Archivio mensile:aprile 2015

L’EURO NON E’ UNA MONETA MA SOLO UN ACCORDO DI CAMBI FISSI!

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Rinaldi
E’ ormai luogo comune ritenere che l’EURO sia una valuta a tutti gli effetti come lo possa essere il dollaro statunitense, la sterlina inglese o lo yen giapponese, e la possibilità di poterlo utilizzare materialmente perché ce lo ritroviamo in tasca, supporta ancora di più questo errato convincimento.
L’ECU (Unità di Conto Europea), ad esempio, nonostante fosse essenzialmente il nome adottato dall’euro prima della determinazione dei cambi irrevocabili del 1999, era solamente una valuta “virtuale”, cioè unicamente negoziabile in transazioni finanziarie e accreditabile esclusivamente con metodi contabili. Chi non ricorda la possibilità di poter acquistare titoli emessi in quella valuta e, ahimè, anche contrarre mutui nella metà degli anni novanta?
L’ECU nacque infatti dalla creazione di un paniere di tutte le valute europee partecipanti al progetto dell’aggregazione monetaria e il suo andamento sui mercati era determinato autonomamente, ma in ogni caso comunque condizionato dalle oscillazioni delle valute che lo componevano, equivalente a una sorta di Fondo chiuso quotato sui mercati regolamentati le cui oscillazioni vengono influenzate anche dall’andamento dei titoli che ne fanno parte.
Nel momento nel quale vennero determinati i famosi rapporti di cambio irrevocabili nella riunione dell’ECOFIN del 30 dicembre del 1998 fra le valute ammesse all’euro, cessarono le oscillazioni fra le valute nazionali, tranne naturalmente la sterlina inglese e la corona danese che si chiamarono fuori esercitando la famosa opzione dell’opting-out.
Vale la pena ricordare che i tedeschi imposero il cambiamento del nome ECU in EURO, non tanto per una vaga pronuncia francesizzante che avrebbe “irritato” il fiero popolo tedesco che stava diventando “orfano” del loro amatissimo Marco, simbolo del riscatto dopo due guerre perse malamente, ma per una assonanza non felice che si sarebbe creata con la loro lingua, in quanto la pronuncia “ein ecu” (un ecu), sarebbe stata troppo assimilabile a “una vacca”!
In compenso noi non siamo neanche riusciti ad imporre le banconote da 1 e 2 euro che avrebbero almeno in parte mitigato la nostra atavica propensione ad attribuire alla cartamoneta un valore visivo superiore alle monete metalliche, relegate invece da sempre al concetto di “spicci”.
In ogni modo il primo gennaio del 1999, ci siamo ritrovati come moneta sempre le lire, ma con ormai il tasso di cambio fisso fra le altre valute europee a valori di concambio prestabiliti e non più modificabili nel tempo.
Questo status è durato per tre anni, cioè fino al primo gennaio del 2002, quando furono materialmente immesse in circolazione le banconote e le monete dell’euro, terminando il periodo di convivenza delle varie monete, de facto comunque divenute già euro, per la fissazione dei concambi a valori fissi e irrevocabili nel tempo.
Teoricamente ciascun paese avrebbe potuto continuare a usare le proprie banconote, ormai legate fra di loro da rapporti di cambi fissi irrevocabili, ma gli accordi prevedevano anche la loro sostituzione fisica con una moneta materiale comune che evitasse la tentazione del ritorno alla fluttuazione che qualche paese avrebbe potuto invocare successivamente… Praticamente una evoluzione dell’accordo SME ma “blindato”, cioè senza possibilità di modificare i rapporti di cambio ne tanto meno eventuali bande di oscillazioni e soprattutto “sine die” con l’aggiunta (poi rivelatasi essere il vero cappio al collo!) di rinunciare alla determinazione delle rispettive politiche economiche ad esclusivo appannaggio della UE. Per chi non l’avesse ancora capito (chi ci sgoverna ormai l’ha capito!) siamo esattamente nella stessa situazione in cui si trovò l’Argentina quando agganciò il suo peso al cambio fisso con il dollaro, con l’aggravante che ora noi non possiamo svincolarci e che dobbiamo eseguire fedelmente politiche di bilancio e fiscali scritte a Bruxelles e Francoforte (previo visto di Berlino).
A supporto della tesi dell’euro sia una valuta sui generis, derivante cioè dall’evoluzione dei precedenti accordi di cambi, vi è la considerazione che continuano a esserci ancora diversi livelli di tassi, uno per ciascuna precedente valuta, inconcepibile e incompatibile con una vera e effettiva moneta. Lo stesso meccanismo del QE concepito dalla BCE come ultimo tentativo di stimolo monetario per far uscire gran parte del Continente europeo dalla deflazione, ha ribadito che gli Stati eurodotati ancora devono fare la loro parte come se fossero ancora con le proprie valute visto che le rispettive Banche Centrali sono chiamate ad assumersi gli eventuali rischi nella misura dell’80%. Ma allora che moneta comune è? Part-time?
Infatti che senso ha avere la stessa formale divisa se poi si accetta di farla convivere con tassi d’interesse così ampiamente diversi che diversificano e catalogano ogni paese membro, facendo coesistere nei fatti nella stessa aggregazione un euro di serie A, detenuto dalla Germania, e tanti euro di serie B o di serie C in relazione al tasso d’interesse espresso da ciascun paese? Un modo per affermare che in questa area valutaria anomala, non certo ottimale, la valuta non si conta ma si pesa!
Del pari francamente non si capisce come si possa aver dato sufficientemente credito a quei report redatti da blasonate società internazionali di consulenza, sostenute anche da Istituzioni nazionali, che sostenevano convinti che il corretto differenziale fra gli omologhi titoli decennali pubblici italiani e tedeschi sarebbe dovuto essere di 200 punti base, certificando palesemente che l’euro non è realmente una vera moneta a tutti gli effetti, perché altrimenti il suo corretto differenziale sarebbe dovuto essere tendenzialmente pari allo zero!
E’ in questione uno dei punti cruciali di distorsione che non è stato sufficientemente chiarito all’opinione pubblica dalla maggior parte dei nostri “bravi” politici e tecnici che non l’avevano a monte percepito perfettamente neanche loro. E’ evidente che il citato differenziale esiste e continuerà sempre ad esistere, perché i fondamentali macro delle economie sottostanti rimangono comunque diverse e non supportate da nessuna unione politica e fiscale.
Anzi questa pseudo moneta, che lascia la gestione dei debiti pubblici ai rispettivi paesi, essendo stati quest’ultimi privati di qualsiasi tipo di Sovranità monetaria, determinando che l’indebitamento sia contratto in valuta estera, sta sempre più assumendo un ruolo d’imporre metodi di governo estraniando i rispettivi Parlamenti da qualsiasi potere decisionale.
Se aggiungiamo poi che la governance di questa moneta è affidata alla Troika che si avvale di personaggi non eletti, il modello di democrazia che ne scaturisce è più assimilabile a quello praticato nel Medioevo che a quello auspicabile per il XXI secolo.
Insomma tutto l’impianto su cui si fonda l’euro si è dunque rivelato essere un accordo di cambi fissi mascherato, il cui accesso e permanenza è subordinato al rispetto nel tempo di parametri di convergenza che via via sono divenuti più stringenti essendo supportati sempre più da regole dettate pressantemente e in modo arrogante dalla Germania nell’esclusivo perseguimento dei propri interessi con l’introduzione di meccanismi automatici sempre più vincolanti.
In parole semplici, quando furono fissati i valori di concambio irrevocabili fra le valute dei paesi aderenti alla fase finale dell’unione monetaria, noi non abbiamo fatto altro che vincolarci a rapporti fissi di cambio e non più fluttuanti senza la possibilità di poter perseguire in modo autonomo la nostra politica monetaria scaturita dalla nostra politica economica tarata per la nostra economia.
Quel 1936,27 significava infatti che il marco per sempre e irrevocabilmente si sarebbe rapportato con noi a 989,999 lire, essendo il loro concambio con l’euro a 1,95583 per un marco (989,999 x 1,985583 = 1936,27) senza possibilità di intraprendere autonome politiche economiche.
Perciò l’Italia è morta!
Grazie Amato, Prodi, Ciampi e a tutti quei “furbi” che ancora battono le mani strillando “lo vuole l’Europa”!
Antonio Maria Rinaldi

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I “NUOVI BARBARI”: RIFORME COSTITUZIONALI SENZA METODO (di Giuseppe Palma)

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“Ahi serva Italia, di dolore ostello,

nave sanza nocchiere in gran tempesta,

non donna di province, ma bordello”

Dante Alighieri, Divina Commedia,Purgatorio Canto VI, vv. 76-78).

