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5897.- Ma quale leadership USA!

Gli Stati Uniti si avviano alle elezioni presidenziali con Trump a processo giudiziario e Biden sotto accusa dei dem

Per nostra fortuna Donald Trump è un leader che ama l’America, non è schiavo dei capitali perché ha già del suo e difende i suoi valori. Quattro mesi di un processo inventato moltiplicheranno le sue chances. Biden è stato, ma oggi è un uomo finito. Sopratutto, lui e chi lo sostiene venderebbero la loro madre. Biden si ricandida di diritto, ma Kamala Harris, suo vice, non vale nessuno dei due candidati.

Da Il Riformista, di Paolo Guzzanti — 13 Settembre 2023

Gli Stati Uniti si avviano alle elezioni presidenziali con Trump a processo giudiziario e Biden sotto accusa dei dem

Mai nella storia degli Stati Uniti d’America si vide l’avvicinarsi del giorno delle elezioni presidenziali come una vera agonia paragonabile a quella di questo inizio d’autunno ad un anno o poco più dalle presidenziali dell’anno prossimo. Mai si era visto un ex Presidente in stato di arresto, ammanettato e liberato su cauzione il quale ha reali probabilità di tornare alla Casa Bianca dove oggi vive un uomo anziano, intelligente ma fragile, che si inceppa, inciampa, cade e quando si rialza non ricorda cosa stesse dicendo, dice cose che poi il suo ufficio stampa deve rimodellare.

Il partito repubblicano, il Grand Old Party, non è più il partito dei soli conservatori ma anche della massa crescente degli americani delle che rifiutano lo Stato, e fra loro milioni di emigrati regolari di seconda o terza generazione, americani di destra provenienti dal Messico, da Cuba, dall’America Centrale nazionalisti e spesso razzisti nei confronti degli illegali che cercano di varcare la sterminata frontiera con il Messico per un sogno americano prossimo all’incubo per le reazioni interne.

Donald Trump non è solo, nel partito repubblicano, perché ha un concorrente di gran prestigio e successo come Ron DeSantis – governatore della Florida – che però ha subito una serie di rovesci elettorali e frustrazioni sulla spesa interna.

Biden, non si sa. Una corrente di pensiero nel partito democratico sostiene la ricandidatura (di fatto obbligata) di Joe Biden facendo però attenzione al vicepresidente perché, in caso di morte del vecchio Joe, sarebbe lui o lei a subentrare. E la situazione investe l’attuale vicepresidente Kamala Harris, che ha collezionato soltanto impopolarità perché non regge il confronto con il vero idolo di colore che è Michelle Obama, ma che non ha intenzione di candidarsi, almeno per ora.

Kamala Harris ha cercato di vendere lo sbiadito colore della sua pelle indiana, suo padre era un funzionario dell’impero britannico in India così come il padre di Obama era un funzionario dell’impero britannico in Kenya, ma non è riuscita anche a causa del suo discusso passato come Procuratore che mandava in galera gli adolescenti neri per spaccio di droga.

Un’altra area molto più bassa del partito democratico, destinata a restare sconfitta, avrebbe voluto fare un triplo salto mortale candidando uno dei maggiorenti del partito al posto di Biden. Ma sarebbe servito il consenso di Biden stesso il quale invece ha dichiarato più volte di sentirsi in perfettissima forma, di avere chiari in mente tutti i dossier che riguardano il suo paese e il mondo intero e ha riso in faccia a quelli che gli consigliavano di prendersi un meritato riposo. Così stando le cose la riedizione di un duello come già lo vedemmo le presidenziali di quattro anni fa fra Trump e Biden e l’ipotesi da cui è difficile svicolare.

Nel campo opposto Trump è sottoposto ad una pressione giudiziaria potentissima perché se lo contendono sia i tribunali della Georgia che quelli di New York, anche se i primi si occupano del caso più politico e cioè della pretesa violazione per le norme costituzionali per tentare di rovesciare il risultato che lo espulse da White House.

Intanto si avvicina il momento dell’inizio del “caucus” e delle primarie che assumono forme diverse per tradizioni di Stato. Le regole elettorali cambiano: non sarà facile capire se in prossimità delle nomination porteranno due e solo due aspiranti presidenti in duello fra loro. Questa è una caratteristica della costituzione americana che non ha l’uguale in nessun’altra democrazia ed è quella della più antica democrazia repubblicana del mondo disegnata in modo da poter servire un paese in cui si andava ancora a cavallo in carrozza per portare le schede elettorali anche con l’uso di treni e carri, come abbiamo visto nelle elezioni in cui ha prevalso Joe Biden. Trump è accusato in pratica di tentato colpo di Stato non riconoscendo la validità di una mai vista quantità di schede dotate a domicilio dai lettori tutti i democratici e tutti assenti. La Georgia fu uno di quegli Stati in cui i repubblicani sembravano stravincere finché due camion di schede votate capovolse i pronostici. Quello che seguì furono i tumulti di Capitol Hill del 6 gennaio quando morirono un poliziotto e una manifestante.

Da allora il paese è rimasto spaccato in maniera irreversibile. Il livore e l’odio tra repubblicani sostenitori di Trump e tutti gli altri è un fatto totalmente inedito nella storia americana perché la buona regola era che ci si ficcano le dita negli occhi fino al momento della proclamazione del vincitore ma poi tutti fanno pace ed inizia una nuova stagione di governo. Ciò non è accaduto alle ultime elezioni e oggi la “bandiera rossa”, vale a dire repubblicana (perché curiosamente in America il color rosso non ricorda la bandiera comunista ma il vessillo della destra), che decora il Midwest industriale di origini svedesi e tedesche, perché i Blue Collars – ovvero la classe operaia equivalente al nostro Cipputi – sembra che si stiano sganciando dalla leadership democratica così come stanno facendo moltissime comunità nere che accusano i democratici di nascondere sotto le grandi parole fraterne e sociali un sostanziale razzismo e una sollecitazione un po’ troppo entusiasta all’uso dell’aborto.

Cresce infatti il numero dei giornalisti intellettuali neri (specialmente donne) che affrontano la questione dell’aborto nelle comunità nere come una forma di genocidio latente e quindi si assiste a questo fenomeno assolutamente strano ma che ha la sua ragione di masse di persone che secondo le tradizioni dovrebbero costituire l’ossatura della sinistra e che invece sembrano pronte a votare a destra non tanto un reazionario conservatore, ma un fanfarone populista che sa usare la sua esperienza di conduttore televisivo e di grande uomo d’affari.

Paolo Guzzanti è stato Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.

5888.- Dialogo feto-mamma anche nella maternità surrogata


Da Avvenire.it, di Antonella Mariani giovedì 24 settembre 2015 

Che ci sia una comunicazione tra madre e figlio ancora in grembo, è pacifico da anni. Così come è ovvio che questo scambio – fisiologico, ma anche emozionale e psicologico – riguarda anche le gestanti e gli embrioni concepiti con ovuli non propri. Ma che la gestazione, laddove ci sia una fecondazione eterologa, provochi anche mutamenti genetici nel bambino, beh, questa ha tutti gli aspetti della novità. Lo studio pubblicato su Development porta la firma di Felipe Vilella e Carlos Simòn, due ricercatori della Fondazione Ivi. Vi si dimostra che una futura madre è in grado di modificare il genoma del figlio, anche quando l’ovulo è di un’altra donna. Il fattore che veicola la modifica è l’endometrio. Ecco come gli studiosi spiegano il fenomeno: alcune condizioni nelle quali si possono trovare le donne finiscono per modificare le cellule, anche quelle dell’endometrio. Questo fa sì che il fluido endometriale cambi e che nella sua secrezione venga rilasciata l’informazione genetica della madre, assorbita poi dall’embrione. «Il che spiega – afferma Daniela Galliano, direttore del centro Ivi di Roma – il processo di trasmissione di malattie come il diabete o l’obesità». Interessante sapere che la Fondazione Ivi è l’emanazione dell’omonima catena di cliniche per la riproduzione, che, partendo da Valencia nel 1990, oggi conta 23 centri tra Spagna, resto d’Europa e America. Per loro la ricerca apre nuove prospettive: laddove la maternità surrogata è consentita, infatti, «si potrà dare più importanza alla conoscenza delle abitudini, precedenti alla gestazione, della madre», sottolinea Galliano. L’ottica, ovviamente, è quella della buona riuscita della gravidanza, e dunque la nascita di un bambino doc, privo di «variazioni» genetiche impreviste. Come dire: si cercherà di garantire non solo le perfette condizioni della donatrice (o venditrice) di ovuli, ma anche della madre surrogata, visto che esse incidono sulla vita futura del nascituro e perfino dei suoi eredi. D’altra parte, però, ora si sa con certezza che tra madre surrogata e bambino «su commissione» si crea un legame non solo emotivo – e questo è già accertato – ma anche genetico. Nel Dna del bambino ci sarà anche un po’ della madre surrogata, nonostante il suo ruolo quasi da “incubatrice”. A questo punto, come ignorarlo?

5887.- La maternità surrogata come reato universale: comprendere prima di valutare.

La cultura del vizio, che una politica vorrebbe dominante, porterebbe a ignorare che nel Dna del bambino ci sarà anche un po’ della madre surrogata, nonostante il suo ruolo quasi da “incubatrice”.

Da Centrostudilivatino, SET 7, 2023maternità surrogata

Sommario: 1- Premessa. 2- La tutela dei minori 3-La valutazione sulla surrogazione di maternità. 4-La modifica prevista dal disegno di legge. 5- Le caratteristiche del reato universale. 6-Conclusioni

1. Premessa

La valutazione sulla modifica del reato di maternità surrogata – che si vorrebbe trasformare in “reato universale” – inevitabilmente risente dell’approccio ideologico e culturale al problema; una questione che non può essere affrontata correttamente senza una disamina del quadro normativo e delle interpretazioni fornite dalla Corte Costituzionale, dalla Cassazione e dalle autorità europee sul tema.

Il significato di questo breve contributo è esattamente questo. Prima di esprimere valutazioni personali – indubbiamente tutte legittime- sul significato sociale prima ancora che giuridico della maternità surrogata è indispensabile individuare con chiarezza le posizioni ufficiali sull’argomento – a livello nazionale e internazionale – al fine di comprendere se forme di intervento su quella che è la realtà del settore siano giustificate e condivisibili anche laddove riguardino condotte che non avvengono sul territorio nazionale.

Per chiarezza, occorre ricordare che la surrogazione di maternità non solo è fenomeno differente dalla fecondazione eterologa, ma non è fenomeno univoco, in quanto può assumere due forme distinte:

  • surrogazione di concepimento e di gestazione, quando una donna demanda a un’altra donna sia la produzione di ovociti, sia la gestazione, non fornendo alcun apporto biologico
  • surrogazione di gestazione, nella quale l’aspirante madre produce l’ovocita il quale, una volta fecondato dallo spermatozoo, viene impiantato nell’utero di un’altra donna che fungerà esclusivamente da gestante.

2. La tutela dei minori

E’ necessario premettere un aspetto che- almeno apparentemente- risulta condiviso: la assoluta, prioritaria, imprescindibile tutela dei minori “frutto” di tali pratiche.  Un concetto che è stato ribadito – se mai ce ne fosse stato bisogno – dalle S.U. della S.C.[1], per la quale il riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla gestazione per altri e il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana, trova ostacolo nel divieto assoluto di surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma 6, della l. n. 40 del 2004, volto a tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione non solo soggettiva, ma anche oggettiva; ne consegue che, in presenza di una scelta legislativa dettata a presidio di valori fondamentali, non è consentito al giudice, mediante una valutazione caso per caso, escludere in via interpretativa la lesività della dignità della persona umana e, con essa il contrasto con l’ordine pubblico internazionale, anche laddove la pratica della surrogazione di maternità sia il frutto di una scelta libera e consapevole della donna, indipendente da contropartite economiche e revocabile sino alla nascita del bambino.

In tale occasione la S.C. ha precisato che « anche il bambino nato da maternità surrogata ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con colui che ha condiviso il disegno genitoriale. L’ineludibile esigenza di assicurare al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse è garantita attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d)».

Indicazioni univoche sul punto giungono anche dalla Corte Costituzionale. Al proposito, la sentenza 32/2021 richiama la sentenza 347/1998, nella quale si evidenziava l’urgenza d’individuare idonei strumenti di tutela del nato a seguito di fecondazione assistita (situazione per vari aspetti assimilabile a quella della maternità surrogata), soprattutto in relazione «ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendosene le relative responsabilità».  Proprio in conseguenza di questa esigenza il legislatore, agli artt. 8 e 9 della l. 40/2004, ha previsto che il consenso alla P.M.A. determina l’effetto per chi lo abbia prestato di divenire responsabile nei confronti del nato quale destinatario naturale dei doveri di cura, pur in assenza di un legame biologico e ciò sebbene il dato della provenienza genetica non costituisca un imprescindibile requisito della famiglia (Corte Cost., n. 162/ 2014; n. 272/2017). 

E’ considerato determinante «il consolidamento in capo al figlio di una propria identità affettiva, relazionale, sociale, da cui deriva l’interesse a mantenere il legame genitoriale acquisito, anche in contrasto con la verità biologica» (Corte Cost., n. 127/2020).

Anche la sentenza 33/2021, con oggetto la valutazione della violazione dei principi di cui agli art. 12, comma 6, l 40/2004, (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), dell’art. 64, comma 1, lettera g), fa proprie in larga misura le preoccupazioni espresse da altre decisioni in ordine all’esigenza di assicurare al minore il diritto a un inserimento e alla stabile permanenza nel proprio nucleo familiare, segnalando il rischio di situazioni d’ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti che non hanno determinato la condizione filiale in cui versano.

Sul punto, si segnala anche l’ormai consolidata giurisprudenza della Corte EDU che afferma la necessità, al metro dell’art. 8 CEDU, che i bambini nati mediante maternità surrogata, anche negli Stati parte che vietino il ricorso a tali pratiche, ottengano un riconoscimento giuridico del «legame di filiazione» (lien de filiation) con entrambi i componenti della coppia che ne ha voluto la nascita, e che se ne sia poi presa concretamente cura (sentenza Mennesson contro Francia, paragrafo 100; sentenza D. contro Francia, paragrafo 64).

La menzionata sentenza delle S.U., inoltre, segnala l’opportunità di affidare il riconoscimento della genitorialità a strumenti adeguati in grado di tutelare i minori, che non possono di certo essere quelli automatici. «L’instaurazione della genitorialità e il giudizio sulla realizzazione del miglior interesse del minore…..non si coniugano con l’automatismo e con la presunzione, ma richiedono una valutazione di concretezza: quella valutazione di concretezza che postula il riscontro del preminente interesse del bambino a continuare, con la veste giuridica dello status, un rapporto di cura e di affettività che, già nei fatti, si atteggia a rapporto genitoriale». Una diversa soluzione «porterebbe a fondare l’acquisto della genitorialità sulla sola scelta degli adulti, anziché su una relazione affettiva già di fatto instaurata e consolidata».

Pare chiaro che su questo aspetto non vi possono essere esitazioni. Tutti i minori – quale che siano state le circostanze del loro concepimento e della loro gestazione- hanno diritto a una condizione assolutamente paritaria, sotto tutti i profili.

3. La valutazione sulla surrogazione di maternità

Vediamo, allora, se esiste una valutazione sulla surrogazione di maternità espressa a prescindere dai condizionamenti culturali e ideologici dei singoli.

Anche sul punto, deve essere riportata la valutazione delle S.U. della S.C. (si tratta, come è evidente, dalla più autorevole espressione a livello giurisdizionale); la decisione sottolinea la volontà di disincentivare il ricorso alla maternità surrogata, una pratica che per i giudici di legittimità «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo». Sul punto, la S.C. osserva che il riconoscimento mediante delibazione o trascrizione del provvedimento straniero «finirebbe per legittimare in maniera indiretta e surrettizia una pratica degradante», aggiungendo che detto automatismo non sarebbe neppure funzionale alla realizzazione del miglior interesse del minore, «attuando semmai quello degli adulti che aspirano ad avere un figlio a tutti i costi» (p. 51).

Le Sezioni unite, nel richiamare la sentenza numero 79/2022 della Corte costituzionale, hanno messo in evidenza che la fecondazione eterologa va tenuta distinta dalla maternità surrogata: nel caso di quest’ultima, infatti, “la genitorialità giuridica non può fondarsi sulla volontà della coppia” perché “dalla disciplina degli articoli 8 e 9 della legge 40 del 2004 non possono trarsi argomenti per sostenere l’idoneità del consenso a fondare lo stato di figlio nato a seguito di surrogazione di maternità”.

Sul tema la Corte Costituzionale (sentenza 272/2017) ha affermato che il desiderio di genitorialità attraverso il ricorso alla procreazione medicalmente assistita o alla gestazione per altri, «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane” e non può legittimare un illimitato diritto alla genitorialità».

