono spie da espellere”. Il governo ha ovviamente condannato l’attacco in Inghilterra, che secondo Londra è stato «molto probabilmente»ordinato da Mosca, e appoggia l’azione internazionale ma fa sapere che non ci sono «agenti di intelligence russi» nel Paese. L’ambasciatore russo in Nuova Zelanda è comunque stato convocato «per reiterare le nostre serie preoccupazioni» riguardo all’attacco di Salisbury, ha detto il primo ministro Jacinda Ardern. E poi: «Se da una parte altri Paesi hanno annunciato che stanno espellendo agenti di intelligence russi non dichiarati, funzionari ci hanno informati che non ci sono individui in Nuova Zelanda che rispondono a questo profilo. Se ci fossero stati, avremmo già preso provvedimenti».

L’Italia accodata di malavoglia
dovrà comunque pagare pegno

Nonostante il numero di espulsi sia irrisorio, la metà di quelli cacciati dalla Francia e dalla Germania, il gesto di solidarietà italiano – più che una “necessità” vista l’assenza al momento di prove della mano russa dietro l’avvelenamento dell’ex spia – non potrà che suscitare reazioni da parte di Mosca. Nessuno come l’Italia -valutano molti economisti- deve temere l’ira del Cremlino.
Stiamo rischiando di giocarci una partnership importante. L’Italia, in passato, ha quasi sempre adottato un ruolo di garanzia nel governare fasi cosi delicate promuovendo, fermi il rispetto dei diritti umani, la intangibilità dei confini di uno Stato, la pace e il rifiuto dell’uso della forza, la strategia del dialogo fondata sull’equilibrio tra esigenze geopolitiche e questioni economiche.

Oltre l’Ucraina è davvero troppo

Come nel caso delle sanzioni post annessione della Crimea e conflitto con l’Ucraina. L’impatto delle sanzioni occidentali non ha penalizzato solo la Russia ma ha condizionato anche l’economia europea e, in particolare, quella italiana. E in una fase di profonda crisi come quella che ha investito tutta l’Eurozona, il nostro paese proprio non poteva permetterselo. Dunque è prevalsa la cautela, ma oggi, a fronte dei nuovi scenari e delle posizioni assunte nelle ultime ore l’intesa tra i due paesi rischia di scricchiolare.
L’Italia paga, ancora oggi, la crisi post Ucraina, che ha avuto un impatto devastante sull’export. Il nostro Paese è il secondo partner commerciale della Russia in Europa, dopo la Germania, il quarto a livello mondiale, oltre che un interlocutore culturale e storico di grande rilievo.

Italia Russia affari a rischio

Fino a inizio 2017, secondo i dati Istat/Eurostat relativi al 2016, il trend delle esportazioni italiane nella Federazione Russa era in crescita, con 10,8 miliardi di euro. Le importazioni a 20 miliardi di euro nel settore degli idrocarburi e delle materie prime. Oltre 400 sono le imprese italiane che operano in Russia e circa 70 gli stabilimenti produttivi realizzati nella Federazione.
Gli investimenti più considerevoli riguardano il settore dell’energia, dove, oltre al tradizionale ruolo di Eni, pesa l’attività di Enel. Presenze industriali importanti anche nei settori aerospaziale e telecomunicazioni (Finmeccanica), negli elettrodomestici (Indesit), nell’agroalimentare (Ferrero e Cremonini), e in altri settori Iveco, Pirelli e Gruppo Marcegaglia. Poi le banche italiane che accompagnano le imprese, al momento otto, che accompagnano le imprese.

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Il capo fa la differenza

1728.- Pronta offensiva Usa contro Assad, allarme di Mosca

La guerra siriana è solo apparentemente caotica e segue un disegno strategico che mira, meglio, mirerebbe allo scacco matto di Putin o, come penso, alla fine del dominio del dollaro. Leggo questa bella relazione di Piero Orteca sul blog di Ennio Remondino precisamente sull’evoluzione dell’assalto alla Siria:
“Sale la tensione. Secondo il generale Gerasimov pronta un’offensiva americana con i missili “cruise” per punire Assad.
– Intanto i curdi di Afrin sono stati abbandonati da tutti e al-Ghouta viene riconquistata dai governativi”.