La necessità di riformare la Parte II della Costituzione nasce più di trent’anni fa, ma, fino ad oggi, fatta eccezione per la riforma del Titolo V (una pessima revisione fatta dal centro-sinistra nella XIIIa Legislatura) e per alcuni “ritocchi” criminali più recenti (vedesi ad esempio la costituzionalizzazione del vincolo del pareggio di bilancio – art. 81 Cost. – per mano della XVIa Legislatura), la struttura istituzionale disegnata dall’Assemblea Costituente nel 1946-47 è rimasta perfettamente intatta.
Oddio, vedendo quanto è accaduto (e accade) dal novembre 2011 in avanti, intatta è rimasta solo la Costituzione formale (e neppure quella, visto quanto sopra), mentre la Costituzione materiale è stata pesantemente tradita e violentata.
Ma questa è un’altra storia…
Per quanto riguarda l’elaboranda riforma della Parte II della Costituzione fortemente voluta da Matteo Renzi (Presidente del Consiglio dei ministri e Segretario politico nazionale del PD), entrerò nel merito della stessa – analizzandone i principali aspetti di criticità – solo quando il testo sarà licenziato definitivamente dal Parlamento in seconda lettura, in modo tale da potervi fornire un’ampia analisi storica, giuridica e costituzionale prima del più che probabile referendum popolare confermativo (art. 138 Cost.) al quale molto probabilmente saremo chiamati per esprimere SI o NO alla riforma nel suo complesso, con la conseguenza che la stessa entrerà in vigore – nei termini eventualmente dalla stessa previsti – solo se i SI supereranno i NO (ricordatevi che non è previsto quorum costitutivo). Diversamente, se i NO saranno più dei SI, la riforma si dissolverà a colpi di semplice matita.
Oggi mi occuperò esclusivamente del METODO con il quale il Parlamento – sotto una forte ed illegittima pressione del Governo – sta elaborando e realizzando una significativa riforma di quella Parte II della Costituzione che regola l’Ordinamento della Repubblica.
Va anzitutto chiarito che le riforme costituzionali – e soprattutto il procedimento di revisione – sono di competenza esclusiva del Parlamento (potere legislativo), per cui né il Governo (potere esecutivo) né la Magistratura (ordine giudiziario) devono interferire nelle decisioni e nel percorso democratico dell’unico organo istituzionale legittimato ad esercitare la sovranità popolare: il Parlamento!
Il tutto, ovviamente, fatto salvo il più ampio e legittimo diritto di critica che deve poter essere esercitato da chiunque (e ci mancherebbe altro!), ma le interferenze che io ritengo intollerabili sono quelle “minacciose” che un potere esercita sull’altro! Ma anche questa è un’altra storia…
Entriamo nello specifico.
Come ho già scritto più volte, fatta eccezione per i “principi supremi” sui quali si fonda il nostro Ordinamento costituzionale (in parte coincidenti con i primi 12 articoli rubricati nei Principi Fondamentali), per la forma repubblicana (intesa nella sua più vasta accezione) e per la Parte I della Costituzione (modificabile solo in melius), la nostra Madre delle Fonti del Diritto è, sì, soggetta a revisione, ma solo attraverso la procedura “aggravata” (rafforzata) prevista dall’art. 138 Cost. che attribuisce questa facoltà esclusivamente al Parlamento.
Come ho già avuto modo di dimostrare in un mio precedente articolo (http://scenarieconomici.it/italicum-la-sostituzione-della-minoranza-pd-in-commissione-affari-costituzionali-alla-camera-colpo-di-stato-o-regolare-gioco-democratico-di-giuseppe-palma/), negli ultimi tre anni e mezzo si sono compiuti in Italia parecchi “colpi di Stato” nel pieno rispetto della Costituzione formale ma nel totale superamento e tradimento della Costituzione materiale, quindi la Vostra attenzione dovrà essere superiore rispetto al normale “livello di guardia”.
Bene. Com’è ormai sotto gli occhi di tutti, l’attuale Presidente del Consiglio dei ministri sta arbitrariamente – e illegittimamente – dettando ritmi, tempi e soprattutto contenuti sia della riforma costituzionale che della legge elettorale, materie – entrambe – sulle quali il Governo non dovrebbe MAI mettere il becco.
Pietro Calamandrei diceva che, durante i lavori di discussione e redazione degli articoli della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri non dovrebbe mai essere presente…
E invece…
Erano gli inizi di febbraio di quest’anno quando il nostro Presidente del Consiglio, entrando di notte nell’aula di Montecitorio ed aggirandosi tra i banchi dei deputati, “imponeva” ai parlamentari del suo partito (e di riflesso anche a quelli di tutti gli altri gruppi) l’approvazione sia della riforma costituzionale da lui voluta che i tempi di realizzazione, “intimorendo” i suoi che se non si fossero adeguati lui si sarebbe dimesso con conseguenti elezioni politiche, mettendo quindi a rischio la rielezione dei dissidenti (il tutto con i dovuti modi, ovviamente).
Oggi la riforma costituzionale è ancora in prima lettura, quindi c’è spazio per un’ulteriore discussione sia politica che giuridico-costituzionale, ma facciamo attenzione perché le premesse sul metodo sono molto preoccupanti.
Immaginate cosa avrebbero scritto i giornaloni nazionali (ed anche la stampa estera) se ad aggirarsi di notte tra gli scranni della Camera durante la discussione e votazione sulle riforme costituzionali fosse stato Silvio Berlusconi e non Matteo Renzi!!! Apriti cielo!!! La finta superiorità culturale della sinistra è un antico virus tutto italiano!
Ma l’esempio delle riforme costituzionali non è il solo circa il metodo scellerato con il quale Parlamento e Governo stanno attuando le riforme. Vi ricordo, ad esempio, anche la riforma del lavoro (Jobs Act) e della legge elettorale (Italicum), entrambe imposte dal Governo al Parlamento nel rispetto della Costituzione formale ma violentando brutalmente quella sostanziale.
Ma v’è un qualcosa che va addirittura anche oltre il metodo, che si chiama DECENZA, completamente scomparsa dal vocabolario della politica nostrana. E vi spiego il perché.
Nel gennaio 2014, con Sentenza n. 01/2014, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della Legge n. 270/2005 (legge elettorale denominata Porcellum) nella parte in cui questa non prevedeva: a) la possibilità per l’elettore di esprimere le preferenze per i candidati; b) una soglia minima di voti oltre la quale avrebbe dovuto trovare applicazione il premio di maggioranza.
Ciò detto, l’attuale Legislatura (XVIIa) – come anche le ultime due (XVa e XVIa) – sono state elette con una legge elettorale dichiarata incostituzionale, seppur la Consulta si preoccupava di precisare ugualmente la legittimità del Parlamento.
Non è così. A mio modesto parere il Parlamento, checché ne dica la Corte, è illegittimo, e questo non solo perché le due Camere si compongono esclusivamente di parlamentari nominati (in aperta violazione degli artt. 1 co. II, 56 co. I e 58 co. I Cost.), ma soprattutto perché una parte consistente sia di deputati che di senatori sono stati “eletti” grazie ad un premio di maggioranza abnorme dichiarato incostituzionale da quella stessa Corte che poi – timidamente – corre a dichiarare la legittimità di un qualcosa che ha ragione di esistere su meccanismi che poco prima ha dichiarato incostituzionali.
Pazzesco, ma è così!
Per di più l’attuale composizione parlamentare, prendendo ad esempio solo la Camera, è composta per il 55% dei seggi da deputati “eletti” in una coalizione di liste che alle elezioni politiche del febbraio 2013 ottenne appena il 29,55% dei voti, esattamente lo 0,37% in più della coalizione di liste arrivata seconda (29,18%).
La coalizione arrivata prima ottenne dunque un premio di maggioranza in stile “Lascia o Raddoppia”, cioè di quasi il doppio dei voti espressi dal popolo: 29,55% (voti espressi dagli elettori) + 25,45% (premio di maggioranza successivamente dichiarato incostituzionale) = 55% (340 seggi). Alla faccia del voto eguale di cui al secondo comma dell’art. 48 Cost.!
Della coalizione vincente (si fa per dire!) faceva parte il Partito Democratico (PD), il quale ottenne appena il 25,42% dei voti, una percentuale inferiore a quella ottenuta dal Movimento 5 Stelle (primo partito con il 25,56%).
A causa delle difficoltà politiche e numeriche che tutti ben conosciamo, nessuna delle persone indicate dalle liste (o coalizioni di liste) prima delle elezioni politiche a ricoprire la carica di Presidente del Consiglio ha successivamente ricoperto la predetta carica, con la conseguenza che abbiamo avuto due Presidenti del Consiglio (Enrico Letta e Matteo Renzi) non eletti dal popolo, ai quali si aggiunge un terzo non eletto – che è Mario Monti – alla fine della scorsa Legislatura. Tanto per non farci mancare nulla!
Fatta questa doverosa premessa, arrivo al punto:
abbiamo un Parlamento composto esclusivamente di nominati (tutti) e di un numero elevatissimo di parlamentari “eletti” grazie ad un premio di maggioranza sproporzionato; ci troviamo quindi di fronte ad un Parlamento “eletto” con una legge elettorale dichiarata incostituzionale sia nella parte in cui non prevedeva la possibilità per l’elettore di esprimere preferenze per i candidati, sia nella parte in cui non prevedeva una soglia minima di voti oltre la quale avrebbe dovuto trovare applicazione il premio di maggioranza.
Ciò premesso, è proprio questo Parlamento (sotto una forte ed illegittima pressione di un Governo presieduto da un “non eletto”) che sta discutendo e realizzando un’ampia riforma della Parte II della Costituzione, quella stessa Costituzione costata milioni di morti e lasciataci in eredità dai nostri Padri, quegli stessi Padri che abbiamo ipocritamente festeggiato lo scorso 25 aprile.
Ma v’è di più: la golden share sulle riforme, ma anche sull’intera politica italiana, grazie ad un premio di maggioranza incostituzionale la detiene il Partito Democratico, il quale, con appena il 25,42% dei voti (cioè 1/4 del 75% dei votanti) esprime non solo il Governo del Paese, ma detta addirittura (attraverso il suo Segretario che è anche il Presidente del Consiglio) l’agenda politica e i contenuti (oltre che i tempi) delle riforme!
E non venitemi a parlare del 40,8% che il PD ha ottenuto alle elezioni europee perché non c’entra assolutamente nulla! A parte il fatto che trattasi (le europee e le politiche) di due consultazioni elettorali completamente diverse l’una dall’altra, con l’aggravante che l’affluenza alle europee fu appena di circa il 59% degli aventi diritto, quindi quel 40,8% non può in alcun modo essere speso quale presunta legittimazione politico-elettorale né da Renzi (che non si candidò) né dal PD.
L’unica legittimazione democratica di Renzi è quella del 67% di consensi che ottenne quando si candidò alla Segreteria del suo partito (primarie del PD del dicembre 2014 con un’affluenza casalinga). Punto. Per quanto riguarda la politica nazionale (e quindi anche le riforme costituzionali) e l’agenda di Governo, l’ex sindaco di Firenze non ha alcuna legittimazione democratica! Ha sicuramente la legittimazione costituzionale (nomina a Presidente del Consiglio dei ministri da parte del Presidente della Repubblica e fiducia espressa al suo Governo da entrambi i rami del Parlamento), ma non quella popolare! Quella no!
Non ci sono altre verità! Chi vi racconta altre versioni vi racconta falsità!
Dalla Legge delle XII Tavole (451-450 a. C.) alla vigente Costituzione (1948 d. C.) l’Italia è stata la Patria del Diritto, esempio per il mondo intero di impareggiabile civiltà giuridica!
Oggi, tra la politica fatta coi tweet e le incomprensibili semplificazioni, i NUOVI BARBARI sono entrati a Roma!
Sarà quindi una neofita Lex Romana Visigothorum (visti anche i diktat sulle riforme imposti da organismi sovranazionali non eletti) a disciplinare l’Ordinamento della Repubblica!
Buonanotte popolo! Un altro “Medioevo” è alle porte. Corri ad accogliere il tuo nuovo Signore!

Giuseppe Palma

OGM: LA COMMISSIONE EUROPEA APPROVA 19 PRODOTTI BIOTECH

Jose BOVE

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Gli Stati membri avranno facoltà di limitarne o proibirne l’uso. Bové (Verdi): «Così Juncker prende in giro i consumatori che fin dall’inizio si sono opposti agli Ogm»
La Commissione europea ha autorizzato 19 Ogm (organismi geneticamente modificati): dieci di questi sono destinati all’uso alimentare o al mangime per bestiame, due sono fiori recisi, mentre i restanti sette sono dei rinnovi. I prodotti in questione saranno naturalmente soggetti alle norme europee relative a tracciabilità ed etichettatura. Spiega la Commissione: «Tutti gli Ogm approvati hanno dimostrato di essere al sicuro prima della loro immissione sul mercato Ue. La valutazione dei rischi è stata fatta dall’Efsa (Agenzia europea per la sicurezza alimentare che ha sede a Parma, ndr) in collaborazione con gli Stati membri per ogni singolo Ogm prima di essere immesso sul mercato. Le autorizzazioni saranno aggiunte alla lista già esistente di 58 Ogm autorizzati nell’Ue per usi alimentari e mangimi (che coprono il mais, cotone, soia, colza, barbabietola da zucchero). Le autorizzazioni sono valide per 10 anni».