Indicazioni sostanzialmente non difformi sono reperibili anche a livello europeo; il 17 dicembre 2015, nel corso dell’Assemblea plenaria del Parlamento europeo, è stata approvata la Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014, sulla politica dell’Unione Europea in materia, di cui alla risoluzione 2015/2229 (INI); la Relazione contiene un emendamento che stabilisce che il Parlamento europeo «condanna la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce; considera che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento riproduttivo e l’uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba essere vietato e trattato come questione di urgenza negli strumenti per i diritti umani» a disposizione dell’Unione europea nel dialogo con i Paesi terzi.

Anche recentemente il Parlamento Europeo ha ribadito la sua posizione nei confronti della pratica della maternità surrogata; il 5 maggio 2022 sono stati pubblicati tutti i testi approvati da tale organo, tra i quali è presente il documento che riguarda la risoluzione sull’impatto della guerra contro l’Ucraina sulle donne, al cui interno è possibile trovare la posizione chiara del Parlamento nei confronti della maternità surrogata. Al proposito il Parlamento Europeo:

«13. condanna la pratica della maternità surrogata, che può esporre allo sfruttamento le donne di tutto il mondo, in particolare quelle più povere e in situazioni di vulnerabilità, come nel contesto della guerra; chiede che l’UE e i suoi Stati membri prestino particolare attenzione alla protezione delle madri surrogate durante la gravidanza, il parto e il puerperio e rispettino tutti i loro diritti nonché quelli dei neonati;

14. sottolinea le gravi ripercussioni della maternità surrogata sulle donne, sui loro diritti e sulla loro salute, le conseguenze negative per l’uguaglianza di genere nonché le sfide derivanti dalle implicazioni transfrontaliere di tale pratica, come è avvenuto nel caso delle donne e dei bambini colpiti dalla guerra contro l’Ucraina; chiede che l’UE e i suoi Stati membri analizzino le dimensioni di tale industria, il contesto socioeconomico e la situazione delle donne incinte, nonché le conseguenze per la loro salute fisica e mentale e per il benessere dei neonati; chiede l’introduzione di misure vincolanti volte a contrastare la maternità surrogata, tutelando i diritti delle donne e dei neonati»

Ancora, il 18 marzo 2016, il Comitato nazionale per la bioetica, organo di consulenza al Governo, al Parlamento e alle altre istituzioni, ha approvato una mozione con la quale definisce la maternità surrogata come « un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione », ritenendo che «l’ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, sia in netto contrasto con i princìpi bioetici fondamentali ».

Alla luce di tali indicazioni, si può ragionevolmente affermare che – allo stato- è rilevabile un giudizio autorevole, ampiamente condiviso, negativo sulla maternità surrogata, proprio in relazione alla condizione della donna e allo sfruttamento e alla lesione della dignità della stessa.

4. La modifica prevista dal disegno di legge.

La legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita», all’articolo 12, comma 6, prevede che «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro». Il disegno di legge 306[2] prevede che all’articolo 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il reato di surrogazione di maternità è perseguibile anche quando è commesso in territorio estero da un cittadino italiano».

La finalità è chiara: al momento la legge non sanziona le condotte commesse dai cittadini fuori dal territorio nazionale, così che le coppie interessate stipulano contratti di maternità surrogata all’estero, nei paesi in cui tale pratica è lecita. Sul presupposto della non illeceità del fatto commesso all’estero, può essere, in seguito richiesto il riconoscimento dei minori, considerando la necessità di tutelare – ovviamente – i diritti di questi ultimi.

Proprio considerando il giudizio negativo espresso – come sopra ricordato- sulla maternità surrogata dalla Cassazione e dalla Corte costituzionale, si ritiene necessario integrare l’attuale disciplina prevista dalla Legge numero 40/2004 estendendo il divieto e la sanzione penale anche alle condotte commesse all’estero.

5. Le caratteristiche del reato universale

Numerose e varie sono le critiche che si sono levate nei confronti della prospettiva di trasformare il delitto in oggetto in reato universale.

In estrema sintesi si assume:

  • che si tratterebbe di un “attacco” alla sovranità dei Paesi nei quali tale pratica è lecita
  • che sussisterebbero oggettive difficoltà di accertamento del reato, atteso che tali Stati potrebbero rifiutare forme di collaborazione, alla luce della liceità della condotta per i propri ordinamenti.
  • che la categoria del reato di carattere universale, per cui chiunque commette il reato, anche al di fuori del nostro territorio nazionale, sarebbe prevista dal codice penale – all’art. 7 c.p.- solo per delitti contro l’umanità, casi estremi, di assoluta gravità, perseguiti in tutti gli ordinamenti del mondo.

Si tratta di argomentazione che non convincono sino in fondo. Vediamo per quali ragioni.

Sul primo aspetto, si deve rilevare che “l’attacco” alla sovranità potrebbe essere ipotizzato ove la nuova fattispecie non presentasse una forte caratterizzazione di carattere nazionale. La norma, in effetti, non è diretta a stigmatizzare negativamente qualsiasi forma di maternità surrogata, ma solo quando la condotta avviene in territorio estero da parte di un cittadino italiano. E’ la connotazione soggettiva dell’autore del reato che impedisce di rilevare una indebita ingerenza nella “sovranità” di altri Stati, in quanto il legislatore italiano intende intervenire sulle condotte di soggetti che- evidentemente- intendono ottenere una “ricaduta” giuridica a livello nazionale della condotta posta in essere all’estero e non genericamente su condotte dirette a determinare una maternità surrogata.  Per altro, il codice penale prevede in termini generali la punibilità per reati commessi all’estero, siano essi politici (art 8 c.p.) siano essi comuni, sebbene a determinate condizioni, tra le quali specifici “livelli” di pena ( art 9 e 10 c.p.) sia nel caso di cittadini italiani che di stranieri, senza che in concreto si sia posti in generale un problema di “rispetto” dell’altrui sovranità.

Sul secondo aspetto si impone una duplice considerazione. La difficoltà (in alcuni casi concreta impossibilità) della prova non può rilevare sulla valutazione sull’esigenza di riconoscere la rilevanza penale di una condotta. E’ un dato di fatto, significativo ma non decisivo. Se consideriamo, ad esempio, alcuni reati informatici, la presenza su territorio estero di molti server e la non collaborazione di tali soggetti imporrebbero di rivedere l’ambito di penale rilevanza di molti fenomeni presenti sul web. Non è così, ovviamente, e non vi sono ragioni per applicare tale principio al caso di specie. La mancata volontà di collaborazione di altri Stati- verosimili ma da verificare- si scontra, comunque, con un dato di fatto non trascurabile: la necessità per i soggetti che chiedono il riconoscimento di minori concepiti tramite maternità surrogata di “documentare” la provenienza del minore e di fornire indicazione sui soggetti che intendo riconoscere lo stesso. Un quadro che- evidentemente- può essere in gran parte completato con accertamenti praticabili sul territorio nazionale.

In relazione, infine al fatto che l’art. 7 c.p. sarebbe stato inserito nel codice solo per sanzionare condotte di assoluta gravità, perseguiti in tutti gli ordinamenti del mondo – quali i crimini contro l’umanità- o poste in essere in contrasto con interessi nazionali di natura pubblicistica, occorre verificare se in concreto ciò corrisponda al vero.

L’art. 7 c.p. indubbiamente prevede la punibilità secondo la legge italiana per soggetti che commettono anche in territorio estero reati con matrice fortemente “pubblicistica”[3]. Nondimeno, è altresì prevista la punibilità per «ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana».

Se andiamo a verificare alcuni casi specifici per i quali tale punibilità è prevista, si può rilevare che si tratta di situazione di esigenze di tutela di singoli soggetti, che si trovano in una condizione di particolare vulnerabilità. Così l’art. 591 comma 4 c.p., in tema di abbandono di minori o di incapaci, sanziona la condotta di chi «abbandona all’estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro».

Non solo: in termini generali ai sensi dell’art. 604 c.p. (Fatto commesso all’estero) estende la punibilità di una serie di reati in materia sessuale (segnatamente «le disposizioni di questa sezione nonché quelle previste dagli articoli 609bis, 609ter, 609quater, 609quinquies, 609 octies e 609 undecies») anche ai fatti commesso all’estero da cittadino italiano ovvero in danno di cittadino italiano…..

Infine- ed emblematicamente- nessun limite territoriale o legato alla cittadinanza è previsto, in base all’art. 600 quinquies c.p., per stabilire la punibilità di chi «organizza o propaganda viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno di minori o comunque comprendenti tale attività…».

6. Conclusioni

Se si esaminano le valutazioni globalmente negative espresse sulla maternità surrogata dalla Corte Costituzionale, dalle Sezioni Unite della S.C. e dal Parlamento pare difficile ritenere che condotte di contrasto a tale pratica possono essere espressive di una scelta “eccentrica” rispetto a una considerazione ampiamente diffusa e correttamente giustificata rispetto a tale pratica, in relazione alla necessità di tutela della dignità della donna e dei diritti del minore.  In questa prospettiva non pare risolutiva la prospettazione della  distinzione tra una surrogazione di maternità dietro compenso – non facilmente difendibile in relazione alla menzionata tutela della dignità della donna- da quella gratuita, che sarebbe effettuata per scopo sostanzialmente solidaristico, proposta sulla base di un parallelismo con la donazione di organi. Si tratta di una tesi indubbiamente suggestiva, anche se pare improponibile assimilare un organo al prodotto del concepimento, anche e soprattutto in relazione al minore che di tale operazione è il frutto. Si tratta di una prospettazione che non tiene conto che dopo nove mesi di gestazione quella donna potrebbe maturare- magari nel futuro- un rapporto psicologicamente non facile da gestire con quel bambino ( con il quale non ha potuto mantenere alcun rapporto) e di come quello stesso minore potrebbe sentirsi negata una parte importante – anche se sconosciuta e proprio in quanto sconosciuta – della propria esistenza. Un bambino non è un rene e un utero non è una incubatrice per conto terzi.

Per altro, la menzionata sentenza delle S.U. della S.C. ha precisato che non è possibile in questi casi il riconoscimento diretto in Italia delle sentenze straniere che riconoscono la filiazione, indicando la strada dell’adozione speciale, attraverso una valutazione attenta dell’interesse del minore, che è l’aspetto fondamentale da tenere in considerazione e al limite valutando una revisione globale della disciplina dell’adozione, che non è stata “toccata” dalla recente riforma del diritto di famiglia.[4]

In fondo, questo è il vero nocciolo del problema: proprio l’assoluta necessità di  fornire comunque e soprattutto tutela ai minori- a tutti i minori, indistintamente- ha suggerito l’esigenza di strutturare un forte disincentivo per una pratica che – come sopra precisato- è stata censurata in varie e autorevolissime sedi. Come è stato correttamente osservato «La tutela dei minori – se veramente questo è l’obiettivo che si vuole perseguire ‒ dovrebbe …essere anticipata fino al punto da impedire pratiche disumanizzanti, non già essere strumentalizzata per obbligare l’ordinamento ad accettare qualcosa che ha vietato, attraverso la logica del “fatto compiuto”. La tutela dei minori già nati con il ricorso alla maternità surrogata dovrebbe andare di pari passo con la stigmatizzazione di coloro che hanno fatto ricorso ad una pratica lesiva della dignità umana».[5]

Cesare Parodi
Procuratore Aggiunto Procura Repubblica Torino


[1] Cass. civ, S.U. n. 38162, 30 dicembre 2023. Rv. 666544

[2] Proposta di legge 306 Modifica all’articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da cittadino italiano

[3]. Si  tratta dei delitti contro la personalità dello Stato italiano, dei delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto; dei delitti di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano e dei delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni

[4] Su questi temi I. Perinu, Da Padova un monito: il giudice (e il sindaco) non possono sostituirsi al legislatore, wwww.centrostudilivatino.i

[5] Così D. Bianchini, Maternità surrogata e giurisprudenza creativa: in danno di donne e bambiniwww.centrostudilivatino.it

5803.- Un voto contro la bestemmia della maternità.

L’utero in affitto è la bestemmia della maternità. E’ noto da tempo che, dal punto di vista biologico, qualcosa del figlio resti nella madre, e viceversa, anche dopo la recisione del cordone ombelicale, a conferma del fatto che la maternità (concetto che sempre più sta virando nell’ambito della pura percezione emotiva) ha a che fare con vincoli che sono profondamente significativi dal punto di vista biologico.

Utero in affitto reato universale, un buon primo sì

Approvato a Montecitorio il testo che qualifica come reato la maternità surrogata, anche se commesso all’estero. Ora passa al Senato. Il Ddl è raggirabile ma la sua ratio è positiva. E ricorda che gli esseri umani non sono cose.

Da La Nuova Bussola Quotidiana, di Tommaso Scandroglio, 28_07_2023

Il testo che qualifica la pratica della maternità surrogata come reato universale è passato due giorni fa alla Camera. Ora l’attende l’esame da parte del Senato. Già oggi, ex lege 40/2004, la pratica dell’utero in affitto è reato se compiuta sul suolo italiano. Se passasse la legge, qualsiasi cittadino italiano che all’estero affittasse l’utero di una donna, per portarsi a casa un bebè, potrebbe finire dietro le sbarre. Già a suo tempoavevamo commentato il testo di legge. Qui vogliamo aggiungere qualche altra riflessione.

La ratio della bozza è da giudicarsi sicuramente in modo positivo, però, come si dice, fatta la legge trovato l’inganno. Uno dei possibili raggiri al dispositivo della legge si potrebbe realizzare in questo modo. La donna che affitta l’utero potrebbe comparire agli occhi dello Stato italiano come la compagna straniera di chi in realtà e lontano dagli occhi dei giudici italiani ha affittato l’utero, compagna che è rimasta incinta a seguito di fecondazione artificiale e che avrebbe poi deciso di non riconoscere il figlio, una volta nato, perché in rotta con il (falso) compagno. Niente utero in affitto quindi, ma solo una storia di amore da cui è nato un figlio e che poi è naufragata. In tal modo il committente-falso compagno potrebbe tornare in Italia figurando legittimamente come unico genitore. Il quale unico genitore poi potrebbe trovare una “nuova” compagna (o “nuovo” compagno, se gay), la quale non sarebbe altro che la vera partner del committente maschio, pronta ad adottare il bambino. Un giochino che si può fare anche se quest’ultima fosse la moglie (il diritto non vieta di avere amanti ingravidate).

Altro escamotage valido solo per i conviventi, etero o omo che siano. La legge che verrà punisce unicamente i cittadini italiani. Basta quindi che uno dei membri della coppia sia straniero e il gioco è fatto: quest’ultimo/a si reca in un Paese dove è legale la maternità surrogata per i single oppure non è vietata per i single (seppur in quest’ultimo caso le garanzie per diventare padre o madre siano assai più fragili). Il/la finto/a single, avuto il bambino, torna in Italia con il neonato che potrà essere adottato dal vero partner (a patto che non sia il marito o la moglie) rimasto sul suolo patrio. Trucchi forse non esperibili in tutti gli Stati dove è legale o meramente tollerata la maternità surrogata, ma che in qualche nazione un po’ più permissiva possono dare i loro frutti. Insomma, con un po’ di impegno è possibile farla franca.

Nessuna legge è perfetta, soprattutto sul piano dell’efficacia, ossia sul piano della produzione concreta degli effetti previsti dal testo di legge. Ciò detto, questo Ddl da una parte restringe di molto il raggio d’azione di chi voleva diventare genitore affittando la cavità uterina delle donne all’estero e, su altro fronte, lancia un messaggio chiaro di carattere antropologico: le persone non sono cose. Non lo è innanzitutto il nascituro, nemmeno quando – caso più teorico che reale – il bambino fosse donato e non venduto. Perché i bambini non si vendono né si regalano. I bambini non sono pacchi, nemmeno pacchi-dono.

Nella maternità surrogata il bambino è un prodotto che, prima del processo di filiazione per conto terzi, può essere selezionato in base alle caratteristiche somatiche e caratteriali, scegliendo la donna che venderà l’ovocita; può essere eliminato con l’aborto se è difettoso; può essere sostituito entro due anni dalla nascita se muore; può essere ritirato in deposito se i committenti tardano a recuperarlo causa guerre, epidemie o per problemi di lavoro.

Non è una cosa la donna che affitta le sue viscere, spesso spinta dalla disperazione. Perché la donna gestante diviene un oggetto quando le si attacca un transponder per sapere dove si trova, quando le si impone un certo regime alimentare e un certo stile di vita, vietandole addirittura di avere rapporti sessuali durante la gravidanza, quando non le viene permesso di sapere alcunché sul bambino che porta in grembo. È una cosa che, in alcuni contratti, deve essere mantenuta in vita qualora fosse in coma fino a quando il bimbo non vedrà la luce (cosa assai giusta), per poi staccarle la spina perché non più utile (cosa assai ingiusta).