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Quasi 500 mila morti e 12 milioni di “displaced”, cioè di persone che hanno abbandonato le loro case, più o meno per sempre. Di cui almeno 5 milioni costrette a varcare il confine. Questo il bilancio terrificante (e provvisorio) della guerra in Siria. Un conflitto che dovremmo mettere sul conto di molte coscienze sporche, a cominciare da quelle di diverse diplomazie occidentali. Ora, però, pare che nuovi nuvoloni neri come la pece si vadano addensando su quelle martoriate regioni. I russi mettono le mani avanti e hanno fatto sapere che gli americani “su ordine di Trump” si preparano ad attaccare Damasco, per punire Assad che avrebbe usato armi chimiche ad al-Ghouta. Naturalmente Mosca definisce “completamente false” queste accuse. E avverte: reagiremo.

È stato lo stesso capo di stato maggiore russo, generale Valery Gerasimov, a mettere in stato di allerta le sue truppe. I servizi di intelligence di Mosca, infatti, avrebbero avvisato il Cremlino che il dispositivo aeronavale statunitense, dal Golfo Persico al Mediterraneo, è stato pesantemente rafforzato, con navi che imbarcano centinaia di missili da crociera pronti a essere lanciati. In tutto sarebbero oltre 400 i “cruise” destinati a colpire le forze di Assad e dei suoi alleati iraniani. Non è un caso che il Ministero della Difesa di Putin abbia subito predisposto contromisure elettroniche sofisticate, spedendo in Siria elicotteri specializzati nello “jamming”, cioè in un’operazione tesa a ad accecare i radar nemici.

Sicuramente la tensione sta crescendo nell’area, come confermano anche fonti riservate israeliane e i prossimi giorni saranno cruciali. Intanto, l’ultimo macabro capitolo del conflitto riguarda due regioni distantissime tra di loro, una nord e una a sud del Paese. Afrin, città curda di un milione di abitanti, a pochi chilometri dal confine turco, è caduta dopo feroci combattimenti e nell’indifferenza generale, nelle mani dell’esercito di Ankara. L’area di al-Ghouta, invece, vicino Damasco, in queste ore viene completamente occupata dalle forze governative siriane e dai loro alleati, iraniani ed Hezbollah, dopo essere stata rasa al suolo dai continui “strike” dei caccia-bombardieri russi. La situazione è talmente disperata che molti ribelli anti-Assad hanno deciso di ritirarsi, cercando almeno di salvare la pelle.

Circa 1500 miliziani di Ahrar-ash-Sham, sostenuti dalla Turchia, si sono arresi ad Harasta e hanno cominciato a lasciare la città muniti di un salvacondotto. Nella zona restano alcuni nuclei delle milizie ribelli di Jaysh-al-Islam (equipaggiati dall’Arabia Saudita) e di Faylaq-ar-Rahman, di “osservanza” qatariana. Per gli analisti non c’è alcun dubbio: ancora una volta nella loro storia i curdi sono stati abbandonati al loro destino, dopo essere stati utilizzati come carne da cannone da americani e russi, per la guerra contro l’Isis. Lo scambio di “favori” tra Damasco, Ankara, Teheran, Mosca, e Washington e infatti sotto gli occhi di tutti. Per molti motivi. Trump non vuole scontentare Erdogan e ad Afrin si è venduto i combattenti curdi senza battere ciglio.

Anche Putin ha tirato la coperta dal suo lato. A lui interessava fare piazza pulita delle ultime sacche di resistenza dei ribelli nella zona di Damasco. E così è stato. La Turchia si è accordata velocemente con i russi e gli iraniani, chiedendo loro che le sue milizie si ritirassero liberamente, indebolendo così in maniera significativa tutta la resistenza anti-Assad nella regione. In cambio ha preteso di avere le mani libere su Afrin, conquistata una settimana fa, col risultato di fare scappare almeno 200.000 curdi, che ora vagano senza meta cercando di salvare la pelle. Nessuna notizia dei combattenti “peshmerga” del YPG, che potrebbero essere fuggiti verso le aree controllate dai governativi siriani o starebbero per raggrupparsi, cercando di replicare con una disperata controffensiva.