La decisione relativa agli Ogm in questione, sarebbe spettata agli Stati membri che, tuttavia, non hanno raggiunto la maggioranza qualificata per esprimersi al riguardo. La parola è passata dunque alla Commissione che ha dato il via libera ai 19 prodotti Biotech, lasciando tuttavia ai singoli Stati membri la facoltà di scegliere se limitare o addirittura proibire l’utilizzo di questi Ogm all’interno del proprio territorio.

Tutt’altro che soddisfatti i Verdi: «Sono indignato – ha dichiarato José Bové, eurodeputato francese leader degli ambientalisti – per la decisione della Commissione europea. Autorizzando 19 Ogm a livello europeo, il presidente della Commissione Jean Claude Juncker apre alle lobby del Biotech prendendo in giro i consumatori europei che fin dall’inizio si sono opposti agli Ogm». Bové fa riferimento anche al Ttip, affermando che con queste autorizzazioni la Commissione «fa una grande concessione per facilitare la firma dell’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, che poteva essere il pomo della discordia».

Il leader dei Verdi conclude, infine, sottolineando come «la possibilità per gli Stati membri di vietare questi Ogm sul loro territorio è un’illusione perché la libera circolazione delle merci all’interno dell’Ue è sempre un dogma e non ci sarà alcuna possibilità di istituire controlli efficaci». «I maiali e i prosciutti prodotti con alimenti trasngenici in Polonia o in Spagna – spiega Bové – si ritroveranno senza difficoltà nei supermercati degli altri Paesi, non è possibile effettuare controlli efficaci».
27 aprile 2015

Elodie Dubois

” Una politica volutamente miope non vuole proteggere i migranti dai dittatori e dalla povertà”

Dal sito di Africa-express, per gentile concessione dell’autore, traggo questo editoriale di Massimo A. Alberizzi che condivido in toto. Il mondo occidentale tace su i drammi che accompagnano la sua politica di sfruttamento del continente africano. Si parla di immigrazione e non si informa sui perché di questa fuga dalle proprie radici di milioni di persone. E’ tempo di alzare i sipari. Buona lettura.
Barcone-inclinato

Le dichiarazioni di questi giorni – organizziamo un blocco navale, affondiamo i gommoni, bombardiamo le basi degli scafisti – nascondono una grande ignoranza e la mancanza di conoscenza sulle reali condizioni dalle quali la gente scappa.

La demonizzazione degli scafisti – indicati come i maggiori responsabili delle tragedie – non porta da nessuna parte. Gli scafisti sono l’ultimo anello di una catena perversa che comincia dai dittatori e dai governanti corrotti, passa per gli organizzatori dei viaggi della speranza e solo alla fine arriva alle coste nordafricane e ai barconi.
Una politica miope – e spesso tesa all’autoreferenzialità – non vuole capire, ma soprattutto non vuole affrontare il problema alla radice. per non ledere interessi consolidati. Il problema dell’emigrazione non riguarda soltanto l’Europa e l’Italia come sua frontiera meridionale: mentre scriviamo, e viviamo i drammatici avvenimenti di questi giorni, centinaia di migliaia di persone partono dal Messico e dall’America latina per spostarsi negli Stati Uniti, dall’Asia verso l’Australia, dai Paesi devastati dalle dittature dell’Africa meridionale verso il Sudafrica. Chi abita in Paesi deturpati da guerre (e conseguentemente da carestie) vede altre nazioni, sia pur povere, come bengodi. Il Kenya sta costruendo un muro lungo i 1700 chilometri della sua frontiera con la Somalia, per impedire l’arrivo quotidiano di migliaia di profughi in fuga dalla guerra e dalla fame; in Sudafrica in questi giorni sono cominciate spedizioni punitive contro i somali, gli zimbabweani, gli angolani che lì si sono stabiliti. Vendette razziste? No di certo, solo antagonismo e competitività economica.

Qualcuno, dopo la tragedia dei giorni scorsi, oltre 700 morti, ha sostenuto, con una certa rabbia, che i migranti vanno protetti dai trafficanti di uomini. Si tende a instillare nella gente la percezione che la responsabilità delle fughe di massa sia degli scafisti e dei loro boss. “Moderni schiavisti”, li ha definiti Renzi nel suo discorso alla Camera. Niente di più sbagliato e fuorviante. Per chi fugge dall’inferno, i comandanti delle vecchie carrette del mare sono come angeli salvatori. Sono i custodi delle chiavi del paradiso tanto sognato. I migranti – e questo va sottolineato con forza – vanno piuttosto difesi dai loro governi, dalla repressione dura delle dittature o dallo sfruttamento economico di amministrazioni che apparentemente non sono dittature ma effettivamente lo sono.

Prendiamo la Nigeria, un Paese con un sistema formalmente democratico, corrotto fino al midollo. E dove ci sono i corrotti, ci sono anche i corruttori. Se ce ne accorgiamo noi giornalisti come pensiamo che non conoscano i meccanismi della corruzione e del malaffare le società -anche italiane – che fanno affari laggiù? La cleptocrazia che regge la Nigeria impedisce lo sviluppo economico e affonda i sogni dei giovani. In alcuni Stati della Nigeria la disoccupazione arriva al 98 per cento. Ma le compagnie petrolifere occidentali sono consapevoli che facendo prosperare dittatori e governanti corrotti alimentano le fughe?

Ancora: il proibizionismo alimenta il malaffare. E’ successo negli Stati Uniti durante il periodo del divieto di consumare alcolici nella prima metà del ‘900, succede ogni giorno con la droga e oggi succede con i migranti. Allora invece di emettere giudizi e soluzioni radicali, occorre mettersi attorno a un tavolo e pensare a come fare entrare i migranti nella “Fortezza Europa” (con viaggi senza rischi e pericoli) e distribuirli nei vari Paesi dell’Unione, , con raziocinio e saggezza,. Non è buonismo. E’ semplicemente buon senso. Questa gente arriva da Paesi del sud, che forniscono le materie prime necessarie a consentirci di vivere agiatamente qui a nord. Se i rubinetti si chiudono il signor Salvini dovrà spiegare, per esempio, come pensa di riscaldare d’inverno la Valle Padana. Aiutare i migranti significa, in fondo, aiutare noi stessi.

Ma non solo. Dicono in tanti che occorre creare le condizioni perché la gente non sia costretta a emigrare. Bene cominciamo allora a non vendere più cannoni ai dittatori e ai satrapi; impediamogli di violentare le loro popolazioni e facciamo seguire alle parole i fatti. Imponiamo il divieto di vendere armi. Lo so che è un’utopia ma se parliamo soltanto di atti di forza, cadiamo in un’altra utopia: quella di credere che con le armi si blocchino i flussi migratori. Così facendo non usciremo mai da questo groviglio mediterraneo.

Nel 2013 l’Europa contava 742 milioni di abitanti e sono arrivati 42 mila profughi. Tutti assorbiti nell’Unione. Non si possono pensare politiche di assorbimento, umane, solidali e tolleranti?

Massimo A. Alberizzi

Renzi sopprime la Forestale e la mafia brinda. Presidente ma lei da che parte sta?

Ormai non ci sono più dubbi: la politica del Governo è contro la Repubblica Italiana.