Sono cose anche gli stessi committenti che, scegliendo di pagare per diventare genitori, non potranno mai diventarlo, perché scadranno al rango di acquirenti, degradando la paternità e la maternità, nonché la stessa filiazione, ad un affare economico, con contratti, terze parti gestanti, intermediari e avvocati.

Il Ddl che è passato mercoledì alla Camera ricorda a ciascuno di noi tutto questo. E non è poco.

5783.- IL DIVIETO DI SURROGAZIONE DI MATERNITÀ COME REATO UNIVERSALE. PROFILI GIURIDICI

Ovviamente, anche per la CEDU è legittimo il rifiuto di trascrizione del nato da maternità surrogata. Il progresso tecnologico, privo di etica, non accompagnato dalla crescita morale, ha prodotto lo smarrimento dello spirito e la confusione morale. Forze economiche sovranazionali, enerse dal progresso della tecnica, si sono impadronite dell’informazione ed ora abusano del pensiero. Andremo avanti.

Articolo pubblicato dal Centro Studi Livatino, 14 luglio 2023tre madri surrogate

1. Il reato di surrogazione di maternità. – 1.1. I soggetti punibili – 1.2. Le condotte punibili. – 1.3. La punibilità del delitto tentato. – 1.4. La punibilità dei concorrenti nel reato. – 1.5. Il bene giuridico protetto. – 2. Il requisito di territorialità e la possibile configurazione di un reato universale. – 3. Le conseguenze sull’ordine pubblico internazionale italiano. – 4. La compatibilità del sistema italiano con il diritto internazionale e, in particolare, con la CEDU e l’estraneità del tema alle attribuzioni dell’Unione Europea.  

1. L’articolo 12, comma 6 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, stabilisce che “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.

Concentrando l’attenzione sulla fattispecie relativa alla surrogazione di maternità, essa presenta i seguenti contenuti e le seguenti caratteristiche giuridiche.

1.1. La surrogazione di maternità è un delitto cd. “comune”: esso può essere integrato per effetto della condotta di chiunque, non soltanto di soggetti dotati di speciali qualificazioni giuridiche. In particolare, nessuna rilevanza presenta, ai fini dell’integrazione del soggetto attivo del reato, se il soggetto che richieda o pratichi la surrogazione sia affettivamente singolo o inserito in una realtà di coppia e, in questo secondo caso, se si tratti di una coppia eterosessuale oppure omosessuale. Del resto, una simile differenziazione produrrebbe una violazione del principio di uguaglianza, ossia risulterebbe discriminatoria, nella misura in cui conferirebbe rilevanza a un elemento (l’orientamento sessuale di alcuni soggetti) del tutto irrilevante rispetto al bene giuridico protetto dalla norma, ossia la dignità della persona umana e l’interesse del nascituro. Il reato è punibile, pertanto, sia che la surrogazione sia commissionata da eterosessuali che da omosessuali.

1.2. La surrogazione di maternità è un delitto cd. “di pura condotta”: il reato viene integrato per il sol fatto di realizzare, organizzare o pubblicizzare la maternità surrogata, non essendo necessario, ai fini sanzionatori, che la maternità sia portata a compimento con il parto. Tanto meno la punibilità è subordinata al fatto che il nato sia assegnato di fatto o di diritto ai committenti.

Nel dettaglio, il delitto si configura con condotte alternative. Tre sono, infatti, le condotte incriminate ed è sufficiente il compimento di anche una soltanto di esse affinché il reato sia consumato.

(A) La prima possibile condotta è rappresentata dalla realizzazione di pratiche di surrogazione di maternità, ossia condurre una gestazione per conto di un terzo, con l’impegno di consegnare il nato al terzo stesso (o altro soggetto dal medesimo indicato). La condotta è, quindi, caratterizzata da un duplice elemento: la conduzione di una gestazione da parte di una donna; l’impegno della gestante a consegnare il nato a un soggetto, per conto del quale ha portato avanti la gestazione, privandosi di tutti o alcuni diritti ordinariamente riconosciuti alla partoriente. In ciò si traduce quel fenomeno di sostituzione che della surrogazione costituisce etimologicamente parte.

La condotta risulta tipicamente integrata mediante l’utilizzo di tecniche mediche (fecondazione artificiale dell’ovulo della gestante con il gamete del committente o di un terzo, impianto nella gestante di un ovulo del committente o di un terzo), ma trattandosi di un reato a forma libera (“in qualsiasi forma”, recita la fattispecie) non deve escludersi che la surrogazione possa essere realizzata tramite condotte naturali laddove sussista l’impegno a consegnare il nato a un terzo che lo ha commissionato (traffico di bambini) o eventualmente allo stesso genitore biologico privandosi dei diritti che l’ordinamento di regola riconosce alle partorienti. In questi ultimi casi, il delitto di surrogazione di maternità si pone in rapporto di specialità reciproca rispetto ai delitti in materia di affidamenti illeciti dei minori (artt. 71 ss. della l. n. 184/1983), trovando la propria specificità nell’essere l’affidamento illecito a un terzo programmato fin da prima della nascita e risultando, dunque, le altre fattispecie applicabili agli affidamenti illeciti decisi dopo il parto. Non rileva, a tal fine, la circostanza che la consegna del nato possa eventualmente avvenire a una certa distanza di tempo dopo la nascita, al fine di consentire se del caso alla madre surrogante l’allattamento del nato: laddove l’impegno alla consegna sia programmato fin da prima della nascita. Il reato di surrogazione di maternità, invece, può concorre con quello di alterazione di stato, laddove la vicenda non venga esattamente dichiarata in sede di formazione di atto di nascita (art. 567, comma 2 c.p.).

La fattispecie incriminatrice non conferisce alcuna rilevanza al fatto che l’impegno della gestante a consegnare il nato al committente o a un terzo avvenga a titolo oneroso o non oneroso: il carattere commerciale o meno della surrogazione di maternità risulta, quindi, del tutto irrilevante ai fini dell’integrazione della fattispecie di reato. Il maggior disvalore connesso ai casi di impegno prestato a titolo commerciale (utero in affitto) rileverà in sede di graduazione della pena: a tal riguardo, nessuna distinzione sussiste tra i casi in cui il carattere commerciale dell’impegno abbia luogo per effetto di un rapporto sinallagmatico (corrispettivo per la gestione condotta per conto del terzo) oppure di rimborso delle spese (che, peraltro, al corrispettivo di regola si avvicina e deve ritenersi fiscalmente trattabile in modo identico).

(B) La seconda possibile condotta è rappresentata dalla realizzazione di atti volti a rendere concretamente possibile un fatto di surrogazione di maternità di cui al punto (A), ad esempio mettendo in contatto la gestante con il committente o adoperandosi per dare veste giuridica all’impegno della gestante di consegnare il nato al terzo. Anche in questo caso, il carattere commerciale o meno, occasionale o professionale, dell’organizzazione di pratiche di surrogazione di maternità risulta del tutto irrilevante ai fini dell’integrazione della fattispecie di reato, che in tutti i casi sarà consumato.

(C) La terza possibile condotta è rappresentata dalla divulgazione al pubblico di informazioni circa la possibilità di organizzare un fatto concreto di surrogazione di maternità di cui al punto (B), ad esempio segnalando al pubblico la presenza di agenzie che mettono in contatto soggetti interessati a commissionare la maternità con soggetti interessati a condurre una gestazione per conto di terzi o di agenzie che realizzano le pratiche mediche a tal fine necessarie. Anche in questo caso, nessuna differenza sussiste per il caso in cui la pubblicità avvenga a titolo gratuito od oneroso, occasionale o professionale. In questa prospettiva, la tolleranza di fenomeni di pubblicità di surrogazione di maternità, che talora vengono addirittura posti a base di fiere e convention, risulta contraria all’obbligo costituzionale di esercizio dell’azione penale da parte della Procura della Repubblica territorialmente competente e si presta all’intervento delle Procure Generali presso le Corti d’Appello in sede di avocazione delle indagini ai sensi dell’art. 412 c.p.p..

1.3. Secondo le regole generali del codice penale (art. 56 c.p.), il reato deve considerarsi punibile anche a titolo di tentativo, ossia laddove vengano posti in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a compiere le condotte incriminate, anche se la surrogazione non viene conclusivamente effettuata, la sua organizzazione non viene portata a termine e la pubblicità non sia divulgata.

1.4. Tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione, organizzazione o pubblicizzazione della surrogazione, a qualsiasi titolo, risultano punibili, in base ai generali principi di cui all’art. 81 del codice penale, a condizione che sussista l’elemento soggettivo del dolo, ossia della consapevolezza e volontà di realizzare, organizzare o pubblicizzare una surrogazione di maternità.

In particolare, nei casi della prima condotta (realizzazione della surrogazione di maternità), concorrono certamente nel reato il committente della maternità surrogata e la donna che mette a disposizione il suo corpo per condurre la gestazione con l’impegno di privarsi di tutti o alcuni diritti regolarmente spettanti alla partoriente. Al riguardo, è bene osservare che non opera la causa speciale di non punibilità di cui al comma 8 del medesimo articolo 12 della l. n. 40/2004, in forza della quale per altre fattispecie previste dalla legge stessa è esclusa la punibilità dei soggetti sui quali sono praticate le tecniche vietate dalla legge. Inoltre, potranno risultare punibili, qualora consapevoli che la propria opera si inserisca in un contesto di surrogazione di maternità: l’eventuale professionista che compia la fecondazione artificiale dell’ovulo della gestante o che impianti nella gestante l’ovulo proveniente da un terzo; il terzo destinatario del bambino, laddove diverso dal committente, quando consapevole che la surrogazione è stata commissionata nel suo interesse.

Non si riscontrano ostacoli a configurare la punibilità per concorso anche a titolo omissivo, da parte dei soggetti su cui eventualmente incomba un obbligo giuridico di garanzia che il bene giuridico protetto non venga leso. Si pensi, in particolare, ai responsabili delle cliniche ove vengano praticati atti funzionali alla surrogazione di maternità ovvero ai soggetti investiti dall’ordinamento dall’obbligo di verifica sulle pubblicità e sugli eventi promozionali che si svolgono sul loro territorio, ove necessario autorizzandoli, come in particolare i Sindaci.

1.5. Alla luce della configurazione data dall’ordinamento al delitto di surrogazione di maternità, è possibile affermare che il bene giuridico protetto è la dignità della persona umana, segnatamente la dignità della donna gestante e la dignità del bambino, che le pratiche di surrogazione di maternità ledono per le ragioni sostanziali che verranno dettagliatamente illustrate nei successivi contributi che verranno pubblicati sul tema.

In questa prospettiva, la prima condotta prevista e punita dall’art. 12, comma 6 della legge n. 40/2014, ossia la realizzazione di una surrogazione di maternità, determina la compiuta lesione del bene giuridico tutelato, dando vita a un delitto cd. “di danno”.

La seconda e la terza condotta, ossia l’organizzazione e la pubblicità di pratiche di surrogazione di maternità, danno invece luogo a reati di pericolo: con esse, i beni giuridici tutelati dalla norma non sono ancora lesi, ma si creano le condizioni affinché la lesione si produca. Si tratta di una anticipazione della tutela giustificata, a livello concreto nella seconda condotta (organizzazione) e a livello di pericolo astratto nella terza (pubblicità), legittime alla luce della speciale importanza dei beni giuridici tutelati. Il diverso livello di disvalore delle diverse condotte potrà esser valutato in sede di graduazione della pena.  

Alla luce della speciale importanza del bene giuridico protetto, la sanzione penale del divieto di surrogazione di maternità deve ritenersi, non soltanto compatibile con la Costituzione, ma finanche costituzionalmente doverosa. In più occasioni, del resto, la Corte Costituzionale ha affermato che la pratica della maternità surrogata “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane” (Corte Cost., n. 79/2022; Corte Cost., n. 33/2021; Corte Cost., n. 272/2017).

2. In forza dei principi generali stabiliti dal codice penale italiano, il reato in questione è punibile quando le condotte incriminate sono in tutto o in parte commesse sul territorio italiano, ossia quando almeno un fatto concreto, che entra a comporre la condotta, ha avuto luogo sul territorio nazionale.

Per effetto di ciò, ad esempio, dovranno ritenersi punibili secondo la legge italiana le condotte in cui in Italia ha luogo l’accordo di conduzione della gestazione per conto di un terzo, la fecondazione della gestante surrogata, una parte della gestazione, la consegna del nato al destinatario, una parte dell’organizzazione di un fatto di surrogazione, ovvero la pubblicità della possibilità di realizzare fatti di surrogazione.

In questa prospettiva, dovrebbe ritenersi punibile secondo la legge italiana anche il soggetto che dall’Italia si è posto in contatto con una clinica al fine di realizzare una pratica di maternità surrogata. Invero, prendere contatto con la struttura sanitaria presso cui condurre un concreto intervento di surrogazione costituisce, obiettivamente, l’avvio di quella condotta di organizzazione di un evento di surrogazione autonomamente previsto e punito dalla seconda fattispecie dell’art. 12, comma 6 della legge n. 40/2004. Né dovrebbe ritenersi ostare a tale conclusione la soluzione fornita da Cass. pen., sez. III, n. 5198/2021, poiché emerge dagli atti che, in tal caso, l’imputazione era stata formulata unicamente in relazione alla “realizzazione” della surrogazione, in base alla prima fattispecie, e non anche alla “organizzazione”, in base alla seconda, o comunque in base al tentativo, così risultando precluso alla Cassazione di pronunciarsi funditus sul problema per ragioni di carattere processuale.

Se tali risultano le conseguenze del principio generale previsto dall’articolo 3, comma 1 e dall’articolo 6 del codice penale, nondimeno il codice penale stabilisce numerose ipotesi in cui, a motivo del particolare disvalore del fatto, esso viene punito anche quando il fatto incriminato viene integralmente compiuto al di fuori del territorio nazionale, ma possa comunque dirsi avere un legame giuridicamente apprezzabile con lo stesso. Si parla tradizionalmente, in tal caso, di “reati universali”, secondo i principi dell’articolo 3, comma 2 e degli articoli 7 e seguenti del codice penale. In particolare, l’art. 7, comma 1, n. 5 del codice penale stabilisce, in via residuale, che piò essere punito secondo la legge chi compie in territorio estero “ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana”.

In questa prospettiva si muove, in particolare, la proposta di legge A.C. 887, presentata da parte dell’On. Maria Carolina Varchi, il cui testo, a seguito dell’approvazione in Commissione Giustizia della Camera, recita quanto segue: “Se i fatti di cui al periodo precedente sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana”. Il collegamento con il territorio dello Stato, in particolare, è stato razionalmente individuato nell’avere il fatto commesso all’estero coinvolto cittadini italiani.

3. I valori previsti dalla costituzione delineano il cosiddetto “ordine pubblico internazionale” di un Paese, ossia le caratteristiche che lo identificano nei rapporti con gli altri ordinamenti e che non possono essere negati neppure nei rapporti aventi rilevanza transnazionale.

Tra questi valori, rientra anzi e anzitutto quello di protezione della dignità della persona umana, in base al disposto dell’articolo 2 della Costituzione. Le modalità con cui il valore della dignità della vita umana viene protetto, venendo a configurare in concreto l’ordine pubblico internazionale dello Stato, hanno alla base le norme con cui il legislatore attua il valore stesso e, tra queste, particolare valore assumono quelle in materia di diritto penale.

Come affermato dalla giurisprudenza, l’ordine pubblico internazionale è rappresentato dai “principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico” (Cass. civ., SS.UU., n. 12193/2019).

Per questa ragione, il divieto di surrogazione di maternità ai sensi dell’art. 12, comma 6 della legge n. 40/2004 rientra nell’ordine pubblico internazionale dell’Italia. Tale conclusione costituisce diritto vivente consolidato, essendo stata affermata per ben due volte consecutivamente dal supremo organo giudiziario dello Stato, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. civ., SS.UU., n. 12193/2019; Cass. civ., SS.UU., n. 38162/2022). In particolare, le Sezioni Unite hanno avuto modo di ribadire che l’eventuale carattere non commerciale della surrogazione non determina il venir meno della sua contrarietà all’ordine pubblico: “non è consentito all’interprete ritagliare dalla fattispecie normativa, per escluderle dal raggio di operatività dell’ordine pubblico internazionale, forme di surrogazione che, sebbene in Italia vietate, non sarebbero in grado di vulnerare, per le modalità della condotta o per gli scopi perseguiti, il nucleo essenziale del bene giuridico protetto … Non è pertanto consentito al giudice, in sede di interpretazione, escludere la lesività della dignità della persona umana e, con essa, il contrasto con l’ordine pubblico internazionale, là dove la pratica della surrogazione della maternità sia il frutto di una scelta libera e consapevole della donna, indipendente da contropartite economiche e revocabile sino alla nascita del bambino” (così, da ultimo, Cass. civ, SS.UU., n. 38162/2022).