Più facile, invece, che i resti delle milizie curde cerchino di raggiungere Manbij, che potrebbe essere il prossimo obiettivo dell’esercito turco. Lo sanno anche gli americani, che per calcolo o per decenza stanno cercando di arginare la straripante offensiva di Erdogan, molto ironicamente denominata “Ramoscello d’ulivo”. In effetti, non si capisce bene quale sia lo scenario delineato dagli esperti del Pentagono, rintronati dagli input sempre più confusi che arrivano dalla Casa Bianca. La cosa più evidente, che balza subito agli occhi, è che nello Studio Ovale stanno mischiando maldestramente tattica e strategia. Che si contraddicono palesemente. Certo, in cotanto polverone c’entrerà anche la disinvoltura con cui Trump cambia e scambia advisors, generali e superesperti.

L’ultimo in ordine di tempo è il “falco” John Bolton, chiamato a prendere il posto, come Consigliere per la Sicurezza Nazionale, di McMaster. Un altro salto della quaglia che confonde ancora di più le acque, perché adesso la visione americana della crisi cambierà per l’ennesima volta. Anche se non si come, perché probabilmente non lo sa nemmeno il Presidente. Mentre infatti Trump era tutto impegnato a riscrivere la lista dei suoi collaboratori, Erdogan, con grande astuzia, si è comprato almeno 30 milizie sunnite, assoldando una forza collaterale capace di risolvergli il problema curdo in Siria. In cambio ha dovuto cedere nella Ghouta e ora vorrebbe alzare il prezzo del suo mezzo ricatto, che comprende anche il ruolo non proprio trasparentissimo che la Turchia riveste oggi nella Nato.

E per darvi conto della confusione mentale in cui versa la politica estera Usa, diciamo solamente che se da un lato la Casa Bianca non ha mosso un dito per salvare Afrin o Ghouta, dall’altro il generale Kenneth McKenzie, direttore del Joint Operation Staff dell’Us Army in tutta l’area, ha ordinato un ridispiegamento delle sue forze intorno a Manbij e nelle altre aree curde. Forse un tentativo di dissuadere i turchi dal continuare un’operazione che sa tanto di piazza pulita, fatta con la connivenza di tutti. O forse è una mossa patetica per salvare la faccia di Trump. Che già Erdogan si è messa abbondantemente sotto i piedi.

1727.- I gamberi di Sanremo hanno mostrato il vero volto di Gentiloni. Di Riccardo Ruggeri

La riproduzione di questo scritto di Riccardo Ruggeri è vietata, l’ammirazione No e voglio condividerla con voi, perché tutti sentiamo il bisogno di esempi da seguire.
Scrive di se sul suo Cameo, http://www.riccardoruggeri.eu.: “Come editore-scrittore vivo negli “interstizi”, sogno lettori che vogliano informarsi, non certo seguire le mie idee, peggio rafforzare i loro pregiudizi.”

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Riccardo Ruggeri 23/03/2018

“Lo confesso, sto vivendo un momento magico dal punto di vista intellettuale, sono immerso in quella che chiamo la “decade della morte” (80-90 anni), eppure mi pare essere nella decade della “prima giovinezza consapevole” (20-30 anni). Così come fino a un paio d’anni fa ero preoccupato per il futuro dei miei nipoti, stante il tipo di mondo che si andava configurando (domani parleremo dell’osceno mondo di Mark Zuckerberg) ora lo sono molto meno. Per fortuna dopo la magica notte del referendum c’è stata quella del 4 marzo. Sono in attesa dell’autocritica dei miei amici delle élite e dell’establishment. Come quelli del Pd secondo loro devono “spaccarsi” ancora fra renziani e anti (hanno ragione), così deve avvenire pure nelle élite fra i filo Silicon Valley e no. Ne parleremo poi, oggi concentriamoci su un aspetto volutamente minimale.