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Col DDL 1577, attualmente in discussione in Senato, Renzi intende sopprimere il Corpo Forestale dello Stato (di seguito abbreviato CFS) e disperderlo all’interno di altre forze di polizia ancora da stabilire. Il CFS da sempre si occupa di difendere l’ambiente, la biodiversità, gli animali e da qualche anno anche la tutela del made in italy e dell’agroalimentare in genere. Inoltre gestisce le 130 Riserve Naturali dello Stato. E’ il Corpo che ha scoperto i rifiuti tossico-nocivi sotterrati nella cosiddetta “terra dei fuochi” e che si sta impegnando nel dissotterrarli per restituire all’area una nuova possibilità per tornare ad essere la “Campania felix” di romana memoria.
Il rapporto ‘Ecomafia 2014‘, elaborato da Legambiente, ci dice che nel solo 2013 il CFS ha accertato più di 10.200 reati ambientali avvenuti in Italia, contro i 1.219 accertati dal nucleo operativo ecologico dei Carabinieri. L’Agenzia Europea di cooperazione giudiziaria (Eurojust) ci chiede di approvare una legge sui reati ambientali nel codice penale da decenni e ci chiede da anni anche la formazione un corpo nazionale di polizia ambientale specializzato e coordinato a livello europeo con le altre forze nazionali. E in tutta risposta il Governo Renzi smantella il CFS, l’unico Corpo con le caratteristiche richieste da Eurojust, dimostrando ancora una volta che per questo Governo l’ambiente non è una priorità.
Emblematico ed inquietante il fatto che la mafia abbia brindato alla notizia che Renzi volesse sopprimere il CFS. Tale rivelazione è riportata in una intervista che Sergio Costa, il Comandante Regionale della Campania del CFS, ha rilasciato al Corriere del Mezzogiorno. In questa intervista shock Costa rivela che “un informatore ci ha raccontato che, il giorno in cui è stato annunciato lo smantellamento del Corpo Forestale, personaggi vicini alle ecomafie operanti tra Napoli e Caserta hanno acquistato dolci e spumante per festeggiare la notizia. Brindare non è un reato, per carità. Ma è un segnale, no?”
A sostegno del CFS, invece, si è unita la società civile rappresentata dalle associazioni animaliste, ambientaliste e dell’antimafia, dalla Chiesa cattolica con l’Ordine dei Frati Minori Francescani, addirittura dalle associazioni dei cacciatori (Fidc, Arcicaccia, AnuuMigratoristi, Eps, e Cncn) e da personalità di rilievo tra le quali Salvatore Settis (già rettore della Scuola Normale Superiore di Pisa), Paolo Maddalena (Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale) e Franco Roberti (Procuratore Nazionale Antimafia). Quasi tutti i partiti di maggioranza e opposizione si sono dichiarati contrari alla soppressione.
Ma perché il Presidente Renzi vuole sopprimere il CFS? Come ha tentato finora di giustificare questa operazione? Dapprima ha parlato del risparmio economico derivante dalla soppressione e dall’accorpamento ad altra forza di polizia, senza però portare alcuno studio economico a supporto della tesi. Il sindacato UGL- Corpo Forestale dello Stato ha subito smentito il Primo Ministro con un proprio studio col quale ha dimostrato che il CFS costa allo Stato, al netto degli stipendi del personale, circa 30 milioni di euro l’anno e che ne fa “guadagnare” circa 28 milioni attraverso le sanzioni emesse. Ma il calcolo è comunque parziale perché se si considera l’attività di prevenzione che il CFS svolge, il risparmio per lo Stato, dovuto ai mancati danni, è molto maggiore rispetto al costo sostenuto. I 30 milioni del CFS, formato da circa 7800 unità presenti in 15 regioni, sono comunque briciole rispetto ai “carrozzoni” che Renzi vorrebbe tenere in piedi, ovvero i corpi forestali regionali. Lo studio dell’UGL-Corpo Forestale dello Stato fa emergere la scandalosa sproporzione dei costi tra il CFS e i corpi forestali regionali. Il costo totale annuo del CFS, comprensivo degli stipendi, è di 490 milioni mentre i corpi forestali regionali della Sicilia e della Sardegna, formati rispettivamente da 800 e da 1300 unità, costano 410 milioni annui (260 la Sicilia e 150 la Sardegna). In pratica queste due regioni spendono quasi quanto tutto il CFS, che è presente nelle 15 regioni a statuto ordinario.
La seconda giustificazione di Renzi è stata quella di evitare la sovrapposizione delle competenze tra forze di polizia. Anche qui è stato smentito dai fatti perché non si capisce perché il CFS debba chiudere e invece i corpi forestali regionali e le polizie provinciali, che hanno le medesime competenze, debbano rimanere in piedi. La terza giustificazione è stata quella data dalla Ministra Madia e cioè che il CFS dev’essere soppresso in quanto trattasi del corpo di polizia più piccolo. Anche questa affermazione è facilmente smentibile dato che il DDL 1577 non tocca i corpi forestali regionali e le polizie provinciali, corpi di polizia che sono più piccoli del CFS.
Presidente Renzi, qual’è quindi il vero motivo? Le sembra normale che la mafia debba brindare alla notizia di questa sua decisione mentre la società civile si mobilita? Presidente lei da che parte sta?
Per fare pressione dal basso ho avviato una raccolta firme tramite il sito Change.org che ad oggi ha raggiunto la ragguardevole cifra di 59000 firme. L’obiettivo è arrivare a quota 100000. Questa petizione è diventata un luogo in cui è convogliata gran parte della protesta della società civile nonché degli stessi appartenenti del CFS. Alla protesta si aggiunge la proposta di accorpare nei ranghi attuali del CFS, le circa 90 Polizie Provinciali e i 6 Corpi Forestali delle regioni e province autonome. Si otterrebbe un unico Corpo Forestale nazionale, come richiesto da Eurojust, con 14/15 mila unità operative sul territorio.
Quando si parla di cifre facciamo attenzione a non confondere i famosi 30000 “forestali” siciliani e i tanti “forestali” calabresi diventati oggetto di scandali per i metodi di assunzione clientelare e per lo scarso rendimento. Questo personale non fa parte del CFS ma è alle dipendenze delle rispettive regioni con il compito di fare le manutenzioni dei boschi e in alcuni casi lo spegnimento degli incendi.
Un’altra precisazione da fare riguarda il falso mito che l’Europa vorrebbe un corpo di polizia per ogni Stato membro, pena il pagamento di multe salate. L’unica cosa che l’Europa chiede al riguardo è la creazione del numero unico di emergenza “112” prevista nell’art. 26 della Direttiva 2002/22/CE. Questo non vuol dire accorpare i corpi di polizia ma accorpare i vari numeri di emergenza (112, 113, 117 ecc…).
I 5 corpi di polizia nazionali (Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria e CFS) sono composti da 305000 unità in totale e il CFS rappresenta appena il 2,5% della somma. Se escludiamo la Penitenziaria e la Finanza, che non effettuano prioritariamente il controllo del territorio, il rapporto tra il numero di operatori di polizia ogni 100mila abitanti per l’Italia è di 341, per la Francia è 385 e per la Spagna 469. Questi dati forniti dal sindacato sopra citato smentiscono un altro falso mito che fa credere che in Italia ci siano troppi operatori di polizia rispetto agli abitanti.
In conclusione, le firme raccolte verranno consegnate a Renzi, o ad un altro rappresentante del Governo, tramite una consegna ufficiale seguita da una conferenza stampa. Ogni singolo contributo è importante. Sono certo che anche voi vi unirete a questa mobilitazione. Basta una semplice firma.
Non dobbiamo permettere ad un Governo non eletto da nessuno e ad parlamento incostituzionale di cancellare con un tratto di penna la storia bicentenaria del Corpo Forestale dello Stato!
Grazie
Raffaele Seggioli
Coordinatore della Campagna #SalviamolaForestale salviamolaforestale@yahoo.comgpg02-Copy-588-Copy-Copy-Copy-Copy-Copy

ITALICUM: LA SOSTITUZIONE DELLA MINORANZA PD IN COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI ALLA CAMERA. “COLPO DI STATO” O REGOLARE GIOCO DEMOCRATICO?

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Ho già scritto in merito agli aspetti tecnici e alle conseguenze politiche della nuova legge elettorale fortemente voluta da Renzi (a tal proposito si legga questo mio articolo pubblicato da Scenari Economici: http://scenarieconomici.it/litalicum-una-legge-acerbo-2-0-di-giuseppe-palma/), quindi in questa sede mi occuperò di quanto è accaduto di recente in merito alla decisione presa dal gruppo parlamentare del PD (su evidente pressione di Renzi) di sostituire alcuni suoi parlamentari che siedono in Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati (POTERE LEGISLATIVO), i quali erano (e sono) in forte dissenso con le volontà del Presidente del Consiglio dei ministri (POTERE ESECUTIVO), e che quindi avrebbero potuto presentare emendamenti al testo dell’Italicum approvato dal Senato (il cui contenuto rispecchia fedelmente le volontà del capo del Governo).

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La nuova legge elettorale (Italicum) è stata approvata dal Senato della Repubblica alla fine di gennaio di quest’anno (grazie ai voti di una parte dell’opposizione) ed è quindi in attesa del voto definitivo da parte della Camera dei deputati perché diventi legge dello Stato.

Nel frattempo si è rotto il cosiddetto Patto del Nazareno (tra Renzi e Berlusconi) con il conseguente mutamento del quadro politico sulle riforme!

A seguito della ferma volontà espressa dal Presidente del Consiglio di voler approvare in via definitiva la legge elettorale senza alcuna modifica rispetto al testo licenziato dal Senato (in caso di modifiche il testo tornerebbe nuovamente al Senato dove la maggioranza parlamentare è in difficoltà sia numerica che politica), il gruppo parlamentare del PD (alla Camera dei deputati) ha deciso – ai sensi dell’art. 19 del regolamento della Camera – la sostituzione di ben 10 suoi deputati della Ia Commissione (Affari Costituzionali), tutti deputati che già da tempo chiedevano modifiche sostanziali al testo partorito dal Senato, in aperto contrasto con le precise volontà del Presidente del Consiglio. Per di più, i nomi dei deputati che verranno “epurati” dalla Ia Commissione sono a dir poco altisonanti: Bersani, Bindi, Cuperlo, D’Attorre, Lattuca, Pollastrini, Giorgis, Meloni, Agostini e Fabbri, i quali – chi più, chi meno – avevano espresso chiaramente la volontà di migliorare già in Commissione il testo della legge.

Per evitare “sorprese”, ecco che viene leso uno dei principi fondamentali dello STATO DI DIRITTO, ossia quello della separazione tra i poteri, e, nel caso di specie, la separazione tra il POTERE LEGISLATIVO (esercitato dal Parlamento e quindi dalle diverse Commissioni di cui esso si compone) e quello ESECUTIVO (esercitato dal Governo, attualmente presieduto da un uomo che non gode di alcuna legittimazione democratica scaturente da elezioni politiche e che è anche Segretario politico nazionale del partito di maggioranza relativa).

E’ opportuno evidenziare che la predetta sostituzione – da un punto di vista formale – avverrà nel pieno rispetto delle regole (regolamento parlamentare), ma in aperto contrasto sia con la cosiddetta Costituzione materiale (cioè con il significato intrinseco della Costituzione che non ammette ingerenze di questo tipo da parte del potere esecutivo nei confronti del potere legislativo), sia con il principio della separazione tra i poteri dello Stato.

Mai era avvenuto nella storia repubblicana un “cambio” in Commissione così repentino e massiccio in vista dell’approvazione di una legge fortemente voluta dal Governo (ben 10 deputati in una Commissione che ne conta in totale 50, di cui 23 spettanti al Partito Democratico). In pratica il PD vorrebbe sostituire quasi la metà dei suoi componenti in una delle Commissioni parlamentari più importanti per lo svolgimento della vita democratica del Paese.

Ma ormai, dal novembre 2011 in avanti, v’è in Italia un “colpo di Stato permanente” (come il mio amico Paolo Becchi lo definisce in un suo bellissimo libro avente medesimo titolo) che – nascondendosi dietro il rispetto delle regole – esautora la Costituzione materiale nell’apparente rispetto di quella formale!

Non è possibile – ai giorni nostri – pensare a “colpi di Stato” come quelli del passato in cui si faceva ricorso esclusivo all’uso delle armi; oggi, infatti, il “colpo di Stato” avviene con imbarazzante frequenza ma è appositamente travestito con “abiti” che assicurano il rispetto della forma!

Faccio un esempio: il Governo Monti si insediò nel novembre 2011 nel pieno rispetto della Costituzione formale (che non prevede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri), infatti Mario Monti e il suo Governo ottennero la fiducia da entrambi i rami del Parlamento con una maggioranza bulgara propria dei moderni “colpi di Stato”, tant’è che quel Governo fu imposto da organismi sovranazionali non eletti che fecero ricorso al “terrorismo” mediatico utilizzando il ricatto/imbroglio dello spread! Il tutto con l’appoggio di alcune alte Istituzioni nostrane, della stampa di regime e della martellante campagna televisiva! Si prospettò un gravissimo ed imminente pericolo per la Repubblica del tutto inesistente (tant’è che l’intera tempesta degli spread nel 2011 è costata allo Stato – in termini di servizio del debito – appena 5 mld di Euro in più rispetto all’anno precedente) in nome del quale si posero le basi per spodestare un Governo democraticamente eletto sostituendolo con un Governo di sconosciuti imposto dalla Troika! E che dire, ad esempio, dall’altissimo numero di voti espressi dal nostro Parlamento (nella XVIa Legislatura) in merito all’autorizzazione alla ratifica del Fiscal Compact e alla costituzionalizzazione del vincolo del pareggio di bilancio, il tutto sotto una forte pressione anti-democratica proveniente da organismi totalmente estranei al nostro ordinamento costituzionale???

Ciò detto, gli strumenti che il potere utilizza per esautorare e svilire la democrazia sono sempre gli stessi:

si crea ad arte una situazione di grave ed imminente pericolo per lo Stato, oppure di necessità di riforme urgentissime allo scopo di salvare/migliorare le Istituzioni e/o l’economia del Paese;
si condisce il tutto attraverso una campagna mediatica che rimbecillisce il popolo (a tal proposito il potere “ingaggia” alcuni professoroni/espertoni pronti a vendere la propria indipendenza culturale in cambio di riconoscimenti, nomine, scatti di carriera e/o poltrone);
si rende urgente e non più ritardabile l’adozione di misure anti-democratiche facendole digerire per necessarie e salvifiche in virtù di un falso miglioramento della situazione;
si costringono (anche comprandole) le pedine del potere ad adottare queste misure;
si pongono in essere sistemi che rendono quasi impossibile il ripristino delle situazioni pre-esistenti, anche attraverso campagne di informazione a carattere intimidatorio (se non di peggio);
si delegittimano (anche culturalmente) sia le opposizioni che le voci fuori dal coro, arrivando addirittura a tenerle lontane dai circuiti mediatici più seguiti dal popolo!