Tra le varie conseguenze che la ricomprensione di una regola nell’ambito dell’ordine pubblico internazionale dell’Italia produce, vi è anche quella per cui i provvedimenti provenienti dalle autorità di Stati stranieri (sentenze, certificati, ecc.) che si pongono in contrasto con tale regola, non possono essere riconosciuti come produttivi di effetti nello Stato italiano. Si tratta di un principio generale stabilito dagli articoli 64 e successivi della legge generale sul diritto internazionale privato n. 218/1995.

Per effetto di ciò, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno costantemente negato la possibilità di riconoscere in Italia sentenze o certificati stranieri che individuavano due padri come genitori di un bambino, da essi commissionato in maternità surrogata in un Paese in cui la surrogazione di maternità viene legalmente riconosciuta.

La stessa conclusione deve trarsi in tutte le ipotesi in cui si riscontri un fenomeno di surrogazione di maternità alla base dell’assegnazione di un figlio a un soggetto, secondo quanto indicato nella precedente lett. (A) del par 1.2.

Al mancato riconoscimento delle decisioni straniere che assegnino la potestà genitoriale a soggetti coinvolti in vicende di surrogazione di maternità, consegue l’applicazione degli istituti previsti dal diritto interno (dall’adozione in casi speciali in particolari alla dichiarazione dello stato di adottabilità). L’ottenimento di un bambino sulla base di prassi che l’ordinamento ritiene lesive della dignità della persona umana dovrà costituire elemento di valutazione in merito all’idoneità di un soggetto ad assumere la potestà genitoriale nell’eventuale ambito di procedimenti di adozione in casi speciale ovvero all’idoneità di un soggetto a mantenere la potestà genitoriale quando si tratti di genitore biologico nell’ambito di una vicenda di surrogazione di maternità. Invero, il dispregio per la dignità della persona umana che, secondo l’ordinamento, denota il crimine di surrogazione di maternità, dispregio che la Corte Costituzionale costantemente definisce “intollerabile” (Corte Cost., n. 79/2022; Corte Cost., n. 33/2021; Corte Cost., n. 272/2017), rientra per natura tra gli elementi da considerare al fine di valutare l’idoneità di un soggetto, che tale valore di dignità si è mostrato pronto a ledere ricorrendo alla pratica criminosa, a garantire l’equilibrata crescita di un minore, che appunto nella tutela e protezione della dignità umana deve avere il proprio fondamento e il proprio fine educativo. Del pari, dovrà costituire elemento di valutazione a tal fine la circostanza che i soggetti abbiano manifestato preferenze per l’etnia o altre caratteristiche personali del nato (colore dei capelli, colore della pelle, colore degli occhi, o altro) (Cass. civ., SS.UU., n. 13332/2010). 

4. La circostanza che l’ordinamento italiano non riconosca le decisioni giudiziarie o amministrative di Stati stranieri è compatibile con il diritto internazionale, posto che nessun trattato internazionale sottoscritto dall’Italia, né tanto meno il diritto internazionale consuetudinario, richiedono di considerare legale la surrogazione di maternità e di riconoscere le conseguenze giuridiche che essa mira a produrre nell’ordinamento.

Il riconoscimento degli effetti della surrogazione di maternità non è richiesto neppure dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, infatti, ha escluso che dall’art. 8 CEDU si possa inferire un diritto al riconoscimento dei rapporti di filiazione conseguiti all’estero, facendo ricorso alla surrogazione di maternità, e ha dato atto di un ampio margine di apprezzamento spettante agli Stati membri in merito alla possibilità di riconoscere o meno tali rapporti di filiazione, ferma restando la necessità di garantire la migliore tutela dell’interesse del minore (Corte EDU, sentenza 7 aprile 2022, L. contro Francia; sentenza 18 agosto 2021, Valdìs Fjölnisdóttir e altri contro Islanda, paragrafi 66-70 e 75; sentenza 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli contro Italia, paragrafi 197-199; sentenza Mennesson, paragrafo 74; sentenza Labassee, paragrafo 58). In particolare, è consolidato l’orientamento giurisprudenziale in forza del quale gli Stati non hanno vincoli a recepire le trascrizioni e decisioni di Stati esteri che si basino sul riconoscimento di rapporti sorti in virtù di fatti di surrogazione di maternità, essendo sufficiente che lo Stato preveda la possibilità di procedimenti giudiziari (come l’adozione in casi speciali) in forza dei quali un giudice possa valutare caso per caso, con i necessari approfondimenti fattuali e senza alcun automatismo di riconoscimento (Corte EDU, sentenze 22 giugno 2023, Modanese c. Italia, Nuti c. Italia, Bonzano c. Italia).

Sotto altro profilo, nessuno dei Trattati istitutivi dell’Unione Europea conferisce all’Unione Europea le competenze per regolare o sindacare le decisioni degli Stati in materia di status giuridico delle persone, di tutela penale della dignità della persona umana e di ordine pubblico internazionale.

In conseguenza di ciò, per effetto del principio di attribuzione, che individua in modo tassativo le competenze assegnate dagli Stati europei all’Unione, devono considerarsi alla stregua di indebite ingerenze nella sovranità nazionale, le prese di posizioni sovente esternate da organi dell’Unione a sostegno del riconoscimento degli effetti di pratiche di surrogazione di maternità.

Pertanto, tali prese di posizione devono considerarsi prive di effetti giuridici vincolanti, non soltanto per la forma che di regola assumono (risoluzioni del Parlamento Europeo o altre forme di soft law), ma anche e più radicalmente perché prive di base giuridica, assumendo la natura di atti cd. ultra vires.

In questa prospettiva, del tutto inevitabile e necessitata deve considerarsi la determinazione negativa da parte del Parlamento italiano in ordine alla proposta di regolamento 7 dicembre 2022 COM 2022 695, la quale – nell’ambito della strategia per l’uguaglianza LGBTQI – mirava a introdurre un meccanismo automatico di riconoscimento e trascrizione delle attestazioni di Stato provenienti da altri Paesi dell’Unione riducendo sensibilmente e, nel caso del certificato elettronico di filiazione, eliminando il vaglio di ordine pubblico richiesto dal diritto interno, così richiedendo di recepire automaticamente anche le attestazioni di rapporti derivati da surrogazione di maternità che siano state riconosciute da altri Stati membri.

Con l’opposizione da parte dello Stato italiano, la proposta di regolamento non potrà essere adottata dall’Unione, essendo a tal fine richiesto il voto unanime degli Stati.

Francesco Farri

5744.- STEPCHILD ADOPTION, FECONDAZIONE ETEROLOGA E MATERNITÀ SURROGATA: ATTENZIONE ALLE FAKE NEWS

Dal Centro Studi Livatino, 30 giugno 2023. Di Daniela BianchiniCellula e ago durante fecondazione assistita

Nel dibattito relativo alla tutela dei bambini nati da maternità surrogata o attraverso il ricorso alla fecondazione eterologa nei casi vietati dalla legge (coppie omosessuali e single) si fa spesso confusione fra ciò che è giuridicamente lecito e ciò che invece appartiene alla sfera dei meri desideri, con la conseguenza che per molti diventa difficile capire cosa sia effettivamente giusto e cosa sia sbagliato, cosa sia lecito e cosa sia invece illecito. È quindi opportuno comprendere la ratio dei divieti normativi previsti in materia e riflettere sul disvalore delle condotte di coloro che hanno deliberatamente violato quei divieti e che, con il loro comportamento, hanno aggravato il carico di lavoro dei magistrati e degli ufficiali di stato civile, costringendo le autorità competenti ad intervenire a tutela dei minori coinvolti, esposti ab origine a pregiudizio proprio da chi ne reclama la tutela nelle aule giudiziarie.

Il dibattito suscitato dalla sentenza della Corte EDU dello scorso 22 giugno in tema di non trascrivibilità in Italia degli atti di nascita dei bambini nati all’estero da maternità surrogata, nonché dai ricorsi presentati dalla Procura di Milano e di Padova avverso gli atti di nascita trascritti in violazione della normativa interna, impone di fare chiarezza sull’argomento – e più in generale sui temi della maternità surrogata, della fecondazione eterologa e della stepchild adoption – al fine di sgomberare il campo da tutta una serie di informazioni inesatte che possono indurre in errore e condizionare la formazione del convincimento individuale e dell’opinione pubblica. Come noto, non tutte le informazioni che si trovano in circolazione – soprattutto sul web − sono veritiere e bisogna quindi fare molta attenzione. Le tematiche sopra indicate richiedono poi un particolare approccio critico, in quanto sono connotate da una forte impronta ideologica.

Procedendo in modo analitico e senza condizionamenti ideologici è possibile cogliere la pretestuosità e la fallacia di certe affermazioni divulgate dai media. Chi parla di “discriminazione” delle coppie omosessuali o dei bambini nati da maternità surrogata o da fecondazione eterologa, ad esempio, veicola un’informazione sbagliata che, in quanto tale, genera confusione nell’opinione pubblica ed ostacola una corretta valutazione della problematica.

È bene chiarire subito che l’attuale normativa italiana non discrimina affatto le coppie omosessuali: la scelta di vietare la maternità surrogata e di limitare la fecondazione eterologa alle sole coppie eterosessuali è coerente con i principi e i valori costituzionali che sono alla base del nostro ordinamento.

Sul punto è intervenuta anche la Corte costituzionale che, con riferimento alla maternità surrogata, ha chiaramente affermato che si tratta di una pratica “che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane” e che il divieto penalmente sanzionato previsto dall’art. 12 comma 6 della Legge n. 40/2004 è un principio di ordine pubblico posto a tutela dei valori fondamentali (Corte cost. n. 33/2021); in merito alla fecondazione eterologa, la Consulta ha ritenuto coerente con i valori costituzionali il divieto per le coppie omosessuali[1], osservando che la Legge ha previsto l’accesso alla procreazione medicalmente assistita «come rimedio alla sterilità o infertilità umana avente una causa patologica e non altrimenti rimovibile: escludendo chiaramente, con ciò, che la PMA possa rappresentare una modalità di realizzazione del “desiderio di genitorialità” alternativa ed equivalente al concepimento naturale, lasciata alla libera autodeterminazione degli interessati» (Corte cost. n. 221/2019).

Coloro che si recano all’estero per aggirare i divieti posti dall’ordinamento italiano lo fanno conoscendo perfettamente i divieti posti dalla legge e i correlati limiti in tema di trascrizione degli atti di nascita e di riconoscimento della genitorialità.

A ben vedere, dunque, coloro che reclamano nei tribunali la tutela dei minori e lamentano discriminazioni fra figli, sono i primi ad aver esposto quegli stessi minori ad un pregiudizio.

La questione è complessa e in quanto tale deve essere esaminata sotto ogni profilo. Qualsiasi discorso sulla tutela dei minori nati da surrogata o da fecondazione eterologa vietata non può pertanto prescindere dalla considerazione che quei minori sono stati resi orfani o di padre (nel caso di fecondazione eterologa) o di madre (nel caso della maternità surrogata) da quelle stesse persone che poi ne rivendicano la tutela lamentando mancanze o arretratezze culturali da parte dello Stato italiano.

Non si vuole qui affrontare la tematica relativa allo sviluppo dei minori cresciuti da una coppia omosessuale, che richiederebbe una trattazione a parte[2]. In questa sede si vuole piuttosto porre l’attenzione sul fatto che quei bambini sono scientemente resi orfani di una figura genitoriale.

È evidente che le donne e gli uomini direttamente interessati non si pongono il problema degli effetti che possono derivare al minore per essere stato concepito in quel modo, perché per loro ciò che conta è appagare il proprio desiderio di genitorialità e, di conseguenza, la loro narrazione è fortemente condizionata da un interesse individuale.

Tutti i consociati hanno però il dovere di concorrere alla realizzazione del bene comune e di partecipare quindi con la dovuta consapevolezza al dibattito sulle regole da rispettare nella “casa comune”. Ne consegue che siamo tutti chiamati a riflettere sul disvalore dei comportamenti contrari alle regole sociali e sugli effetti che ne possono derivare, comprese le regole relative al divieto di maternità surrogata e di limite alla fecondazione eterologa. A tal proposito, può essere utile rispondere a questi interrogativi:

  1. Privare deliberatamente un minore di una figura genitoriale e della possibilità di conoscere le proprie origini biologiche è rispettoso dei suoi diritti e della sua dignità?
  2. Come deve essere valutata la condotta di coloro che rendono orfano ab origine un minore di una figura genitoriale?
  3. Il desiderio di genitorialità può giustificare la violazione della legge e dei valori fondamentali dell’ordinamento?
  4. Se lo Stato cede di fronte alla prepotenza di chi vuole sovvertire l’ordinamento violando le leggi, quali possono essere le conseguenze per la società?

A tal ultimo proposito, va considerato che il modus operandi di chi viola il divieto di maternità surrogata o i limiti di fecondazione eterologa per poi pretendere un riconoscimento giuridico, invocando la tutela dei minori, è contrario ai principi di una società libera e democratica.

In un ordinamento democratico, infatti, i cittadini rispettano le leggi e le autorità competenti le applicano: sovvertire questo ordine significa aprire la strada a derive individualiste, con gravi conseguenze sulla tutela dei diritti fondamentali e sulla coesione sociale. Non va sottovalutato il pericolo insito nell’accettazione, anche solo tacita o passiva, di certe condotte. Lo stesso modello potrebbe infatti essere replicato per altri “desideri” o “interessi individuali” contrari ai valori dell’ordinamento ma prepotentemente imposti alla collettività.

Per quanto riguarda il riconoscimento dello status di figlio dei minori nati da maternità surrogata o da fecondazione eterologa vietata, la Corte EDU, nella sentenza dello scorso 22 giugno, ha riconosciuto la legittimità del divieto italiano di trascrizione, precisando che i minori già nati ben possono trovare tutela attraverso la stepchild adoption. Va subito chiarito che l’applicazione della stepchild adoption è prevista dalla legge italiana solo per le coppie sposate e l’estensione alle coppie omosessuali è stata operata dalla giurisprudenza per rispondere alle esigenze di tutela dei minori coinvolti.

L’adozione del figlio del coniuge – è questa la traduzione del termine inglese comunemente utilizzato – è una particolare forma di adozione, disciplinata dall’art. 44 lett. b) della Legge n. 184 del 1983 e finalizzata a garantire il diritto del minore ad avere una famiglia in tutte quelle situazioni in cui non sarebbe possibile ricorrere all’adozione legittimante e a consentire l’instaurazione di un rapporto giuridico fra il minore e il genitore di intenzione.

Con riferimento alle coppie omosessuali, giova ricordare che la Legge n. 76/2016 (la c.d. Legge Cirinnà) ha escluso, all’art. 1 comma 20, la possibilità di applicare alle unioni civili le norme in materia di adozione, prevedendo che «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti». Tanto l’adozione legittimante, quanto l’adozione in casi particolari è stata quindi esclusa per le persone unite civilmente.

Il legislatore, nel disciplinare le unioni civili ha escluso la genitorialità, coerentemente peraltro con i divieti di maternità surrogata e di fecondazione eterologa, muovendo dal presupposto che due uomini o due donne, per evidenti ragioni naturali, non possono fra loro concepire un figlio.

Tuttavia, malgrado i divieti posti dalla Legge 40/2004 e i limiti previsti dalla Legge Cirinnà, si è comunque posto il problema di tutelare i minori nati in violazione delle norme, in seguito alle forzature di cui si è detto, in attesa di un intervento legislativo mirato.

La Corte costituzionale e la Cassazione, aderendo all’orientamento della giurisprudenza di merito e dovendo quindi trovare una rapida soluzione a tutela dei minori, hanno ritenuto adeguata l’applicazione in via estensiva della disciplina prevista per l’adozione in casi particolari, al fine di garantire il mantenimento dei legami instaurati dal minore con il c.d. “genitore di intenzione”.

La stepchild adoption deve essere pronunciata dal Tribunale per i minorenni, su ricorso dell’interessato; il procedimento prevede l’audizione del genitore naturale del minore e la formalizzazione del suo consenso; inoltre, il giudice deve valutare l’idoneità affettiva e la capacità di educare ed istruire il minore da parte dell’adottante, nonché tutti gli elementi volti a verificare la corrispondenza dell’adozione all’interesse del minore. Il minore ultraquattordicenne deve prestare il consenso e il minore che ha compiuto i dodici anni deve essere ascoltato dal giudice. Per effetto della stepchild adoption il minore diventa figlio adottivo a tutti gli effetti: l’adottante assume la responsabilità genitoriale sul minore, al pari del genitore biologico e, in seguito alla sentenza n. 79/2022 della Corte costituzionale, il minore instaura altresì rapporti civili con i parenti dell’adottante. Il minore è dunque tutelato dalla stepchild adoption.