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Il bilancio dei sette anni dominati da governi filo establishment (Monti–Letta–Renzi–Gentiloni) è imbarazzante, infatti i cittadini, interpellati su quali istituzioni si fidino ancora, sono stati chiari: banche, governo, partiti sono precipitati all’intorno del 10% di gradimento, mentre le forze dell’ordine sono schizzate al 70% (no comment). L’establishment avrà preso atto che l’area del politicamente corretto sulla quale avevano puntato tutto (il Pd, le varie sinistre e i moderati di ogni tipo e faglia) si sta sfarinando (sembrano quelle galline ovaiole in batteria solo più pelle e ossa)? Il giochino di fare una politica filo élite con i voti dei poveracci è finito, così come quella di scambiare diritti civili con diritti sociali dei poveracci. Mi chiedo: come è stato possibile puntare su un piano “A” basato sul Partito della Nazione (Matteo Renzi & Silvio Berlusconi) e su un piano “B” (ultima spiaggia) basato su un centro destra guidato da un ultraottantenne (essendolo anch’io, se interpellato avrei spiegato che a quell’età si torna bambini, si confondono per esempio le lire con l’euro, il tramonto con l’alba).

E poi, cosa sarà loro passato in mente di invitarci a votare Paolo Gentiloni e Emma Bonino, due persone umanamente impeccabili ma unfit nel contesto politico, economico, culturale, nel quale siamo immersi. Bonino è stata contestata persino dai giovani radicali, appartiene a un mondo lontano dove la politica era ancora ruzzare (la vita di Marco Pannella è stata tutta e solo un gioco). E che dire di Gentiloni? Come analista voglio essere gentile, per giudicarlo (in termini di execution) prendo l’accordo con la Francia per il ridisegno dei fondali marini in Liguria, Toscana, Sardegna da lui firmato come ministro degli esteri, che poi come premier avrebbe dovuto far ratificare in Parlamento mettendoci la faccia. Si è ben guardato, e bene ha fatto, stante la qualità dell’atto. Lo prendo perché è un argomento che conosco bene. Da sempre esiste nel tratto di mare fra Bordighera e la frontiera di Ventimiglia una buca profonda 700 metri ove vivono una colonia di gamberoni (detti “Gamberi di Sanremo”) dalla qualità eccelsa e dal prezzo conseguente (infatti più della metà finiscono sulle tavole di Montecarlo e della Costa Azzurra). Li mangio da quarant’anni, grazie alla barca attrezzata per quella profondità degli amici pescatori Simona e Francesco e da anni, nel mio piccolo, mi agito con i pescatori liguri che si oppongono alle sconcezze europee e all’arroganza francese.

Cosa sarà saltato in mente a una persona perbene come Gentiloni di aprire un negoziato che riguardava la Fossa del Cimitero ove vivono queste meravigliose creature che parlano italiano? Per il ponente ligure la Fossa dei gamberi è l’equivalente della Cappella Sistina per i cattolici: è intoccabile, figuriamoci poi darla a bonapartisti d’accatto come i francesi. I gamberoni radical chic ai francesi, i poveri migranti nigeriani respinti a Ventimiglia a noi? Non scherziamo. Eppure Gentiloni l’accordo l’ha sottoscritto e l’avrebbe pure fatto ratificare in qualche notte di vento e di tempesta, se avesse vinto le elezioni (le Coop dei pescatori filo Pd lo supportavano). Per fortuna tutti spazzati via, i gamberoni salvi.

Un episodio banale, certo ma pure un segnale debole di qualcosa di ben più profondo, questa tipologia di politici raffinati e cosmopoliti che si considerano statisti di nomina regia non hanno nella mente e nel cuore “l’interesse nazionale”. Speriamo che Luigi Di Maio e Matteo Salvini appena arrivati al potere non diventino anche loro cosmopoliti. Li terremo d’occhio.”