Per far questo, essendo ormai matura nel popolo la concezione della gravità di violare le regole scritte nella Costituzione, si utilizza il vile sistema dello smembramento sostanziale del significato intrinseco delle regole stesse!

E’ accaduto in passato (remoto e recente), stà accadendo adesso, accadrà anche in futuro!

Nel caso dell’imminente sostituzione dei 10 deputati PD dalla Ia Commissione della Camera in vista dell’approvazione definitiva dell’Italicum, pur essendo stato – da un lato – rispettato il regolamento parlamentare (FORMA), dall’altro si è spudoratamente calpestato sia il principio della separazione tra i poteri dello Stato sia il significato intrinseco del regolamento stesso e della Costituzione materiale (SOSTANZA).

Quindi che importa se la sostanza è del tutto calpestata e tradita!

Del resto anche Napoleone e Mussolini arrivarono al potere rispettando la forma ma calpestando la sostanza: il primo si fece nominare console dal Consiglio dei Cinquecento dopo che Parigi era stata circondata dalle truppe del M.llo Murat con il pretesto di un grave ed imminente pericolo per la Francia (una vera e propria forzatura costruita ad hoc); il secondo fu addirittura chiamato dal Re allo scopo di conferirgli l’incarico di Presidente del Consiglio dei ministri dopo che la marcia su Roma aveva indotto la corona a desistere dall’adottare soluzioni drastiche (Vittorio Emanuele III avrebbe potuto firmare lo stato d’assedio presentatogli da Facta con la conseguenza che mai sarebbe nato il Ventennio fascista).

I “colpi di Stato” dell’Era moderna e contemporanea, quindi, avvengono nel sommario rispetto delle regole ma tradendo e calpestando la sostanza!

Inoltre, ed è una circostanza del tutto evidente, le imposizioni dell’attuale Presidente del Consiglio nei confronti della sua maggioranza parlamentare, oltre a sottolineare un’indebita ed illegittima ingerenza del POTERE ESECUTIVO nei confronti del POTERE LEGISLATIVO, provocano un preoccupante spostamento dell’asse democratico/costituzionale verso il primo a scapito del secondo, in evidente contrasto NON con la Costituzione formale (le cui disposizioni sono sommariamente rispettate) bensì con la Costituzione materiale, la quale è ormai divenuta lettera morta!

Tutto ciò premesso, che cosa rappresenta l’eventuale sostituzione dei 10 deputati della minoranza PD all’interno della Ia Commissione della Camera in vista dell’imminente approvazione dell’Italicum? E’ il frutto di un regolare gioco democratico o si tratta dell’ennesimo “colpo di Stato” dell’Era contemporanea?

Non ai posteri, ma a noi, l’ardua Sentenza!

Giuseppe Palma

Ana Elisa Osorio: “LA SOLIDARIETÀ DELL’AMERICA LATINA HA DI FATTO SCONFITTO IL MODELLO UNIPOLARE NEO-LIBERISTA AMERICANO”

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Ana Elisa Osorio. Deputata per il Parlatino (Parlamento latinoamericano) ed ex ministro dell’ambiente in Venezuela ha rilasciato questa intervista che merita conoscere:

– Dopo diverse settimane di lotte e milioni di firme raccolte in tutto il mondo, alla fine Obama si è dovuto arrendere e ha dichiarato come il Venezuela non rappresenti più una “minaccia”. Quanto dovremmo aspettare prima che arrivi anche la deroga del decreto presidenziale?

E’ stata chiaramente una buona notizia l’ammissione di Obama che il Venezuela non rappresenti una minaccia per la loro sicurezza. Ora il presidente americano deve derogare questo decreto che ha portato alla mobilitazione di massa nel mondo con oltre undici milioni di firme raccolte. Lo deve fare non solo per il Venezuela, ma per il processo anti-imperialista in corso nel sud America. La minaccia sta altrove, sta in chi vuole imporre un impero.

– Da questo punto di vista, è stata molto significativa la VII Cumbre de las Américas a Panamá che ha ribadito il sostegno del continente al Venezuela. Cosa rappresenta oggi l’America Latina rispetto al modello unipolare neo-liberista che gli Stati Uniti vogliono ad esempio imporre in Europa attraverso il TTIP?

L’incontro di Panama è stato moto importante. Si è avuta la dimostazione di come l’America Latina sia oggi unita nella diversità, con paesi molto diversi tra loro – alcuni si definiscono socialisti, altri progressisti, altri di destra – ma uniti in un blocco, il Celac, che riproduce in parte il progetto originario di Simon Bolivar, che sognava una grande nazione di Repubblica unita.
A Panama è stato accolto questo messaggio. Un’esigenza nata con Chávez, con Lula, con Fidel, con Kirchner e che si sta materializzando attraverso uno spazio di unità, di integrazione dove la solidarietà e la condivisione vengono prima dei bisogni economici. Il mondo unipolare voluto dagli Stati Uniti, e dall’Europa, su tutto il pianeta, per questo, non esiste già più.
Nel suo progetto politico, Chávez voleva un sistema multipolare per la pace, non solo per la “Nuestra América” ma per tutto il mondo, per il rispetto dei diritti umani, per la lotta alla povertà. Oggi tutto questo non è un’esigenza solo dell’America latina unita, ma anche di Russia e Cina, ad esempio. Si va verso quella multipolarità importante per mantenere l’equilibrio del pianeta e che di fatto segna la sconfitta dell’idea unipolare dell’impero. E’ giunto il momento di pensare per l’Europa del sud un modello di integrazione similare per non divenire il cortile di casa della Troika?

L’idea di un’Alba mediterranea è meravigliosa. I modelli non sono esportabili di per sé, perché l’ALBA-TCP ha delle caratteristiche tipiche dell’America latina, è stata la nostra seconda indipendenza, che ha raccolto poi un’esigenza comune di Venezuela, Ecuador, Bolivia e altri paesi. Si tratta di un’integrazione solidale in cui il petrolio viene scambiato per cibo, il petrolio viene scambiato per servizi medici ed educazione, etc… E’ una relazione in cui guadagnano tutti i paesi e che va contro le logiche del profitto del capitalismo dove uno domina sull’altro. Noi abbiamo dimostrato che è possibile. Ed è straordinario che di tutto questo si discuta anche in Europa del sud: è un salto qualitativo per l’Europa quello che sta accadendo in Grecia, in Spagna e anche in Italia. E può essere un esempio in un continente dove il modello di integrazione è quello della logica economica tedesca della disuguaglianza e di un paese che domina sugli altri. Simón Bolívar diceva che l’unità è la forza. Anche nell’Europa del sud si deve comprendere come il potere risiede nei popoli, i popoli devono prendere coscienza di questo e assumersi le responsabilità storiche.

– Lei è stata ministro dell’ambiente nel governo Chávez. Ci può spiegare come si combina la cosidetta visione di “Ecosocialismo” in un paese estrattivo come il Venezuela?

Il Venezuela è stato il primo paese di tutta l’America Latina ad istituire negli anni ’70 un ministero dell’ambiente, il terzo paese al mondo a farlo. Con l’annuncio del “Piano della Nazione” da parte di Chávez, il ministero ha fatto un salto qualitativo enorme con l’obiettivo di attuare l’”ecosocialismo”. Partendo dal presupposto che il modello di sviluppo capitalista è predatorio, si scaglia sui più poveri e sta determinando disastri all’ambiente come il cambiamento climatico e il fracking, l’ecosocialismo si compone di diversi aspetti tutti volti al rispetto della Madre terra, come enunciato nelle costituzioni della Bolivia e dell’Ecuador, e al rispetto della donna. Noi in Venezuela abbiamo vigente un diritto che garantisce alla donna di vivere una vita libera da violenze. Questo non avviene in Spagna o in Italia.
Per costruire la via verso il socialismo, tuttavia, dobbiamo superare la nostra dipendenza dal petrolio e costruire un’economia che sappia diversificare la ricchezza con un’idea di economia che sappia valorizzare le piccole imprese, le imprese sociali, le cooperative contro l’appropriazione del grande capitale, dei monopoli finanziari, proteggendo l’ambiente, le famiglie, la nostra libertà e i nostri diritti.
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(Da l’Antidiplomatico: intervista rilasciata a Napoli sabato 11 aprile in occasione del Secondo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana)di Alessandro Bianchi e Marinella Correggia

“ITALIA ed EURO, QUALE FUTURO?

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Cosa prevedono i trattati europei?
Campodarsego 13 aprile 2014.

I Trattati europei prevedono l’avvicinamento delle legislazioni degli Stati partecipanti al tessuto costituzionale portato per mezzo del Trattato di Lisbona. Questo processo è stato agevolato dall’evolversi della dittatura partitocratica in una nuova dittatura di un partito, unico di fatto, tale divenuto per la collusione instauratasi fra le istituzioni e fra i partiti coinvolti ciascuno in qualche forma di reato. Ma i trattati europei si pongono in antitesi con la Costituzione della Repubblica in modo inconciliabile. La garanzia apprestata dall’art. 138, con la sua procedura, è di ostacolo a questo percorso attuato in modo non democratico.
Mario Donnini