Tuttavia, come è emerso dal dibattito sorto in seguito alla sentenza della Corte EDU dello scorso 22 giugno, i sostenitori della maternità surrogata e della fecondazione eterologa illegale continuano a non essere soddisfatti e, lamentando presunte violazioni dei diritti dei minori, reclamano il pieno riconoscimento della genitorialità del “genitore intenzionale” e pretendono altresì di far venire meno il divieto di trascrizione degli atti di nascita.

A ben vedere, è ancora l’interesse dell’adulto a muovere le richieste, celato dietro presunte violazioni dei diritti dei minori. Più precisamente, l’obiettivo finale è quello di scardinare dal nostro ordinamento i valori fondamentali su cui si fondano il divieto di maternità surrogata e i limiti di accesso alla fecondazione eterologa, per imporre una concezione dell’uomo e della procreazione che nega la naturale distinzione biologica fra uomini e donne.

L’intervento del Legislatore volto a tutelare i minori nati da maternità surrogata e da fecondazione eterologa vietata dovrà pertanto tenere conto dell’origine del problema, in coerenza con i divieti posti dalle leggi (e confermati dalla Corte costituzionale) a salvaguardia dei valori fondamentali su cui si fonda la nostra società.

La tutela dei minori, in altri termini, dovrà necessariamente andare di pari passo con una normativa volta a contrastare le condotte di coloro che violano i divieti e i limiti posti dalla n. Legge 40/2004.

Daniela Bianchini


[1] Sul punto, come ricordato dalla Corte costituzionale, anche la Corte EDU ha ritenuto che una legge nazionale che riservi l’inseminazione artificiale a coppie eterosessuali sterili, attribuendole una finalità terapeutica, non può essere considerata fonte di una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti delle coppie omosessuali, rilevante agli effetti degli artt. 8 e 14 CEDU: ciò, proprio perché la situazione delle seconde non è paragonabile a quella delle prime (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 15 marzo 2012, Gas e Dubois contro Francia). Sul punto la Corte costituzionale, nella sentenza n. 221/2019 ha osservato: «l’infertilità “fisiologica” della coppia omosessuale (femminile) non è affatto omologabile all’infertilità (di tipo assoluto e irreversibile) della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive: così come non lo è l’infertilità “fisiologica” della donna sola e della coppia eterosessuale in età avanzata. Si tratta di fenomeni chiaramente e ontologicamente distinti. L’esclusione dalla PMA delle coppie formate da due donne non è, dunque, fonte di alcuna distonia e neppure di una discriminazione basata sull’orientamento sessuale».

[2] Ci si limita a ricordare che sul tema sono stati pubblicati diversi studi scientifici e non tutti concordano nel ritenere che per un bambino sia indifferente avere un padre e una madre piuttosto che la duplicazione della medesima figura genitoriale (con la conseguenza che un’effettiva tutela dei minori imporrebbe, per il principio di precauzione, una maggiore prudenza).

5708.- L’embrione è comunque vita, ma…

AFFERMARE CHE LA VITA UMANA INIZI COL CONCEPIMENTO E CHE L’ABORTO PREVISTO DALLA LEGGE SIA DA CONSIDERARE OMICIDIO NON HA ALCUN RISCONTRO MEDICO-SCIENTIFICO

TESI FAVOREVOLE

LEGGI LA TESI CONTRARIA

5 mesi

L’embrione va considerato vita umana nel momento in cui inizia a formarsi il sistema nervoso, che permette di provare, tra le altre cose, il dolore. Ciò avviene intorno al terzo mese di gravidanza. Dunque, nei primi 3 mesi non si può parlare di persona umana.
Ritenere che l’aborto equivalga all’omicidio contiene un errore logico. La vita biologica preesiste alla formazione dell’embrione: esso è il risultato di processi biochimici fra organismi vivi. Affermare che la vita inizi all’istante della fusione del DNA con organismi vivi è una contraddizione. L’idea che il concepimento costituisca una qualche “discontinuità” che giustifichi l’assegnazione dello status di “persona” non trova riscontro in natura.
Se l’aborto è omicidio lo è anche la contraccezione. In questo senso, stabilire quando la soppressione di un gruppo di cellule è un omicidio e quando invece non lo è una pura convenzione.
La possibilità che in futuro un organismo acquisisca determinate caratteristiche che non possiede allo stato embrionale non obbliga a trattarlo come se le avesse già acquisite. Il concetto di potenzialità non è sufficiente a produrre vincoli morali e obblighi di tutela nei confronti dell’embrione.


Sistema nervoso

Secondo Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina nel 2008, intervenuto a margine del convegno “Rome Rehabilitation 2009” tenutosi presso l’università “La Sapienza” di Roma nel novembre 2009, e riportato nell’articolo Aborto: montagnier, embrione è essere umano dopo formazione sistema nervosopubblicato il 26 novembre 2009 sul sito “Adnkronos”: “un embrione diventa un essere umano quando inizia a formarsi il sistema nervoso, cioè un po’ prima del terzo mese di gravidanza. […] un uovo fecondato non può essere ancora considerato un essere umano”.
Contrario all’idea che nel momento del concepimento l’embrione rappresenti una vita umana si pone Marco Musy, urologo e docente presso l’Associazione Italiana di Sessuologia Clinica, nell’articolo L’inconsistenza logica delle tesi cattoliche sull’embrione, pubblicato il 28 agosto 2008 sul sito dell’UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) “uaar.it”:“Indubbiamente è vero che la soppressione dell’embrione impedisce oggettivamente al futuro individuo di esistere. Tuttavia la conclusione che l’aborto equivalga all’omicidio nasconde un grave errore logico e se vogliamo essere razionali occorre spingere i ragionamenti fino in fondo per capire che le cose non stanno così”.
Secondo Musy, vanno chiariti alcuni punti principali: “La vita biologica, per come la conosciamo attraverso il metodo scientifico, preesiste alla formazione dell’embrione. L’embrione è il risultato di complessi e noti processi biochimici che hanno luogo fra organismi vivi: l’ovulo femminile e lo spermatozoo maschile. Un embrione vitale non proviene da oggetti morti o da materiale inorganico. Affermare che la vita abbia inizio all’istante della fusione del DNA di organismi vivi è una banale contraddizione nei termini. L’idea che l’embrione come tale sia una ‘persona’ è di ordine metafisico e non ha nulla a che fare con la biologia o con altre scienze. L’idea che l’istante del concepimento costituisca una qualche ‘discontinuità’ che giustifichi l’assegnazione dello status di ‘persona’ non trova supporto in natura ma affonda piuttosto le sue radici in quelle ideologie religiose che per sopravvivere non possono fare a meno di questa arbitraria assunzione. Si tratta di un’idea che non contiene nulla di scientifico. Il meccanismo attraverso il quale si forma l’embrione di un homo sapiens è lo stesso di tutti gli altri organismi viventi sessuati (sia per i mammiferi sia per molti altri animali inferiori). Non occorre postulare l’esistenza di entità sovrannaturali per spiegare la riproduzione umana, o per spiegare i processi che portano alla formazione di un embrione. Una coppia qualsiasi ovulo-spermatozoo non ancora uniti contiene già in sé tutta l’informazione che serve per la costruzione di un nuovo esemplare, esattamente come la stessa informazione è contenuta nell’embrione che essi formano. In altre parole, una qualsiasi coppia ovulo-spermatozoo ha la stessa ‘dignità’ biologica dell’embrione, nel senso che è ad esso biologicamente equipollente. Questi semplici fatti implicano che la scelta consapevole di impedire, attraverso qualsiasi mezzo, l’unione di un ovulo con uno spermatozoo umani risulta logicamente equivalente a impedire che il corrispondente embrione si sviluppi secondo il suo normale corso. Cioè, se chiamiamo ciò ‘omicidio’, allora siamo costretti a includere nella stessa categoria anche la contraccezione e perfino l’astinenza sessuale o la scelta del celibato perché, dal punto di vista biologico, di fatto producono tutti lo stesso risultato finale: una persona non verrà al mondo e non vivrà a causa della scelta deliberata e consapevole di qualcuno. Dovremmo dunque considerare ‘assassini’ anche tutte quelle persone? È chiaramente assurdo. E ogni volta che attraverso un ragionamento si giunge a un assurdo significa che o il ragionamento è sbagliato o l’ipotesi iniziale (aborto=omicidio) è falsa. L’aborto non può essere considerato equivalente all’omicidio, perché questa ipotesi condurrebbe alla conclusione insensata secondo la quale dovremmo considerarci quasi tutti omicidi. Stabilire quando la soppressione di un gruppo di cellule è un omicidio e quando invece non lo è, non può che derivare da una nostra convenzione e non da un elemento oggettivo della natura. Non diversamente dallo stabilire a che età si è abbastanza maturi per votare”.

Potenzialità e soglia

Secondo il parere di Chiara Lalli, docente di Logica e di Filosofia della Scienza alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università “La Sapienza” di Roma, le motivazioni che sorreggono gli ostacoli di ordine morale legati al tema dell’aborto sono confutabili.
Nell’intervento Il problema dell’aborto. Tra libertà di scelta e diritto alla vitadiscusso in occasione dell’incontro “Il problema dell’aborto tra libertà di scelta e diritto alla vita” tenutosi a Palermo il 14 dicembre 2007 per il Ciclo di incontri di Bioetica dell’Associazione Thomas International e riportato sul sito “thomasinternational.org”, la Lalli afferma: “Il concetto di persona è un concetto morale. Ha a che fare con il mondo dei valori e non con il mondo della scienza. Nessuno strumento, per quanto potente, potrà rivelarci quando un organismo sia anche una persona o quando non lo sia più. Il significato di ‘persona’ è sempre una scelta di ordine morale”.
La Lalli divide la questione morale sul concetto di persona in due aspetti. Il primo riguarda la potenzialità: “Secondo questo argomento l’embrione è potenzialmente una persona, quindi l’embrione è una persona. Una persona possiede il diritto alla vita, quindi anche l’embrione (che sarebbe persona in potenza) possiede il diritto alla vita. L’argomento della potenzialità inferisce l’esistenza di diritti attuali da future proprietà. La possibilità o la certezza che in futuro un organismo acquisisca determinate caratteristiche che non possiede allo stato attuale non ci giustifica però a trattarlo come se le avesse già acquisite. Come ci invita a riflettere John Harris, ognuno di noi è potenzialmente morto: possiamo forse attribuirci oggi lo statuto di morti (condizione sicuramente vera domani)? Il fatto che far derivare diritti attuali da future proprietà sia una mossa accettata esclusivamente nel dibattito che riguarda lo statuto embrionale sembra suggerire una certa disonestà di questa argomentazione. Basta l’esempio suddetto, infatti, a indicare qualche crepa argomentativa. Ma se ne potrebbero fare molti altri. Un bambino di 8 anni possiede potenzialmente il diritto di voto che acquisirà a 18 anni. Accetteremmo di farlo votare oggi in base al fatto che tra 10 anni acquisirà quel diritto (diritto che acquisirà in seguito all’acquisizione di alcuni requisiti che sono presenti a 18 anni e non a 10 anni)?”.
Il secondo aspetto riguarda il concetto di soglia: “Secondo l’argomento della soglia l’embrione è una persona perché non è possibile indicare un punto preciso in cui l’embrione (inteso come pre-persona) diventa persona. La continuità dello sviluppo embrionale disattiverebbe la possibilità di individuare delle differenze tra il prima e il dopo. Anche in questo caso la validità argomentativa sembra applicarsi soltanto per l’embrione. Proviamo ad applicare il medesimo ragionamento alla distinzione tra giovinezza ed età adulta. È impossibile additare il momento esatto in cui un ragazzo diventa adulto (si pensi alla convenzionalità e alla arbitrarietà del compimento del diciottesimo anno di età. E si pensi anche alla sua imprecisione: un ragazzo che abbia 18 anni meno 1 giorno non è diverso da quello che diventerà qualche ora più tardi). Tuttavia non siamo disposti a rinunciare alla differenza concettuale tra la giovinezza e l’età adulta. Potrebbe essere saggio indicare una zona piuttosto che un punto esatto, ovvero a confessare una fase di incertezza. Ma è indubbio che esista una differenza tra la giovinezza e l’età adulta. Un altro possibile esempio è costituito dall’alternarsi del giorno e della notte. Allo stesso modo è impossibile indicare il momento esatto in cui dalla notte si passa al giorno (e viceversa). Ma allo stesso modo non rinunciamo alla differenza tra il giorno e la notte perché non esiste un interruttore come nel caso della luce elettrica, ma un lento e graduale passaggio da una condizione ad un’altra”.
Un’analisi sul pensiero di John Harris a proposito della vita umana embrionale viene elaborata anche da Mirko Ancillotti, dottorando presso il Centre for Research Ethics & Bioethics (CRB) dell’Università di Uppsala (Svezia), nell’articolo John Harris. Persona, potenzialità e pre-persona (II parte)pubblicato il I luglio 2013 sul sito “sintesidialettica.it”: “Se non per ciò che è in atto, allora si può pensare che si debba tutelare la vita umana embrionale per ciò che è in potenza. Per Harris però, per quanto raffinato, il concetto di potenzialità non è sufficiente a produrre vincoli morali tali da comportare obblighi di tutela nei confronti dell’embrione. Il fatto che un organismo sia ‘destinato’ in futuro, diretto da un processo di divenire interno, ad acquisire caratteristiche che lo renderanno differente dallo stato attuale, non rappresenta per l’autore una ragione sufficiente per trattarlo come se quelle caratteristiche già le avesse acquisite” [Cfr. J. C. Burley and J. Harris. Blackwell, The use of human embryonic stem cells in research and therapy. Companion to Genetics: Philosophy and the Genetic Revolution, Blackwell, 2002]. Inoltre, se si ritiene che si debba tutelare l’embrione in quanto organismo umano che ha la potenzialità di divenire persona, occorre allora investire delle stesse tutele anche le forme di vita umana precedenti l’embrione, le quali parimente possiedono in sé il potenziale di divenire embrione e quindi persona, vale a dire lo zigote, ma anche lo spermatozoo e l’ovulo singolarmente presi. Tutti i passaggi causali che conducono alla persona devono essere considerati potenzialmente umani se si vuole sostenere il principio di potenzialità, in quanto la potenzialità di divenire persona è evidentemente presente anche in questi organismi. Per Harris lo statuto morale dell’embrione deve essere stabilito in base a ciò che è. In nessun momento della gestazione l’embrione o il feto sviluppano quelle caratteristiche minime idonee a farlo riconoscere come una persona”.

Autori citati:

  1.  Montagnier Luc  – premio Nobel per la medicina 2008 
  2.  Musy Marco  – urologo e docente presso l’Associazione Italiana di Sessuologia Clinica 
  3.  Lalli Chiara  – docente di Logica e di Filosofia della Scienza alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università “La Sapienza” di Roma 
  4.  Harris John  – filosofo e bioetico britannico

5703.- “Una Famiglia Radicale”, di Eugenia Roccella

Aggiornato il 18 giugno 2023

Gli stracci di Mario

La storia della creazione della donna si rivolge agli allocchi dei tempi che furono. Il movimento femminista persegue il raggiungimento della parità con i diritti dei maschi. Assume per presupposto l’inferiorità della donna e la sua subalternanza verso l’uomo, perciò, si rivolge alle ignoranti. Invece, la donna non è un surrogato dell’uomo perché è di qualità superiore.

La donna è la madre del futuro. La donna, nella sua vita, sia libera di essere compagna, moglie, madre, lavoratrice, per questo, è il simbolo della libertà. Il rapporto fra la donna e la libertà presuppone la sacralità della maternità.

Poter uccidere il proprio io che è in grembo, se non è una necessità estrema: mors tua vita mea, non è una scelta di vita o di libertà, ma un lutto. La donna non è una fattrice. Le pratiche anti concezionali sono note e alla portata di tutte. Chi predica l’aborto libero è, senz’altro, alla ricerca del sesso più vile e, di certo, un’assassina in pectore.

Affittare il proprio utero, partorire e separarsi dalla creatura con cui si è condivisa per mesi la propria vita e che la scienza afferma che porterà le tracce di voi stesse, non è una scelta; è la bestemmia della maternità.

Per contro, chi non è certo della propria mascolinità o chi ha fallito nell’educare la propria sessualità e ne fa propaganda per comportamenti collettivi, ostentando una falsa femminilità, è tristemente ridicolo.

La scienza che studia le applicazioni delle cellule staminali è riuscita a produrre in laboratorio una vita simil umana. Entro i limiti della bioetica è medicina, oltre, è un delitto contro l’umanità.

Centro Rosario Livatino, 17 giugno 2023Eugenia Roccella

Una grande donna, ora, ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità.

1. “Una famiglia radicale” è il titolo del libro scritto da Eugenia Roccella, oggi Ministro della Repubblica per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, che l’editore Rubbettino ha pubblicato nei primi mesi del presente anno.