1726.- FIOM – sfide – relazione di Marcello Minenna

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6 aprile 2017

C’è difficoltà di dialogo all’interno del nostro Paese, dell’eurozona e un po’ dovunque nel mondo. Due scuole radicalizzate si confrontano, ma non si parlano, sul tema dell’euro: quella che dice che la nostra classe dirigente è insufficiente, quindi, responsabile e che l’euro non c’entra nulla e quella, invece, che sostiene che tutto quello che ci sta capitando, in termini di economia, di recessione,di crollo della produzione industriale è colpa dell’euro. Purtroppo, entrambe le tesi hanno verità. Tra il 1996 e il 2003 noi abbiamo avuto la quota d’investimenti più alta di tutti i paesi dell’eurozona, eppure questo grande sforzo non ha prodotto nulla.
Il confronto è radicalizzato, con aspetti entrambi interessanti. Da un lato, chi dice usciamo dall’euro, dall’altro chi dice rimaniamo a tutti i costi cedendo tutta la nostra sovranità possibile. Su questo intravedo due errori di base. Il primo è “Usciamo dall’euro”. Per uscire dall’euro, per come siamo avanti in termini d’infrastrutture, Vi faccio presente che non è facile. Non è solo una questione d’impatto sull’economia, di costo del lavoro, d’inflazione, è proprio che dobbiamo montare tutta una serie di infrastrutture,le infrastrutture del sistema interbancario, del sistema dei pagamenti, del sistema dei regolamenti titoli, il funzionamento della Banca Centrale, il rapporto col Tesoro; cioè vanno scritte e rimesse in piedi tutta una serie di infrastrutture regolamentari, informatiche, infrastrutturali, che non si fanno proprio in 48 ore. E’ una progettualità complessa che richiede competenze, classe dir capacità di prendere decisioni, non di rinviarle, cosa che, invece, è lo sport nazionale da diversi anni o lustri a questa parte.
Allo stesso tempo, rimanere nell’euro a queste condizioni, ad ogni costo, anzi cedere tutta la sovranità possibile prima del prossimo ciclo elettorale sembra veramente una sorta di consapevolezza della classe dirigente: “Hai visto mai che vince questa ondata populista, meglio avere la Troika che ci governa completamente, in maniera tale che si fanno meno danni”. Ancora una volta, una contraddizione nei termini di queste due vie. Gli economisti dicono: “L’euro è un’area valutaria non ottimale”. A me piace dirlo come nel libro che abbiamo scritto: “L’euro è una moneta incompiuta perché i suoi paradigmi e alcune regole che sono alla sua base violano principi che si studiano nei primi anni di economia. Ma scusatemi, vi risulta che una valuta possa avere più costi del denaro? No, il costo deve essere uno solo, invece nell’eurozona noi abbiamo 14 costi diversi perché esiste lo spread. Lo spread è una patologia e viene trattato come una fisiologia. Nel documento dei cinque presidenti delle istituzioni europee dell’anno scorso lo spread è tranquillamente descritto nelle varie proposte, ma mai combattuto. E, invece, è un problema che non dovrebbe essere proprio presente nella nostra area valutaria e che andrebbe – diciamo -governato con le decisioni strutturali, le riforme strutturali. Forse tra le riforme strutturali ci vorrebbe anche l’inserimento di un obbiettivo di azzeramento dello spread, magari, da inserire in quello scudo anti-spread che aveva fatto il presidente della BCE tempo fa. Ma su questo torneremo.
E, poi, altra regola chiave che viene rotta nella nostra area valutaria. Voi sapete che gli investimenti, sono trattati come spese improduttive. Cioè, gli investimenti, non i mali investimenti, quelli che si ripagano da soli, perché gli economisti dicono che se il moltiplicatore è maggiore di uno, dopo qualche anno c’è un ritorno su quegli investimenti, che si ripagano. No, il Fiscal Compact li ritiene e li tratta come fossero spese improduttive. Allora vedete che quando due paradigmi chiave dell’economia politica sono presi e azzerati nella struttura della nostra area valutaria, c’è qualche problema che, forse, bisogna portare sul tavolo della discussione, piuttosto che i radicalismi di cui dicevamo all’inizio della relazione. D’altronde, in Italia, la perdita della produzione industriale di oltre un quarto, che abbiamo avuto negli ultimi anni e che difficilmente si recupera, è tutta dovuta agli investimenti, alla mancanza di investimenti. E, poi, c’è una grande contraddizione nei termini. Se Voi leggete i trattati, i documenti, le parole, non sono coerenti con quanto andiamo dicendo. I trattati hanno dei principi generali tali per cui non dovrebbero andare così le cose. La cosa più, veramente incredibile è, p. es., l’accordo del Fiscal Compact, che parte da noi dal 2012 e, non a caso, da quell’anno ci arrivano periodicamente lettere dell’euro burocrazia che ci dicono che siamo fuori budget. Beh, se uno legge la parte descrittiva del Fiscal Compact, dice: L’algebra di queste regole è funzionale ad essere anticiclica. Cioè a dire, che se il ciclo economico ci va contro, la politica fiscale deve compensare. Bei principi, declinati nei vari passaggi. Poi, andiamo a leggere l’allegato, con l’algebra contenuta al suo interno, vi tralascio i dettagli e, credetemi, quell’algebra è prociclica: se le cose vanno male, le fa andare peggio. Allora, c’è proprio qualcosa che non funzionae e che, forse, qualcuno, con la dovuta competenza, capacità di argomentazione, dovrebbe portare sul tavolo delle trattative, piuttosto che dire euro sì, euro no, cessione di sovranità a ogni costo, o siamo noi che abbiamo sbagliato tutto sinora. …