Mi è gradito il compito di integrare con un contributo di natura giuridica le splendide relazioni degli economisti insigni che mi hanno preceduto.
Voglio, perciò, condurvi ad esaminare l’altra faccia della medaglia dei Trattati europei e, cioè, esemplificando, come essi si rapportano con la nostra Costituzione e, segnatamente, con i suoi principi fondativi: principi che guardandosi l’un l’altro si completano a formare quella trama dei principi che costituisce la base del nostro vivere. La stessa trama dalla quale si generano i nostri diritti e, per converso, i nostri doveri.
E voglio iniziare subito con una riflessione: I Trattati europei, come oggi si presentano, si pongono, con la loro strumentalità verso il libero mercato, in antitesi con la nostra Costituzione in modo inconciliabile. E parlo di strumentalità perché tutti i trattati e tutti i loro aggiornamenti, sicuramente, da Maastricht (TUE) 1992 in poi, tendono inesorabilmente e costantemente a sovvertire le fondamenta della nostra tradizione democratica parlamentare e dello Stato sociale.
Una rifondazione dell’Unione europea deve – non dico: “può” – deve avvenire sulla base di questi due principi.
Facciamo qualche passo indietro. Se andiamo a esaminare le finalità e gli obbiettivi che nel 1992 si prefiggeva l’Unione europea con il trattato di Maastricht (7 febbraio 1992) e la situazione in cui ci troviamo, dobbiamo ammettere che l’Unione europea ha fatto molti passi avanti verso quel progetto, ma che ha tradito gli ideali originari.
Il Trattato sull’Unione europea, appunto, trattato di Maastricht, aveva la finalità: di preparare la creazione dell’Unione monetaria europea e gettare le basi per un’unione politica (cittadinanza, politica estera comune, affari interni).
Osserviamo subito che la creazione dell’unione monetaria, malgrado tutte le limitazioni che veniva a porre sulla sovranità degli stati europei, fu anteposta all’unione politica, dalla quale, invece, avrebbe dovuto scaturire; segno evidente di una obbiettiva difficoltà, direi anzi, guardando dalla parte dei cittadini, di una obbiettiva contraddizione intrinseca al progetto. Contraddizione usata in spregio e in danno della democrazia e dove non c’è democrazia, c’è dittatura.
Vi è in ciò anche il primo cenno di quella volontà di perseguire il progetto dell’Unione a costo anche di sovvertire la logica dei principi, fino a superare i cardini costituzionali e gli attuali modelli di protezione sociale.
Le aspettative e l’entusiasmo per l’Europa dei popoli erano tali che questo deficit democratico venne poco compreso dai più. Naturalmente, a ciò non fu estranea, anzi tutto ciò era coerente con la mutata condizione dei mercati mondiali, con la competizione crescente e con la struttura e organizzazione industriale in progressivo mutamento.
Ora, portiamo l’attenzione sugli obbiettivi a dir poco entusiasmanti, di Maastricht, che non facevano certo presagire questa stretta mortifera che oggi ci attanaglia. In sintesi:
– promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e sostenibile, segnatamente mediante la creazione di uno spazio senza frontiere interne, il rafforzamento della coesione economica e sociale e l’instaurazione di un’unione economica e monetaria che comporti a termine una moneta unica, in conformità delle disposizioni di quel trattato;
– affermare l’identità dell’Europa sulla scena internazionale, segnatamente mediante l’attuazione di una politica estera e di sicurezza comune, ivi compresa la definizione a termine di una politica di difesa comune che potrebbe, successivamente, condurre ad una difesa comune;
– rafforzare la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini dei suoi Stati membri mediante l’istituzione di una cittadinanza dell’Unione;
– sviluppare una stretta cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni; …..
Fermiamoci qui e veniamo ad oggi e all’Europa dei mercanti del denaro, che ha avvolto nelle sue spire l’Europa dei nostri sogni: l’Europa delle Patrie.
Con il Trattato di Lisbona siamo tutti diventati sudditi di un paese-continente che ha ben poco a che fare con la Repubblica Italiana, che è governato da figure oscure non elette da noi, che impongono nuovi trattati e ci stanno avvolgendo in una ragnatela di leggi, obbedienti a principi sociali, politici ed economici contro i quali ci siamo battuti per secoli.
Ci illudiamo ancora di essere una Nazione, una Repubblica con il suo Capo, con una Costituzione democratica, di essere rappresentati da un Parlamento, di essere protetti da uno Stato sociale. Invece, siamo tutti emigranti senza Patria, verso questo stato enorme, senza anima, portato, a Est all’espansione, a Ovest alla sudditanza; dove, sulla natura stessa dell’uomo, prevalgono i principi della finanza, che non è l’economia: i principi del denaro per il denaro. Il progresso tecnologico condurrà a un risultato finale dove la dignità e la stessa natura umana saranno offese.
In Italia e in Europa, nella indifferenza dei popoli europei e, sicuramente, degli italiani – quindi, anche nella mia, nella vostra – è in atto da anni un mutamento sostanziale dell’assetto, anzi, degli assetti costituzionali, che è stato introdotto dal Trattato di Lisbona, quasi sotto silenzio, come che si trattasse di un atto dovuto, con l’obbiettivo di portarci verso una identità europea, solo apparentemente intesa come unità di popolo.
Indifferenza messa in preventivo e voluta, perché, da un lato, dal sogno dell’Europa delle Patrie della mia gioventù e dal poco credito verso la nostra identità nazionale, è derivato un assunto per cui tutto ciò che è Europa è bene e fa bene all’economia, dall’altro lato perché l’intero Trattato (si scrive Trattato, ma si legge Tradimento) è stato architettato e redatto in modo da risultare incomprensibile e letteralmente illeggibile dai comuni cittadini, compresi i nostri politici. Parliamo, infatti, di 329 pagine di emendamenti su materie diverse, non connessi fra loro, che sono stati apportati (aggrumati direi) a 17 concordati e che vanno inseriti, con opera certosina e memoria divina, all’interno di 2800 pagine di leggi europee.
Si è trattato di un ritorno al “metodo classico” di modificare i Trattati esistenti, senza abolirli, laddove il progetto di Costituzione bocciato proponeva di abrogare i Trattati esistenti per sostituirli con un testo unico, alla portata di tutti. Immaginate quali difficoltà ciò comporta per il lettore che, senza la parallela consultazione dei trattati precedenti, modificati e, poi, rimodificati, non può ne valutare l’entità delle modifiche, ne analizzare le nuove norme alla luce dell’intero trattato nel quale si inseriscono.
Volete sapere il perché?
Cito le parole di Jean Monnet, padre fondatore dell’UE:
«Le nazioni dell’Europa dovrebbero essere guidate verso il superstato senza che i loro popoli sappiano cosa sta accadendo. Ciò si può ottenere tramite passi successivi, ognuno mascherato da uno scopo economico, ma che porterà alla fine e irreversibilmente alla federazione»
Ma, mi domando: Quale federazione?
Il Trattato di Lisbona (del 13 dicembre 2007 ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, a ferragosto! ha modificato il trattato sull’Unione europea TUE, il trattato che istituisce la Comunità europea TFUE e ad essi è stato aggiunto il Trattato di Nizza del 2003.

In realtà, il Trattato di Lisbona ha annullato le carte costituzionali di tutti i 27 paesi europei firmatari, reintroducendo di soppiatto, sintetizzandola, anzi, peggiorandola e spalmandola nelle modifiche ai trattati già in vigore, quella stessa “Costituzione europea”, esattamente intitolata il “Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa” (Roma 2004), bocciata in sede di ratifica dai referendum francese, olandese e, praticamente, danese, del 2005, per la sua ignoranza dello Stato sociale e per la smaccata parzialità a favore degli assetti finanziari mondiali

Le differenze nei contenuti sarebbero l’abbandono dal nuovo documento di quegli articoli relativi alla bandiera, all’inno e al motto dell’Europa unita. E nient’altro!

Infatti, il Trattato, c.d. di Riforma, non prevede una politica comune in tema fiscale, salariale e sociale. Non prevede alcun metodo per finanziare il già misero Capitolo Sociale del nuovo super Stato europeo, poiché fra le migliaia di articoli pensati con oculatezza, guarda caso, manca proprio quello che armonizzi le politiche fiscali/monetarie/economiche con quelle sociali. Guarda caso.
Tutto il cosiddetto capitolo “politica sociale” (Titolo X) del TFEU, è misero, pure se ha voluto rappresentare un progresso rispetto ai precedenti. Lavoro, salute, scioperi, tutele, leggi sociali, impiego…vi sono disciplinati, ma soffre di limitazioni e omissioni, mentre, al contrario, sono sanciti con forza i principi a favore del Libero Mercato e del mondo finanziario. Non vi tedierò con la descrizione del Trattato.
Valga l’esempio del suo art. 151, tipico dell’ipocrisia che caratterizza l’Unione con il suo affermare una cosa e farne, poi, valere un’altra di segno diametralmente opposto:

Articolo 151
(ex articolo 136 del TCE)
L’Unione e gli Stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, hanno come obiettivi la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione.
A tal fine, l’Unione e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell’economia dell’Unione.

OBIETTIVI DELL’UNIONE
1. la promozione dell’occupazione,
2. il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso,
3. una protezione sociale adeguata,
4. il dialogo sociale,
5. lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione.
A tal fine, l’Unione e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell’economia dell’Unione.

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Nino Galloni

Cosa voglia significare “mantenere la competitività dell’economia” rispetto ai salari e, in generale, al welfare, in un mercato dell’Unione aperto, anche nei confronti dei paesi terzi, BRIC innanzitutto, ben possiamo immaginarlo. Volevamo un mercato comune aperto, che abbattesse i confini tra gli Stati europei e abbiamo un intero continente senza più confini, senza più garanzie, che non siano quelle della mera sopravvivenza, dove vige la legge del più forte perché il sistema economico è stato affidato alla pura concorrenza tra imprese, multinazionali e gestori dei grandi capitali privati internazionali.
E sempre più lo sarà se sarà approvato il TTIP (detto anche TAFTA) Transatlantic Trade and Investment Partnership (Partenariato per il Commercio e gli Investimenti Transatlantici), che io definisco la rivincita delle multinazionali sull’Europa, a discapito della sicurezza ambientale e alimentare. E’ un sistema blasfemo, che offende la dignità dei cittadini abbassati al rango di sudditi e fa venir meno la sacralità della trama dei principi costituzionali fondativi; lo Stato, anzi, gli Stati e i popoli sono privati di ogni potere di gestione delle proprie economie.
Da molti anni USA e Europa si fanno la guerra sulla sicurezza sanitaria degli alimenti e sulle implicazioni che le leggi europee hanno sul libero scambio delle merci. Pensiamo ai divieti europei sull’utilizzo degli ormoni nella carne bovina, la mucca pazza, agli OGM e al pollo pulito col cloro: divieti assenti nella legislazione USA. Il Ttip, in caso di opposizione di uno Stato a questa commercializzazione, prevede un meccanismo di arbitrato che può costringere gli stati a pagare alle multinazionali l’equivalente dei mancati superprofitti”. Il TTIP offre agli USA una riapertura dei negoziati, a proprio vantaggio.
Ma, per la finanza mondiale tutto questo non conta. La sicurezza sanitaria degli alimenti non conta. Conta che l’economia europea ne trarrà un incremento di 120 bilioni di dollari, quella USA di 90 e quella mondiale di 100. Il Trattato entrerà in vigore – si stima o, meglio, si vuole – ai primi del 2015.
L’Unione europea favorirà il libero mercato rafforzando il valore speculativo della finanza a scapito del valore sociale. Non ci sarà un nuovo punto di equilibrio, sia pure al ribasso, fra il Capitale e il Lavoro perché uno stato sociale sottrae risorse al mercato e il mercato ricerca continuamente il profitto. Ciò comporterà inevitabilmente un divario sempre più incolmabile tra classi ricche, che diventeranno ricchissime, e classi disagiate, che diventeranno poverissime.
E’ la negazione della nostra Costituzione e l’epilogo di una crisi della democrazia parlamentare, del Lavoro come diritto e del diritto Costituzionale. Una crisi, però, che viene da lontano, tale che si può ben dire che la nostra Costituzione nasce dall’antifascismo, ma nasce anche dalla guerra.
Non dalla guerra mondiale, ma da quella più grande guerra civile combattuta fra il lavoro e il capitale e iniziata almeno con la Rivoluzione Francese.
Invece, nei trattati europei, il posto del “diritto al lavoro” è stato preso dal “diritto alla libertà di commercio”.
Ciò significa che il libero mercato spazzerà via completamente gli aspetti sociali delle politiche nazionali sul lavoro. Ci avvieremo alla dittatura del capitalismo neoliberista. E anche in questo il Trattato si pone in contrasto con l’art.36 della nostra Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
Ciò significa che stiamo retrocedendo dallo Stato Sociale allo Stato Liberale: un salto indietro di due secoli.
Perché diciamo: “Retrocedendo dallo Stato Sociale”? perché, con tutto l’ottimismo di cui siamo capaci, l’Unione Europea non riuscirà a divenire l’economia più competitiva del pianeta se non riduce significativamente gli attuali livelli di tassazione, necessari per finanziare i costosi welfare state, o se non riduce e il ruolo dello Stato nella regolazione dei mercati.
I sistemi di protezione sociale devono adattarsi alle nuove circostanze, non possono più essere quelli sviluppati decenni or sono in situazioni molto diverse: se le economie si adattano al mondo attuale, altrettanto devono fare i sistemi di protezione. Bisogna riuscire a studiare e introdurre moderne reti di protezione sociale che ottengano obiettivi non dissimili da quelli raggiunti dai migliori sistemi europei, ma che lo facciano in modo più efficiente verso tutti i lavoratori, anche non-dipendenti e che lo facciano in modo più “amico del mercato”. Il disegno dei nuovi sistemi dovrebbe essere una sfida importante per i candidati alle elezioni europee, e in particolare per i “non politici” che fanno parte della Commissione europea.