L’Autrice lo definisce un “romanzo”. Non si tratta, infatti, della biografia della propria famiglia, bensì della riflessione del percorso di vita dei suoi vari membri, nonché di se stessa. Il romanzo non ha le pretese di riflettere in modo esatto gli aspetti particolari della realtà storica; non la nega, ma prende dai fatti reali lo spunto per indagare sulla ricerca del senso della vita che i protagonisti hanno faticosamente, per l’intera esistenza, compiuto.

In questa dimensione, che si colloca a metà strada tra il romanzo moderno, in cui i personaggi restano inchiodati al loro destino storico, e il romanzo pre-moderno, ove essi appaiono anche sotto un profilo ideale, magari storicamente mai realizzato, che rappresenta però l’aspirazione nobile della loro anima, Eugenia Roccella si muove con commovente  maestria, riscattando nel ricordo anche gli aspetti più bui delle persone che ella ha teneramente amato lungo la sua ricca ed appassionata esistenza.

2. Vi sono personaggi e luoghi che rappresentano l’incarnazione dell’ideale. Il principale tra questi è Eugenio Roccella, il nonno paterno, notaio in Riesi, fonte di sapienza e di scienza per tutta la famiglia.

Uomo antico – ove il termine non designa la cronologia, bensì lo sguardo sul mondo che viene dall’eterno -, egli esercita con scienza e coscienza la missione del giureconsulto. Non è soltanto il registratore degli scambi immobiliari, bensì l’esperto in umanità che conferisce la forma giuridica della stabilità e della pace alle tumultuose pretese di potere e di ricchezza degli uomini e delle donne di ogni tempo.

Per questo motivo Eugenio Roccella è un’autorità che tutti in Sicilia riconoscono.

La sua attività non conosce riposo; pur amorevolmente piegato verso la sposa, i figli e i parenti, che ama e sostiene, egli fa della grande casa familiare il luogo degli affetti e del lavoro, in quell’unità tra pubblico e privato che caratterizzava la cultura di un mondo ancorato all’antropologia in cui le varie sfere dell’attività umana non erano tra loro separate, come se ciascuna di esse fosse un cassetto da aprirsi e da chiudersi a seconda dei giorni e delle ore.

Egli infatti considera tutte le attività, pubbliche e private, avvinte tra loro per la formazione e per la crescita della coscienza.

Vero compito, quest’ultimo, di ogni uomo e di ogni donna che non aspira al potere, al denaro, al successo, bensì a quella sapienza che, consapevolmente o senza piena consapevolezza, è dono che Dio fa all’uomo giusto.

3. A lui può applicarsi l’inizio del Salmo 119: “Beati immaculati in via, qui ambulant in lege Domini”.

Quando il boss mafioso che domina protervo sul territorio di Riesi gli offre la sua protezione, egli ha la dignità di rispondergli: “…non abbiatevene a male, favori non ne voglio da nessuno, nemmeno da voi”[1]; quando i suoi figli Franco ed Enzo portano la famiglia sull’orlo della bancarotta, tra le folli spese elettorali per la politica dell’uno e le enormi perdite al gioco dell’altro, Eugenio Roccella vende il patrimonio, salda i debiti contratti con gli usurai e, alla fine, esaurito il suo dovere verso se stesso, chiama nel suo studio la nipote amatissima, allora diciassettenne, e le dice: “Adesso, Eugenia, ho finalmente sistemato tutto, non ci sono più debiti, vi lascio tranquilli. Posso morire”[2].

4. Riesi è il luogo dell’infanzia felice di Eugenia.

Non perché il paese – che la madre di Eugenia definiva “paesazzo senza attrattive”[3] – avesse qualcosa di particolarmente significativo alla luce dei canoni della modernità, bensì perché in esso scorreva lenta e rassicurante una vita di relazioni e di rapporti autenticamente personali: “La comunità, familiare e amicale, includeva tutti, anche anziani e disabili, e ogni anomalia e stranezza individuale era assorbita”[4].  

Le innumerevoli amiche di infanzia che giocavano e si confidavano con lei, senza distinzione di età anagrafica e di classe sociale, costituivano quell’ambiente familiare gioioso che, in attesa serena delle asprezze della vita futura, creava una “atmosfera di intimità femminile e calore domestico”[5], in cui Eugenia trovava la sua felicità.

5. Spiccano nel romanzo le figure del padre e della madre della protagonista. L’esistenza di entrambi traluce con vivezza nel chiaroscuro tra gli ideali nobili che essi desideravano realizzare e le difficoltà concrete che si sono a loro frapposte per impedirglielo.

La narrazione è impregnata di profonda pietas filiale; non nasconde le tristezze e le amarezze, ma le trasfonde in un destino che la Provvidenza è capace di riscattare.

Le difficoltà sorte dalle loro inadeguatezze personali mai sono giudicate come “colpe”, ma sempre come effetto di un intreccio di fattori, sociali ambientali e personali, che – senza annullare la responsabilità individuale – gravano sulla persona in guisa spesso insuperabile.

Per comprendere il tema nulla è forse più efficace che ricordare la Degnità VIII della Scienza Nuova (1744) di Giambattista Vico “Questa medesima Degnità congionta con la settima e ‘l di lei corollario [Degnità che suona che vi è diritto in natura e che l’umana natura è socievole] pruova che l’uomo abbia libero arbitrio, però debole, di fare delle passioni virtù; ma che da Dio è aiutato naturalmente con la divina provvedenza, e soprannaturalmente dalla divina grazia”[6].

Vanno considerati la debolezza del libero arbitrio, che raramente riesce a trasformare in virtù le passioni; ma v’è anche l’ausilio sul piano naturale della Provvidenza – e della Grazia, per coloro che sono consapevolmente credenti -, che fa rifulgere come gemme anche gli slanci generosi dell’anima rivolti al bene, anche se la persona non perviene con compiutezza al fine desiderato.

6. Così è per l’indomita passione politica di Franco Roccella; così è per la dedizione appassionata alla causa della libertà delle donne, condotta sotto la fascinazione inquietante di Marco Pannella, di Wanda Raheli, madre di Eugenia, che coinvolse, nel turbinio del post-’68, anche la figlia nelle battaglie del Partito Radicale, tra cui quella per la libertà dell’aborto.

Il padre “era molto netto, sul tema, per lui l’aborto era un omicidio”. Per la madre, sulla scia dell’opinione di Pannella: “lo zigote non era ancora un essere umano, la donna sì, e dunque si doveva necessariamente privilegiare la sua scelta”[7].

L’Autrice, al di là dell’opinione sua e dei suoi genitori degli anni ’70 e ’80, svolge nel testo una riflessione sul rapporto tra la donna e la maternità che esprime la cifra dei traumi che la maternità subisce in tempi di mercificazione della persona.

La riflessione suggerisce anche un consapevole e rinnovato rispetto della vita umana nascente nel grembo materno, ovvero avviata verso il suo termine naturale.

Riporto integralmente la testimonianza di Eugenia:

Un ginecologo cattolico, Adriano Bompiani, disse una volta che le donne sono disposte a tutto per avere un figlio, e disposte a tutto per non averlo. È così. L’ho capito anche pensando a mia madre. Se una donna rifiuta il minuscolo esserino che è entrato dentro di lei senza chiedere il permesso, se lo vive come un alieno ostile che le cresce in seno e prende possesso del suo corpo contro la sua volontà, è disposta a rischiare la vita, a uccidersi e ucciderlo, pur di cacciarlo via da sé. La maternità ha un suo lato oscuro, non è tutta luce. Mettere al mondo una vita, sentire un altro corpo che cresce nel tuo, richiede di fare ordine nel groviglio di pulsioni e sentimenti appassionati, violenti e contraddittori che si scatenano. Le femministe sostenevano che l’aborto “esula dal territorio del diritto”, ma è vero anche per la maternità, che la cultura patriarcale non ha mai saputo e voluto pensare, a cui ha eretto un mito fasullo per evitare di riconoscerle importanza e centralità. La cittadinanza, nelle democrazie occidentali, è costruita sul concetto di individuo, che etimologicamente significa che non si divide, ed esclude, quindi, le donne. Il corpo materno infatti si divide, per nove mesi è due in uno, creature distinte in un unico corpo. Il risultato è che una donna non è cittadina, non è soggetto di diritti se non appiattendo la differenza e lasciandosi assimilare al maschio-individuo, svalorizzando il potere di generare e confinandolo nel privato”[8]. 

Condivido le sagge parole di Eugenia, ma desidero sottolineare che lo scivolamento verso il riduzionismo materialista della maternità e della donna trova il suo apice nella cultura dell’illuminismo e del liberalismo, che degrada la donna a mera riproduttrice o a mero oggetto di soddisfazione del genere maschile, oscurando l’immenso valore metafisico della maternità.

7. Il filo d’oro dell’esistenza dell’Autrice è la fede. Lungo questo filo si scorge evidente l’opera della Provvidenza, che la Grazia perfezionerà in lei nell’epoca della maturità.

Eugenia racconta il suo battesimo. Fu decisivo, per superare l’ostacolo dei genitori non credenti, l’irremovibile fermezza della zia paterna Sarina, unica devota cristiana in famiglia, che l’aveva amorevolmente allevata ed educata in Riesi nei primi quattro anni di vita: “Prima di venire a Roma la bambina deve essere battezzata”[9]: ella impose così la sua volontà ai genitori recalcitranti.

E il seme della Grazia divina fruttificò silenziosamente nel suo cuore. Alla scuola pubblica in Roma, durante le “medie”, scoprì l’ora di religione e, grazie a un giovane e solerte sacerdote, di fronte al Crocifisso esposto sul muro dietro la cattedra, le resistenze contro la fede si indebolirono ed ella la scoprì consapevolmente presente in se stessa.

Sedeva nei primi banchi, con la croce davanti agli occhi: “Era un’immagine dolorosa, di sacrificio e morte, ma anche di amore estremo, umano e comprensibile, straordinariamente consonante con quello che sentivo”[10].

Da un moto spontaneo della sua anima scaturì la decisione di fare la prima comunione. In Eugenia era nata la precisa sensazione che Gesù fosse presente qui e ora, accanto a lei[11].

Fu per lei impossibile spiegare alla mamma che non le “… bastava più entrare nella Casa di Gesù come un’ospite furtiva, che voleva aprirgli la porta di casa mia, parlargli a tu per tu, come ormai avevo cominciato a fare timidamente” [12].

8. L’impegno con il gruppo radicale per l’approvazione della legge che liberalizzò l’aborto e la militanza nel Movimento di Liberazione della Donna occuparono gli anni ’70 e l’inizio del decennio successivo.

Il nume tutelare di queste battaglie fu Marco Pannella, di cui ella e, ancor più la madre, divennero seguaci.

Ma quel tempo finì ben presto.

L’8 marzo 1981, dopo aver festeggiato in piazza la giornata della donna, la “madre lanciò un grido, portandosi la mano alla testa, e cadde per terra”[13]. Era stata vittima di un’emorragia cerebrale; un aneurisma aveva rotto l’arteria basilare. L’episodio apparve simbolico a Eugenia: “Il filo esile del suo equilibrio interiore era stato tirato fino a spezzarsi”[14].

Wanda fu portata per un’operazione estrema in Canada. I danni dell’operazione furono devastanti. La donna uscì dall’operazione in coma profondo. Poi, giorno dopo giorno, con grande fatica, la madre riemerse dal sonno profondo del coma e riprese quell’esistenza consapevole che sembrava essersi perduta per sempre nel silenzio.

Eugenia accudiva la madre come una bimba appena nata: sapendo che poteva rimanere in quella condizione per sempre, le preghiere rimanevano ancora un fatto solitario e tutto personale della giovane figlia[15].

Nella vicinanza accudente, Eugenia riprese il colloquio con Cristo, colloquio mai veramente troncato, ma vissuto fino ad allora come una relazione furtiva e clandestina, come se si trattasse di un peccato intellettuale:

“Il Dio in croce, che avevo voluto dimenticare, con la malattia di mia madre era tornato con prepotenza nella mia vita. Tu mi hai messo una mano sulla testa, e io l’ho scansata, mi hai protetta, e io ho fatto finta di poter fare da sola, anch’io come tanti. Ma tutto questo non mi rende felice. Il mondo radicale è stato il mio, ma non è più così. Aiutami a capire. E aiutami a tenere in vita la mia mamma-figlia, questa bambina persa nel silenzio[16].

Nell’assistenza alla madre in coma, trascorsa per lunghi mesi accanto a lei, Eugenia scoprì la differenza evidente tra la vita e la morte. “La vita” – insegna l’Autrice – “è il calore di un corpo che in condizioni di incoscienza nasconde il proprio mistero, ma la persona è lì, tutta intera”[17].

9. Gli ultimi anni di vita di Franco Roccella furono segnati dal tracollo fisico e da una grave forma di depressione.

Nel 1979 Pannella lo fece eleggere tra le fila dei radicali, aprendo la loro lista a candidati che non appartenevano, come Franco, al gruppo storico dei radicali. 

Ma l’ingresso al Parlamento fu cagione di nuove tristezze. Speculando sui debiti dell’amico, Pannella lo tradì in modo ignobile.

L’Autrice lo racconta nelle ultime pagine del libro, ove, riferendo che ella stava tutta dalla parte del padre, ne riscatta mirabilmente la memoria. Ella ne rivede l’immagine “avvolto nella sua strana, infantile innocenza, incapace di fare il male consapevolmente”[18].

Ella stava dalla parte del padre perché lo amava, ma anche perché “era tenero, smarrito, isolato, perché era perdente”[19].

Le riflessioni di Eugenia, a questo punto del libro, inseguita dalla memoria del padre, si fanno stringenti e vanno al cuore della tragedia della posmodernità.

Franco Roccella era stato tra i primi, nell’esaltazione del dopoguerra, “a perseguire un’idea di felicità individuale modellata sulla rincorsa del desiderio, e tra gli ultimi a fare i conti con il fantasma del dovere morale”[20].

Eugenia rimedita sulla sua esperienza di militante radicale. Si era illusa allora che “libertà e responsabilità crescessero insieme, che la responsabilità accompagnasse automaticamente l’espansione degli spazi di libertà personale”[21].

Ciò non corrisponde al vero: quel vero che Eugenia ha riscoperto nella sua esistenza con estrema lucidità. La consapevolezza dei doveri verso gli altri si oscura nella coscienza di colui che desidera per sé “diritti” sempre più assoluti, che finiscono, “invece di salvarci la vita”[22], di opprimerci “fino ad impedirci di respirare in libertà”[23].

L’esistenza paterna è per Eugenia Roccella la metafora della ricerca appassionata del bene che si allontana sempre più nella misura in cui la persona, incerta e insicura, non si affida, nel piccolissimo spazio del suo libero arbitrio, alla guida sicura di Chi, nel suo amore senza limiti per gli uomini, ha offerto se stesso per la salvezza di tutti.

Mauro Ronco

5701.- Londra, la condanna di una donna scatena la lobby dell’aborto libero

Il disprezzo per la bioetica e per la maternità segnano il punto di non ritorno della società umana. Si accompagnano con la creazione in laboratorio di un essere simil-umano artificiale, che integralmente umano non è, ottenuto riprogrammando cellule staminali e che non ha avuto necessità di ovuli o spermatozoi.

Da La Nuova Bussola Quoticiana, 17 giugno 2023, di Patricia Gooding-Williams

Il drammatico caso di Carla Foster, in carcere per aver praticato l’aborto chimico in casa all’ottavo mese di gravidanza, è il pretesto per la richiesta di aborto fino alla nascita. Ignorando le cause dolorose e le conseguenze tragiche di quel gesto.

English

Nel Regno Unito la lobby abortista è tornata sul piede di guerra. Per oggi, sabato 17 giugno, il British Pregnancy Advisory Service (BPAS), il Women’s Equality Party e la Fawcett Society hanno organizzato una marcia dalle Royal Courts of Justice fino a Westminster per chiedere che in Gran Bretagna sia riformato l’Abortion Act del 1967, al grido di: “È tempo di agire adesso”. Lo scopo è rendere legale abortire in qualunque momento fino alla nascita. L’occasione di questa protesta è data da un recente caso di cronaca che ha fatto molto discutere: «Questa settimana una donna in Inghilterra è stata condannata a 28 mesi di carcere per aver interrotto la gravidanza ricorrendo a pillole abortive», si legge nel sito che pubblicizza l’evento. La donna cui si fa riferimento è Carla Foster, dello Staffordshire, che ha tolto la vita alla sua bambina procurandosi illegalmente delle pillole durante il lockdown nel maggio 2020.

Ovviamente, il comunicato dei gruppi abortisti non menziona la terribile sofferenza causata dall’aborto: né la bambina di otto mesi, chiamata Lily, uccisa e fatta nascere morta né ciò che è accaduto da allora a Carla, ancora tormentata da incubi e dal ricordo del volto di sua figlia morta dopo averla partorita. Soprattutto, la storia di Carla e quella di molte altre che hanno scelto l’aborto presentano un elemento in comune: donne alle prese con una gravidanza inattesa, che vivono situazioni disordinate, spesso da sole, in cerca di una soluzione rapida a una situazione apparentemente senza rimedio, trovandosi poi ferite permanentemente dalla morte dei loro figli.