1725.- Perché Kaspersky è vittima delle sanzioni statunitensi.

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Non vedo competitività possibile per i popoli europei senza l’abolizione delle sanzioni alla Russia e non c’è Europa senza la Russia, come non c’è Occidente senza l’Europa. Sembra che alla Finanza mondiale padrona degli americani non importi un gran che. Dal Nirvana in cui vegetano gli italiani, abbiamo visto Gentiloni, con la valigia in mano, in un ultimo impeto del suo ego e contro la volontà a favore della Russia, manifestata dagli italiani, farsi rimorchiare da Theresa May ed espellere due diplomatici russi: russi come gli aiuti prontamente inviati da Vladimir Putin ai terremotati di Amatrice, russi come le due vittime di Salisbury. Sull’argomento vi rimando al n. 1722 “Ecco perché gli inglesi volevano uccidere Skripal. Cominciamo a vederci chiaro.” Ora tocca a Kaspersky, il migliore antivirus che abbiamo, migliore forse perché è russo e non è americano come i programmi che usiamo. Mi ripeto: “Dite a Theresa May che noi la guerra ai russi non la facciamo!”

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Vladimir Platov, New Eastern Outlook, 26.03.2018

Lo scorso dicembre, Donald Trump firmò un decreto che vieta l’uso del software Kaspersky Lab nelle agenzie governative degli Stati Uniti. Quest’ultima sanzione anti-russa richiede a tutti gli impiegati di Washington di cancellare il software antivirus di fama mondiale dai computer entro 90 giorni. Tuttavia, come mostrano le ultime notizie, Kaspersky Lab che ha ricevuto riconoscimenti per i successi nella lotta ai malware non è stato gettato via per una sorta di comportamento scorretto o attività discutibili, ma nell’ambito della propaganda russofoba cui si assiste in occidente. È anche chiaro che a Washington non potrebbe importare di meno degli sforzi di Kaspersky Lab nel contrastare lo spionaggio informatico ed attività dannose sponsorizzate dal governo su Internet, a cui le agenzie d’intelligence statunitensi sono impegnate da molto tempo. Tali conclusioni si basano su quelle dell’ultimo Kaspersky Security Analyst Summit (SAS), in cui gli esperti hanno svelato il sofisticato programma di spionaggio Slingshot. Tale malware è operativo dal 2012, ma ci sono voluti anni per individuarlo alle aziende di sicurezza IT. Ed è stata la società russa Kaspersky Lab che ha svelato tale spionaggio progettato dalle agenzie d’intelligence statunitensi per la sorveglianza totale d’Internet, come notato dal Times. Secondo la pubblicazione inglese, Kaspersky Lab, privato del diritto di vendere prodotti nei mercati statunitensi, ha scoperto questo software dannoso che consente alle agenzie statunitensi di accedere ai router per monitorare le attività degli utenti sul web. In origine, Slingshot fu creato dall’esercito statunitense per seguire gli islamisti che usavano Internet in Medio Oriente e Nord Africa per coordinarsi. Tale malware fu usato in Afghanistan, Iraq, Kenya, Sudan, Somalia, Turchia, Yemen e, secondo alcuni esperti, in sei anni di attività Slingshot colpì moltissimi individui e agenzie governative in Medio Oriente e Africa. Lo spy-ware Slingshot è simile al programma creato dalla NSA per la sorveglianza totale nel segmento occidentale d’Internet. Gli esperti di CyberScoop, mentre citano anonimi agenti dell’intelligence statunitensi (in pensione e attivi), riferiscono che Slingshot è un’operazione speciale lanciata dal Joint Special Operations Command (JSOC), componente del Comando delle operazioni speciali degli Stati