Il Trattato di Lisbona non è un mero atto formale. Questa Costituzione Europea, che, con intento fraudolente, costituzione non è chiamata, doveva seguire e non ha seguito la procedura di revisione della Costituzione. Anche l’introduzione dell’Euro, per le limitazioni che ha portato alla sovranità, doveva seguire e non ha seguito questa procedura di revisione. Essa, per dirla con Sant’Agostino e San Tommaso è “legge ingiusta”, eguale “legge nulla”. Più precisamente, manca di giuridicità e ben può definirsi una “perversione della legge”. E c’è chi come Bechi, va argomentando sulla ammissibilità di un referendum propositivo di iniziativa popolare, come quello sull’euro, proposto, sia pure strumentalmente, nei sette punti di Genova e chi, invece, chiama in causa l’art. 75 della Costituzione e, cioè, l’inapplicabilità dell’istituto referendario ai trattati internazionali. Di quale internazionalità stiamo parlando? Qui si dispone della Carta e della vita del Popolo Italiano!

La Costituzione non prevede, nella sua lettera, un’ipotesi simile, ma nell’89 i partiti furono concordi nell’approvare questo strumento atipico (il “referendum di indirizzo”) mediante una legge costituzionale ad hoc, formalmente “in deroga” o “rottura” di quanto previsto dall’art. 75 della Costituzione, per legittimare con il ricorso al voto popolare l’accelerazione del processo di integrazione europea
Comunque, il Trattato di Lisbona viola immediatamente almeno due articoli della Costituzione italiana, l’Articolo 1 (“La sovranità appartiene al popolo“) e l’Articolo 11 (L’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie”). Riguardo a quest’ultimo, le condizioni di parità sono violate dal fatto che paesi come la Gran Bretagna e la Danimarca, membri del trattato, sono esonerati dalla partecipazione all’Euro. Così essi possono, ad esempio, fissare il tasso d’interesse in modo vantaggioso per loro ma svantaggioso per gli altri firmatari del trattato. Quindi, il trattato è in conflitto con la Costituzione Italiana. Leggendo articolo per articolo le due Costituzioni la risposta è esattamente questa.
Vi porto due esempi:
Primo esempio, la Giustizia:
– 
Costituzione italiana.
I giudici (che rappresentano il potere giudiziario) sono indipendenti dal Governo (che rappresenta il potere esecutivo).

– Costituzione italiana – I giudici (che rappresentano il potere giudiziario) sono indipendenti dal Governo (che rappresenta il potere esecutivo).

– Trattato di Lisbona.
“La Corte di giustizia (europea) è composta da un giudice per Stato membro. È assistita da avvocati generali … Sono nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri.
Trattato di Lisbona – “La Corte di giustizia (europea) è composta da un giudice per Stato membro. È assistita da avvocati generali … Sono nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri…
E’ il principio garantista della separazione dei poteri legislativo, esecutivo, giudiziario, e l’indipendenza della magistratura dal potere esecutivo che vanno a farsi benedire.

Ora, osserviamo il secondo esempio, la 
Guerra:


– Costituzione italiana – Art. 11.- ” L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

– Trattato di Lisbona – “La politica di sicurezza e di difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune. Essa assicura che l’Unione disponga di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari. L’Unione può avvalersi di tali mezzi in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. L’esecuzione di tali compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri.”


Delle “condizioni di parità violate abbiamo già cennato. Ora, è bene ricordare che il pacifismo fu un atteggiamento mentale condiviso da tutti i partiti politici, presenti nell’Assemblea Costituente ed è ben vivo in noi.
Perciò, non viene soltanto disatteso, ma viene tradito lo spirito della Costituzione Italiana (che ripudia la guerra) e si approva “la capacità operativa” per “la prevenzione dei conflitti”, prevedendo la possibilità per l’Europa di entrare in guerra, anche senza il voto dell’ONU.
 Magari non in una guerra di conquista, ma in una guerra contro il terrorismo (parola magica che ha aperto le porte della Mecca agli infedeli). Una guerra preventiva come quelle che scatena la Casa Bianca a difesa dei propri interessi economici e strategici e del dollaro. Una guerra di pace, per intenderci, o una pace di guerra… Scusatemi il bisticcio, ma ero abituato a dire pane al pane e vino al vino.
Come questo si sia reso possibile, chiedetelo a Giuliano Amato, Romano Prodi, Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi, al Presidente Napolitano, ai senatori della passata legislatura (molti di loro non l’hanno mai letto) che votarono compatti la ratifica di tutto questo TRADIMENTO; ma, soprattutto chiediamolo a noi stessi, che abbiamo delegato la tutela dei nostri diritti, che non ci ergiamo a difesa dei nostri principi.
L’art. 11 è posto nella Costituzione Italiana nella parte dei “Principi fondamentali” e anche questo Principio, fino a quando l’art. 138, sì: il famoso art. 138, garantirà la rigidità della Costituzione, rappresenterà per il legislatore un vero e proprio “vincolo giuridicamente rilevante” e non una semplice dichiarazione ad uso p.es., di politica estera (contra: Berlusconi, D’alema 2002).
Ho parlato poc’anzi di tradimento: e bisogna riscriverlo il reato di Alto Tradimento! e, per una volta, la sua vigenza sia retroattiva! ché troppo grande è la ferita inferta alla democrazie e a quella che era la settima potenza industriale del mondo…solo l’altro ieri!
***
Una precisazione: Abbiamo detto che la “Proposta di una Costituzione europea” bocciata dai referendum del 2005 divergeva dalla concezione dello Stato Sociale, ma non si è mai dubitato che servano reti di sicurezza che proteggano i lavoratori più esposti ai rischi del cambiamento in atto.
Non vogliamo, con ciò, far passare la malintesa idea che l’UE debba farsi carico di promuovere un “modello sociale europeo”. Questa idea è stata all’origine di svariati equivoci, e in parte anche di una eccessiva acrimonia nei confronti di quella (ormai superata e dimenticata) “costituzione per l’Europa”.

Quelli della giustizia e della guerra, che abbiamo esaminato sono soltanto due esempi dell’inconciliabilità della “de costituzione europea – passatemi la celia – con la Costituzione della Repubblica Italiana.
Ma si è diffusa, anche, una polemica secondo la quale il Trattato di Lisbona reintroduce surrettiziamente la pena di morte.
In realtà sia il Trattato di Lisbona che le legislazioni nazionali europee, avendo ratificato il “protocollo XIII della Cedu
hanno escluso esplicitamente la pena di morte anche in caso di guerra o di “imminente pericolo”.

– Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU),
Titolo I, Diritti e Libertà,
Articolo 2.- Diritto alla vita

1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena.
2. La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:
(a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;
(b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta;
(c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione.

Queste esclusioni dal divieto sono dette “definizioni negative”; sono state già accettate da tutti gli stati che hanno ratificato la Cedu e in sostanza dicono che non si viola il divieto di pena di morte se questa è procurata durante una legittima operazione di polizia e si ammette che gli stati possano introdurre la pena di morte in tempo di guerra.
Il tedesco Schachtschneider criticava il fatto che le definizioni di “sommossa”, “insurrezione” e “pericolo imminente di guerra” non essendo ben specificate ben possono essere interpretate in senso repressivo.
Per completare il quadro, L’art. 222 TFUE introduce la nuova «clausola di solidarietà», nel senso che l’Unione e gli Stati membri in uno spirito di aiuto reciproco agiscono congiuntamente qualora uno Stato membro sia oggetto di un attacco terroristico o sia vittima di una calamità naturale o altro tipo di emergenza grave. Si tratta di una vicendevole assistenza tra l’Unione e gli Stati membri, che sarà meglio precisata nella decisione di attuazione della clausola di solidarietà.

Non è facile cancellare secoli di civiltà. Consci di aver rotto ogni argine, di aver passato ogni limite e che avremmo potuto opporci a questo meretricio dei principi e dei diritti, incerti sulla nostra fedeltà ai principi fondamentali Libertà, Eguaglianza, Dignità, Solidarietà, i Mercanti vollero premunirsi con un apparato militare sovranazionale di difesa della loro stabilità: la Forza di Gendarmeria Europea, Eurogendfor, una polizia a statuto militare, anti sommossa, che gode di una autonomia dal Parlamento e di una “immunità giudiziaria” totali. Merita soffermarsi su questa polizia europea perché è stata istituita nel silenzio dei media, quasi in segreto e ci lascia, perciò, poco tranquilli, al punto che il suo nome viene sussurrato. Ma, citando ancora i nostri Santi, ai Mercanti e ai loro servitori rammento che non bisogna temere tra i sudditi solo lo spirito di ribellione – pur sempre positivo, almeno in valore assoluto – ; ma anche quello del servilismo.
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Eurogendfor è stata istituita con il Trattato di Velsen del 18 ottobre 2007, ratificato a giugno 2010 da Camera e Senato con una maggioranza bulgara, (L.n. 84/2010), cui l’Italia ha aderito con altre cinque nazioni (Portogallo, Spagna, Francia, Olanda e, ultima, la Romania).
Essa deve, in stretta collaborazione con i militari europei, garantire “la sicurezza nei territori di crisi europei”. In pratica, il suo compito è principalmente quello di sopprimere le rivolte e la sua base – guarda caso – è a Vicenza. Merita leggerli questi compiti nell’articolato stesso del Trattato.
L’art. 4 del Trattato dice che potra’ essere utilizzata al fine di:
a) condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico;
b) monitorare, svolgere consulenza, guidare e supervisionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi compresa l’attivita’ d’indagine penale; cioè controlla la P.S.;
c) assolvere a compiti di sorveglianza pubblica, gestione del traffico, controllo delle frontiere e attivita’ generale d’intelligence.