Eppure i pochi limiti rimasti a impedire l’aborto libero vengono rimossi uno dopo l’altro e il risultato è un aumento vertiginoso del numero di aborti. Secondo le statistiche ufficiali del governo britannico, nel 2021 ci sono stati 214.256 aborti tra le donne residenti in Inghilterra e Galles, il numero più elevato da quando è entrato in vigore l’Abortion Act. Paradossalmente, l’aumento maggiore si è registrato durante la pandemia. Mentre i fondamentali diritti di ogni cittadino erano violati sistematicamente, il diritto di una donna ad abortire era uno dei pochi universalmente sostenuti. In particolare, l’introduzione degli aborti fai-da-te in casa – che in Gran Bretagna si possono ottenere facilmente con una telefonata, basandosi sulla fiducia e senza alcuna forma di controllo – hanno garantito che il servizio “sanitario” proseguisse senza interruzioni durante la crisi legata al Covid. La “pillola per posta” introdotta durante il lockdown permette di interrompere in casa le gravidanze fino a 10 settimane, dopo di che si suppone che la procedura venga portata a termine in clinica. Un metodo propagandato come un successo a tal punto che è tuttora in vigore.

Secondo un comunicato del MSI Reproductive Choices UK, uno dei principali operatori di aborti, la pandemia di Covid-19 non solo ha avuto un impatto sul numero, ma anche sul metodo per abortire. «L’aborto medico precoce a domicilio è la procedura più comune, con il 52% di tutte le donne che nel 2021 hanno abortito prendendo entrambe le compresse a casa. La percentuale di aborto medico nel suo complesso ha rappresentato l’87% degli aborti». Tuttavia, le statistiche non menzionano le donne vulnerabili e spaventate che ricorrono a un sistema con tali lacune da favorirne l’abuso. Come è anche evidente dalla storia di Carla Foster.

Carla aveva già tre figli, uno dei quali disabile, prima di trovarsi nuovamente incinta nel 2019. All’inizio del lockdown era tornata dal partner da cui si era separata, con in grembo il figlio di un altro. Soffrendo di enormi “crisi di panico”, aveva tentato di nascondere la gravidanza a entrambi gli uomini. Secondo il tribunale, tra febbraio e maggio 2020 aveva effettuato ricerche su: “Come nascondere il pancione in gravidanza”, “come abortire senza andare dal medico” e “come perdere un bambino al sesto mese”. A maggio 2020, ormai all’ottavo mese, Carla contattò il BPAS, un grande fornitore di servizi abortivi. In base alle false informazioni riferite da lei, il BPAS mandò a Carla le compresse per un aborto medico, considerandola incinta di sette settimane. In realtà, la bambina non ancora nata – chiamata Lily – era ben oltre il limite legale di 24 settimane, quando in Gran Bretagna non è più così facile abortire poiché a quello stadio è possibile la sopravvivenza fuori dal grembo. Ma durante il travaglio Carla è stata colta dal panico e ha fatto due chiamate di emergenza ai paramedici. Al loro arrivo, la bambina era già stata partorita e non respirava. Gli sforzi per rianimarla sono falliti e Lily è stata dichiarata morta 45 minuti dopo. L’autopsia ha stabilito che la bambina aveva fra le 32 e le 34 settimane e che era nata morta a causa dell’uso, da parte della madre, di farmaci abortivi. La tragica storia di Carla è diventata così di dominio pubblico.

Lunedì scorso, 12 giugno, Carla Foster è stata mandata in carcere per il suo delitto dal giudice Pepperall della Crown Court di Stoke-on-Trent. Inizialmente la Foster è stata accusata di infanticidio, accusa che ha respinto. In seguito si è dichiarata colpevole di un altro capo di imputazione (sez. 58 dell’Offences Against the Person Act del 1861), cioè di aver fatto ricorso a farmaci o mezzi per procurare l’aborto, imputazione accettata dall’accusa. Quindi è stata condannata a 28 mesi, 14 dei quali li trascorrerà in carcere e il resto in libertà condizionata.

La sentenza del giudice Pepperall (qui la proclamazione della sentenza) ha scatenato un acceso dibattito sull’aborto nel Regno Unito, dividendo l’opinione pubblica britannica tra sostenitori e oppositori pro e contro l’aborto di Carla. Ci si chiede però, come mai la lobby abortista non sia stata chiamata a rendere conto del suo ruolo nella vicenda. Al contrario, sulla scia di questa tragedia, la loro risposta è quella di marciare a Londra invocando leggi ancora più permissive per le donne che decidono di abortire il proprio bambino.

Il fatto è che tre ragazzi sono stati lasciati soli senza la madre, che una bambina è stata uccisa e che Carla, dopo che avrà scontato la sua pena, resterà a vita con il rimorso per quanto accaduto. L’aborto è la scelta della morte di un bambino da parte di sua madre. La straziante realtà è che agli abortisti piace parlare di scelta ma nello stesso tempo impediscono alle donne tutto ciò che può farle scegliere. Lo scandaloso arresto di Isabel Vaughan Spruce e padre Gough per aver recentemente pregato in silenzio ne è la prova. A nessuno importa cosa stessero pensando o cosa passasse per la loro mente, il fatto è che la loro presenza ricorda alle donne che ci sono altre possibilità che gli abortisti non vogliono.

5674.- La Suprema Corte sulle questioni poste da Zagrebelsky circa la maternità surrogata

Aggiornato 4 giugno 2023

Zagrebelsky: “La maternità surrogata è vietata perché è sempre un male, non è un male perché è vietata”.

E noi, meno sinteticamente, argomentiamo:

“Dai punti di vista etico e sociale, mascolinizzare la donna portandola a rincorrere la parità nei diritti maschili è sbagliato, almeno quanto porre il sesso binario e l’amore sullo stesso altare. Questo errore, malevolmente e sapientemente voluto, è simboleggiato dal femminismo lesbico; non pone in equilibrio mascolinità e femminilità ed è alla radice della crisi in cui versa l’umanità.

Le tre religioni monoteiste  imposero l’immagine di una divinità maschile centrale, trina, a cui attribuire l’origine dell’universo e di tutte le cose create. Non hanno inteso riconoscere il valore della donna. Anche il cristianesimo con la Madre di Dio, introduce una creazione complessa, di natura umana, ma santificata e pura, per accogliere la natura divina del Figlio di Dio; quindi e per certi versi, divina. Si potrebbe sostenere che sia ai limiti della blasfemia, ponendosi in concorrenza con l’immagine di un Dio, padre, uomo, onnipotente, infallibile.

“Il modello piramidale maschile della società religiosa coincise in ogni suo punto con il modello politico istituzionale, e infine fino a non pochi anni fa, con il modello della famiglia tradizionale in senso stretto.
La decostruzione antropologica delle religioni è il primo passo che aiuta a riconsiderare l’identità maschile e femminile in termini del tutto nuovi.”

La donna è semplicemente donna. Il paragone con l’uomo, frutto della Genesi 2, è mal posto: “Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo..”. Introduce un livello di sudditanza gerarchica. Invece, anche strutturalmente, la donna è superiore all’uomo. Socialmente, deve poter essere “sempre” libera di scegliere se essere compagna, moglie, madre o lavoratrice. Anche quando sceglie di essere una lavoratrice, non per questo discende alla parità con l’uomo. La donna è, perciò, il simbolo della Libertà e, sopratutto nella maternità, incarna il simbolo sacro dell’Amore. Madre e bambino non sono né saranno mai un ‘oggetto’ contrattuale”.

MAG 26, 2023

Gustavo Zagrebelsky

Su “La Repubblica” del 25 maggio 2023, di Gustavo Zagrebelsky. Seguii l’ex Presidente della Corte Costituzionale in una associazione veneziana troppo orientata politicamente per non più di due volte. Ciononostante ne apprezziamo il valore per i confronti che viene a creare.

BREVI RIFLESSIONI A MARGINE DELL’INTERVENTO DI GUSTAVO ZAGREBELSKY SULLA MATERNITÀ SURROGATA

Su “La Repubblica” del 25 maggio 2023, Gustavo Zagrebelsky espone una sua articolata critica nei confronti della proposta di legge sul cosiddetto “reato universale” chiamato a sanzionare (oltre quanto già previsto dalla legge 40/2004) la pratica della maternità surrogata.

Il ragionamento di Gustavo Zagrebelsky si muove lungo quattro direttrici differenti.

In primo luogo: secondo il noto costituzionalista, la pratica della maternità surrogata, che per la maggior parte delle volte è a titolo oneroso, può essere sanzionata proprio per evitare «la riduzione d’ogni realtà dell’esistenza a merce commerciabile», sebbene questo tipo di sanzioni non tiene conto del fatto che nei Paesi poverissimi la pratica della surrogazione a pagamento costituisce «l’occasione se non del benessere, almeno della sopravvivenza».

In secondo luogo: la pratica della maternità surrogata non può essere ridotta soltanto alla sua dimensione commerciale, esistendo anche quella cosiddetta “altruistica” che si dovrebbe considerare sostenuta dalla stessa eticità e giuridicità di fondo che sorregge la donazione di organi.

In terzo luogo: sanzionare penalmente la pratica della maternità surrogata, sempre secondo Zagrebelsky, non tutelerebbe l’interesse del minore che in tale contesto dovesse nascere, poiché non si possono far pagare ai minori innocenti le eventuali responsabilità delle azioni degli adulti.

Infine: laddove il legislatore non dovesse porre in essere misure idonee alla tutela dei minorenni che deve essere bilanciata con l’interesse dell’ordinamento a sanzionare la maternità surrogata, sarebbe la Corte Costituzionale a intervenire sul tema disciplinando motu proprio la questione.

Fin qui le tesi di Zagrebelsky, a cui, però non si possono non muovere dei rilievi critici che in ragione della loro complessità e articolazione devono necessariamente essere sintetizzati.

Per ciò che riguarda il primo spunto delle riflessioni dell’ex Presidente della Corte Costituzionale almeno due puntualizzazioni sembrano opportune.

La circostanza per cui l’ordinamento intervenga con sanzioni penali per evitare che una parte della realtà, per di più la più intima, la più sacra come la maternità, la più archetipica delle fenomenologie relazionali della natura umana, non diventi un qualunque servizio commerciabile non rappresenta un immotivato irrigidimento normativo di un legislatore conservatore e legalistico, ma esprime la dimensione “minima” ed essenziale della giuridicità intrinseca di un ordinamento di uno Stato di diritto concretamente fondato sulla tutela della dignità quale cifra della persona, cioè di quella entità morale (e quindi giuridica) che per definizione è indisponibile (per legge, per contratto o per sentenza, come, infatti, testimonia la comune ratio di fondo del divieto della pena di morte, o del divieto di tortura, o del divieto di riduzione in schiavitù).

Ritenere inoltre che non si debba sanzionare la pratica della maternità surrogata poiché nei Paesi poverissimi essa è unica fonte di sostentamento per le donne significa introdurre il principio utilitaristico che dapprima si era escluso reputando fondata la sottrazione di parti dell’esistenza dalle categorie delle merci commerciabili.

Prendendola sul serio e seguendo la linea della medesima logica di Zagrebelsky, allora, si potrebbe legalizzare anche la vendita del sangue o del midollo osseo, o la vendita degli organi, e, perché no?, magari la vendita o l’affitto del voto elettorale.

E perché allora sanzionare certi tipi di attività e proventi della criminalità organizzata o delle associazioni mafiose nazionali e internazionali laddove esse, specialmente in certi territori poverissimi del meridione, storicamente costituiscono – in assenza della capacità dello Stato di creare adeguati mezzi di sussistenza – una rete economico-finanziaria in grado di permettere la sopravvivenza delle locali popolazioni?

Zagrebelsky dovrebbe dar conto, prima ancor di quelle etiche, di queste incongruenze logiche del suo pensiero.

Per ciò che riguarda la variante cosiddetta altruistica che Zagrebelsky caldeggia, includendola impropriamente all’interno delle cosiddette “donazioni samaritane”, tre profili sono da attenzionare.

In primis: la gratuità non è quasi mai presente nella pratica della maternità surrogata, come comprova l’ampia contrattualistica diffusa nei Paesi in cui è legalizzata e come altresì comprova anche e soprattutto il vastissimo e altamente remunerativo nonché prodromico e parallelo mercato mondiale della procreazione che si fonda su un fiorente scambio commerciale di embrioni o gameti, come attesta, per esempio, il mercato globale del liquido seminale che attualmente vale circa 4,74 miliardi di dollari con un trend in crescita del 5.2%, verso i 4,86 miliardi di dollari che si prospetta raggiunga nel 2027.[1]

Secondariamente, la gratuità non significa necessariamente autentica liberalità o sottrazione alla logica commerciale, poiché oltre lo strumento monetario ci potrebbero essere – come talvolta, infatti, ci sono – altre forme di corrispettivo per il servizio prestato dalla gestante (pagamento dei vestiti, dei farmaci, delle visite mediche e così da parte della coppia committente) che, come nel caso della permuta, renderebbero comunque a titolo oneroso lo scambio fra le parti.

In terzo luogo: non soltanto anche le cosiddette “donazioni samaritane” costituiscono un problema etico-giuridico non indifferente, ma la maternità surrogata certamente non rientra tra queste poiché le prime sono legate all’urgenza e alla necessità della tutela del diritto alla vita di chi riceve l’organo donato, mentre la seconda è priva di tali requisiti in quanto la coppia committente non è in pericolo di vita come chi attende un rene o un polmone.

Inoltre, le donazioni samaritane rappresentano una eccezione – nel quadro etico-giuridico di riferimento – al principio di indisponibilità del proprio corpo, mentre la maternità surrogata tende a diventare una pratica non eccezionale, ma comune e senza considerare peraltro che le pratiche di procreazione assistita – di cui la maternità surrogata inevitabilmente si serve – non sono mai del tutto esenti da rischi per la salute della donna, come è oramai e già da tempo ampiamente noto nella letteratura scientifica.[2]

Insomma, la maternità surrogata e le donazioni samaritane sono due pratiche profondamente e radicalmente distanti e distinte, dal punto di vista pratico, scientifico ed etico e quindi anche giuridico.

Per ciò che riguarda l’interesse del minore chiamato in causa da Zagrebelsky, bisognerebbe distinguere l’ambito penalistico da quello civilistico.

La risposta penalistica, con la relativa sanzione apprestata dal legislatore, infatti, costituisce un presidio di tutela non soltanto nei confronti della donna, ma anche del nascituro o del nato tenendo focalizzato in massimo grado ben più del suo “semplice” interesse, ma il suo diritto di essere considerato per ciò che egli è, ovvero non una res di un contratto a titolo oneroso o gratuito, ma un soggetto di diritto munito di inviolabili diritti naturali, tra cui primariamente spicca il suo diritto di essere riconosciuto sempre e comunque come persona e non come qualcosa che può essere compravenduto, scambiato, permutato o consegnato.

In questo scenario si dovrebbe, inoltre, dar conto della sorte di quell’antico principio di diritto – base ordinata e ordinante per la certezza dello stesso ordinamento – della indisponibilità dello status personale.

Questo tema lega l’ambito penalistico a quello civilistico, per cui la mancata trascrizione degli atti di nascita stranieri per coloro che sono nati attualmente all’estero tramite le pratiche di maternità surrogata non rappresenta un abuso giuridico che l’ordinamento compie nei confronti dei minori non tutelando i loro interessi e facendo loro scontare le “colpe dei padri”, ma rappresenta l’applicazione del principio di coerenza logica e assiologica dell’ordinamento giuridico per cui non si può “sanare” civilmente qualcosa che non soltanto contrasta con norme imperative, ordine pubblico e buon costume, ma che per di più è intrinsecamente anti-giuridico poiché fondato sulla violazione del principio di indisponibilità dell’essere umano.

Si tratta di preoccupazioni -e non di ipocrisie- ben presenti anche ai giudici della Corte di Cassazione, che nella sentenza resa a Sezioni Unite, nr. 38162/2022, si ribellano, proprio in nome della difesa della dignità della donna e del concepito, alla logica del fatto compiuto.

“Dalle primissime battute, invece di recitare il mantra dell’impotenza del diritto interno di fronte alla violazione dei diritti umani e della priorità della cura dei minori hic et nunc (e pace per quelli che verranno) squarcia il velo, per la prima volta in un consesso di massima istanza, su quel che un Rapporto del 2019 del Consiglio per i diritti umani delle nazioni unite ha definito le «systemic abusive practices» del mercato della discendenza: «Nella gestazione per altri non ci sono soltanto i desideri di genitorialità, le aspirazioni e i progetti della coppia committente. Ci sono persone concrete. Ci sono donne usate come strumento per funzioni riproduttive, con i loro diritti inalienabili annullati o sospesi dentro procedure contrattuali. Ci sono bambini esposti a una pratica che determina incertezze sul loro status e, quindi, sulla loro identità nella società».  (…)

In questo contesto, il richiamo al significato oggettivo della principio-dignità da parte di S.U. 38162/2022 è insieme un esercizio di umiltà e una professione di fiducia nella forza del diritto: «il nostro sistema vieta qualunque forma di surrogazione di maternità, sul presupposto che solo un divieto così ampio è in grado, in via precauzionale, di evitare forme di abuso e sfruttamento di condizioni di fragilità»” (Così Valentina Calderai, in “Back to the basics. Indisponibilità dei diritti fondamentali e principio di dignità umana dopo Sezioni Unite n. 38162/2022, in Giustiziainsieme, 15.3.2023).