Uniti (USSOCOM). I ricercatori concordano anche sul fatto che gli algoritmi utilizzati da Slingshot sono simili a quelli utilizzati dai gruppi di hacker come Longhorn e The Lamberts affiliati a CIA ed NSA, sviluppati cogli strumenti dei due gruppi menzionati e resi noti da WikiLeaks. Gli esperti di CyberScoop e loro fonti credono che Kaspersky Lab non possa saperlo con certezza, ma sospetta che uno dei Paesi dell’alleanza dei cinque occhi, comprendente Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti, sia dietro Slingshot. Secondo gli esperti della sicurezza informatica, Slingshot è una piattaforma estremamente complessa per gli attacchi che non si potrebbe sviluppare senza investire enormi quantità di tempo e denaro. Secondo gli stessi analisti, la complessità di Slingshot fa impallidire Project Sauron e Regin, il che significa che solo hacker sponsorizzati dal governo potrebbero sviluppare qualcosa di simile.
Secondo la dichiarazione di Kaspersky Lab: “Nell’analisi di un incidente che ha coinvolto un presunto keylogger, abbiamo identificato una libreria malevola in grado di interagire con un file system virtuale, che di solito è segno di un attore APT avanzato. Si è rivelato essere un caricatore malevolo denominato internamente “Slingshot”, parte di una nuova e sofisticata piattaforma di attacco che rivaleggia in complessità con Project Sauron e Regin. Il caricatore iniziale sostituisce la libreria Windows legittima della vittima “scesrv.dll”, con una maligna esattamente della stessa dimensione. Non solo, interagisce con molti altri moduli tra cui un caricatore ring-0, uno sniffer di rete in modalità kernel, un proprio packer indipendente dalla base e un filesystem virtuale, tra gli altri. Mentre per la maggior parte delle vittime il vettore d’infezione Slingshot rimane sconosciuto, abbiamo trovato diversi casi in cui gli hacker hanno avuto accesso ai router Mikrotik posizionando un componente scaricato da Winbox Loader, una suite di gestione per i router Mikrotik. A sua volta, questo infettava l’amministratore del router”. Ciò che è chiaro è che questo malware è mirato a dirottare ogni sorta di informazioni sensibili, tra cui traffico di rete, schermate e password, mentre monitora la propria invisibilità. Il firmware di re-flashing non aiuta l’utente a sbarazzarsi di questo malware, dato che Slingshot è in grado di auto-copiare e impiegare ogni sorta di trucco per rimanere operativo finché non viene completamente esplorato. Per distogliere l’attenzione dal software anti-virus, Slingshot avvia autonomamente controlli di sicurezza, permettendone di mascherare la presenza dal 2012. Negli ultimi anni, Slingshot è stato utilizzato dalle agenzie d’intelligence statunitensi per avere il controllo totale su Internet spiando i cittadini statunitensi ed esteri, anche “alleati” di Washington. E dato che Kaspersky Lab è stato in grado di tracciare gli elaborati spy-ware impiegati da Washington, non c’è da meravigliarsi se Trump abbia deciso di porre fine alle operazioni della compagnia negli Stati Uniti, cercando di sostenere le bugie su “hacker russi” che nessuno ha mai visto o tracciato, mentre porta al massimo le attività criminali dello spionaggio informatico statunitense.
Vladimir Platov, esperto di Medio Oriente, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook”. Traduzione di Alessandro Lattanzio
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1724.- STOP EURO. CGIA DI MESTRE: L’ITALIA PER COLPA DELLA UE E’ IL PAESE PIU’ TARTASSATO D’EUROPA E CON IL WELFARE PIU’ STRIMINZITO