Non possono essere intercettate le sue comunicazioni e può spiare senza necessità di un mandato.
Direte: Già lo fanno, ma un conto è che lo facciano, un conto è che sia legge, perché è il diritto alla riservatezza che va a farsi benedire. Ma, ecco:
Art. 29, c. 3. I membri del personale di EUROGENDFOR non potranno subire alcun procedimento relativo all’esecuzione di una sentenza emanata nei loro confronti nello Stato ospitante o nello Stato ricevente per un caso collegato all’adempimento del loro servizio.
Cioè, non risponde ad alcun potere della Magistratura e a nessun Parlamento nazionale ne tan’ poco, europeo.
Non parliamo di qualcosa di futuro, ma del presente. Le truppe della Forza di gendarmeria europea sarebbero state già impiegate ad Haiti e ad Atene, lo scorso ottobre, su richiesta del Primo Ministro Papandreou, in vista degli scontri di quei giorni. (La notizia era trapelata su numerosi blog, alcuni a carattere nazionalista, per poi finire sul web e nei telegiornali e venne confermata da fonti giornalistiche greche) Non vado oltre, ma chi decide e come si diventa territorio di crisi europeo?
Come è potuto accadere tutto questo senza la partecipazione consapevole dei cittadini? La mia risposta è che alla politica si è sostituito il mercato. E’ la ricchezza come potere che è risorta sovrana e domina sulla politica, sul lavoro e sui cittadini. La governance europea non rappresenta i cittadini e neppure gli stati, ma un potere finanziario, fuori della politica e domina sul Parlamento europeo. Il Parlamento europeo che fra pochi mesi andremo ad eleggere avrà il compito di rifondare L’Unione europea su basi democratiche; che significa che le Istituzioni europee devono essere elette dai cittadini. La rinegoziazione dei trattati, da Lisbona al Fiscal compact, mortifero, al MES, è un imperativo per chi vuole essere europeo.
Non sarà un compito facile e l’Italia deve parteciparvi degnamente, eleggendo – prima di tutto – non bravi ragazzi, o politici a spasso, ma persone capaci di misurarsi in quel compito e di confrontarsi alla pari con i rappresentanti degli altri paesi.

Quindi, l’Unione Europea, come si presenta oggi, è una dittatura e non è quell’alfiere della democrazia che vuole apparire, perché in una vera democrazia – citando la nostra Costituzione – la sovranità appartiene al popolo.
In essa viene meno il principio di ‘separazione dei poteri’ fra i tre pilastri – Esecutivo, Legislativo, Giudiziario che instaura controlli ed equilibri per proteggere il sistema contro gli abusi. Anzi, i cittadini europei non hanno alcun controllo sull’Esecutivo e sul processo legislativo. Di più, il parlamento stesso, eletto dal popolo, non ha alcun modo per svolgere un controllo efficace sugli altri due poteri.
Tant’è che, proprio per questo motivo, nel ‘Trattato di Lisbona è stato inserito l’articolo 225, che offre la possibilità al Parlamento Europeo
di richiedere alla Commissione di inoltrare una proposta’ di legge. La Commissione, naturalmente, può semplicemente rifiutarsi di farlo. Il potere del popolo di eleggere il proprio governo è stato trasferito a interessi commerciali.
Quanta più civiltà promanava dalla nostra Costituzione e con quanta insistenza vi sono richiamati i fini sociali ai quali gli interessi e i processi economici devono sottostare. Nel suo titolo III, dedicato ai “rapporti economici” (artt. 35-47) trovava piena e inequivocabile espressione la scelta da parte dei Padri Costituenti di una forma di economia sociale di mercato. Li elenco questi diritti e queste libertà che delineano un quadro normativo dell’economia incentrato principalmente sull’impresa privata, ma senza che questo portasse ad abbandonare la vita economica della nazione alle regole crude del mercato:

NOTA .
Costituzione della Repubblica
titolo III, “rapporti economici” (artt. 35-47)

1. Diritto al lavoro – artt. 35/36
2. Diritto all’assistenza sociale e alla previdenza del lavoratore – art. 38
3. Riconoscimento dei sindacati – art. 39
4. Diritto di sciopero – art. 40
5. Diritto all’iniziativa economica privata – art. 41
6. Riconoscimento della proprietà privata, in particolare con gli artt. dal 41 al 47 la tutela dei ritti economici dell’iniziativa e dell’attività economica a fini di interesse generale.

Il 3° comma dell’art. 41, recita ancora:
“La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” .

Ciò significa che la libera iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. Il legislatore ben può – e poteva – assoggettarla a programmi e controlli perché, appunto, possa essere coordinata e indirizzata a fini sociali.
Come si concilia tutto questo con il progressivo e sempre più veloce trasferirsi dei poteri dello Stato al mercato libero e globale? Come può lo Stato partecipare al processo di integrazione dell’Unione europea?
Siamo all’esatto opposto del principio lavoristico sancito dall’art. 1 della Costituzione italiana e, anche perciò, violata. A che serve, dunque, avere una costituzione se essa può essere impunemente violata e questa violabilità potrà mai applicarsi al Trattato di Lisbona?
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E si vorrebbe aggiungere alla Carta dei Diritti dell’uomo e del cittadino europeo (ma che cittadino? chiamiamolo suddito o al massimo consumatore), la Carta dei Doveri. Un altro esempio di ipocrisia, questa volta, mascherata da una vittoria perché la proposta venne respinta, ma con 570 contro 433 voti a motivo della inscindibilità dei doveri dai diritti. E’ una bella affermazione di principio, che, però, contrasta con i limiti sempre più stretti che si applicano ai diritti prendendo a pretesto le ragioni dell’economia; mentre non ci si può esimere dall’adempiere ai doveri di cittadino. In uno stato democratico “diritti” e “doveri” sono correlativi e di fronte a questa rivincita dell’economia capitalista, i diritti sociali non devono cedere.
Il Trattato di Lisbona ha caducato, subdolamente e nascostamente le Costituzioni degli Stati: all’insaputa dei cittadini, Italiani, quale valore hanno questi Trattati? Chi da loro la legittimazione? Non certo i loro firmatari, Prodi e D’Alema o un loro estensore, Giuliano Amato e neppure Noi – mi direte – che dovevamo essere chiamati al voto referendario. E, invece, siamo proprio Noi a legittimarli! Noi che li subiamo in nome della legalità, quell’altra legalità, che aveva accompagnato il nostro senso dello Stato e che ci impedisce di protestare la nostra estraneità. Noi, che li subiamo in nome di discutibili ragioni dell’economia, chiamata in causa per sterilizzare e depurare il significato valoriale dei principi fondanti della Costituzione; ma non ci dicono la verità! Lo Stato sociale è un concorrente da abbattere, perché drena risorse, sottraendole al consumo. Questa è la cruda verità; e non basta. La corruzione e la concussione ci trascinano sul fondo. Sembra quasi che il sistema le favorisca, che siano funzionali a un disegno disgregatore: “Divide et impera!”. Ma ciò che più mi spaura – NESSUN LEADER POLITICO NE PARLA.
In conclusione, ci piace ricordare le parole di un politico di altri tempi, ma ancora attuali. Bettino Craxi:
“Si parla di Europa come di una sorta di Paradiso terrestre. Arriveremo al Paradiso Terrestre. L’Europa per noi, nella migliore delle ipotesi, sarà un limbo; nella peggiore, l’Europa sarà un inferno. Quindi, bisogna riflettere su ciò che si sta facendo. Perché la cosa più ragionevole di tutte era quella di richiedere e di pretendere, essendo Noi un grande paese – perché se l’Italia ha bisogno dell’Europa, l’Europa ha bisogno dell’Italia. Non dimentichiamolo”.
Vedete bene, dunque, che i referendum sulla permanenza nell’euro di quanti predicano per l’uscita, sottendono ben altro e, cioè, un “referendum di indirizzo” (ossia consultivo) sul conferimento di un mandato al Parlamento la cui approvazione richiede la doppia lettura in entrambi i rami del Parlamento, secondo l’iter necessario per le leggi costituzionali. Come dire, molta propaganda e poca sostanza.

SANITA’ !

Le forbici di Renzi sulle Asl. Ecco quante sono oggi, Regione per Regione. In tutto 225 aziende sanitarie, tra Asl e ospedaliere
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Dopo le frasi del premier sulla necessità di tagliare le “poltrone dei manager Asl” fotografiamo la situazione ad oggi. Le Asl sono 139, cui si aggiungono 86 Aziende ospedaliere e ospedaliere universitarie. Il Veneto la Regione con più Asl (21) mentre è la Lombardia quella che possiede più Ao (29). Ma il trend è quello degli accorpamenti. La Toscana ridurrà le sue Asl da 12 a 3 e in Lombardia le Ao saranno ridotte da 29 a 3

11 APR – Tra Aziende sanitarie locali e Aziende ospedaliere e universitarie in Italia si arriva al numero di 225. Una cifra che, a sentire le parole del premier e osservando le ultime iniziative legislative di alcune Regioni, è destinata a scendere. Nello specifico ci sono 139 Asl (dato aggiornato al febbraio 2015) e 86 Aziende ospedaliere e Aziende ospedaliere universitarie (dato del dicembre 2013).

Per quanto riguarda le Asl è il Veneto con 21, la Regione con il maggior numero seguita da Lombardia (15), Piemonte (13), Lazio (12) e Toscana(12). Spostando il focus sulle Aziende ospedaliere e Aou la Regione che ne possiede di più è la Lombardia con 29 aziende ospedaliere, seguita da Campania (9), Sicilia (8), Piemonte e Lazio con 8.

Dal 2010 al 2015 sono state tagliate 7 Asl (-4,7%) e tra il 2010 e il 2013 sono 4 le Aziende ospedaliere in meno (-4,4%).

Ma come dicevamo il trend è quello di ridurre ulteriormente il numero di Asl e Ao. La Toscana, per esempio ha recentemente approvato una legge di riforma che riduce le Asl da 12 a 3. E anche la Giunta della Lombardia ha presentato una legge di riforma che prevede la creazione di un’unica Agenzia di tutela della salute (Ats), cui spetteranno le funzioni di programmazione, acquisto e controllo. La funzione erogatrice verrà invece affidata alle nuove Aziende sociosanitarie territoriali (Asst) che avranno ciascuna bacini di utenza non inferiori ai 600mila abitanti. Taglio netto anche alle Aziende ospedaliere lombarde che dalle attuali 29 passeranno a 3, che saranno quelle con più di 1.000 posti letto e cioè Niguarda di Milano, Civili di Brescia e Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Aziende sanitarie locali (Asl) e Aziende ospedaliere. Totale Italia e per Regione
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*Lombardia ha annunciato riforma con riduzione di Asl e Ao
**In Toscana dal 1 gennaio 2016 le Asl passeranno da 12 a 3

Fonte: elaborazione Quotidiano Sanità su dati Ministero della Salute

Luciano Fassari