Infine, emergono le difficoltà del monito lanciato da Zagrebelsky in riferimento all’intervento della Corte Costituzionale.

Proprio un costituzionalista dovrebbe inorridire dinnanzi alla eventualità che la Corte Costituzionale decida di sostituirsi al legislatore, come sempre più spesso accade e che la qualifica, soprattutto dal caso della celebre sentenza n. 242/2019 sul caso Cappato, più come un secondo organo del potere legislativo che come vertice del potere giurisdizionale.

Da tempo immemore, senza dubbio, si discute del cosiddetto “creazionismo giudiziario”, della sua legittimità, della sua portata, della sua effettività, ma la sua diffusione non può automaticamente coincidere con la sua legittimazione, specialmente quando esso riguarda temi eticamente sensibili su cui peraltro il Parlamento si è già espresso e intende ancora esprimersi esercitano – pur con tutti i suoi limiti e difetti – le sue naturali funzioni.

Se il “colonialismo giudiziario”, di cui la Corte Costituzionale si è oramai resa protagonista principale – con la copertura di certa dottrina – è ciò che davvero Zagrebelsky si augura, sarebbe più coerente, più intellettualmente avvincente e più giuridicamente corretto che elaborasse una nuova teoria della commistione dei poteri e che disegnasse una nuova architettura istituzionale e costituzionale in cui si può, e perfino si deve, fare a meno del Parlamento i cui compiti sarebbero esclusivamente assorbiti dalla magistratura in genere e dalla Corte Costituzionale in particolare.

Le tesi di Zagrebelsky, nonostante la sua autorevolezza, sono dunque da rigettare nel merito e nel metodo, ricordando peraltro, in conclusione, che spesso – come nel caso della maternità surrogata – una pratica non è un male perché è vietata, ma, semmai, è vietata proprio perché è un male.

Aldo Rocco Vitale

La Suprema Corte ha già risposto alle questioni poste da Zagrebelsky sulla maternità surrogata

GIU 1, 2023. Dal Centro Studi LivatinoBambolotti con codici a barre su carrelli della spesa

Il riconoscimento automatico della genitorialità intenzionale non realizza l’interesse del minore, ma quello degli adulti.

Nella sentenza delle sezioni unite n. 38162 del 30 dicembre 2022 le risposte alle questioni sollevate nell’intervento di Gustavo Zagrebelsky sulla maternità surrogata.

Questo sito ha già dedicato un garbato e pregevole intervento di replica alle considerazioni svolte dal professor Gustavo Zagrebelsky, sul quotidiano La Repubblica dello scorso 25 maggio, in merito al dibattito in corso nell’opinione pubblica sulla valutazione della pratica della maternità surrogata da parte dell’ordinamento e sulla condizione giuridica dei nati a seguito della violazione del divieto previsto dalla legge italiana.

* * *

Sul primo punto – e cioè sulla valutazione della surrogazione di maternità da parte dell’ordinamento e, in particolare, sulla proposta del professor Zagrebelsky di riservare una diversa considerazione alle ipotesi in cui la maternità surrogata si presenterebbe come <<atto gratuito di solidarietà umana>> della donna – nel citato intervento di replica, oltre a diversi puntuali rilievi critici, sono state opportunamente ricordate le importanti affermazioni contenute in una recente sentenza della Suprema Corte, la n. 38162 del 30 dicembre 2022, pronunciata a sezioni unite: una sentenza importante, con la quale il professor Zagrebelsky non ha però ritenuto di doversi confrontare.

In quella sentenza si afferma chiaramente che <<nel nostro sistema costituzionale la dignità ha una dimensione non solo soggettiva, ancorata alla sensibilità, alla percezione e alle aspirazioni del singolo individuo, ma anche oggettiva, riferita al valore originario e non rinunciabile di ogni persona>> e che <<la dignità ferita dalla pratica di surrogazione chiama in gioco la sua dimensione oggettiva>>.

Si comprende allora la scelta del legislatore italiano, il quale – così si esprimono i giudici della Suprema Corte – <<nel disapprovare ogni forma di maternità surrogata, ha inteso tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione oggettiva, nella considerazione che nulla cambia per la madre e per il bambino se la surrogazione avviene a titolo oneroso o gratuito>>. Sempre secondo le sezioni unite, infatti, <<indipendentemente dal titolo, oneroso o gratuito, e dalla situazione economica in cui versa la madre gestante (eventuale stato di bisogno), la riduzione del corpo della donna ad incubatrice meccanica, a contenitore di una vita destinata ad altri, ne offende la dignità, anche in assenza di una condizione di bisogno della stessa e a prescindere dal concreto accertamento dell’autonoma e incondizionata formazione del suo processo decisionale>>.

Di qui le sezioni unite hanno dedotto la conseguenza secondo cui <<non è… consentito al giudice, in sede di interpretazione, escludere la lesività della dignità della persona umana… là dove la pratica della surrogazione della maternità sia il frutto di una scelta libera e consapevole della donna, indipendentemente da contropartite economiche e revocabile sino alla nascita del bambino>>.

Ma, forse, il riferimento alla dimensione “anche oggettiva” della dignità umana accolta nel “sistema costituzionale” consente di formulare anche l’ulteriore deduzione secondo cui neppure al legislatore sarebbe consentito un esito come quello prospettato, e cioè la legittimazione di quella che per il professor Zagrebelsky sarebbe invece una “distinzione fondamentale”: la distinzione tra maternità surrogata realizzata in virtù di <<un contratto di prestazione dietro un corrispettivo>> e maternità surrogata quale <<atto gratuito di solidarietà umana>> dal quale la donna <<non si aspetta di ricavare alcun vantaggio economico>>.

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La decisione delle sezioni unite del 30 dicembre 2022 contiene poi spunti argomentativi di notevole interesse anche sull’altra questione affrontata dall’intervento del professor Zagrebelsky: la condizione giuridica dei nati da madre surrogata in violazione del divieto previsto dalla legge italiana.

È bene chiarire anzitutto l’argomento del professor Zagrebelsky. L’illustre giurista critica apertamente la “logica compromissoria” accolta dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 272 del 2017 e n. 33 del 2021 e fatta propria anche dalla stessa Suprema Corte nella sentenza n. 12193 del 2019, pronunciate sempre a sezioni unite: quella logica posta a fondamento della soluzione per cui l’accertamento estero della genitorialità puramente intenzionale del committente privo di legame biologico col nato da madre surrogata deve considerarsi senz’altro contrario all’ordine pubblico, mentre il rapporto in atto tra i due potrebbe comunque essere formalizzato ex post attraverso il ricorso alla procedura di adozione in casi particolari, e dunque a seguito di un accertamento giudiziale concreto della sua conformità al superiore interesse del minore.

In effetti, nella sentenza n. 33 del 2021, la Corte costituzionale muove dall’idea che <<l’interesse del bambino non può essere considerato automaticamente prevalente rispetto a ogni altro controinteresse in gioco>>. Diversamente <<si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona>>.

Di conseguenza, sempre secondo il Giudice delle leggi, <<gli interessi del minore dovranno essere… bilanciati, alla luce del criterio di proporzionalità, con lo scopo legittimo perseguito dall’ordinamento di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità, penalmente sanzionato dal legislatore; scopo di cui si fanno carico le sezioni unite civili della Corte di cassazione [il riferimento è alla sent. cit. n. 12193 del 2019], allorché negano la trascrivibilità di un provvedimento giudiziario straniero, nella parte in cui attribuisce lo status di genitore anche al componente della coppia che abbia partecipato alla surrogazione di maternità, senza fornire i propri gameti>>.

L’esclusione della trascrizione sarebbe così il prodotto di un “bilanciamento” tra l’interesse del bambino e la legittima finalità di reprimere la pratica della surrogazione di maternità. La necessità di preservare la coerenza della scelta proibizionista dell’ordinamento imporrebbe, in altri termini, un “affievolimento” – è appunto questa l’espressione utilizzata dalla Suprema Corte nella sent. cit. del 2019 – dell’interesse del minore. E questo “affievolimento” si realizzerebbe escludendo l’automatismo della trascrizione, ma consentendo la formalizzazione del rapporto in atto attraverso l’adozione in casi particolari.

Anche la Corte di Strasburgo sarebbe sulla stessa linea. La Corte costituzionale ricorda infatti come anche quel Giudice <<riconosce… che gli Stati parte [della Convenzione europea dei diritti dell’uomo] possano non consentire la trascrizione di atti di stato civile stranieri, o di provvedimenti giudiziari, che riconoscano sin dalla nascita del bambino lo status di padre o di madre al “genitore d’intenzione”; e ciò proprio allo scopo di non fornire incentivi, anche solo indiretti, a una pratica procreativa che ciascuno Stato ben può considerare potenzialmente lesiva dei diritti e della stessa dignità delle donne che accettino di portare a termine la gravidanza per conto di terzi>>.

Ebbene, in questa “logica compromissoria” il professore Zagrebelsky riconosce ora <<un corto circuito logico assai grave>>. E ciò non solo perché essa finisce per accreditare l’idea che il male sia tale perché è vietato (e non che una determinata condotta sia vietata perché è male), ma soprattutto perché <<fa subire il male degli adulti a esseri innocenti>>, <<fa pagare a loro “le colpe dei padri”>>.

Scrive il professor Zagrebelsky: <<I bimbi comunque concepiti e messi al mondo non hanno chiesto nulla, sono totalmente innocenti. Il male sommo è quello inferto agli innocenti>>. E quindi si chiede: <<[I nati da madre surrogata] non hanno il diritto alla protezione più ampia possibile, compresa l’accoglienza a pieno titolo presso coloro che li hanno comunque voluti?>>. La domanda è retorica. La soluzione che si vuole accreditare è evidentemente quella del riconoscimento automatico anche della genitorialità puramente intenzionale del committente privo di legame biologico col nato da madre surrogata attraverso la trascrizione integrale dell’atto di nascita o del provvedimento giurisdizionale estero.

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Naturalmente l’idea per cui non è consentito far <<subire il male degli adulti a esseri innocenti>> non può non essere condivisa. È fuori discussione, del resto, la radicale incompatibilità con la Grundnorm personalista posta a fondamento dell’edificio costituzionale di qualsiasi forma di strumentalizzazione della persona. D’altra parte, anche nella più recente sentenza delle sezioni unite – la cit. sent. n. 38162 del 30 dicembre 2022 – non viene certo accolta l’idea che i bambini debbano scontare la colpa degli adulti. E ciò neppure attraverso un “affievolimento” dei loro diritti fondamentali. Ogni “logica compromissoria” è chiaramente messa al bando dalla Suprema Corte.

Nella motivazione della decisione in questione si legge infatti che <<il nato non è mai un disvalore e la sua dignità non può essere strumentalizzata allo scopo di conseguire esigenze general-preventive che lo trascendono. Il nato – proseguono i giudici delle sezioni unite – non ha colpa della violazione del divieto di surrogazione di maternità ed è bisognoso di tutela come e più di ogni altro. Non c’è spazio per piegare la tutela del bambino alla finalità dissuasiva di una pratica penalmente sanzionata. Il disvalore della pratica di procreazione seguita all’estero non può ripercuotersi sul destino del nato. Occorre separare la fattispecie illecita (il ricorso alla maternità surrogata) dagli effetti che possono derivarne sul rapporto di filiazione e in particolare su chi ne sia stato in qualche modo vittima>>.

Parole chiarissime, che coincidono pienamente con la prospettiva indicata dal professor Zagrebelsky. Anche le sezioni unite escludono insomma l’ipotesi di un “affievolimento” dell’interesse del minore finalizzata a contemperarne la realizzazione con la legittima finalità di reprimere la pratica della surrogazione di maternità. E riconoscono pertanto che anche l’interesse del minore <<concorre a formare l’ordine pubblico internazionale>> e che il primo principio non può certo funzionare come un controlimite rispetto al limite rappresentato dal secondo.

Le sezioni unite confermano nondimeno la soluzione già accolta nel 2019. Non c’è in ciò nessuna contraddizione. Secondo le sezioni unite, infatti, l’accertamento estero di una genitorialità puramente intenzionale non è trascrivibile non più solo perché <<il riconoscimento ab initio… dello status filiationis del nato da surrogazione di maternità anche nei confronti del committente privo di legame biologico con il bambino, finirebbe in realtà per legittimare in maniera indiretta e surrettizia una pratica degradante>>, ma anche – e soprattutto – perché <<l’automatismo del riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore di intenzione sulla base del contratto di maternità surrogata e degli atti di autorità straniere che riconoscono la filiazione risultante dal contratto, non è funzionale alla realizzazione del miglior interesse del minore, attuando semmai quello degli adulti che aspirano ad avere un figlio a tutti i costi>>.

Si tratta di un approfondimento argomentativo decisivo. Ciò che le sezioni unite riconoscono ora con chiarezza è che, in caso di nascita da una madre surrogata, l’interesse del bambino non si realizza affatto attraverso il suo inserimento automatico in quello indicato da Zagrebelsky come il <<nucleo famigliare che ha voluto promuovere la sua nascita>>. Questa soluzione – affermano ora con chiarezza le sezioni unite – <<non realizza la pienezza di tutela del minore>>.

L’automatico riconoscimento della genitorialità intenzionale già accertata all’estero asseconderebbe piuttosto un “progetto genitoriale” che si realizza attraverso una pratica “degradante”: una pratica che – anche questo è un dato decisivo, che risulta ora con chiarezza dalla lettura della sentenza di dicembre del 2022 – non strumentalizza solo la donna, ma anche il nato. E che finisce perciò per compromettere anche il rapporto dei committenti con quest’ultimo.

La formalizzazione del rapporto in atto con il committente privo di legame biologico può allora realizzarsi solo in quella che le sezioni unite indicano come una “logica rimediale”: a seguito di un accertamento giudiziale concreto della sua conformità al superiore interesse del minore.

Nella decisione della Suprema Corte si legge infatti che <<l’instaurazione della genitorialità e il giudizio sulla realizzazione del miglior interesse del minore non si coniugano con l’automatismo e con la presunzione, ma richiedono una valutazione di concretezza: quella valutazione di concretezza che postula il riscontro del preminente interesse del bambino a continuare, con la veste giuridica dello status, un rapporto di cura e di affettività che, già nei fatti, si atteggia a rapporto genitoriale>>, laddove <<una diversa soluzione porterebbe a fondare l’acquisto delle genitorialità sulla sola scelta degli adulti, anziché su una relazione affettiva già di fatto instaurata e consolidata>>.

La Suprema Corte, del resto, non manca di evidenziare come sarebbe proprio questa la “strada” già indicata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 33 del 2021, <<non… quella della delibazione o della trascrizione dei provvedimenti stranieri, secondo un più o meno accentuato automatismo funzionale ad assecondare il mero desiderio di genitorialità degli adulti che ricorrono all’estero ad una pratica vietata nel nostro ordinamento>>.

Le sezioni unite rammentano infatti che, con la cit. sent. n. 33 del 2021, <<la Corte costituzionale… non ha avallato la tesi di un accertamento ab initio di una genitorialità puramente intenzionale in tutti o in taluni casi di nascita da una madre surrogata>>. D’altra parte, <<se avesse considerato praticabile questa soluzione al fine di garantire l’interesse alla stabilità affettiva del nato da maternità surrogata, la Corte costituzionale si sarebbe espressa diversamente, accogliendo le questioni di legittimità prospettate o pronunciando una sentenza di rigetto interpretativa>>.

Per le sezioni unite, insomma, la “logica compromissoria” che il professor Zagrebelsky ritiene di poter rimproverare alle decisioni della Corte costituzionale in tema di condizione giuridica dei nati da madre surrogata – una logica che lascia comunque l’amara impressione di una qualche forma di strumentalizzazione – era stata già superata nei fatti nell’ultima decisione della stessa Corte costituzionale, che pure l’aveva ancora riproposta a parole. Il fatto che la Corte costituzionale non abbia accolto la soluzione prospettata dal giudice rimettente attesta infatti in maniera inequivocabile come anche per essa l’accertamento automatico di una genitorialità puramente intenzionale già accertata all’estero non sia una soluzione davvero capace di attuare il superiore interesse del minore.

Emanuele Bilotti, Ordinario di diritto privato nell’Università Europea di Roma