Dedico questo post ai bischeri che hanno votato i partiti che obbediscono a Bruxelles.

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Con tasse record in Ue e con una spesa sociale tra le più basse d’Europa, in Italia il rischio povertà o di esclusione sociale ha raggiunto livelli di guardia molto preoccupanti. L’analisi è stata realizzata dall’Ufficio studi della CGIA. In questi ultimi anni di crisi, infatti, alla gran parte dei Paesi mediterranei sono state “imposte” una serie di misure economiche di austerità e di rigore volte a mettere in sicurezza i conti pubblici. In via generale questa operazione è stata perseguita attraverso uno smisurato aumento delle tasse, una fortissima contrazione degli investimenti pubblici e un corrispondente taglio del welfare state.

“Da un punto di vista sociale – fa sapere il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – il risultato ottenuto è stato drammatico: in Italia, ad esempio, la disoccupazione continua a rimanere sopra l’11 per cento, mentre prima delle crisi era al 6 per cento. Gli investimenti, inoltre, sono scesi di oltre 20 punti percentuali e il rischio povertà ed esclusione sociale ha toccato livelli allarmanti. In Sicilia, Campania e Calabria praticamente un cittadino su 2 si trova in una condizione di grave deprivazione. E nonostante i sacrifici richiesti alle famiglie e alle imprese, il nostro rapporto debito/Pil è aumentato di oltre 30 punti, attestandosi l’anno scorso al 131,6 per cento”.

In questi ultimi anni la crisi ha colpito indistintamente tutti i ceti sociali, anche se le famiglie del cosiddetto popolo delle partite Iva ha registrato, statisticamente, i risultati più preoccupanti. Il ceto medio produttivo, insomma, ha pagato più degli altri gli effetti negativi della crisi e ancora oggi fatica ad agganciare la ripresa. “A differenza dei lavoratori dipendenti – fa notare il Segretario della CGIA Renato Mason – quando un autonomo chiude l’attività non beneficia di alcun ammortizzatore sociale. Perso il lavoro ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di una nuova occupazione.

In questi ultimi anni, purtroppo, non è stato facile trovarne un altro: spesso l’età non più giovanissima e le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso impieghi completamente in nero”. Ritornando ai dati della ricerca, In Italia la pressione tributaria (vale a dire il peso solo di imposte, tasse e tributi sul Pil) si attesta al 29,6 per cento (anno 2016). Tra i nostri principali paesi competitori presenti in Ue nessun altro ha registrato una quota così elevata. La Francia, ad esempio, ha un carico del 29,1 per cento, l’Austria del 27,4 per cento, il Regno Unito del 27,2 per cento i Paesi Bassi del 23,6 per cento, la Germania del 23,4 per cento e la Spagna del 22,1 per cento.

Al netto della spesa pensionistica, il costo della spesa sociale sul Pil (disoccupazione, invalidità, casa, maternità, sanità, assistenza, etc.) si è attestata all’11,9 per cento. Tra i principali paesi Ue presi in esame in questa analisi, solo la Spagna ha registrato una quota inferiore alla nostra (11,3 per cento del Pil), ma la pressione tributaria nel paese iberico è 7,5 punti inferiore di quella dell’Italia. Tutti gli altri, invece, presentano una spesa nettamente superiore alla nostra. In buona sostanza siamo i più tartassati d’Europa e con un welfare “striminzito” il disagio sociale e le difficoltà economiche sono aumentate a dismisura.